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Leggere un TESTO SCENICO Il monologo di Micione

Quid voveat dulci nutricula maius alumno, qui sapere et fari possit quae sentiat, et cui 10 gratia, fama, valetudo contingat abunde, et mundus victus non deficiente crumina?

intelligenza e sensibilità che secondo gli antichi albergano nel pectus (noi diremmo «nell’anima») e che tuttora le possiede (= «non eri e non sei»). – di tibi... di tibi: l’enfasi asseverativa dell’anafora è potenziata dalle vistose serie allitteranti (vv. 6-7). – formam: nella breve Vita svetoniana Tibullo è detto insignis forma cultuque corporis observabilis («insigne per bellezza e degno di nota per l’eleganza e la cura della persona»). – divitias: sappiamo che Tibullo era di condizione agiata, sebbene avesse perduto parte delle sue terre in seguito agli espropri di cui beneficiarono i veterani delle guerre civili. – dede˘runt: la desinenza del perfetto di terza persona plurale con la penultima sillaba breve è un arcaismo dovuto a esigenze metriche. – artemque fruendi: artem, accusativo oggetto, come formam e divitias, di dederunt, regge il gerundio genitivo di fruor, frui, deponente. È la dote più importante, e l’espressione-chiave che segna il passaggio alla seconda parte dell’epistola: senza la «capacità di goderne» (o la volontà di esercitarli) i doni degli dèi sono vani, come Orazio ricorda in diversi luoghi della sua opera. – Quid... alumno: costruisci Quid maius nutricula voveat dulci alumno. – voveat: congiuntivo presente potenziale di voveo, e ˉre («far voti», «augurare»). Nelle neniae che cantavano cullando i lattanti per farli dormire, le nutrici e le madri scongiuravano le forze ostili di tenersi lontane dal piccolo e invocavano per lui un felice avvenire. – dulci... alumno: dativo di vantaggio. Propriamente alumnus designa chi viene «nutrito», «alimentato» (da alo, ale˘re): il «lattante», perciò anche il «figlio»; per la balia o nutrice si usava l’espressione «figlio di latte». – nutricula: diminutivo-vezzeggiativo del sermo cotidianus, soggetto di voveat. Intraducibile, richiede in italiano l’ausilio di un aggettivo («cara», «tenera»). – qui... et cui: i due pronomi introducono proposizioni relative improprie dipendenti da voveat nel modo congiuntivo, che alcuni studiosi considerano completive di valore finale (= nisi ut is possit... eique... contingat: così nella nostra traduzione); altri le ritengono proposizioni temporali («quando uno può... e a lui tocchino»), altri infine ipotetiche («se uno può... e se gli tocchino»). – gratia, fama, valetudo: enumerazione per asindeto; gratia non sembra alludere qui esclusivamente allo speciale «favore» dei potenti, ma piuttosto alla felice condizione di chi può contare nella vita sul confortante appoggio di sicure «amicizie»; fama non indica necessariamente una «gloria» eccezionale, ma il «buon nome», una reputazione senza macchia; infine valetudo, vox media, vale ovviamente qui «buona salute». – contingat: il verbo al singolare si riferisce a ben quattro soggetti, enumerati nei vv. 10-11 (gratia, fama, valetudo... victus). – mundus: l’aggettivo significa propriamente «pulito», e per traslato «dignitoso», «decoroso». – non deficiente crumina: ablativo assoluto di valore causale-strumentale; la crumıˉna, altro vocabolo del sermo familiaris (attestato in Plauto), è una piccola borsa che si portava appesa al collo, ed indica per metonimia il denaro in essa contenuto.

Le FORME dell’ESPRESSIONE

Collocatio verborum

Nei testi oraziani l’attenzione è rivolta in modo particolare alla sapiente collocazione delle parole, che si rivela uno degli espedienti tecnico-stilistici di maggiore efficacia espressiva messi in atto dal poeta. ▰ Omnem crede diem tibi diluxisse supremum

(v. 13) In posizione forte, al centro dell’esametro prima della cesura, e ulteriormente enfatizzata dalle espressive allitterazioni, sta diem, la parola-chiave; diluxisse, il verbo che indica precisamente il sorgere del sole e l’inizio del nuovo giorno, evoca con singolare intensità anche a livello fonico e quasi irradia da sé, nelle sillabe centrali, la «luce» (lux) che è fonte concreta e insieme metafora poetica della vita, mentre con l’aggettivo che immediatamente lo segue, supremum («estremo», «ultimo») subentra il pensiero della morte. ▰ Grata superveniet quae non sperabitur hora

(v. 14) Anche nel verso successivo la scelta e la collocazione delle parole sono curate con magistrale perizia e straordinaria efficacia: all’inizio e alla fine del verso l’aggettivo (grata, predicativo) e il sostantivo (hora), esprimono la serena felicità conquistata dal saggio e insieme l’accettazione consapevole della brevità e fugacità di ogni cosa umana; al centro, legati dall’allitterazione, i due verbi nel tempo futuro, superveniet («giungerà in sovrappiù», «si aggiungerà») e non sperabitur, in antitesi, mediante la decisa negazione, con spem (v. 12). ▰ Un monito di matrice epicurea In questi tre

versi (12-14) è racchiuso il monito che il poeta rivolge all’amico Tibullo, un vero e proprio Leitmotiv oraziano di chiara matrice epicurea. Già Filodemo di Gàdara, filosofo epicureo e poeta ancora attivo durante la giovinezza di Orazio, aveva scritto che il saggio deve essere «grato per ogni istante raggiunto, come se avesse conseguito una fortuna insperata» (De morte IV, 14).

Inter spem curamque, timores inter et iras omnem crede diem tibi diluxisse supremum: grata superveniet, quae non sperabitur, hora. 15 Me pinguem et nitidum bene curata cute vises, cum ridere voles, Epicuri de grege porcum.

[12-14] Fra la speranza e gli affanni, fra i timori e le collere, fa conto che ogni giorno spuntato sia per te l’ultimo: gradita si aggiungerà l’ora non sperata.

Inter spem... et iras: enumerazione delle passioni che turbano e affliggono la vita; spem e timores si riferiscono al futuro, curam e iras al presente. L’anafora della preposizione inter, che regge l’accusativo, esprime il dibattersi dell’uomo assalito da ogni parte e senza tregua dalle passioni; timores inter = inter timores, per anastrofe. – omnem... supremum: costruisci crede omnem diem diluxisse tibi supremum, lett. «credi che ogni giorno sia spuntato per te [come] ultimo»; supremum è predicativo del soggetto dell’infinitiva oggettiva (omnem... diem... diluxisse) dipendente da crede. –grata... hora: costruisci hora quae non sperabitur superveniet grata.

[15-16] Quando vorrai ridere, verrai a trovare me, grasso e lustro con la pelle ben curata, un porcello del gregge di Epicuro.

Me... voles: costruisci cum ridere voles, vises me pinguem et nitidum bene curata cute. – pinguem: habitu corporis... brevis atque obesus («di piccola statura e ben pasciuto») lo dice Svetonio nella Vita Horatii, citando poi una lettera in cui Augusto lo prendeva amichevolmente in giro per il suo aspetto (tibi statura deest, corpusculum non deest, «ti manca la statura, non ti manca la pancia»). Peraltro il biografo ricorda che così Orazio si descriveva da sé nelle sue opere (cfr. ad es. Epistulae I, 20, 24 [T27 ONLINE]). – bene curata cute: ablativo causale che spiega nitidum («lucido», «splendente»). Ma la pelle ben tesa e lustra, grazie alla cura del corpo ma anche per la florida pinguedine, era un tratto caratteristico dell’epicureo dedito ai piaceri materiali, quale se lo raffigurava la gente comune secondo uno stereotipo denigratorio, avallato dai filosofi stoici. – vises: futuro di viso, e ˘re (intensivo di video), «visitare»; è cortese formula d’invito. – Epicuri... porcum: nei versi finali la serietà profonda dell’ammonimento filosofico si stempera in uno scherzo affettuosamente autoironico che culmina nella chiusa arguta e inattesa, un vero e proprio aprosdóketon.

Analizzare il testo

1. Suddividi il testo in sezioni o parti strutturali distinte, assegnando a ciascuna un titolo adeguato, con una breve didascalia esplicativa. 2. Di quali elementi si compone il ritratto del poeta malinconico? Rintraccia e analizza le precise espressioni latine usate da Orazio. 3. Si può definire il componimento un’epistola consolatoria? Spiega per quali motivi, mediante puntuali riferimenti al testo. A quali argomenti ricorre Orazio per porgere conforto all’amico? 4. Individua i vocaboli che appartengono al registro colloquiale del sermo cotidianus o familiaris,

commentandoli con riferimento allo stile oraziano dei Sermones (Satire ed Epistole). 5. Anche in questo componimento il poeta fa un uso mirato e intensamente espressivo dell’allitterazione. Individua e commenta i casi più significativi.

Confrontare i testi

6. Grata superveniet quae non sperabitur hora: in quali componimenti oraziani a te noti il poeta esprime, in altri termini, il medesimo concetto?

Un giocoso autoritratto

Epicuri de grege porcum: la conclusione scherzosa e autoironica dell’epistola è diventata famosa e quasi proverbiale. Ma un’analisi puntuale dei versi 15-16 permette di individuare una complessa rete di richiami e di allusioni: con una movenza tipicamente oraziana il pronome Me (v. 15) si contrappone circolarmente a te (v. 2); all’aura malinconica che pervade il ritratto di Tibullo fa riscontro un autoritratto giocosamente caricaturale modellato sul tipo dell’epicureo “volgare” costruito dagli avversari, dotti e indotti. Particolarmente efficace l’ambiguità dell’espressione de grege: infatti grex, che designa un «gregge», una «mandria» di animali, è anche termine tecnico per indicare una «scuola», una «setta» filosofica. Quanto a porcum, mentre riprende ed esaspera con spiccato sense of humour l’immagine del poeta «grasso e lustro» (v. 15), non manca di alludere ancora una volta a un luogo comune nella rappresentazione popolare degli epicurei, ossia il paragone con gli animali, e specialmente con i porci. Già Cicerone, in un’orazione pronunciata nel 56, così si rivolgeva all’epicureo Lucio Calpurnio Pisone Cesonino: Epicure noster ex hara producte, non ex schola («o nostro Epicuro, uscito dal porcile, non dalla scuola di filosofia»; In Pisonem 37).

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