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T 13 Senex e servus (Heautontimorumenos, 512-561) IT
Dialogo con i MODELLI
Pulvis et umbra: dai tragici greci a Catullo
L’espressione pulvis et umbra sumus (v. 16) richiama un motivo tradizionale della poesia classica, sviluppato con immagini molto affini già dai poeti tragici: «noi non siamo che parvenza e vana ombra» (Sofocle, Aiace 152); «invece della persona diletta cenere e vana ombra» (Sofocle, Elettra 1158-59); «ogni uomo, una volta che sia morto, è terra ed ombra» (Euripide, fr. 536 N). E anche in Asclepiade: «nell’Acheronte giaceremo ossa e polvere» (Antologia Palatina V, 85). Rispetto alle sue fonti, Orazio isola e rafforza l’immagine, che diventa il vero centro lirico del componimento. Ma la fonte più esplicita dell’ode sono tre versi di un famoso carme di Catullo (5, 4-6):
Soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda.
Orazio riecheggia il passo di Catullo in due luoghi diversi: al v. 14 (nos ubi decidimus) e al v. 21 (Cum semel occideris), proponendo una clausola monosillabica di analoga intensità e suggestione fonica al v. 11 (mox). Va infine considerato che l’intero componimento è un’evidente ripresa, con significative variazioni, di un’altra ode oraziana (I, 4): secondo una consuetudine tipica della poesia ellenistica Orazio, a dieci anni di distanza dalla precedente raccolta, istituisce un confronto diretto con se stesso.
Le FORME dell’ESPRESSIONE
Misura classica e armonia compositiva nell’ode IV, 7
▰ Perfezione classica della struttura Nella più
bella e più intensa ode del IV libro, i temi tradizionali della poesia oraziana ritornano, modulati in toni più cupi e severi, ma ancor più nobilmente inquadrati nella misura classica ed essenziale delle immagini e nella perfetta struttura architettonica e ritmica del testo. In particolare, in questo componimento Orazio riprende il motivo centrale e numerosi spunti dall’ode “parallela” a Sestio (I, 4 [T8]), ancora in parte debitrice al gusto alessandrino dei “quadretti” aggraziati e dei vivaci particolari descrittivi; è dunque il poeta stesso a richiedere un confronto tra l’ode giovanile e lo svolgimento più maturo ed essenziale del medesimo motivo. ▰ Perfetto dosaggio di ogni elemento La
forza lirica della meditazione scaturisce dal perfetto dosaggio di ogni elemento. Si osservi, sul piano concettuale e tematico, la concatenazione logicoaffettiva delle immagini: dall’apertura luminosa sul ritorno della primavera (vv. 1-6) al rapido susseguirsi ciclico delle ore e delle stagioni (vv. 7-12), da cui scaturisce il grave ammonimento (Immortalia ne speres...), alla constatazione della finitezza lineare della vita umana (vv. 13-16), al motivo del carpe diem (vv. 17-20), all’inesorabilità della fine (vv. 21-28). Sul piano retorico-sintattico, da notare innanzitutto gli enjambement fortissimi dei vv. 10-11 e 11-12, dove una congiunzione e un avverbio di tempo (simul, v. 10; mox, v. 11) scandiscono ed enfatizzano (si direbbe paradossalmente, con una pausa ritmica) l’inarrestabile fuga del tempo; inoltre, l’uso intensivo delle anafore dislocate nei punti patetici del discorso: quo... quo (v. 15); non... non... non... (v. 23). L’ode, nella sua armonica limpidezza, si avvale infine di una rete di citazioni allusive che amplificano il motivo lirico dominante della
morte [Dialogo con i modelli].
T 24
Carmina IV, 15 LATINO ITALIANO
Nota metrica:
sistema alcaico, composto di due endecasillabi alcaici seguiti da un enneasillabo e da un decasillabo alcaici.
L’età di Augusto
Posto a conclusione del IV libro, e dunque dell’intero ciclo delle Odi, il carme fu composto nell’estate del 13, appena dopo il ritorno di Augusto dalla Spagna e dalla Gallia: il princeps, di cui Orazio nell’ode precedente (IV, 14) celebrava la gloria militare, è ora esaltato come restauratore dell’antica prosperità, garante della pax, vendicatore delle offese partiche, custos rerum (v. 17), e cioè non solo di Roma e d’Italia (comunque privilegiate) ma del mondo intero.
Phoebus volentem proelia me loqui victas et urbis increpuit lyra, ne parva Tyrrhenum per aequor vela darem. Tua, Caesar, aetas
5 fruges et agris rettulit uberes et signa nostro restituit Iovi derepta Parthorum superbis postibus et vacuum duellis
Ianum Quirini clausit et ordinem 10 rectum evaganti frena licentiae iniecit emovitque culpas et veteres revocavit artis,
Febo, quando io volevo cantar battaglie e vinte città, mi ammonì sulla lira perché le mie piccole vele non affidassi al mar Tirreno. Ma la tua età, o Cesare,
5 ha riportato ai campi pingui messi e ha restituito al nostro Giove le insegne strappate alle superbe porte dei Parti e ha chiuso il tempio di Giano Quirino
libero da guerre, e alla licenza che sbandava 10 oltre la giusta misura, i freni ha imposto e ha allontanato le colpe e richiamato le antiche usanze,
Il cosiddetto “Augusto Bevilacqua”, busto del princeps con la corona civica, età augustea. Monaco, Glyptothek.
4. Caesar: Ottaviano Augusto. 6-8. signa... postibus: Augusto recuperò nel 20 a.C. (mediante un’operazione diplomatica e non militare: derepta è dunque una forzatura per dare rilievo epico alla spedizione) le insegne perdute in battaglia con i Parti da tre diversi eserciti romani nei decenni precedenti. – duellis: termine arcaico per bellis. 9. Ianum... clausit: il tempio di Giano fu chiuso da Augusto in due momenti diversi, una prima volta nel 29, la seconda nel 25; qui, tuttavia, il riferimento è generico e simbolico.