PERCORSO ANTOLOGICO
Dialogo con i MODELLI Pulvis et umbra: dai tragici greci a Catullo L’espressione pulvis et umbra sumus (v. 16) richiama un motivo tradizionale della poesia classica, sviluppato con immagini molto affini già dai poeti tragici: «noi non siamo che parvenza e vana ombra» (Sofocle, Aiace 152); «invece della persona diletta cenere e vana ombra» (Sofocle, Elettra 1158-59); «ogni uomo, una volta che sia morto, è terra ed ombra» (Euripide,
fr. 536 N). E anche in Asclepiade: «nell’Acheronte giaceremo ossa e polvere» (Antologia Palatina V, 85). Rispetto alle sue fonti, Orazio isola e rafforza l’immagine, che diventa il vero centro lirico del componimento. Ma la fonte più esplicita dell’ode sono tre versi di un famoso carme di Catullo (5, 4-6):
Soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda.
Orazio riecheggia il passo di Catullo in due luoghi diversi: al v. 14 (nos ubi decidimus) e al v. 21 (Cum semel occideris), proponendo una clausola monosillabica di analoga intensità e suggestione fonica al v. 11 (mox). Va infine considerato che l’intero
componimento è un’evidente ripresa, con significative variazioni, di un’altra ode oraziana (I, 4): secondo una consuetudine tipica della poesia ellenistica Orazio, a dieci anni di distanza dalla precedente raccolta, istituisce un confronto diretto con se stesso.
Le FORME dell’ESPRESSIONE Misura classica e armonia compositiva nell’ode IV, 7 ▰ Perfezione classica della struttura Nella più
bella e più intensa ode del IV libro, i temi tradizionali della poesia oraziana ritornano, modulati in toni più cupi e severi, ma ancor più nobilmente inquadrati nella misura classica ed essenziale delle immagini e nella perfetta struttura architettonica e ritmica del testo. In particolare, in questo componimento Orazio riprende il motivo centrale e numerosi spunti dall’ode “parallela” a Sestio (I, 4 [ T8]), ancora in parte debitrice al gusto alessandrino dei “quadretti” aggraziati e dei vivaci particolari descrittivi; è dunque il poeta stesso a richiedere un confronto tra l’ode giovanile e lo svolgimento più maturo ed essenziale del medesimo motivo.
▰ Perfetto dosaggio di ogni elemento La forza lirica della meditazione scaturisce dal perfetto
dosaggio di ogni elemento. Si osservi, sul piano concettuale e tematico, la concatenazione logicoaffettiva delle immagini: dall’apertura luminosa sul ritorno della primavera (vv. 1-6) al rapido susseguirsi ciclico delle ore e delle stagioni (vv. 7-12), da cui scaturisce il grave ammonimento (Immortalia ne speres...), alla constatazione della finitezza lineare della vita umana (vv. 13-16), al motivo del carpe diem (vv. 17-20), all’inesorabilità della fine (vv. 21-28). Sul piano retorico-sintattico, da notare innanzitutto gli enjambement fortissimi dei vv. 10-11 e 11-12, dove una congiunzione e un avverbio di tempo (simul, v. 10; mox, v. 11) scandiscono ed enfatizzano (si direbbe paradossalmente, con una pausa ritmica) l’inarrestabile fuga del tempo; inoltre, l’uso intensivo delle anafore dislocate nei punti patetici del discorso: quo... quo (v. 15); non... non... non... (v. 23). L’ode, nella sua armonica limpidezza, si avvale infine di una rete di citazioni allusive che amplificano il motivo lirico dominante della morte [ Dialogo con i modelli].
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