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Leggere un TESTO CRITICO Il simbolismo della quercia e del fulmine (E. Narducci

Leggere un TESTO CRITICO

Il simbolismo della quercia e del fulmine

Secondo un procedimento caratteristico non tanto dell’epica quanto della storiografia antica (da Tucidide a Sallustio a Livio), Lucano, mentre presenta i due personaggi principali del suo poema, istituisce fra loro un confronto (sýnkrisis). Ma gli strumenti cui si affida sono, com’è naturale, quelli propri della poesia: la potenza suggestiva e sintetica delle immagini, la vertiginosa condensazione espressiva, la capacità della parola poetica di dare evidenza assoluta al non-detto per via allusiva e simbolica. Si leggano le seguenti pagine di Emanuele Narducci, che si concentra in particolare sulle similitudini della quercia e del fulmine.

Ritratto di Cesare, I secolo a.C. Città del Vaticano, Musei Vaticani. La sýnkrisis dei due contendenti contrappone a un Pompeo ormai incapace di iniziativa l’instancabile energia che Cesare dispiega nel tentativo di affermare la propria supremazia (I, 143-150). La lunga serie di infiniti che scandisce l’ascesa di Cesare verso il sommo potere si riassume in un finale quasi ex aprosdokétu [«a sorpresa»]: egli gode di aprirsi la strada attraverso la distruzione. Nell’esasperato attivismo del comandante già i contemporanei avevano talvolta visto qualcosa di spaventoso; il carattere fulmineo delle sue decisioni e delle sue azioni poteva ben dare l’impressione che egli, più che da un ponderato calcolo razionale, spesso si lasciasse guidare dall’ispirazione momentanea, addirittura dalla temerarietà. In questa interpretazione, tuttavia, nessuno sembra essersi spinto tanto in là quanto Lucano: nella Pharsalia Cesare conquista una sua malefica grandezza, assurgendo a vera e propria incarnazione del furor che la Fortuna scatena contro l’antica potenza di Roma: la ruina provocata dal suo passaggio trova un adeguato corrispondente nell’infuriare del fulmine (I, 155-157). Subito prima Pompeo è stato paragonato a una quercia secca, poco salda sulle sue radici, alla cui immobilità ora si contrappone il saettante balenare del fulmine; questo è quanto il testo afferma esplicitamente: ma le due similitudini si integrano a distanza, suggerendo al lettore una nuova immagine, quella della folgore che finirà per abbattersi sul tronco ormai spoglio. [...] Al frenetico attivismo di Cesare si contrappone una relativa passività da parte di Pompeo: sazio del proprio soprannome e delle glorie precedenti, soprattutto intento a captare i favori popolari, questi ha ormai praticamente dimenticato le arti del comando militare e non cura quasi più di fornire nuovi sostegni al proprio potere; è, insomma, l’eroe in declino (I, 135-143). Il simbolismo della similitudine è piuttosto trasparente: l’immagine della quercia è preparata dall’ambiguità del termine umbra, che, riferito una prima volta, in senso traslato, a Pompeo («ombra di un grande nome», ma anche «del nome di Magnus») passa immediatamente a significare, in senso proprio, l’ombra della pianta; ma si tratta, è bene sottolinearlo, di un’ombra prodotta dal nudo tronco, ormai privo delle foglie, che si erge in mezzo a un terreno fertile, dove le altre piante prosperano rigogliosamente; al tronco stanno affissi i cimeli di un antico popolo e le offerte votive dei suoi condottieri: la vecchia quercia si fa così simbolo di una passata grandezza, che non è solo di Pompeo, ma anche del populus Romanus che tende a riconoscersi nel suo eroe. Nella contrapposizione dell’albero ormai privo di radici, pencolante sotto i colpi del vento, alle silvae che con saldo fusto gli si levano intorno, la similitudine

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