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T 11 Epigrammi funebri (Epigrammata V, 34 e 37) LAT IT

forsennati latrati. La portinaia Teresa Fioroni era coraggiosamente accorsa, granata alla mano, per intimargli il «cúcia lì!» e carpirgli, possibilmente, la preda: checché! non osò nemmeno avvicinarlo, quel bolide, e Astarotte in figura di lupo: da tanto il lupo le ghiacciava le budella, intermessa per un momento la giostra, piantato a gambe larghe sulle sue quattro zampacce: gli orecchi ritti, puntuti, discoprendo un acuminato avorio nel buio, ringhiando, bavando, fissandola e sfiammeggiando dagli occhi con il demonio in corpo: ch’era doventato un dragone.

(C.E. Gadda, L’Adalgisa. Disegni milanesi, Einaudi, Torino 1963, pp. 4547)

T 11

Epigrammata V, 34 e 37 LATINO ITALIANO

Nota metrica:

distici elegiaci (V, 34) e trimetri giambici scazonti (V, 37).

Epigrammi funebri

[a] L’epigramma V, 34 è stato tradizionalmente letto come un esempio di autentica commozione del poeta, rattristato dalla morte della piccola Erotion (letteralmente «Amorino»), una schiavetta di sua proprietà che egli affida nell’oltretomba alla protezione dei propri genitori (vv. 1-2): difficile trovare, nella letteratura latina, un carme di altrettanto gentile e patetica delicatezza. [b] Ma si legga, subito dopo, l’epigramma V, 37, dedicato alla medesima bimba. Marziale quasi dimentica l’evento luttuoso, assorbito dalle possibilità di invenzione letteraria che esso gli schiude: ed ecco il lungo catalogo iniziale, nel quale si fa uso del più tradizionale armamentario esotico e figurativo del mondo latino; o la battuta finale, che ripete il modulo tipico dell’epigramma aggressivo e sarcastico. La collocazione ravvicinata dei due testi denuncia, in Marziale, la volontà di stupire il lettore con due pezzi di bravura intorno al medesimo soggetto.

[a] Hanc tibi, Fronto pater, genetrix Flaccilla, puellam oscula commendo deliciasque meas, parvola ne nigras horrescat Erotion umbras oraque Tartarei prodigiosa canis. 5 Inpletura fuit sextae modo frigora brumae, vixisset totidem ni minus illa dies.

Inter tam veteres ludat lasciva patronos et nomen blaeso garriat ore meum.

Mollia non rigidus caespes tegat ossa, nec illi, 10 terra, gravis fueris: non fuit illa tibi.

O padre Frontone, o madre Flaccilla, vi raccomando questa bambina, mia boccuccia e mia delizia, affinché la piccola Erotion non tremi di terrore davanti alle nere ombre e alle mostruose fauci del cane tartareo. Avrebbe appena compiuto il sesto inverno, se fosse vissuta almeno altri sei giorni. In compagnia di così vecchi protettori, giuochi spensierata e pronunzi il mio nome con la sua bocca balbettante. Non copra le sue delicate ossa una dura zolla, e non esserle pesante, o terra: lei infatti non lo fu per te.

[b] Puella senibus dulcior mihi cycnis, agna Galaesi mollior Phalantini, concha Lucrini delicatior stagni, cui nec lapillos praeferas Erythraeos, 5 nec modo politum pecudis Indicae dentem nivesque primas liliumque non tactum; quae crine vicit Baetici gregis vellus

Rhenique nodos aureamque nitelam; fragravit ore quod rosarium Paesti, 10 quod Atticarum prima mella cerarum, quod sucinorum rapta de manu gleba; cui conparatus indecens erat pavo, inamabilis sciurus et frequens phoenix: adhuc recenti tepet Erotion busto, 15 quam pessimorum lex amara fatorum sexta peregit hieme, nec tamen tota, nostros amores gaudiumque lususque.

Et esse tristem me meus vetat Paetus, pectusque pulsans pariter et comam vellens:

La bambina, la cui voce era per me più dolce del canto di un vecchio cigno, che era più tenera di un’agnella del Galeso falantino, e più delicata di una conchiglia dello stagno Lucrino, a cui non avresti preferito le perle eritree né la zanna della belva indiana or ora levigata, né la neve appena caduta, né il giglio immacolato, che con la chioma vinceva il vello delle pecore betiche, i capelli annodati dei Germani e lo splendore dell’oro, che dalla boccuccia emanava il profumo dei roseti di Pesto e del primo miele dei favi attici e di pezzetti d’ambra strappati dalle mani, al cui confronto era brutto il pavone, privo di grazia lo scoiattolo e uccello comune la fenice, Erotion, è ancora tiepida sul rogo intatto, che la dura legge del più crudele destino mi ha rapito nel sesto anno, e non ancora compiuto, mio amore, mia gioia e mio svago. E Peto non vorrebbe che io fossi triste, egli che battendosi a un tempo il petto e strappandosi i capelli

1. senibus... cycnis: i cigni, secondo l’antica leggenda, cantavano in punto di morte un canto dolcissimo e melodioso. 2. agna Galaesi... Phalantini: il Galeso scorreva nei pressi di Taranto, città fondata, secondo la tradizione, dal re spartano Falanto. 3. concha Lucrini... stagni: il lago Lucrino, che si trovava nelle vicinanze di Baia, era ricco di pescagione, e in particolare di ostriche. 5. politum... dentem: l’avorio. 7. Baetici: la Betica era una provincia della penisola iberica. 9. Paesti: la celebre città campana, già lodata da Virgilio nelle Georgiche (IV, 119) per i suoi roseti.

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