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Dialogo con i MODELLI Il monologo della maga Erìttone nel Faust di Goethe

Dialogo con i MODELLI

Il monologo della maga Erìttone nel Faust di Goethe

Nel terzo atto della seconda parte del Faust (pubblicata nel 1832), il protagonista giunge a volo, insieme a Mefistofele e ad Homunculus (creatura umana prodotta artificialmente in laboratorio), sulla piana di Farsalo, dove le larve degli antichi combattenti tornano annualmente a misurarsi, attorniate dalle divinità e dalle figure mitologiche (tra cui la sfinge, i grifoni e le sirene) dell’antica Grecia. L’idea che i fantasmi dei morti in battaglia ritornassero periodicamente a combattere aveva più volte colpito l’immaginazione dei poeti romantici (si veda il Foscolo nei Sepolcri, vv. 201-212). In Goethe la rappresentazione fantastica acquista valore simbolico e conoscitivo: calando su Farsalo (da dove proseguirà verso l’Egeo, spostandosi successivamente verso Sparta e in Arcadia), Faust ha modo di compiere una sorta di personale catabasi nelle profondità del mondo classico. La scena viene introdotta da un monologo della maga tessala Erìttone, suggestiva figura lucanea cui Goethe presta i cupi colori delle streghe shakespeariane. Alla festa atroce di questa notte, io come già tant’altre volte muovo, Erìttone, io, tenebrosa. Non orribile come gli sciagurati poeti m’hanno esagerando, effigiata... Ché non finiscono mai, coi rimbrotti e le lodi... Già impallidita m’appare laggiù la valle al flutto delle tende grige come visione remota della notte di ansia e paura. Quante volte s’è già ripetuta! E sempre tornerà in eterno, a ripetersi! Nessuno dei due l’impero cede all’altro, nessuno lo cede a chi di forza l’ha preso e con la forza domina. Chi il proprio io non sa guidare, gode di più a guidare come superbia gli detta, la volontà del suo prossimo. Qui fu però di esempio grande la battaglia: di come a maggiore violenza contrasti violenza, si laceri la cara corona di mille fiori, la libertà, l’alloro rigido cinga il capo del vincitore. Qui della sua precoce grandezza sognò i giorni fioriti [Pompeo,

fisso al mobile ago dei fati Cesare la vegliò. Qui si deciderà. Ma chi vinse già il mondo lo sa. Bruciano fuochi di guardia. Fiamme rosse si [protendono, esala il campo i riflessi del sangue versato e dallo strano lume della notte stupendo attirate si adunano le schiere della leggenda ellenica. Intorno a tutti i fuochi incerte esitano o quiete di antichi evi posano figure favolose. Non piena invero la luna ma limpida s’alza, per ogni dove mite lume diffonde. Il miraggio delle tende spare, i fuochi ardono azzurri. Ma su di me che meteora inattesa? Brilla e una sfera corporea illumina. Fiuto vita. Ma non è opportuno che io m’accosti ai viventi, cui sono funesta. Mala fama a me ne viene né mi giova. Già cala giù. M’allontano cauta.

(Goethe, Faust II, vv. 7005-7039, trad. di F. Fortini, Mondadori, Milano 1970)

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