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T 11 La quercia ed il fulmine (Pharsalia I, 129-157) LAT IT

T 11

Pharsalia I, 129-157

LATINO ITALIANO

Lucano

La quercia ed il fulmine

Prima di dare inizio al racconto, Lucano si sofferma a esaminare le cause della guerra civile. Un fatale destino di decadenza incombe su Roma, che crolla sotto il peso della sua stessa grandezza: in se magna ruunt (I, 81). L’invidia della Fortuna ha condotto la città signora del mondo a divenir preda di tre padroni. Ma «il potere non tollera spartizioni» (I, 94): per breve tempo durò la concordia discorde dei capi; l’unico ostacolo che ancora si frapponeva alla guerra civile era Crasso. La sua morte ha lasciato l’uno di fronte all’altro Cesare e Pompeo, pronti a ripetere il gesto fratricida che macchia di sangue le origini della città. Il poeta presenta i condottieri rivali in due suggestivi ritratti, affidati alla potenza espressiva e visionaria di due immagini antitetiche: Pompeo viene assimilato a una quercia sacra e antichissima, venerata dalle genti ma ormai spoglia e vacillante; Cesare a un fulmine che infuria con irresistibile violenza, seminando il terrore e la strage [Leggere un testo critico, p. 86]. La simmetria della composizione è perfetta: entrambi i ritratti occupano un numero di versi esattamente identico (14 e mezzo), a sua volta equamente diviso in due parti (elencazione delle peculiari caratteristiche del personaggio; sviluppo ampio e articolato della similitudine).

Nota metrica:

esametri.

Nec coiere pares. Alter vergentibus annis 130 in senium longoque togae tranquillior usu dedidicit iam pace ducem, famaeque petitor multa dare in vulgus, totus popularibus auris inpelli, plausuque sui gaudere theatri, nec reparare novas vires, multumque priori 135 credere fortunae. Stat, magni nominis umbra, qualis frugifero quercus sublimis in agro exuvias veteris populi sacrataque gestans dona ducum; nec iam validis radicibus haeret,

Né si scontrarono alla pari: l’uno al declinare degli anni 130 in vecchiaia, meno impetuoso per il lungo uso della toga, ha già disappreso nella pace la parte del condottiero, e assetato di gloria, molto concedeva al volgo, si lasciava spingere interamente dal favore popolare e si compiaceva degli applausi del suo teatro, non preparava nuove forze e si affidava molto alla fortuna 135 passata. Si erge, ombra d’un grande nome, quale una quercia maestosa su un fertile terreno adorna delle spoglie d’un popolo antico e delle sacre offerte dei capi, non si abbarbica più con forti radici,

130. togae... usu: l’esercizio delle magistrature civili, contrapposte ai comandi militari. 133. sui... theatri: il primo teatro in muratura di Roma, fatto costruire da Pompeo e inaugurato nel 55 a.C.

pondere fixa suo est, nudosque per aera ramos 140 effundens, trunco non frondibus efficit umbram; sed quamvis primo nutet casura sub Euro, tot circum silvae firmo se robore tollant, sola tamen colitur. Sed non in Caesare tantum nomen erat nec fama ducis, sed nescia virtus 145 stare loco, solusque pudor non vincere bello; acer et indomitus, quo spes quoque ira vocasset ferre manum, et nunquam temerando parcere ferro, successus urguere suos, instare favori numinis, inpellens quidquid sibi summa petenti 150 obstaret, gaudensque viam fecisse ruina.

Qualiter expressum ventis per nubila fulmen aetheris inpulsi sonitu mundique fragore emicuit rupitque diem populosque paventes terruit obliqua praestringens lumina flamma; 155 in sua templa furit, nullaque exire vetante materia magnamque cadens magnamque revertens dat stragem late sparsosque recolligit ignes.

ristà sul suo peso effondendo nell’aria i nudi rami, 140 ombreggia soltanto con il tronco, non con le fronde; ma sebbene oscilli sul punto di cadere al primo soffio dell’Euro e si levino intorno tanti solidi alberi, tuttavia essa soltanto è venerata. In Cesare non era solo un nome, una gloria di capo, ma un valore 145 instancabile, ed unica vergogna vincere senza combattere; fiero e indomito, dovunque lo chiamava la speranza o l’ira, portava la mano, e mai risparmiava il ferro nell’offesa, incalzava la vittoria, sforzava il favore divino, avventandosi su qualunque cosa ostacolasse la sua brama di dominio 150 e compiacendosi di essersi aperto la via seminando rovine.

Così il fulmine sprigionato dai venti attraverso le nubi balena fra lo strepito dell’etere percosso e il fragore dell’universo, e squarcia il giorno e atterrisce i popoli tremanti, accecandoli con la fiamma guizzante; infuria negli spazi 155 celesti, e poiché nessuna materia si oppone al suo scatenarsi, piombando e impennandosi infligge una grande, vasta strage e riunisce i fuochi sparsi.

(trad. di L. Canali)

138. nec... haeret: richiamo allusivo a un passo dell’Eneide (IV, 441-446), dove l’eroe virgiliano è paragonato a una quercia incrollabile, saldamente ancorata al terreno da profonde radici.

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