2 minute read

T 14 La virtù di Catone (Pharsalia IX, 378-410) LAT IT 92 ONLINE T 15 «Al nume non occorrono parole» (Pharsalia IX, 544-586) IT

T 13

Cesare contempla il campo di Farsalo dopo la strage

Pharsalia VII, 786-846 ONLINE

T 14

La virtù di Catone Pharsalia IX, 378-410 ONLINE

T 15

Pharsalia IX, 544-586

ITALIANO

«Al nume non occorrono parole»

Catone il Giovane, l’eroico e inflessibile difensore della legalità repubblicana, incarna nel poema, al tempo stesso, la figura ideale del sapiens stoico. In questo memorabile episodio, giunto con l’esercito stremato dalla traversata nel deserto all’oasi dove sorge il tempio di Giove-Ammone, Catone rifiuta di consultare l’oracolo del dio. Fra tanta moltitudine di genti accorse dalle più remote contrade, egli solo riparte senza interrogarlo, persuaso che il saggio porti già impressi nell’animo i valori e i princìpi etici fondamentali (espressi attraverso una martellante serie di domande retoriche ai vv. 566-571), ispirati da un’unica potenza divina, la quale, secondo la dottrina stoica, si identifica con il Lógos, l’ordine razionale e provvidenziale del cosmo. Null’altro gli è necessario sapere, e la cognizione del futuro non può in alcun modo influenzare la sua condotta. Sopra ogni cosa, è la morte a rappresentare la più certa garanzia di libertà per il saggio: di fronte ad essa, prova suprema della virtus, tutti gli altri eventi si rivelano privi d’importanza (vv. 582-584).

Davanti alla porta del tempio si affollavano molte genti 545 venute dall’Oriente per consultare l’oracolo del Giove cornigero sui nuovi destini. Ma cedettero al condottiero latino.

I compagni pregavano Catone d’interrogare il dio famoso nel mondo libico: provasse quella fama di secoli.

Soprattutto Labieno esortava ad apprendere il futuro dalla voce 550 degli dèi: «La Fortuna e la sorte del nostro cammino» disse

«ci hanno portato ad imbatterci nell’oracolo di tanto nume e nei responsi divini; di tale guida possiamo servirci per attraversare le Sirti e conoscere i destini della guerra.

545. Giove cornigero: nei versi precedenti il poeta ha detto: «Giunsero a un tempio, l’unico delle genti di Libia,/ posseduto dai selvaggi Garamanti; secondo la tradizione vi risiede/ Giove che rende oracoli, ma non brandisce folgori al pari/ del nostro: è un dio dalle corna ritorte, chiamato Ammone» (IX, 511-514). Il dio egizio Ammon, già identificato dai Greci in età ellenistica con Zeus, era rappresentato sotto forma d’ariete, ovvero di uomo con la testa di questo animale. 549. Labieno: legato di Cesare in Gallia, passò successivamente dalla parte di Pompeo e morì nella battaglia di Munda (45 a.C.). 553. le Sirti: «Sirti» erano dette due vaste insenature lungo le coste libiche (Syrtis maior e Syrtis minor, i golfi di Sidra e di Gabes), tradizionalmente considerate pericolose a causa dei fondali bassi e sabbiosi, delle frequenti tempeste e dei predoni costieri.

This article is from: