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Le opere non pervenute di Plinio: un vasto e variegato catalogo

Naturalis historia Delle numerose e varie opere composte da Plinio [Le opere non pervenute di Plinio], integralmente pervenuta, nonostante l’immensa mole, è soltanto la Naturalis historia, un trattato in 37 libri pubblicato intorno agli anni 77-78. Fatto eccezionale per la letteratura antica, l’opera di Plinio esordisce con un libro di indici (che ci informano minuziosamente circa il piano dell’opera) seguiti dall’elenco delle fonti (qualcosa di molto simile alle moderne bibliografie) e perfino dal numero delle notizie e dei dati complessivamente raccolti. I libri affrontano una materia vastissima: cosmologia (II); geografia ed etnografia (III-VI); antropologia (VII); zoologia (VIII-XI); botanica (XII-XV); agricoltura (XVI-XIX); medicina (XX-XXXII); metallurgia e mineralogia, contenenti questi ultimi un prezioso excursus sulle arti figurative, e in particolare sui colori, le pietre e i marmi usati in pittura, scultura e architettura (XXXIII-XXXVII). L’opera è introdotta da una lettera dedicatoria al futuro imperatore Tito, nella quale l’autore illustra il suo vasto progetto. Un’enciclopedia del mondo naturale La Naturalis historia va a collocarsi nel filone, molto ricco in Roma, dell’erudizione scientifica, che aveva avuto in Catone e in Varrone i suoi maggiori esponenti. Ma nessuno, fino ad ora, aveva mai pensato a una grande enciclopedia del mondo naturale, a cui l’autore giunge sospinto da un’insaziabile curiositas e dall’esigenza di salvare un vasto patrimonio di informazioni che sarebbe in altro modo andato distrutto. Se pensiamo, infatti, all’estrema deperibilità dei rotoli papiracei, alla periodica necessità di ricopiare i testi, che imponeva una selezione degli autori e delle opere, capiremo perché Plinio proceda a ricapitolare un’intera tradizione senza troppo preoccuparsi dell’autorevolezza delle fonti e della verità dei fatti. Il compito primario che si propone è quello di compendiare tutte le conoscenze sul mondo naturale allora accessibili: a tale scopo consulta più di cento fonti, fra latine e greche, e duemila volumi, un numero enorme per le possibilità librarie dell’epoca.

Le opere non pervenute di Plinio: un vasto e variegato catalogo

Il catalogo delle opere di Plinio comprende un’ampia varietà di testi di carattere linguistico-grammaticale, storico-biografico, erudito, tecnico-scientifico, che testimoniano la versatilità del suo ingegno, la molteplicità dei suoi interessi e la sua sterminata erudizione. Di tutte queste opere restano scarsi frammenti: le più note, e quelle che dettero maggior fama all’autore, furono le opere storiche, che costituirono una fonte preziosa per Tacito. Le elenchiamo nell’ordine cronologico di composizione: – De iaculatione equestri («Come scagliare il giavellotto da cavallo»), un manuale di tecnica militare composto durante gli anni germanici; – De vita Pomponii Secundi, una biografia su Pomponio Secondo (uomo politico, erudito, tragediografo e comandante militare ai cui ordini Plinio aveva militato negli anni giovanili); – Bella Germaniae («Le guerre germaniche»), venti libri nei quali erano compendiate tutte le guerre sostenute da Roma contro i Germani dai tempi di Mario fino alle campagne del 47 d.C.; – Studiosus («Lo studente»), una sorta di manuale per il perfetto oratore; – Dubius sermo («Le incertezze della lingua»), sulle ambiguità grafiche e morfologiche della lingua latina; – A fine Aufidii Bassi («Continuazione delle storie di Aufidio Basso»), trentun libri nei quali l’autore narrava gli avvenimenti storici dal principato di Claudio fino all’avvento di Vespasiano.

Manca un principio ordinatore della materia L’autore organizza il suo immenso materiale disponendolo in grandi contenitori: il materiale zoologico, ad esempio, viene distribuito in quattro libri, dedicati uno agli animali terrestri (VIII), uno agli animali acquatici (IX), uno agli uccelli (X), un altro agli insetti (XI). Ma all’interno dei singoli libri, l’andamento risulta irregolare e desultorio, il filo del discorso viene spesso abbandonato, l’autore è come sospinto dall’ansia di non trascurare alcuna notizia. Il discorso non si sviluppa secondo un preciso ordine classificatorio, ma procede a sbalzi, per associazioni di idee, per affinità che si direbbero improvvisamente colte dall’autore durante la composizione stessa: di qui le numerose digressioni, sovente di natura favolosa. Una prospettiva non scientifica Prendiamo ad esempio l’indice del libro VIII, dedicato agli animali terrestri. Plinio divide l’intera materia in due grandi sezioni: animali selvatici ed esotici (parr. 1-60); animali domestici e delle nostre regioni (parr. 61-84). Il punto di vista non è dunque scientifico ma antropologico: gli animali non sono classificati in base a uno studio anatomico ma a seconda del rapporto che intrattengono con l’uomo, e in particolare con l’uomo romano. Gusto dei mirabilia La fonte maggiore di Plinio è Aristotele: ma il filosofo greco, autore di importanti trattati zoologici, aveva impostato il suo sistema tassonomico su una rigorosa analisi della fisiologia e dell’anatomia animale: Plinio si limita a prelevare materiali e notizie dai trattati aristotelici, ignorandone completamente la struttura portante.

Ad Aristotele interessava l’animale morto, da sezionare; a Plinio interessa quello vivo, colto nei suoi comportamenti e nelle sue pose, soprattutto quelle più sorprendenti: ed ecco elefanti che scrivono in greco, galline che compiono pratiche espiatorie e religiose, ippopotami che si autosalassano. Aristotele aveva negato intelligenza agli animali; Plinio è invece propenso a rintracciarne gli esempi più clamorosi. Il mondo naturale non è dunque un universo di cui studiare le leggi ma un grande contenitore di mirabilia, un’arena di stupefacenti e teatrali bizzarrie,

Mosaico pavimentale che raffigura un elefante. Area Archeologica di Ostia.

Affresco raffigurante una pantera, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

di cui Plinio offre un repertorio quasi inesauribile [T3; T5 ONLINE]. Questo spiega perché l’attenzione di Plinio sia sempre rivolta al particolare, al singolo fatto, all’aneddoto curioso, mai all’insieme. Eterogeneità dell’opera Privo di un unico criterio organizzativo, soggiogato dall’ansia enciclopedistica e dal piacere collezionistico di raccogliere quanti più elementi è possibile, Plinio oscilla costantemente nella sua opera fra impegno critico e narrazione fantastica, fra la consapevolezza di un controllo delle fonti e l’orientamento favoloso dell’esposizione.

In un passo l’autore afferma di non essere interessato ai prodigi sovrannaturali, poiché sta trattando «ciò che è opera della natura, non i prodigi» (VII, 179). Ma poco prima egli stesso ha confessato di sentirsi attratto dai fenomeni più straordinari e grandiosi del mondo naturale: «Quante cose non si ritengono impossibili, prima che accadano? La potenza e la maestà della natura in tutte le fasi del suo esplicarsi è incredibile, se la si considera solo parzialmente e non nel suo insieme» (VII, 7). Irrimediabilmente, l’elemento meraviglioso e l’atteggiamento acritico finiscono per trionfare: pur prodigandosi spesso nell’operazione di discutere, controllare, confutare i dati di cui è in possesso, Plinio cede quasi sempre al fascino irresistibile della notizia peregrina, rinunciando a selezionare. L’inventario del mondo Non si tratta solo di un atteggiamento psicologico: l’orientamento eclettico della cultura romana, l’assenza di un corretto metodo scientifico nel campo degli studi naturalistici portano Plinio a privilegiare la componente erudita ed enciclopedistica, il gusto classificatorio, quello che Gian

Biagio Conte ha definito, in un suo saggio, «l’inventario del mondo». E in questo inventario prevale il gusto esotico e favoloso dei mirabilia, diffuso anche fra i romanzieri e gli storici dell’epoca, da Curzio Rufo ad Apuleio. Un gusto che tuttavia non fa mai dimenticare a Plinio il solido pragmatismo della cultura romana: la volontà di essere comunque sempre concreti, utili. Sul piano storico-culturale, va osservato che l’impresa di Plinio è pienamente riuscita: solo a lui dobbiamo infatti la conoscenza di un enorme patrimonio folclorico, etnologico, scientifico e tecnologico, che sarebbe altrimenti andato perduto. Ancora oggi Plinio resta la fonte maggiore, spesso unica, del mondo materiale antico: è l’unico, ad esempio, che

ci ha tramandato le modalità di fabbricazione del papiro egizio; l’unico che ci parli con tanta dovizia di particolari delle arti figurative; il più prezioso nel ragguagliarci su episodi di superstizione e di stregoneria. La visione dell’universo: un generico panteismo Nel libro II della Naturalis historia, interamente dedicato alla cosmologia, si allude ripetutamente a un’interpretazione stoicheggiante, razionalistica e provvidenzialistica, dell’universo. In realtà lo stoicismo pliniano si riduce a un generico panteismo che esclude di fatto ogni idea di provvidenzialità. Tutte le pagine dedicate all’uomo sono intrise di una filosofia insieme pragmatica e pessimistica [T4 ONLINE]. La stessa nozione di natura subisce numerose metamorfosi nel corso dell’opera, fino a vestire, all’inizio del libro VII (l’antropologia) i panni di una crudele noverca («matrigna») nei confronti del genere umano. Lingua e stile Nell’epistola dedicatoria a Tito, Plinio afferma di descrivere la natura nei suoi aspetti più umili, «tanto che moltissimi oggetti dovranno essere designati con termini rozzi o stranieri, e perfino barbari e tali da richiedere una scusa preliminare» (praef. 13).

Questi vocabula rustica sono i termini della lingua tecnica, generalmente banditi dal vocabolario della letteratura alta; ai quali Plinio sa di dover aggiungere, per via delle numerose fonti utilizzate, vocabula externa, grecismi soprattutto. La varietà dei contenuti e la molteplicità delle fonti obbligano l’autore a uno stile diseguale e discontinuo, a volte disadorno, a volte artificioso e retoricamente elaborato. La pluralità dei registri espressivi non annulla tuttavia una sensazione complessiva di sciatteria, spesso alimentata dalla fretta della composizione e dall’andamento accidentato delle frasi. Fortuna della Naturalis historia Mentre le opere storiche di Plinio scomparvero presto, dopo aver goduto di ampia fortuna per alcuni decenni, la Naturalis historia continuò ad essere letta per tutti i secoli dell’impero e in età medievale. Dell’opera cominciarono a girare molto presto dei compendi, spesso limitati a una sola sezione.

Fu proprio il carattere compilatorio dell’opera a favorirne la trasmissione: al

Medioevo la Naturalis historia dovette presentarsi come una sorta di gigantesca biblioteca del sapere naturalistico antico, un compendio già pronto di centinaia di altre opere, perfettamente intonato allo spirito enciclopedico e sincretistico dell’epoca. A Plinio attinsero con larghezza lapidari e bestiari; ai libri zoologici si ispirarono gli scultori medievali per decorare i capitelli delle chiese romaniche.

Sulla diffusione della Naturalis historia testimoniano d’altra parte i circa duecento manoscritti sopravvissuti fino a noi.

La fortuna continuò anche in età umanistica: quindici edizioni a stampa già prima del 1500. L’avvento di una nuova consapevolezza critica finì fatalmente per mettere in discussione le bizzarrie e le stravaganze del libro; ben presto si cominciò seriamente a dubitare dell’attendibilità delle indicazioni pliniane. Si esauriva l’interesse “scientifico” nei confronti del testo; ne nasceva un altro, di carattere culturale, etnologico e folclorico, al quale si sarebbe aggiunto anche quello, di natura più sofisticata, del lettore innamorato di meraviglie e di storie fantastiche (si veda, a questo proposito, l’introduzione di Italo Calvino all’edizione einaudiana della «Storia naturale»).

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