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Opere filosofiche di Seneca

Ad Marciam de consolatione

(«Scritto consolatorio per Marcia»)

Composta durante il principato di Caligola (37-41 d.C.), sicuramente prima dell’esilio. È una consolatio rivolta a Marcia, figlia dello storico Cremuzio Cordo [cap. 1.2], prostrata dalla perdita del figlio Metilio. Seneca ricorre a numerosi esempi di illustri personaggi, greci e latini, che avevano saputo reagire con grande forza d’animo ai lutti familiari. Dimostra che la morte non è un male ma la liberazione dai gravami del corpo e dalle meschinità della vita terrena; che solo la morte, anzi, rende l’uomo libero e padrone di sé [T1].

De ira («L’ira»)

Divisa in tre libri e dedicata al fratello Novato, l’opera fu iniziata durante il principato di Caligola (libri I e II), e conclusa nei primi anni dell’esilio (libro III). Nel primo libro l’autore sostiene che l’ira è un sentimento inaccettabile, perché oscura e paralizza le capacità razionali; nel secondo offre i rimedi contro l’ira, mostrandone i pericoli; nel terzo riprende le argomentazioni dei libri precedenti, ampliandoli e arricchendoli con un’abbondante esemplificazione, e in particolare denunciando la collera folle e sanguinaria di Caligola [T2 ONLINE]. Seneca polemizza con la scuola peripatetica, che considerava l’ira in alcuni casi necessaria. Per Seneca l’ira non è utile neppure in guerra, come testimonia la stessa storia di Roma, che ha saputo battere l’ira dei barbari con gli strumenti della ragione. Essa, al contrario, è il più grave ostacolo alla realizzazione del bene sia sul piano individuale che sociale. Un utile strumento per vincere l’ira – o almeno per renderla meno violenta – è l’esame di coscienza [T3].

Ad Helviam matrem de consolatione («Scritto consolatorio per la madre Elvia»)

Composta nei primi anni dell’esilio, probabilmente nel 42-43, è tradizionalmente considerata il capolavoro, nel genere consolatorio, di Seneca. Rovesciando le parti, colui che dovrebbe essere consolato (l’autore, costretto alla relegatio in Corsica) consola la madre per il dolore della separazione dal figlio: chi è saggio non può temere alcun male, né lasciarsi turbare da alcun evento; l’esilio è solo un mutamento di luogo, che non può intaccare la serenità dello spirito; d’altronde, non esiste propriamente esilio, poiché «non c’è al mondo un luogo che sia estraneo all’uomo. Da ogni parte si può ugualmente alzar lo sguardo verso il cielo; la distanza tra l’uomo e la divinità è sempre uguale». Invita infine la madre a dedicarsi agli studi, unico vero rifugio contro il dolore e l’angoscia, e a vivere degli affetti familiari che ancora le sono rimasti.

Ad Polybium de consolatione («Scritto consolatorio per Polibio»)

Composta dopo il 43, nei primi anni dell’esilio, l’opera è giunta mutila della parte iniziale. L’autore si propone di confortare Polibio, potente liberto dell’imperatore, per la recente perdita di un fratello. Altro è naturalmente il vero scopo della composizione: rientrare nelle grazie di Claudio e ottenere, mediante l’aiuto di Polibio, la revoca dell’esilio. Il genere consolatorio si mescola con quello encomiastico, e dai passi smaccatamente adulatorii rivolti a Polibio si perviene, vero centro dell’opera, a un entusiastico elogio dell’imperatore [T4 ONLINE].

De brevitate vitae («La brevità della vita»)

Composta verso il 49 (ma la data è molto incerta, e può essere spostata fino al 62), l’opera è dedicata al prefetto dell’annona Paolino, parente della seconda moglie Pompea Paolina. La vita non è breve, ma appare tale solo a chi spreca il proprio tempo in vane e confuse attività [T5]. Occorre, invece, vivere ogni istante di vita come fosse l’ultimo, perfezionandosi sulla via della saggezza. Paolino viene dunque esortato ad abbandonare le sue occupazioni per dedicarsi alla vita contemplativa.

De constantia sapientis («La fermezza del saggio»)

L’opera è di datazione incerta, e viene variamente collocata in un arco di tempo compreso tra la morte di Caligola (41 d.C.) e il 62; con una certa probabilità negli anni appena successivi all’esilio in Corsica. È dedicata ad Anneo Sereno, un amico epicureo che l’autore cerca gradualmente di convertire alla filosofia stoica. Seneca afferma che il saggio non può essere colpito da alcun oltraggio né da alcuna ingiuria (nec iniuriam nec contumeliam accipere sapientem). La virtù lo rende infatti superiore agli eventi.

De clementia («La clemenza»)

Composto fra il 55 e il 56 e indirizzato a Nerone, da poco imperatore; dell’opera, concepita, e probabilmente realizzata, in tre libri, sono giunti a noi solo il libro I e i primi sette capitoli del II. Vero e proprio trattato di teoria politica, l’opera ha inizio con un ampio

elogio di Nerone [T6], che ha dato dimostrazione nei primi mesi del suo principato di umanità e di mitezza d’animo. Seneca non mette in discussione la necessità del principato, considerato la forma più opportuna di governo; analizza i rapporti fra imperatore e sudditi, non più delimitati dalle leggi quanto dalle virtù morali del principe, rappresentato (secondo immagini di derivazione ellenistica) come un benefattore dell’umanità.

De vita beata («La vita felice»)

Composta probabilmente intorno al 58, l’opera è dedicata al fratello Novato, chiamato ora con il nuovo nome, assunto per via adottiva, di Gallione. La felicità, come professava la filosofia stoica, non consiste nelle ricchezze e nei piaceri ma nell’esercizio della virtù, che sola basta a se stessa [T7 ONLINE]. Nella seconda parte, Seneca intende ribattere a quanti criticavano le ricchezze accumulate e il suo tenore di vita, contrastanti con gli ideali morali professati: innanzitutto, egli non si ritiene affatto un saggio, ma solo un uomo che si sforza di esserlo. Le ricchezze, sostiene inoltre, non vanno disprezzate: «il saggio non si reputa indegno di alcun dono della fortuna». Nessuno ha condannato i sapienti ad essere poveri: ma le ricchezze, presso l’uomo saggio, «sono in condizione di servitù, presso lo stolto di impero». Il trattato è pervenuto mutilo della parte finale. De tranquillitate animi («La tranquillità dell’animo»)

Composto intorno al 60 e anch’esso, come il De constantia sapientis, dedicato all’amico Anneo Sereno, è l’unico dei Dialogi a presentare una vera e propria forma dialogica. Nella prima parte, Sereno si rivolge a Seneca esponendo il proprio stato d’animo, quello di un uomo perpetuamente ondeggiante fra modelli contrastanti di vita, insoddisfatto della propria condizione di instabilità spirituale e desideroso di serenità (tranquillitas). Nella risposta, Seneca approfondisce l’analisi dell’inquietudine esistenziale e del taedium vitae [T8], passando poi a indicazioni concrete su come comportarsi nelle comuni vicende della vita. Possiamo raggiungere la tranquillità dello spirito soltanto conducendo un’esistenza equilibrata, fondata sull’esercizio delle virtù e indirizzata al bene comune.

De otio («La vita contemplativa»)

Composta negli anni 61-62 e di nuovo dedicata ad Anneo Sereno, l’opera è mutila delle parti iniziale e finale. Tema dominante è il rapporto fra vita contemplativa e vita attiva, considerate entrambe legittime e secondo natura. Possiamo essere utili ai nostri simili in vari modi: utilizzando la metafora della navigazione, Seneca considera l’otium come un porto nel quale è necessario sostare quando le tempeste della Storia e della Fortuna impediscono di levare l’ancora o di navigare senza rischi.

Rilievo, già parte di un sarcofago attico, raffigurante un Kairós, 350-330 a.C. Torino, Museo di Antichità. De providentia («La provvidenza»)

L’opera, dedicata all’amico Lucilio, è di datazione incerta: alcuni la collocano nel 41 o subito dopo; altri (forse a ragione) negli ultimi anni di vita di Seneca. Lucilio, lo stesso delle Lettere, ha chiesto a Seneca «perché capitano tanti malanni alle persone perbene, se il mondo è retto dalla Provvidenza». Seneca dimostra che le sventure non sono dei veri mali e vanno al contrario ritenute utili, perché consentono al sapiente di temprare le proprie forze e di perfezionarsi sulla via della virtù (marcet sine adversario virtus).

Naturales quaestiones («Ricerche di scienze naturali»)

L’opera, anch’essa dedicata a Lucilio, è stata scritta dopo il 62, negli anni appena successivi al ritiro dalla vita pubblica. Divisa in sette libri, si occupa di argomenti scientifici: ignes in aere (fuochi celesti), fra cui aloni, arcobaleno, meteore (libro I); tuoni e fulmini (libro II); acque terrestri (libro III); le piene del Nilo, nubi, grandine e neve (libro IV); venti (libro V); terremoti (libro

VI); comete (libro VII). L’indagine scientifica è costantemente sottoposta a un’interpretazione di natura etica e teologica, come prescriveva la filosofia stoica.

De beneficiis («I benefici»)

In sette libri, dedicata all’amico Ebuzio Liberale, l’opera fu composta dopo la morte di Claudio (54 d.C.) e prima del 64. Gli ultimi tre libri furono scritti quasi certamente dopo il ritiro dalla vita politica. Viene trattato il tema dei benefici, fatti o ricevuti, e delle loro implicazioni sul piano morale e sociale. Un’importante sezione è riservata ai benefici che uniscono gli schiavi agli uomini liberi.

Epistulae morales ad Lucilium («Lettere morali a Lucilio»)

L’opera, composta tra il 62 e il 65, consta di 124 lettere suddivise in 20 libri. L’autore si rivolge all’amico Lucilio da maestro a discepolo, sviluppando gradualmente, lettera dopo lettera, i grandi temi morali della sua riflessione filosofica: l’esortazione alla vita contemplativa [T9; T10]; la meditazione sul tempo e sulla morte [T9; T13 ONLINE; T17 ONLINE]; il valore degli studi e delle letture [T10]; la libertà del saggio e il dominio delle passioni [T12]; il potere corruttore della folla [T11]; la ricerca della felicità; il rapporto tra uomo e divinità [T14]; i doveri nei confronti dei nostri simili [T16]; la schiavitù, affrontata sia sotto l’aspetto giuridico che morale [T15]. Viene accentuato, rispetto alle opere precedenti, il motivo dell’interiorità. Non mancano esempi tratti dall’esperienza quotidiana e ricordi di carattere autobiografico [T18 ONLINE]. Tono colloquiale, uso della prima persona, continuo ricorso al procedimento diatribico della domanda e della risposta, rapporto diretto con il destinatario, coinvolgono in modo intimo e profondo il lettore-discepolo sul cammino della sapientia morale.

Materiali ONLINE

LEGGERE UN TESTO CRITICO

Seneca e l’utopia stoica del rex iustus (I. Lana)

DOCUMENTI E TESTIMONIANZE

• La morte di Seneca nel racconto di Tacito

BIBLIOGRAFIA ESTESA

B� Sulla personalità e sul pensiero di Seneca si consiglia Bibliografiaessenziale un volume di impianto didattico, corredato di un’ampia antologia tematica: Seneca, L’immagine della vita, a cura di M. Perrini, La Nuova Italia, Firenze 1998. Tra gli studi, un classico accessibile anche allo studente è ancora P. Grimal, Seneca, Garzanti, Milano 1992. Sulle Epistulae ad Lucilium varrà la pena di leggere: G. Rosati, Seneca sulla lettera filosofica. Un genere letterario nel cammino verso la saggezza, «Maia», 33, 1981, pp. 3-15; I Lana, Analisi delle «Lettere a Lucilio» di Seneca, Giappichelli, Torino 1988. Per il teatro, il volume di G. Petrone, La scrittura tragica dell’irrazionale. Note di lettura al teatro di Seneca, Palumbo, Palermo 1984, che si segnala per l’attenzione agli aspetti scenici e drammaturgici dei testi senecani. � Tra le numerose edizioni con traduzione italiana andranno privilegiati, sia per il teatro che per le opere filosofiche, i singoli e agili volumi usciti presso Rizzoli (BUR). Per le

Naturales quaestiones: Ricerche sulla natura, a cura di P.

Parroni, Fondazione Lorenzo

Valla-Arnoldo Mondadori

Editore, Milano 2002. Per l’Apokolokyntosis: L’apoteosi negata, a cura di R. Roncali,

Marsilio, Venezia 1989.

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