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Un titolo oscuro e variamente decifrato: Apokolokyntosis

che vengono, com’è ovvio, immediatamente smentiti: il narratore si prende infatti la libertà, poco dopo, di produrre o non produrre, a suo piacimento, i testimoni degli avvenimenti. L’azione ha inizio sulla terra: Claudio muore per intervento di Mercurio, che implora le Parche di recidere una buona volta il filo che teneva legata la vita dell’imperatore, in modo che «uno migliore regni nel palazzo vuoto»; con questo verso (una citazione virgiliana dal libro delle api), viene introdotto il motivo encomiastico delle laudes Neronis, il giovane princeps che Febo Apollo in persona paragona a se stesso, annunciando l’avvento di un’età aurea. Un nuovo proemio inaugura la sezione celeste del libello. Claudio, ridicolmente descritto come un essere mostruoso e non catalogabile, si presenta in cielo dinanzi ad Ercole [T20]. Dopo una lacuna testuale, assistiamo a un concilio degli dèi, allestito come una seduta del senato, per decidere se divinizzare o no il defunto. I pareri restano comicamente incerti, finché Augusto, con un lungo discorso, affossa la proposta, denunciando i crimini perpetrati da Claudio. Mercurio trascina allora per il collo l’ex imperatore dal cielo giù agli inferi. Durante il tragitto, dio e imperatore si imbattono nel sontuoso funerale dello stesso Claudio, che solo ora si rende conto di esser veramente morto. Durante le esequie, tutti sono felici e contenti: «il popolo romano andava e veniva pensando di essere libero» (12, 2). Seguono, in simmetrica corrispondenza con le laudes Neronis, le parodistiche e antifrastiche laudes Claudii, cantate in forma di nenia funebre da un immenso coro. Finalmente Claudio giunge agli inferi, accolto dall’enorme folla delle vittime del suo principato. Immediatamente viene istruito un processo, condotto da Eaco in persona, il mitico giudice infernale. Viene notificata l’accusa: «35 senatori uccisi, 321 cavalieri romani uccisi, e tanti altri come la sabbia e la polvere» (14, 1). Si discute sulla pena da infliggere: Eaco, per analogia con quella di Sisifo, sentenzia che Claudio sia condannato a giocare eternamente ai dadi con un bossolo buca-

Un titolo oscuro e variamente decifrato: Apokolokyntosis

Problematico è il titolo dell’opera, tramandata nei codici medievali come Ludus de morte Claudii. Dall’interpretazione di un passo dello storico greco Cassio Dione, l’umanista Hadrianus Iunius dedusse nel XVI secolo il titolo greco (Apokolokyntosis) che ancora oggi utilizziamo. Titolo peraltro oscuro e variamente decifrato. L’interpretazione più accreditata si fonda sul significato traslato di kolokynte (in greco «zucca») = stultus (anche noi chiamiamo «zucca», «zuccone», una persona di scarso intelletto): apokolokýntosis, per analogia con apothéosis («deificazione»), verrebbe dunque a tradursi, all’incirca, come «deificazione di uno zuccone», «deificazione della zucca». Altri, meno bene, pensano a una vera e propria trasformazione in zucca di Claudio, che doveva avvenire in una parte del libro per noi perduta: il titolo verrebbe a tradursi, in questo caso, «Zucchificazione». Ben più efficace, invece, partendo dal valore traslato del termine kolokynte (cucurbita in latino), pensare a Claudio come a una «zucca» (un idiota insomma) che pretende di essere deificato: argomento che gli dèi stessi, nella satira di Seneca, dibattono a lungo, giungendo alla conclusione che l’imperatore-zucca sia gettato agli inferi. Ci troveremmo di fronte, insomma, a una «Apoteosi negata», per usare il titolo con il quale è stata pubblicata in Italia un’accurata edizione del testo.

▰ Dove leggere l’opera Seneca, L’apoteosi negata, a cura di R. Roncali (con testo originale a fronte), Marsilio, Venezia 2000³; ottima la traduzione, corredata da esaurienti apparati (introduzione, bibliografia, note al testo). Da segnalare anche: Seneca, Apokolokyntosis, a cura di G. Vannini, Oscar Mondadori, Milano 2008.

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