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T 3 L’esame di coscienza (De ira III, 36) LAT IT

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Esempi di ferocia bestiale: Alessandro, Silla, Catilina, Caligola

De ira III, 17-19 ONLINE

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De ira III, 36 LATINO ITALIANO

L’esame di coscienza

Ai margini del principato, negli stessi anni in cui Augusto provvedeva alle sue grandi riforme istituzionali, aveva operato una scuola filosofica di orientamento stoico tradizionalmente chiamata, dal nome del fondatore, scuola dei Sestii. Discendente da una nobile famiglia romana, Quinto Sestio aveva rifiutato in gioventù l’invito di Cesare a entrare in senato. Un secolo più tardi Seneca (il nostro maggior informatore sulla scuola) avrebbe commentato in questo modo la scelta di Sestio: «egli capiva che quanto può essere dato può anche essere tolto» (Ep. ad Luc. 98, 13). La preoccupazione di Sestio era stata dunque quella di salvaguardare la propria libertà interiore e di evitare ogni compromesso con il potere politico. Seneca si era accostato in gioventù a tale scuola attraverso Papirio Fabiano, discepolo di Sestio Padre particolarmente attivo durante gli anni del principato di Tiberio. Una delle pratiche raccomandate dalla scuola era quella dell’esame di coscienza serale, attinta originariamente alla tradizione pitagorica ma poi diffusa anche in ambito stoico. A tale pratica sono direttamente connessi due aspetti caratteristici del pensiero di Seneca: la necessità di un continuo dialogo con se stesso, che si traduce in coscienza morale; la volontà di trasferire in esperienza vissuta i princìpi astratti delle scuole filosofiche. La sapienza, per Seneca, è una pratica quotidiana, non un’astrazione teorica: si diventa saggi un poco alla volta, giorno dopo giorno, in un processo costante e graduale di perfezionamento interiore.

[36, 1] Omnes sensus perducendi sunt ad firmitatem: natura patientes sunt, si animus illos desiit corrumpere qui cotidie ad rationem reddendam vocandus est. Faciebat hoc Sextius, ut consummato die, cum se ad nocturnam quietem recepisset, interrogaret animum suum: «Quod hodie malum tuum sanasti? Cui vitio obstitisti? Qua parte melior es?» [2] Desinet ira et moderatior erit quae sciet sibi cotidie ad iudicem esse veniendum. Quicquam ergo pulchrius hac consuetudine excutiendi totum diem? Qualis ille somnus post recognitionem sui sequitur: quam tranquillus, quam altus ac liber, cum aut laudatus est animus aut admonitus et speculator sui censorque secretus cognovit de moribus suis. [3] Utor

[36, 1] Tutti i sensi devono esser portati alla capacità di sopportare; per natura ne sono capaci, solo che l’animo smetta di corromperli: chiamiamo dunque questo ogni giorno a un rendiconto. Sestio lo faceva sempre: alla fine della giornata, quando si era ritirato per il riposo notturno, interrogava la sua anima: «Quale male hai guarito oggi? A quale vizio ti sei opposta? In che cosa sei migliorata?» [2] L’ira cesserà e sarà meno violenta se saprà di doversi presentare giornalmente a un giudice. Dunque non c’è niente di meglio di questa consuetudine di fare l’esame di tutta la giornata. Che sonno tranquillo si ha dopo questo esame! E sereno, profondo, libero, dopo che lo spirito è stato lodato o ammonito, e dopo che si è fatto spia e esaminatore segreto dei suoi stessi costumi. [3] Anch’io mi servo di

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