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T 10 Le letture (Epistulae ad Lucilium 2) LAT IT

Analizzare il testo

1. Cosa vuole intendere Seneca con l’espressione cotidie mori? Quale concezione del tempo essa esprime? 2. Quali verbi sono utilizzati dall’autore per indicare la costante rapina del tempo cui siamo giornalmente sottoposti? 3. Quale rapporto si instaura tra maestro e discepolo nel corso della lettera?

Confrontare i testi

4. Quale parola latina si contrappone a luxuria?

La denuncia del lusso e l’elogio della frugalità ricorrono spesso negli storici latini, così come nella poesia elegiaca: sapresti fare qualche esempio, tratto dalle opere e dagli autori studiati negli anni precedenti?

T 10

Epistulae ad Lucilium 2

LATINO ITALIANO

Le letture

La ricerca di una stabilità spirituale, l’autosufficienza interiore, la serenità e la fermezza del saggio erano temi tradizionali della filosofia antica, che Seneca trasferisce per analogia all’ambito degli studi e delle letture: non conta leggere molto ma leggere in modo utile e concentrato; la sapientia è contraria tanto alla curiositas quanto alla sterile erudizione.

Seneca Lucilio suo salutem. [1] Ex iis quae mihi scribis et ex iis quae audio bonam spem de te concipio: non discurris nec locorum mutationibus inquietaris. Aegri animi ista iactatio est: primum argumentum compositae mentis existimo posse consistere et secum morari. [2] Illud autem vide, ne ista lectio auctorum multorum et omnis generis voluminum habeat aliquid vagum et instabile. Certis ingeniis inmorari et innutriri oportet, si velis aliquid trahere quod in animo fideliter sedeat. Nusquam est qui ubique est. Vitam in peregrinatione exigentibus hoc evenit, ut multa hospitia habeant, nullas amicitias; idem accidat necesse est iis qui nullius se ingenio familiariter applicant sed omnia cursim et properantes transmittunt. [3] Non prodest cibus nec corpori accedit qui statim sumptus emittitur; nihil aeque sanitatem inpedit quam remediorum

Seneca SaLuta iL Suo LuciLio. [1] Dai tuoi scritti e da ciò che sento dire di te sono indotto a sperare vivamente sul tuo conto: non vai qua e là, non ti agita il desiderio di cambiare continuamente luogo. Tale inquietudine è propria di un animo malato: il saper star fermo e raccolto in sé stesso è, secondo me, il primo indizio di uno spirito ben ordinato. [2] Ma forse non ti pare che la lettura di molti autori e di libri di ogni genere riveli una certa incostanza ed instabilità? Se vuoi ricavare qualche idea che ti si imprima durevolmente nell’animo, devi essere in grande dimestichezza con determinati scrittori e di essi nutrirti. Chi è dappertutto non è in alcun luogo. Chi passa la vita vagabondando trova molti ospiti, ma nessun amico. Necessariamente la stessa cosa accade a coloro che non entrano in intimità con nessun uomo di genio, ma leggono qualunque libro di corsa, in fretta e furia. [3] Il cibo che, appena preso, è mandato fuori, non giova né può esser assimilato; niente è così nocivo alla buona salute come il cambiare di continuo i rimedi; una

crebra mutatio; non venit vulnus ad cicatricem in quo medicamenta temptantur; non convalescit planta quae saepe transfertur; nihil tam utile est ut in transitu prosit. Distringit librorum multitudo; itaque cum legere non possis quantum habueris, satis est habere quantum legas. [4] «Sed modo» inquis «hunc librum evolvere volo, modo illum». Fastidientis stomachi est multa degustare; quae ubi varia sunt et diversa, inquinant non alunt. Probatos itaque semper lege, et si quando ad alios deverti libuerit, ad priores redi. Aliquid cotidie adversus paupertatem, aliquid adversus mortem auxili compara, nec minus adversus ceteras pestes; et cum multa percurreris, unum excerpe quod illo die concoquas. [5] Hoc ipse quoque facio; ex pluribus quae legi aliquid adprehendo. Hodiernum hoc est quod apud Epicurum nanctus sum (soleo enim et in aliena castra transire, non tamquam transfuga, sed tamquam explorator): «honesta» inquit «res est laeta paupertas». [6] Illa vero non est paupertas, si laeta est; non qui parum habet, sed qui plus cupit, pauper est. Quid enim refert quantum illi in arca, quantum in horreis iaceat, quantum pascat aut feneret, si alieno imminet, si non adquisita sed adquirenda conputat? Quis sit divitiarum modus quaeris? primus habere quod necesse est, proximus quod sat est. Vale.

ferita, sulla quale si provino medicamenti su medicamenti, non si cicatrizza; non cresce una pianticella ripetutamente trapiantata; non c’è cosa tanto efficace che possa giovare di passaggio. Troppi libri producono dissipazione; pertanto, poiché non puoi leggere tutti i libri che ti sarebbe possibile avere, ti basta avere quelli che puoi leggere. [4] «Ma», tu mi dirai, «ora mi vien voglia di sfogliare un libro, ora un altro». È proprio di uno stomaco che facilmente si disgusta assaggiare molti cibi, i quali, se sono diversi, invece di nutrire guastano. Perciò leggi sempre scrittori di indiscutibile valore e, se talvolta ti piacerà rivolgerti ad altri, tosto ritorna ai primi. Ogni giorno sappi procurarti qualche aiuto contro la povertà, contro la morte e parimenti contro gli altri mali; e, dopo aver fermato l’attenzione su molti pensieri, scegline uno che in quel giorno sia oggetto della tua meditazione. [5] Anch’io sono solito fare così; leggo pagine e pagine, ma poi m’impadronisco di un’idea. Oggi, leggendo Epicuro – non stupirti! sovente passo negli accampamenti altrui non come fuggiasco ma come esploratore – ho trovato questo pensiero: «è condizione decorosa – egli afferma – una lieta povertà». [6] Ma questa non è povertà, se è lieta; non è povero chi possiede poco, bensì chi desidera più di quanto possiede. Infatti che importa la quantità di denaro chiusa nel forziere, il granaio quanto vuoi ripieno, il numero degli armenti o dei crediti, se l’uomo di continuo è proteso verso i beni altrui, se fa il conto non di ciò che si è procacciato ma di ciò che si deve procacciare? Vuoi sapere quale sia la giusta misura delle ricchezze? Dapprima avere quel che è strettamente necessario, poi quel che è sufficiente. Addio.

(trad. di U. Boella)

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