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Dialogo con i MODELLI Il motivo del taedium vitae in Lucrezio e in Orazio

Analizzare il testo

1. In che modo gli uomini cercano di sconfiggere il sentimento del tedio che li opprime? 2. Quali luoghi alla moda sono evocati dall’autore?

Ricordi passi di poeti e di prosatori della tarda repubblica e degli inizi del principato, in cui già compaiono? 3. Leggi e traduci il verso di Lucrezio citato: come lo commenta Seneca? E con quale ironico gioco di parole? 4. Sottolinea i congiuntivi esortativi presenti nel brano.

Confrontare i testi

5. Scrive Seneca nelle Epistulae ad Lucilium (17, 12): non est enim in rebus vitium, sed in ipso animo. In quale paragrafo del testo che hai appena letto, si trova espresso un concetto analogo? 6. Nel III libro del De rerum natura, la Natura esorta l’uomo ad accettare serenamente il suo destino con queste parole: eadem sunt omnia semper (v. 945). Anche la conclusione del passo di Seneca sembra volgere nella stessa direzione. Ma chi pronuncia la frase? E qual è il rimedio che Seneca oppone a questa severa constatazione?

Edvard Munch, Malinconia,1894, Oslo, Museo Nazionale della Norvegia.

Dialogo con i MODELLI

Il motivo del taedium vitae in Lucrezio e in Orazio

Nel par. 14 Seneca cita espressamente un verso di Lucrezio, aggiungendovi, come si è visto, l’avverbio semper. Nel passo lucreziano si fornisce l’esempio di un uomo afflitto dal tedio che esce dalla sua casa di città, spronando impetuosamente i cavalli, per muovere alla sua fattoria: «ma appena toccate le soglie, ben presto sbadiglia/ o inerte si rifugia nel sonno e cerca l’oblio, / o anche in gran fretta ritorna a vedere la città che ha lasciato./ Così ognuno fugge se stesso, ma a questi di certo, come accade/ non riesce a sfuggire e, suo malgrado, vi resta attaccato e lo odia,/ poiché malato non afferra la causa del male» (De rerum natura III, 1065-1070, trad. di L. Canali). La soluzione di Lucrezio, come si evince dai versi successivi, è tuttavia ben diversa da quella senecana: rendersi consapevoli delle leggi di natura, avere il coraggio di guardare con chiarezza la condizione umana, prendendo coscienza che a nessuno è dato di evitare la morte. Sempre nel par. 14, l’ultima frase (Sequitur se ipse et urget gravissimus comes) porta con sé l’eco ben riconoscibile di un passo delle Satire di Orazio, dove è la cura, l’inquietudine, che insegue, «nera compagna», colui che vanamente tenta di fuggirla: comes atra premit sequiturque fugacem (Sermones II, 7, 115).

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