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T 14 Dio è in noi (Epistulae ad Lucilium 41, 1-5) LAT

T 14

Epistulae ad Lucilium 41, 1-5 LATINO

Dio è in noi

Rivolgendosi a Lucilio, Seneca sviluppa un concetto tradizionale della teologia stoica: lo spirito divino vive dentro di noi, appartiene alla nostra interiorità. Seneca non parla naturalmente di un dio personale e trascendente (come accadrà più di tre secoli dopo nel pensiero agostiniano) ma di un Logos immanente all’universo, un principio di natura razionale che governa gli avvenimenti del mondo: ogni uomo è dio per se stesso, purché viva secondo ragione e secondo natura.

[1] Facis rem optimam et tibi salutarem si, ut scribis, perseveras ire ad bonam mentem, quam stultum est optare cum possis a te inpetrare. Non sunt ad caelum elevandae manus nec exorandus aedituus ut nos ad aurem simulacri, quasi magis

[1] Fai una cosa ottima e per te vantaggiosa se, come scrivi, perseveri nel volgerti a quella saggezza, che sarebbe da stolti invocare, dal momento che potresti ottenerla da te stesso. Non bisogna alzare le mani al cielo, né pregare il guardiano del tempio, perché ci faccia accostare all’orecchio della statua, come se [così] potessimo essere meglio ascoltati: dio è presso di te, è con te, è dentro di te.

ut scribis: l’incidentale testimonia del fitto dialogo epistolare che doveva intercorrere tra Seneca e Lucilio. – bonam mentem: bona mens è espressione senecana frequente, che può esser tradotta, a seconda dei contesti, come «saggezza» o «felicità». – quam = bonam mentem. – optare: «implorare» gli dèi, mediante preghiere. – inpetrare: con a o ab + ablativo significa «ottenere (qualcosa) da qualcuno». – sunt... elevandae manus: coniugazione perifrastica passiva, usata con la costruzione personale. – aedituus: etimologicamente, «colui che custodisce le aedes, i templi» (da aedes e tueor). – ut nos... admittat: proposizione finale retta da exorandus (est). Accostarsi all’orecchio di una statua divina era un atto, possiamo immaginare quanto diffuso, di superstizione popolare. Simulacrum è la statua del dio. – quasi... possimus: proposizione comparativa ipotetica. – prope... est: efficacissima gradatio ascendente, con epifora del verbo essere; prope regge l’ablativo preceduto dalla preposizione a, in luogo del consueto accusativo.

Mosaico con la scritta in greco gnóthi seautón, «conosci te stesso», III secolo d.C. Roma, Museo Nazionale Romano.

exaudiri possimus, admittat: prope est a te deus, tecum est, intus est. [2] Ita dico, Lucili: sacer intra nos spiritus sedet, malorum bonorumque nostrorum observator et custos; hic prout a nobis tractatus est, ita nos ipse tractat. Bonus vero vir sine deo nemo est: an potest aliquis supra fortunam nisi ab illo adiutus exsurgere? Ille dat consilia magnifica et erecta. In unoquoque virorum bonorum

[quis deus incertum est] habitat deus.

[3] Si tibi occurrerit vetustis arboribus et solitam altitudinem egressis frequens lucus et conspectum caeli densitate ramorum aliorum alios protegentium

[2] È così come ti dico, Lucilio: è in noi uno spirito divino che osserva e controlla le nostre azioni buone e cattive; egli ci tratta così come è stato trattato da noi. Nessun uomo è buono senza Dio: o forse qualcuno potrebbe elevarsi al di sopra della sorte se non fosse aiutato da lui? Egli ci ispira decisioni nobili e virili. In ciascun uomo buono «quale dio è incerto, ma abita un dio».

Ita: con funzione prolettica. – Lucili: il vocativo, così come l’espressione colloquiale che precede (Ita dico), crea un’intimità fra maestro e discepolo, favorendo l’ascolto e l’assimilazione dei concetti. – sacer... spiritus sedet: la triplice allitterazione, così come il triplice e solenne omoteleuto che segue (malorum bonorumque nostrorum), avvicina il testo a un carmen di argomento religioso o sacrale. Sacer è termine arcaico che indica un patto tra uomo e divinità; spiritus equivale al greco pneuma; l’espressione intra nos (come il precedente intus), in luogo del più frequente in nobis, mette l’accento sulla concezione tutta interiorizzata del deus senecano (un deus internus). – prout: «a seconda di come»; va correlato con il successivo ita. – Bonus... vir: è il sapiens stoico: ma l’espressione senecana umanizza una figura altrimenti astratta, quasi inattingibile nella sua perfezione ideale. – an potest... exsurgere?: la particella interrogativa an, che generalmente viene usata per introdurre la seconda parte di un’interrogazione disgiuntiva, equivale qui a num; ab illo: cioè dal sacer spiritus della frase precedente. Fortuna, nel contesto, ha il significato generico di forza irrazionale e capricciosa, e non va identificata (come nella dottrina stoica) con il fato o la provvidenza. – virorum bonorum: genitivo partitivo. – quis deus... deus: citazione da Aen. VIII, 352. Chi parla, nel passo virgiliano, è il mitico pastore Evandro che, giunto insieme a Enea sul Campidoglio, luogo all’epoca disabitato e selvaggio, è preso come da un brivido di superstiziosa devozione. Seneca, naturalmente, reinterpreta il verso virgiliano, dandogli un significato nuovo, più interiorizzato. La citazione favorisce il passaggio al tema svolto nel paragrafo successivo.

[3] Se si presenterà al tuo sguardo un bosco sacro, spesso di alberi antichi e che oltrepassano la solita altezza, e che toglie la vista del cielo con lo schermo dei rami che si proteggono l’un l’altro, l’altezza della foresta e la solitudine del luogo e lo stupore per un’ombra così densa e fitta in aperta campagna ti convinceranno [della presenza] di un nume. Se un antro dalle rocce profondamente erose, non costruito dalla mano [dell’uomo] ma scavato in così grande ampiezza da cause naturali, sosterrà una montagna, colpirà il tuo animo con un senso di religioso timore. Noi veneriamo le sorgenti dei grandi fiumi; l’improvviso scaturire dal profondo di un grande fiume fa ergere altari; sono oggetto di culto le fonti di acqua calda, e sia il colore cupo sia l’immensa profondità hanno consacrato alcuni stagni.

Si tibi occurrerit... summovens: costruisci Si tibi occurrerit lucus, frequens arboribus vetustis et egressis solitam altitudinem et summovens conspectum caeli densitate ramorum protegentium aliorum alios, illa proceritas silvae et secretum loci et admiratio umbrae tam densae atque continuae in aperto tibi faciet fidem numinis. È il primo dei due ampi periodi ipotetici, mediante i quali viene introdotto il motivo degli spettacoli naturali che suscitano, in chi guarda, un sentimento di sacro stupore (admiratio). Seneca – andrà precisato – non è tanto interessato alla potenza suggestiva di un paesaggio naturale, quanto alla possibilità di poter cogliere, in esso, la presenza del divino. – Si occurrerit... faciet: periodo ipotetico della realtà, con il futuro anteriore nella protasi per la legge dell’anteriorità. – vetustis arboribus: ablativo di abbondanza retto da frequens. Vetustus è aggettivo ben più solenne di antiquuus, così come il successivo lucus definisce la radura sacra, e non un semplice bosco. Numerosi i passi di autori latini che testimoniano di quanta venerazione fossero oggetto i boschi (così come le sorgenti) nel mondo italico-romano: cfr. Virgilio, Aen. VIII, 597599; Plinio il Vecchio, Naturalis historia XII, 2. Un passo che presenta molteplici analogie con quello di Seneca è l’epistola di Plinio il Giovane in cui vengono descritte le fonti del Clitumno [T4, cap. 10]. – egressis: participio attributivo (da e ˉ gre ˘dı˘or, gressus sum, gre ˘di, composto di ex e gradior) con valore transitivo. – aliorum alios: pronome indefinito reciproco; aliorum va concordato con il genitivo di specificazione ramorum. – secretum: neutro sostantivato dell’aggettivo secretus (da secerno, cre ˉvi, cre ˉ tum, e ˘ re), qui con il significato di «luogo appartato, solitario». – umbrae: genitivo oggettivo. – in aperto: sott. loco.

summovens, illa proceritas silvae et secretum loci et admiratio umbrae in aperto tam densae atque continuae fidem tibi numinis faciet. Si quis specus saxis penitus exesis montem suspenderit, non manu factus, sed naturalibus causis in tantam laxitatem excavatus, animum tuum quadam religionis suspicione percutiet. Magnorum fluminum capita veneramur; subita ex abdito vasti amnis eruptio aras habet; coluntur aquarum calentium fontes, et stagna quaedam vel opacitas vel immensa altitudo sacravit. [4] Si hominem videris interritum periculis, intactum cupiditatibus, inter adversa felicem, in mediis tempestatibus placidum, ex superiore loco homines videntem, ex aequo deos, non subibit te veneratio eius? non dices, «ista res maior est altiorque quam ut credi similis huic in quo est corpusculo possit»? [5] Vis isto divina descendit; animum excellentem, moderatum, omnia tamquam minora transeuntem, quidquid timemus optamusque ridentem, caelestis potentia agitat. Non potest res tanta sine adminiculo numinis stare; itaque

Participio sostantivato del verbo a ˘ pe ˘ rı˘o, pe ˘rui, pertum, ı ˉ re. – numen: lett. è il cenno fatto con il capo, per annuire, ed esprime una volontà o un comando; nello specifico, esprime la potenza divina, e per metonimia la divinità stessa. – Si quis... percutiet: costruisci Si quis specus saxis penitus exesis, non manu factus, sed excavatus in tantam laxitatem causis naturalibus, suspenderit montem, [is specus] percutiet animum tuum quadam suspicione religionis. – quis: qui con valore di aggettivo, non di pronome, indefinito. – saxis... exesis: ablativo di qualità. – suspenderit: lett. «terrà sospesa»: ancora un’immagine che provoca una sorta di stupore in chi legge. – naturalibus causis: ablativo di causa efficiente. – capita: le sorgenti. – veneramur: con allusione ai Fontinalia, feste celebrate in Roma il 13 ottobre. – ex abdito: sott. loco. Abdito è neutro sostantivato dell’aggettivo abditus (da abdo, dı˘di, dı˘tum, e ˘ re). – eruptio: anche i luoghi da cui scaturiva all’improvviso una fonte erano, presso gli antichi, oggetto di venerazione. – calentium: participio presente del verbo cale ˘ o, calui, e ˉ re.

[4] Se vedrai un uomo impavido di fronte ai pericoli, non toccato dalle passioni, tra le avversità felice, in mezzo alle tempeste calmo, che guarda gli uomini dall’alto, gli dèi come suoi pari, non penetrerà in te un sentimento di venerazione verso di lui? non dirai: «questo essere è troppo grande e troppo elevato perché possa essere giudicato simile a questo corpicciolo nel quale si trova»? Si homines videris... non subibit...

non dices: periodo ipotetico della realtà. – interritum... placidum: si noti l’accurata ricerca di parallelismi e di simmetrie fra i quattro cola, coordinati per asindeto e allitteranti (interritum... intactum... inter... in). Interritus, intactus, felix e placidus sono attributi tradizionali del saggio stoico, di cui Seneca delinea qui il ritratto ideale: un uomo affrancato dalle passioni (dai timori come dai desideri), superiore alla massa informe degli uomini, capace di rendersi eguale agli dèi. – ex superiore... deos: ancora un marcato parallelismo sintattico: homines e deos sono retti entrambi dal participio videntem. L’espressione ex aequo può essere tradotta «da pari a pari». L’universo stoico è una comunità cui partecipano uomini e dèi, fra i quali, per citare un passo del De providentia di Seneca (I, 5), si stabilisce un rapporto di «parentela» e di «somiglianza» fondato sulla virtù. – eius: genitivo oggettivo. – ista res: cioè il sapiens stoico. – maior... altiorque: i due comparativi reggono il secondo termine di paragone (quam ut credi similis). – ut credi... possit: proposizione consecutiva. – corpusculo: diminutivo, con valore spregiativo, di corpus. Il termine era già nella Consolatio ad Helviam matrem (11, 7), sempre contrapposto alla grandezza dell’anima: Corpusculum hoc, custodia et vinculum animi.

[5] Una forza divina vi è discesa; una potenza celeste muove l’animo eccelso, equilibrato, che passa sopra tutte le cose come fossero di poco valore, che ride di quanto noi temiamo e desideriamo. Un essere così grande non può sussistere senza il sostegno della divinità; perciò con la più nobile parte di se stesso si trova là da dove è disceso. Come i raggi del sole toccano sì la terra, ma restano nel luogo da dove sono emanati, così l’animo grande e sacro è stato mandato giù dal cielo affinché potessimo conoscere più da vicino le cose divine; si volge sì verso di noi, ma resta unito alla sua origine: da essa deriva, ad essa guarda e anela; partecipa alle nostre vicende ma come un essere superiore.

Vis isto divina... agitat: si noti, di nuovo, l’attenta costruzione del periodo, che apre e chiude con due enunciati simmetrici, fondati sulla variatio dei soggetti collocati in chiasmo (Vis divina... caelestis potentia). Con l’espressione vis divina si allude alla natura vivificante del «soffio caldo», o pneuma, in cui si identifica la divinità stoica. Isto è avverbio di moto a luogo, ed equivale a istuc; agitat è frequentativo di ago. – res tanta: ancora il sapiens stoico. – adminiculo: lett. è il palo utilizzato dai contadini per dar sostegno alle piante. Qui, per traslato, indica il «sostegno» che la divinità porge all’uomo virtuoso. – maiore sui parte: l’anima, la cui vera sede è in cielo. – descendit: è un perfetto. – quidem:

maiore sui parte illic est unde descendit. Quemadmodum radii solis contingunt quidem terram sed ibi sunt unde mittuntur, sic animus magnus ac sacer et in hoc demissus, ut propius divina nossemus; conversatur quidem nobiscum sed haeret origini suae: illinc pendet, illuc spectat ac nititur; nostris tamquam melior interest.

con valore limitativo. – sacer: come nel par. 2: sacer intra nos spiritus sedet. – in hoc: svolge funzione prolettica: introduce la proposizione finale ut... nossemus. – propius: comparativo dell’avverbio prope. – demissus: lett. «mandato giù dall’alto» (de + mitto). – nossemus: forma sincopata per novissemus: il piuccheperfetto equivale all’imperfetto, essendo il verbo difettivo. – quidem: sempre con valore limitativo. – nititur: anche nella Consolatio ad Marciam (24, 5), Seneca scriveva che l’anima si sforza di risalire là da dove fu mandata giù (nititur illo unde demissus est). – nostris: pronome neutro, dativo retto da interest.

LETTURA e INTERPRETAZIONE

Un movimento concentrico di intensa suggestione

La forza e l’originalità del brano non consiste tanto nel pensiero espresso (cardine della tradizione dottrinale stoica), quanto nell’atmosfera di intima commozione e di intensa suggestione che lo pervade. Il lettore viene avvicinato alla verità per onde successive, attraverso un movimento concentrico che lo porta lentamente al cuore del discorso: prope est a te deus, tecum est, intus est (par. 1). Il concetto viene poi ribadito mediante nuove espressioni di natura per lo più metaforica: lo spirito divino intra nos... sedet (par. 2); habitat (par. 2); subibit (par. 4). La stessa citazione virgiliana (par. 2) serve a sfumare il discorso, a conferirgli una nota di misterioso colore.

Immagini di grande potenza visiva: il sublime naturale

L’autore ricorre inoltre a exempla tratti dal mondo naturale: un bosco sacro e ombroso; una voragine scavata nella montagna; le sorgenti dei fiumi che erompono dal profondo; il colore cupo dei laghi (par. 3). Ora il concetto non viene più soltanto enunciato, ma animato mediante immagini di grande forza visiva, che lasciano un’incancellabile impressione nel lettore. La figura del sapiente stoico risulta così illuminata e resa più viva dalle immagini che l’hanno preparata: il sublime naturale si è sovrapposto al sublime dell’anima, potenziandolo.

Analizzare il testo

1. Cosa significa che il sacer spiritus che è in noi è observator et custos delle nostre azioni? 2. Delinea la figura morale del sapiens stoico, così come emerge dal brano. 3. Quali sentimenti provoca la vista del bosco descritto nel par. 3? 4. Sottolinea i termini ai quali Seneca ricorre per esprimere i concetti di ammirazione e di venerazione. 5. Si può parlare anche per questo passo di linguaggio dell’interiorità? Fai qualche esempio concreto per avvalorare le tue argomentazioni.

Confrontare i testi

6. Traduci il seguente passo di Seneca (Ep. ad Luc. 73, 16), commentandolo mediante il confronto con un altro passo dell’epistola 41: Deus ad homines venit, immo quod est propius, in homines venit. 7. Compare, nel par. 2, l’espressione bonus vir: con quale differenza di significato rispetto al vir bonus di cui spesso aveva parlato Cicerone? Quali eventi storici hanno determinato un mutamento così radicale di significato?

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