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Confronti INTERTESTUALI Dalle Confessioni di Agostino: il contagio della folla

Confronti INTERTESTUALI

Dalle Confessioni di Agostino: il contagio della folla

Un passo delle Confessioni di Agostino sembra dar ragione a Seneca, là dove denuncia la forza corruttrice e contagiosa delle folle. Siamo a Roma, negli ultimi decenni del IV secolo: Alipio, amico e discepolo di Agostino, si lascia trascinare ai giochi del Circo, convinto di poter salvaguardare il proprio animo dagli eccessi del luogo; e invece gli capita di esserne soggiogato... Alipio mi aveva preceduto a Roma per studiare Diritto: ed ivi fu travolto contro ogni credenza e in una misura incredibile dalla passione per gli spettacoli dei gladiatori. Ne aveva avuto dapprima disgusto e odio; ma alcuni amici e compagni di studio un giorno tornando dal pranzo imbattutisi in lui, per quanto opponesse forte resistenza, con amichevole prepotenza lo trascinarono nell’anfiteatro: era un giorno di quegli spettacoli crudeli e malvagi. Egli badava a dire: «Forse che trascinando e costringendo il mio corpo a rimanere in quel luogo, credete di poter costringere anche il mio animo ed i miei occhi a quello spettacolo? Vi sarò, ma come un assente, ed avrò vittoria di voi e di esso». Ma non ostante questa affermazione, gli amici lo trascinarono seco, forse anche punti dal desiderio di far la prova della sua forza d’animo. Quando vi arrivarono e trovarono modo di mettersi a sedere, tutto già respirava inumana voluttà. Alipio, chiuse le porte degli occhi, inibì al suo animo di prender parte a quegli orrori. E almeno avesse chiuso anche le orecchie! Ad un certo istante del combattimento un immenso urlìo di popolo lo fece sussultare: vinto dalla curiosità e come pronto, di qualunque cosa si trattasse, a disprezzare ed a vincere anche la vista, aperse gli occhi e l’anima sua fu colpita da una ferita più grave di quella ricevuta nel corpo dal gladiatore che per un istante aveva voluto guardare: e cadde ben più miseramente di quegli, la cui caduta aveva provocato tale clamore: entrò nelle sue orecchie, gli fece sbarrare gli occhi, sicché si formasse una breccia attraverso la quale fosse ferito e abbattuto quell’animo più temerario che forte, tanto più debole in quanto cercava in se stesso la forza che avrebbe dovuto cercare in Te. Vedere quel sangue e imbeversi di crudeltà fu tutt’uno: non ne distolse gli occhi, anzi ve li fissò; respirava furore senza accorgersene, prendeva gusto a quella lotta criminale, ebbro di sanguinario piacere. Non era più quello che era venuto, ma uno della plebaglia tra cui era venuto e degno compare di quelli che ve lo avevano condotto. Che più? Guardò, gridò, si entusiasmò; se ne venne via portando seco una febbre che lo spinse a tornarvi non solo con quelli che ve lo avevano trascinato, ma primo di essi, trascinatore di altri.

(Sant’Agostino, Le Confessioni (VI, 8), introduzione di Ch. Mohrmann, traduzione di C. Vitali, Rizzoli, Milano 1977)

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