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T 16 Membra sumus corporis magni (Epistulae ad Lucilium 95, 51-53) LAT

T 16

Epistulae ad Lucilium 95, 51-53

LATINO

Membra sumus corporis magni

Nei paragrafi 47-50 di questa lunga lettera, Seneca ha trattato la seguente quaestio: quomodo sint dii colendi («in che modo dobbiamo venerare gli dèi»), dimostrando che il male non può venire da essi, poiché è la loro stessa natura a non permetterlo, è proprio degli dèi fare del bene senza chiedere alcun compenso. Di qui la conclusione del discorso: Vis deos propitiare? Bonus esto. Satis illos coluit quisquis imitatus est («Vuoi propiziarti gli dèi? Sii buono. Si rende loro il culto dovuto imitandoli»). Subito dopo, nel brano che riportiamo, Seneca pone una seconda quaestio, chiedendosi quomodo hominibus sit utendum (par. 51): come dobbiamo comportarci con gli altri. Quid agimus? Quae damus praecepta? Egli stesso, nondimeno, sente il limite di una precettistica che si incarichi di regolare minuziosamente quae praestanda ac vitanda sunt (par. 51): molto meglio delineare un principio generale dal quale sgorghino naturalmente i singoli precetti di vita di cui abbiamo man mano bisogno. E quel principio è delineato nel paragrafo successivo: omne hoc quod vides, quo divina atque humana conclusa sunt, unum est (par. 52). Soccorrere gli uomini è un dovere sociale cui nessuno può sottrarsi. Seneca lo ribadisce qui con la consueta forza sentenziosa; non si limita a elencare dei precetti astratti, ma si impegna ad esemplificarli nella concretezza di un’immagine o di una situazione: un naufrago, un viaggiatore smarrito, un uomo che ha fame. Così, il discorso si conclude con la similitudine fra l’umana societas e una lapidum fornicatio: «una volta di pietre» destinata a cadere, se i singoli blocchi non si sorreggono tra di loro.

[51] Ecce altera quaestio, quomodo hominibus sit utendum. Quid agimus? Quae damus praecepta? Ut parcamus sanguini humano? Quantulum est ei non nocere cui debeas prodesse! Magna scilicet laus est si homo mansuetus homini est. Praecipiemus ut naufrago manum porrigat, erranti viam monstret, cum esuriente panem suum dividat? Quare omnia quae praestanda ac vitanda sunt dicam, cum possim breviter hanc illi formulam humani offici tradere? [52] Omne hoc quod vides, quo divina atque humana conclusa sunt, unum est; membra sumus corporis magni. Natura nos cognatos edidit, cum ex isdem et

[51] Ecco un’altra questione: come ci si deve comportare con gli uomini. Che cosa facciamo? Quali precetti diamo? [Insegniamo] a risparmiare il sangue umano? Che poca cosa è non nuocere a colui al quale dovresti giovare! È proprio un grande motivo di lode, se un uomo è mite con un [altro] uomo. Insegneremo a porgere la mano al naufrago, a indicare la via a chi è smarrito, a dividere il proprio pane con chi ha fame? Perché dovrei dire tutte le cose che si devono fare ed evitare, quando posso brevemente trasmettergli questa formula dei doveri umani?

quomodo: l’avverbio introduce la proposizione interrogativa indiretta che segue. – hominibus sit utendum: perifrastica passiva in forma impersonale. – Quid... Quae: il primo è un pronome, il secondo un aggettivo interrogativo (concordato con praecepta). – Ut parcamus... humano: proposizione sostantiva dichiarativa, dipendente da un verbo sottinteso che va ricavato dall’interrogativa precedente (ad esempio praecipimus: «insegniamo). Parco regge, come sempre, il dativo (sanguini humano). – non nocere: infinito sostantivato, con funzione di soggetto. Si osservi la litote, per dare più evidenza al contiguo prodesse. – debeas: è il consueto congiuntivo potenziale: puoi anche tradurre con una forma impersonale. – Magna... est: tutta la frase è pervasa di una sferzante ironia (sottolineata dall’avverbio scilicet), e ribadisce il concetto già espresso nella frase precedente. Probabile allusione (con il significato rovesciato) al celebre verso plautino di Asinaria 495 (Lupus est homo homini, non homo). – Praecipiemus (sott. homini): regge le tre proposizioni completive che seguono, le prime due delle quali presentano una struttura analoga (complemento di termine + complemento oggetto + predicato verbale), la terza una variante (cum + ablativo in luogo del dativo). – erranti... esuriente: participi sostantivati. – dicam: congiuntivo deliberativo, piuttosto che futuro, come pure si può intendere. – cum possim: proposizione avversativa. – illi = homini. – humani offici: singolare collettivo. Traduci volgendo al plurale.

[52] Tutto ciò che vedi, da cui è racchiuso ogni elemento divino ed umano, costituisce un’unica realtà; noi siamo le membra di un grande corpo. La natura ci ha generato fratelli, poiché ci

in eadem gigneret; haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit. Illa aequum iustumque composuit; ex illius constitutione miserius est nocere quam laedi; ex illius imperio paratae sint iuvandis manus. [53] Ille versus et in pectore et in ore sit: Homo sum, humani nihil a me alienum puto. Ita habeamus: in commune nati sumus. Societas nostra lapidum fornicationi simillima est, quae, casura nisi in vicem obstarent, hoc ipso sustinetur.

ha fatti nascere dai medesimi elementi e in vista dei medesimi fini; essa ci ha ispirato un amore reciproco e ci ha reso socievoli. Essa ha stabilito ciò che è equo e ciò che è giusto; secondo la sua legge, è più miserevole fare del male che subire un’offesa: secondo il suo comando, le mani siano pronte per coloro che devono essere aiutati.

Omne hoc: l’universo. – quo: ablativo di causa efficiente. – corporis magni: secondo lo stoico Posidonio, che è una delle fonti di Seneca, questo «grande corpo» è lo stesso logos divino. – Natura... cognatos: si noti la figura etimologica (entrambi i termini derivano dal verbo nascor). Cognatus (da cum e nascor) è propriamente il consanguineo. Meglio tradurre con «fratello». – cum gigneret: proposizione causale. – iisdem... eadem: neutri sostantivati: esprimono origine e fine. – indidit: da in + do («mettere dentro»), va letto in corrispondenza con il precedente edidit (da ex + do: «dare fuori», e dunque «mettere al mondo»). – sociabiles: predicativo di un nos sottinteso. – Illa... ex illius... ex illius: i tre pronomi (poliptoto) vanno riferiti a natura. – miserius est nocere quam laedi: il concetto è già in Platone, Gorgia 469, dove Socrate afferma che «il male peggiore che possa capitare è commettere ingiustizia» e che, se costretto a scegliere, preferirebbe «piuttosto patire che commettere ingiustizia». Miserius è comparativo neutro di miser. – ex illius imperio: in simmetria con il precedente ex illius constitutione. – paratae sint: congiuntivo esortativo. – iuvandis: dativo di vantaggio, gerundivo sostantivato. Sottintende hominibus.

[53] Sia [sempre] nell’animo e sulle labbra quel famoso verso: «Sono un uomo, nulla di umano reputo estraneo a me». Teniamo fermo questo: siamo nati per vivere insieme. La nostra società è molto simile ad una volta di pietre, che, destinata a cadere se [le pietre] non si sorreggessero a vicenda, proprio per questo si sostiene.

Ille: con valore enfatico: «quel famoso», «quel ben noto». – et in pectore et in ore: il parallelismo enfatizza il legame tra parola e sentimento. – Homo sum... puto: celebre verso di Terenzio (Heautontimorumenos, 77), fondamento di ogni futura humanitas. Cicerone, non a caso, lo cita più volte (De legibus I, 33; De finibus bonorum et malorum III, 63; De officiis I, 29-30); lo faranno proprio anche autori cristiani come Ambrogio (De officiis ministrorum III, 45) e Agostino (Epistulae 155, 14). Humani è genitivo partitivo retto da nihil. – habeamus: congiuntivo esortativo. – in commune: complemento di fine. Nella traduzione, meglio volgere il complemento in una proposizione finale. – fornicationi: fornicatio (termine tecnico dell’architettura) è una «costruzione a volta», da fornix («arco»). – simillima: superlativo assoluto di similis, che, come qui, regge di consueto il dativo. – casura: participio futuro di cado: è l’apodosi implicita di un periodo ipotetico dell’irrealtà, la cui protasi è il successivo nisi obstarent. – nisi in vicem obstarent: sott. lapides. – hoc ipso: ablativo di causa.

Analizzare il testo

1. Qual è la quaestio che Seneca pone al centro di questo brano? 2. Riassumi i concetti espressi nei tre paragrafi, seguendo l’ordine del discorso delineato dall’autore. 3. Rileggi il verso di Terenzio citato da Seneca, tratto da un brano che puoi leggere nel vol. I [T6, cap. 5]. Perché questo verso ha goduto di tanta fortuna sia nel mondo pagano sia in quello cristiano? 4. Nel brano, l’autore ricorre ad alcuni congiuntivi esortativi: individuali, e spiega il valore di questa scelta espressiva.

Confrontare i testi

5. Totum hoc quo continemur et unum est et deus; et socii sumus eius et membra: dopo aver

tradotto questo passo di Seneca (Ep. ad Luc. 92, 30), mettilo a confronto con quanto hai letto dell’epistola 95, rintracciando le analogie di ordine sia linguistico sia concettuale che intercorrono fra i due brani. 6. Sicut enim corpus unum est, et membra habet multa, omnia autem membra corporis cum sint multa, unum tamen corpus sunt. Etenim in uno

Spiritu omnes nos in unum corpus baptizati sumus, sive Judaei, sive Gentiles, sive servi, sive liberi: et omnes in uno Spiritu potati sumus. Così scrive, nella prima lettera ai Corinzi, san Paolo, forse nel 57 d.C., dunque pochi anni prima delle

Epistulae ad Lucilium di Seneca: quali analogie intravedi fra i due testi? E quali novità, rispetto al pensiero stoico, sono presenti nella lettera di san

Paolo?

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