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T 20 Claudio sale in cielo (Apokolokyntosis 5-7, 1) IT

T 20

Claudio sale in cielo

Apokolokyntosis 5-7, 1 ITALIANO

Con la morte di Claudio, che «esala l’anima» assistendo a uno spettacolo di comici, si conclude la parte introduttiva della satira. Può dunque aver inizio, annunciata da un secondo proemio (5, 1), la narrazione delle esilaranti vicende celesti. Rivolgendosi direttamente al pubblico dei lettori (Scitis enim optime... audite), il narratore assume parodisticamente il ruolo dello storico imparziale e oggettivo che si affida a testimoni garanti del suo racconto. L’arrivo in cielo, come del resto la discesa agli inferi, era un topos della satira menippea. Qui l’elemento comico è dato dal fatto che non è il morto a spaventarsi ma gli dèi stessi, Ercole in particolare, quando si trovano dinanzi al monstrum Claudio, strana creatura che solo a fatica può essere ascritta alla specie umana (quasi homo). Ma la parodia tocca anche il tradizionale apparato mitologico: Ercole, raffigurato come un bruto dotato di scarsa intelligenza (minime vafer), rischia di esser messo nel sacco perfino dallo sciocco imperatore.

[5, 1] Quello che successe poi sulla terra, è inutile riferirlo: lo sapete benissimo, e non c’è pericolo che sfuggano quelle cose che la pubblica gioia ha impresso nella memoria: nessuno si dimentica della propria felicità. State a sentire quello che è accaduto in cielo: l’attendibilità la garantirà il testimone. [2] Viene annunciato a Giove che è arrivato un tale, alto di statura, assai canuto, minaccia non so che, muove infatti continuamente la testa, trascina il piede destro. Gli era stato chiesto di che gente fosse, aveva risposto non so che con suoni confusi e voce imbrogliata, la sua lingua non si capiva: non era né greco, né romano, né di altra popolazione nota. [3] A questo punto Giove comanda ad Ercole, che aveva percorso in lungo e in largo tutto il mondo e pareva che conoscesse tutte le genti, di andare ad esplorare che uomo fosse. Ercole a prima vista rimase veramente sconcertato, come uno che non tutte le mostruosità abbia ancora provato. Come vide quella figura di nuovo genere, l’andatura insolita, la voce di nessun animale terrestre, ma quale di solito hanno gli animali del mare, roca e ingarbugliata, credette che fosse arrivata la sua tredicesima fatica. [4] Guardando poi con più attenzione gli parve in certo senso un uomo. E così gli si avvicinò e – cosa facilissima per un Greco – gli disse:

Chi sei, e di che paese? Qual è la tua città e i tuoi parenti?1

Si rallegra Claudio che ci siano lì persone dotte: spera che ci sarà un posto per le sue Storie. E così anche lui, con un verso omerico, facendo capire di essere un Cesare, dice:

Da Ilio spingendomi il vento presso i Ciconi mi condusse.2

1. chi sei... parenti: Odissea I, 170. Inizia qui la serie delle citazioni omeriche: Claudio era un appassionato cultore di Omero, del quale soleva spesso citare i versi. Nella maggior parte dei casi, le citazioni si riferiscono a Odisseo, che in questo passo incomincia a raccontare le sue avventure. 2. Da Ilio... mi condusse: Odissea IX, 39. «Le prime parole distinte di Claudio nell’aldilà, dopo quelle triviali con cui si era chiusa la sua vita mortale sono rappresentate da un verso dell’Odissea (IX, 39), con cui riecheggiando la presentazione di Odisseo ad Alcinoo, Claudio vuole qualificarsi a Ercole, che lo aveva apostrofato a sua volta con un verso omerico, come un grande re; ma il commento dello storico, che argutamente completa la citazione dall’Odissea (IX, 40), svela l’ironia della scena: la somiglianza fra Claudio e Ulisse non riguarderebbe tanto la regalità, quanto il fatto che entrambi hanno distrutto una città: Ulisse quella dei Cìconi con un’impresa di guerra, Claudio Roma con il suo malgoverno! Il dialogo a colpi di citazioni è tipico della satira menippea e contribuisce qui a mettere in burla la presunzione di Claudio di essere persona colta (Focardi).

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