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Leggere un TESTO CRITICO Una chiave di lettura per l’episodio di Crotone: la legge dell’inversione (P. Fedeli

Leggere un TESTO CRITICO

Una chiave di lettura per l’episodio di Crotone: la legge dell’inversione

Nell’episodio crotoniate del Satyricon domina incontrastata, a tutti i livelli, la legge dell’inversione. Sull’argomento, si leggano le pagine illuminanti di Paolo Fedeli.

Il discorso del vilicus si chiude con una visione apocalittica: la città, i cui abitanti aut captantur aut captant, è come un campo in tempo di pestilenza, popolato solo di cadaveri da lacerare e di corvi che li lacerano. Gli abitanti di Crotone assumono già qui le connotazioni animalesche e le stesse caratteristiche (cannibalismo, antropofagia) che ritroveremo in occasione del testamento di Eumolpo [T8]. Se, dunque, il vilicus si esprime con accenti che sono diametralmente opposti a quelli che da lui ci attenderemmo (tecnica del periodare, enfasi, atteggiamento censorio e pedagogico), ciò non avverrà per un preteso fine ironico da parte di Petronio, ma perché s’inserisce anch’egli nel meccanismo dell’inversione che caratterizza Crotone e il comportamento dei suoi abitanti. Sin dalle parole del vilicus si capisce che la condizione attuale di Crotone non solo equivale al rovesciamento dell’antica situazione di floridezza, ma corrisponde anche al rovesciamento della realtà: in ogni episodio, quindi, la soluzione sarà l’opposto di quella attesa. [...] Crotone, caratterizzata dall’inerzia degli abitanti e dall’assenza di un qualsivoglia ritmo di vita, diviene il simbolo di una città in sfacelo. Per queste sue caratteristiche e per la sua staticità è l’inverso della Graeca urbs, così ricca di traffici e di vita. Difatti dalle parole di Trimalchione e dai discorsi dei liberti nella cena si ricava la netta impressione di un mondo dedito ai commerci, in cui il cambiamento investe la società sin dalle radici: l’antica aristocrazia è stata progressivamente soppiantata e rimpiazzata dal ceto emergente dei liberti; i loro discorsi nella cena presentano ampi squarci di un mondo in cui i patrimoni possono crescere o svanire; ma comunque la loro accumulazione e la loro dissipazione sono sempre in rapporto col commercio e con gli affari. A Crotone, invece, non avviene nulla di tutto ciò: d’altronde il vilicus aveva messo in guardia i suoi interlocutori dal recarsi, qualora fossero stati dei negotiatores, in una città priva di un qualsivoglia genus negotiationis (116, 4). A Crotone chi desidera accrescere il proprio patrimonio e migliorare la propria fortuna deve necessariamente ridursi in uno stato di inerzia: non ha che da scegliere la preda e attenderne pazientemente la morte. Ma anche per altri versi Crotone, così come viene presentata dal vilicus, costituisce il rovescio della Graeca urbs: per quello che possiamo dedurre dai resti del Satyricon, la Graeca urbs ha comunque una scuola di eloquenza, quella diretta dal retore Agamennone, e i retori devono essere tenuti in non poco conto, se l’arricchito Trimalchione non solo li invita a cena a casa sua, ma si sforza addirittura di competere con loro sul terreno dell’eloquenza; il ‘parvenu’, quindi, capisce l’importanza della cultura e ne prova un nostalgico desiderio, anche perché si tratta dell’unico bene che non gli appartiene pienamente. A Crotone, invece, come c’informa il contadino, non litterarum studia celebrantur, non eloquentia locum habet (116, 6). E ancora: nella Graeca urbs persino il rozzo Trimalchione può rimpiangere amaramente di non aver avuto figli (74, 15). A Crotone, invece, nemo liberos tollit (116, 7); anzi, i cittadini si divorano, sono simili a corvi e cadaveri in un deserto. Appare, dunque, inevitabile che in una città siffatta sia possibile entrare solo facendo di se stessi il proprio contrario.

(P. Fedeli, Petronio. Crotone o il mondo alla rovescia, in «Aufidus» 1, 1987, pp. 12-14)

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