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Fine del mecenatismo nell’età dei Flavi

giulio-claudia. Al nuovo indirizzo non si oppose neppure Domiziano, che volle ripercorrere la via assolutistica di Caligola e di Nerone senza tuttavia mettere in discussione gli arcaici valori romano-italici. Neoclassicismo e manierismo Alla restaurazione dei costumi e alla nuova esigenza di sobrietà corrispose, sul piano del gusto, il ritorno al «classicismo» del secolo precedente: auspice Quintiliano, che condannò lo stile baroccheggiante di

Lucano e di Seneca, additando quali supremi modelli Cicerone e Virgilio.

Eppure una lettura approfondita delle opere poetiche di questo periodo fa intravedere uno scenario ben più complesso, tutt’altro che risolvibile nelle formule di

«classicismo» o «neoclassicismo» sotto le quali è stata spesso etichettata la letteratura dell’epoca flavia. L’esperienza del poeta più spregiudicato dell’epoca, Marziale, testimonia come la rivoluzione poetica prodottasi dopo Ovidio e culminata con

Lucano e Seneca tragico non fosse stata dimenticata. Quello che colpisce è piuttosto l’uso tecnico e virtuosistico della tradizione con la quale i nuovi poeti si confrontano: smarrite le tensioni ideali e i furori tragici dell’età neroniana, le scelte espressive si traducono in un’operazione colta e raffinata di manipolazione dei modelli, antichi come recenti.

Fine del mecenatismo nell’età dei Flavi

L’età di Nerone aveva assistito a un rilancio del mecenatismo; in quella dei Flavi si registra una sostanziale indifferenza alla questione. ▰ Effimero rilancio delle manifestazioni culturali in età domizianea Solo negli anni del

principato domizianeo ritornano in auge manifestazioni pubbliche, quali i ludi Albani (che si tenevano ogni anno nella villa albana dell’imperatore) e i ludi Capitolini (che si svolsero negli anni 86, 90, 94, con gare ippiche, ginniche, musicali, concorsi di eloquenza e di poesia sia in greco sia in latino). Manca tuttavia un rapporto motivato e stabile fra principato e cultura, così come tra privati committenti e singoli scrittori: le iniziative restano episodiche e occasionali, senza giungere a modificare radicalmente la condizione di quei letterati che non possiedono redditi personali. ▰ Prevalgono i toni dell’ossequio e

dell’encomio La dipendenza dei poeti dal pubblico poteva tradursi, al livello più alto, nella necessità di ossequiare il principe, il lettore più potente e ambito. Non può dunque destar stupore il tono encomiastico e panegiristico che caratterizza si può dire tutte le maggiori opere poetiche dell’epoca. ▰ Un esempio di ossequio: il De spectaculis di

Marziale Si veda, per fare un solo esempio, il Liber de spectaculis pubblicato da Marziale nell’80 [cap. 8.1], in occasione dell’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, dove ogni epigramma sembra quasi un pretesto per celebrare la figura di Tito. Congedandosi dal suo libretto, l’autore scrive: Da veniam subitis: non displicuisse meretur, / festinat, Caesar, qui placuisse tibi («Perdona queste improvvisazioni: non merita di dispiacerti, / Cesare, chi si affretta a piacerti»).

Quadriga, dettaglio di un affresco da Pompei, I secolo d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Filosofia ed eloquenza Seneca aveva tentato invano di trapiantare la filosofia all’interno della corte; la dinastia flavia sancisce il distacco fra governanti e filosofi, che vengono espulsi sia da Vespasiano (nel 71) sia da Domiziano (nell’89; tra la fine del 93 e il 95). Parallelamente, è lo stesso Vespasiano a fondare la prima cattedra pubblica di retorica a spese dello Stato, che viene affidata a Quintiliano.

Una scelta lungimirante, che aveva tuttavia un preciso significato: favorire una cultura di tipo tecnico, ponendola sotto il controllo diretto dell’amministrazione statale. Significativamente, mentre espelle il filosofo Epitteto da Roma, Domiziano offre al retore Quintiliano l’incarico di educare i futuri prìncipi. Solo nell’età di

Adriano e dei suoi immediati successori la filosofia potrà essere integrata nel vasto disegno imperiale [cap. 13.1]. Letteratura e resistenza Accanto all’imponente messe di letteratura ossequiosa al regime non mancò tuttavia una coraggiosa letteratura di resistenza. Curiazio

Materno, uno dei protagonisti del Dialogus de oratoribus [cap. 11.2], scrive due praetextae di chiara marca filorepubblicana: Domitius (probabilmente Gneo

Domizio Enobarbo, che aveva partecipato alla congiura contro Cesare); Cato (l’Uticense, che si era sacrificato per la libertas). Più o meno negli stessi anni va collocata anche l’unica praetexta integralmente pervenuta, l’Octavia, di cui si è parlato a proposito del teatro tragico di Seneca [cap. 4.7]: la rappresentazione di Nerone come un tiranno sanguinario fa pensare che il dramma sia stato composto nella cerchia aristocratica dell’opposizione senatoria. Negli stessi ambienti si svilupparono le biografie celebrative cui si è già accennato [cap. 1.2]. La cultura nell’età di Nerva e di Traiano Nunc demum redit animus: così Tacito apriva, poco dopo la morte di Domiziano, le pagine dell’Agricola [T2, cap. 11].

Agricola era stato uno di quegli uomini che aveva preferito, negli anni precedenti, tacere; non era il solo ad esprimere il sentimento di una rinascita: concetti affini ritornano nel Panegirico rivolto a Traiano da Plinio il Giovane, nei versi antidomizianei di Giovenale come nella prefazione delle Storie di Floro, nelle quali si afferma che grazie a Traiano l’impero «quasi ringiovanisce dalla decrepitudine in cui era caduto».

La svolta politica fu tuttavia più formale che sostanziale; ed è significativo che né Tacito narri gli eventi storici di età traianea, né Giovenale faccia riferimenti al nuovo principato. Traiano si disinteressa d’altronde della cultura, né si preoccupa di favorire una letteratura cortigiana: tutta la sua attività, sotto questo aspetto, si limita alla fondazione delle due famose biblioteche (una in greco, una in latino) annesse alla Basilica Ulpia.

La vita letteraria, dopo i primi fervidi anni, dovette continuare sui ritmi dell’età precedente: la poesia, se stiamo almeno alle lettere di Plinio, dà la sensazione di non essere molto più di una simpatica attività salottiera; continua la pratica delle recitationes pubbliche; sopravvivono perfino i ludi voluti da Domiziano; l’oratoria si risolve nei virtuosismi encomiastici (e non importa quanto ora davvero condivisi) del Panegirico a Traiano di Plinio [cap. 10.2]; le biografie letterarie di Svetonio denotano una preoccupante assenza di profondità morale e intellettuale. In cambio,

Giovenale sembra intensificare, nei suoi versi, le impressionanti descrizioni della

Roma di Marziale. E se a Tacito viene concesso di esaltare le grandi vittime del primo impero, non per questo la libertas repubblicana torna a risorgere, e lo stes-

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