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© Paolo Gramigni Tutti i diritti riservati / All rights reserved
Catalogo stampato con il contributo di Geofor S.p.A.
Progetto grafico / Graphic design Studio Emo Risaliti
Indice Comune di San Giuliano Terme
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Comune di Vecchiano
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Cispel Confeservzi Toscana
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Fuori logo per una nuova consapevolezza di Paolo Marconcini, Presidente Geofor Spa
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Collezione Inverno 2012
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Flussi di materia, riciclo, green economy, green industry di Valerio Caramassi, Presidente e AD di Revet
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Linguaggio dell’arte e della ragione di Luciano Modica, Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze
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Grandi Marche
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“Fuori Luogo” di Gabi Scardi
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Fuori Luogo di Paolo Gramigni
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Ringraziamenti
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Comune di San Giuliano Terme
Comune di Vecchiano
L’arenile di Marina di Vecchiano, una spiaggia lunga ben quattro chilometri, inserita all’interno del Parco regionale Migliarino-S.Rossore-Massaciuccoli, ormai da tempo proprietà dei cittadini vecchianesi, ospita ogni anno migliaia di visitatori ed appassionati della natura. Qui amano radunarsi pescatori, sportivi e ricercatori attenti allo studio di questo affascinante ecosistema che da sempre ispira anche artisti di ogni genere: pittori, poeti, fotografi e registi. L’idea di realizzare questa pubblicazione e la relativa mostra fotografica, avente come protagonista la bellezza selvaggia di Marina di Vecchiano segue questo filo conduttore. A questa nostra volontà si è sommata l’originalissima proposta di Paolo Gramigni, cultore della fotografia e ideatore di una serie di scatti singolari. Nelle sue fotografie vengono sapientemente fissate immagini di rifiuti abbandonati sulla spiaggia da incauti frequentatori o portati dalle dirompenti piene del fiume Serchio e dalle mareggiate. Uno scenario che testimonia la scarsa sensibilità di alcuni abitanti di questo mondo che, ancora oggi, non hanno percepito l’importanza della tutela e della salvaguardia del patrimonio del pianeta. Per stigmatizzare certi comportamenti abbiamo perciò sostenuto questa pubblicazione, con lo scopo anche di far riflettere su alcuni temi che sono alla base dell’aumento progressivo dei rifiuti, legato ad un consumismo inconsapevole, in contrapposizione alla sobrietà e al riutilizzo, nonché ad una produzione incontrollata di oggetti di effimera utilità e di inadeguato valore. Il Comune di Vecchiano, da sempre attento alle tematiche ambientali, è stato recentemente insignito da Legambiente del riconoscimento di “Comune Riciclone”, per aver raggiunto e conservato con continuità l’obiettivo del 70% di raccolta differenziata sul proprio territorio e per aver condotto una buona gestione a tutto tondo del servizio: si è ridotta la quantità totale di rifiuti prodotti,
Siamo lieti di ospitare nell’edizione 2013 di Agrifiera la mostra fotografica “Fuori luogo” del fotografo Paolo Gramigni, realizzata assieme al Comune di Vecchiano e a Geofor per puntare un fascio di luce sui temi legati all’ambiente e al rispetto dello stesso. Pensiamo infatti che scatti come questi possano essere emblematici di come il tema dei rifiuti sia fortemente presente nella nostra vita, concetto condiviso con il Comune di Vecchiano, capace di fare da “apripista” nell’estendere il servizio “Porta a porta” su tutto il proprio territorio, con ottimi risultati. È anche grazie ai loro incoraggianti risultati che la nostra amministrazione comunale ha avuto l’input per iniziare il medesimo percorso, che oggi ci ha portato ad un “Porta a porta” integrale che interessa oltre trentamila utenti, con un risultato percentuale di differenziazione dell’80% circa. I temi proposti dagli scatti fotografici di questa raccolta sono riferiti a “Le grandi marche” e alla “Collezione inverno 2012”, proprio per far capire tutto ciò che viene trovato sul nostro litorale nel periodo autunnale, ed in grande parte “prodotti” a monte della foce, dove i rifiuti diventano, non solo un graffio estetico, ma contemporaneamente smarriscono il concetto di materiale recuperabile. Tutto questo per indurre una riflessione critica su molti nostri gesti quotidiani che sono in grado di produrre “danni” che anche il tempo e la natura fanno fatica a smaltire. Così come nel Comune di Vecchiano, questa mostra verrà inserita nelle fiere dedicate all’ambiente dei due Comuni, per poi snodarsi attraverso vari incontri nelle scuole per la stagione a venire, prolungando quindi una riflessione volta a contenere gli sprechi, aumentando le risorse. Il Sindaco Paolo Panattoni L’Assessore all’Ambiente Francesco Verdianelli 3
Cispel Confservizi Toscana
Ci sono almeno due validi motivi per apprezzare una mostra come quella di Paolo Gramigni. C’è un aspetto che riguarda la sensibilità artistica dell’autore, che si ispira a oggetti apparentemente senza valore per metterli in una luce nuova, straordinaria, che colpisce l’immaginazione e suscita suggestioni e connessioni mentali.
sono stati realizzati servizi diversificati di raccolta quali il “Centro di Raccolta rifiuti” e il “Porta a porta”e si è investito nell’acquisto di prodotti, per uso pubblico, realizzati con materiale riciclato. L’augurio dell’Amministrazione Comunale è che queste immagini possano sensibilizzare ulteriormente il pubblico, per favorire la consapevolezza di un’adeguata coscienza ambientale, concetto ormai non più soltanto filosofico o etico, ma prerequisito necessario per affrontare in modo serio, civile ed economicamente sostenibile le complesse problematiche legate al mondo dei rifiuti e al consumo delle risorse.
C’è anche un’altra riflessione importante da fare, ed è quella che stimola iniziative come quella di Geofor. La mostra di Gramigni contribuisce alla diffusione di una cultura dell’igiene ambientale che da una parte rispetta e tutela l’ambiente, responsabilizzando ognuno di noi a tenerlo integro e pulito e, dall’altra, valorizza anche quanto resta di ciò che utilizziamo e consumiamo perché diventerà una materia prima per altri oggetti utili e a buon mercato.
Il Sindaco Giancarlo Lunardi
In sintesi, queste belle fotografie danno un contributo importante alla cultura del riciclo: ci aiutano a considerare, e in qualche modo a valorizzare, quegli oggetti, perché contribuiranno in un futuro prossimo a salvaguardare il nostro benessere.
L’Assessore all’Ambiente Massimiliano Angori
Alfredo De Girolamo Presidente Cispel Confservizi Toscana
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Fuori logo per una nuova consapevolezza di Paolo Marconcini Gli oggetti fotografati in un primo piano ravvicinato da Paolo Gramigni sul litorale di Marina di Vecchiano sono desolatamente e, credo, volutamente, decontestualizzati: si vedono una bottiglia, una lattina, una scarpa, abbandonati, soli, su un fondo sabbioso. Ma niente indulge all'olografico, non c'è alcuna compiacenza paesaggistica. L'autore ci dice che sono rifiuti "immortalati" sulla spiaggia libera del Parco di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, lasciati lì dall'incuria degli uomini, indifferenti davanti ad un posto ambientalmente di grande pregio e di suggestiva bellezza. Oppure portati dalle mareggiate che quello spreco, quello sfregio alla natura commesso dagli uomini altrove, su quella spiaggia hanno trasportato e sbattuto. "Losca virtù delle istantanee!" avrebbe detto, come ne "Il filo dell'orizzonte", Antonio Tabucchi, il grande letterato da poco scomparso che era proprio di Vecchiano. Cosa ci dicono quelle foto così "ingannevolmente" esplicite? Ci dicono intanto due cose essenziali: che l'ambiente naturale non va insozzato con la nostra maleducazione civica e che i rifiuti non vanno abbandonati come l'ultimo dei nostri tanti sprechi e sciali, ma vanno, per quanto possibile, evitati, ridotti, riutilizzati, differenziati, riciclati, trasformati in nuova materia e/o in energia e, semmai, vanno smaltiti correttamente. Ma forse ci dicono qualcosa di più. Non ricordo chi molto tempo fa, forse lo scrittore Daniele del Giudice, ci parlò della crisi degli oggetti, intesa non solo come crisi dell'oggettività o dell'interpretazione univoca della realtà da parte dell'arte ad esempio. Eugenio Scalfari in "Per l'alto mare aperto" sostiene che siamo alla fine dell'epoca moderna, sorta con il pensiero illuminista. No, ci si riferiva proprio alla crisi degli oggetti in quanto merce, all'evanescenza della loro descrizione e rappresentazione letterale e letteraria: non più una vespa 50 Piaggio, ma uno scooter o un "cinquantino", non una 500 Fiat, ma un'auto o un'utilitaria, non una macchina da caffè Bialetti, ma una caffettiera oppure una moka. E così via. Strano fenomeno. Non a caso Gramigni raccoglie le sue foto sotto due titoli: "Grandi Marche" e "Collezione Inverno 2012". Ci fa vedere che fine fanno quelle firme e quella collezione. Gli oggetti nella società di mercato sono merce e si sviluppa con essi una dialettica tra valore d'uso e valore di scambio che comporta, otre alle valutazioni economiche, un'estetica delle merci. Infatti nell'era della rivoluzione industriale e della riproduzione tecnologica degli oggetti la forma di
trasformazione della merce è stata proprio il passaggio da prodotto anonimo ad articolo di marca, attraverso l'innovazione estetica, l'appeal esercitato sui consumatori. "La confezione ha più importanza del contenuto nell'influenzare l'acquirente. Molti prodotti, nei quali l’efficienza dell’operazione è l’unico vero elemento essenziale, dipendono dal design dell’involucro in quanto fattore decisivo per le vendite. Nei suoi sforzi per guadagnare e mantenere l’affezione della massa un prodotto deve mirare a progettare un’immagine di desiderabilità tanto forte quanto quella di qualsiasi star di Hollywood. Deve avere lustro e fascino, evocare una brama di possesso" sostiene Richard Hamilton in una famosa e storica relazione su "Art and Design". Da cui l'arte del consumo, la merce assoluta, la ripetitività seriale, la spinta compulsiva alla produzione industriale e all'acquisto che alla fine, oggi, nell'era detta (tutto sommato spero a torto) post industriale e del post consumo, della crisi o degli eccessi del consumo, diventano crisi della merce stessa, persino indifferenza estetica. E quindi abbandono. "La fine o la morte dell'arte non è altro che la crisi dell'oggetto come valore" scrive G.C. Argan in "Crisi del design", da "Storia dell’arte come storia della città". A questo siamo? Siamo cioè in una crisi di sovrapproduzione dettata da un condizionamento del bisogno stesso di consumare di marcusiana memoria che ormai mostra le sue distorsioni, il suo spreco, la sua fine e il suo rifiuto? Dobbiamo dunque riflettere sull'economia della felicità come il premio nobel Daniel Kahneman e i suoi seguaci ci ammoniscono e ripiegare verso la decrescita felice preconizzata da Georgescu-Roegen o Serge Latouche? Oppure ironizzare banalmente, comicamente e cinicamente con il noto aforisma di Woody Allen: "Se i soldi non fanno la felicità, figuriamoci la miseria!". Non lo so. Certo le condizioni in cui vivono il nostro Paese e buona parte dell'Europa segnalano una crisi strutturale ed epocale: chiusura di luoghi di lavoro, disoccupazione, insorgenza di nuovi poveri e nuove povertà, emarginazione: fenomeni contrapposti alla finanziarizzazione rigorista dell'economia, apparentemente insensibile alle condizioni sociali di ingiusta distribuzione del reddito e delle risorse. Intanto languono ricerca, trasferimento tecnologico e innovazione. Insomma una decrescita infelice. Noi siamo immersi in questa crisi e non riusciamo che a dare riposte, figlie della crisi stessa. E confondiamo le albe con i tramonti e viceversa. Ma non così va ovunque, i Paesi del BRICS e/o del far east 5
crescono e aspirano giustamente a raggiungere e superare il nostro tenore di vita. Poi sarà la volta di tutto il continente africano. Allora - e questo vale per tutto il pianeta - abbiamo bisogno di assumere a livello di analisi e di prospettiva il riferimento all'ambiente, non possiamo continuare a drenare a nostro piacimento le risorse della terra pensando che siano illimitate, né possiamo pensare che l'utilizzo del petrolio, dei combustibili fossili, lo spreco di energia, la continua immissione di CO2 in atmosfera, il riscaldamento della crosta terrestre siano fattori trascurabili ed accettabili per la nostra crescita. E non possiamo nemmeno pensare che un rifiuto possa essere tranquillamente abbandonato nelle discariche della terra o sulla spiaggia di Marina di Vecchiano. Allora occorre pensare piuttosto ad una crescita compatibile.
prossimi 10 anni. Ad esempio, si calcola che il solo settore delle energie rinnovabili in Europa genererà oltre 400.000 nuovi posti di lavoro entro il 2020. Non vi è dubbio che l'efficienza delle risorse possa aiutarci a uscire dalla crisi attuale. Il riciclaggio e il miglioramento della gestione delle risorse idriche e dei rifiuti hanno un forte potenziale per la creazione di nuovi posti di lavoro, nei settori in cui le imprese europee godono di un vantaggio competitivo globale. In Italia la piena attuazione della legislazione UE in materia di rifiuti potrebbe creare più di 60.000 posti di lavoro. Per l'Italia e l'Europa, il costo e la produttività del lavoro sono solo una parte della sfida verso la crescita - dobbiamo utilizzare e ri-utilizzare le nostre risorse in modo efficiente. Per decenni le nostre economie hanno creduto che le risorse fossero abbondanti e che il cambiamento climatico e il degrado ambientale non rappresentassero un problema economico. Ma tutto questo è sbagliato. Viviamo in un mondo dalle risorse limitate e dobbiamo definire le giuste condizioni di mercato per fare in modo che le risorse siano distribuite laddove risultino più produttive. In realtà, la competizione globale per una crescita e posti di lavoro "verdi" si sta facendo sempre più agguerrita. L'Europa deve fare di più per rafforzare la nostra innovazione e leadership, se non vogliamo essere lasciati indietro. Questo significa che abbiamo bisogno di un cambiamento. L'industria dovrà perciò trovare il modo di aumentare la produttività delle risorse. I decisori dovranno fornire le condizioni quadro per rendere tutto ciò possibile, garantendo la prevedibilità e la fiducia per gli investimenti nei giusti settori dell'economia. Questo non vuol dire necessariamente che dobbiamo consumare meno. Piuttosto, dobbiamo consumare in modo intelligente.
Questo sostiene il Commissario Europeo per l'ambiente, Janez Potočnik in una recente intervista a Greenreport. «Si stima che la popolazione del nostro pianeta supererà quota 9 miliardi entro la metà di questo secolo. Dovremo condividere il nostro pianeta con 3 miliardi di consumatori della classe media in più, entro il 2030. Ciò è positivo per quei 3 miliardi di persone il cui standard di vita crescerà sensibilmente, nonché per le imprese che si espanderanno per soddisfare l'aumento della domanda. Tuttavia, le nuove richieste metteranno a dura prova molte risorse. Avremo bisogno del triplo delle risorse attuali, ossia 140 miliardi di tonnellate all'anno, entro il 2050. Per la domanda di cibo, mangimi e fibre si prevede un incremento del 70%. Eppure al giorno d'oggi gli ecosistemi su cui si basano queste risorse sono già stati sfruttati al 60%. Senza progressi significativi in termini di efficienza, entro il 2030 avremo bisogno del 40% di acqua in più rispetto alla quantità a noi accessibile. Se non interveniamo molto presto in tal senso, ci troveremo di fronte a una crisi di risorse altrettanto grave quanto l'attuale crisi economica e finanziaria, con lo stesso numero di persone coinvolte direttamente. È stato calcolato che ogni punto percentuale di miglioramento in fatto di produttività delle risorse permetterebbe al settore industriale europeo di risparmiare fino a 23 miliardi di euro all'anno, oltre a creare fino a 150.000 posti di lavoro. L'occupazione nel settore delle tecnologie e dei servizi ambientali nella UE è cresciuta di circa il 3% annuo negli ultimi anni. Il valore del mercato globale della cosiddetta industria ambientale è stimato attorno a un trilione di euro, destinato a raddoppiare nei
In questo quadro allora non dobbiamo necessariamente decrescere, c'è invece bisogno di un nuovo modo, consapevole e compatibile, di produrre. E ciò dipende dall'istruzione, dalla scienza e dalla ricerca, dalla politica, dall'economia, dal mondo dell'impresa e del lavoro, dai media e dalle scelte dei cittadini. È un fatto infine di conoscenza e di cultura, di presa di coscienza e di visione. Tutto questo ci suggeriscono le foto. Paolo Marconcini Presidente Geofor Spa 6
Collezioneinverno 2012
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Flussi di materia, riciclo, green economy, green industry di Valerio Caramassi Ma è la composizione geografica che si è radicalmente modificata disassando investimenti, produzione e commerci dall'occidente (Usa, Canada e Europa) ai cosiddetti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e anche a parte dei Paesi Africani, come ha evidenziato il summit di Davos. Sopra la media mondiale viaggiano
A fronte di scenari di stagnazione e recessione che riguardano la Ue, non solo per il 2013, gli analisti sono concordi nel prevedere per l'anno in corso una crescita dell'economia mondiale del 4%. Questa percentuale non è lontana da quella registrata prima della grande crisi avviatasi con la bolla dei subprime americani nell'estate 2007. 9
dunque non solo le economie fino a poco fa chiamate emergenti (la Cina risente delle difficoltà delle economie occidentali ma veleggia sempre all'8% annuo), ma anche quelle di Paesi c o m e Vi e t n a m , E t i o p i a , T h a i l a n d i a .
pluri annunciate regole, ciò che si nota è che la manifattura, alla faccia delle ideologie postindustrialiste decantate per un ventennio, determina ancora, e di più, la solidità delle singole economie.
Al netto di tutte le considerazioni sui problemi derivati dalla rivoluzione informatica che ha reso le transazioni finanziarie globali incontrollabili, ancorché ancora prive di quelle
Ciò a cui si assiste però è una profonda ridislocazione geografica delle produzioni che determina un altrettanto profondo disassamento dei flussi di materia che alimentano il 10
Ciò ha rivoluzionato e sta rivoluzionando, insieme ai mercati, anche i prezzi.
metabolismo economico e industriale. Se i "BRICS" sono definiti la fabbrica del mondo insomma, vuol dire anche che è in quei Paesi che si determinano gli utilizzi di energia e di materia incorporate nei prodotti che inondano i mercati occidentali (I-Phone e I-Pad compresi). E dunque vuol dire che, al netto della speculazione finanziaria sulle commodities (materie prime, appunto), è li che la domanda di energia e di materia è in tumultuosa crescita.
Mentre la speculazione finanziaria rende evanescenti i riferimenti basati sulla domanda e sull'offerta, altrettanto non è per i flussi fisici. Questi sono ben visibili e quantificabili. E hanno scatenato una vera corsa all'accaparramento strategico non solo delle cosiddette "terre rare" (materie che alimentano l'hardware delle nostre 11
indispensabile a qualsiasi metabolismo economico.
società informatizzate), ma anche delle materie classiche come rame, carbone, zinco, ecc... Per non parlare delle commodities alimentari il cui impatto con i futures sta provocando sussulti e morti per fame nei Paesi del Nord Africa.
È vero che il problema delle materie prime, rispetto a quello energetico, scorre silenziosamente e in modo inosservato dai media. Ma è anche vero che se non si recupera velocemente l'attenzione dovuta (almeno l'attenzione riservata all'energia), il rischio per l'economia europea è quello di andare incontro a potentissimi fattori
La questione delle materie prime si è fatta così acuta che persino la Commissione Europea ha redatto un documento strategico che mira a rendere governabile questo ingrediente 12
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Anni di esasperata ed unilaterale attenzione a tutto ciò che non era industria (e con essa di svalorizzazione del lavoro manuale), insieme ad un indebolimento oltremisura dell'apparato produttivo nazionale e regionale, hanno pericolosamente ridotto il contributo di questo settore allo sviluppo. Postindustrialismo e antindustrialismo non hanno affatto prodotto una maggiore sostenibilità ambientale, bensÏ hanno prodotto svarioni proprio nel governo
traumatici. Per questo la vicepresidenza della Commissione Europea ha piĂš volte indicato nel risparmio di materia e nel riciclo, insieme ovviamente a politiche strategiche di approvvigionamento, i fulcri di una nuova politica industriale. La questione riguarda, ovviamente, anche l'Italia. E riguarda, altrettanto ovviamente, anche la Toscana. 14
(e nel consumo) del territorio accompagnati da un indebolimento della ricerca applicata. Su questo punto, tra l'altro, non guasterebbe una riflessione anche dei movimenti ambientalisti.
contrapposto industria e sostenibilità ambientale. E il tema delle materie prime e delle materie prime seconde può essere l'anello di congiunzione fino ad oggi pressoché ignorato.
Sono molti anni che i governi non danno segnali di una nuova e vera politica industriale ma la situazione della Toscana, pur entro il quadro di difficoltà generale, sembra propizia per abbandonare vecchi schemi che hanno
Il riciclaggio non è (solo) salvaguardia e sostenibilità ambientale. Il riciclaggio è soprattutto nuova politica industriale. La green economy non è (solo) efficienza energetica e sviluppo delle rinnovabili bensì è (soprattutto) 15
hanno visto protagonisti, insieme alla Revet, la Regione Toscana, Corepla, Pontech e Pontlab, dimostrano innanzitutto questo.
risparmio di materia e sviluppo delle filiere di riciclaggio. Innanzitutto di quella materia (quasi 900 mila tonnellate/anno di raccolta differenziata, ma anche circa tre milioni di rifiuti speciali totalmente e facilmente riciclabili) che può rimanere in Toscana e può essere indirizzata proficuamente ad alimentare filiere di produzione sostenibile.
Siamo oltre le politiche ambientali e di gestione sostenibile dei rifiuti. Differenziare non è riciclare! Il riciclo è un processo industriale e pretende una nuova politica industriale. Quando si parla di arredamenti per esterni; quando si parla di produzione di particolari per
I risultati della ricerca sulle plastiche miste che 16
commerciale della GDO, si parla di "Ri-prodotti in Toscana" (che forse meritano almeno l'attenzione dedicata alle "sabbie sintetiche"). Si parla di manifatturiero, di nuova industria, di industria sostenibile, di green economy.
automotive destinati ad essere montati sulla Vespa e sugli Mp3 della Piaggio; quando si parla si riutilizzo nella bioedilizia del vetro che non può essere avviato alle vetrerie; quando si parla di pannelli fonoassorbenti destinati alla ambientalizzazione delle opere stradali e autostradali; quando si parla di profilati cavi e infissi per prefabbricati indirizzati a situazioni di protezione civile; quando si parla di articoli nel settore "consumer" destinati al circuito
Revet e la Toscana stanno facendo da apripista, ma la questione è questione nazionale. E in questa difficile contingenza economica occorre uno sforzo per mirare anche le politiche degli 17
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bene a fuoco questo moderno e cruciale nodo. Almeno quanto hanno messo a fuoco (e a frutto) il nodo energetico. Da soli non ce la possiamo fare. Facciamo un passo avanti, tutti insieme, verso "la società del riciclo" (come ci indica la direttiva europea sui rifiuti), ma soprattutto verso "l'economia del riciclo" (come ci indica la Commissione Europea). Valerio Caramassi Presidente di Revet
incentivi. Sia in rapporto alla sproporzione esistente fra ciò che è destinato alla raccolta e ciò che è destinato al riciclo; sia fra ciò che è destinato al recupero energetico dai rifiuti e ciò che è destinato a favorire lo start-up dei prodotti realizzati con materie prime seconde. Avremmo bisogno che gli ambientalisti nei partiti, l'associazionismo ambientalista, come quello industriale, come quello sindacale mettessero 19
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Linguaggio dell’arte e della ragione di Luciano Modica Nell’ultimo numero de “Le Scienze” (n°536 del 2013), l’edizione italiana della rivista “Scientific American”, un articolo di Letizia Gabaglio segnala i successi di una ditta italiana, per l’esattezza la DISMECO di Marzabotto (Bologna), che si è specializzata nel trattamento e riciclo dei rifiuti elettrici ed elettronici. Ai capannoni industriali,
chiamati “Borgo Ecologico” (marchio registrato), sarà presto associata una ex villa ristrutturata, destinata alla ricerca, alla formazione e alla comunicazione nel campo della valorizzazione dei rifiuti. Aggiunge la giornalista: “Lo spazio è aperto anche agli artisti che vogliano esporre opere realizzate a partire da materiali di riciclo”. 21
davvero entusiasmante, di entrare in contatto con la formazione artistica dei giovani e con gli artisti in attività, docenti o no che siano. Ovviamente poi, per i ruoli ricoperti nella vita accademica e politica pisana, conosco la Geofor e la sua presenza industriale, tecnica e culturale nella nostra provincia. Possiamo dunque dire senza tema di smentita che l’iniziativa di questo volume pubblicato da Geofor si inserisce a pieno titolo nella migliore riflessione a tutto campo sul tema
Quando ho letto questo articolo conoscevo già da qualche mese Paolo Gramigni, il suo lavoro di fotografo/artista sui rifiuti portati dal mare sulla profonda striscia sabbiosa della splendida spiaggia di Marina di Vecchiano, le sue proposte visionarie e conturbanti (nel senso che turbano il senso comune e quindi fanno riflettere) di installazioni artistiche di rifiuti. L’impegno di Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze mi ha infatti portato all’esperienza, per me nuova e 22
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pur in menti lontane e diverse, talora anticipate da pre-visioni di letterati, filosofi, artisti. D’altra parte, storicamente, la conoscenza scientifica si muove costantemente sulla linea dell’accumularsi di esperienze e dell’improvviso dischiudersi di nuovi campi, di nuove interpretazioni, di nuovi paradigmi quando le esperienze accumulate ne permettano o ne obblighino la nascita. Allo stesso modo, nonostante che i rifiuti siano connaturati alla società umana - basti pensare quanta parte
dell’ecologia dei rifiuti, un tema caldo e significativo tra quelli legati al nostro convivere civile e al futuro della nostra civiltà ma che, solo fino a pochi anni fa, sarebbe stato considerato estraneo ai temi scientifici e figuriamoci a quelli artistici. Già gli storici della scienza hanno fatto notare come talora alcune idee innovative appaiano contemporaneamente in più realtà indipendenti, quasi che ci fosse un tempo unico di maturazione 24
forme della Trash Art, l’arte ha preavvisato l’importanza del riciclo del rifiuto, del vederlo sotto altri punti di vista, del valorizzarlo.
delle civiltà antiche preistoriche e storiche gli archeologi abbiano ricostruito da un esame attento delle stratificazioni dei rifiuti abbandonati - è solo recentemente che prima l’arte e poi le tecnologie ne hanno fatto oggetto di attenzione, di studio, di ricerca. Dall’orinatoio che Marcel Duchamp compra da un rigattiere ed espone come “Fountain” nel 1917 alle opere di stracci realizzate da Michelangelo Pistoletto negli anni ’60, a tanti altri artisti contemporanei che si sono cimentati con tutte le
La scienza e la tecnologia, pur con differenti lenti intellettuali e quindi con differenti obiettivi e procedure, stanno oggi affrontando, e sempre più dovranno farlo nel prossimo futuro, lo stesso tema del “trattamento” dei rifiuti per la salvezza del nostro ambiente e, in certo senso, della nostra 25
termodinamica non consentono in linea di principio la completa riconversione. Per questo cammino inverso serve alla tecnologia almeno tanta scienza quanta ne è servita per il cammino diretto, forse anzi più ancora, dunque servono investimenti in ricerca. In fondo oggi può essere più “facile” costruire che demolire, in edilizia come in chimica o in mille altre attività. Non basta più, come nel passato, separare, ammonticchiare, stratificare il risultato della demolizione (si pensi quante città
economia col recupero parziale delle spese di realizzazione degli oggetti che fanno il vivere moderno tramite la valorizzazione economica dei loro componenti usati alla fine del loro ciclo di vita. Se la tecnologia permette da sempre di passare dal semplice al complesso - da materiali, oggetti, utensili, macchine semplici a quelli complessi la stessa tecnologia è oggi chiamata a risolvere il problema del cammino inverso, almeno nella misura del possibile visto che le leggi della 26
probabilmente più difficili ma altrettanto stimolanti.
sono fondate, letteralmente, sui residui delle precedenti costruzioni). Occorre trovare il modo di riutilizzare, sia a livello di materiali che addirittura di molecole. Basti pensare agli elementi rari che entrano a far parte delle odierne circuiterie elettroniche o dei materiali plastici o speciali che hanno reso più facile la nostra vita di ogni giorno. Non è solo necessaria una “Green Engineering” o una “Green Chemistry”: serve quasi un’ingegneria e una chimica all’inverso,
Nelle foto di Paolo Gramigni un aspetto particolare mi ha colpito, quello della persistenza dei colori artificiali. I rifiuti “civili” (o, meglio, incivili) lasciati dall’uomo o portati dal mare sulla spiaggia sono fotografati in mezzo ai rifiuti di origine naturale che popolano la riva di ogni mare: sterpi, canne, tronchi, conchiglie, sassi, la stessa sabbia che è un miscuglio tritato di “rifiuti” naturali. 27
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è naturale.
Ma, mentre i primi attraggono l’attenzione e balzano in primo piano per la vivezza immutata dei loro colori artificiali, i secondi costituiscono inevitabilmente lo sfondo perché i loro colori naturali, un tempo vivaci quando li abitava la vita animale o vegetale, si sono sbiaditi e uniformati col tempo e con l’azione degli agenti atmosferici, fin quasi a diventare un unico colore di fondo. È l’eterno ciclo della natura che riesce ad accogliere, omogeneizzare e riciclare tutto ciò che
Dunque riconosciamo subito quel rosso della cartina che avvolge il cioccolatino o del tappo della bibita ubiqua, quel blu del flacone di detersivo, quel giallo del tappo del medicinale, quel marrone della bottiglia di aranciata, quel verde della confezione di yogurt o di acqua minerale, quel viola dei sabot da mare, quel bianco candido delle sneakers: indelebili marchi di 29
i colorati residui affondati della civiltà moderna.
fabbrica con colori fatti appunto per durare, con l’uso di opportune resine acriliche o di altro tipo, e per fissarsi pubblicitariamente nella mente dei consumatori. Come denominare invece i colori tanto simili e così sfuggenti, ma anche così rassicuranti, della sabbia, dei frammenti di canna o di legno, delle conchiglie? Per chi ama guardare sott’acqua con la maschera capita lo stesso sul fondo del mare dove tra i morbidi colori mescolati di alghe di infinite diverse specie spiccano sempre
I pittori di tutti i tempi hanno cercato la durevolezza dei colori dei loro quadri, così hanno inventato o scoperto mille modi di assicurarla, mescolando pigmenti e leganti naturali e stendendoli su diversi substrati, con sapienza tecnica e inesausta fantasia innovativa. Eppure tutti questi colori invecchiano per reazioni chimiche interne o esterne a contatto con sostanze disperse 30
alla lunga, perderanno forse i loro squillanti colori. Troppo alla lunga, però, sulla scala umana e per i tempi urgenti della protezione del nostro ambiente.
nell’aria, tanto che le moderne tecnologie di tutela e restauro sono fondate anche su studi scientifici relativi a questi fenomeni chimico-fisico-biologici. L’arte contemporanea spesso usa gli stessi colori dei prodotti industriali, appunto quelli basati su resine polimeriche artificiali e dunque sembrerebbe immune da questi problemi. Ma non è cosÏ. Pur su una diversa scala dei tempi, anche i colori acrilici si modificano e si denaturano. Anche i rifiuti della spiaggia di Marina di Vecchiano, molto
Certo sarebbe meglio che sulla spiaggia questi rifiuti non ci restassero o non ci arrivassero, che si diffondesse una cultura ambientale che innanzitutto eviti il loro abbandono e la loro dispersione. Ma varrebbe anche la pena di trovare presto un modo di recuperarli, questi rifiuti con 31
i loro colori persistenti. Magari con l’arte, che ha il linguaggio delle emozioni. Magari con la scienza, che ha il linguaggio della ragione. Entrambe parlano sia alla nostra mente che al nostro cuore, entrambe inducono alla speranza. Luciano Modica Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze
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GrandiMarche
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“Fuori Luogo” di Gabi Scardi
Viviamo all’interno di un sistema che ci istiga al consumo e che genera scarti. Acquistiamo ogni sorta di oggetti. Tonnellate di materia. La utilizziamo, poi la gettiamo con noncuranza. Paolo Gramigni ha percorso ed esplorato una
magnifica spiaggia toscana, quella di Marina di Vecchiano, e con il suo apparecchio ha documentato gli oggetti trovati sulla sabbia. Ne è nata una serie fotografica che si presta a diversi livelli di lettura. Gli oggetti rappresentati, appena prima di 35
rughe, di cicatrici, di segni particolari. Paiono aver raggiunto il limite estremo della loro esistenza e del loro valore. Eppure non si può dire che siano inerti. Anzi, in queste immagini li ritroviamo ancora espressivi ed eloquenti: piÚ che un senso di elegia, evocano l’idea di persistenza. Portatrici di vite uniche e irripetibili per antonomasia, le cose che vediamo in queste fotografie rappresentano ancora, con perfetta
diventare rifiuti, sono stati acquisti, beni, prodotti, oggetti utili o preziosi. Ma poi, velocemente metabolizzati, hanno perso il loro posto. Ora sono lĂŹ, gli scarti della nostra esistenza, buttati a terra o gettai in mare dalle imbarcazioni, o provenienti da altri lidi e riportati a riva dalle onde dopo derive piĂš o meno lunghe. Sono oggetti sparsi, persi, abbandonati, fuori uso. Giacciono martoriati e corrotti, pieni di 36
specificità, un’occasione conoscitiva. E gli oggetti rinvenuti, benché logori e “fuori luogo” - anzi, soprattutto in quanto sono fuori luogo - gli appaiono ancora carichi di potenziale semantico. Così, con una buona dose di umorismo e di bon ton, lui ribaltata la comune percezione e, con il progetto Fuori Luogo, crea un contesto sistematico unitario all’interno del quale presentarli.
simmetria, un campionario della nostra vita quotidiana; e raccontano storie: le loro, di oggetti di consumo, e quelle di chi li ha possedute. La loro identità e la loro stessa presenza, minuziosamente documentate dalla ricognizione fotografica di Gramigni, parlano dello stile di vita e dei comportamenti sociali più diffusi. Gramigni percorre infatti quella spiaggia invasa di “robaccia” e osserva puntualmente. Per lui la fotografia è sempre, nella sua 37
queste fotografie, li sottoponesse a un’operazione di resurrezione: i reperti tornano a presentarsi vitali, arricchiti di significato e sintetici come icone. È chiaro che, con il suo inventario così meticoloso, Gramigni non sta parlando solo della ciclicità e del continuo flusso trasformativo, di un tempo che consuma ogni cosa. Certo, nelle sue immagini c’è anche questo. Con il suo atteggiamento di logica ironia
Ripartisce le immagini in categorie: “Collezione inverno 2012” per le immagini di scarpe, sandali, sneaker: le innumerevoli calzature che, portate dalla risacca, si trovano sulla spiaggia in inverno; e “Grandi Marche” per le immagini di bottiglie, bottigliette, confezioni di detersivi in molti casi ancora marcate e chiaramente riconoscibili. Nel suo sguardo c’è la capacità di cogliere la personalità di ogni oggetto. È come se, con 38
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Fuori Luogo ha a che fare con il valore di mercato di ogni cosa e, in definitiva, della nostra stessa vita. Si tratta di una denuncia irrevocabile: viviamo in un’epoca bulimica, siamo immersi in un sistema che fa leva su necessità effimere che naturali non sono, aderiamo a un regime di utilitarismo spinto e impietoso in cui ciò che non è più immediatamente funzionale si perde. La relazione tra uomo e territorio è stonata,
Gramigni sta testimoniando di un paesaggio gravemente trascurato. Sullo sfondo dell’operazione ci sono le più ampie dinamiche geopolitiche, c’è un’epoca di transiti e di delocalizzazioni, ci sono le grandi tematiche culturali e sociali del mondo contemporaneo e le sue urgenze ambientali. E c’è il tema dell’iperconsumo della nostra società. Un iperconsumo che non solo ci riguarda, ma da cui rischiamo di lasciarci fagocitare: il progetto 40
stessa e il proprio habitat. Occorre rinnovare un atteggiamento di rispetto e di premura per l’esistente; prendersi cura del mondo in cui viviamo, degli oggetti che ci circondano, e mettere in campo un’attenzione responsabile al tempo dell’esistenza. Attraverso il suo campionario, Gramigni dà visibilità al rimosso della nostra società; e ci invita ad avere cura dell’ambiente. Propone uno stile di vita più sobrio, più equo, più
disarmonica. E l’ambiente si degrada. L’evidenza ineludibile di questa crisi trascina con sé ampie considerazioni sulla necessità di rispettare le risorse offerteci dalla natura. Il rischio è quello di pregiudicare irrimediabilmente gli equilibri della biosfera. La qualità della vita sul pianeta dipende da noi. Soltanto con una nuova attenzione e con una consapevolezza profonda l’umanità potrà neutralizzare la propria crescente capacità di danneggiare se 41
sostenibile, basato sulla sufficienza e non sull’imperativo dell’abbondanza. Evoca la possibilità di un’economia più “leggera” e di un’ecologia intesa non come tematica, ma come atteggiamento, come modo di rapportarsi al mondo. Si tratta dunque di un invito a pensare e ad agire. Gabi Scardi 42
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Fuori Luogo Come fuori luogo sono i rifiuti sulla spiaggia di Marina di Vecchiano.
delle case, delle strade e delle autostrade, ancora una fascia di tre chilometri di macchia mediterranea, boschi e campi coltivati. A Sud la foce del Serchio e il parco di San Rossore, a Nord il confine della provincia di Lucca, con le prime, fortunatamente ancora timide, avvisaglie di Versilia.
Una spiaggia di sabbia fine lunga tre chilometri e mezzo, profonda una cinquantina di metri, con alle spalle un sistema di dune, integro, di circa trecento metri di profonditĂ ; e poi, prima 45
riflessione fotografica che facesse vedere quali siano e quanto inopportuni siano, i residui della nostra attuale “civiltà” in un contesto caratterizzato da tanta naturale bellezza.
Una spiaggia come dovrebbero essere tutte le spiagge, libera alla fruizione di tutti e affascinante in tutte le stagioni. Lungimirante fu l’atto del comune di Vecchiano che acquistò alla sua cittadinanza e al mondo questo bene, che l’improvvida intenzione di un Governo aveva reso “alienabile”.
“Fuori Luogo”, appunto. Sono fuori luogo i resti delle calzature di ogni forma e dimensione, abbandonate da piedi distratti e insensibili, o giunte dal mare dopo
Dalle passeggiate invernali in questo magnifico luogo è nato il primo germoglio dell’idea: una 46
metallo, materiali indistruttibili usati per lo più per produrre contenitori di contenuti effimeri. Restano lì per anni, secoli, con sopra i loro segni distintivi di “Grandi Marche”, fatti di forme, simboli e colori, caratterizzanti e attraenti fin quando sono sullo scaffale di un negozio, ma inquietanti e trasformati in inconfutabili prove d’accusa, quando diventano deturpanti di un luogo fatto bello e attraente dalla natura. Oggetti o frammenti che diventano
chi sa quale avventura. Tante, tantissime, una quantità incredibile di calzature. Tante da poter tranquillamente diventare il copioso nucleo di una collezione; collezione di oggetti non più “di moda”; “Collezione Inverno 2012” perché in quattro domeniche d’inverno le calzature sono state fotografate in circa duecento diversi esemplari. Sono fuori luogo i residui di plastica, vetro, 47
E mò, e mò, e mò e mò, Moplen. Inconfondibile leggero resistente, la signora guardi ben che sia fatto di Moplen, era il tormentone recitato da Gino Bramieri in un Carosello di qualche decennio fa. Era prodotto dalla Montedison il Moplen, marchio registrato del polipropilene isotattico, la rivoluzionaria materia termoplastica che nel 1963 valse il premio Nobel per la chimica al suo inventore, il chimico Giulio Natta.
testimoni di un reato per il quale, purtroppo, non c’è molto spazio nei codici. Il design, voluto inconfondibile nel progetto di marketing che li ha generati, li caratterizza nello stesso modo dei marchi che, anche se ridotti a frammenti, ancora risultano evidenti e capaci di trasformarsi, come nel caso della Montedison, nella sconveniente testimonianza di un pezzo del recente passato di splendore industriale, ormai estintosi nel 2002. 48
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Pochi anni dopo, mi sembra che l’articolo, letto per caso un po’ di tempo fa, fosse del giugno1974, Pasolini, commentando i risultati del referendum sul divorzio e riflettendo sul compimento, allora recente, della trasformazione della società italiana da agricola e protoindustriale a industriale, scriveva su come l’«ideologia edonistica del consumo», costituitasi come valore positivo nella società industriale, avesse sostituito altri valori propri delle società agricole. A distanza di soli quarant’anni, abbiamo sulle spalle il peso non leggero di quella “nuova” ideologia, e i rifiuti rappresentano una parte del peso. Rifiuti abbandonati negligentemente sulla spiaggia o in luoghi dai quali il mare lì li ha portati. Rifiuti testimoni di una civiltà che si ostina a non considerarli come risorse da recuperare e, 50
attraverso un’opportuna trasformazione, riusare. La stessa civiltà che tratta l’ambiente come una possibile discarica infinita, considerando le risorse energetiche e ambientali non come beni ma solo come valori commerciali. Residui che si mescolano con altri residui vegetali e con la sabbia, che da quest’ultima vengono ricoperti, inglobati, stratificati e nascosti. Quando si vedono riaffiorare da una
duna parzialmente erosa dalla mareggiata, non si può non pensare all’espressione di perplessità sulla faccia di quel povero archeologo che li troverà tra mille anni. Quando inevitabilmente le informazioni da altre fonti saranno state corrotte dal tempo trascorso, quell’archeologo che lettura farà di questi resti? Che idea si farà della nostra civiltà? Residui che comportano anche un notevole 51
componenti, classificati tra i Persistent Organic Pollulants che dalle plastiche possono migrare nella catena alimentare, accumularsi nei grassi e, attraverso vari meccanismi, incidere negativamente sulla salute degli esseri viventi, umani compresi.
costo sociale poiché qualcuno, che solo in parte, purtroppo, coincide con chi li ha prodotti, dovrà pensare a raccoglierli, se si vuole evitare che diventino una coltre soffocante per l’ambiente. E quanti altri danni, meno visibili, più subdoli, possono provocare questi residui sparsi sulla terra, nelle acque e persino nell’aria? Sono recenti e allarmanti gli studi su quei
Insieme a un sistema sociale capace di elaborare nuove idee per un futuro di lungo respiro, sarebbero necessari tanti geniali ingegni 52
del progetto che coinvolge il comune di Vecchiano e quello di San Giuliano Terme, due Comuni della Provincia di Pisa sensibili al problema dei rifiuti e campioni nella raccolta differenziata.
meritevoli di un Nobel, impegnati nel rapido sviluppo di processi capaci di riutilizzare tutti questi “rifiuti” per trasformarli in altri utili materiali, o impegnati nell’invenzione di materiali, contenitori e contenuti diversi dagli attuali, che avessero una propensione sostanzialmente ridotta, o, meglio ancora nulla, a d i v e n t a re i n q u i n a n t i a m b i e n t a l i .
Un progetto articolato che dal germoglio fotografico ha generato anche l’idea di un’attività di sensibilizzazione sui temi ambientali per le scuole dei due Comuni, da
Sono queste alcune delle riflessioni all’origine 53
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gestione dei rifiuti in venticinque comuni dell’area pisana, che ha fatto suo il progetto, permettendone lo sviluppo e la realizzazione.
realizzarsi a partire dall’anno scolastico 2013/2014, e il progetto di un’installazione intitolata Portale (vedi immagini a pag. 59), fatta con materiali completamente riutilizzabili, pensata originariamente per uno degli accessi alla spiaggia di Marina di Vecchiano, la cui realizzazione non è stata ancora possibile.
Paolo Gramigni
Un particolare ringraziamento lo rivolgo a Geofor S.p.A., società che si occupa della 55
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Rendering della scultura Portale.
Per i suggerimenti, il supporto e la collaborazione si ringraziano: l’Accademia di Belle Arti di Firenze Forti Holding Giuliana Videtta Giuliano Meini Irene Lupi Vittoria Ciolini e a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo progetto.
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Stampato su carta riciclata nel mese di Aprile 2013, presso Eurostampa s.r.l., Via dell’indotto, 11 56025 Pontedera (PI) - I