EMOTIONS MAGAZINE – APRILE-MAGGIO 2019 – ANNO 9 N 34

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www.mgrouproma.it


Per vivere un’esperienza u unica e indimenticabile a Cussco, Peru.

Casa Cartagena Luxury Hotel

www.casacartagena.com om


SOMMARIO

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www.emotionsmagazine.com

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NAMIBIA LA PORTA DELL’AFRICA

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REFLECTED TOKYO: UNA CITTÀ RIFLESSA NELLE PARETI DI VETRO, TRA LE INSEGNE, SUGLI SPECCHI D’ACQUA

SUDAN: DALLE PIRAMIDI ALL’ARCHEOLOGIA RAFFINATA DELLA NUBIA


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un’esperienza glamour

A CUZCO

Photo by Anna Alberghina

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CASA CARTAGENA: UN´ESPERIENZA UNICA PER CONOSCERE CUZCO

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VIAGGIO A KEY WEST: TRA LE STORICHE DIMORE DI HEMINGWAY E TRUMAN

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FIRENZE: LO SCOPPIO DEL CARRO TRA LEGGENDA E REALTÀ

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KALEIDOSCOPE

- Il Museo della Tecnologia dell’Antica Grecia - Banyan Tree Lang Co

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LIBRIEMOTIONS

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FEBBRAIO - MARZO

Key West, la più importante e conosciuta delle isole che compongono l’arcipelago delle Keys.

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Direttore Responsabile Teresa Carrubba tcarrubba@emotionsmagazine.com Ideazione logo Ilenia Cairo

Progetto grafico e impaginazione Elisabetta Alfieri e.alfieri@emotionsmagazine.com

Collaboratori Luisa Chiumenti Giuseppe Garbarino Simone Ladisa Pamela McCourt Francescone Mirella Sborgia redazione@emotionsmagazine.com Fotografi Ettore Brezzo Teresa Carrubba Giuseppe Garbarino Simone Ladisa Responsabile Marketing e Pubblicità Enrico Micheli e.micheli@emotionsmagazine.com Pubblicazione Rivista Online DMXLAB Srl

Editore Teresa Carrubba Via Tirso 49 -00185 Roma Tel e Fax 068417855 Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 – N° 310/2011 Copyright © – Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Case Editrice che ne detiene i diritti.



Sudan Photo by Teresa Carrubba


S C R I V I A M O

A R T I C O L I

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S U S C I T A R E

E M O Z I O N I

TERESA CARRUBBA EDITORE DIRETTORE RESPONSABILE

Ai tradizionalisti che amano approfittare della Pasqua per concedersi un viaggio, Emotions propone mete inusuali, terre poco battute dai turisti tout court dove trattenere il respiro di fronte a panorami spettacolari, riti a noi sconosciuti, etnie lontane. Il Sudan, per esempio, dove le sinuose dune del deserto proteggono le vette aguzze delle piramidi rendendo unico un paesaggio che al tramonto si fa addirittura struggente. E dove la spiritualità degli dei Amon e Apedemak, ancora aleggia nell’aria anche al di là dei magnifici templi a loro dedicati. Ancora dune, imponenti e ieratiche, questa volta in Namibia, la cui sabbia argillosa ocra rossa, morbidamente impastata con burro ed erbe, protegge dal sole inclemente il corpo e i capelli delle donne Himba. Altre etnie vissute in Namibia fino a 10.000 anni fa, hanno lasciato la loro traccia nei petroglifi di Twyfelfontein, scoperti da Reinhardt Maack nel 1914 e oggi patrimonio dell’UNESCO. Tutto diverso a Key West, la nota isola delle Keys, a sud degli Stati Uniti. Natura a parte, un alone di cultura serpeggia tra le strade, punteggiato da dimore di personaggi illustri che qui hanno vissuto una parte della loro vita, come Ernest Hemingway ed Harry S. Truman. Uno spunto originale per visitare l’isola. E, sulla scia delle celebrità, varrebbe la pena, in viaggio tra le Ande Peruviane e Cuzco, quella che fu la capitale dell’impero Inca e una delle piú importanti cittá del Viceregno del Perú. soggiornare nella suggestiva Casa Cartagena, una volta palazzo nobiliare, oggi Boutique Hotel & Spa, dopo un prezioso restauro di Stefano Boetto. Casa Cartagena ha ospitato Pablo Neruda e Che Guevara. Emotions, molto attenta alla fotografia di cui ne fa un vanto, ospita stavolta il servizio di un raffinato fotografo che ha qui rappresentato una Tokyo mai vista, dove i grattacieli si intersecano riflettendosi sui vetri l’uno dell’altro con un effetto davvero unico e sorprendente. Infine, non poteva mancare un cenno alla Pasqua dei riti e delle tradizioni. Abbiamo scelto Firenze e il suo pirotecnico scoppio del carro davanti al magnifico Duomo, circondato da fedeli e dagli abili sbandieratori in costume rinascimentale.

tcarrubba@emotionsmagazine.com


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TESTO DI GIUSEPPE GARBARINO FOTO DI ETTORE BREZZO

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LA NAMIBIA È UN LUOGO DI GRANDI CONTRASTI, QUI DESOLATE VALLATE ED IMMENSE PIANURE SI ALTERNANO ALLE ALTISSIME DUNE DEL DESERTO NAMIB, UN MARE GIALLO OCRA CHE CONFINA CON IL MARE FREDDO DELL’OCEANO ATLANTICO, COLORI CHE SI MESCOLANO E MAGICAMENTE CREANO GRANDI GIACIMENTI DI DIAMANTI. FORSE PER QUESTO È UNA TERRA CHE RAPISCE IL CUORE In un territorio immenso convivono piccole etnie, ognuna fortemente vivace e rafforzata da secoli di lotta in un ambiente rigido e difficile dove tutto è sotto lo sguardo di Dio, chiunque esso sia. Infatti, in questi luoghi tutto si appiattisce alla logica di un ambiente al quale anche la religione deve sottomettersi davanti all’evidenza di una Natura che è essa stessa forma divina. Non per nulla su queste terre vigilava silenziosa la formazione rocciosa di Mukurob conosciuta come il “Dito di Dio”, purtroppo crollata sotto il peso di centinaia di millenni nel 1988. Questa zona, vicino ad Asab, nella Namibia Meridionale, ha la caratteristica di essere solcata da un imponente canyon, il Fish River Canyon, considerato il secondo al mondo per dimensioni solo dopo il Grand Canyon in Nordamerica. La sua estensione è di 160 chilometri con una profondità fino a 500 metri.

Come per i deserti settentrionali dell’Africa, anche queste terre aride hanno avuto momenti di verde vitalità, qui erano foreste, branchi di animali vagavano liberi e l’antica popolazione di questi luoghi ne ha lasciato una traccia unica con i petroglifi di Twyfelfontein, scoperti da Reinhardt Maack nel 1914 e oggi patrimonio dell’UNESCO. I petroglifi sono datati dai 1.000 ai 10mila anni fa e sono stati realizzati dal popolo San senza l’utilizzo di strumenti di metallo, ma solo con utensili di quarzo. Le formazioni rocciose di granito sono una caratteristica della catena dell’Erongo Mountains e note con il nome di ‘bull’s party’, quasi a contrasto con quella che qui chiamano la foresta di Etosha Pan, dove una curiosa pianta viene definita “l’albero fantasma”, “ghost tree”, ma il suo nome scientifico è Moringa Ovalifolia. Il gruppo etnico più rappresentativo è quello degli Herero o Ovaherero, appartenenti al gruppo etnico dei bantu e con una consistenza numerica superiore alle centomila persone, non tutte dislocate in Namibia, ma anche nel vicino Botswana e Angola. Gli Herero, come i loro colorati abiti, si dividono in numerosi sottogruppi, i Tjimba e gli Ndamuranda (zona di Kaokoland), i Maherero (zona di Okahandja), i Zearaua (zona di Omaruru), i Mbanderu (Hereroland) e i Kwandu.


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GLI HERERO, POPOLO STANZIALE FIN DAI TEMPI DEL COLONIALISMO, SI NOTANO PER IL CURIOSO ABBIGLIAMENTO DELLE DONNE, COLORATO PROPRIO PER LA NECESSITÀ DI AVERE GIOIA PER GLI OCCHI IN UNA TERRA TANTO MONOCROMATICA

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OCRA ROSSA SULLA PELLE DEGLI HIMBA Popolo stanziale fin dai tempi del colonialismo, si notano per il curioso abbigliamento delle donne, colorato proprio per la necessità di avere gioia per gli occhi in una terra tanto monocromatica a causa delle sabbie che tutto pervadono, ma che è costituito da una crinolina tipicamente ottocentesca posizionata insieme a vaporose sottogonne e a un copricapo a forma di cono. La maggior parte di questa popolazione lavora nelle grandi fattorie o si dedica al commercio. Vestigia coloniali decadenti si trovano nella città mineraria fantasma di Kolmanskop in pieno deserto della Namibia. Questa città, che venne costruita all'inizio del 20esimo secolo dai coloni tedeschi per sfruttare i campi di diamanti presenti nell'area, arrivò ad una popolazione di 1200 persone tra occidentali e operai di etnia Owambo. Dal 1954 è l’ombra di se stessa. Nel Quiver Tree Forest, sempre Namibia meridionale, si incontrano gli alberi faretra o Aloe dichotoma Masson, chiamati in afrikaans kokerboom; il nome si deve all’uso fatto dai boscimani con i suoi rami e le sue foglie per costruire faretre per le frecce da caccia. Ma il deserto vero è quello di Sossusvlei, dune all’infinito, anche se il significato di Sossusvlei (o Sossus Vlei), si riferisce curiosamente a “pozza d'acqua”, forse un modo effimero per dare speranza a chi si perde in questi luoghi. Queste dune, che arrivano a 200 metri di altezza o li superano come la nota "Big Daddy"di circa 380

metri, fanno parte del Parco Nazionale di NamibNaukluft. L'area di Sossusvlei è la parte più accessibile di una vasta area sabbiosa del Namib meridionale, estesa fra i fiumi Koichab e Kuiseb su un'estensione complessiva di 32mila km quadrati. I colori della sabbia sono intensi, tra il rosa e l'arancione, una tonalità dovuta alla composizione ferrosa di questa terra e all’ossidazione per l’esposizione secolare al sole e alle intemperie. Si riesce anche a capire l’età delle dune, infatti le più antiche sono quelle dal colore rosso più intenso. Il Kaokoland o regione del Kunene, nella Namibia settentrionale, è abitato dagli Himba o Ovahimba, un piccolo gruppo etnico di pastori nomadi. Le donne si coprono con una mistura rossa a base di burro, ocra rossa ed erbe, un modo per proteggersi dal sole inclemente di questa terra. Solo gli uomini vestono con abiti occidentali. Un’altra caratterizzazione di questo popolo sono le acconciature, con forte significato simbolico. Le bimbe hanno i capelli raccolti in due grosse trecce che cadono sul davanti del viso, poi crescendo e arrivando la fertilità le treccine si dividono in tantissime e strettissime, poi una volta sposate le fermano utilizzando una pelle di capra per fare una specie di crocchia. Per gli uomini è più semplice, una volta sposati indossano un piccolo copricapo scuro mentre gli scapoli ed i bimbi vengono rasati quasi completamente tranne per il cosiddetto “codino dello scapolo”.

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s oto Ph Sim by isa ad eL on

SIMONE LADISA

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HO CERCATO UNA CITTÀ CHE NON FOSSE REALE, IMMAGINI IGNORATE DA TUTTI ANCHE SE EVIDENTI ALLO SGUARDO: UNA CITTÀ RIFLESSA ...

Tokyo è l’area urbana più popolata del pianeta con oltre 36 milioni di abitanti. In questo enorme conglomerato urbano i flussi di persone si muovono in centinaia di migliaia di strade, entrano ed escono da migliaia di edifici e abitazioni. Camminando per le strade di Tokyo si ha la sensazione che non esista un solo angolo della città che non sia condiviso allo sguardo di qualcun altro, sotto la ripresa attenta di qualche telecamera, o dal placido osservare di qualcuno da una finestra. Sembra impossibile trovare un luogo nascosto a Tokyo, perchè Tokyo è di tutti ma non appartiene a nessuno. Le sue vie più importanti e i suoi quartieri più famosi non dormono mai, sono sempre

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illuminati e frequentati da migliaia di persone. In questa ipertrofia visiva è nato in me il bisogno di trovare qualcosa di questa città che potessi vedere solo io, ma la realtà si scontrava con questo bisogno. Così ho cercato una città che non fosse reale, immagini ignorate da tutti anche se evidenti allo sguardo: una città riflessa. Riflessa nelle pareti di vetro, tra le insegne, sugli specchi d’acqua. Come Alice attraversa lo specchio, io ho attraversato questo confine riflesso, trovando la stessa città che avevo lasciato, ma celata agli occhi dei suoi abitanti. Cittadini storditi dalla quotidianità al punto di non accorgersi dell’immateriale immagine nascosta, pareti costeggiate ogni giorno senza notare più cosa ci fosse dietro la parete. Ho iniziato a vagare per la città meravigliato da quello che vedevo, fotografando ora un palazzo, ora un’insegna, ma rivolgendo il mio obiettivo dalla parte opposta del mio soggetto, cercando di catturare la sua essenza celata nello specchio invece che quella reale. Questo lavoro racconta una città che in fondo non esiste, fatta di palazzi sottosopra e di persone che si muovono al contrario.


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COME ALICE ATTRAVERSA LO SPECCHIO, IO HO ATTRAVERSATO QUESTO CONFINE RIFLESSO, TR

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ROVANDO LA STESSA CITTÀ CHE AVEVO LASCIATO, MA CELATA AGLI OCCHI DEI SUOI ABITANTI


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UNA CITTÀ CHE IN FONDO NON ESISTE, FATTA DI PALAZZI SOTTOSOPRA E DI PERSONE CHE SI MUOVONO AL CONTRARIO. UNA CITTÀ CHE PER BREVI ISTANTI VEDO SOLO IO, E CHE HO PORTATO VIA CON ME CON LE MIE FOTOGRAFIE Una città che per brevi istanti vedevo solo io, e che ho portato via con me con le mie fotografie. Questi scatti raccontano molto, come ad esempio l’impiegato che si dirige verso se stesso in uno sfondo duplicato. La fotografia è il risultato di un’attesa di 45 minuti cercando il soggetto giusto nel momento giusto, un attimo prezioso tra le vie affollate di Akihabara in cui finalmente un uomo sembra dirigersi verso se stesso per scontrarsi con il suo doppio invisibile. Ogni fotografia nasconde in se la difficoltà di escludere me stesso dal riflesso che fotografavo, un modo per distaccare il me reale, dalla virtuale città dietro lo specchio. In tante occasioni è praticamente impossibile trovare una qualunque superficie riflettente, perdendo il contatto con questo piccolo viaggio. Incredibilmente si viene travolti da riflessi proprio nei quartieri più popolati, con centinania di uffici o centri commerciali. Le vie di Shibuya o Shinjuku sono affollate anche di visioni riflesse. Così basta osservare con attenzione e fotografare semplicemente quello che è naturalmente sotto gli occhi distratti di tutti. In altri casi invece l’immagine è volutamente capovolta per mettere in primo piano il riflesso rispetto al reale, perchè quella è la Tokyo che interessava a me.

Situazioni normali, in vie normali, in immagini che non esistono. Come le foto in cui i passanti passeggiano vicino a negozi che non ci sono, ignorando le vetrine che non mostrano, perchè si trovano altrove. Eppure quella è la stessa città, o forse non lo è più. I corsi d’acqua sono palcoscenici e i grattacieli diventano quadri da ammirare. Può questo lavoro essere ancora considerato una visione di Tokyo? Oppure restituisce un’anima di una città diversa? La conosco a fondo perchè l’ho visitata quasi venti volte, e mi accorgo che quella che ho fotografato non è la stessa città. Come quando io mi specchio la mattina e vedo una persona che sono io, ma che mi sembra un altro, così ho trovato la stessa città che sembra un’altra. Come scoprire che può esserci anche un’amante in un’amica, la metropoli ci rivela nuove prospettive. Tokyo è di tutti ma non appartiene a nessuno, tutti la guardano ma nessuno la può svelare completamente. Con Reflected Tokyo ho spogliato questa città di uno solo dei suoi veli e ne ho trovato qualcosa di nuovo. Così ora ho sempre il desiderio di tornare in quelle strade per trovare altri veli da sollevare, e magari scoprire di nuovo che Tokyo è diversa da come la conosco.

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TRA LE VIE AFFOLLATE DI AKIHABARA UN UOMO SEMBRA DIRIGERSI VERSO SE STESSO PER SCONTRARSI CON IL SUO DOPPIO INVISIBILE

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DALLE PIRAMIDI ALL’ARCHEOLOGIA RAFFINATA DELLA NUBIA TESTO E FOTO DI TERESA CARRUBBA

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DALLE PIRAMIDI ALL’ARCHEOLOGIA RAFFINATA DELLA NUBIA La Nubia, l’antico regno dei Faraoni Neri, la cui storia si mescolò a lungo con quella degli egizi assorbendo segni ancora tangibili della loro grande civiltà. Basti pensare alle preziose quanto poco conosciute zone archeologiche lungo l’ansa del Nilo, che delimita la Nubia appunto, e che è la meta del nostro viaggio. Ci riferiamo a quell’area settentrionale del Sudan che va dalla capitale Khartoum fino al Lago Nasser, al confine con l'Egitto. Khartoum ha il colore della sabbia, le case basse senza intonaco scandite da un intrico di vie intersecate da altre vie tutte parallele. Nelle zone lontane dal centro l’asfalto lascia il posto alla terra battuta, forse sabbia, che rende polverosa l’aria penetrando nei vecchi portoni e nelle bottegucce di generi comuni. Il calore della storia viene dalla Khartoum coloniale, quella costruita dagli inglesi agli inizi del Novecento che conserva tutto il

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fascino del loro stile. Persino da certi alberghi, come l’Holiday Villa, in perfetto coloniale inglese dove alloggiarono britannici illustri come Winston Churchill e la Regina Vittoria. Anche noi lo abbiamo scelto, preferendo la storia alla sfarzosa modernità di alberghi come l’adiacente lussuoso Burj Al-Fateh Hotel, realizzato nel 2009 in stile hitech dalla società italiana CMC . I due alberghi, pur così diversi, godono di un comune privilegio, quello di affacciarsi entrambi sulle mitiche acque del Nilo che proprio qui, in Nile Road, raddoppia la sua leggenda mescolando i due vigorosi rami, il Nilo azzurro e il Nilo bianco. Il Nilo, laccio fertile che annoda Mediterraneo e Africa nera, irrorò di linfa vitale terreni e civiltà che lungo le sue sponde eressero i loro sacrari. Buhen, Semna ovest e Semna est, tre templi portati in salvo dalle acque quando il Lago Nasser sommerse la Seconda Cataratta del Nilo, sono stati ricomposti proprio a Khartoum, nel Museo Archeologico, dove comincia a delinearsi in noi la consistenza e la raffinatezza di quelle civiltà antiche, come la Kerma che si colloca tra il 2500 e il 1500 a.C. Il nostro viaggio ci dirige a Nord, all’interno della regione nubiana, nella grande ansa del Nilo.


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I RARI INCONTRI SONO SIGNIFICATIVI PER PENETRARE L’ESSENZA DI QUESTO MONDO E DI QUESTA GENTE COSÌ POCO ABITUATA A PRESENZE ESTRANEE

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QUI NON VIVE QUASI N CHE SPOSTANO MA IN RUDIME 34

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NESSUNO SALVO ALCUNI NOMADI NDRIE DI CAMMELLI E DORMONO ENTALI CAPANNE DI RAMI SECCHI

Con la piccola carovana di fuoristrada attraversiamo un territorio desertico, geologicamente variegato, tra i suggestivi graniti della sesta Cataratta, le dune color ocra da cui affiorano piramidi appuntite e templi, le montagne sacre e i siti archeologici. Raggiungiamo Naga, simbolo della civiltà meroitica. Un corteo di sfingi con le sembianze di ariete guida lo sguardo verso il tempio del dio Amon, mentre ad Apedemak, il dio leone, è dedicato un altro tempio con un bel portale e grandi raffigurazioni in rilievo. I due templi dividono lo spazio con un raffinatissimo chiostro facendo di questo luogo una chicca dell’archeologia. Meta di studiosi il Grande Recinto, nella vicina Musawwarat, con vasti androni e un tempio del I° secolo d.C.. Ancora oggetto di scavi archeologici, del Grande Recinto non si sa molto. E’ presumibile che sia stato dedicato al dio elefante, almeno a giudicare dai numerosi bassorilievi e raffigurazioni, ma da alcuni si sostiene che fosse un centro di raccolta e di addestramento per gli elefanti, grazie anche alla presenza di un’enorme cisterna per l’acqua che viene ancora utilizzata dagli abitanti dei villaggi vicini. Quaranta vette aguzze disegnano un insolito, emozionante orizzonte su quelle colline di sabbia che al tramonto s’infiammano della suggestione più totale, immerse in un silenzio eloquentissimo. E’ la Necropoli reale di Meroe, utilizzata fra il 400 a.C. ed il 400 d.C. nel periodo di maggior splendore della civiltà meroitica e oggi a buon diritto dichiarata Patrimonio dell’Umanità. Re e regine riposano qui, nelle tombe ipogee sovrastate dalle vere e proprie piramidi, orpelli, strutture funerarie esterne. A differenza delle sepolture faraoniche egizie, che avvenivano in un antro della piramide stessa. Di fronte ad alcune piramidi, discrete cappelle votive con bassorilievi narrano le gesta del Faraone o raffigurano le divinità. I siti archeologici del Sudan non hanno nulla a che invidiare a quelli del vicino e ben più visitato Egitto, quanto a valore storico e artistico. La minore imponenza è compensata dalla raffinatezza di queste strutture raccolte, erette in aree naturalistiche che di per sé offrono intimità ed atmosfera. Un’intimità che rimane tale per via del fatto che il Sudan è una meta per viaggiatori e non per turisti. Qui neanche in piena stagione, quella che va da ottobre ad aprile, si sarà privati di quella quiete necessaria per entrare nella storia in punta di piedi. Lungo il viaggio la solitudine è assicurata. I rari incontri però sono significativi per penetrare l’essenza di questo mondo e di questa gente così poco abituata a presenze estranee. Un’occasione da non perdere in questo senso è l’attraversamento del Nilo con i ponton, vecchi traghetti di ferro, traballanti, che tutto il giorno attraversano il fiume da una sponda all’altra, da Atbara alla riva orientale e viceversa. EMOTIONS

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Quel breve passaggio, a partire dalle attese che possono essere anche lunghe e imprevedibili, mostra uno spaccato di vita locale, tra carretti, contadini carichi di fagotti, asini e quant’altro. Arrivati in qualche modo dall’altra parte, ci inoltriamo nel deserto del Bayuda, territorio di nomadi Kababish e Bisharin, verso Napata. Il Bayuda non lascia spazio alla monotonia. La pianura sassosa interrotta solo dal solco di fiumi secchi da tempo immemorabile, ad un tratto si solleva nel profilo ruvido delle montagne che dal colore nero tradiscono la loro origine vulcanica per poi distendersi di nuovo in enormi spianate di sabbia gialla dove la vegetazione è praticamente assente fatta eccezione per una pianta endemica che produce una deliziosa piccola zucca verde, decorativa quanto infida: è estremamente velenosa. L’aridità complessiva del Bayuda ne fa una zona desertica in senso letterale. Qui non vive quasi nessuno salvo alcuni nomadi che spostano mandrie di cammelli e dormono in rudimentali capanne di rami secchi costruite vicino ai rari pozzi. Torniamo dall’altra riva del Nilo, e raggiungiamo Karima e il Jebel Barkal, la montagna sacra. I sudanesi l’hanno particolarmente a cuore e appena possono vengono qui e vi si arrampicano fino a scorgere, dall’alto, la pianura sabbiosa attraversata dal percorso sinuoso del Nilo e una parte del Bayuda. All’alba lo spettacolo si tinge di rosa svelando poco a poco tutti i profili. Ai piedi del Jebel Barkal, che respira ancora l’aura religiosa della Nubia, si trova il tempio di Amon e, scavato nella roccia, un androne affrescato dedicato alla dea Hator insieme alle due magnifiche colonne all’ingresso con la sua immagine. Intorno al Jebel le necropoli reali dell'antica città di Napata, capitale della Nubia dal 740 al 350 a.C. prima del periodo meroitico, si trovano a Nuri e a El Kurru, dove è possibile visitare due tombe ipogee dai magnifici affreschi. A El Kurru, un piccolo villaggio silenzioso e apparentemente deserto, abbiamo avuto la misura di quanto i nubiani possano essere ospitali e affabili. Siamo stati invitati in casa di una famiglia numerosa che ci ha accolto con calore offrendoci, come da rituale, un bicchiere di Karkadè. Un approccio che ci ha aperto la strada ad un rapporto sempre più vicino con i nubiani percorrendo, nella parte finale del nostro viaggio, la zona dei villaggi. Lo spirito dell’accoglienza che li contraddistingue e che è radicato nella loro natura comincia da lontano quando, vedendoci arrivare in carovana con i fuoristrada, ci vengono incontro in gruppo. Frotte di bambini ci raggiungono, scoprono le nostre macchine fotografiche e ci offrono il loro sorriso per un’immagine da rivedere immediatamente sul display.

www.viaggilevi.com

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Donne dai volti bellissimi, dalle espressioni intense con il viso ammorbidito dai drappi colorati, lo sguardo approfondito dal khol, le mani e i piedi decorati con l’Hennè. Secondo un rituale che si ripete nelle occasioni importanti, in complicità tra donne, nel punto più ombreggiato del cortile di casa. Ci si confida l’una con le altre mentre la decoratrice improvvisa motivi floreali o scaramantici. Il cortile è il centro di aggregazione familiare di queste umili case, sempre molto vasto, con panche o sedili a disposizione anche per amici o viandanti. Quasi inesistenti i mobili ma molte le brande sempre pronte nelle varie camere da letto nell’eventualità che passi qualcuno stanco per il viaggio o per il caldo che a volte raggiunge livelli ragguardevoli. Noi abbiamo avuto anche giornate con 54°C, ad ottobre! Per gli stessi motivi, nel cortile, o in certi casi addirittura all’esterno dell’abitazione, vengono poste delle giare di terracotta piene d’acqua da cui chiunque possa attingere se ha sete. Forse fa parte di questo fortissimo senso dell’ospitalità anche l’usanza di decorare a tinte vivaci il portone di accesso, come segno di benvenuto.


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MIRELLA SBORGIA

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UN’EsPERiENzA GLAMOUR PER CoNosCERE CUzCo

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sorseggiare a fine giornata una tisana di erbe di alta montagna, in un balconcino coloniale che affaccia su un suggestivo patio fiorito, mentre il sole intenso delle Ande cede il passo alla rigida notte del Cuzco...

Poi scendere nella sauna andina, una sorta di grotta di umida pietra vulcanica, e rilassarsi con un massaggio con le pietre riscaldate della Valle Sacra. Terminare la serata nell’intimo ristorante La Bodega de la Chola, già una pikanteria molto popolare in cittá, assaggiando i prodotti della ricca cultura gastronomica cuzqueña, con tocco d’autore. Carpaccio di alpaca, ceviche di trota di montagna, risotto di quinua, serviti su spendide ceramiche artigianali ed accompagnati da una buona Cuzqueña, la famosa birra locale, o - perché no? dall’ottimo Pisco peruviano, solo o sour. Preludio perfetto per un’ultima passeggiata notturna nella

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maestosa Plaza de Armas, a pochi passi di distanza, con lo sguardo rivolto alle chiese illuminate e ai balconi di massiccio legno intagliato, ma anche al cielo terso e stellato di questa terrazza sulle Ande che è Cuzco. Si tratta semplicemente di respirare l’atmosfera magica di quella che fu la capitale dell’impero Inca e una delle piú importanti cittá del Viceregno del Perú. Oggi, meta del turismo universale e briosa capitale della cultura aymara, con la sua lingua quechua, le tradizioni ancestrali e i colorati copricapi delle donne che arrivano dalle campagne per vendere formaggi, verdure o gli splendidi tessuti in lana di alpaca e vigogna della tradizione andina.


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si narra che il poeta cileno Pablo Neruda e il mitico Che Guevara abbiano soggiornato in questa residenza. Ma a Casa Cartagena si sente anche l’atmosfera elegante dei palazzi nobiliari dell’aristocrazia coloniale, con i blasoni intagliati in pietra sopra gli imponenti portoni, i loggiati di ascendenza castigliana e le mura intonacate, costruite sulle fondamenta di pietre perfettamente lavorate della cittá incaica. Eh si, perchè Casa Cartagena viene costruita nel secolo XVII proprio come residenza privata dall’allora Encomendador del Cuzco, Don Fernando Cartagena y Santa Cruz. E questo sapore di ‘casa’, sebbene nobiliare, è proprio la caratteristica distintiva di questo complesso architettonico, che a differenza di altri palazzi signorili, che albergavano anche attivitá economiche e di rappresentanza pubblica dei loro signori, mantiene una grazia intima nelle forme e nelle ‘dimensioni umane’ delle sue strutture, nel doppio patio-giardino dove è facile immaginare eleganti donzelle che conversano sulle ultime vicende social della cittá o bambini vocianti, intenti ai propri giochi, tra il viavai della sicuramente numerosa servitú. Ma la storia di Casa Cartagena non finisce con le vicende dei suoi proprietari dai nobili natali. Si narra che, molto piú recentemente, personaggi universali come il poeta cileno Pablo Neruda e il mitico

Che Guevara abbiano soggiornato in questa residenza, probabilmente attratti dall’atmosfera unica di tranquillitá e luminositá andina che vi si respira. Restaurata in maniera impeccabile da Stefano Boetto, una quindicina di anni fa, Casa Cartagena è oggi un hotel romantico e di un lusso discreto, ideale per un viaggio per celebrare qualcosa di speciale o per un´immersione culturale nella cittá dell’Inca e i suoi stupendi paraggi. Dalle sue 16 suites, tutte amplissime e decorate con pezzi di design moderno e made in Italy, a contrasto con la seriositá dell’architettura coloniale, è facile prepararsi per un’escursione al leggendario Machu Picchu (raccomandiamo salire a piedi per evitare le orde di turisti che, quando arriverete, staranno giá riscendendo), agli incredibili colori dell’arcobaleno della Montagna dei Sette Colori, ai suggestivi mercati artigianali di Pisac o Chincheros, ai molteplici siti archeologici dell’impero Inca, che da Cuzco governava un immenso territorio compreso tra il Cile e la Colombia meridionale. Ce n’è per tutti i gusti. Turismo avventura, trekking, escursioni culturali e gastronomiche, tanto variopinto artigianato e le maestose cime innevate delle Ande sempre all’orizzonte. EMOTIONS

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Al ritorno, vi aspetterà la gentilezza ed efficienza del personale dell’hotel - una menzione speciale a Magaly, alla reception, ed Alexander, il re di una colazione gourmet che da sola vale il viaggio. In stanza, la calda sensazione del legno antico dei pavimenti sotto i piedi, un profumato e coloratissimo cesto di frutta sul tavolo della sala, decorata con mobili di pregio dai colori vivaci, qualche traccia degli affreschi originali sulla parete sopra il letto - enorme - della camera, un bagno ultramoderno con doccia e vasca (fatevi accendere le candele, la sera, ed avrete un’atmosfera davvero speciale per il vostro bagno). Se poi avete scelto la suite principale, adatta anche ad un’intera famiglia con i due lettoni aggiuntivi al secondo piano, nei 150 metri quadrati della stanza avrete a disposizione una grande vasca idromassaggio, una sauna ed un lettino per massaggi privati, oltre ad una terrazza coperta davvero suggestiva. Merita finalmente segnalare l’attenzione con la quale Casa Cartagena cura i propri giardini, rigogliosi e pieni angoli fioriti delle specie vegetali della regione, e i dettagli artistici presenti quasi ovunque, comprese le bellissime

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ceramiche artigianali del ristorante, frutto del talento e della creativitá di Claudia Caffarena, artista e compagna di vita di Stefano Boetto. E proprio di Stefano vi vogliamo parlare. Un torinese che si è innamorato della cultura cusqueña e di queste montagne cosí diverse dalle Alpi native, tanto da fare nel 2006 un enorme investimento nell’acquisto e successivo rifacimento di Casa Cartagena e nella sua trasformazione, nel 2009, in quello che è oggi sicuramente uno degli hotel piú esclusivi e gradevoli di Cuzco, con un concetto di qualitá, sobria eleganza, stile ed attenzione ai dettagli che è certamente retaggio della miglior tradizione piemontese. Casa Cartagena è qualcosa in piú di un hotel di lusso. E’ un’esperienza unica per conoscere Cuzco sentendosi, per qualche giorno, parte di questa cultura millenaria che riunisce le tradizioni ancestrali andine e la cultura europea della “conquista” in quello che è oggi il Perú contemporaneo: un Paese pieno di vitalitá che ha saputo imporsi sulle tavole di tutto il mondo proprio grazie al riconoscimento, in chiave di futuro, delle sue tante radici culturali. www.casacartagena.com/en


Claudia Caffarena e Stefano Boetto

Royal Suite

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SOLE, MARE, ALLEGRIA, FESTA, COLO

VIAGGIO A

LUISA CH

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ORI, MUSICA E SUNSET CELEBRATION

KEY WEST

HIUMENTI

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oGNi sERA lA follA di TURisTi E Gli AbiTANTi dEll’isolA si RiTRoVANo TUTTi iN di ARTisTi di sTRAdA E mUsiCA, il TUTTo CoRREd Key West, la più importante e conosciuta delle isole che compongono l’arcipelago delle Keys, rappresenta per molti un sogno, un paradiso di bellezze naturali situato nel punto più a sud degli Stati Uniti. Key West è sole, mare, allegria, festa, colori, musica e Sunset celebration. Si, perchè ogni sera la folla di turisti e gli abitanti dell’isola si ritrovano tutti insieme a Mallory Square per ammirare il tramonto tra balli, spettacoli di artisti di strada e musica, il tutto corredato dall’applauso finale al calar del sole. Una passeggiata su Duval Street vi porterà poi per la cena in uno dei molteplici ristoranti che propongono cucine provenienti dai quattro angoli del pianeta. E anche sul buon cibo possiamo affidarci ad Hemigway che da qui compiva spedizioni personali per dedicarsi alla pesca. Egli confessa, in uno dei

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suoi libri, di apprezzare molto le ostriche, ma amava soprattutto mangiare bene ogni volta che poteva e Key West era per lui il luogo ideale per assaporare pesce fresco locale e nelle Keys trovava anche frutti di mare locali e festival legati al pesce, come le gare di pesca con il bonefish e le gare di granchio di pietra. Ma già la fantastica corsa in auto che si può compiere per raggiungere Key West da Miami, ci può offrire una sosta stupefacente all’Everglades National Park. Qui si apre dinanzi ai nostri occhi la vista di piante esotiche, uccelli particolari e varie specie di rapaci ma anche in frenetico movimento, nei canali e tra le canne, numerosi alligatori così vicini alle passerelle su cui ci troviamo, da poterli quasi toccare. L’Everglades National Park, un’area paludosa che occupa la punta meridionale della


VIAGGIO A KEY WEST

NsiEmE A mAlloRY sqUARE PER AmmiRARE il TRAmoNTo TRA bAlli, sPETTAColi dATo dAll’APPlAUso fiNAlE Al CAlAR dEl solE Florida, è infatti l’unico luogo sul pianeta in cui convivono alligatori del Mississippi e coccodrilli americani. Viene infatti chiamata spesso la “Casa dei coccodrilli americani”. Addentrandoci, sentiamo di essere quasi avvolti dall’eccezionale vastità e variegata ricchezza ambientale del Parco (esteso per ben 6.105 kmq.) accolti a mano a mano da più o meno angusti sentieri immersi nella vegetazione sempre mutevole, passando dalle pinete al bosco di cipressi fino ad arrivare alle mangrovie. Quando ci accoglie il centro storico di Key West, molto ridente e pieno di bei giardini, siamo pronti a condividere le emozioni vissute da personaggi illustri come Ernest Hemingway o Harry S. Truman, il 33esimo Presidente degli Stati Uniti, che vi ebbero una propria abitazione che oggi possiamo visitare.

l’ARCiPElAGo dEllE KEYs

Everglades National Park

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VIAGGIO A KEY WEST

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VIAGGIO A KEY WEST

liTTlE WHiTE HoUsE, CAsA di HARRY s. TRUmAN

lA CAsA di E

CHi Ci RiCEVE è sUbiTo UNo dEi NUmERosi GATTi CHE CiRColANo dA PAdRoNi iN oGNi doVE ERNEsT HEmiNGWAY CHE, ComiNCiò Ad ACCoGliERE qUEllA CHE è oGGi UNA ColoN Truman si era fatto costruire quella che oggi viene identificata con il nome di “Little White House” che nel 1890 fu il “quartier generale” della stazione navale durante la guerra contro la Spagna e mantenne poi la stessa funzione anche durante i due conflitti mondiali. La casa e il giardino dove Hemingway ha soggiornato, ora Casa-Museo, si trova al n. 907 di Whitehead St. una strada parallela della più famosa Duval Street, a poca distanza a piedi dalla spiaggia di South Beach e dal faro del Southernmost Point. Visitarla è davvero una gradevole sorpresa ad ogni passo. Si tratta di una casa a un piano, circondata da un giardino tropicale e da un portico su tutti i lati, e da una piccola dependance in cui si trova lo studio dello scrittore. La facciata è bianca con le porte e le

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finestre dalle imposte gialle, ed un terrazzo al piano superiore: tipica casa coloniale, ventilata ed ombreggiata. Chi ci riceve è subito uno dei numerosi gatti che circolano da padroni in ogni dove, con estrema disinvoltura. Fu infatti lo stesso Ernest che, dopo aver avuto in regalo il gatto Snow White, cominciò ad accogliere quella che è oggi una colonia di una cinquantina di felini, che dormono sul letto dello scrittore, si rotolano sui pavimenti e girano nel giardino dove si possono trovare lapidi ricordo degli scomparsi, tra cui anche una con il nome di Kim Novak. Durante la visita della casa, siamo subito coinvolti dalla suggestione dei vari oggetti da cui scaturisce uno spaccato piacevolissimo di quella che poteva essere la vita del grande scrittore in quella pittoresca cittadina,


ERNEsT HEmiNGWAY

E, CoN EsTREmA disiNVolTURA. fU iNfATTi NiA di UNA CiNqUANTiNA di fEliNi fra gli anni ‘30 e ‘40 del Novecento, con la seconda delle sue quattro mogli Pauline Pfeiffer. Ed ecco la sua “pomposa” macchina da scrivere e le numerose foto d’epoca i tanti libri e le foto degli amici artisti contemporanei (quella da lui coniata come “generazione perduta”), le locandine dei film tratti dai suoi romanzi (“Per chi suona la campana” del 1940, da cui venne tratta la pellicola di grande successo con Ingrid Bergman e Gary Cooper), le foto delle imprese di pesca con la sua Pilar, i ritratti, e molte altre testimonianze storiche interessanti. E’ anche curioso ricordare che questa casa ebbe la prima piscina in assoluto costruita a Key West, ma il suo costo fu talmente grande che Hemingway vi gettò simbolicamente il suo “ultimo penny”, incastonato in una mattonella del pavimento. EMOTIONS

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il sEVEN milE bRidGE è il PoNTE sosPEso sUll’oCEANo lUNGo qUAsi sETTE miGliA, CHE CollEGA lA floRidA CoN lE isolE KEYs

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VIAGGIO A KEY WEST

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FIRENZE

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TRA LEGGENDA E REALTÀ

LO SCOPPIO DEL CARRO

La nebbia artificiale dei fumogeni avvolge tutto e tutti e come se arrivasse dal passato, emerge l’alta mole di un manufatto in legno, arricchito da sculture, fregi, stemmi: è il Carro TESTO E FOTO DI GIUSEPPE GARBARINO

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Piazza del Duomo, Firenze, ore 11,00. I piccioni che affollano i monumenti cittadini scappano disturbati dal fragore chiassoso di cento “botti”, la nebbia artificiale dei fumogeni avvolge tutto e tutti mentre i primi colorati fuochi d’artificio iniziano a illuminare lo spazio tra la facciata di Santa Maria del Fiore e il Bel San Giovanni, il battistero della città. Dal fumo, come se arrivasse dal passato, emerge l’alta mole di un manufatto in legno, arricchito da sculture, fregi, stemmi: è il Carro. Da secoli quello che i fiorentini chiamano “brindellone”, per la sua mole, è al centro della celebrazione pasquale, un tempo utilizzato il sabato Santo e oggi, dopo una variazione della liturgia, utilizzato per i riti della mattina di Pasqua. Tutto cominciò all’alba delle crociate, quando il leggendario Pazzino de’ Pazzi riuscì per primo a salire sulle mura di Gerusalemme nel 1099 e per questo venne ricompensato da Goffredo da Buglione con delle pietre sacre, provenienti dal Sepolcro del Cristo. Mentre gli storici continuano a discutere sull’esistenza di questo mitico personaggio immortalato a scalare le mura della Città Santa, lo Scoppio del Carro attira oggi come ieri migliaia di persone, tutte con il naso all’insù per veder passare il simulacro della Colombina, un piccolo missile a forma di uccello che partendo dall’altare maggiore del Duomo percorre velocemente, lungo un filo metallico, il tratto che lo separa dal Carro che è stato posizionato davanti all’ingresso principale della chiesa; qui incendia una miccia e torna indietro nuovamente all’altare maggiore. Se tutto procede bene e non ci sono intoppi lungo il percorso, ci saranno ricchi raccolti per la prossima stagione e APRILE - MAGGIO


Da Gerusalemme arriva la tradizione pasquale di Firenze

soprattutto nessuna sventura colpirà Firenze. Ma mentre tutti sono a godersi lo spettacolo pirotecnico che dura circa venti minuti, torniamo a parlare della tradizione. Pazzino, capostipite di una importante famiglia fiorentina di banchieri, una volta tornato in patria e acclamato con solenni onori da tutti i cittadini, volle che le pietre venissero usate per accendere il fuoco benedetto, simbolo di resurrezione pasquale, come era tradizione presso crociati di Terra Santa. A tutte le famiglie cittadine veniva quindi consegnata la fiammella del fuoco santo ma il rituale negli anni cambiò diventando sempre più spettacolare, fino alla costruzione di un primo carro che portava i carboni infuocati e poi un macchinario più imponente sul quale vennero posizionati i primi fuochi d’artificio. L’attuale Carro venne realizzato dalla famiglia Pazzi nel 1765, dopo che quello precedente era stato danneggiato dai fuochi e non era più il caso di restaurarlo. Venne quindi costruito un carro “trionfale” più resistente e a tre ripiani che potrebbe ricordare le macchine da guerra che venivano usate per assalire le mura nel Medioevo, forse un ricordo dell’impresa di Pazzino alla conquista di Gerusalemme. Se guardiamo la parte superiore del carro si nota chiaramente una corona, una merlatura che dovrebbe ricordare la cinta muraria di Gerusalemme sostenuta da quattro delfini rovesciati che sono il simbolo dello stemma dei Pazzi. Altri stemmi o armi si trovano su un livello inferiore del Carro, sono le due armi dei Pazzi, quella antica con le mezzelune, per indicare l’origine dalla vicina città di Fiesole e quelle moderne, attribuite alla famiglia dopo il 1200. EMOTIONS

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TRA LEGGENDA E REALTÀ

LO SCOPPIO DEL CARRO

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Siamo all’apoteosi della manifestazione. Il fumo, gli scoppi, le migliaia di scintille che avvolgono il Carro e tutto intorno le centinaia di flash delle macchine fotografiche Ritorniamo in piazza, anzi riavvolgiamo il tempo fino al momento in cui il Carro, trainato da dei magnifici buoi che sembrano dipinti in un quadro del Fattori, esce dal suo alloggio sul Prato, vicino alla cerchia dei viali dove un tempo si ergevano le mura di epoca dantesca. Da li, lentamente, scortato dal Corteo della Repubblica Fiorentina, raggiunge il centro della città dove è atteso dai Bandierai degli Uffizi, i quali, dopo aver fatto un primo spettacolo di Astiludio lo scortano finalmente fino a piazza del Duomo, sotto gli sguardi incuriositi della folla ondeggiante. E’ un tripudio di uniformi, colori, armi antiche, bandiere. La Firenze del 15esimo secolo rivive in tutta la sua gioia, unendo il sacro e il profano, la Santa Pasqua con i suoi ritmi eterni accanto al lento passare di un esercito, ormai di pace, che vive in simbiosi con questa grande città d’arte. L’attesa viene punteggiata da tutta una serie di piccole e grandi cose, il tirare e l’agganciare il cavo metallico al Carro, la messa in sicurezza dei fuochi, il posizionamento del Corteo Storico, l’esibizione dei Bandierai al ritmo dei tamburi e annunciati dallo squillo delle chiarine, l’estrazione delle squadre che si dovranno sfidare alle partite del Calcio Storico a giugno, i riti religiosi che vedono il corteo con l’Arcivescovo passare dal Battistero al Duomo, la benedizione della folla ed infine, all’intonazione del Gloria, il veloce passaggio della Colombina che, con un guizzo quasi indistinguibile, raggiunge il Carro per far iniziare lo spettacolo pirotecnico. Gli occhi sono tutti puntati sul filo, appena distinguibile, quando finalmente eccola, la Colombina passa con un sibilo sparendo subito allo sguardo. Si concede poco questa ambasciatrice di pace e prosperità. Siamo all’apoteosi della manifestazione. Il fumo, gli scoppi, le migliaia di scintille che avvolgono il Carro e tutto intorno le centinaia di flash delle macchine fotografiche che azionati a ripetizione fanno da luminosa e moderna aureola alla piazza. Dall’interno del Duomo si scorge il grande Carro come avvolto nelle nuvole, la funzione religiosa stenta a proseguire tanto è il fracasso che rimbomba dentro le antiche navate. Siamo ormai all’epilogo di questo rito unico al mondo, una messa con i fuochi d’artificio, una funzione religiosa della quale si perde il profondo significato storico a vantaggio di un’esposizione mediatica e mondana a favore dei turisti che assediano la piazza. Anche questa volta la Colombina ha fatto il suo dovere, tutti si incamminano verso il meritato pranzo pasquale, la grande piazza è tutto uno stringersi di mani, di abbracci, saluti. Al prossimo anno, Dio volendo.

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TRA LEGGENDA E REALTÀ

LO SCOPPIO DEL CARRO

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KALEIDOSCOPE

http://kotsanas.com

Piccolo e affascinante, il museo fondato da Kostas Kotsanas nel cuore di Atene

Il Museo della Tecnologia dell’Antica Grecia Noto il tutto il mondo il rilevante contributo degli antichi

greci al mondo della filosofia, delle belle arti e delle scienze.

accompagna il visitatore attraverso la storia delle più

importanti macchine tecnologiche inventate e realizzate

Ma non tutti sanno quanto la nostra civiltà moderna deve

2000 anni fa, e che oggi fanno parte della nostra vita

loro a inventare il primo computer, il primo robot,

Tra i più rilevanti il più antico calcolatore meccanico, la

ai greci nel campo della tecnologia. Infatti, furono proprio il primo radar acustico, la prima sveglia, il primo campanello e molto altro ancora.

Modelli funzionati di queste e altre invenzioni sono in

mostra nel Museo della Tecnologia dell’Antica Grecia,

in una bellissima palazzina dalla facciata Art Nouveau già

di tutti i giorni.

Macchina di Anticitera, un planetario che serviva per

calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i mesi e i giorni,

la Clessidra ad Acqua di Ctesibio che scandiva i minuti e

le ore, e il Servo di Philon con sembianze umane che

versava il vino mischiandolo con acqua secondo i desideri

di proprietà della Regina Aspasia nel quartiere centrale

dei commensali, il primo robot della storia.

a giochi e strumenti musicali, sono repliche fedeli delle

appassionati della tecnologia, sia grandi che piccoli, con

Una collezione unica e di grande fascino, fondata

italiano. Aperto tutti i giorni dalla 9.00 alle 17.00.

di Kolonaki ad Atene. Oltre 300 i modelli che, insieme invenzioni più geniali degli antichi greci.

dall’Ingegnere Kostas Kotsanas che ha costruito tutti i

modelli, molti dei quali sono interattivi. Il piccolo museo

Un museo unico nel suo genere e imperdibile per gli

opere corredate di spiegazioni in inglese, greco, francese e Pamela McCourt Francescone EMOTIONS

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KALEIDOSCOPE Lusso, alta gastronomia e benessere in simbiosi con la natura e le tradizioni millenarie vietnamite

Banyan Tree Lang Co Inserito in uno stupendo teatro naturale con protagonisti il mare e il

design ca

la maestosità della natura e il lusso delle 49 ville con piscina dove le

un insiem

verde, il Banyan Tree Lang Co è un rifugio privilegiato dove perdersi tra

tradizioni secolari vietnamite risplendono negli arredi e nell’accoglienza.

A un’ora di strada dall’aeroporto internazionale di Danang, il Banyan Tree Lang Co (Lang Co è il nome del piccolo villaggio alle porte del

resort) e l’attiguo Angsana Lang Co sono adagiati sui 280 ettari del

magnifico comprensorio che conta anche 40 ville residenziali e il campo

APRILE - MAGGIO

terrazze

sabbia do Nei quat

raggiung

sovrasta

da golf Laguna Golf Lang Co.

rivisitata

architettoniche delle grandi dinastie dell’antichità con elementi di

frutti di m

Ispirate al ricco patrimonio vietnamita, le ville fondono le linee

70

e seta, ba

menu me


aratteristici delle case tradizionali dell’ex-capitale Hue. Lacche

ambù e vimini, il mobilio elegante, i quadri e le ceramiche creano

me di lussuosa eleganza. Nei giardini privati le piscine e le

prime colazioni - con spumante e cocktail Bloody Mary e Margarita fai-

da-te - risvegliano i sensi, e di sera nell’ambiente elegante e accogliente

lo chef propone ricercate specialità locali. Nella Spa pluripremiata i

con daybed a due piazze, si affacciano sulla lunga spiaggia di

trattamenti personalizzati basati su formulazioni orientali tradizionali

tro ristoranti - ce ne sono altri quattro nell’Angsana - si

e della mente.

orata o sulle acque tranquille della laguna.

ge la più alta espressione culinaria. Il ristorante Saffron, che

la baia dal punto più alto del resort, propone una cucina thai

a, giocata su sapori e colori tradizionali e contemporanei. Sul

editerraneo di Azura spiccano sfiziose pizze e gustosi piatti di

mare. Nel ristorante vietnamita The Water Court, le ricche

regalano momenti di serenità e armonia all’insegna della cura del corpo

Il Banyan Tree Long Co si trova a meno di due ore da alcuni dei siti

UNESCO più affascinati del Paese: l’ex capitale Hue, le rovine dei templi

indù costruiti dai re Champa a My Son, e la pittoresca cittadina portuale

di Hoi An.

Pamela McCourt Francescone

https://www.banyantree.com/en/vietnam/lang-co


I

L I B R I

Colette Coleman

BELL’EUROPA IN MOTO I 25 itinerari migliori Editore Rizzoli

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Dopo averle percorse lei stessa, curva dopo curva, l'autrice guida il lettore alla scoperta delle strade segrete del Vecchio Continente, come dimostrano le oltre 200 fotografie che lo illustrano, sempre immersa in paesaggi mozzafiato, pronta ad accompagnarci lungo le strade più strette e tortuose, le salite più ripide, le terre più inesplorate, immergendoci nei paesaggi più emozionanti d'Europa. Dall'Andalusia al Mar Nero, dagli scenari innevati della zona artica della Norvegia alla mite Costa Azzurra, dalle valli e cime delle Dolomiti alle distese inesplorate della Romania. Ogni itinerario è corredato da una mappa e una scheda che riepiloga i dati fondamentali del percorso, dal tipo di terreno alla fauna locale, dai siti da non mancare ai tragitti abbreviati per chi dispone di meno tempo, da precise ed esaustive indicazioni pratiche relative alla lunghezza del percorso e alla tipologia del terreno nonché dalle coordinate gps utili. Vengono inoltre messe in evidenza le caratteristiche salienti di ciascun paese, l'atmosfera, le attrazioni artistiche e gli eventi che si possono incontrare, e vengono forniti diversi consigli utili per affrontare il viaggio in modo ottimale. Un libro indispensabile per essere pronti all'avventura e sperimentare fino in fondo la straordinaria varietà dei panorami del nostro Continente. FEBBRAIO - MARZO

E M O T I O N S

Jon krakauer

NELLE TERRE ESTREME

Un libro cult da cui è stato tratto il film INTO THE WILD Editore Corbaccio

Nell'aprile del 1992 Chris McCandless si incamminò da solo negli immensi spazi selvaggi dell'Alaska. Dopo aver abbandonato tutti i suoi averi e donato i suoi risparmi in beneficenza, voleva lasciare la civiltà per immergersi nella Natura. Non adeguatamente equipaggiato, senza alcuna preparazione alle condizioni estreme che avrebbe incontrato, venne ritrovato morto da un cacciatore, quattro mesi dopo la sua partenza per le terre a nord del Monte McKinley. Fu rinvenuto un diario che Chris aveva iniziato a scrivere al suo arrivo in Alaska e che ha permesso di ricostruire le sue ultime settimane. Jon Krakauer si imbatté quasi per caso in questa vicenda, rimanendone quasi ossessionato, e scrisse un lungo articolo sulla rivista "Outside" che suscitò enorme interesse. In seguito, con l'aiuto della famiglia di Chris, si è dedicato alla ricostruzione del lungo viaggio del ragazzo: due anni attraverso l'America all'inseguimento di un sogno. Questo libro, in cui Krakauer cerca di capire cosa può aver spinto Chris a ricercare uno stato di purezza assoluta a contatto con una natura incontaminata, è il risultato di tre anni di ricerche. “Nelle terre estreme” è anche una metafora sul rapporto tra la nostra civiltà e la natura che la circonda, un viaggio del corpo e dell’anima scritto da un maestro del racconto d’avventura che qui si mette in gioco lasciandosi coinvolgere dall’esperienza di un altro.




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