STAR CLIPPERS Unique Sailing Adventures
Dedicato a chi ama vivere il mare e la navigazione nella più antica tradizione velica. La flotta Star Clippers regala un’esperienza unica a bordo dei suoi velieri che rievocano i leggendari Clipper di un secolo e mezzo fa. Il perfetto connubio tra la tradizione della navigazione a vela, il comfort e la modernità di una nave da crociera e l’intimità di un grande yacht. Salpate con noi a bordo di Royal Clipper, Star Clipper o Star Flyer: Autentici velieri a 5 e 4 alberi.
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SOMMARIO GIUGNO | LUGLIO 2021
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BOLIVIA
LA NAZIONE PIÙ ELEVATA, PIÙ ISOLATA E PIÙ ASPRA DELL'EMISFERO
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SOMMARIO
CANNES
IL FASCINO DELLA COSTA AZZURRA
CINA
VIAGGIO NELLA PECHINO DI IERI E DI OGGI
Direttore Responsabile Teresa Carrubba tcarrubba@emotionsmagazine.com Ideazione logo Ilenia Cairo
VOLTERRA
LA MAGNIFICA VOLTERRA
BOLIVIA
UN SOGNO AD ALTA QUOTA
Fotografi Anna Alberghina Vergati-Mazzocco Archivio Aeroporti di Roma
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MAISON SAN FILIPPO, PARIOLI ROMA
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MANDARIN ORIENTAL RITZ, MADRID
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Responsabile Marketing e Pubblicità Enrico Micheli e.micheli@emotionsmagazine.com Pubblicazione Rivista Online Paolo Milanese grafico@idra.it Editore Teresa Carrubba
ELIO VERGATI
GIUGNOLUGLIO
Collaboratori Anna Alberghina Luisa Chiumenti Pamela McCourt Francescone Mariella Morosi
redazione@emotionsmagazine.com
KALEIDOSCOPE
SESSANT’ANNI DIETRO L’OBIETTIVO IN AEROPORTO
Progetto grafico e impaginazione Elisabetta Alfieri e.alfieri@emotionsmagazine.com
LIBRIEMOTIONS
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 – N° 310/2011 Copyright © – Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Case Editrice che ne detiene i diritti.
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Eccoci di nuovo agli albori dell’estate, dopo un anno da dimenticare ma con negli occhi la luce della speranza che tutto possa ricominciar
e ad ogni numero vi ha proposto nuove avventure, spunti creativi per immaginarsi là dove è sempre possibile andare. Dalle terre più lonta
oggi dalle numerose etnie. Antiche città coloniali ai piedi del Cerro Rico, le rovine Inca di Tiahuanaco ed il lago Titicaca a 3.820 m., le m
metri di altitudine con, al centro, l'Isla Incahuasi ricoperta di cactus”. Un viaggio in Cina attraverso la lattiginosa Pechino, immenso amalga
con grattacieli tecnologici arricchendosi l’un l’altro. L’oasi felice del Palazzo d’Estate tra tetti istoriati e distese di fiori di loto e l’immancabil
percorso s’insinua per quasi novemila chilometri. Ma torniamo in liti più vicini per visitare l’iconica Cannes, dove andavano a villeggiar star del cinema. “La parata di alberghi di lusso lungo la baia, il porto con l'ottocentesco Le Quai St. Pierre, la Croisette e le isole di Léri
diverso a Volterra, niente lustrini ma un’atmosfera languida e colta, fonte d’ispirazione di pittori e letterati, tra gli aridi calanchi che dig viaggi di Emotions non finiscono qui, ne propone uno ancora più intimo, attraverso i filtri di una macchina fotografica d’eccezione di un eventi passati in sessant’anni nell’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma. Mondanità e momenti tragici come attentati terroristici. Una di
Volterra
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e, a partire dai viaggi. Emotions non ha mai dimenticato il sogno del viaggio
ane, come la Bolivia, aspra e isolata, dal cuore indigeno perpetuato ancora
miniere e “il Salar de Uyuni, la più grande distesa salina del mondo a 3600
ma di passato e presente dove i luoghi sacri come la Città Proibita convivono e escursione alla Grande Muraglia, almeno per un tratto perché il gigantesco
re la nobiltà e l’intellighenzia d’Europa, oggi frequentata dalle più invidiate
ns”, fanno di Cannes una tra le mete più ambite della Costa Azzurra. Tutto
TERESA CARRUBBA
EDITORE, DIRETTORE RESPONSABILE
gradano nelle verdissime vallate e i sontuosi palazzi in pietra toscana. Ma i
fotografo d’eccezione, Elio Vergati il quale ha immortalato personaggi ed queste foto drammatiche ha meritato il Premio Pulitzer.
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DI IERI E DI OGGI testo DI TERESA CARRUBBA
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LA CITTÀ PROIBITA
È UNA METROPOLI ASIATICA IN CONTINUA ESPANSIONE NON SEMPLICEMENTE UNA COPIA DILATATA DELLE GRANDI CITTÀ OCCIDENTALI Il primo impatto con Pechino è il grigio lattiginoso del cielo al quale è impossibile sfuggire, se non nei rari giorni di sole assoluto, che non abbiamo avuto la fortuna di trovare. E’ lo scotto da pagare quando si vive in una megalopoli con più di 21 milioni di abitanti e un incessante traffico caotico che genera smog, nonostante circolino oltre 6 milioni di biciclette. Il primo impatto con Pechino è stato disorientante. Non era per le dimensioni. Di Pechino all’inizio mi sfuggiva la sagoma, la struttura, la legge intima che rende ogni città un organismo vivo. Intendo la Pechino moderna, naturalmente. Una metropoli asiatica in continua espansione non è semplicemente una copia dilatata delle grandi città occidentali. Pechino si moltiplica dentro se stessa, avvolgendosi in spazi sempre più piccoli e ramificati. Non è una geometria unica, ma una linea che continua a proliferare nicchie e ancora nicchie; la sua struttura potrebbe ricordare l’estenuante tecnica delle “scatole cinesi”. Una Pechino liquefatta, con i suoi grattacieli tecnologici stem-
perati dalla nebbia, i grandi viali squadrati e le caratteristiche stradine laterali, rappresenta l'essenza della Cina, con le sue contraddizioni: desiderio di modernità e preservazione della storia. Il simbolo della grandezza di Pechino è Tian'anmen, la piazza più grande al mondo, con i suoi 440.000 metri quadrati. Quando anni fa visitai per la prima volta la Piazza Rossa di Mosca, sentii fortemente l’imponenza di quel luogo ridurmi ad una piccolissima entità ed ero sicura che non avrei mai più visto niente di altrettanto grande. Fino a quando mi sono trovata al cospetto di Piazza Tian'anmen. L’occhio umano non ce la fa a coglierla tutta insieme e neanche il grand’angolo di una macchina fotografica professionale. Indescrivibile l’effetto che ha avuto su di me trovarmi in quell’immensità, non solo di spazi, ma di potere, di storia, di suggestione. Quel giorno pioveva a dirotto, il che rendeva la piazza ancora più grande, le distanze ancora più lontane, impacciati com’eravamo da impermeabile, ombrello, zaino, macchina fotografica e teleobiettivi.
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LA CITTÀ PROIBITA
ANCHE LA CITTÀ PROIBITA CON IL SUO IMPIANTO ARTICOLATO RISPECCHIA LA STRUTTURA DI PECHINO Il tutto, complicato dai blocchi delle transenne per i preparativi della parata del 1° ottobre 2009 con cui la Cina avrebbe celebrato proprio in questa Piazza i sessant'anni del regime comunista. Nonostante tutto, cordoni interminabili di persone si snodavano lungo il perimetro di Tian'anmen, in attesa di accedere ai luoghi fulcro della Piazza e di Pechino: La Città Proibita e il Mausoleo di Mao Tse-tung. Al Mausoleo erano diretti molti ragazzi, soprattutto cinesi, un vero e proprio pellegrinaggio se è vero che, come ci ha confermato la nostra competente guida Luisa, i giovani pensano a Mao come a colui che ha fatto grande la Cina. A lato del Mausoleo campeggia il grande obelisco, “Monumento agli eroi del popolo”, in memoria dei martiri che dettero la vita nelle lotte rivoluzionarie cinesi dei secoli XIX e XX . Altro cult di Pechino, La Città Proibita, che, come dice il nome, in passato era interdetta al popolo. La porta di accesso, sovrastata da una
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gigantografia di Mao, è sempre accalcata di visitatori, allettati, oltre che dalla storia, anche dal fascino del “proibito”, appunto. L’ingresso è protetto dalle guardie, così come del resto tutta la Piazza, da militari in divisa o in borghese e da telecamere installate sui vari lampioni d’illuminazione. Dai ritmi frenetici del centro cittadino alla Città Proibita ci sono pochi metri, ma secoli di storia li separano. Anche la Città Proibita, il più grande complesso di edifici imperiali del mondo, con il suo impianto articolato rispecchia la struttura di Pechino. Da un padiglione si entra dentro l’altro e da questo ad un altro e ad un altro ancora, passando per sterminati cortili, scalinate, logge, camminatoi, vicoli angusti tra due muri altissimi ed un punto di fuga lontano ed inquietante. Un labirinto di gloria o perdizione che non lascia intravedere uscite, che fa dimenticare, per attrazione ipnotica, l’esistenza di un mondo fuori.
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IL TEMPIO DEL CIELO
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LA CITTÀ PROIBITA
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BEIHAI PARK
HUTONG: UN QUARTIERE POPOLARE DI CASUPOLE BASSE, PER EVITARE CHE QUALCUNO POTESSE GUARDARE DALL’ALTO L’IMPERATORE IN VISITA Da una parte la Città maschile, i padiglioni rossi dai tetti scanalati d’oro, i troni lasciati solo intravedere da portoni transennati, che meriterebbero una sosta di meditazione se non fosse per la folla di cinesi, spesso irruenti, che sbucano da ogni lato coprendo quel poco che è consentito ammirare all’interno dei padiglioni. Tant’è. Ci si distribuisce per le scalinate di marmo dalle quali i messaggeri, portando dispacci dai confini dell’Impero, dovevano tenersi lontani dieci passi. Lo spazio del potere, dei palazzi dai nomi beneauguranti, Purezza celeste e Perfetta armonia, dove l’imperatore officiava l’unione dell’umano e del divino, incutendo timore e stupore insieme. Poi c’è la Città delle donne: quella dell’imperatrice e delle concubine. Qui lo spazio s’ingentilisce, tra muri rossi con draghi e fiori in maiolica verde, paraventi e finestre di carta di riso, intimi cortili con sophore nane. Ogni concubina aveva diritto ad un piccolo patrimonio di mobili, oggetti e preziosi proporzionato, in quantità e valore, al suo rango. La Città Proibita conserva una quantità incredibile di tesori dell’arte cinese, gran parte dei quali sono in esposizione presso il
Museo del Palazzo presente all’interno. Alle spalle di questo concentrato di storia, di potere e di ricchezza, vive una realtà ben diversa, quella della vecchia Pechino, vera, senza fronzoli e senza gloria: Hutong. Un quartiere popolare di casupole basse, per evitare che qualcuno potesse guardare dall’alto l’Imperatore in visita, dove il grigio non è solo il colore del cielo. Un mondo a sé, fatto di volti semplici, di voci, del cigolio delle biciclette. Ogni vicolo si ripiega in modo tortuoso rivelando il retro di una scena diversa, per poi interrompersi o sbucare in tutt’altro luogo. Smarrirsi tra le case di Hutong è facilissimo, i tetti a pagoda salgono e scendono tutti uguali. Qui non è mai esistito un piano regolatore, le abitazioni spesso hanno una strana dislocazione. Ci è capitato di visitarne una che sembrava un “albergo diffuso”, ovvero ogni stanza dell’abitazione faceva parte di una costruzione diversa e per spostarsi dall’una all’altra (dalla camera da letto, al soggiorno, alla cucina) bisognava uscire nel vicolo. Questa era una tra le case più attrezzate, perché possedeva anche un bagno. Hutong infatti ha un bagno pubblico ogni tot case.
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LA GRANDE MURAGLIA
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HUTONG Il colore predominante è il grigio polvere, anche se ci è capitato, dietro a una vetrata a giorno, di intravedere un frivolo copriletto rosa a volant su cui dormiva acciambellato un gatto bianco. Di fatto qui nessuno si lamenta, nemmeno i giovani, e noi ne abbiamo sentiti alcuni, i quali preferiscono vivere a Hutong dove si spende poco, si sta sempre in compagnia e si è lontani dalla convulsione della città. Ogni giorno alcuni abitanti del quartiere, prendono il proprio risciò e partono per il giro tra le vie di Hutong sperando di far salire a bordo qualche turista. Noi lo abbiamo preso, è il modo migliore per entrare nel vivo di questa realtà, lungo il canale, tra i negozietti, i chioschi dove arrostiscono spiedini che emanano un odore forte di spezie ed amicali scenette tra uomini come una partita a carte o a mahjong su un tavolo velocemente allestito sul marciapiede. Ma Pechino è soprattutto storia, quella imperiale, in qualche modo intrisa di superstizioni e tradizioni propiziatorie. E’ il caso, ad esempio, del Tempio del Cielo, costruito nel 1420, che costituiva la sede dei sacrifici al cielo e alla terra da parte degli imperatori delle due dinastie Ming e Qing (1368-1911). L’Altare del cielo è una maestosa piattaforma circolare di tre piani, ognuno dei quali circondato da una balaustra in pietra, che costituiva la zona centrale dei sacrifici imperiali, poi il Tempio del Dio dell’Universo e il Tempio della preghiera per il buon raccolto. Un complesso singolare e magnifico anche dal punto di vista architettonico, che coinvolge a tal punto da far dimenticare di essere in piena città. Un po’ fuori Pechino, invece, il Palazzo d’Estate, che merita un discorso a parte. Ci si arriva con una di quelle tipiche imbarcazioni con un vistoso drago dorato a mo’ di polena e si sbarca accanto ad un meraviglioso ponte da percorrere a piedi tra ringhiere di esili colonnine ed altrettante teste di leone. Nel Palazzo d’Estate c’è un itinerario fra grotte, rocce, minuscole pagode e scalinate scavate nella pietra, chiamato "Passeggiata dentro un dipinto”. Tanti giardini, padiglioni, stagni 22
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coperti da splendidi fior di loto, corridoi a loggia, tra cui uno in legno lungo 728 metri, le cui travi a soffitto sono dipinte con miniature tipiche della pittura classica orientale secondo la quale le raffigurazioni della natura erano considerate esercizi di stile raffinato. Logge e giardini, in epoca imperiale inaccessibili al popolo, ora diventano punto d’incontro tra amici, anche in là con gli anni. Essi si siedono sulle balaustre per giocare a carte, si raggruppano per suonare ed intonare un canto, per chiacchierare o passeggiare tranquilli. Chi viene a Pechino, non può non raggiungere la Grande Muraglia, l’imponente e monumentale costruzione difensiva iniziata più di duemila anni fa. E’ considerata una delle sette meraviglie del mondo, Patrimonio dell’Umanità, bene protetto dall’Unesco. Studi recenti hanno stabilito la sua reale lunghezza, 8.851 chilometri, svelando tratti prima sconosciuti della muraglia tra le montagne e i deserti della Cina settentrionale. Vale la pena di percorrerne un tratto a piedi, nonostante sia faticoso, perché la suggestione che offre è indescrivibile. Poi, volendo, si può proseguire con la cremagliera a vagoncini che sale fino alle torri di guardia. E’ ugualmente emozionante e lo è ancora di più se capita, ed a noi è capitato, di rimanere sospesi nel vuoto per qualche (interminabile) minuto per motivi tecnici. Precipitare sulla Grande Muraglia può essere una fine dignitosa, ma è meglio arrivare sani e salvi in cima. Anche perché da qui si gode uno spettacolo grandioso. Il muro si snoda compiacendo le forme della natura, adagiandosi come un serpente gigante e sinuoso su per le alture per poi scivolare nelle valli. Oppure come le spire di un ideogramma cinese dal significato misterioso e accattivante, nitido all’inizio e poi sfumato come un’acquerello man mano che si allontana verso l’orizzonte. E il mito di questa immane costruzione è destinato anche ad altri mondi se è vero quello che sostengono alcuni studiosi che la Grande Muraglia sia visibile anche dallo Spazio Celeste.
DRAGON BOAT DEL PALAZZO REALE ESTIVO
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UN SOGNO AD
testo e foto DI AN
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LAGUNA BIANCA
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U N S O G N O A D A LTA Q U OTA
DEFINIRE LA BOLIVIA UNA TERRA DI CONTRASTI NON BASTA. QUESTO È, IN REALTÀ, UN PAESE DI ESTREMI. E' LA NAZIONE PIÙ ELEVATA, PIÙ ISOLATA E PIÙ ASPRA DELL'EMISFERO. E', NEL CONTEMPO, UNO DEI LUOGHI PIÙ FREDDI, PIÙ ARIDI, PIÙ SALATI E PIÙ PALUDOSI DEL PIANETA. Pur essendo uno dei paesi più poveri del Sud America è anche uno dei più ricchi in termini di risorse naturali. È la nazione sudamericana con la più alta percentuale di popolazione indigena: oltre il 60% degli abitanti appartiene alle etnie Aymarà, Quechua, Guaranì e ad altri trenta gruppi. La Bolivia, dunque, ha tutto, tranne il mare! Questo viaggio inizia a La Paz, o meglio, Nuestra Señora de La Paz, inebriante non solo per la sua altitudine (3.660 m) ma anche per la sua eccentrica bellezza con gli edifici abbarbicati ai fianchi della montagna, i suoi mercati ed i suoi vicoli ancora pregni delle tradizioni indigene. In realtà, secondo la Costituzione, l'unica vera capitale è Sucre, la città bianca, fiera ed elegante, simbolo della nazione. Ma per apprezzare il cuore indigeno del Paese, bisogna vedere Potosì, “il tesoro del mondo e l'invidia del re”. L'antica città coloniale, ai piedi del Cerro Rico, raggiunse il suo apogeo in seguito alla scoperta accidentale di ricchi filoni d'argento che hanno arricchito per generazioni i regni e le dinastie europee. Le chiese in stile
barocco-mestizo sono la testimonianza di un passato di splendore e follie. Indios e schiavi di colore erano obbligati dalla Ley de la Mita, istituita dal viceré Toledo, al lavoro forzato nelle miniere. La mortalità era elevatissima per i disgraziati segregati sotto terra, in cunicoli privi d'aria, a contatto con ogni sorta di effluvi velenosi. Oggi, allo sfruttamento dell'argento, si è sostituito quello dello stagno ma, benché il lavoro sia affidato a delle cooperative, i minatori continuano a scavare con metodi arcaici e turni massacranti, come ai tempi dei conquistadores. La visita delle miniere è un'esperienza che lascia il segno, una vera e propria discesa agli inferi! Un folto gruppo di Indios quechua attende fuori il suo turno, masticando foglie di coca fino a formare un bolo che deforma la guancia. Le gallerie sono un vero labirinto su più livelli, nessuna misura di emergenza, nessun piano di evacuazione! La flebile luce delle lampade a carburo, fissate sul casco, illumina l'intrico di cunicoli scavati nella roccia e privi di travi di sostegno.
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GEYSER SOL DE MAÑANA
IL PROTETTORE DEI MINATORI È IL DIAVOLO IN PERSONA, CHIAMATO AFFETTUOSAMENTE “EL TIO”, LO ZIO, LA CUI EFFIGE ROSSA E SPAVENTOSA SI CELA IN UNA CRIPTA. QUI VENGONO DEPOSITATE LE OFFERTE: SIGARETTE, ALCOOL PURO E FOGLIE DI COCA Il trasporto del minerale viene effettuato a mano e gli incidenti, dovuti ai crolli o alle esplosioni, sono all'ordine del giorno. Il protettore dei minatori è il diavolo in persona, chiamato affettuosamente “el tio”, lo zio, la cui effige rossa e spaventosa si cela in una cripta. Qui vengono depositate le offerte: sigarette, alcool puro e foglie di coca. Quando si riemerge alla luce del giorno, si osserva il mondo con occhi nuovi, grati e consapevoli di essere dei privilegiati. Ciò che rende un viaggio in Bolivia assolutamente unico, sono i grandiosi panorami degli altopiani: la sconvolgente bellezza delle lagune verde, blanca e colorada nelle cui acque si specchiano i vulcani con le cime innevate, le polle di fango ribollente dei Geyser Sol de Mañana a 4.850 metri ma, so-
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prattutto, il Salar de Uyuni, la più grande distesa salina del mondo a 3.600 metri di altitudine con, al centro, l'Isla Incahuasi ricoperta di cactus. Durante la stagione secca, il salar si presenta come un'accecante distesa bianca con la superficie segnata da una rete di esagoni regolari. Con l'arrivo delle piogge, da dicembre a marzo, si trasforma in un immenso specchio d'acqua che crea incredibili effetti ottici. Sulle pendici dei monti circostanti si possono visitare le caverne con mummie di 3.000 anni e nella cittadina di Uyuni si trova lo spettrale cimitero dei treni. Tappa successiva: le rovine Inca di Tiahuanaco ed il lago Titicaca (3.820 m.), macchia blu zaffiro nella piana desolata dell'altopiano.
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CIMITERO DEI TRENI, UYUNI
COMPLESSO FUNERARIO
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A Copacabana, sulle sponde del lago, ci si imbarca per raggiungere l'Isla del Sol, una delle isole sacre degli Inca, ma l'attrattiva principale è la chiesa di Nuestra Señora de la Candelaria. Questo santuario è meta di pellegrinaggi per le popolazioni indigene che si rivolgono alla Virgen de la Candelaria o Virgen Negra per chiedere grazie di ogni sorta: soldi, lavoro, figli. I sacerdoti si danno un gran daffare a benedire le automobili che aspettano, in fila, il loro turno, addobbate con fiocchi multicolori. Le famiglie riunite, festeggiano rumorosamente con copiose libagioni. In Bolivia, più che altrove, l'anima della famiglia e della società
OGGI QUESTE DONNE PICCOLE E TOZZE HANNO DECISO CHE IL PUGILATO NON È SOLO UNO SPORT MASCHILE
sono le donne, le famose “cholitas”. Queste signore ben piazzate indossano con disinvoltura le ampie gonne colorate, in strati sovrapposti e la mitica bombetta, in bilico sulle lunghe trecce nere. Buffe e poco curate ispirano immediata simpatia. Vivono alla giornata, spesso inventandosi un lavoro per sostentare la famiglia. Sanno farsi rispettare in una società dura e patriarcale dove devono difendersi da continue minacce e violenze. Oggi queste donne piccole e tozze hanno deciso che il pugilato non è solo uno sport maschile e si guadagnano rispetto e dignità sul ring! Le “fighting cholitas”, senza spogliarsi degli abiti tradizionali, si esibiscono nei quartieri popolari delle grandi città ottenendo successi strepitosi in cambio di modesti guadagni. Sono l'emblema più significativo e toccante del coraggio e della voglia di riscatto di una nazione che, da secoli, combatte per la propria libertà.
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LE ROVINE DI TIAHUANACO
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Gli Incontri di Emotions
Elio Vergati Sessant’anni dietro l’obiettivo in aeroporto
Testimone di due attentati terroristici e dei viaggi di migliaia di celebrità e autorità - da Sandro Pertini, Grace di Monaco e Mohammed Ali a Brigitte Bardot, il Dalai Lama e quattro pontefici - per oltre mezzo secolo Elio Vergati è stato fotografo ufficiale al Leonardo da Vinci.
testo DI PAMELA McCOURT FRANCESCONE foto DI VERGATI-MAZZOCCO/ARCHIVIO AEROPORTI DI ROMA
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Photo premio pulitzer
Sessant’anni dietro l’obiettivo in aeroporto
PER UN FOTOGRAFO UN AEROPORTO È UNA FONTE INESAURIBILE DI STIMOLI
Doveva essere un giorno come ogni altro per Elio Vergati quel 17 dicembre 1973, anche se in un grande aeroporto non ce ne sono di giorni uguali. Una mattinata tranquilla in ufficio quando, poco dopo mezzogiorno, salta in piedi e si precipita fuori, macchina fotografica a tracolla. Sulla pista un gruppo terroristico di Settembre Nero ha gettato due bombe incendiarie dentro un Boeing Pan Am uccidendo una trentina di passeggeri. Momenti di panico e paura, mentre i terroristi dirottano un volo Lufthansa, atterrando prima ad Atene e poi a Kuwait dove si arrendono. Ma prima una scena agghiacciante: il comandante con una pistola puntata alla testa, e un giovane finanziere esanime sulla pista di Fiumicino. Una foto scattata da Elio che fa subito il giro del mondo. «Seguivo un agente con il mitra in mano che correva dietro i terroristi, dall’aereo sparavano e mi sono nascosto dietro una colonna di cemento per fotografare». Una foto premiata con due prestigiosi riconoscimenti internazionali: secondo al Premio Pulitzer e al World Press Photo. Dodici anni più tardi, il 27 dicembre 1985, tragico replay per Fiumicino e per il suo fotografo quando quattro terroristi armati di kalashnikov fanno irruzione nell’aerostazione internazionale. Arrivato di buonora in ufficio (nei pressi dei banchi accettazione delle grandi compagnie), poco dopo le 09.00 Elio sente raffiche di armi automatiche, afferra la macchina fotografica, e corre con uno scatto da centrometrista verso i banchi El Al e TWA. Tanti i corpi a terra e passeggeri impauriti che scappano (un inferno che lascerà sedici morti e un centinaio di feriti), mentre dietro di lui si frantuma il vetro dell’ufficio, colpito da una pallottola. «In momenti come questi non hai tempo per pensare. Sparisce il mondo». Per un fotografo un aeroporto è una fonte inesauribile di stimoli, uno scrigno che ogni giorno svela nuove sorprese: eventi consueti e imprevedibili (un aereo che finisce fuori pista, un motore che prende fuoco, un VIP che arriva in incognito), e le migliaia di facce, di ogni cultura e da ogni paese del mondo, che passano davanti a lui. Facce di sconosciuti e di personaggi famosi: star del cinema, del teatro e della lirica, uomini politici e teste coronate, i grandi dello sport, della moda e della cultura, miti e leggende. Tutti raccolti negli oltre 200.000 scatti storici che Elio, insieme al suo “socio e amico da sempre” Nevio Mazzocco, andando in pensione hanno lasciato all’archivio degli Aeroporti di Roma. Una carrellata quasi tutta in bianco e nero «le nostre foto erano destinate ai grandi quotidiani italiani, attraverso l’agenzia di stampa ANSA con la quale collaboravamo, e a testate giornalistiche in tutto il mondo».
Una passione, quella per la fotografia, nata da piccolo grazie al padre, maestro di musica e fotografo dilettante. «Mi piaceva aiutarlo con le lastre di vetro che allora servivano per le immagini». A diciassette anni un corso di fotografia e poi, sempre grazie al padre, il primo lavoro come fotografo allo Scoglio di Frisio, notissimo ristorante romano. «Scattavo foto ai turisti a tavola. Sviluppate in pochissimo tempo poi le portavamo nei loro alberghi». Nel ristorante conosce il direttore dell’agenzia di stampa dello scalo di Fiumicino che gli chiede se vuole sostituire per due mesi un loro fotografo che andava in ferie. Il resto è storia: 60 anni di carriera al Leonardo da Vinci, il primo aeroporto italiano. Quale il rapporto che s’istaura tra un fotografo aeroportuale e i suoi soggetti passeggeri, soprattutto quelli famosi? «Fugace e veloce, ma quasi sempre simpatico, e spesso anche divertente. Ricordo un incontro nella sala cerimoniale con Guido Carli, allora presidente della Banca d’Italia. Un uomo elegante e dall’aspetto austero, ma davanti all’obiettivo si è rilassato, sorridendo e chiacchierando di calcio». Ricorda con altrettanto simpatia l’allora Segretario di Stato Vaticano Monsignor Casaroli, Enrico Berlinguer e Marcello Mastroianni. «Tutti molto alla mano». Divertente l’incontro con l’attore Peter O’Toole in partenza, insieme alla moglie Sian Phillips e alla coppia più famosa del momento Elizabeth Taylor e Richard Burton. «A quei tempi si raggiungeva l’aereo a piedi dall’aerostazione, e mentre cercavo di fotografare Liz e Richard (tutto il mondo seguiva la loro storia d’amore che si alternava tra travolgente passione e episodi tempestosi [N.d.A.]), in vena scherzosa O’Toole si metteva davanti all’obiettivo. Poi, prima di salire a bordo, fu lui a mettere gli altri in posa per me». La Taylor, di gran lunga la donna più bella di tutte quelle fascinose che ha fotografato. «Aveva stupendi occhi viola, era una donna bellissima». Rimpianti? «Forse si…il passaggio dall’analogica al digitale, con la perdita di quei gesti e di quella manualità legati alla fotografia: il cambio del rullino, lo sviluppo, la stampa». Un consiglio per i giovani che sognano di diventare fotografi? «Passione, dedizione e cogliere sempre l’attimo».
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E' CONOSCIUTA COME LA CITTÀ DEL CINEMA, MA GIÀ MOLTO PRIMA DI OSPITARE NEGLI ANNI TRENTA LA PRIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL, CANNES ERA UNA FAMOSA LOCALITÀ DI VILLEGGIATURA, LA PIÙ ESCLUSIVA DELLA COSTA AZZURRA. Vi andavano a svernare principi e libertini, scrittori e giocatori d'azzardo, esiliati dorati e ballerine in cerca di una seconda occasione. Eppure era sempre stata un villaggio di pescatori e a percorrere i canneti lungo la spiaggia era solo qualche cacciatore di folaghe, come si può vedere da un grande dipinto impressionista esposto nel Museo della Castre. A lanciarla come città del buon vivere e ad inserirla nel ristretto circuito dello chic internazionale fu nella seconda metà dell'Ottocento un ex cancelliere di sua Maestà britannica, Lord Brougham, il quale arrivato un po' per caso se ne innamorò, restandoci ben 34 anni. Ancora oggi, dall'alto di un piedistallo, la sua statua continua ad ammirare il mare e a contemplare il passeggio della gente lungo i boulevard orlati di palme. Trasformata dallo sviluppo urbanistico della zona costiera e dalla parata di alberghi di lusso lungo la baia, oggi Cannes è divenuta un villaggio mondiale aperto a tutte le culture, pur restando luogo di fascino e di pace, tra il verde e l'azzurro del mare. E' una città giovane e vivace, cresciuta intorno ad un nucleo storico datato anno Mille. La collina che la sovrasta, Le Suquet, era il posto di vedetta della Signoria di Rodoardo. Khan significa in lingua celto-ligure "il punto più alto", da cui Cannes ha preso il nome. Questa altura stra-
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tegica ne ha vista di storia! Dalle invasioni spagnole e saracene alle vicende del misterioso personaggio della Maschera di Ferro, narrate da Voltaire e da Dumas. Ha visto le cruente battaglie delle armate di Carlo V contro quelle di Francesco I e anche lo sbarco di Napoleone Bonaparte. Tutta la storia è condensata nella città vecchia e nel fortificato Château de la Castre. Dal Suquet, raggiunto attraverso i vicoli di impianto medievale, si possono ammirare tutta la città e la baia, il porto con l'ottocentesco Le Quai St. Pierre, la Croisette e le isole di Lérins. Il "ventre" di Cannes è il coloratissimo mercato Forville con tutta la sua cintura di botteghe del pane, di salumerie, di pescherie con in vetrina trionfi di ostriche. Anche tutto il resto della città è una promessa per un soggiorno rilassante, con i suoi viali fioriti, e le spiagge e il clima mite in ogni stagione. L'azzurro e il verde, i colori della città, sono anche raffigurati sul suo blasone. Dopo Lord Brougham, inumerevoli furono le teste coronate e le celebrità che andarono a godersi il sole e le brezze marine di Cannes. Per loro furono eretti sontuosi alberghi, luoghi di festa e casinò che videro non poche fortune avite sfumare sul tavolo verde. Furono di casa anche Guy De Maupassant, Victor Hugo, Stendlal, Renoir e Picassso. Il Granduca Michele di Russia fondò nel 1890 il Golf Club, e le regate reali
L'ABBAZIA DEI MONACI CISTERCENSI, SAINT HONORAT
organizzate nella baia dal Duca di Vallombrosa e dal Principe di Galles, il futuro Edoardo VII, attirarono il fior fiore della nobiltà europea. La prima guerra mondiale fermò quel mondo dorato, ma poi Cannes si riappropriò del suo ruolo di regina de la Cote d'Azur, affermandosi ancora di più come luogo di vacanza e del bel vivere. Mondanità, eleganza e bellezza sono anche oggi dovunque: nelle spiagge dei grandi alberghi, come l'Hotel Du Cap, il Carlton, il Martinez e il Majestic. Ma è dai quei 20 scalini coperti dal red carpet che dagli Anni Trenta in poi passerà tutto il bel mondo della celluloide: le platinate dive di Hollywood e le starlette in attesa di essere scoperte, grandi registi e produttori, intellettuali e artisti. Le ingerenze politiche sul già famoso e consolidato Festival di Venezia spinsero il cinema internazionale a cercarsi un'altra sede per celebrare i suoi riti e così, sulle altre città candidate - Vichy, Biarritz, Alger - fu proprio Cannes a spuntarla per il suo "soleggiamento e la cornice incantevole", come si legge nella motivazione della scelta. La storia del Festival registrò purtroppo una falsa partenza sotto la presidenza di Louis Lumière, il 20 settembre 1939. Fu proiettato il film "Notre dame de Paris", ma il giorno dopo Hitler invase la Polonia. E fu guerra. E' solo dal 20 settembre del 1946 che la manifestazione, nella sede dell'ex Casinò, diventa un appuntamento imperdibile per i professionisti e gli amanti della settima arte. E' al Palais de Cinema che Grace Kelly fa innamorare Ranieri di Monaco, mentre il miliardario greco Onassis si fa notare al largo con il suo yacht dai rubinetti d'oro zecchino. E' sulla Croisette che una diciottenne Brigitte Bardot mostra le sue grazie col ridottissimo bikini a qua-
LUOGO DI VACANZA E DEL BEL VIVERE. MONDANITÀ, ELEGANZA E BELLEZZA SONO DOVUNQUE dretti, mentre il vento le scompiglia la coda di cavallo. Tra successi e colpi di scena, - memorabile nel 1968 la rivolta dei giovani registi, tra cui Truffaut e Godard, nel clima incandescente del Maggio Francese. Ogni anno a maggio per due settimane, con migliaia di proiezioni e di incontri, Cannes parla solo il linguaggio del cinema. Su alcuni edifici, giganteschi murales raccontano la carriera di Marylin Monroe, di Alain Delon, di Buster Keaton. Il più ammirato e fotografato dai turisti è il superbo trompe l'oeil "L'arrivo di un treno nella stazione di Ciotat". Un itinerario cinematografico, anche fuori festival, propone visite guidate a tema. Numerose manifestazioni fieristiche e continue iniziative culturali, artistiche e musicali promuovono Cannes a meta turistica d'eccellenza per tutte le stagioni dell'anno, grazie alla scelta delle istituzioni di non concentrare gli eventi più attrattivi nel solo periodo estivo. L'enogastronomia francese anche qui mantiene tutto il suo appeal. Impossibile mangiar male nei 316 indirizzi disponibili, dalla Croisette alle alture del Suquet. Dalle brasserie alle enoteche, dai locali di tendenza all'alta cucina degli alberghi stellati il marchio "Only Cannes" caratterizza le strutture che aderiscono alla formula qualità-affidabilità. La tavola resta saldamente un rito ed è chiaro fin dalla mattina quando al mercato Forville, tra il profumo del timo e del basilico, si vedono signore griffate e ingioiellate sceglier con cura un mazzo di carote o un paté, mentre eleganti signori passeggiano con la baguette sotto braccio.
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LORD BROUGHAM, CANCELLIERE BRITANNICO
Cannes è anche una destinazione per il benessere: la città è piena di piccole oasi con piscina e bagno turco, dove si fa talassoterapia e tutto ciò che può regalare bellezza, relax e salute. Tra le strutture più belle, per design ed eleganza, quella del Radisson Blu 1835 Hôtel & Thalasso, un albergo che per la sua posizione vanta una visuale mozzafiato a 360 gradi. Per i visitatori più attivi non mancano sport nautici, golf e centri equestri. Cannes è l'unica città francese a ospitare ben tre casinò, mantenendo saldamente la sua fama di capitale del gioco d'azzardo, di roulette, Black Jack o Texas Hold'em che aveva durante i fasti della Belle Epoque. Tra le mete turistiche da non perdere, il Museo de la Castre, nel castello medioevale dei monaci di Lèrins dove sono esposte collezioni d’arte e oggetti provenienti dall’Oceania, dall’Himalaya, dalle Americhe, insieme a reperti delle regioni mediterranee e ceramiche precolombiane. Da vedere anche il Vecchio Porto la cui parte più antica risale al 1838, la Rue d'Antibes, l'ex strada imperiale ora itinerario dello shopping, la Rue Meynadier. Centri culturali per grandi mostre sono la Malmaison e L'Espace Miramar. Intorno al Palazzo del
OSPITA BEN TRE CASINÒ, MANTENENDO LA FAMA DI CAPITALE DEL GIOCO D'AZZARDO ... Festival del Cinema sono da vedere le centinaia di impronte delle mani e dei piedi dei divi, proprio come al Chinese Teatre di Los Angeles. Meritano una visita anche il Mulino di Forville con arredi e costumi provenzali, la Chiesa Russa di Saint Michel Archange e quella di Saint Georges dedicata al Duca d'Albany, figlio della Regina Vittoria, e infine lo storico cimitero del Grand Jas. Continue escursioni sono organizzate nelle due isole di Lerins di fronte alla baia: Saint Honorat, con l'abbazia dei monaci cistercensi che producono ancora oggi un vino prelibato, e Sainte Marguerite con la fortezza dove la leggenda assicura che si svolsero le vicende fantastiche della Maschera di ferro. www.cannes.travel www.franceguide.com
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testo DI LUISA CHIUMENTI
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S’INCONTRANO IN UN RAGGIO DI POCHI METRI, CALANCHI ARIDI E SCOSCESI DI FRONTE A BOSCHI FITTISSIMI DI MACCHIA, FILARI DI CIPRESSI SU CRINALI CHE SI AFFACCIANO SULLE VALLI Avvicinarsi a Volterra gradualmente tra dolci colline, verdi prati, oliveti, poderi e casali, ha sempre affascinato i viaggiatori, gli artisti, i poeti e gli scrittori, offrendo alla vista un paesaggio davvero unico celebrato ampiamente da Stendhal per la bellezza della natura. Il territorio accolse Etruschi, Romani, Guelfi e Ghibellini, sempre affermando la propria orgogliosa e consapevole ricchezza. S’incontrano infatti, in un raggio di pochi metri, calanchi aridi e scoscesi di fronte a boschi fittissimi di macchia, filari di cipressi su crinali che si affacciano sulle valli che l’acqua dei piccoli fiumi e dei torrenti hanno scavato ed il paesaggio con le sue numerose tonalità di verde interrotte solo dallo splendore argenteo degli ulivi, da sempre si offre spontaneamente al pennello dei pittori.
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JEAN-BAPTISTE CAMILLE COROT
Era il 1834 quando il pittore francese, che soggior Volterra, fece ammirare tutto ciò al mondo della c attraverso le sue famose tele che sono oggi conse Louvre a Parigi. Egli colse proprio quella particola i silenzi poco prima del tramonto, in una sospensio l’uomo tuttavia si sente vicinissimo alla Natura.
rnò quattro anni a cultura del tempo ervate al Museo del are luce che filtra tra one irreale in cui
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SULLA SOMMITÀ DEL COLLE IL PROFILO DELLA CITTÀ DOMINATO DALLE LINEE DELLA FORTEZZA
Ma percorriamo oggi, in macchina, la parte finale dell’itinerario che, lasciata la superstrada, dopo Colle Val d’Elsa, ci farà immergere in questo paesaggio davvero “unico”. Si lascia Colle bassa dove si trovano le fabbriche del cristallo, si costeggia Colle alta e subito si comincia a salire sulla collina. Il paesaggio cambia ad ogni curva della strada: la zona è boscosa e alterna punti panoramici aperti sugli ampi spazi campestri a percorsi più chiusi dalla boscaglia. S’incontra subito il borghetto di Campiglia, una delle tante Campiglie che si trovano in Toscana, poi la strada scende nella vallata costeggiata da pioppi e platani, poi risale e si va avanti tra sali e scendi e curve più o meno strette fino al bivio con la provinciale che in 16 Km porta a San Gimignano. Proseguendo invece sulla statale 68, dopo 4 o 5 km vediamo sulla sinistra il rudere dell’antica torre di Montemiccioli che se, fino agli anni ‘70 si mostrava ancora abbastanza alta, con uno spigolo che emergeva come un dito puntato in alto, ora mostra soltanto il troncone tozzo della torre, con a fianco l’omonima fattoria. Ed ecco apparire,
dopo aver lasciato il succedersi delle Balze in lontananza, ma netto, sulla sommità del colle, il profilo della città, dominato dalle linee della fortezza, austera, con il suo mastio possente. Lasciamo quindi, ai Ponti, la macchina nell’ampio garage e dallo slargo che si affaccia a destra sulla città, con il profilo delle prime case e del battistero, osserviamo con stupore l’ampiezza di quel paesaggio che ammirò anche D’Annunzio quando vide… «lontanar le Maremme febbricose e i plumbei monti, e il Mar biancastro e l’Elba e l’Arcipelago selvaggio…». Ospitato all’Hotel Nazionale, che ne ricorda il passaggio in una targa sulla facciata esterna, forse da lì il Poeta si recava verso il cuore della città, la piazza dei Priori, sede del Comune, assai modificato nel tempo, ma rimasto quale testimonianza pregevolissima di una città medievale o la Via Guidi a destra o, più avanti a sinistra forse volle raggiungere la Porta all’Arco, una delle porte della cinta muraria etrusca. L’altra porta etrusca, Porta Diana appunto, ci conduce, dopo aver attraversato l’intero centro storico dove fanno bella mostra di sé con la splendida pietra toscana palazzi sontuosi come il Somaini e il Palazzo Viti, con la sua imponente facciata attribuita all’Ammannati ed i suoi ricchi interni che accolgono splendide collezioni di alabastri.
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Attraversiamo Porta Fiorentina, e proseguiamo lungo la strada verso quell‘area in cui numerose si rinvennero le bellissime urne etrusche, custodite in minima parte in loco, ma soprattutto presenti nel grande Museo Guarnacci. Si tratta di uno dei più antichi Musei pubblici d'Europa nato nel 1761 quando il nobile abate Mario Guarnacci donò, insieme con 50.000 preziosi volumi, il suo grande patrimonio archeologico, raccolto in anni di ricerche e acquisti, al "pubblico della città di Volterra". I Volterrani amano l’archeologia, ma anche la musica, il teatro e tutto ciò che è cultura ed ecco ad esempio, come un bel teatro ci accoglie all’interno di Palazzo Viti, mentre, più avanti, uscendo da Porta Fiorentina continui restauri tengono in vita per spettacoli estivi un grande teatro romano. E da qui, scendendo appunto verso Porta Diana, sono iniziati gli scavi che porteranno alla luce anche un anfiteatro romano. Continuando a percorrere questa via ecco che si susseguono casali assai curati, da proprietari attenti che conservano con molta passione le proprietà ricevute dagli avi, dimostrando anche in questo un certo orgoglio cittadino che si è sempre distinto nei secoli, non accettando mai compromessi o lusinghe da altre città toscane. Ed è stato così che uno scrittore di fama internazionale, di cui si è da poco celebrato il centenario dalla nascita, che ha dato tanto di sé alla città di Volterra, Carlo Cassola - cui è intitolata una strada a Volterra - ha saputo esprimere in molti dei suoi numerosissimi libri, il carattere un po’ schivo, ma sincero, appassionato e
I VOLTERRIANI AMANO L’ARCHEEOLOGIA MA ANCHE LA MUSICA IL TEATRO E TUTTO CIÒ CHE È CULTURA volitivo dei suoi abitanti, molto legati fra loro. Un tale legame si poté notare appunto, a mio avviso, in occasione di una bella mostra di quadri ispirati al territorio ed ai suoi abitanti. La pittrice, Anna Cassola Vitafinzi, che aveva soggiornato a lungo ai “Marmini” di Volterra durante la guerra e poi, ogni estate, con la famiglia, aveva raffigurato non solo angoli della città e del paesaggio circostante, ma anche le persone, coloro che a quel tempo erano bambini e poi ragazzi, che vi erano cresciuti e che, in occasione della mostra, hanno avuto la gioia di riconoscersi nei diversi ritratti e quindi sentirsi partecipi e presenti come parte integrante della loro città. Ma non si può lasciare Volterra senza accostarsi a qualche bell’oggetto in alabastro: una roccia assai particolare di origine gassosa (solfato di calcio) che si presenta in aggregati concrezionati, deposti in ambienti sotterranei da acque particolarmente dure. L’alabastro è stato sempre una grande ricchezza del territorio ed è affascinante visitare i tanti laboratori e le botteghe. Una di esse è anche allestita all’interno dell’Ecomuseo che si trova in via Sarti accanto alla Pinacoteca, con opere d'arte sia antiche che di artigiani contemporanei.
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MAISON SAN FILIPPO: un raff inato salotto enogastronomico ai Parioli Pamela McCourt Francescone
Una luminosa caffetteria e raffinato bistrot nel cuore dell’elegante quartiere romano. All’interno complementi d’arredo in stile Belle Époque impreziositi dalla carta da parati decorata con degli elefanti danzanti, (proboscide all’insù, in segno di buon auspicio per gli avventori) e colorate mongolfiere di legno, che sono il simbolo del locale. Ora, per la bella stagione, ai due salotti interni si aggiunge un raffinato en plein air a metà tra le brasserie parigine e i café delle riviere più glamour. In cucina la chef Giuseppina Gagliano, che ha creato un invitante menu primavera-estate. Tra gli antipasti (da abbinare anche per l’aperitivo) Crudo di gamberi e gamberoni, Petto di anatra affumicato e, per i vegetariani Polpette di pane con caponatina di melanzane. Seguono primi come i Super Spaghettoni Verrigni, le Orecchiette di grano arso e i Tonnarelli con ceci, Cozze e pecorino romano DOP.
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Poi i secondi, tutti con contorno, come il Trancio di spigola alla piastra, il Vitello arrosto con salsa tonnata, e la Tartare di filetto di manzo. Sfiziosi anche i tanti piatti unici per un light lunch, dalla Nizzarda ai Taralli e salumi, mentre per chi vuole solo stuzzicare l’appetito c’è da scegliere tra Tartine al Cous cous, Patate fritte, Fritturine di pesce o vegetali, piccole Tartare o sorprendenti Bignè salati. Classici anche i dessert dalla Ricotta e pere, al Tiramisù, alla Zuppa inglese. A un passo dal locale la Maisonette San Filippo, una dimora con arredamenti eleganti che accoglie due persone in uno storico villino dei primi del Novecento. Un ambiente discreto, silenzioso e smart, con postazioni dotate di connessione Wifi veloce, per fare di un soggiorno romano una workation con squisiti risvolti enogastronomici. www.maisonsanfilippo.it
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MANDARIN ORIENTAL RITZ, MADRID RIAP
Ha finalmente riaperto l’iconico Mandarin Oriental Ritz, Madrid e, per celebrare l’evento, fino al 31 agosto 2021 sarà possibile usufruire di un’allettante offerta che include un esclusivo tour guidato della città, un credito per la cena e un originale regalo firmato Ritz. La tanto attesa riapertura arriva dopo il più ambizioso e ampio restauro della storia di 110 anni dell’emblematica proprietà. Originariamente progettato e costruito sotto la supervisione del leggendario albergatore César Ritz, l'hotel ha aperto le sue porte nel 1910. Nel corso degli ultimi tre anni è stato accuratamente restaurato, migliorando nelle sue strutture e servizi, pur mantenendo il carattere unico dello stile Belle Époque dell'edificio originale. L'architetto spagnolo Rafael de La-Hoz ha assunto un ruolo determinante nel restauro, mentre i designer francesi, Gilles & 74
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Boissier, hanno supervisionato g della proprietà per gli ospiti locali e camere lussuosamente arredate godono di uno stile residenziale ch L'hotel è pronto a diventare una innovative della Spagna, grazie ristorazione supervisionati dallo Michelin. Deessa con il suo menu celebra i una spettacolare tettoia in vetro contempo moderno; Champagn misura per gli ospiti; Pictura è inv cocktail curato e all'avanguardia; cornice esterna di Madrid. Per la prima volta nella sua storia
PRE AL PUBBLICO
li interni aumentando l'attrattiva e internazionali. Ognuna delle 153 e, tra cui 53 suite, attualmente hic e contemporaneo. a delle destinazioni culinarie più e a cinque concetti diversi di Chef Quique Dacosta, tre stelle
prodotti locali; Palm Court, sotto o, serve un menù classico ma al ne Bar presenta abbinamenti su vece caratterizzato da un menù di ; El Jardín del Ritz, ha la migliore
a, Mandarin Oriental Ritz, Madrid
offre esperienze di benessere per il corpo e la mente. La Spa collabora con The Beauty Concept, uno dei centri più importanti della Spagna che vanta un'esperienza di benessere pluripremiata. Tra i servizi viene incluso anche l’accesso alla piscina coperta riscaldata, alla vitality pool, alle docce emozionali, alla sala vapore e al centro fitness contemporaneo. La prestigiosa posizione dell’Hotel, nel cuore del quartiere commerciale e culturale di Madrid e vicino al famoso parco El Retiro, ha garantito che il Ritz fosse sempre stato parte integrante della società della capitale spagnola, ospitando per decenni reali, politici, leader aziendale e celebrità. Alla tradizionale cerimonia del taglio del nastro, in occasione della riapertura, hanno partecipato un gruppo di funzionari governativi e culturali. www.mandarinoriental.com/madrid EMOTIONS
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Anthony J. Bradshaw Nicole Martina Bradshaw Gabriele Crozzoli
Ornella D’Alessio
THREE DAYS ON THE LOWER ZAMBEZI
VIE VERDI. Sui tracciati ferroviari dismessi
Un grande libro illustrato che accompagna il lettore alla scoperta degli animali che vivono sulle rive del fiume Zambesi. Nato come addendum dell’ultimo minuto a un progetto solidale nel nord dello Zambia, la proposta ha coinvolto i tre autori (due inglesi e un italiano) alle prime prese con la fotografia da safari, realizzando in solo settantadue ore un reportage fotografico multiforme e movimentato. Misurati (e forse troppo pochi) i testi in inglese, con annotazioni tecniche e, per chi vorrà intraprendere lo stesso viaggio, suggerimenti su quali itinerari seguire e quali accorgimenti adottare. Molte le istantanee a tutta pagina che senza il puntellamento di chiose didascaliche “bucano l’obiettivo”. Scatti che illustrano le dinamiche della fauna autoctona con primi piani teatrali di specie timide che solo con grande difficoltà (e tanta fortuna) si riesce a incontrare. “Prima di andare in Zambia non eravamo esperti fotografi di animali selvatici, ma come spesso accade in safari abbiamo avuto la fortuna dalla nostra parte. Come la sera che abbiamo avvistato dei leopardi raggiungere la loro preda e portarla tra gli alberi, mentre una madre con il suo cucciolo si aggiravano nell'oscurità”. Ma anche elefanti e leoni, scimmie e impala, ippopotami, facoceri e specie piccole: una chiave di lettura autorevole per avvicinarsi agli animali dell’Africa subequatoriale, fronteggiandoli tête-atête comodamente seduti a casa propria.
Viviamo in un mondo che corre sempre di più a doppia corsia, una fast e l’altra slow, e sono sempre di più quelli che si discostano dalla prima per riscoprire i piaceri semplici e genuini di una volta, scegliendo la mobilità dolce e sostenibile per avvicinarsi al grande patrimonio naturalistico italiano. Per molti questo vuol dire scoprire sedimi ferroviari dimenticati e spesso abbandonati, oggi recuperati proprio grazie alla crescita del turismo ciclopedonale. Infatti in Italia si stimano in 5.000 kilometri i tracciati ferroviari abbandonati, e in circa un migliaio quelli recuperati e trasformati in percorsi per gli amanti delle due ruote e del turismo pedonale. In “Vie Verdi. Sui tracciati ferroviari dismessi” Ornella D’Alessio, grande viaggiatrice e giornalista di viaggio che collabora con le principali riviste di turismo italiane e internazionali, presenta 20 itinerari da percorrere in bici o a piedi. Luoghi che invitano a riscoprire a ritmi lenti emozioni e panorami dimenticati tra storia e turismo. Ogni scheda traccia in dettaglio il percorso con indicazioni sul grado di difficoltà, e con informazioni pratiche e storiche dettagliate. Itinerari che secondo l’autrice offrono “il grande privilegio di godere di panorami del tutto inediti, perché da quelle vie passavano solo i treni e anche chi è stato passeggero su quelle tratte, ormai abbandonate da anni, ci è passato a una velocità maggiore rispetto al camminare o al pedalare, senza potersi soffermare sui dettagli”.
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di Pamela McCourt Francescone
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CINQUESENSI EDITORE
di Pamela McCourt Francescone