SOMMARIO OTTOBRE | NOVEMBRE 2020 www.emotionsmagazine.com
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VIETNAM IL CAMPO DA GOLF ECO-SOSTENIBILE
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SOMMARIO
VENEZIA
IL FASCINO IMMORTALE Viaggio tra calli, ponti, salizade e porteghi.
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DIMENTICATO DAL TEMPO Il Cameroun è un piccolo lembo di Africa selvaggia...
PIGMEI BAKA photo by Anna Alberghina
Direttore Responsabile Teresa Carrubba tcarrubba@emotionsmagazine.com Ideazione logo Ilenia Cairo
MAREMMA
LE BIANCANE DI MONTEROTONDO MARITTIMO Le Colline Metallifere della Maremma Toscana
VIETNAM
Progetto grafico e impaginazione Elisabetta Alfieri e.alfieri@emotionsmagazine.com Collaboratori Anna Alberghina Luisa Chiumenti Pamela McCourt Francescone Paolo Ponga
redazione@emotionsmagazine.com
LAGUNA GOLF LăNG CÔ Il bello della rinascita.
Fotografi Anna Alberghina Laguna Golf Lăng Cô Teresa Carrubba Paolo Ponga Responsabile Marketing e Pubblicità Enrico Micheli e.micheli@emotionsmagazine.com
KALEIDOSCOPE •
ChATrIuM hOTEL rOyAL LAkE yANGON
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hOTEL ADLEr DI ANDALO
PRAGA
IL PONTE CARLO Tra storia e leggenda.
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LIBRIEMOTIONS
Pubblicazione Rivista Online Paolo Milanese grafico@idra.it Editore Teresa Carrubba Via Tirso 49 -00185 Roma Tel e Fax 068417855 Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 – N° 310/2011 Copyright © – Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Case Editrice che ne detiene i diritti.
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La statua del leone alato in Piazza San Marco, Venezia
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TERESA CARRUBBA
EDITORE, DIRETTORE RESPONSABILE
L’estate è finita, ma non per i viaggiatori. I reportage di Emotions mantengono vivo il sacro fuoco dell’avventura e della curiosità che spinge a partire per mete sempre nuove o con una nuova motivazione. La Natura sconfinata e selvaggia del Cameroun dove “il progresso non è ancora riuscito a cancellare usi e tradizioni” dei vecchi regni che ancora sopravvivono nei pittoreschi villaggi tribali. Natura tutta diversa nel Vietnam, valorizzata da campi da golf d’autore, un vero eden per gli amanti del green. Che dire poi degli stimoli delle città d’arte, quelle europee, intrise di storia e di affascinanti segreti … Praga, per esempio, vista da un occhio diverso che si concentra sul Ponte Carlo e ne svela dettagli ai più sconosciuti e intriganti leggende. E parlando di segreti, quale luogo, più di Venezia, può vantarne il primato? Dietro la languida atmosfera lagunare, si nascondono tesori insospettati che attraggono e sorprendono, soprattutto fuori stagione, quando il silenzio riempie calli e canali di un fascino inusitato. restando in Italia, Emozioni di tutt’altro genere suscitano le Colline Metallifere, nella Maremma toscana. Paesaggi danteschi che sembrano emergere da una fiaba, dai profili diluiti da vapori bollenti che portano la mente al prodigio di una Natura bizzarra,
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CAMEROUN IL PAESE DIMENTICATO DAL TEMPO Testo e Foto di ANNA ALBErGhINA
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donna Kapsiki, Monti Mandara
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uN rICChISSIMO PATrIMONIO ETNICO DI OLTrE 250 gruPPI DIvErSI
Il Cameroun è un piccolo lembo di Africa selvaggia, un paese dai paesaggi grandiosi e sconfinati dove sopravvivono antichi regni che custodiscono tradizioni secolari. Ospita parchi nazionali ricchi di flora e fauna ma il suo grande tesoro è rappresentato dal ricchissimo patrimonio etnico: oltre 250 gruppi diversi, più o meno numerosi, con lingue, dialetti, usi e costumi propri. Colonia tedesca dal 1884, dopo la prima Guerra Mondiale subì la divisione del territorio fra Francia ed Inghilterra e divenne indipendente tra il 1960 e il 1961. I due territori, anglofono e francofono, si fusero per dar vita ad uno stato federale con due lingue ufficiali e sono attualmente sotto la presidenza di Paul Biya, in carica dal 1982. 10
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Questa doppia anima del paese è spesso la fonte di dissidi e rivendicazioni da parte della minoranza anglofona né sono cessati, nell’estremo nord, gli attentati e le stragi ad opera di “Boko Haram”, l’organizzazione terroristica jihadista di origine nigeriana. Andare in Cameroun, dunque, non è proprio una passeggiata se si considerano anche le condizioni disastrose delle piste e la scarsa disponibilità di strutture turistiche. Ciò non toglie che, proprio per questo suo relativo isolamento, il Paese abbia conservato intatto il suo fascino. Un luogo dove il “progresso” non è ancora riuscito a cancellare usi e tradizioni. Molti dei vecchi regni sopravvivono ancora e sono noti come “Lamidati”, “Chefferies” o “Sultanati”, antiche circoscrizioni territoriali, unità politiche, sociali e religiose riconosciute dal governo ma con poteri limitati al diritto consuetudinario. Una pista impervia sale al villaggio di Oudjilla, nel cuore del paese Podoko, dove uno dei Sultani più famosi della regione con le sue cinquanta mogli e una prole infinita risiedeva in uno dei più interessanti e mastodontici
donne hidéal mercato di Tourou saré, complicatissima cellula abitativa in sassi e “banco”, composta da una moltitudine di capanne cilindriche dal tetto di paglia. Lungo il percorso, fitti terrazzamenti incidono i fianchi della montagna, piccole macchie verdi sull’orlo dello strapiombo che forniscono cibo faticosamente strappato alla roccia. Il vecchio Mozogo Daouka è morto ultracentenario qualche tempo fa ed è sepolto, come i suoi predecessori, all’interno del saré. Gli è succeduto uno dei suoi numerosi figli che, giunto da poco da Yaoundé, viene accolto dalle sue donne con grida di giubilo. Un microcosmo essenzialmente femminile, un arcobaleno vociante dove tutte indossano, per l’occasione, splendidi abiti dai colori sgargianti. Il saré è un labirintico agglomerato di costruzioni in pietra e fango. Ogni donna ha diritto a due granai e ad una minuscola abitazione all’interno dell’enorme struttura ricoperta da un tetto che la mantiene in perenne penombra. Un passaggio angusto conduce alla stalla del bue sacro, custodito in vista del sacrificio che verrà officiato al momento del raccolto.
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villaggio Matakam nei pressi di Mokolo
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LE SLANCIATE DIMOrE IN ArgILLA
Abbandonata Oudjilla, ci dirigiamo a nord. In questo nord, costantemente minacciato dalla violenza, la gente non ha affatto rinunciato alle attività di compravendita ma, soprattutto, alle occasioni di incontro e di svago che hanno luogo nei mercati settimanali in giorni fissi, stabiliti dalla consuetudine. Pouss è a due passi dal fiume Logone le cui acque limacciose corrono verso il Lago Ciad. Il mercato è frequentato da moltissimi Bororo, nomadi ed allevatori di bovini, perennemente impegnati nelle transumanze stagionali. Alti e slanciati, spiccano in mezzo alla folla e alle mercanzie disposte in bella mostra. Si distinguono per i numerosi tatuaggi e le scarificazioni facciali, splendidi arabeschi sulla pelle ambrata. Le donne trasportano sul capo, con disinvoltura, voluminose zucche decorate. Nel villaggio, gli abitanti di etnia Mousgoum hanno costruito le loro case a forma di obice. Queste slanciate dimore in argilla, alte dai sette ai nove metri, sono decorate dall’esterno da protuberanze e scanalature regolari. Sono così insolite ed armoniose da aver suggerito ad André Gide, che visitò la regione all’inizio del secolo scorso, che potessero essere opera di un vasaio anziché di un muratore. Non meno interessante è il mercato di Tourou, al confine con la Nigeria. Qui le vere protagoniste sono le donne Hidé che indossano un caratteristico
copricapo ricavato da una “calebasse”, una zucca essicata, tagliata a metà, dipinta di un rosso brillante e decorata con motivi geometrici. All’ombra di un grande albero, vendono birra di miglio. Ovunque si respira aria di festa, si ride, si contratta, si mangia e, soprattutto, si beve. Percorrendo una pista polverosa e malandata raggiungiamo Rhumsiki. Ci troviamo fra i contrafforti dei Monti Mandara che ospitano una moltitudine di etnie animiste raggruppate sotto il nome spregiativo di “Kirdi”, ossia pagani. Si tratta di gruppi autoctoni che, per sfuggire l’avanzata dell’Islam, si rifugiarono sulle montagne. Picchi vulcanici e acuminati spuntoni di roccia granitica sbucano da rilievi morbidi e verdeggianti dando vita ad un paesaggio fantasmagorico. Qui, nella terra dei Kapsiki, lo stregone del villaggio, conosciuto come “Sorcier au crabe”, con i suoi granchi di fiume, prevede il futuro, benedice i raccolti e smaschera il malocchio. E’ un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli abitanti della regione ed è inevitabilmente diventato una grande attrazione per i turisti. Non si tratta però di mero folclore, non c’è mistificazione alcuna nei suoi gesti rituali. Egli è l’erede di un’antica tradizione che si tramanda di padre in figlio e che sfida, immutabile, lo scorrere del tempo. Del resto, in Cameroun, come in molti altri paesi africani, non mancano i mercati di medicina tradizionale che offrono rimedi un po' per tutto, dalle malattie, ai furti, alle pene d’amore.
donne Peul Bororo al mercato di Pouss
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case ad obice dei Mousgoum
lo stregone del villaggio ‘Sorcier au crabe’, rhumsiki 16
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donna Mousgoum con scarificazioni facciali
vILLAggI IN ASPrI TErrITOrI PIETrOSI
I Koma, invece, vivono isolati sui Monti Alantika, al confine con la Nigeria. Hanno costruito i loro villaggi in questi aspri territori pietrosi lasciando le fertili pianure per sfuggire alle persecuzioni degli schiavisti musulmani nel 17esimo secolo. Da quel momento, secondo gli anziani dei
villaggi, chiunque fosse sceso a valle, avrebbe subito un’orribile morte per soffocamento: questo ha fatto sÏ, che per quasi mezzo secolo, i Koma hanno vissuto in completo isolamento dal resto del mondo. Le donne indossano solo un coprisesso di foglie e non si separano mai dalla loro pipa; gli uomini si vestono di pelli e sono muniti di arco e frecce anche se hanno ormai abbandonato il tradizionale astuccio penico ricavato da una zucca. EMOTIONS
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danza delle donne Podoko, Oudjilla
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uN POPOLO MErAvIgLIOSO AvvOLTO NELLA LEggENDA
Nel cuore della foresta primaria, ai confini con il Congo e la Repubblica Centrafricana, vivono, invece, i Pigmei Baka. Sono una popolazione autoctona di cacciatori-raccoglitori e sono considerati i primi abitanti della foresta con cui intrattengono un legame quasi mistico e a cui devono la vita stessa. Sin dall'infanzia imparano a conoscerla e ad amarla. Essi ne sono i padroni assoluti, la salvaguardano come un bene prezioso e ne conoscono le ferree leggi che debbono essere rispettate, perché solo nel loro rispetto si fonda l’armonioso vivere della comunità. La solidarietà all'interno del gruppo è fondamentale per la sopravvivenza. Al cacciatore è assolutamente vietato, per esempio, cibarsi della selvaggina che ha catturato ma dovrà pacificamente condividere il frutto della caccia o della pesca. Riti propiziatori e tradizioni sono tutti indirizzati al benessere del gruppo, allo scopo di liberarlo dalla malasorte. Il loro corpo ha molte storie da raccontare. Tagli, scarificazioni, tatuaggi, denti limati per essere più belli risalgono ad un tempo in cui tutto era ancora possibile. Credono nella vita dopo la morte, ma non hanno il culto degli antenati. La loro tradizione è monogama, ma ammettono il divorzio. Purtroppo, a causa della deforestazione galoppante e dall'avidità delle multinazionali, si vedono spesso costretti a ritirarsi negli angoli più remoti della foresta o, peggio, a vivere ai bordi di una società che li disprezza e li emargina. I popoli Bantù, tuttavia, hanno paura della foresta e attribuiscono ai Pigmei poteri soprannaturali. Numerose sono le leggende che riguardano questi piccoli uomini. Si racconta, infatti, che qualsiasi Pigmeo possa trasformarsi in una feroce pantera o in un gorilla di montagna e che essi possano spostare il loro accampamento senza muoversi. Credenze che contribuiscono, però, a lasciare questo popolo meraviglioso avvolto nel mito e nella leggenda.
i Pigmei Baka
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testo di PAMELA McCOurT FrANCESCONE foto ArChIvIO LAGuNA LăNG Cô
ECO-FRIENDLY E INNOVATIVA L’INTRODUZIONE DI UNA FAMIGLIA DI BUFALI D'ACQUA PER LA CURA DEI DIECI ETTARI DI RISAIE NEL CUORE DEL PIÙ PRESTIGIOSO CAMPO DA GOLF DEL VIETNAM
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LAguNA goLf LăNg CĂ´
Il campo da golf par-71 si snoda per 6.350 metri tra la foresta pluviale verde smeraldo e l'azzurro del Mare Cinese Orientale. Sono 18 le buche e tee di tutti i livelli disseminati lungo il movimentato tracciato che attraversa diversi ambienti, ostacoli e dislivelli 24
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estende per tre chilometri. Il campo da golf par-71 si snoda per 6.350 metri tra la foresta pluviale verde smeraldo e l'azzurro del Mare Cinese Orientale. Sono 18 le buche e tee di tutti i livelli disseminati lungo il movimentato tracciato che attraversa diversi ambienti, ostacoli e dislivelli: dalla vegetazione tropicale a ruscelli e torrenti, da boschi ad affioramenti rocciosi e dune di sabbia, con la presenza dominante della sabbia e persino di risaie. Caduto in declino per una serie di fattori e sfide che avevano lasciato offuscata la reputazione del Club, nel 2017 è arrivato Calver che aveva lavorato in club superstar come il Cabot Links e Cabot Cliffs in Nuova Scozia, il Nirwana Bali Golf Club e il Jumeirah Golf Estates a Dubai. Calver non ha perso tempo, trasformando la fortuna del campo da golf grazie a una progettazione agronomica proattiva nel pieno rispetto della topografia naturale e della conservazione e valorizzazione dell’ambiente.
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«Il Vietnam è uno dei paesi più belli al mondo, e quando fu inaugurato nel 2013, il Laguna Golf Lăng Cô progettato da Sir Nick Fado, uno dei migliori golfisti di tutti i tempi, aveva un vero asso nella manica sorgendo in una delle località più strepitose del Paese» dice Adam Calver, direttore del Club e artefice della rinascita del campo links, vincitore l’anno scorso del prestigioso riconoscimento Vietnam’s Best Golf Course. Ubicato sulla costa centro-meridionale del Vietnam, un’ora dall’aeroporto di Danang e tra due gioielli UNESCO Hue e Hoi An, Laguna Golf Lăng Cô fa parte di Laguna Lăng Cô, il primo e più grande resort integrato di lusso in Vietnam e il primo progetto nel Paese per il Banyan Tree Group. Sugli 80 ettari del complesso sorgono il Banyan Tree Lăng Cô e l’Angsana Lăng Cô, residence e villette, una prestigiosa spa e ristoranti esclusivi lungo la splendida spiaggia di sabbia dorata che si
PrOgETTAzIONE AgrONOMICA PrOATTIvA
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LuNA CON LA MAMMA ChI ChI
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LAguNA goLf LăNg Cô
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Ingegnoso ed eco-friendly l’utilizzo dei bufali d'acqua. Mangiando le erbacce in eccesso che circondano il percorso, che altrimenti avrebbero bisogno di macchinari per la manutenzione, questi giardinieri a quattro zampe giocano un ruolo importante nel team di Calver
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«Erano molti i problemi preesistenti da affrontare e le sfide erano tante, dalle carenze di manutenzione al drenaggio difettoso, dalla scarsa esposizione alla luce solare ai flussi d’aria limitati e dall’impraticabilità del percorso durante e dopo le forti piogge che sono frequenti nel Vietnam centrale dove gli inverni sono freschi e umidi, e di sera le temperature possono scendere sotto i 15 gradi Celsius. Quando sono arrivato all'inizio del 2017 le problematiche erano arrivate al culmine a seguito di un inverno particolarmente rigido». Tra gli interventi del team di Calver per il salvataggio del Club, l’immediato rinnovamento di 12 green danneggiati, con una nuova superficie messa a dimora manualmente, e la rimozione dell’eccesso di vegetazione intorno ai green. Innovativa l’introduzione di una famiglia di bufali d'acqua che fungono da bio-falciatrici, curando i dieci ettari di risaie
IL CAMPO DA gOLF PIÙ SOSTENIBILE
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al cuore del percorso dove ogni anno vengono prodotti 20 tonnellate di riso, di cui la maggior parte viene donata per sostenere le famiglie locali. Ingegnoso ed eco-friendly l’utilizzo dei bufali d'acqua. Mangiando le erbacce in eccesso che circondano il percorso, che altrimenti avrebbero bisogno di macchinari per la manutenzione, questi giardinieri a quattro zampe giocano un ruolo importante nel team di Calver e, con l’arrivo di Luna nata nell'autunno del 2019, la famiglia è cresciuta. «Ora Luna lavora accanto al papà Tu Phat, alla mamma Chi Chi e al fratello Bao per la gioia dei nostri ospiti che solitamente la trovano pascolare intorno alla seconda o alla terza buca», ha affermato Calver. L’anno scorso il complesso sportivo è stato insignito della prestigiosa certificazione Gold da Earth Check, il gruppo leader di consulenza, certificazione e benchmarking scientifico e ambientale per l'industria dei viaggi e del turismo, rafforzando la posizione di leader di Laguna Golf Lăng Cô come il campo da golf più sostenibile del Vietnam.
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IL PONTE CARLO T
testo e foto di PA
A volte è facilissimo identificare u che ritrae il suo edificio s con il Colosseo a roma, la To della Libertà a New York. Il simbo è un ponte: il Ponte Carlo, che co
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TRA STORIA E LEGGENDA
AOLO PONGA
na città guardando una fotografia simbolo: così è per esempio our Eiffel a Parigi o la Statua lo della splendida città di Praga, ollega le due rive della Moldava
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IL PONTE CARLO Il simbolo della splendida città di Praga, capitale della Repubblica Ceca è un ponte: il Ponte Carlo, che collega le due rive della Moldava. Come molti oggetti simbolo, anche questo ponte ha una storia tutta particolare, molto vissuta; ancora maggiori sono le leggende legate ad esso. D’altronde, come é noto, Praga è considerata una delle capitali della magia bianca europea. Difficile non immaginarlo sopra di esso: da un lato vedrete la collina che sale dietro le torri a portare fino al Castello, bene in vista; dall’altro la famosa torre medievale, così scenografica, e dietro lo Stare Mesto, la città vecchia. Intorno a voi le celebri statue e, sotto, la Moldava impetuosa. Impossibile non rimanerne affascinati. Dove un tempo c’era una passerella fatta di tronchi, durante il decimo secolo d.C. fu fabbricato il primo ponte di legno, soggetto però alle furibonde inondazioni del fiume. Vladislav II intorno al 1170 fece costruire quindi il primo ponte di pietra, dedicandolo alla moglie Giuditta. Di questo, distrutto da una piena nel 1342, è rimasto ben poco, tranne una testa di uomo barbuto chiamata Brabac, adesso visibile sulle mura del lungofiume del lato della città vecchia. Ora, come allora, indica i livelli di pericolo delle acque della Moldava. Nel
uNA DELLE CAPITALI DELLA MAgIA BIANCA
1357 il grande re Carlo IV decise di affidare al famoso architetto Peter Parler, il costruttore della Cattedrale e del Castello, l’edificazione di un ponte tutto nuovo, rimasto attualmente quello più antico di Praga. Il ponte verrà poi a lui intitolato solo nel 1870, mentre prima era per tutti “il ponte di pietra”. A questo proposito, la prima di esse fu posata, su diretta volontà del sovrano Carlo IV, il 9 luglio 1357 alle ore 5,31. La decisione fu presa per creare un numero bifronte, palindromo, che gli avrebbe portato fortuna: 1-35-7-9-7-5-3-1. Si cercò di ottenere la maggiore solidità possibile, edificandolo con grossi blocchi di pietra arenaria ma, malgrado questo, venne parzialmente distrutto nei secoli da diverse inondazioni. È lungo 515,76 metri e largo 9,5 e poggia su 16 arcate; la sua costruzione completa ebbe termine solo nel 1402. Anche la fase di realizzazione del Ponte Carlo è ricca di leggende o storie strane, alcune con un fondo di verità. La prima è che venisse chiesto ai villaggi vicini a Praga di inviare ingenti quantitativi di uova, perché l’albume, mescolato con la malta, poteva aumentarne la solidità. Questo fatto sembra vero, come appurato dalle analisi chimiche effettuate sulle pietre dell’epoca. Si narra però anche che gli abitanti del villaggio di Velvary, temendo che si rompessero durante il viaggio, inviarono ai costruttori delle uova sode: da allora in Repubblica Ceca sono diventati sinonimo di stupidità.
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Per quanto riguarda le statue poste sul passaggio del ponte Mentre di giorno subiscono l’assalto dei turisti, dei venditori di souvenir, dei pittori improvvisati, di notte danno una sensazione diversa, come fossero animate da un afflato magico: sembra che si muovano, che parlino tra loro mettendosi piÚ comode
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IL PONTE CARLO
Malgrado i materiali di prim’ordine e le uova, sembrava però che il ponte fosse maledetto: ciò che veniva fatto di giorno, crollava poi di notte. L’architetto che aveva sostituito Parler dopo la sua morte, decise allora di fare un patto con il diavolo: questi avrebbe consentito di ultimare il ponte ed in cambio avrebbe avuto l’anima della prima persona che l’avesse attraversato una volta finito. Il costruttore cercò di beffare il diavolo, liberando un gallo sul ponte; questi però, scoperto il piano, si recò dalla moglie dell’architetto avvisandola che il marito si era sentito male. La povera donna accorse correndo per cercare il costruttore e lo attraversò prima del gallo: il diavolo così riuscì a prendere la sua anima. Le due estremità del Ponte Carlo vennero fortificate mediante la costruzione di torri. Verso Mala Strana, il quartiere che poi porta al Castello, in realtà le torri sono due, collegate da un arco, poiché la più piccola è ancora quella del ponte Giuditta poi rimaneggiata in epoca rinascimentale. Sull’arco vi è anche uno strano bassorilievo che pare raffigurare una strega a cavallo della scopa. Dalla parte opposta si trova invece la torre più famosa, già in parte edificata
L’ArChITETTO FECE uN PATTO CON IL DIAvOLO
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dall’officina di Parler durante l’epoca di Carlo IV. Da essa oggi si può godere di un panorama mozzafiato sul ponte stesso e sul fiume. Nel 1621 e per alcuni anni a seguire, la vista fu invece decisamente meno edificante, visto che furono appese 12 teste di nobili giustiziati nella piazza, poiché avevano osteggiato l’autorità reale. La protezione del ponte venne affidata ai Crocigeri della Stella Rossa, un ordine di frati laici ospitalieri che divennero per un periodo anche militari; il loro simbolo due stelle rosse, una a sei ed una ad otto punte. Ebbero in effetti molto da fare per proteggere il ponte, visto il passaggio degli ussiti nel 1420, e soprattutto il tentativo fallito di invasione della città vecchia da parte degli Svedesi nel 1648, che causarono diversi danni alla torre della città vecchia; si combatté su di esso un’ultima volta nel 1848. Oggi ancora viene attraversato da tutte le manifestazioni di protesta, per ottenere fortuna nei propri intenti e per qualche immagine suggestiva da mandare ai giornali. Il Ponte Carlo è famoso anche per le sue statue, in realtà oggi copie di quelle antiche, rovinate dall’incuria del tempo. La prima, posta su di un piedistallo nell’acqua, fu quella del cavaliere Bruncvik che simboleggiava il privilegio dei borghesi di Stare Mesto, la Città Vecchia, di esigere le tasse per il passaggio sul ponte. Manco a dirlo, la storia del cavaliere è leggenda.
uNO DEI PONTI PIÙ BELLI DEL MONDO
Si narra che anticamente Bruncvik si sia avventurato in giro per l’Europa per cercare di ottenere il diritto di migliorare lo stemma che rappresentava un’aquila nera e sostituirla con quella di un leone. Durante il cammino, incontrò davvero un leone, salvandolo dall’attacco di un drago a nove teste grazie alla sua spada magica, che tagliava da sola le teste ai nemici. Da quel momento il leone divenne il suo fido compagno d’avventure. Tornato a casa, l’eroe seppellì la spada nella struttura del Ponte Carlo, affinché San Venceslao, tornato dall’aldilà, potesse utilizzarla per salvare la patria in pericolo. L’avrebbe trovata il suo cavallo, battendo nel punto esatto con il suo zoccolo. In effetti quando furono effettuati dei lavori in seguito all’inondazione del 1890, nella pavimentazione del ponte fu rinvenuta un’antica spada tutta arrugginita. Per quanto riguarda invece le statue poste sul passaggio del ponte, la prima e più famosa è quella di bronzo di San Giovanni Nepomuceno, il cui originale fu posto nel 1683. Anche in questo caso, neanche a dirlo, ci sono delle leggende. La statua è infatti completata da cinque stelle che circondano la testa del santo: si dice che queste siano apparse sulla superficie del fiume quando Giovanni fu buttato in acqua nel 1393 su ordine del re Venceslao IV. Il vero motivo fu probabilmente politico, ma quello più noto fu il rifiuto del santo di rivelare al sovrano quanto detto in confessione dalla regina Sofia; le cinque stelle simboleggiano infatti la parola latina “tacet”, tace. Si dice anche che, ponendo una mano sulla croce in modo che ciascun dito tocchi una stella, si possa avverare un desiderio segreto. E che prima o poi nella vita, si finisca per tornare a Praga, che già non sarebbe male. In totale le statue, le cui versioni originali furono costruite per la maggior parte nella prima metà del Settecento, sono 30, in gran parte di pietra arenaria. Mentre di giorno subiscono l’assalto dei turisti, dei venditori di souvenir, dei pittori improvvisati, di notte danno una sensazione diversa, come fossero animate da un afflato magico: sembra che si muovano, che parlino tra loro mettendosi più comode. Forse festeggiano come al solito la nascita di un bambino nell’isolotto di Kampa, che proteggeranno per la vita. O forse stanno chiacchierando con i Vodnik, i folletti del fiume. Se di notte incontrate un piccolo essere vestito di verde con un cappello a tuba rosso ed una marsina gocciolante, fate attenzione: è un Vodnik, si sa. Ne scrisse anche il grande compositore Antonin Dvorak, che ne fece il protagonista del poema sinfonico Vodnik, ovvero il folletto delle acque. Si tratta di un essere buono o malvagio? Dipende. Il più anziano, il signor Josef, vive vicino alla quarta arcata del ponte tranne la sera, quando ama andare a divertirsi nelle birrerie praghesi, per il famoso nettare boemo. Altri, invece, tendono agguati alle belle fanciulle che passano vicino al fiume, per gettarle in acqua e ghermirne le anime, poi conservate dentro delle ampolle sul fondo del fiume. In ogni caso fate attenzione, non si sa mai, anche se sarete rapiti dalle emozioni che dona uno dei ponti più belli del mondo.
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il fascino immortale d
testo di Lu
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AL DI Là E AL DI FuOrI DEL TEMPO
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Venezia si mostra in ogni angolo, in ogni percorso delle sue calli, ponti, salizade e porteghi. Sia che si cammini lungo la “Lista di Spagna” e si intravvedano passo passo dalle piccole corti le gondole ondeggianti sul Canal Grande per l’approdo all’altra sponda dove ci attendono palazzi nobiliari, altre corti e incredibili giardini pensili sull’acqua, sia che si percorrano gli ampi gradini avvolgenti della Scala del Bovolo o si attraversi l’antico Ponte di Rialto osservando, di qua e di là dagli archi, tutti i mirabili scorci del Canal Grande. Venezia è tutto questo, al di là e al di fuori del tempo, gioiosa durante i molteplici eventi, ma anche solenne e un po’ misteriosa, nelle piccole calette ad esempio dietro la Giudecca, dove si possono ascoltare, nel silenzio, i propri passi e nel frattempo traguardare, al di là di bei cancelli in ferro battuto, lo scorcio di un praticello, un minuscolo giardino e il
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profilo di una vecchia abitazione le cui pietre di base, lambite dal continuo battere dell’acqua, sono quasi annerite. Ma poi, superato un breve ponte, ecco l’apertura illimitata del Canal Grande, quando il vaporetto comincia ad accostarsi di qua e di là dal Canal Grande, fino a godere di quella Punta della Dogana che sembra fare da spartiacque tra il Canal Grande e il Canale della Giudecca appunto. Sono pieni di suggestione perfino i nomi di certi palazzetti: dopo la Chiesa delle Zitelle ad esempio La casa dei tre oci: dimora costruita da Mario De Maria nel 1913. E sono proprio splendidi occhi quelle tre finestre che si aprono sulla facciata di quello che è oggi uno spazio espositivo aperto al pubblico, dal 2012, dopo un accurato restauro a cura della Fondazione di Venezia che ne ha acquisito la proprietà nel 2000. Campus privilegiato di elaborazione dei linguaggi del contemporaneo, cura particolarmente quello fotografico.
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z n i e Ve a ... E da qui torniamo nell’ampiezza senza limiti dell’apertura che il Canal grande ci prospetta dinanzi con i ricami raffinatissimi del Palazzo Ducale e l’inestimabile facciata della Basilica di San Marco
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Un Comitato Tecnico composto da rappresentanti della Fondazione Venezia con Civita Tre Venezie, oltre al Direttore artistico Denis Curti presiedono le varie attività, anche con il contributo delle aziende che costituiscono il “ TRE OCI CLUB”. Ma proseguiamo il nostro cammino e raggiungeremo la punta finale del Canale della Giudecca con una passeggiata tranquilla che in pieno ‘800 vedeva la frenetica attività di tutti coloro che lavoravano per un grandioso Mulino: il Mulino Stucky. Fu infatti una grande idea di Giovanni Stucky intorno alla metà
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dell’Ottocento in seguito allo studio del funzionamento di diversi mulini in paesi esteri, quella di sfruttare il canale veneziano per un veloce trasporto via acqua del grano da destinare al mulino dell'isola di Giudecca. L'impianto dava lavoro, a pieno regime, a millecinquecento operai in grado di macinare fino a 2.500 quintali di farina al giorno. La progettazione dell'imponente complesso fu affidata all'architetto Ernst Wullekopf, che realizzò uno dei maggiori esempi di architettura neogotica applicata ad un edificio industriale e il complesso preesistente fu ampliato e suddiviso in due distinte aree: una, maggiore e a sviluppo verticale, che includeva il mulino, i magazzini e i silos nonché gli uffici; una seconda, costituita da edifici più bassi, ospitava il solo
pastificio, assumendo così le sembianze attuali. Wullekopf volle dotare l'edificio della classica e caratteristica facciata neogotica con impresso il nome del proprietario del mulino sormontato da un gigantesco orologio, un prospetto diventato da allora un simbolo dell'architettura industriale in Italia. Attivo e fiorente fino ai primi anni del ‘900, quando era adibito anche a pastificio, il Mulino cominciò poi una lunga crisi, che si concluse con la chiusura nel 1955. Ma ecco che, alla fine del secolo (era il 1994), la società Acqua Pia Antica Marcia rilevò l'antica area industriale, ponendola, quattro anni dopo, sotto la tutela della Sovrintendenza alle Belle Arti, che ne faceva poi realizzare uno dei maggiori restauri conservativi d’Europa
riguardanti un antico opificio lasciandone inalterata l'architettura neo-gotica. A metà dell’anno 2000, ecco la stipula di una partnership economico-finanziaria fra Acqua Marcia e la catena di alberghi Hilton, in base alla quale l'area è stata destinata a complesso immobiliare dotato di residence, centro congressi e sede alberghiera capace di 379 stanze, ristorante e piscina panoramici, una sala convegni da duemila posti. Ma che dire di quanti particolarissimi percorsi devozionali con cui Venezia mostra se stessa, al di là degli splendidi monumentali complessi di San Marco, della Salute e delle innumerevoli altre chiese che impongono se stesse sul paesaggio veneziano.
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z n i e Ve a
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z n Ve e ia
Andiamo, ad esempio, alla chiesa di Sant’Elena, di cui forse si intuisce la bellezza, navigando in laguna alla vista dell’abside e del campanile. Vidi la chiesa e il complesso conventuale per la prima volta d’inverno, quando il prato circostante era ammantato di neve, una neve bianca e pulita, perché era presto al mattino e pochi l’avevano ancora calpestata. Il silenzio del chiostro, con la successione degli archi appoggiati sulle colonnine semplici, evoca un’atmosfera molto spirituale, che si accentua poi all’interno della chiesa. E da qui torniamo
AMPIEzzA SENzA LIMITI DEL CANAL grANDE
nell’ampiezza senza limiti dell’apertura che il Canal Grande ci prospetta dinanzi con i ricami raffinatissimi del Palazzo Ducale e l’inestimabile facciata della Basilica di San Marco. Attraversiamo la grande piazza San Marco e da qui ci attraggono di nuovo le calli e callette più interne, e penetriamo tra le case fino a raggiungere quelle più alte di Venezia, ossia quelle del Ghetto. E se a San Polo già abbiamo potuto gustare l’ottimo Baccalà mantecato e i famosi cuori di carciofo alla veneziana, forse proprio qui nel Ghetto, può essere interessante fermarsi a gustare in qualche tipico ristorante kosher un buon piatto della tradizione ebraica, così radicata in Venezia: dalle azime dolci alle orecchiette di Amman ripiene di frutta.
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testo di TErESA CArruBBA
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Forse il sommo Poeta Dante si ispirò a questo paesaggio quando ingegnò i gironi dell’Inferno. Crosta di luna, fossile di una storia incantata. Furono gli acidi caldi emersi dal profondo a disegnare la faccia porosa di queste rocce calcaree trasformandole, come per magica alchimia, in gesso bianchissimo. Effetti vulcanici di coda, dopo le grandi trasformazioni geologiche che interessarono le Colline Metallifere a partire da 4 milioni di anni fa. Quello delle Biancane potrebbe dirsi un luogo cristallizzato nel tempo, se non fosse per quei segni della natura che prorompe incessante dal sottosuolo attraverso le spaccature del calcare e dei diaspri di superficie. Fumi bollenti di gas che si addensano a contatto con l’aria disegnando un’atmosfera rarefatta che avvicina più al sogno che alla realtà. Non a caso, il Comune di Monterotondo Marittimo, che territorialmente lo comprende, ha eletto questo luogo a scenario teatrale per le letture dantesche durante l’estate. Un segno di apprezzamento della bellezza e della suggestione di questi luoghi che ricambiano il gesto scaldando i rigidi inverni di Monterotondo. E’ dalle Biancane, infatti, che nasce l’energia termica per riscaldare le sue case. Una rete di tubi canalizza i fluidi geotermici alla temperatura di 80 - 100 °C per scaldare tramite degli scambiatori l’acqua circolante in radiatori, termoconvettori o pannelli radianti dell’impianto di riscaldamento delle abitazioni, circa 500, per un totale di oltre 150.000 metri cubi di acqua riscaldata, con un risparmio complessivo annuale di oltre 800.000 Kg di petrolio e un bel guadagno. Paradossalmente, anche l’ecosistema della collina delle Biancane si avvantaggia di questo fenomeno geologico. Se si considera che il vapore che si sprigiona dalle fratture delle rocce ha una temperatura di circa 100°C ed è costituito per il 95% da vapore acqueo ma per il restante da anidride carbonica, metano, ammoniaca, acido solfidrico e acido borico, e che la presenza dell’acido solfidrico provoca un’intensa acidificazione del suolo, lo sbiancamento dei diaspri originariamente di un bel colore rosso e l’assoluta mancanza di vegetazione nelle aree delle esalazioni geotermiche. A due passi, sullo stesso versante della collina, la vegetazione spontanea sembra trovare radici nel miracoloso. Qui nascono e si nutrono specie vegetali che altrimenti non sarebbero esistite. Sorprendente, per esempio, la presenza di un consistente numero di querce da sughero del tutto particolari, acidofile, che proprio grazie alle condizioni alterate delle rocce (trasformate in terreno gessoso) hanno costituito una colonizzazione anomala. Prova ne sia il fatto che questa specie esiste solo qui, e non nelle altre aree della collina. Inoltre, nelle località limitrofe della Toscana dove nasce spontanea la sughera, non risultano presenze oltre i 400 m s.l.m. poiché si tratta di una pianta particolarmente sensibile ai climi rigidi. Invece crescono nelle Biancane, che raggiungono quasi i 700 m s.l.m. . Questo fenomeno contribuisce all’eccezionalità del sito, anche dal punto di vista botanico.
uN LuOgO CrISTALLIzzATO NEL TEMPO
MONTEROTONDO MARITTIMO
Dalle Biancane, appollaiato sulla collina di fronte, Monterotondo Marittimo emerge con i suoi tetti medievali da una nuvola, forse
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LE BIANCANE DI MONTEROTONDO MARITTIMO
MONTErOTONDO MArITTIMO
frutto della condensa di questi fumi che l’avvolgono non solo di calore ma anche di un alone di mistero. Un piccolo borgo con le caratteristiche case di pietra, sopra pendii verdissimi di castagneti e macchia mediterranea. I monumenti parlano della sua storia e della sua arte. Preziosa la Madonna di scuola Senese, trecentesca, custodita nella chiesa San Lorenzo del 1600, da ammirare il Palazzo Comunale con la torre Medievale, i ruderi della Rocca degli Alberti del XIII secolo, la fattoria di Vecchienne del XVI secolo, la Chiesetta di Santa Croce risalente all’epoca tardo romanica del XIII secolo e il Santuario della Madonna del Frassine, meta di molti fedeli, con la Madonna lignea di scuola pisana del XII secolo, unico Santuario Mariano della Maremma.
LE COLLINE METALLIFERE
Fu una massa di magma granitico, 70 milioni di anni fa, ad infiltrare fluidi di particelle metalliche in queste rocce tanto da generare vasti giacimenti minerari; una vera ricchezza per il futuro. Nascono le Colline Metallifere, in Alta Maremma, che oltre alle vene preziose hanno assorbito tutto il fascino di una terra fatta di contrasti emozionanti. Campi coltivati a grano, vigneti e ortaggi, fazzoletti distesi ad un sole che, qui, fa esplodere la natura. Agricolture geometriche ed ordinate, al posto delle primitive e insane paludi. Lo sguardo si rasserena su queste piane per poi eccitarsi di fronte alla selvaggia macchia mediterranea, tra lecci, corbezzoli e querce da sughero, habitat naturale dei numerosi cinghiali dalla carne sapida per via di quel felice incontro tra l’aria salmastra del vicino Mar Tirreno e la brezza frizzante della collina. Cinghiali, fonte di vere ghiottonerie della cucina locale. Boschi fittissimi soprattutto sui pendii meridionali delle Colline Metallifere squarciati qua e là dal rosso delle argille e dal pastello gessato delle rocce calcaree che nel tratto di Campiano vira in uno straordinario giallo-viola, opera dei residui della miniera di pirite. Un territorio, dunque, di grande valore ambientale e naturalistico che in più si arricchisce della storia e dell’arte dei capisaldi della Comunità Montana delle Colline Metallifere: Massa Marittima, Monterotondo Marittimo, Montieri.
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MASSA MARITTIMA
La cattedrale di San Cerbone
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la torre del candeliere, massa marittima MASSA MARITTIMA
Eretta, a dispetto del nome, sulla cima di un colle, Massa Marittima visse il suo periodo d’oro tra l’VIII e il IX secolo, un fulgore che le guadagnò nel 756 il trasferimento alla Diocesi come sede episcopale. E la magnificenza di allora si perpetua nei suoi monumenti di imponente bellezza. Il primo forte impatto è con la Piazza Garibaldi, considerata una tra le più suggestive al mondo, Patrimonio Universale dell’Umanità, secondo l’UNESCO. Un assetto urbanistico straordinario che fa trattenere il fiato e guida lo sguardo in tondo, lungo le linee essenziali di una storia economica, artistica e di potere che fa ancora di questa città una meta di grande interesse in tutta l’Alta Maremma. Il punto focale è senz’altro la Cattedrale di San Cerbone di impianto romanico, del XII secolo, la cui facciata s’innalza attraverso il timpano, alleggerito da tre pinnacoli gotici. Singolare il suo punto di fuga, molto inclinato rispetto ad un ideale centro della piazza: un effetto voluto, ovviamente, un accorgimento architettonico che ne fa la leva estetica di tutta la struttura urbanistica. A contrasto, l’austera semplicità del Palazzo del Podestà o Palazzo Pretorio
che ha raccolto la storia di personaggi illustri, non solo podestà ma anche capitani di giustizia e vicari regi. Ce lo raccontano gli stemmi gentilizi, soprattutto del XV secolo, murati sulla bella facciata romanica in travertino alleggerita da due ordini di bifore gotiche. Stemma mediceo, invece, come unico orpello dell’adiacente Palazzo Comunale, un altro edificio di rappresentanza, tra gli organi fondamentali della vita pubblica cittadina. La sua imponenza non è diminuita da una sapiente distribuzione di pieni e di vuoti grazie ai numerosi portoni ad archi, alle bifore, ai merli. In tutti gli elementi che costituiscono l’intera mole architettonica del palazzo: la Torre del Bargello e i tre edifici tra loro collegati. Lo stupore di fronte alla piazza principale di Massa Marittima, che strategicamente divide la Città nuova dal centro storico, racchiuso in una cinta di mura del XIII secolo in gran parte ottimamente conservata, non si placa addentrandosi tra i palazzi nobiliari, i vicoli stretti, le sedi di antichi commerci, i loggiati, le case-torri e le scalinate irregolari di pietra che accompagnano alle magnifiche mura presentate da suggestivi archetti.
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piazza garibaldi
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a Piazza garibaldi, considerata mondo, Patrimonio universale econdo l’uNESCO
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Chatrium Hotel Royal Lake Yangon Santuario urbano di lusso e di charme Pamela McCourt Francescone
Entrando nel Chatrium Hotel Royal Lake Yangon l’ospite si trova avvolto da un ambiente splendente e raffinato. Il suntuoso design tradizionale birmano con specchi e ori è ispirato alla magnifica pagoda Shwedagon, visibile da molte delle camera e suite: uno dei tanti plus di questo grand hotel prospiciente le acque verde smeraldo del Lago Kandawgyi. Discrete, altamente professionali e corredate da sorrisi smaglianti e uno stile d’altri tempi le attenzioni dello staff, molti dei quali indossano tradizionali costumi birmani . Albergo 5-stelle storico del Paese, da sempre prescelto da capi di stato, teste coronate, diplomatici e jetsetter per la sua posizione ideale in una zona residenziale poco lontano dal centro e dall’aeroporto internazionale. I giardini tropicali con la grande piscina, spazi verdeggianti e l’ombra di palme slanciate sono un’oasi di serenità che invitano al relax più totale. Nella Nemita Spa e nel Fitness Centre gli spazi e i trattamenti sono votati al benessere del corpo e dello spirito. Le 300 camera e suite, dotate di ogni comfort, esprimono il meglio del décor contemporaneo con richiami ai colori e alle tradizioni del
www.chatrium.com/royallakeyangon
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Myanmar, mentre dal balcone della R spazia a 180° sul lago, sulla città e s Tre i ristoranti. Nell’Emporia viene di specialità internazionali, asiatich estro dall’Executive Chef Kosol. Il K dalla cucina qualitativamente eleva ristorante giapponese del Paese, m viene premiato con eccellenze regi dim sum. Ogni weekend le serate nel Club Ri contemporanea e ballabile, mentre impeccabile tè del pomeriggio e un Di giorno la Sunset Terrace è un rif o uno snack veloce, e dal tramonto privilegiato dove sorseggiare una f di candela, cullati dal sussurro delle notti tropicali.
KALEIDOSCOPE
Royal Suite, su 300mq, l’occhio sullo sfavillante Shwedagon. e servita la prima colazione, e i menù he e thailandesi sono plasmati con Kohaku, dal design d’avanguardia e atissima, è osannato come il migliore mentre nel Tiger Hill il commensale ionali, e cestini fumanti di gustosi
izzoli sono dedicate alla musica e nel Lobby Lounge viene servito un n ricco assortimento di cocktail. fugio ideale per un pranzo di lavoro o fino a serata inoltrata un ritrovo flûte di champagne o cenare al lume e fontane e dai profumi esotici delle
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Hotel Ad Luisa Chiumenti
E’ davvero emozionante p fermarsi presso l’idromass ammirando, di fronte a no Dolomiti del Brenta. In privilegiata posizione ne da sci e dal Parco Sportivo, da più di mezzo secolo, com anderlese”. Nato nei primi stato da sempre portato av sviluppato a mano a mano le potenzialità, legate a un tersa e le innumerevoli pas Paganella. L’albergo dispon bar, ristorante, sala soggio divertimento dei più picco garage privati, giardino e te cena offre una vasta variet oltre ai classici della cucina con 5 portate: entré, antip
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dler di Andalo
percorrere con qualche bracciata o saggio nella piscina dell’Hotel Adler, oi il verde dei boschi e i colori tipici delle
el centro di Andalo, a pochi passi dalle piste , l’Hotel Adler si presenta davvero, ormai me la vera e propria “porta dell’ospitalità anni ‘50 e oggi interamente rinnovato, è vanti dalla famiglia Bottamedi; che ne ha con grande dedizione e competenza, tutte territorio privilegiato per l’aria pura e sseggiate a più alta quota verso la ne di camere e suite in diverse tipologie, orno, sala giochi attrezzata per il oli con assistenza di animatori, parcheggio e errazza solarium. Il ristorante a pranzo e a tà di pietanze della tradizione regionale a italiana. Tutti i giorni è prevista la cena pasto, primi e secondi piatti suddivisi in 4
menù: Tipico, Vital, Vegetariano e Gourmet e dessert vari a scelta e nel pomeriggio gli ospiti sono sempre invitati ad una ricca merenda. Ma forse il “fiore all’occhiello” è davvero il Centro Wellness dove, secondo la filosofia della migliore tradizione nordica, si può godere di benefici effetti per il benessere psico-fisico. Aperto tutti i giorni, dispone di Bagno Romano, Bagno Turco, docce emozionali, cascata di ghiaccio, Sala relax iodio-terapica al sale dell’Himalaya, Sauna finlandese al cirmolo, Sauna Finlandese “eventi” per sensazionali Aufguss (gettate di vapore) o momenti di relax con campane tibetane, effettuati da Maestri di sauna, grande Bio-sauna e ampia area relax. Completa il Centro Wellness la grande Whirlpool di oltre 50 mq con più zone idromassaggio su tre livelli, grande cascata e geyser. Il reparto Beauty si occupa poi di rigeneranti massaggi e trattamenti estetici effettuati con prodotti naturali del territorio per una eccezionale remise-en-forme, grazie alla sapiente esperienza delle ottime estetiste. Dall’autunno 2020 l’Adler Hotel wellness & spa ampia la propria gamma di servizi dedicati al benessere proponendo periodi dedicati all’equilibrio fisico e mentale attraverso diverse attività olistiche: gli “Aequilibrium days”!
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Ughetta Lacatena
Monica Nanetti
LA VIA FRANCHIGENA SVIZZERA DALLA FRANCIA ALL’ITALIA IN UNDICI TAPPE
EDITORE MORELLINI
La Via Francigena è una delle tre peregrinationes maiores, (insieme con Santiago di Compostela e Gerusalemme) medievali e, lunga quasi 2000 chilometri, collega il Nord Europa a Roma. Il punto di partenza della Via Francigena è, per convenzione, il portico sud della Cattedrale di Canterbury, in Inghilterra: da qui l’itinerario si snoda nella campagna inglese del Kent fino a Dover, punto d’imbarco per attraversare il canale della Manica e sbarcare a Calais. In Francia il percorso prosegue per circa 1000 chilometri e attraversa la Piccardia, la Champagne-Ardenne fino alla Borgogna, per poi salire lungo i bordi dello Jura francese e raggiungere la Svizzera. In territorio elvetico, in poco più di 200 chilometri si scende fino alle sponde del lago Lemano e lo si costeggia, per poi percorrere la valle del Rodano e da qui affrontare l’impegnativa salita del tratto più elevato dell’intero percorso: quello che conduce al Passo del Gran San Bernardo, a 2473 metri di quota. Entrati in Italia, una “discesa” di altri mille chilometri conduce, passando per la Val d’Aosta, il Piemonte, l’Emilia e la Toscana, verso il celebre porticato del Bernini. Dopo una prima parte introduttiva allo storico cammino e corredata da informazioni di carattere generale (dove dormire e mangiare, trasporti, assistenza, ecc), l’autrice conduce l’escursionista attraverso le undici tappe (tra i 12 e i 27 chilometri giornalieri) di questo tracciato, con i dettagli dei diversi sentieri, i riferimenti per l’orientamento, le mappe e le altimetrie, gli indirizzi utili, le indicazioni e i consigli per l’organizzazione ottimale del viaggio.
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A RUOTA LIBERA diario di un ciclista urbano EDIZIONI ULTRA
a cura di Mariella Morosi
La bicicletta è un mezzo rispettoso ma che esige rispetto, e nelle città assediate dalle auto e dal caos del traffico talvolta è una sfida che presenta qualche rischio. Bisogna fare i conti con gli automobilisti aggressivi o poco sensibili ai principi della buona creanza che intralciano il placido scorrere delle due ruote. E' questo il tema del libro dello scrittore Federico Longo "A ruota libera" appena pubblicato dalla casa editrice Ultra, che tratta proprio - come recita il sottotitolo "Diario di un ciclista urbano"- dei pericoli sempre in agguato nelle strade cittadine. Eppure il gusto delle due ruote si sta diffondendo rapidamente anche in Italia. C'è una crescita esponenziale di chi le sceglie per andare al lavoro o in gita, per trascorrere le vacanze en plein air. Nonostante molto spesso la ciclabilità nelle nostre città sia stata a lungo ignorata o persino ostacolata, è indubbio il nuovo coinvolgimento di soggetti imprenditoriali, associativi e istituzionali impegnati in direzione della nuova forma di mobilità e di green economy. La narrazione di Federico Longo, ciclista urbano da sempre, è leggera, piacevole e velata di ironia, ma coglie appieno la difficoltà di vivere una passione e talvolta una necessità in un mondo che va troppo in fretta.
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EDITORE MORELLINI
In questa guida l’autrice, tarantina di nascita, svela le numerose possibilità offerte dalla Puglia, destinazione ricercata in tutte le stagioni dell’anno, percorrendo interamente la regione. Bari e la costa barese, l’entroterra - Alta Murgia e le Gravine, ma non solo -, la via Appia da Taranto a Brindisi per arrivare alle rinomate spiagge del Salento, passando per le terre del griko e le isole Tremiti. Non mancano dritte sull’alloggio, da soluzioni di lusso a sistemazioni più spartane; sui luoghi dove andare a mangiare o a bere qualcosa, sugli eventi, le attività e le manifestazioni anche “fuori stagione”; e suggerimenti su etichette vinicole, enoteche, street food e arte contemporanea. Completano la guida alcuni racconti che affondano le proprie radici nei culti ancestrali, tradizioni, miti eziologici, e tutto un universo magico che affiora anche dalla gastronomia e dalla potenza del dialetto. Ughetta Lacatena pugliese d’origine ma residente a Milano da anni, dal 2005 redattrice di guide di viaggio e blogger, girovaga per diletto e professione, ha già realizzato per Morellini Editore le guide della collana ‘Low Cost’ di Creta (2009), Madrid (2010), Mykonos (2011 e 2017), Lugano (2017).