Web Magazine Sinequanon - Marzo/Aprile 2019 - ANNO 1 N 2

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DIRETTORE RESPONSABILE Teresa Carrubba info@sinequanon.org www.sinequanon.it www.sinequanon.org PROGETTO E REALIZZAZIONE GRAFICA Elisabetta Alfieri COLLABORATORI Luisa Chiumenti, Giuseppe Garbarino, Mariella Morosi, Paolo Ponga FOTOGRAFI Mariella Morosi, Rosario Roccaforte RESPONSABILE MARKETING E COMUNICAZIONE Zelaschi Creazione d’Immagini Srl www.agenziazelaschi.it/ s.zelaschi@agenziazelaschi.it PUBBLICAZIONE RIVISTA ONLINE DMXLAB Srl EDITORE Teresa Carrubba Via Tirso 49 - 00198 Roma Tel. e fax 06 8417855 Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma – Registro della Stampa Il 20.12.2002 - N° 700 / 2002 Copyright © - Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Casa Editrice che ne detiene i diritti.




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MARZO/APRILE 2019

E’ nel cuore di una delle regioni più suggestive del sud d’Italia, la città eletta Capitale Europea della Cultura per il 2019, Matera, la Città dei Sassi.

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PASQUA SICILIANA: PROCESSIONI SACRE, FESTE POPOLARI, FORME DI PANE...

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FIRENZE: L’ARTE PASSA SOPRA UN PONTE

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MATERA: I SASSI COME SET CINEMATOGRAFICO

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GEORGIA: IL VINO PIÙ ANTICO DEL MONDO

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VALLE D’ISARCO: LA CALDA OSPITALITA’ ALTOATESINA

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SAPORI DAL MONDO

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IN COPERTINA

FIRENZE, FOTO DI MAX HAIM 4 | SINEQUANON


SEPTEMBER 2020, ISSUE 1

THE VOICE

A Firenze, una piccola catena, una grande accoglienza www.arshotels.it

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Nel cuore della città, a due passi dall'arte, cultura e shopping

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EDITORIALE

Con la prima timida aria di primavera, si respira anche l’at-

lata di chiese, conventi, borghi medievali e cantine che pro-

mosfera festiva della Pasqua che spesso invoglia al viaggio,

ducono vini rinomati. Il vino. Non tutti sanno che sono in

alla scoperta dei riti e delle tradizioni legati al territorio e alla

Georgia i più antichi siti di vinificazione al mondo. Ce lo con-

cultura di un popolo. Senza andare troppo lontano, Sinequa-

fermano anche gli scavi effettuati in Georgia da un team di

non vi racconta le suggestioni della Pasqua siciliana, caden-

archeologi canadesi capeggiati da Stephen Batiuk. I siti neo-

zata da processioni e cerimoniali, dall’allestimento di archi

litici di Gadachrili Gora e Shulaveris Gora, situati nel Caucaso

e festoni per le vie cittadine e soprattutto dalla produzione

meridionale, a 50 km a sud di Tbilisi, giustificherebbero un

di pani devozionali, vere e proprie opere di fine artigianato.

viaggio in Georgia alla scoperta della storia del vino. Tutt’al-

Ma potrebbe essere anche l’occasione per visitare una tra le

tra storia quella del Ponte Vecchio di Firenze, un tempo sede

eccellenze storico-culturali del nostro Paese: Matera, Capita-

delle botteghe di macellai poi diventata il simbolo dell’orefi-

le Europea della Cultura per il 2019, che ha messo in calen-

ceria dai classici negozi che si affacciano sull’Arno, con i tipici

dario per tutto l’anno, eventi, spettacoli e performance di

sporti in legno chiamati “madielle”.

grande interesse. Motivo in più per visitare una località unica e straordinaria del nostro territorio. Gli amanti del Bel Vivere che vogliano unire l’aspetto naturalistico a quello del gusto, saranno invogliati, per esempio, dalla calda ospitalità altoatesina della Valle d’Isarco. La natura rigogliosa che si espande in fitti boschi di castagni e pregiati vigneti, è costel-

TERESA CARRUBBA

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PASQUA S

testo di TERESA CARRUBBA foto di ROSARIO ROCCAFORTE e ARCHIVIO

PROCESSIONI SACRE, FESTE POPOLARI, FORME DI PANE CARICHE DI SIMBOLOGIA

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SICILIANA

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PASQUA SICILIANA

IN UN SUGGESTIVO AMALGAMA DI FOLKLORE, ATTO VOTIVO E RIEVOCAZIONE DEI RITI PAGANI PROPIZIATORI PER L’AGRICOLTURA, IN MOLTI PAESI DELLA SICILIA, NEL PERIODO PASQUALE, VENGONO PREPARATI PANI FANTASMAGORICI E DOLCI VARIOPINTI.

IL LORO PANE SI ISPIRA AD ANTICHE USANZE CHE RICHIAMANO LA FERTILITÀ DELLA TERRA E LA SPERANZA DEL BUON RACCOLTO 10 | SINEQUANON

Decorativi e fortemente intrisi di simbolismo, questi pani, vere e proprie sculture, assumono significati importanti, rifacendosi a tradizioni di genuino spirito popolare. La panificazione, nell’isola, è da sempre un gesto di devozione, un’arte figurativa popolare espressa attraverso una consumata manualità, perpetuata e perfezionata di generazione in generazione. E il “pane festivo” ha una particolare connotazione comunicativa. Fin dal giorno di San Giuseppe, festa che precede ma è sempre molto vicina alla Pa-

squa, in molti centri siciliani i panificatori si impegnano in una gara esaltante e il loro pane si ispira ad antiche usanze che richiamano la fertilità della terra e la speranza del buon raccolto. Scavi archeologici hanno portato alla luce attrezzi rudimentali sul genere di quelli che si usano ancora oggi per questo tipo di panificazione: ciotole per il lievito, coltelli, forbici, ditali e rotelle, per scolpire e decorare piccoli capolavori che vengono poi infilati in forni di pietra intonando canti rituali. In passato, in questi gesti rivi-

veva il mito di Demetra-Cerere, protettrice della fertilità della terra, che Cicerone riconosceva come patrona della Sicilia. E quello di sua figlia Persefone, tenuta nascosta negli inferi, che salva gli uomini dalla fame col suo benefico ritorno. Ed ecco nascere dalle mani riconoscenti degli avi siciliani pani votivi impastati di simbologia e di fede popolare. E la festa pagana, di ringraziamento agli dei nel periodo del tripudio della terra, la primavera, si trasforma in festa pasquale con l’avvento del Cristianesimo.


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PASQUA SICILIANA

LA TECNICA DI PANIFICAZIONE È ASSAI VICINA A QUELLA DELLO SCOLPIRE, DEL DE

In molte case siciliane vengono allestiti degli altari con sculture di pane dal complesso simbolismo che trasformano il ricordo atavico dei riti agresti pagani in espressioni religiose di dono per grazia ricevuta. Gli altari pasquali, per queste comunità, diventano un modo di conservare la propria identità culturale. I pani-scultura sono esclusivo appannaggio femminile. Ancora oggi le donne, infatti, sono le maggiori tributarie della gestione privata del sacro. La loro tecnica di panificazione è assai vicina a quella dello scolpire, del decorare, del cesellare. Elementari gli stru-

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menti: pettine, ditale, forbice... Niente stampi o forme preordinate! All’uomo, invece, la costruzione degli altari con archi di canne, alloro e mortella e il “montaggio” dei pani devozionali, intercalati da tralci di agrumi e datteri, in una sorta di quadro sacro. Alcune settimane prima di Pasqua, paesi e quartieri cittadini in Sicilia si trasformano in grandi cantieri di progetti creativi e di minuziose preparazioni. In molti centri, come Salemi, San Biagio Platani, Canicattini Bagni, Modica e Alcamo, ci sono ancora molte persone esperte in quest’arte di panificare, di decora-

re i carretti siciliani con i pani cerimoniali e d’innalzare altari e archi sontuosi dal gusto finemente baroccheggiante, che compiacciono lo scopo di un inevitabile “effetto sorpresa”. A Salemi gli altari, spettacolari e ridondanti di elementi decorativi, vengono addobbati quasi esclusivamente con i pani. Sono il frutto del lavoro di una trentina di donne che per almeno un settimana continuano a scambiarsi il criscenti (lievito) a testimonianza di solidarietà. Con lo stesso criterio, i pani, a fine festa, vengono distribuiti a parenti e visitatori per diffondere e prolungare la protezione divina.


ECORARE, DEL CESELLARE. ELEMENTARI GLI STRUMENTI: PETTINE, DITALE, FORBICE

ALCUNE SETTIMANE PRIMA DI PASQUA, PAESI E QUARTIERI I pani-scultura di Alcamo sono particolarmente carichi di significati simbolici. Sistemati su sette livelli, che rappresentano i gradini della Deposizione, qui i pani rappresentano il SS. Sacramento, l’aquila, i datteri, gli alberi fioriti, i pavoni e gli episodi della vita di S. Francesco di Paola. A Gibellina, poi, i fedeli hanno uno straordinario gusto nell’allestire le “Cene di San Giuseppe”. In tutta la Sicilia, le forme dei pani sono floreali, di animali o antropomorfe o desumono spunti dagli elementi pagani agresti e dalla simbologia cristiana. Il “pane di Pasqua” di Buscemi ha

forma rotonda con una croce rilevata al centro raffigurante l’eucarestia; a Canicattini Bagni, a Gangi e a Borghetto si preparano i pani degli apostoli, a Modica, la domenica delle Palme si confezionano pani che ricordano la crocifissione, a forma di corona di spine, di scala o di tenaglia; a Favara, il sabato Santo, le ragazze regalano al futuro suocero un pane raffigurante la testa di Gesù. A confine tra pane e dolci si collocano i cosiddetti pupi cu l’ova, con forme umane, di animali o di oggetti, incastonate di uova sode col guscio colorato o decorato.

In genere i pupi cu l’ova si confezionano tra il giovedì e il venerdì santo e si regalano ai bambini o tra fidanzati. Spesso il pane con le uova ha forma di paniere, come a Canicattini Bagni, Melilli, Lentini, Adrano, Paternò e viene donato con preferenza alle bambine, insieme alla pupidda, la bambolina. Per i maschietti c’è il cavalluccio e il porcospino. Paniere e porcospino sono figure canoniche nella Pasqua di Buccheri, Giarre, Noto e Licata, attestati persino dallo studioso Pitrè che li espose nella mostra etnografica di Palermo del 1891.

CITTADINI SI TRASFORMANO IN GRANDI CANTIERI DI PROGETTI CREATIVI E DI MINUZIOSE PREPARAZIONI

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PASQUA SICILIANA

LE FORME SONO FLOREALI, DI ANIMALI O ANTROPOMORFE O DESUMONO SPUNTI DAGLI ELEMENTI PAGANI AGRESTI E DALLA SIMBOLOGIA CRISTIANA.

I PANI, A FINE FESTA, VENGONO DISTRIBUITI A PARENTI E VISITATORI PER DIFFONDERE E PROLUNGARE LA PROTEZIONE DIVINA 14 | SINEQUANON

Tra le forme tradizionali dei pani con le uova, specie a Sciacca e a Licata, ci sono anche i cannilieri (candelieri), sorta di ciambelline su cui vengono fissate le uova decorate da uccellini o fiori. A Messina si fa a cuddura i Pasqua, una ciambella di biscotto di mandorla, su cui sono fissate uova di pasta reale con una stella a sei punte di stagnola colorata. I simboli pasquali non potevano trascurare la colomba. I palummedi di pastaforte, vengono confezionati a mano, senza formelle. Una volta specialità delle monache del Monastero della Concezione di Palermo, oggi la colombella pasquale si prepara dappertutto in Sicilia e niente ha a che vedere con quella industriale, più nota agli italiani. A Ferla viene abbellita con pallini di zucche-

ro colorato, a Siracusa si decora con carta velina, a Piazza Armerina si fa con pasta di biscotto ricoperta di candida glassa di zucchero. Accanto all’uovo e alla colomba, il simbolo pasquale per eccellenza è l’agnus

paschalis, la pecorella, realizzata in “pasta reale” (marzapane) e modellata con antichi stampi di gesso. E’ sempre sdraiata su un prato verde e reca sul dorso la bandiera della Resurrezione.


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foto di ROSARIO ROCCAFORTE


PASQUA SICILIANA

SAN BIAGIO PLATANI

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PASQUA SICILIANA

SAN BIAGIO PLATANI

TUTTO COMINCIA MESI PRIMA DELLA PASQUA, CON LA RACCOLTA DEI MATERIALI NATURALI RICCHI DI SIMBOLISMO.

www.archidipasqua.eu

Un discorso a parte meritano i celebri Archi di Pasqua di San Biagio Platani, realizzati fin dalla seconda metà del Seicento, in cui due confraternite di devoti, Madunnara e Signurara, si esibiscono per le strade in costruzioni di straordinarie architetture vegetali che sorreggono pani cerimoniali. Una sfida pacifica, quella tra le due congregazioni, che consiste nell’allestire gli Archi di Pasqua ciascuna nella parte del Corso Umberto che le compete e si conclude la notte del Sabato Santo. Non solo archi, ma anche cupole, festoni e lampadari che a sera disperdono nell’aria una luce mistica e festaiola. Queste strutture devozionali, che traggono spunto dal culto della Madonna e di Cristo, sono sontuose e 18 | SINEQUANON

rutilanti, e decorano di gioia e spiritualità San Biagio Platani per alcune settimane. Ma queste opere di raffinato artigianato popolare non vanno perse; dopo il periodo di esposizione cittadina, verranno custodite, come ogni anno, nel Museo degli Archi per onorare il grande lavoro che c’è dietro. Tutto comincia mesi prima della Pasqua, con la raccolta dei materiali naturali ricchi di simbolismo: canne, salice, asparago, alloro, rosmarino, cereali, datteri e pane. Le strutture portanti sono ovviamente gli archi, sotto i quali la domenica mattina avviene l’incontro tra Gesù risorto e la Madonna, e che disegnano un percorso lungo tutta la via. Una scenografia strutturale che rimane

IL VALORE EMBLEMATICO DEGLI ARCHI DI PASQUA È ESSENZIALMENTE RELIGIOSO, RAPPRESENTANDO IL TRIONFO DI CRISTO SULLA MORTE

invariata anche se ogni anno cambiano le decorazioni e quindi l’impatto visivo. L’entrata rappresenta la facciata di una chiesa, il viale la navata e l’arco, opposto all’entrata, l’abside della chiesa stessa. Il valore emblematico degli Archi di Pasqua è essenzialmente religioso, rappresentando il trionfo di Cristo sulla morte, anche se in passato si voleva sdrammatizzare la povertà che affliggeva la popolazione nel ‘700. Oggi, pur continuando ad avere un significato religioso, hanno lo scopo di attirare un grande numero di cittadini e forestieri per assistere a questo spettacolo religioso, culturale ed artistico. L'edizione del 2019 sarà visibile dal 21 aprile al 02 giugno.


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PASQUA SICILIANA

foto di ROSARIO ROCCAFORTE

SAN BIAGIO PLATANI

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MATERA

I SASSI come set cinematografico di LUISA CHIUMENTI

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LA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA PER IL 2019

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MATERA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2019

E’ NEL CUORE PROFONDO DI UNA DELLE REGIONI PIÙ SUGGESTIVE DEL SUD D’ITALIA, LA CITTÀ ELETTA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA PER IL 2019, MATERA, LA CITTÀ DEI SASSI CON IL SUO AFFASCINANTE E RICCHISSIMO “CORPUS” DI STORIA, ARTE, ARCHITETTURA E SCORCI MERAVIGLIOSI. Il mio primo viaggio in questa terra, compiuto da Roma con la mia piccola “Cinquecento” si è stagliato nell’album dei ricordi, come una fascinosa ‘conquista’. Vi giunsi in una giornata gravata da uno di quei temporali estivi, che sembrano squarciare il cielo e la terra, ma andavo, senza fermarmi, per la gioia di scoprire lontane radici della mia famiglia. E l’arrivo fu spettacolare: come avviene spesso d’estate ecco il sole all’improvviso e con esso apparire tutte le sfaccettature di un paesaggio incredibile: stavamo arrivando ‘a cospetto’ dei famosi Sassi. Come è stato ampiamente sottolineato durante la cerimonia inaugurale della Capitale Europea della Cultura per il 2019, “la città ha ac-

quisito la consapevolezza di rappresentare l’Italia in Europa e nel mondo”. E dimostra di poter avere “la certificazione della reputazione internazionale”. E come ha detto il sindaco Raffaello De Ruggieri, di poter rappresentare … «un traguardo, un riconoscimento che non può essere solo un fatto formale. È viscerale la coscienza, la passione. Io dico sempre che è un elemento scatenante, la vittoria della città nasce dal collante sociale che ha vissuto in maniera diretta». Ed è proprio quel ‘collante sociale’ che ha permesso che i numerosi ‘storici’ abitanti di quei sassi, vi dimorassero serenamente in una quotidianità difficile, pesantissima e tuttavia monito di una civiltà antica, esempio di umana fraternità fra citta-

dini poverissimi, che pur hanno amato il loro territorio vissuto giorno dopo giorno, accanto ai propri animali. I Sassi, dopo l’abbandono forzato avvenuto negli anni ’50 e poi il successivo restauro e le trasformazioni in case rivissute e locali forniti di tutti i confort moderni, hanno dato certamente a Matera l’occasione di raccontare brani di storia davvero unici che numerosi registi hanno saputo rappresentare nei loro film a cominciare dal '49 allorché Carlo Lizzani realizzò un documentario cercando di indagare su quel mondo contadino descritto da Carlo Levi con tutte le sue straordinarie contraddizioni. Né si tratta di mera scenografia, ma di veri e propri racconti di vita vissuta.

L’ARRIVO FU SPETTACOLARE: ECCO IL SOLE ALL’IMPROVVISO E CON ESSO APPARIRE TUTTE LE SFACCETTATURE DI UN PAESAGGIO INCREDIBILE: ERAVAMO A COSPETTO DEI FAMOSI ‘SASSI’

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MATERA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2019

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Da allora in avanti infatti i Sassi furono adattati alle varie esigenze: Lattuada li sceglie per girarvi la Lupa, ed i Sassi diventano un misero paesino siciliano. Dagli anni ‘60 i Sassi sono ormai completamente disabitati ed il forte senso di degrado, a seguito dell'abbandono, viene utilizzato per mostrare l'arretratezza meridionale, come ne "Gli anni Ruggenti", "Il demonio", "I basilischi", "Qui comincia l'avventura", "Cristo si è fermato ad Eboli" e "Terra bruciata". Negli ultimi cinquant’anni hanno costituito un ottimo set per famosi registi. Pasolini nel suo "Vangelo secondo Matteo" del 1964 ne consacra il ruolo di luogo senza vita, che può offrire appunto una scenografia senza un preciso tempo storico come una proiezione in un mondo immobile, metafisico, senza tempo. E ancora una volta, curiosamente, i Sassi, nell'85 diventano Gerusalemme, con King David, (Richard Gere era l'attore protagonista), e poi ancora nel 2002 con il film "La Passione di Cristo" di Mel Gibson. 28 | SINEQUANON

Ma Matera Capitale Europea della Cultura vedrà innumerevoli eventi che si svolgeranno nel corso del 2019. Tra quelli permanenti vorremmo segnalare “Matera Alberga – Arte Accogliente” con opere e installazioni da parte di sei artisti negli spazi di altrettanti hotel sparsi per la città. E l’“Ars Excavandi”: una grande mostra internazionale che presenta la prima indagine sull’arte e le pratiche di scavo che illustrano civiltà e paesaggi rupestri attraverso i secoli. Gli eventi legati a tale attività permetteranno di riscoprire la cultura dell’arte ipogea, con le particolarissime incisioni sulla roccia, realizzate nelle grotte, le abitazioni, i monumenti. Per seguire le varie manifestazioni si può acquistare il “Passaporto 2019” che, al costo di 19 euro, permetterà di assistere a tutte le manifestazioni e di acquisire la cittadinanza temporanea. Cinque le tematiche degli eventi: “Radici e percorsi”, “Continuità e rotture”, “Futuro remoto”, “Utopie e distopie” “Riflessioni e connessioni”. Interessante è anche l’iniziativa

I SASSI HANNO DATO CERTAMENTE A MATERA L’OCCASIONE DI RACCONTARE BRANI DI STORIA DAVVERO UNICI CHE NUMEROSI REGISTI HANNO SAPUTO RAPPRESENTARE NEI LORO FILM

proposta di far sì che ogni comune della Basilicata possa essere “Capitale per un giorno”, organizzando iniziative in linea con valori e temi di “Matera 2019”. E non si può non ricordare la bellissima Festa della Bruna stabilita da Bonifacio IX (1389-1404), per il 2 luglio, per cui la Cattedrale di Matera, in origine intitolata alla Madonna di Matera e poi detta anche dell'Episcopio, fu definitivamente dedicata alla Madonna della Bruna, molto venerata in un affresco bizantino dichiarato ‘privilegiato’ nel 1579 con una "breve" del Papa Gregorio XIII. Le origini della festa sono incerte e si perdono nel tempo, divenendo fantasiose leggende. Una di queste favole racconta che una giovane e sconosciuta signora chiese ad un contadino di farla salire sul suo carro per accompagnarla a Matera. Giunta nel Rione Piccianello si trasformò improvvisamente nella statua della Madonna, chiedendo all'incredulo zappatore:«così, su un carro molto ben addobbato, voglio entrare ogni anno nella mia città» e scomparve misteriosamente.


MATERA CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 2019

I PRODOTTI TIPICI UN IDEALE PERCORSO PROGRAMMATO NELLA CITTÀ DELLA CULTURA EUROPEA 2019, NON PUÒ NON COGLIERE IL DESIDERIO DI FERMARCI OGNI TANTO A GUSTARE ALCUNI PRODOTTI TIPICI A COMINCIARE DALLA CIALLEDDA MATERANA, UN PIATTO A BASE DI PANE INUMIDITO CONDITO CON POMODORINI, SOTT’OLI, CIPOLLA DI TROPEA, OLIVE, ORIGANO ED OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA. PER NON PARLARE POI DEL “TAGLIERE” A BASE DI PROSCIUTTO CRUDO LUCANO, NODINI DI MOZZARELLA LUCANA CON OLIO E RUCOLA, FORMAGGI MISTI LOCALI: PECORINO DI MOLITERNO, PROVOLONE PODOLICO, CAPRINO, RICOTTA E BURRATA. E QUANTI BUONI PROFUMI ESALANO DALLE ZUPPE TIPICHE MATERANE: CRAPIATA DI MATERA, CON LEGUMI MISTI E PATATE STUFATE, ZUPPA DI LENTICCHIE DELLA ZONA, ZUPPA DI CICERCHIE ALLA MATERANA, ALTRO PIATTO CON LEGUMI SIMBOLO DELLA TRADIZIONE CONTADINA DEL LUOGO, MINESTRA DI CECI, FAVE E CICORIE.

MA ANCHE SQUISITI CONTORNI COME FAGIOLI ALLA CONTADINA ACCOMPAGNATI DA PEPERONI DOLCI CROCCANTI, DETTI CRUSCHI, RAPE STUFATE, LO SFIZIO DEL PASTORE, CON SPINACI CARDONCELLI E PROVOLONE.

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IN VALLE D’ISARCO con tutta la calda

OSPITALITA’

ALTOATESINA testo di MARIELLA MOROSI foto di MARIELLA MOROSI e ARCHIVIO

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IL PRIMATO DI VIGNETO PIÙ PICCOLO, N

LA VALLE D'ISARCO, DA VARN PIANO DEL RENON, DIETRO ADIGE. LUNGA 80 KM, OFFRE QUELLI CREATI DALLA NATU QUELLI DISEGNATI DA GENE LA VALLE D’ISARCO (EISACKTAL IN TEDESCO) SI ESTENDE LUNGO IL CORSO DEL FIUME ISARCO

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Le chiese, i conventi e le cittadine di impianto medievale ricordano come qui passarono principi e mercanti, dal sud o dal nord Europa, e influssi mediterranei e mitteleuropei sono saldi nella cultura locale. Le facciate delle case sono spesso colorate, affrescate e orlate da porticati, dalla Bressanone vescovile ai piccoli centri dove è l'attività agricola, collegata all'ospitalità, a sostenere una vivace economia di montagna. La Valle d'Isarco ha il primato di essere l'area vitivinicola più a nord d’Italia con vini bianchi freschi,

fruttati e di carattere nonostante la modesta superficie coltivabile e le asperità dei versanti del fiume Isarco. L'area vitata è di appena 400 ettari ma offre delle autentiche eccellenze da scoprire incontrando i produttori che spesso hanno adibito il loro maso in locanda e ristorante aderendo al circuito dell'ospitalità contadina del Gallo Rosso. Fare vino qui è una tradizione forte che neppure le pendenze che fanno delle operazioni agronomiche una vera e propria attività eroica hanno mai scoraggiato. Anche i pochi

filari intorno ai masi sono curati con passione. L'accoglienza altoatesina è ben nota, ma qui si è voluto fare di più per promuovere il territorio esaltandone le potenzialità. Nel 2015 è nata EisacktalWein, grazie a 19 protagonisti dell'ospitalità: piccole e medie cantine, distillatori, famiglie titolari di masi, affinatori di formaggi in grotta e fornai. Obiettivo comune? Fare squadra con orgoglio condiviso. Di cantina in cantina, è bello provare vini dalla decisa mineralità per le sostanze che le ere glaciali hanno lasciato nel terroir.


VALLE D’ISARCO OSPITALITA’ ALTOATESINA

NEPPURE UN ETTARO E TUTTO DI RIESLING, APPARTIENE A MATTHIAS LANZ, CHE LO HA PIANTATO SUL TETTO A FORTISSIMA PENDENZA DELLA SUA AZIENDA

NA, POCO PRIMA DI BRESSANONE, FINO ALL’ALTOBOLZANO, È UNA DELLE PIÙ SUGGESTIVE DELL'ALTO E UNA VARIETÀ DI SCORCI DI GRANDE BELLEZZA, DA RA COME BOSCHI DI CASTAGNI E CORSI D'ACQUA A RAZIONI DI CONTADINI, COME FRUTTETI E VIGNETI. Porte aperte dunque per le degustazioni, magari con qualche assaggio di speck, come nel secolare rito autunnale del Torggelen. Fanno parte di EisacktalWein anche l'Abbazia di Novacella che con i suoi 875 anni di storia è la cantina più antica e la Cantina Sociale Valle d'Isarco che ha ben 130 soci conferitori. Tutti i vignaioli si occupano personalmente dell’intera filiera, dalla coltivazione della vite all’imbottigliamento fino alla commercializzazione dei loro vini, senza trascurare le attività promozionali del gruppo

come il convegno annuale sulla viticoltura Eisacktaler Weinbautagung, incontri di valenza scientifica fino a “Il vino va in città”, degustazioni pubbliche nel centro storico di Bressanone. A Novacella i frati agostiniani curano 20 comunità parrocchiali tirolesi e fanno anche formazione professionale, oltre che da 850 anni buoni vini come il Sylvaner, il Müller Thurgau, il Kerner, il Traminer aromatico e il Veltliner. Da visitare la loro Biblioteca dai preziosi stucchi con 90mila volumi tra manoscritti e codici miniati e, nella

LA VALLE HA IL PRIMATO DI ESSERE L'AREA VITIVINICOLA PIÙ A NORD D’ITALIA CON VINI BIANCHI FRESCHI, FRUTTATI E DI CARATTERE

fortificata Bressanone, l’ imponente Duomo, con le due torri sovrastate da cupole e il Chiostro con affreschi del Vecchio e Nuovo Testamento. Qui ci sono interessanti cantine: quella di uno dei più attivi vignaioli, Manni Nossing, che ha guadagnato col suo kermer fama ben oltre i confini altoatesini e quella di Peter e Brigitte Pliger, i primi con la cantina Pacherhof di Varna a puntare sulla vinificazione in proprio. Famosa quella di Florian Hilpod che gestisce una locanda tipica (buschenschank) in cui si fa tutto in casa, SINEQUANON | 33


LE FACCIATE DELLE CASE SONO SPESSO COLORATE, AFFRESCATE E ORLATE DA PORTICATI, DALLA BRESSANONE VESCOVILE AI PICCOLI CENTRI DOVE È L'ATTIVITÀ AGRICOLA A SOSTENERE UNA VIVACE ECONOMIA DI MONTAGNA.

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VALLE D’ISARCO OSPITALITA’ ALTOATESINA

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www.eisacktalwein.com/it/ a cominciare da un superbo speck stagionato. A puntare sul cibo contadino sono anche Konrad Augscholl della Röckhof di Villandro così come i gemelli Chisthoph e Andreas Mock di Wassererhof di Fié allo Sciliar. A Velturno c'è la Garlider di Christian Kerschbaumer che ha scelto il biodinamico, mentre il primato di vigneto più piccolo, neppure un ettaro e tutto di Riesling, appartiene a Matthias Lanz, che lo ha piantato sul tetto a fortissima pendenza della sua azienda, ricavando la cantina in un bunker degli anni 30 scavato nella roccia. Un altro luogo da non perdere, è il maso Griesserhof dove Paul ed Eva Huber offrono tre grandi etichette e piatti di tradizione con la consulenza di

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un'esperta mamma. Qui, tra le montagne e i profumi del bosco, è d'obbligo la vera cucina povera di montagna basata su pochi ma gustosi prodotti tra cui erbe per tisane e distillati. Speciale è il pane con segale e cereali locali, di lavorazione artigianale e lievitato naturalmente come il croccante Schüttelbrot al cumino che ha l’aspetto di un disco con un buco al centro, i Brezel, ciambelline di origine conventuale a forma di anello intersecato da una croce, il Kletzenbrot, pane alla frutta arricchito con frutta secca e uvetta. Tutti sono legati al territorio e alla creatività del fornaio. Ogni maso ha sua ricetta - ovviamente la migliore - per lo speck e le salsicce di selvaggina, ma anche per

canerderli, zuppe e gulash. Di ispirazione viennese e squisiti nella loro semplicità, sono i dessert come lo strudel, le frittelle ripiene di marmellata e la kaiserschmarrn, omelette dolce sminuzzata. Tra i tanti ristoranti famosi l'Enoteca Vinzenz di Vipiteno e Kunstleerstubele Oste Scuro Finsterwirt di Bressanone, risalente al 13esimo secolo, di proprietà della famiglia Mayr. La Valle d'Isarco è tutta da scoprire, attraverso i percorsi escursionistici e apprezzandone le eccellenze in sincero spirito conviviale. EisacktalWein favorisce anche i contatti interni tra i soci e lo scambio di esperienze e di informazioni per presentare al meglio la proposta turistica.

TUTTI I VIGNAIOLI SI OCCUPANO PERSONALMENTE DELL’INTERA FILIERA, DALLA COLTIVAZIONE DELLA VITE ALL’IMBOTTIGLIAMENTO FINO ALLA COMMERCIALIZZAZIONE


VALLE D’ISARCO

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IL PONTE VECC

L’AR

PASSA SOPR di GIUSEPPE

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HIO DI FIRENZE

RTE

RA UN PONTE GARBARINO

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IL PONTE VECCHIO DI FIRENZE

L’ARTE PASSA SOPRA UN PONTE… STORIE DI BECCAI E DI GIOIELLIERI: LA GIOIELLERIA FRATELLI PICCINI, QUATTRO GENERAZIONI DI ORAFI, FORNITORE DI GABRIELE D’ANNUNZIO. NEL 1442 IL COMUNE DI FIRENZE DECISE DI VENDERE TUTTE LE BOTTEGHE ALL’ARTE DEI BECCAI, PIÙ NOTI COME MACELLAI, CREANDO QUEL SUGGESTIVO PANORAMA DI MENSOLE E PUNTELLI DI LEGNO 40 | SINEQUANON

Per tutto il mondo è il Ponte Vecchio, quello ricostruito nel 1339 dopo una delle tante distruttive alluvioni che ogni tanto colpiscono Firenze. Al suo ingresso, verso Por Santa Maria si ergeva la “pietra scema”, una statua ormai illeggibile che il popolo voleva rappresentasse Marte, il dio romano, alla quale era stata dedicata Fiorenza al momento della sua fondazione. La “pietra scema” è poi scomparsa portata via della acque limacciose dell’Arno. Questo ponte era una volta fortificato e forse è il motivo che contribuì alla sua caratteristica principale, le casupole costruite sui due fianchi della strada che lo attraversava, molte delle quali sono oggi arditamente slanciate sul vuoto, quasi in bilico e sorrette da semplici travi di legno. Nel 1442 il Comune di Firenze, proprietario del

ponte, decise prima di locare e poi vendere tutte le botteghe all’Arte dei Beccai, più noti come macellai. La speculazione prese il sopravvento e gli ordinati negozi si allargarono creando quel suggestivo panorama di mensole e puntelli di legno o metallo. Era il 1565 e per festeggiare le nozze tra Francesco de’ Medici e Giovanna d’Austria, il granduca Cosimo I affidò al celebre architetto Giorgio Vasari la realizzazione del noto Corridore o Corridoio Vasariano, un’ardita costruzione che collegò Palazzo Vecchio alla reggia di Palazzo Pitti, un percorso per permettere alla famiglia granducale di andare nei due palazzi senza farsi vedere dal popolo. In quel periodo sul ponte vi erano 3 attività di beccai, 3 pizzicagnoli, 5 calzolai, 2 legnaioli, 2 biadaioli, 1 bicchieraio e

una decina di venditori di generi diversi, tra i quali anche un’osteria. Al centro del ponte si teneva un mercato delle erbe che rendeva probabilmente il luogo molto caratteristico. Ma nel 1593 il granduca, stanco della mancanza di decoro, degli odori e della volgarità dei gestori delle botteghe del Ponte Vecchio volle risolvere una volta per tutte l’antipatica situazione e in breve tempo fece sostituire alle botteghe popolari i più nobili orafi. Sicuramente il tintinnio dei metalli nobili e il luccichio delle pietre preziose sembrarono più adatte a Cosimo I e ai suoi ospiti che percorrevano il tragitto aereo. Con il passare del tempo il Ponte Vecchio diventò uno dei più famosi mercati di gioielli d’Europa, grazie alla sua unicità storica e architettonica.


VINCENT BENGOLD

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gioielleria Fratelli Piccini OGGI, SIMBOLO DI QUESTO PRIMATO, TRA LE TANTE BOTTEGHE CON I TIPICI SPORTI CHIAMATI “MADIELLE”, SI TROVA ANCHE QUELLA DEI FRATELLI PICCINI, FORSE UNA DELLE PIÙ ANTICHE, O QUANTOMENO UNA DI QUELLE IN CUI LA TRADIZIONE FAMILIARE È BEN RADICATA, POICHÉ OGGI SIAMO ALLA QUARTA GENERAZIONE.

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IL PONTE VECCHIO DI FIRENZE

LE CREAZIONI DA SOGNO DEI FRATELLI PICCINI SONO DA SEMPRE UNICHE E UNA DIMOSTRAZIONE DELLA PREGIATA ATTIVITÀ LA EBBE ARMANDO, NEL 1952, QUANDO VINSE L'INTERNATIONAL DIAMOND AWARD.

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Era il 1903 quando Pirro Piccini decise di aprire una gioielleria sul Ponte Vecchio e iniziare quell’avventura di incassatore di diamanti, diventando addirittura fornitore di Gabriele D’Annunzio amante di gemelli e fermacravatte incastonate di brillanti. Ma il più noto di tutti è stato sicuramente il figlio Armando, allievo del famoso Libero Andreotti, un brillante artigiano orafo ed incisore che nel 1936, an-

cora giovanissimo e appena uscito dall’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze, vince uno dei più ambiti premi del tempo grazie all’incisione di una serie di cammei, il primo premio della sezione Coralli alla XXa Biennale di Venezia, a dimostrare come la secolare arte dell’oreficeria fiorentina rimaneva al passo con i tempi. Le pregiate gemme, ben quattordici pezzi, vennero donate da Armando Piccini

al Comune di Firenze nel 1993, quando in suo onore venne organizzata una mostra rievocativa al Museo Bardini. Dopo le generazioni di Armando, Tebaldo e Renzo Piccini il marchio con i due cavallucci marini è passato nelle mani di Laura, il colosso della famiglia, donna di carisma, forte e dinamica, una signora che ha combattuto molte battaglie per il suo Ponte Vecchio, il nostro Ponte Vecchio,

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IL PONTE VECCHIO DI FIRENZE

LA FILOSOFIA DEL BRAND FRATELLI PICCINI: IL spesso al centro di una lotta tra degrado circoscritto e una città poco attenta ai suoi “gioielli”. Le creazioni da sogno dei Fratelli Piccini sono da sempre uniche e una dimostrazione della pregiata attività la ebbe nel 1952 sempre Armando, quando vinse l'International Diamond Award. Gli antichi disegni di gioielli sopravvissuti ad una guerra che vide macerie e distruzione intorno al Ponte e quelli scampati alle acque della grande alluvione del novembre del 1966 sono la testimonianza di un’arte che legano la tenacia alla grazia di questa città, dimostrano la secolare cultura dell’oreficeria fiorentina, un tempo al servizio della nobiltà locale, oggi lanciata nel panorama del mondo. Nel 2013 la quarta generazione è rappresentata da Elisa Tozzi Piccini, diplomata al G.I.A. di Los Angeles (Gemological Institute of America). Ma le attività della Fratelli Piccini, grazie anche all’instancabile dinamicità di Elisa, sono in continuo movimento; moltissime le iniziative di marketing in tutto il mondo, come quella che vide, per festeggiare i cento anni di attività, la sponsorizzazione del restauro del dipinto La Carità di Piero del Pollaiolo, un quadro conservato nella Galleria degli

Uffizi, un modo per sottolineare il legame tra i gioiellieri Piccini e la città. Il passaggio del timone tra la madre, Laura Piccini, e la figlia Elisa è il segno dei tempi e oggi più che mai è incentrato sulla filosofia del brand Fratelli Piccini: il gioiello è infatti ornamento del corpo e come tale è la massima espressione dell’io femminile. Ogni opera, ogni gioiello sono come un messaggio,

oggi come ieri l’unicità della lavorazione è la parte vibrante della Fratelli Piccini, una unicità che, nel pieno rispetto della filosofia del brand, si riflette anche nei gioielli pret-aporter. Sotto lo sguardo dell’orafo per eccellenza, Benvenuto Cellini, generazioni di orafi si alternano instancabili sull’antico ponte che unisce l’Oltrarno al centro storico fiorentino.

GIOIELLO È ORNAMENTO DEL CORPO E COME TALE È LA MASSIMA ESPRESSIONE DELL’IO FEMMINILE

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IL VINO PIU’ ANTICO DEL MONDO

SONO IN GEORGIA I PIÙ ANTICHI SITI DI VINIFICAZIONE AL MONDO. UN TEAM DI ARCHEOLOGI HA INFATTI SCOPERTO ALCUNI MESI FA IL PIÙ ANTICO SITO DI VINIFICAZIONE AD OPERA DELL’UOMO, CHE CONFERMA IL FATTO CHE GIÀ 6.000 ANNI PRIMA DI CRISTO I NOSTRI ANTENATI FERMENTAVANO L’UVA IN VINO.

TRACCE DELLA PRESENZA DI VITE SONO IN REALTÀ MOLTO PIÙ ANTICHE, VISTO CHE REPERTI FOSSILI RISALGONO A CIRCA 300.000 ANNI FA; È INVECE DA 8.000 ANNI CHE VIENE COLTIVATA AL FINE DI OTTENERE VINO 50 | SINEQUANON

La vite comune o vite euroasiatica (Vitis vinifera) è un arbusto rampicante della famiglia delle Vitacee che fornisce la materia prima per ottenere il vino, scoperto dall’uomo alla fine del neolitico, in seguito probabilmente ad un'accidentale fermentazione di uva conservata in rudimentali recipienti di terracotta. Tracce della presenza della pianta sono in realtà molto più antiche, visto che reperti fossili risalgono a circa 300.000 anni fa; è invece da 8.000 anni che viene coltivata al fine di ottenere vino. A quando risale invece il primo testo scritto che cita il vino? Alla famosa Epopea di Gilgamesh, il ciclo epico di ambientazione sumerica, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla, che risale a circa 4.500 anni fa, essendo stato scritto tra il 2.600 a.C. e il 2.500 a.C. Ora un quesito per i lettori più preparati: dove ha origine la coltivazione della vite allo scopo di vinificare? Nelle dolci colline del Monferrato, oppure in quelle della Champagne? A Barolo oppure nella Valle del Rodano? Nulla di tutto ciò. I più antichi siti di vinificazione al mondo vengono dalla Georgia, la nazione caucasica a cavallo fra Europa orientale (di cui fa parte storicamente e per la sua popolazione) ed Asia (per la posizione geografica). Un team di archeologi ha infatti

scoperto alcuni mesi fa il più antico sito di vinificazione ad opera dell’uomo, che conferma il fatto che già 6.000 anni prima di Cristo i nostri antenati fermentavano l’uva in vino. Gli scienziati hanno trovato vasi di ceramica che riportano tracce di vinificazione in occasione di scavi effettuati presso i siti neolitici di Gadachrili Gora e Shulaveris Gora, situati nel Caucaso meridionale, a 50 km a sud di Tbilisi, la capitale della Georgia. La scoperta porta indietro le lancette del tempo di quasi 1.000 anni rispetto a quanto ritenuto in precedenza (ritrovamenti dei monti Zagros in Iran). «Riteniamo che questo sia il più antico esempio di utilizzo della vite selvatica eurasiatica esclusivamente con lo scopo di produrre vino» – ha dichiarato l’archeologo canadese Stephen Batiuk durante un’intervista. Complessi esami chimici effettuati dall’équipe dell’Università di Toronto hanno confermato come all’interno dei frammenti delle otto giare ritrovate, vi sia la presenza di acido tartarico (tipico della trasformazione dell’uva in vino) e di altri acidi organici (malico, succinico e citrico). Gli scavi effettuati in Georgia dal team canadese fanno parte di un progetto internazionale di ampio respiro che include ricercatori provenienti dagli USA e da

Francia, Danimarca, Israele e Italia, in collaborazione con il Museo Nazionale Georgiano. Lo studio dei due siti neolitici è particolarmente importante per le informazioni sul periodo che ha visto la nascita dell’agricoltura, dell’addomesticamento degli animali e lo sviluppo di oggetti artigianali come la ceramica, i tessuti e gli strumenti in pietra levigata. Non è ancora chiaro se le viti da cui gli antichi abitanti del luogo prendevano l’uva, fossero coltivate o selvatiche; la presenza nell’area della specie Vitis Silvestris data infatti dalla fine dell’ultima Era Glaciale. In ogni caso le numerose analisi fatte nell’area georgiana, effettuate tramite ricerche botaniche, climatiche, archeologiche, chimiche e al radiocarbonio, indicano che l’uva conosciuta come Vitis Vinifera era normalmente presente e che i due siti neolitici studiati disponevano di condizioni simili a quelle delle attuali regioni produttive vinicole italiane e francesi. Per concludere, è interessante ricordare come la produzione di vino sia un lavoro complesso: questo indica che gli uomini di 8.000 anni fa erano certamente più evoluti di quanto potremmo essere portati a pensare oggi.E che, come noi, amavano godere della buona tavola. E a brindare con del buon vino, già 8.000 anni fa.


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IL VINO PIU’ ANTICO DEL MONDO


« RITENIAMO CHE QUESTO SIA IL PIÙ ANTICO ESEMPIO DI UTILIZZO DELLA VITE SELVATICA EURASIATICA CON IL SOLO SCOPO DI PRODURRE VINO » HA DICHIARATO L’ARCHEOLOGO CANADESE STEPHEN BATIUK

Stephen Batiuk, by courtesy Toronto University

photos by courtesy Judyta Olszewski

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SAPORI DAL MONDO

Acarajé Brasile INGREDIENTI 500 GR. DI FAGIOLI BIANCHI (FEIJÃO FRADINHO) 1 CIPOLLA MEDIA OLIO PER FRIGGERE SALE PER LA SALSA 2 PEPERONCINI PICCANTI (PIMENTA MALAQUETA) 300 GR DI GAMBERETTI

Gli Acarajé, frittelle di fagioli, sono una ricetta tradizionale della cucina di Salvador de Bahia, dove vengono serviti farciti con salsa di gamberetti e peperoncino. Possono essere gustati come snack, antipasto, piatto di un buffet o per un ricco aperitivo. Per friggere viene usato l'olio di dendê, di colore rosso, derivato da una palma tipica del nord-est del Brasile. Ma ovviamente va benissimo un olio di semi nostrano. 1 Lessare i fagioli e frullarli insieme a metà della cipolla, un po’ di sale e qualche cucchiaio di acqua, fino ad ottenere una pasta omogenea. 2 Scaldare a fuoco medio abbondante olio in una padella a bordi alti. 3 Far cadere la pasta di fagioli a cucchiaiate, poche per volta, e lasciar cuocere fino a che le frittelle diventino dorate. 4 Sistemare man mano le frittelle su una carta assorbente. 5 In una padella far soffriggere con un po’ di olio e l’altra metà della cipolla tritata. 6 Frullare i gamberetti con il peperoncino e versare il composto nella padella facendo insaporire per 7-8 minuti a fuoco lento. 6 Tagliare a metà le frittelle lasciando unita l’ultima parte e farcirle con la crema di gamberi.

Nata come cibo dei soldati in guerra, perché nutriente e saziante, la tortilla si diffuse anche nelle famiglie di contadini. Oggi entra a pieno titolo nella tradizione culinaria degli spagnoli che la consumano ad ogni ora del giorno e la si può trovare in qualsiasi bar o ristorante spagnolo. Al suo interno l'uovo deve rimanere un po' liquido, questo è un requisito essenziale. Oltre alla classica tortilla composta solo da uova e patate, esitono numerose varianti: con cipolla o aglio, con peperoni verdi, con prosciutto (jamon), con chorizo (un salame piccante spagnolo), con piselli, con formaggio.

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1 Sbucciare le patate, tagliarle a rondelle sottili e friggerle in olio bollente. Asc carta assorbente e metterle in un piatto. 2 Sbattere le uova in una ciotola capi le patate fritte raffreddate e insaporire con sale e pepe. 3 In una casseruola diametro di 20 cm circa, mettere 2 cucchiai d'olio, farlo scaldare a fiamma aggiungere il composto di uova e patate e cuocere sempre a fiamma bassa minuti coprendo con un coperchio più grande della casseruola. 4 Aiutan coperchio girare la tortilla e cuocere dall'altro lato per altri 10 minuti, sempre tortilla deve avere le due superfici dorate e al suo interno deve rimanere m l'uovo quasi crudo. 5 Si può servire calda, tiepida o anche fredda, accom insalata, pomodoro fresco o altre verdure.


ciugarle con iente, unirvi alta, con un a bassa, poi per circa 10 ndosi con il e coperto. La morbida, con pagnata da

SAPORI DAL MONDO

INGREDIENTI 1 KG DI SEMOLA PER COUSCOUS 100 GR DI ALBICOCCHE SECCHE 100 GR DI PRUGNE SECCHE 100 GR UVA PASSA 150 GR MANDORLE 150 GR BURRO 1 CL. ACQUA DI FIORI DI ARANCIO UNA BUSTINA DI ZUCCHERO A VELO

Bil Zbib Algeria Il Bil Zbib è un dolce di origine araba che si gusta nella prima colazione o come dessert a fine pasto. Si prepara ammollando la frutta secca, cuocendo il cuscus, incorporando il burro, quindi rimettendo il tutto nella cuscussiera con la frutta. Si serve il tutto con zucchero a velo, yogurt, e marmellata di fichi. Va servito caldo d’inverno e freddo in estate.

1 Fare ammorbidire tutta la frutta secca in acqua tiepida per 2 ore e tritarla. 2 Preparare il couscous nel modo tradizionale mettendo a cuocere la semola a vapore nella couscoussiera. 3 Togliere la couscoussiera dal fuoco e far raffreddare leggermente. Incorporare il burro manipolando la semola con le dita sino a farlo assorbire, aggiungere la frutta secca e l’acqua di fiori d’arancio. 4 Rimettere a cuocere per 10 minuti. 5 Tostare le mandorle in padella e unirle al couscous. 6 Comporre il couscous in una torta o in tortini monoporzione. 7 Spolverare con lo zucchero a velo.

Tortilla Spagna INGREDIENTI 4 UOVA 500 G DI PATATE A PASTA GIALLA 1/4 L DI OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA (O OLIO DI SEMI PER FRIGGERE) SALE E PEPE

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