UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE PUBBLICA E D’IMPRESA
Una bussola alla ricerca di talenti: Employer Branding Strategy Il caso PdL
Relatore: Professore FRANCO GUZZI Correlatore: Professore LUCA SOLARI
Tesi di Laurea di: REGINA FANTUCCI
ANNO ACCADEMICO 2009-2010
Non puoi mettere assieme una massa di uomini e aspettarti di ottenere un'organizzazione efficiente. Sarebbe come mettere un uomo, una donna e dei bambini in una casa e aspettarsi una famiglia felice.
Autore Anonimo
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Ai miei cari genitori, ad Alessio, ai veri amici.
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Indice Introduzione ............................................................................................................... 1
Parte Prima Capitolo 1 .................................................................................................................. 6 1.1 Gli scenari evolutivi ................................................................................................ 6 1.1.1 La globalizzazione .......................................................................................... 7 1.1.2 La digitalizzazione .......................................................................................... 8 1.1.3 Fattore demografico e fattore di genere ..................................................... 11 1.1.4 Leggi che regolano il rapporto lavorativo .................................................... 13 1.2 L’evoluzione del sistema organizzativo ............................................................... 17 1.2.1 Definizione di azienda .................................................................................. 17 1.2.2 Il downsizing e le ristrutturazioni ................................................................ 18 1.2.3 Approvvigionamento esterno o outsourcing .............................................. 19 1.2.4 La fusione aziendale .................................................................................... 21 1.3
Il marketing relazionale ....................................................................................... 22
1.4
L’importanza della comunicazione nel governo dell’impresa ............................. 24
1.5
Comunicazione: il preludio per un’organizzazione longeva ................................ 26
Capitolo 2 ................................................................................................................ 29 2.1
Il processo comunicativo ..................................................................................... 30
2.2 Le differenti aree della comunicazione aziendale ............................................... 32 2.2.1 La comunicazione economico‐finanziaria ................................................... 35 2.2.2 La comunicazione istituzionale .................................................................... 38 2.2.3 La comunicazione di marketing ................................................................... 43 2.2.4 La comunicazione organizzativa .................................................................. 49 2.3
Panoramica del settore delle risorse umane ....................................................... 51
2.4
Le fasi della gestione delle risorse umane ........................................................... 53
2.5 La risorsa umana: talento imperdibile ................................................................. 59 2.5.1 Dalla corporate recruiting vision alla corporate retention vision ................ 59
iii
Capitolo 3 ................................................................................................................ 62 3.1
Corporate recruiting: employer branding ........................................................... 62
3.2
I driver dell’employer branding : tangible e intangibile asset ............................. 65
3.3
Modello employer brand global framework : sviluppo di una strategia ............. 70
3.4
Target di riferimento dell’employer brandng strategy ........................................ 71
3.5
Employer branding actions : le fasi del processo ................................................ 74
3.6 L’employer branding attraverso l’utilizzo del Web 2.0 ....................................... 78 3.6.1 Le sfumature del network ........................................................................... 80 3.6.2 Campus recruting: una nuovissima forma di reclutamento ........................ 82 3.7
Come fare recruiting attuando retention: l’employee referral program ............ 83
3.8 Come riconquistare i talenti persi attraverso il boomerang recruiting ............... 87 3.8.1 Implementare la boomerang recruiting strategy ........................................ 88 3.8.2 Le fasi attuative del boomerang recruiting ................................................. 89 3.9
Considerazioni ..................................................................................................... 91
Parte Seconda Capitolo 4 ................................................................................................................ 92 4.1
La struttura organizzativa del PdL ....................................................................... 94
4.2
Origini e struttura: da Forza Italia al Popolo della Libertà ................................... 96
4.3 Cultura politica del partito azienda ..................................................................... 99 4.3.1 Dimensione esterna della cultura politica del PdL .................................... 100 4.3.2 Dimensione interna della cultura politica del PdL ..................................... 101 4.4
Il carisma del leader ........................................................................................... 105
4.5 L’organizzazione nel PdL .................................................................................... 109 4.5.1 L'employer branding nel PdL: recruiting .................................................... 111 4.5.2 Retention nel PdL ....................................................................................... 113 4.5.3 NO al boomerang recruiting ...................................................................... 114
Conclusioni ............................................................................................................ 116 Bibliografia............................................................................................................ 121 Altre fonti consultate ............................................................................................. 125 Sitografia ............................................................................................................... 127 iv
Introduzione L’obiettivo di questo elaborato è proporre una visione dell’employer branding che vada oltre i confini del marketing e della comunicazione d’impresa, per abbracciare campi che per loro natura non sembrerebbero molto affini a questo specifico argomento. Seppur consapevole del fatto che al tema dell’employer branding venga data particolare attenzione ormai da alcuni anni, ho potuto tuttavia constatare come le informazioni al riguardo risultino essere ancora insufficienti . L’idea di incentrare il mio elaborato di tesi specialistica su questo argomento mi è venuta paradossalmente nel momento in cui, un anno e mezzo fa, decisi di cercare uno stage che mi permettesse di acquisire esperienza e mi guidasse gradualmente nel mondo del lavoro. Il paradosso deriva dalla constatazione da me fatta a quel tempo che gli annunci realizzati dalle aziende e le strategie adottate dalle stesse per mantenere ed anche migliorare il proprio posizionamento competitivo più in generale, superavano gli annunci rivolti direttamente ai possibili candidati per attrarli nell’organizzazione. È interessante cogliere il cambio di rotta che in questi ultimi decenni ha influenzato il mercato del lavoro. Dapprima il lavoratore era inserito nella realtà fortemente gerarchizzata dell’impresa, in cui il singolo dipendente trovava poche opportunità per essere considerato come persona al di fuori del suo ruolo lavorativo. Si è passati quindi da una situazione in cui i dipendenti, da “cacciatori” di un posto di lavoro, si sono trasformati in “prede” ambite per l’impresa. La metafora della caccia rispecchia bene il clima di questi ultimi anni, in cui le aziende hanno attivato una ricerca frenetica nei confronti di futuri dipendenti talentuosi: la guerra dei talenti è solo all’inizio. Il corso evolutivo del ruolo del dipendente ha subìto una mutazione costante e continua che, da semplice employee, lo ha condotto ad essere considerato dall’impresa il perno centrale della struttura organizzativa, cioè un talento. Inizialmente questa trattazione voleva essere incentrata sullo stretto rapporto tra l’area della gestione delle risorse umane e la strategia employer branding. Nel corso dell’elaborato mi sono però resa conto di quanto tale strategia fosse maggiormente legata ai fondamenti della comunicazione organizzativa. Con questa affermazione
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non si vuole in nessun modo sminuire lo stretto legame che intercorre tra la strategia e la gestione delle risorse umane, ma sicuramente il processo employer branding perderebbe d’efficacia senza una buona comunicazione. L’EBS 1, come cristallizza Fabio Ricceri 2, è la “strategia di marketing per attrarre i talenti con l'obiettivo di creare e comunicare l'identità aziendale come luogo di lavoro ai potenziali collaboratori tramite recruiting e ai propri dipendenti tramite retention, in coerenza con i valori specifici e distintivi che si vogliono trasmettere”. Il fine, quindi, non è solo quello di attrarre personale talentuoso, ma la sua combinazione con l’affermazione di un posizionamento efficace sul mercato del lavoro, che permetta di acquisire un vantaggio competitivo e duraturo rispetto alla concorrenza. Il percorso seguito abbraccia differenti tematiche, la cui analisi risulta essere stimolante al fine di comprendere appieno il processo attraverso cui questa strategia deve essere concretamente realizzata. L’elaborato si apre con una descrizione del contesto economico-sociale, con particolare attenzione alle innovazioni radicali che hanno interessato il mercato del lavoro. Verranno esposte le cause principali responsabili della natura dei cambiamenti e si vedrà come questi fattori abbiano reso il mercato del lavoro particolarmente chiuso ed indotto alla costante ricerca di risorse di talento. Questi cambiamenti hanno visto una risposta graduale da parte delle aziende che, in questi ultimi anni, sta assumendo proporzioni sempre più significative. Il secondo capitolo dedica ampio spazio al processo comunicativo, che permette all’azienda di relazionarsi con il pubblico interno, al fine di condividere la sua cultura organizzativa e con il pubblico esterno, per poter avere costanti rapporti trasparenti con tutti gli stakeholder. Nel processo comunicativo assume una rilevanza notevole il feedback, grazie al quale è possibile capire se la comunicazione, in qualsiasi direzione sia rivolta, abbia avuto gli esiti desiderati.
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Employer branding strategy. Fabio Ricceri, ideatore dell'indagine "Best100, le aziende preferite dagli italiani", è stato managing director di aziende di consulenza nell'employer branding e nelle risorse umane come Skillpass e People Value, e ha maturato un'esperienza di oltre 15 anni nel marketing e nella comunicazione nei settori di Internet, dell'editoria e delle telecomunicazioni in aziende come Telecom Italia, Excite Inc., Il Sole 24 Ore e Editori Perla finanza.
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Al tema della comunicazione aziendale interna è strettamente collegata la risorsa umana, sua destinataria principale. La gestione del personale ha subito numerosi cambiamenti tra cui, ad esempio, la ricerca sempre più insistente di personale particolarmente capace che possa aiutare l’organizzazione a raggiungere alti livelli competitivi. Attraverso una buona comunicazione è possibile coinvolgere il personale, affinché il sistema valoriale del singolo abbracci la vision aziendale. Nel terzo capitolo vengono proposti vari aspetti relativi al corporate recruiting, con un particolare approfondimento riguardante la strategia dell’employer branding, capace di incidere in maniera significativa sull’efficacia delle politiche aziendali di attraction e recruitment dei talenti. Verrà proposto il modello concettuale employer branding global framework al fine di comprendere come si può creare un posizionamento vincente rispetto alla concorrenza e quali strumenti è necessario utilizzare a questo scopo. Si esporrà inoltre in che modo è possibile targettizzare il mercato a cui ci si rivolge, per averne una maggiore conoscenza ed identificare con più facilità il proprio segmento. In questa fase ricoprono grande importanza i tangible asset, intesi come elementi fondamentali nella costruzione di una employer branding strategy, la cui attuazione deve essere monitorata attraverso strumenti idonei, che consentano di tenere costantemente sotto controllo la performance del proprio employer brand. Di maggior rilevanza sono gli intangibile asset, che permettono la creazione e la condivisione di una cultura aziendale in grado di trasmettere ai dipendenti senso di appartenenza e condivisione degli stessi obiettivi. In questo processo risultano decisive le nuove tecnologie Web 2.0, sempre più presenti nelle strategie di corporate recruiting ed in grado di garantire una miglior interazione tra azienda e candidato-dipendente. Il quarto ed ultimo capitolo è dedicato alla presentazione di un caso specifico. Lo studio proposto riveste qualche particolarità, perché non è perfettamente in linea con le best practice aziendali generalmente analizzate, ma consente alcune riflessioni, a mio parere interessanti. Esso riguarda, infatti, l’analisi del partito politico Popolo della Libertà come datore di lavoro degli impiegati in esso assunti. La scelta di analizzare un partito politico nell’ambito dell’employer branding è nata dalla volontà di staccarsi un poco dagli studi precedentemente effettuati in questo campo e, soprattutto, dalla passione che provo nei confronti della politica.
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Dal momento in cui Silvio Berlusconi si è affacciato sulla scena politica come fondatore e leader di un nuovo partito 3, osservatori di varia natura hanno analizzato una realtà che apparentemente sembrava essere una anomalia politica fallimentare, destinata a tramontare nel giro di pochi anni. In effetti, sono passati sedici anni e quello che doveva essere un caso puramente elettorale e contingente, non solo è sopravvissuto, ma è diventato un partito che ha periodicamente colto importanti successi elettorali e non solo. Forza Italia nasce e cresce nell’ombra del suo fondatore, che catalizza, molto più del suo stesso partito, tutta l’attenzione di studiosi ed osservatori. L’obiettivo di questa analisi è di individuare la portata che caratterizza l’identità del partito nella sua dimensione politica ed in quella di azienda. Forza Italia è una realtà politica “diversa” e questo deriva dalla sua peculiarità organizzativa lontana da quella tradizionale dei partiti di massa. Tale configurazione partitica è stata proposta come strategica ed identitaria 4. Ne è derivato un partito che rispecchia la struttura organizzativa dell’azienda madre Fininvest, di cui ripropone i valori e la cultura organizzativa di forte appartenenza ed unità e dalla quale richiama un numero consistente di dipendenti 5. La sua struttura è leggera e snella, la logica di funzionamento generale resta di stampo manageriale-aziendale e la linea di comando è incentrata nella presidenza, anche per impedire la formazione di correnti interne. Considerata la leadership di carattere imprenditoriale, ho pensato fosse un’idea interessante appurare se in un ambiente politico potesse essere applicata l’employer branding strategy. Attraverso un’intervista realizzata il 17 maggio 2010 all’onorevole Antonio Palmieri, è stato possibile dimostrare che la strategia dell’employer branding può essere applicata con successo anche in ambiti che si differenziano da quelli tipicamente aziendali e più frequentemente studiati. Per concludere, con questo lavoro si è cercato di fornire un quadro il più esaustivo possibile sulla tematica dell’employer branding, mostrando anche altre strategie di
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Forza Italia è stata fondata nel 1994. Strategica poiché rispecchia l’idea di “nuovo” che nel 1994 risultò elettoralmente vincente, identitaria perché nasce dalla Fininvest e da questa recupera gli elementi organizzativi e strategici. 5 Nell’intervista da me effettuata all’onorevole Antonio Palmieri, risulta che il passaggio da Fininvest a Forza Italia abbia interessato una quarantina di dipendenti oggi onorevoli e parlamentari. 4
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recruiting di successo, tra cui il boomerang recruiting e l’employee referral program. Si è anche voluto proporre una visione che si distaccasse dall’analisi dei casi più classici, in modo da poter prendere in considerazione anche altri ambiti d’analisi, al fine di arricchire nel migliore dei modi lo studio relativo all’employer branding strategy.
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Parte Prima 1 Capitolo 1 1.1 Gli scenari evolutivi In quella attuale che può essere definita l’era post-moderna, dell’interdipendenza e della comunicazione, le organizzazioni che ambiscono a restare nel mercato con un certo grado di competitività hanno l’obbligo di adeguarsi, sia in modo strategico che in modo organizzativo, alle continue e sempre più pressanti sollecitazioni provenienti dall’esterno. Stiamo assistendo ad una costante evoluzione che coinvolge differenti fattori insiti ai sistemi organizzativi aziendali, ma che sono anche esterni all’organizzazione stessa. Prendere in considerazione questi fattori, ci permette di comprendere a fondo le modalità con cui l’azienda risponde ai costanti cambiamenti a cui è sottoposta. È un’epoca in cui chi non ha la prontezza ed il coraggio di evolversi ed adattarsi alle pressioni esterne (riproducendo tali cambiamenti anche all’interno), perde non solo in competitività, ma anche in reputazione, immagine e credibilità. Siamo entrati, ormai da più di trent’anni, in un’epoca dove tutto muta velocemente e che prevede che i vincitori di una fantomatica corsa verso il futuro siano non solo coloro che riescono ad adattarsi ai cambiamenti,ma coloro che questi cambiamenti li creano, coloro che possono essere definiti gli “anticipatori del futuro”. In questo tipo di contesto paga la novità, che diviene “passato” alla velocità della luce. È possibile che ad un anno dall’uscita di un nuovo computer, il modello sia ormai considerato obsolete e che sia stato rimpiazzato sul mercato da tre, quattro modelli più aggiornati. In uno scenario così strutturato risulta difficile vivere, come impresa ma anche come individuo. Le costanti pressioni contestuali creano, da una parte, uno stato di generale confusione, poiché ciò che può risultare valido cambia da un giorno all’altro; dall’altra uno stress cognitivo ed emozionale, poiché si viene a creare l’ansia della conoscenza e dell’aggiornamento.
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Chi non conosce è fuori dai giochi. E non ci si riferisce al livello d’istruzione6 cresciuto negli ultimi anni, qui si intende quel tipo di conoscenza non accademica, quella conoscenza che può essere di chiunque, grazie alla globalizzazione e alla digitalizzazione. Data l’importanza di questi due fattori, qui di seguito sono delineate le principali tappe che hanno determinato l’evoluzione dello scenario in cui le organizzazioni operano. Un terzo fattore è quello demografico, che verrà trattato successivamente. Il quarto fattore é relativo all’introduzione di leggi sul lavoro a livello nazionale. Tali fattori hanno portato a massicce riorganizzazioni strutturali, andando ad incidere non solo sul riassetto organizzativo, ma anche provocando una totale revisione dei principi guida a cui sino ad ora le organizzazioni si sono ispirate.
1.1.1 La globalizzazione La globalizzazione è il primo grande fenomeno dirompente che permette di capire ed interpretare la spinta al cambiamento, messa in moto alla metà del secolo scorso. La parola viene utilizzata per la prima volta nel 1981, rivolta prevalentemente agli aspetti economici. Il fenomeno però investe non solo l’ambito economico, ma anche quello sociale, culturale, tecnologico e politico. Per globalizzazione si intende “il fenomeno di omologazione, di integrazione e di interdipendenza delle economie e dei mercati internazionali; l’uniformazione di modalità produttive e di prodotti su scala mondiale; la teoria economica e l'ideologia politica che la sostengono” 7. Il processo di globalizzazione delinea nuovi protagonisti inseriti all’interno di nuovi confini che interagiscono seguendo nuove regole. Per nuovi protagonisti si possono intendere tutti quei paesi in via di sviluppo, quali la Cina, l’India, la Russia ed il Brasile che, all’interno di questo contesto, sono riusciti ad imporsi divenendo forti
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Dati Istat del 2008 hanno fotografato la scolarizzazione italiana in aumento infatti le persone con qualifica o diploma di scuola secondaria /superiore sono il 32,4%, quelle con titolo universitario il 10,2%. 7 http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/G/globalizzazione.shtml.
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esportatori di prodotti manifatturieri ad elevata intensità di lavoro. La globalizzazione economica incrementa il flusso commerciale tra i paesi. Questo processo si riferisce alla “liberalizzazione del commercio” che significa abbattimento delle barriere commerciali erette dai paesi a protezione di alcuni settori dell’economia. Le imprese occidentali però, surclassate dai prodotti a basso costo provenienti dai paesi emergenti, hanno delocalizzato gran parte della produzione, seguendo logiche di global sourcing 8, al fine di ricercare vantaggi di costo. Questo significa per le organizzazioni doversi costantemente confrontare con una gamma molto ampia di interlocutori, coi quali dover intrattenere interazioni complesse. Il discorso relativo alle complessità comunicative a cui le organizzazioni vanno incontro merita un paragrafo a parte. La globalizzazione apre quindi due strade, una è quella dell’omologazione e della standardizzazione, l’altra è quella relativa alla complessità della comunicazione, che si svolge su diversi livelli, con diversi interlocutori. La globalizzazione, nel bene e nel male, ha portato l’intero globo a confrontarsi con le sue differenze e peculiarità. In quest’ottica la diversità non vuole più essere un ostacolo e spesso la globalizzazione porta all’omologazione. Il tutto è reso ancor più facilmente possibile in una società fortemente digitalizzata.
1.1.2
La digitalizzazione
Il secondo fondamentale vettore del cambiamento è costituito dall’evoluzione tecnologica. La nostra è l’era della “computerizzazione”, che può essere definita senza esagerazioni rivoluzionaria, al pari delle grandi rivoluzioni industriali dei secoli passati, che hanno portato non solo evoluzioni nella gestione dei processi produttivi, ma anche generato benefici in ogni settore della vita della collettività. La
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Il global sourcing rappresenta, un’importante leva strategica, e una grande spinta innovativa per le aziende, sia sul piano organizzativo che su quello operativo. È un processo molto stimolante poiché impone il confronto con realtà diverse e offre la possibilità di scoprire nuovi modelli culturali e sistemi di valori.
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storia di internet è relativamente recente. La prima data che possiamo citare è il 4 ottobre 1957 quando la Russia mise in orbita il primo satellite: lo Sputnik. Gli americani, preoccupati per la presenza nello spazio di un satellite nemico e di conseguenza dal fatto di essere spiati, vengono rassicurati dalla decisione del loro presidente, Eisenhower, di favorire lo sviluppo scientifico e colmare l’evidente supremazia tecnologica russa. Il problema da risolvere risiedeva nella mancanza di comunicazione tra i vari reparti dell'esercito, marina ed aviazione. Per superare questo ostacolo si crea un'autorità a carattere scientifico, in grado di coordinare le informazioni ed ottimizzarne lo scambio. Nasce così l'agenzia ARPA (Advanced Research Project Agency). L'obiettivo della rete ARPANET é quello di collegare tra di loro quattro università: Università della California, Università di Santa Barbara, l'Istituto di Ricerca di Stanford e l'Università dello Utah. Il 21 novembre del 1968 viene effettuato il primo collegamento tra l’Università della California ed il laboratorio Doug Engelbart dell'Istituto di Ricerche di Stanford. E’ un momento storico: l’espansione e l’evoluzione delle reti di collegamento registrano numeri di crescita impressionanti; l’obiettivo di ARPANET di avvicinare persone geograficamente distanti e favorire il libero scambio di informazioni viene raggiunto. Nasce il World Wide Web. Oggi, dopo l'avvento dell'interfaccia grafica che ne facilita la navigazione, è diventato uno strumento di massa, aperto alla divulgazione di notizie e alla vendita di prodotti e servizi. Risulta altrettanto fondamentale il passaggio dal Web 1.0 al Web 2.0 9; tale sviluppo viene utilizzato per indicare un generico stato di evoluzione di Internet e in particolare del World Wide Web. La particolarità sta nell’approccio con il quale gli utenti si rivolgono al Web, che passa fondamentalmente dalla semplice consultazione alla possibilità di contribuire, popolando ed alimentando il Web con propri contenuti. Tali contenuti diventano indipendenti da chi li produce o dal sito in cui vengono creati. È fondamentale sottolineare l’approccio collaborativo e aperto tipico dei prodotti open-source, che permette di condividere le informazioni e la conoscenza. Qui di seguito, alcuni aspetti rilevanti del Web 2.0:
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Il termine è stato coniato durante una sessione di brainstorming di un gruppo mentre rifletteva sulla progressiva importanza del Web nella vita quotidiana e sul pullulare di nuovi servizi di nuova qualità.
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Blog: vero e proprio luogo di incontro, discussione e condivisione di argomenti e contenuti, disponibili come testo, immagini, audio e video.
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Wiki: partecipazione degli utenti a un obiettivo comune, come la creazione di un glossario o di un argomento specifico. In questo caso chiunque può aggiungere o modificare il contenuto (testo, immagini e video) presente in un wiki. E’ messo in risalto l’elemento umano quale partecipazione libera per la costruzione di un bene culturale comune usufruibile da tutti gratuitamente.
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Social network: raggruppamenti di persone con passioni e interessi comuni, intenzionate a condividere pensieri e conoscenze ed organizzate tecnologicamente in tal senso (es. MySpace, Youtube, Facebook e Twitter).
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Podcasting e Videocast: evoluzione audio e video del blog. Una via di mezzo tra un diario ed una radio che offre potenzialità limitate solo alla propria creatività in termini di efficacia nella comunicazione.
La grande innovazione di fondo del Web 2.0 è quindi l’aver reso il contenuto fruibile in tutte le sue applicazioni multimediali, come prodotto dell’interazione tra persone attraverso software ad hoc e basato su un approccio innovativo alla proprietà intellettuale. È in questo processo incessante di flusso di informazioni che occorre citare, seppure brevemente, il concetto di knowledge economy.
Knowledge economy La knowledge economy racchiude in sé i due concetti di globalizzazione e digitalizzazione sopra citati: è ormai possibile indicare un nuovo periodo storico e un cambiamento epocale. La nuova fase è caratterizzata da processi di innovazione permanente che richiedono livelli più alti di formazione, capacità di apprendimento continuo, competenze particolari (skill) che presuppongono adattabilità, mobilità, flessibilità e investimenti in sistemi di accesso all'informazione (tecnologica, commerciale e legale) nonché procedure di coordinamento complesse, tanto per la ricerca e per lo sviluppo, quanto per la progettazione, fabbricazione e commercializzazione dei prodotti. In altre parole, vi è un massiccio ricorso al “capitale immateriale”. Il “capitale immateriale” diventa, al giorno d’oggi,
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elemento essenziale e strategico delle imprese, le quali ricercano, nei loro collaboratori, più che specifiche competenze tecniche (che, comunque, rimangono importanti), una serie di qualità e talenti non definibili in modo univoco né ascrivibili ad un unico ambito. La knowledge economy è l’ultimo anello del processo evolutivo, che vede coinvolte le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La prima fase, quella della new economy, si fonda sull’abbondanza di possibilità di connessioni ed è, in definitiva, l’insieme delle offerte della capillarità della rete e della sua capacità di portata. La seconda fase, quella della net economy, vede la sinergia da una parte della flessibilità digitale e dall’altra del potenziale della rete come mezzo di diffusione comunicativa. Ecco quindi che, approdando nella terza fase, quella della knowledge economy, troviamo il connubio tra globalizzazione e digitalizzazione.
1.1.3
Fattore demografico e fattore di genere
Il terzo grande fattore che contribuisce all’evoluzione contestuale è relativo ai mutamenti in ambito demografico. Forse, troppo spesso, a questo processo non viene rivolta l’attenzione meritata 10: è invece un punto di fondamentale importanza. Molti dei cambiamenti relativi all’evolversi del fattore demografico infatti hanno avuto riscontri interessanti nell’ambito lavorativo. Tale affermazione può sembrare scontata, ma per quanto sia logico, è necessario un approfondimento. Per interpretare le trasformazioni più rilevanti nelle strutture familiari, e quindi di rimando anche in quelle lavorative, un filo conduttore è offerto dal mutamento della condizione femminile, iniziato negli anni ’60 e ’70, momento in cui la figura femminile riesce a sussistere anche senza il supporto del marito; distacco agevolato anche dalle leggi sulla famiglia 11, che riconoscono un equilibrio giuridico tra i coniugi. Un processo che sfocia nella necessità da parte delle donne di poter
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Tale riflessione è da intendersi ai fini di questo preciso ambito d’analisi. Il primo grande passo a tal proposito avvenne con la Legge del 19 maggio 1975, n. 151 "Riforma del diritto di famiglia", che apportò modifiche tese ad uniformare le norme ai principi costituzionali. Molte altre Leggi vennero poi approvate, rendendo la figura femminile più indipendente rispetto alla figura del marito o comunque dalla famiglia di provenienza.
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disporre della propria vita, al di fuori dal matrimonio. Si viene a creare un contesto in cui il matrimonio non è più l’unico ambìto sogno da realizzare, con la conseguente diminuzione della nuzialità a partire dagli anni ’80. Il destino sociale femminile risulta sempre meno legato al matrimonio. Vivere come single, o in coppia di fatto 12, o come madre single, diventano comportamenti sempre più diffusi e accettati. Questa graduale modificazione si precisa nei tempi più recenti, con l’aumento delle donne che volontariamente non hanno figli. Questa, naturalmente, è solo una delle possibili linee interpretative per capire le modificazioni strutturali della famiglia, che si sono concretizzate in una forte diminuzione delle dimensioni della stessa (la media è scesa da 4,1 componenti nel 1951 a 2,5 nel 2008 13). Naturalmente, le trasformazioni del contesto economico e sociale forniscono chiavi di lettura per le modifiche strutturali delle famiglie altrettanto importanti del variare della condizione femminile, che ne è, allo stesso tempo, causa ed effetto. Tali sviluppi hanno avuto conseguenze rilevanti sui bilanci familiari. Dunque, se da un lato si è venuto a creare un contesto in cui la donna non solo ha il diritto ma anche (seppur
ancora
troppo
infrequentemente)
la
possibilità
di
realizzarsi
professionalmente, dall’altro è comunque costretta a scandire la propria vita secondo il “calendario” familiare 14. I cosiddetti “obiettivi di Lisbona” prevedono, per il 2010, che il tasso di occupazione delle donne (tra i 15 e i 65 anni) raggiunga il 60%, un obiettivo che è oramai sfiorato dalla media UE-15. Ma le donne italiane, con un tasso di appena il 47% (2007), anche se in miglioramento di 11 punti rispetto al 1993, sono ancora molto lontane dal traguardo. L’impegno familiare è la barriera più forte all’occupazione femminile. Avviene così che la famiglia costituisce, assieme alle difficoltà del mercato del lavoro, un vincolo preventivo per entrarvi. Inoltre, l’uscita dal mercato del lavoro per motivi familiari è definitiva per una metà delle donne (molto più bassa è l’analoga proporzione di non ritorno al lavoro per chi perde il lavoro per licenziamento o fine contratto). In sintesi, se l’emancipazione femminile da un lato ha portato la donna ad avere un ruolo ben
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A tal proposito si veda il sito http://www.coppiedifatto.it/. Dati Istat del 2009. 14 Si veda Bacci, L.M. (2007) “Le trasformazioni del contesto” in www.neodemos.it. 13
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definito all’interno della società, dall’altro ha causato, anche per via di numerosi fattori esterni, un’incredibile diminuzione della natalità 15. A questo dato si contrappone un aspetto che risulta fondamentale nelle politiche economiche di questi ultimi decenni: l’Italia è uno dei paesi più longevi al mondo. Per quanto questo fattore possa costituire motivo d’orgoglio per gli sviluppi medici e sanitari, risulta essere in realtà un forte problema per tutti i Paesi. In un articolo di Giuseppe Raso 16 viene evidenziata bene l’intensità del problema. In un Paese che nel 2011 conterà il 20,7 % degli adulti oltre i 65 anni sul totale dei residenti 17, le pensioni risulteranno essere un problema a livello economico di cui non solo il nostro governo (ma anche i governi di tutti i Paesi interessati) dovranno occuparsi. Il problema principale riguarda sia il settore economico della nazione, che l’assetto organizzativo delle imprese: a fronte di un numero sempre maggiore di personale “maturo”, risulta difficile introdurre personale giovane all’interno della propria struttura. Ecco allora che si sviluppa un crescente stato di agitazione che vede protagonisti non solo quei giovani talenti desiderosi di immettersi nel mondo del lavoro, ma anche quei lavoratori che vedono sempre più allontanarsi il traguardo della pensione.
1.1.4 Leggi che regolano il rapporto lavorativo 18 In quest’ultimo decennio l’applicazione di due grandi leggi ha modificato il settore lavorativo nazionale: la legge n.196/1997 o “pacchetto Treu” e la Legge n.30/2003 o legge Biagi. Il pacchetto Treu ha introdotto il lavoro “temporaneo” in Italia. Per lavoro “temporaneo” s’intende un’attività lavorativa in cui il lavoratore fornisce la propria prestazione ad un’azienda, in un arco di tempo limitato. Le organizzazioni
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È da sottolineare che è diminuito fortemente anche il tasso di mortalità. La “transizione demografica” è quel processo che porta la popolazione da un regime demografico caratterizzato da una forte natalità e da una forte mortalità a un regime dove i due valori sono entrambi molto più deboli. 16 Pensioni: Un problema europeo. 12 febbraio 2010 www.economiafinanaza.net 17 Dati forniti dal Telefono Blu 18 www.lavoro.gov.it.
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che necessitano di personale stipulano un contratto con le agenzie interinali 19, le quali provvedono alla ricerca di personale idoneo che verrà considerato dipendente dell’agenzia, ma che in pratica lavorerà per le aziende che ne hanno fatto richiesta. La legge stabilisce orari di lavoro, retribuzioni e tutto ciò che concerne questa nuova tipologia di forma di lavoro. Con l’applicazione della cosiddetta “Legge Treu” anche gli operatori privati hanno potuto inserirsi nell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. Le agenzie interinali, che hanno rappresentato l’origine delle attuali agenzie per il lavoro, hanno dunque iniziato la loro attività nel nostro Paese nel 1998, producendo un cambiamento importante. La nascita di queste forme atipiche ha visto l’introduzione e lo sviluppo di problematiche di tipo psicologico, tra cui insicurezza non solo professionale. ma anche personale. Altre problematiche riguardano la difficoltà nell’accumulare significative esperienze professionali trasferibili con successo da un contesto ad un altro: altre ancora sono inerenti agli aspetti economici e relazionali.
Figura 1. Fonte Istat
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Che nascono proprio grazie a questa legge e che continueranno a proliferare per il successivo decennio, stroncate poi dalla recente crisi economica.
14
Al “pacchetto Treu” è seguita nel 2003 la legge Biagi 20, che ha trasformato le agenzie interinali (introdotte con il Pacchetto Treu) in agenzie per il lavoro. Con questa legge sono state introdotte delle novità tra cui il riconoscimento da parte del Ministero del Lavoro delle agenzie per il lavoro, come strumenti polifunzionali, autorizzati non solo all’inserimento del lavoratore, ma anche ad una serie di servizi aggiuntivi, come le attività di formazione, consulenza ed orientamento professionale. Tutti coloro che operano in questo settore hanno l’obbligo di iscriversi all’Albo istituito presso il Ministero e suddiviso in cinque sezioni secondo il tipo di agenzia iscritta. Attraverso l’introduzione di questa riforma si è cercato di dare flessibilità al mercato del lavoro, al fine di agevolare la creazione di nuovi posti di lavoro e contrastare la rigidità del sistema che spesso ha creato alti tassi di disoccupazione. Non è questo il luogo per verificare come e se tali leggi hanno davvero raggiunto lo scopo prefissato. Non posso essere certo io a poter spendere parole favorevoli o contrarie, poiché non è materia di mia competenza. Certo è che sotto un profilo di carattere psicologico 21, numerose sono le problematiche, nate a fronte dell’attivazione di queste forme di lavoro atipiche. In effetti solo il 20% dei lavoratori sembra essere adeguatamente motivato : si tenga però presente che le motivazioni possono variare fortemente da persona a persona. Inoltre, l’instabilità ed il forte stress causati da una quasi totale incertezza del proprio futuro, possono essere imputati come causa maggiore della mancanza di motivazione al lavoro. Maslow elabora nel 1954 la teoria dei bisogni 22, in cui vengono descritte le condotte che permettono di soddisfare i propri bisogni e quindi di colmare le proprie carenze, partendo dai bisogni primari fino a raggiungere quelli di livello superiore:
20
Assassinato a 51 anni, il 19 marzo 2002. Fu il giurista promotore della riforma che porta il suo nome e co-autore del Libro Bianco. 21 Sono laureata in Psicologia della Comunicazione. 22 Sarchielli, G, (2004), Psicologia del lavoro, Il Mulino,Bologna.
15
Figura 2. Adattamento della piramide dei bisogni di Maslow
23
BenchĂŠ questo modello sia di carattere troppo generico, non prendendo in considerazione le differenze individuali e socio-culturali, ha sicuramente aiutato le organizzazioni a cercare di soddisfare le esigenze lavorative piĂš adatte a produrre prestazioni migliori. Nel prossimo paragrafo vedremo in che modo le organizzazioni hanno risposto alle pressanti esigente evolutive del contesto circostante.
23
Maslow, A. (1970), Motivation and Personality, Harper and Row Publishers.
16
1.2 L’evoluzione del sistema organizzativo A fronte di quanto fin qui esposto, risulta interessante valutare come le organizzazioni inserite in un contesto così complesso ed ipercompetitivo abbiano deciso di reagire. Può essere utile quindi richiamare brevemente i concetti fondamentali che qualificano l’impresa, in modo da poter successivamente trattare gli aspetti evoluzionistici in merito al riassetto organizzativo avvenuto in questi ultimi anni.
1.2.1 Definizione di azienda Nel Codice Civile 24 la definizione di azienda viene espressa nell’art. 2555 c.c.: “l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa”; a sua volta il concetto di impresa viene affrontato nell’art. 2082 c.c.: “l’impresa è l’esercizio professionale di una attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi”. Al di là delle definizioni di stampo giuridico ciò che emerge è il concetto di impresa come attività economica organizzata. Un’organizzazione è un sistema cooperativo, che si propone attraverso regole e meccanismi di funzionamento al fine di perseguire un obiettivo comune: la mission. La mission viene perseguita attraverso l’attuazione di strategie, mirate a realizzare gli obiettivi aziendali di cui si auspica la stabilità e che generalmente sono tesi a generare profitti. Organizzazione quindi come sistema, ossia come punto di incontro, costituita da più elementi, ciascuno dei quali svolge funzioni specifiche, ma rivolte sinergicamente verso lo stesso obiettivo. L’impresa è un sistema 25: - Socio-tecnico, costituito da un insieme di persone e di beni, il cui obiettivo comune è di operare sinergicamente al fine di produrre.
24
Codice civile-Libro Quinto/Titolo VII. Il Libro Quinto Del Lavoro, artt.2060-2642 contiene la disciplina dell'impresa in generale, del lavoro subordinato e autonomo, delle società aventi scopo di lucro e della concorrenza. 25 Pastore A., Vernuccio M.,(2008), “Impresa e Comunicazione”, Apogeo,Trento.
17
- Parzialmente aperto, caratterizzato da continue e sempre più presenti interazioni con l’ambiente circostante. - Economico a finalità plurime, il cui fine ultimo non è solo quello di generare profitto, ma anche (e forse soprattutto) di innescare nella collettività e nei suoi interlocutori una fondata goodwill. È grazie a tutti questi aspetti che l’azienda può essere considerata un sistema vitale 26, composto da sub-sistemi interni ed immerso in un ambiente costituito da sovra-sistemi esterni all’azienda. Il bisogno vitale di relazionarsi costantemente con tutti gli attori che circondano l’azienda e i soggetti interni ad essa, offre al marketing relazionale 27 il modo di costruire relazioni di lunga durata, caratterizzate dalla reciproca soddisfazione di tutte le parti in causa (clienti, fornitori, e distributori).
1.2.2 Il downsizing e le ristrutturazioni La prima importante risposta delle organizzazioni ai cambiamenti contestuali è stata la riorganizzazione dell’assetto strutturale. Il ridimensionamento di un’impresa un tempo costituiva una preoccupante necessità a fronte di crisi finanziarie o di eccessive pressioni competitive. Ora, invece, rappresenta una vera e propria strategia competitiva. Il downsizing viene utilizzato per apportare cambiamenti di tipo strutturale ed organizzativo connessi all’introduzione, per esempio, di nuove tecnologie, oppure all’esigenza di rendere più snella e flessibile e quindi meno “pesante” l’organizzazione. L'obiettivo del downsizing è il miglioramento dei risultati economici dell'azienda, perseguito attraverso una politica di riduzione dei costi. Da un punto di vista organizzativo, viene perseguita la riduzione della dimensione organizzativa nella sua totalità, attraverso la contrazione dei livelli gerarchici e la diminuzione del numero delle unità organizzative. Dunque, i
26
In merito si veda Golinelli G., (2005), L'approccio sistemico al governo dell'impresa, Cedam, Padova. 27 Kotler P., (2004), Marketing Management, Pearson Prentice Hall, Milano.
18
maggiori beneficiari dell'azione di downsizing sono i costi, pochi o nessun vantaggio viene generato per i clienti o per il personale che, anzi, può essere penalizzato. Avviene quindi un’evoluzione in termini di strutturazione aziendale, che vede lo sfoltimento dell’organigramma. Uno snellimento della gerarchizzazione aziendale, che in questo modo si appiattisce 28. Da un punto di vista esterno ai meri benefici aziendali, è d’obbligo ricordare come questo modello di ristrutturazione detto anche rightsizing, faccia perdere forza lavoro qualificata producendo effetti di disuguaglianza sociale Dent 29 ha utilizzato, per i lavoratori di “mezza età” coinvolti in questo processo di sfoltimento organizzativo, il termine job shock, indicando l’atmosfera di impoverimento della qualità dei rapporti sociali e gli effetti psicosociali relativi all’insicurezza che nasce a seguito di tale processo. Ogni azienda dovrebbe sempre ricordare come il benessere psicologico dei propri dipendenti sia una priorità, oserei dire assoluta. Approfondiremo tali aspetti psicoemotivi del lavoratore nei paragrafi relativi la gestione delle risorse umane presenti nel secondo capitolo dell’elaborato.
1.2.3 Approvvigionamento esterno o outsourcing A fronte dei sempre più comuni processi di ristrutturazione aziendale, le organizzazioni riducono la forza lavoro interna optando per uno spostamento delle attività non ritenute essenziali, esternalizzandole e mantenendo tuttavia inalterata la propria responsabilità e visibilità nei confronti dell’utente o del cliente finale. L’approvvigionamento esterno (outsourcing) è uno strumento che aumenta l'efficienza produttiva riducendo i costi di produzione attraverso: - Aumento del livello di specializzazione nello svolgimento di certe attività. - Rifocalizzazione sulle competenze distintive dell'impresa. - Aumento della flessibilità dell'impresa, sia operativa che strategica. - Ottimizzazione dei vantaggi derivanti dall'utilizzo delle risorse umane. 28
A tal proposito, per maggiori informazioni si consiglia la lettura di Manzolini,L., Soda, G., Solari.L., L’organizzazione snella, Etas libri, Milano. 29 Dent H. Jr., (1995), Job shock: Four new principles transforming our work and business, St. Martins Press, New York.
19
Le attività che generalmente vengono esternalizzate sono: - L'acquisto di forniture di beni e di servizi. - La gestione e la manutenzione degli immobili o degli impianti. - La gestione delle strade, dell’illuminazione pubblica. - La gestione delle buste paga dei dipendenti. Grazie a queste numerose esternalizzazioni nascono le organizzazioni snelle o piatte, definite veloci ed altamente adattabili nel rispondere alle richieste dei mercati e a competere per il successo. In contemporanea avviene il delayering (riduzione dei livelli di comando) che contribuisce a dare un volto nuovo a questa tipologia di organizzazione caratterizzata da un minor numero di lavoratori.
Amministratore Delegato
Consiglio di Amministrazione
R.S.P.P.
Area Scientifica
Segreteria
Area Tecnica
Area Controllo QualitĂ
Area Recruiting
Area R&S
Figura 3. Fonte SoucingMag
20
1.2.4 La fusione aziendale Le fusioni aziendali sono operazioni di carattere straordinario che prevedono l’incorporazione tra due o più società, che unite dovrebbero costituire uno strumento atto a reggere meglio sui mercati. È una risposta delle aziende, diffusasi negli anni ’80, con la quale le organizzazioni cercano di sopravvivere in un mercato altamente competitivo. Le fusioni possono essere di due tipi: - Fusione per unione: quando una o più società cessano di esistere giuridicamente, creando successivamente un complesso aziendale più ampio avente un nuovo soggetto giuridico. - Fusione per incorporazione: quando una società ne incorpora un’altra, cercando di costruire un complesso unitario più ampio. Il secondo tipo di fusione è quello più ricorrente nella realtà dei fatti. I motivi principali per cui le aziende intraprendono operazioni di fusione sono molteplici: - Ridurre i costi. - Possibilità di crescita del know how, tramite l’unione di due strutture, potenziando anche i processi produttivi. - Eliminazione di un concorrente dal mercato. Il problema relativo a questa tipologia di strategia di “sopravvivenza” è di non riuscire a comunicare adeguatamente con il personale interno, creando frammentazioni e correndo il rischio di perdere gli obiettivi comuni. È importante che in questa fase ci sia interesse nel costruire una solida ed efficace cultura organizzativa.
E’
altresì
auspicabile
che
le
risorse
umane,
pilastri
dell’organizzazione, siano informate e coinvolte nel riadattamento degli obiettivi e delle strategie della nuova organizzazione.
21
1.3 Il marketing relazionale Il marketing relazionale costruisce solidi legami economici, tecnici e sociali, riducendo i costi di tempo e transazione. Ciò a cui mira il marketing relazionale è la costruzione di un asset specifico: il network di marketing. Tale network è costituito da tutte quelle figure che risultano fondamentali per l’organizzazione e con cui essa ha sviluppato e continua a sviluppare relazioni commerciali di reciproco profitto. Si fonda sui seguenti assunti: - Gestione imprenditoriale con orientamento al marketing. - Collaborazione e creazione come visione comune. - Partecipazione ed assunzione di responsabilità di tutte le parti in causa. - Valori guida: relazione e servizio 30. Per poter far funzionare questa tipologia di impianto è necessario l’utilizzo della comunicazione integrata di marketing, come tessuto connettivo e sistema di contenuti. Come evoluzione del marketing relazionale, citiamo il one-to-one marketing 31 ed il più recente customer relationship management (CRM): il sistema di gestione delle relazioni con la clientela. Il CRM, come diretto erede del marketing relazionale, pone enfasi sulla figura del cliente e sulla dimensione sociorelazionale insita nelle relazioni B-to-B o B-to-C. L’attuazione di una strategia CRM, richiede l’utilizzo di una piattaforma tecnologica complessa. Questo tipo di marketing è costituito da tre aspetti: il CRM analitico, operazionale ed il collaborative CRM: queste tre macro-componenti hanno il compito di svolgere tutte quelle azioni il cui fine è quello di sviluppare e mantenere un solido e costante rapporto con il cliente, affinché vi sia una reciproca soddisfazione. Il punto chiave di questo modello innovativo è di porre il cliente al centro dell’universo dell’organizzazione.
30 31
Gummesson E., (2006), Marketing Relazionale, Hoepli, Milano. Peppers D., Rogers M., (1994),The One to One Future, Piakus, London.
22
Si è passati da uno stile organizzativo tradizionale,
Management di alto livello
Management di livello intermedio
Personale a contatto con i clienti
C L I E NT E
Ad uno orientato al cliente
C L I E NT E Personale a contatto con i clienti Management di livello intermedio
Management di alto livello
Figure 4 e 5. Fonte Kotler.
23
1.4 L’importanza della comunicazione nel governo dell’impresa Sin qui abbiamo analizzato l’evoluzione contestuale in cui l’azienda nasce ed esiste, e come e con quali strumenti e modalità le organizzazioni rispondono prontamente ad un mercato sempre più complesso e competitivo. Vista la molteplicità di soggetti a cui si deve rivolgere, l’impresa ha sviluppato differenti tipi di comunicazione a seconda del destinatario interessato. Abbiamo già visto il ruolo centrale e sempre più preponderante della comunicazione, che da asimmetrica ed univoca sì è evoluta divenendo diadica. L’impresa, che da sempre si è posta in termini “verticali”verso il mercato ed i propri dipendenti, negli ultimi anni ha sviluppato un rapporto di interazione con i suoi pubblici, qualsiasi essi siano, ponendo la comunicazione come fattore basilare dell’interazione. Grazie alle potenzialità insite nelle nuove ICT 32, numerose organizzazioni hanno deciso di adottare un orientamento all’ebusiness, che ha soppiantato in parte le informazioni trasmesse dall'alto. Oggi Internet spinge a condividere processi e progetti non solo tra azienda e clienti, ma anche tra azienda e dipendenti. Il risultato è una vera e propria rivoluzione che si insinua nella vita e nei processi delle imprese. La portata rivoluzionaria di internet è destinata ad incidere nella collaborazione tra gruppi di lavoro, unendo in un unico ambiente sedi centrali e periferiche ed a favorire stimoli, suggerimenti e sollecitazioni, aumentando la motivazione dei collaboratori. Queste forme di partecipazione collaborativa potenziano infatti il senso di appartenenza ad una squadra, coinvolgendo in modo trasversale più professionisti e valorizzando il bene più prezioso che esiste oggi in azienda: la conoscenza e i soggetti che la generano. In questo modo viene potenziato il senso di partecipazione attiva alla vita aziendale. In quest’ottica, ne trae vantaggio anche la competitività dell’organizzazione. Le aziende, per poter essere competitive, necessitano di un forte orientamento al marketing: negli ultimi anni il mercato del lavoro ha subito dei grandi cambiamenti e l'avvento delle nuove tecnologie legate all'informatica, al web 2.0, alle telecomunicazioni, unitamente alla globalizzazione dei mercati, ha rivoluzionato radicalmente il modo di produrre e di fare impresa. Tale mutamento si è tradotto in
32
Information and Communication Technology
24
una
progressiva
riorganizzazione
aziendale
interna,
che
ha
portato
la
comunicazione ad essere il fulcro di ogni relazione lavorativa. Nell’ultimo decennio le imprese si sono trovate ad operare in una realtà caratterizzata da profonde rivoluzioni tecnologiche, da una crescente flessibilità e da profondi mutamenti circostanziali quali, ad esempio, la sempre più crescente importanza del lavoratore. Attraverso un sapiente utilizzo della comunicazione aziendale è possibile che l’intera struttura, anziché essere intimorita da tutti i cambiamenti sin qui enunciati, si senta stimolata e coinvolta in questo processo innovativo. Ora, la vera sfida sarebbe quella di riuscire non solo a stare al passo con i tempi, ma a fare di questa innovazione la propria stella cometa, che guidi verso un futuro sempre più stimolante. Tale stimolo dovrebbe indirizzare l’intera struttura, non solo verso profitti economici, ma anche verso esperienze che segnino il vissuto aziendale. È auspicabile che si otterranno successi a partire da una buona gestione del dipendente situato in fondo all’organigramma aziendale, fino a salire sempre più in alto, e non viceversa.
25
1.5 Comunicazione: il preludio per un’organizzazione longeva Dopo aver dedicato spazio all’evoluzione contestuale e alle misure prese dalle organizzazioni per non essere schiacciate da un ambiente così mutevole, si rende ora necessario prendere in considerazione in che modo e con chi le imprese dialogano, al fine di chiarire la loro mission e la loro cultura organizzativa. Per questo occorre un capitolo a parte, nel quale verranno spiegati i tipi di comunicazione intrapresi dall’organizzazione, dedicando un ampio settore alla comunicazione organizzativa. Come verrà successivamente descritto, è da questo tipo di comunicazione che nasce e si sviluppa la consapevolezza del contesto lavorativo in cui si è inseriti. Coltivare nel migliore dei modi le relazioni tra organizzazione e dipendenti favorisce sia lo sviluppo di atteggiamenti positivi da parte dei dipendenti nei confronti dell’organizzazione stessa, che la possibilità di traslare tali atteggiamenti anche al di fuori del contesto lavorativo, a costo zero. Esistono invece aziende per cui la gestione del personale si traduce nella mera applicazione delle norme relative al rapporto di lavoro. Tali organizzazioni curano principalmente l’aspetto remunerativo, tralasciando o accantonando tutto il discorso riguardante la persona. Certo è che, negli ultimi anni, l’evolversi dello human resources management ha portato ad una notevole diminuzione di questo tipo di approccio, prediligendo una cura particolare per la persona-dipendente. È necessario sottolineare però che tale comportamento è ancora troppo poco riscontrabile nei fatti anche se vi è stata un’evoluzione che ha visto il passaggio dalla visione tolemaica dell’impresa e di tutti i suoi numerosi stakeholder ad una visione individuo-centrica, rispetto al sistema organizzativo.
26
Figura 6. Adattamento visione tolemaica dell'impresa.
Figura 7. Adattamento visione individuo-centrica.
Tale evoluzione non è stata semplice od immediata, ma la giusta risposta delle organizzazioni che hanno capito l’entità del cambiamento riscontrabile nel consumatore, grazie ai fattori citati nella prima parte del capitolo.
27
Nel prossimo capitolo verranno prese in esame le varie macro-aree in cui la comunicazione organizzativa è impegnata. Potrà sembrare una descrizione prolissa, ma è davvero fondamentale illustrare nel migliore dei modi come e cosa l’azienda comunica, per approdare infine alle due idee “pilastro” dell’intero elaborato: la risorsa umana e l’employee image. Annunciati così, possono apparire come due concetti totalmente indipendenti l’uno dall’altro, il cui accostamento può perfino sembrare contrastante. In realtà, nel corso della trattazione, si riferirà come e con quanta intensità, questi due concetti si rincorrano e si uniscano per creare sinergicamente il valore dell’impresa.
28
2 Capitolo 2 In questo capitolo verranno esposti alcuni concetti di fondamentale importanza alla base dell’employer branding. Si inizierà con una breve descrizione del processo di comunicazione, preambolo della comprensione delle differenti aree comunicative che vedono protagonista l’agire dell’organizzazione. Verrà dedicato ampio spazio alle due macro-aree della comunicazione di marketing e organizzativa. La prima risulta essere il perno centrale di azioni mirate alla costruzione di una forte corporate image, la seconda assume una rilevanza strategica in quanto culla di una buona reputazione. Ricordiamo che spesso le organizzazioni dimenticano l’aspetto che più conviene sviluppare, concentrandosi maggiormente sul lato economico ed i profitti annessi a tale aspetto. Dalla comunicazione organizzativa si passerà alla descrizione delle fasi della gestione del personale indicando, qualora necessario, alcuni fattori psicologici relativi a questo aspetto. In questi ultimi decenni si è sviluppato grande interesse per il capitale intellettuale aziendale, al quale sono stati dedicati innumerevoli studi e numerose ricerche. Si concluderà il capitolo con l’esposizione di alcuni aspetti della war of talent 33 quali le strategie di recruiting e di retention, proponendo una breve riflessione circa l’ambivalenza dell’utilizzo delle stesse. Benché le strategie sopra citate siano relativamente recenti, è possibile notare anche nel corso del capitolo terzo come si siano sviluppate ed evolute, al fine di migliorare non solo la gestione organizzativa aziendale, ma anche i rapporti con i dipendenti già presenti in azienda. È notevole l’interesse posto dalle aziende nei confronti del personale da assumere o già assunto. Tale attenzione rivela come e con quanta importanza vengano considerati i dipendenti non più solo come meri lavoratori, ma anche come patrimonio che aggiunge valore al sistema aziendale nella sua totalità.
33
Termine coniato da Mckinsey nel 1997.
29
2.1 Il processo comunicativo Comunicazione e sinergia sono i due concetti chiave che permeano di significato l’agire organizzativo. Benché, come sovente accade, questo possa sembrare logico ed intuitivo, troppo spesso la comunicazione non viene utilizzata ed indirizzata nel migliore dei modi. Il comunicare dovrebbe essere un driver da cui nessuna azione può prescindere. Etimologicamente tale termine indica l’azione di condividere, mettere in comune. In una struttura organizzativa sono molti gli aspetti da dover condividere, sia internamente che esternamente all’azienda stessa, illustrando la propria vision, la propria mission e la propria cultura organizzativa. È impossibile non comunicare, può sembrare un ossimoro ma anche la non comunicazione è una forma di comunicazione. La comunicazione è un processo che coinvolge almeno due soggetti inseriti in un contesto caratterizzato da rumori di fondo, che possono interferire con il processo comunicativo. Tale processo è interattivo e dinamico e, una volta attivato, è irreversibile. È inoltre un processo circolare
inserito
in
circuiti
retroattivi,
nei
quali
ogni
sequenza
è
contemporaneamente causa del fenomeno che segue ed effetto di quello che lo ha preceduto. I soggetti coinvolti scelgono quasi sempre arbitrariamente quando attivare il processo, il cui flusso viene recepito secondo logiche di percezione selettiva, basandosi su ciò che cattura l’attenzione del ricevente. Dunque, colui che attiva il processo comunicativo è l’emittente, che produce un messaggio utilizzando un certo codice ed indirizzandolo in un certo canale comunicativo. Colui al quale è indirizzato il messaggio è il ricevente, che, come anticipato in precedenza a proposito della comunicazione d’impresa, coincide con un ampio ventaglio di interlocutori. Questi, a seconda del contesto sociale dell’ambiente in cui vivono, del loro background personale, decodificano il messaggio, facendolo proprio ed inserendolo nel loro bagaglio comunicativo. Il processo comunicativo spesso si interrompe in questa fase di ricezione, lasciando in qualche modo il processo inconcluso. Nel momento in cui però il destinatario esposto alle sollecitazioni del messaggio lo comprende, formula una risposta utilizzando lo stesso codice usato dall’emittente e tale risposta viene rilevata dalla fonte. Questa si trasforma in feedback: un utile strumento con cui l’emittente ha possibilità di verificare in che
30
modo e con che intensità la sua comunicazione è stata efficace. Ecco che la natura circolare della comunicazione si riavvia in un processo che potenzialmente potrebbe essere infinito. Comunicazione circolare a due vie, dove emettere e ricevere sono i due lati della stessa medaglia: l’importante non è quanto si comunica, ma come lo si fa. E’ fondamentale sapere che l’efficacia del processo comunicativo e la probabilità di un eventuale feedback dipendono da molti fattori ed innumerevoli variabili e che comunicare non è semplice come sembra.
31
2.2
Le differenti aree della comunicazione aziendale
L’azione del comunicare è relativa a tutto ciò che, esplicitamente o implicitamente, incide (modificandoli o rinforzandoli) sugli atteggiamenti 34 e sui comportamenti delle persone e riguarda tutte le forme attraverso le quali l’impresa si pone in relazione con l’ambiente (esterno ed interno). Il fine della comunicazione d’impresa è di migliorare le relazioni attivate con l’ampio ventaglio di interlocutori con cui interagisce regolarmente l’organizzazione; l’attivazione delle relazioni mira alla creazione e alla diffusione del valore dell’impresa. La comunicazione organizzativa si articola su due livelli. Il primo è quello che prevede la comunicazione interna, vale a dire quel sistema di strumenti attraverso cui un’azienda dialoga con i suoi pubblici interni e comprende l’insieme di tutte le informazioni consapevoli o inconsapevoli, che circolano all’interno di questa. La comunicazione interna sta assumendo un ruolo sempre più importante nella gestione dell’impresa, non più solo come funzione accessoria ma, sempre più spesso, come elemento strategico. Benché ci sia ancora un percorso molto lungo da effettuare, l’interesse verso la comunicazione interna aziendale si è sviluppato e continua a farlo in parallelo ad una contestuale spinta evolutiva delle strutture organizzative. Attraverso la comunicazione interna, le organizzazioni hanno la possibilità di creare e diffondere valori, principi e regole che possano fungere da basi per una “cultura aziendale” capace di sviluppare nei dipendenti un senso di appartenenza, che accresca l’interesse e la dedizione nella propria attività”. Questi asset “intangibili” rappresentano un patrimonio condiviso. La diffusione della cultura e dei valori strategici rappresenta uno degli obiettivi più importanti della comunicazione interna. Credo fortemente che un investimento massiccio, sotto questo punto di vista, possa giovare alle organizzazioni quasi quanto un investimento pubblicitario. Per troppo tempo la figura del lavoratore è stata relegata all’immagine semplicistica del dipendente, spogliato di valori personali. Vista l’importanza dell’argomento, questo aspetto verrà ripreso in seguito. Il secondo livello è quello che prevede la comunicazione all’esterno dell’azienda.
34
Esistono almeno cinquecento definizioni di atteggiamento, molto significativo è stato l’intervento di Allport.
32
La comunicazione esterna viene di consueto utilizzata per dialogare direttamente con tutti gli interlocutori esterni all'ente o più genericamente viene rivolta all'utenza potenziale attraverso azioni di comunicazioni di massa. La comunicazione esterna contribuisce a costruire la percezione di qualità dell’organizzazione che la eroga e costituisce un canale permanente di ascolto e verifica del livello di soddisfazione del cliente-utente, in modo da consentire all'organizzazione di adeguare di volta in volta il servizio offerto. La comunicazione esterna viene infine utilizzata per divulgare in maniera efficace e distintiva i propri prodotti, i propri servizi e le proprie idee, puntando ad un posizionamento chiaro ed esclusivo. Sottolinea una identità aziendale inequivocabile ed in linea con la cultura gestionale diffusa all’interno. L´immagine riflessa all’esterno, identifica l´azienda agli occhi del pubblico, determinandone il posizionamento sul mercato e dunque la sua reputazione. Tale suddivisione è però limitativa, poiché non permette la chiara distinzione tra tutte le differenziazioni relative agli interlocutori, soprattutto a quelli situati in una posizione
intermedia.
Diviene
quindi
necessario
poter
effettuare
una
differenziazione non più basata su target, ma piuttosto su obiettivi e contenuti. Si è quindi venuta a creare la necessità di comunicare la propria identità aziendale in maniera più settoriale e specifica. Attraverso quattro macro-aree comunicative l’impresa può dialogare con i suoi innumerevoli interlocutori.
Associazione di categoria
Associazione di consumatori
Fornitori
Proprietari Gruppi di opinione
Sindacati
IMPRESA
Concorrenti
Dipendenti Gruppi politici
Governo
Figura 8. Interlocutori dell'azienda
33
Le quattro macro-aree in questione sono quelle della comunicazione: - Economico-finanziaria. - Istituzionale. - Commerciale o di marketing. - Organizzativa. Prima di passare ad una breve esposizione che esemplifichi le quattro aree, è bene ricordare che la comunicazione d’impresa è stata investita (come gli altri settori d’altronde) dalla tendenza a digitalizzare tutto il materiale organizzativo. E’ un aspetto già citato nel primo capitolo, ma risulta utile menzionarlo nuovamente in questo contesto specifico. La comunicazione digitalizzata, per poter funzionare ed essere parte attiva della strategia di comunicazione dell’impresa, deve continuamente essere alimentata dall’introduzione di informazioni nuove ed interessanti: un sito o un blog che non vengono costantemente aggiornati possono penalizzare fortemente l’immagine dell’azienda. L’utilizzo di internet non solo aiuta e semplifica la comunicazione con i differenti stakeholder, ma contribuisce ad affermare reputazione ed immagine. Nelle seguenti pagine verranno analizzate le aree della comunicazione aziendale. La comunicazione organizzativa merita un approfondimento particolare, perché culla del capitale conoscitivo dell’azienda: le risorse umane.
34
2.2.1
La comunicazione economico-finanziaria 35
A prescindere dalla suddivisione in ambiti disciplinari della comunicazione d’impresa, è importante ricordare la visione integrata di cui l’intero processo comunicativo è permeato. Le quattro aree sono fortemente interconnesse, mirano tutte attraverso azioni sinergiche alla creazione ed al rafforzamento di una buona reputazione e alla creazione costante di valore per l’impresa. La comunicazione economico-finanziaria inserita in questa visione d’insieme, mira a rafforzare le relazioni tra l’impresa ed il sistema finanziario tout court. Risulta essere il complesso delle comunicazioni effettuate, attraverso qualsiasi canale di diffusione, dalla direzione aziendale alle varie categorie e gruppi di portatori di interesse, i cui contenuti riguardano principalmente l’evoluzione dell’assetto reddituale, finanziario e patrimoniale dell’impresa. La comunicazione economicofinanziaria ha l’obiettivo di fornire informazioni sui risultati raggiunti e sull’andamento della situazione aziendale. L’evoluzione della comunicazione aziendale verso i propri interlocutori prende le mosse dall’esigenza sempre più impellente dell’azienda di interagire con il mondo esterno. Solo così l’azienda può acquisire le migliori risorse sui mercati di approvvigionamento, motivare la forza lavoro al raggiungimento degli obiettivi d’impresa, accrescere la fiducia dei clienti, legittimare la propria attività ed acquisire credito e fonti di finanziamento. Attraverso questo tipo di comunicazione è possibile per le aziende mirare ad avere una buona possibilità all’interno di una panoramica ricca di competitori, affamati di successo e desiderosi di sbarazzarsi del più ampio numero possibile di avversari. La comunicazione economico-finanziaria è relativa ad uno specifico ambito, più settoriale rispetto agli altri tipi di comunicazione e relativo alle informazioni riguardanti gli aspetti economici, finanziari e patrimoniali dell’organizzazione stessa. Gli stakeholder finanziari 36 a cui si rivolge hanno la possibilità di visionare il sistema di reporting, nel quale l’azienda inserisce tutti i dati relativi alla gestione
35
Si rimanda ad una lettura molto interessante di Binda L., (2008), La comunicazione economicofinanziaria e le nuove tecnologie, Franco Angeli, Milano 36 Tra i quali possiamo citare gli azionisti, i creditori, gli analisti finanziari e le autorità pubbliche di vigilanza.
35
aziendale. In base alla tipologia, alla tempistica e alle modalità di diffusione, l’informativa societaria si distingue in 37: -
Eccezionale: veicolata attraverso il prospetto informativo, viene prodotta al momento di ammissione e quotazione.
-
Periodica: con cadenza trimestrale, viene prodotta dopo la quotazione.
-
Episodica: prodotta in specifici momenti straordinari della vita aziendale.
-
Continua: prodotta tutte le volte in cui sono previste modifiche dei percorsi azionari.
Un aspetto molto importante relativo allo sviluppo di questi ultimi anni è la necessità sentita da parte delle aziende di affiancare all’informativa obbligatoria quella facoltativa: la voluntary corporate disclosure. Attraverso questo tipo di comunicazione l’organizzazione mira ad avere un rapporto limpido con i pubblici d’interesse, incentrato sulla trasparenza delle azioni aziendali. È da sottolinearsi la sempre più sentita necessità di misurare gli intangibile asset, che negli ultimi decenni hanno assunto notevole importanza.
Intangible assets 38 L’importanza degli elementi intangibili è evidenziata da alcuni studi, nei quali si evince che il valore di mercato di un’impresa al giorno d’oggi è determinato per il 75% da elementi immateriali e dal restante 25% da asset materiali 39. La dinamica competitiva tra le imprese dipende sempre più dall’impiego, nella attività quotidiana, di competenze e di capacità distintive. Tali capacità variano dal know how 40 all’atteggiamento ed al comportamento tenuto, confluendo nell’insieme di quegli elementi identificabili come beni immateriali o intangibili. Al giorno d’oggi possono essere considerati main driver nel guidare la creazione di valore delle imprese. Alle risorse immateriali viene associato il termine asset, con cui si 37
Amorosino S., Rabitti Bedogn C., (2004), in www.dirittoit. Per una lettura più approfondita si veda Chierieleison C., (2008), Gli intangible assets tra principi contabili nazionali e internazionali, Franco Angeli, Milano. 39 Intervento di Amadei all’Università degli Studi Sociali Guido Carli il 22 dicembre 2008, Roma. 40 “Il patrimonio di conoscenze teoriche e pratiche, su uno specifico settore industriale o singoli processi di produzione, appartenente a una persona o al management di una azienda” da Astolfi E., Negri L., (2009), Ragioneria applicata e pubblica, Tramontana, Bari. 38
36
intende indicare in maniera più diretta quegli elementi del patrimonio, di natura economica, ai quali si riconosce l’attitudine a generare benefici futuri. Affinché una qualsiasi risorsa immateriale possa definirsi asset devono essere soddisfatte alcune caratteristiche: - Costi effettivamente sostenuti e che non esauriscano la loro utilità nell’esercizio di sostenimento. - Attitudine a produrre benefici economici in futuro. - Costi che possano essere distintamente identificati e attendibilmente quantificati. Da ciò deriva e si chiarifica anche la differenza tra il concetto di intangibile e quello di risorsa immateriale: il primo, oltre a comprendere le risorse immateriali tradizionali (marchi, brevetti, ecc.) facilmente individuabili in quanto collegate a specifiche norme giuridiche che le disciplinano, fa riferimento anche a risorse di più difficile definizione, prive di tutela giuridica, le cui caratteristiche non sono accolte dalla tradizionale classificazione contabile. A questa specie appartengono tutte quelle risorse non acquistate dall’esterno ma prodotte con processi interni, con conseguente mancanza del costo certo come elemento costitutivo. La definizione di intangible asset è proposta dai principi contabili internazionali nello IAS 38 41, dove viene precisato: “si definisce attività intangibile quella attività identificabile, non monetaria, priva di consistenza fisica, controllata dall’impresa in conseguenza di eventi passati, dalla quale sono attesi benefici economici futuri per l’impresa stessa”. La caratteristica fondamentale e discriminante individuata dallo IAS è la “identificabilità” all’interno del capitale di funzionamento, quando l’attività, oltre ad essere separabile, nasce da un contratto o da altri diritti legali. La separabilità comporta la possibilità che l’attività possa essere ceduta, trasferita o locata, attraverso un autonomo negozio giuridico. Tuttavia il requisito della identificabilità non comporta necessariamente quello della trasferibilità: alcuni valori immateriali, per quanto identificabili, sono così correlati e condizionati nel
41
Gli IAS (International Accounting Standards) sono principi contabili internazionali. Aiutano le imprese ad elaborare una corretta valutazione del valore aziendale attuale e, dal momento che oggi la competizione si gioca sempre di più su valori intangibili, diventa fondamentale definire il valore delle attività considerate non monetarie, prive di consistenza fisica ma, in ogni caso, identificabili secondo un’ottica aziendale.
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proprio valore dall’appartenenza all’azienda, da non potersi neppure ipotizzare una separazione da quest’ultima.
2.2.2
La comunicazione istituzionale
La comunicazione istituzionale risulta essere la macro-area che riguarda in modo complessivo l’organizzazione. L’azienda, attraverso una serie di meta-obiettivi, cerca di comunicare la sua mission, la sua identità, i suoi valori, la sua cultura organizzativa. Comunica chi è e come cerca di esserlo, anziché focalizzarsi su specifici messaggi relativi alla sua attività. I pubblici di interesse a cui è rivolto questo tipo di comunicazione sono innumerevoli e cambiano di volta in volta. Tale comunicazione ha lo scopo di influire sugli atteggiamenti dei pubblici di riferimento, affinché il posizionamento dell’organizzazione venga affermato in un’ottica di lungo termine. Il fine ultimo, nonché il più auspicabile, è relativo al potenziamento del patrimonio reputazionale, consolidando la goodwill 42. La reputazione d’impresa rappresenta il fine ultimo della comunicazione istituzionale. È secondo questa logica che si va a delineare la necessità di creare un’impresa la cui reputazione, seppur dinamica, sia stabile nel tempo e che si distacchi dall’instabilità della corporate image, che è spesso soggetta a cambiamenti repentini e drastici. La comunicazione istituzionale non segue regole comunicative di stampo logico lineare (emittente-messaggio-ricevente) bensì di tipo sistemico, ossia articolate in sotto-processi 43, che rendono quest’area versatile e caratterizzata da confini vasti e non bene delineati. Benché questa non sia la sede adatta per discutere in maniera esaustiva di tale argomento, risulta comunque necessario, ai fini della completezza espositiva, citare tre attività che caratterizzano la comunicazione istituzionale: - Public affairs. - Crisis management. - Responsabilità sociale (corporate social responsibility). 42
Ecco uno degli intangibile asset, ben più stabile e duraturo dell’effimera immagine aziendale. In merito si veda Golfetto F., (1993), Comunicazione e comportamenti comunicativi, Egea, Milano. 43
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Public affairs Il public affairs management può essere definito come il complesso di attività di tipo strategico e di relazione nei confronti delle istituzioni pubbliche e private (portatrici di interessi) realizzate al fine di concretizzare sinergie con precise organizzazioni e con l'obiettivo di ottenere valore aggiunto per tutti i soggetti coinvolti. Il compito principale del public affairs manager consiste nel sviluppare strategie e programmi per gestire le relazioni con le autorità nazionali, al fine di poter contribuire, apportando il più possibile le proprie competenze, al processo decisionale, politico e legislativo. Allo stesso tempo viene favorito il raggiungimento degli obiettivi comuni e costituzionalmente rilevanti, che tali istituzioni perseguono. Anche in questo caso è necessario operare una distinzione, che caratterizza anche altre macro-aree, e che riguarda la suddivisone della comunicazione in: - Obbligatoria: quella comunicazione legata in maggior misura alla necessità di adempiere alle prescrizioni di legge. - Volontaria:
le
cui
finalità
sono
da
ricollegarsi
nella
volontà
dell’organizzazione di esplicitare in maniera chiara e distinta la propria cultura organizzativa. Al concetto di Public affairs si ricollega di rimando a quello di lobbying 44. Benché alcuni studiosi del settore siano propensi a rilevare una sostanziale sovrapposizione tra lobbying e relazioni istituzionali, molti ritengono invece che l’attività di lobbying sia solo una parte di queste 45. La professione del lobbista viene ancora oggi considerata ai margini della legalità. In Italia si combatte ancora per attribuire al termine lobbista l’accezione positiva che merita 46. Si sente la necessità di superare la visione d’oltreoceano del lobbista identificata nel “modello delle tre B”: bustarelle, bambole e bibite alcoliche. Anche in Italia, seppure a fatica, si sta sviluppando e diffondendo il “modello delle tre C”: comunicare, convincere e cogestire le decisioni. Il mestiere di lobbista è caratterizzato dalla trasparenza che deve convergere con gli interessi di carattere generale, in modo che gli stakeholder 44
Sull’argomento si vedano Cattaneo A., Zanetto P., (2007), Fare lobby, Manuale di Public Affairs, Hoepli, Milano. 45 In questo lavoro si abbraccia questa linea di pensiero. 46 Affermazione di Maurizio Beretta Direttore Generale di Confindustria nel 2006.
39
tengano in considerazione le imprese che svolgono tali attività. Il lobbista partecipa alle attività di governo, e affinché questo mestiere sia fatto nel migliore dei modi, è necessario che sia rispettata la condizione fondamentale di indipendenza da ogni partito politico, poiché l’attività di lobbying si rivolge a tutti i partiti. A questo proposito è bene sottolineare che tutte le attività di lobbying, proprio perché attività pubbliche, sono regolate entro un quadro vigente dato dai princìpi costituzionali.
Crisis management Con crisis management vengono intese quell’insieme di attività relative alla previsione della crisi fino alla gestione della stessa. Lo scopo di tale processo è duplice: da un lato è volto al superamento della crisi, dall’altro invece è finalizzato all’apprendimento, come aiuto per il futuro a prevenire situazioni critiche analoghe. Si parla di qualunque avvenimento, non controllato o non controllabile, che viene a colpire l’impresa, modificando il normale flusso delle attività e incidendo sull’immagine che i pubblici di riferimento hanno dell’impresa stessa e del suo posizionamento competitivo. La crisi è un momento di profonda discontinuità nella vita di un'azienda, poiché la sua normale attività ne viene condizionata o travolta. Anche la comunicazione segue lo stesso processo. Lo scoglio da superare consiste nella pianificazione e nella preparazione di concreti metodi di risposta. Oggi la parola crisi ricopre un'accezione negativa, sarebbe più auspicabile che le organizzazioni risalissero all’etimologia greca krisis che significa scelta o decisione. La comunicazione di crisi, dovrebbe essere un processo interattivo di scambio che non può limitarsi a diffondere una corretta informazione sul rischio, ma creare un rapporto di fiducia e di colloquio fra chi il rischio deve gestirlo e chi invece vi è esposto. Questo processo è caratterizzato da tre fasi: - Fase precedente la crisi, momento in cui l’organizzazione monitora le aree critiche all’interno del complesso aziendale. È una fase di fondamentale importanza perché serve all’azienda per individuare possibili prevenzioni delle vulnerabilità e quindi stabilire le eventuali misure e procedure da attuare al momento del bisogno, evitando così il rischio di improvvisazione che caratterizza tutte le situazioni di emergenza.
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- Fase della crisi vera e propria, in cui viene costituito il crisis management team 47..La fase più acuta è quella relativa alla comunicazione della crisi che deve essere chiara, esplicita e precisa. -
Fase successiva la crisi, in cui si verifica ex post se le misure adottate sono state o meno efficaci. Questa fase è l’inizio di un processo di apprendimento, grazie al quale, in futuro, a fronte di situazioni simili, l’organizzazione risponderà memore dell’esperienza passata. Fiducia e credibilità sono gli asset più importanti in un programma di comunicazione di crisi ed è necessario assumere un atteggiamento che consenta di conquistarle e mantenerle. Ammettere gli errori senza minimizzare o esagerare. Avanzare ipotesi solo con grande cautela. Una parte importante della comunicazione di crisi deve essere dedicata al coordinamento delle varie fonti d’informazione, creando alleanze e rapporti con quelle ritenute credibili e arruolando dei portavoce esterni. Il nocciolo della comunicazione di crisi si racchiude in un unico obiettivo: creare fiducia. I suoi tre elementi fondamentali devono essere: o Considerare l’aspetto emotivo. o Condividere le preoccupazioni del pubblico. o Mostrare impegno ad affrontare e gestire il problema.
La trasparenza dei comportamenti, la disponibilità a fornire dati, cifre ed ogni elemento utile a comprendere le cause e le origini dell'emergenza, insieme all'informazione circa le proprie azioni, sia nei confronti dei pubblici di riferimento coinvolti che della stampa e dell'informazione radiotelevisiva, sono assolutamente indispensabili, per poter essere credibili ed autorevoli nel governo del processo di comunicazione. Anche ammettere le proprie responsabilità, prima che ciò sia inequivocabilmente dimostrato da altri, è atto strategicamente e oggettivamente dovuto, insieme all'espressione delle proprie scuse. Emettendo messaggi contraddittori, si aggrava infatti la situazione di diffidenza, sfiducia, colpevolezza e irresponsabilità.
47
Unità organizzativa a cui è affidato il compito di gestire la crisi, con la relativa sezione comunicativa da inviare ai differenti pubblici di riferimento.
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In conclusione, la gestione di crisi è un processo costituito da differenti fasi, che prevede la comunicazione e la relazione con molteplici interlocutori. Benché molte organizzazioni possano non condividere, può essere un momento di rilancio personale dell’impresa stessa, in cui, se messe in atto le giuste misure, l’immagine dell’azienda può uscirne rafforzata e la reputazione intatta.
Corporate social responsibility Una definizione chiara ed esaustiva di responsabilità sociale, viene data nel Libro Verde del 2001 48, atto a promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese e che prevede l’integrazione volontaria da parte delle imprese stesse nelle operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate. Nel documento è specificato che essere socialmente responsabili vuol dire non solo soddisfare pienamente gli obblighi normativi applicabili, ma anche andare al di là investendo di più nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate. Il tema della corporate social responsibility (CSR) va inquadrato, peraltro, nell’ambito delle politiche per la competitività dell’impresa e del sistema economico, ricollegandosi direttamente al concetto di sviluppo sostenibile. Sostenibilità è “la capacità di una organizzazione (o società) di continuare, in maniera duratura nel tempo, le proprie attività, tenendo in debita considerazione l’impatto che queste ultime hanno sul capitale naturale, sociale e umano” 49. In altri termini, la CSR è il contributo che le imprese offrono allo sviluppo sostenibile. I soggetti coinvolti nel concetto di gestione socialmente responsabile d’impresa sono tutti i “portatori d’interesse”, definiti stakeholder, che si individuano nei seguenti gruppi: - Pubblica amministrazione. - Collaboratori. - Fornitori. - Comunità locale.
48 49
www.europa.eu. ISEA Institute of Social and Ethical Account Ability, 1000 Framework.
42
- Business partner. - Organizzazioni non governative. - Consumatori. - Azionisti. La responsabilità sociale d’impresa o corporate social responsibility è l’impegno delle imprese a comportarsi in modo corretto, andando oltre il semplice rispetto degli obblighi previsti dalle leggi e dalle norme etiche individuali. La CSR, come modello di gestione d’impresa, deve interagire con tutti gli ambiti aziendali: - Produzione: riduzione dell’impatto ambientale, sicurezza dei lavoratori, non sfruttamento dei minori, attenzione a qualità e sicurezza dei prodotti. - Marketing: soddisfazione dei clienti. - Risorse umane: gestione dei percorsi di carriera, politiche di formazione, gestione degli esuberi. - Aspetti finanziari. La CSR si basa dunque sul presupposto secondo cui l’impresa dovrebbe realizzare uno sviluppo sostenibile, nel senso ampio di sviluppo economico che, accanto alla creazione di valore per gli azionisti, rispetti gli interessi anche per l’ambiente circostante.
2.2.3
La comunicazione di marketing
Siamo giunti alla terza macro-area, che insieme alla comunicazione organizzativa rappresenta la tipologia di comunicazione aziendale che più interessa questo elaborato. La comunicazione di marketing sottolinea una relazione tra l’impresa ed il mercato, volta non solo a creare, ma anche a diffondere valore aziendale (tangibile ed intangibile) con lo scopo di ottenere una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti. Vista l’ampia gamma di portatori di interesse a cui la comunicazione di marketing si rivolge, è opportuno per le aziende adottare il concetto di comunicazione integrata di marketing. Nell’American Association of
43
Advertising Agencies 50 la comunicazione integrata di marketing viene identificata come pianificazione nell’ambito del marketing stesso. Comprende un piano completo, in cui vengono studiate le strategie di una varietà di discipline di comunicazione, combinandole affinché viga sempre il concetto di chiarezza e coerenza, unitamente al massimo impatto emotivo e razionale. Il grande vantaggio è la possibilità di avere una visione olistica dell’intera comunicazione di marketing, anziché concentrarsi sulle singole parti. La premessa strategica per il successo della comunicazione di marketing integrata (IMC) è l’adozione da parte delle imprese di un orientamento al mercato e alla marca. Il marketing, dunque, come un insieme di ingredienti, coordinati attraverso la strategia di marketing mix 51, che comprende una serie di leve. Il modello più noto è il così detto “modello delle 4P” 52, come da grafico schematico qui sotto riportato.
Figura 9. Adattamento modello 4P
50
Fondata nel 1917 rappresenta le organizzazioni degli Stati Uniti. Per maggiori informazioni consultare il sito dell’associazione http://www2.aaaa.org. 51 Termine utilizzato per la prima volta da Neil Borden nel 1953. 52 Introdotto da McCarthy nel 1981, ma divulgato a livello universale dal “padre” del marketing Kotler.
44
Attualmente vengono aggiunte altre P al modello originario, arrivando addirittura al “modello delle 7P” 53.
Figura 10. Modello delle 7P
La presenza del prodotto in questi schemi risulta centrale poiché ad ogni prodotto è associata una marca. I messaggi aventi come oggetto la marca vengono rappresentati dal marketing communication mix integrato. Come marca 54 s’intende “quel nome, segno, simbolo o progetto (o la combinazione di questi elementi) che hanno lo scopo di identificare i beni e i sevizi (sarebbe azzardato dire anche le ideologie) di una organizzazione, differenziandoli da quelli dei concorrenti” 55. Una marca, che è un simbolo complesso con diversi livelli di significato, “è essenzialmente una promessa: la promessa di fornire ai pubblici un determinato insieme di caratteristiche, benefici e servizi in modo coerente” 56. Molti studi hanno dimostrato come i concetti di azienda, marca, servizio, venissero
53
Corigliano G., (2004), Marketing: strategie e tecniche, Etas, Milano. Definizione proposta dall’American Marketing Association. 55 Kotler P., (2007), Marketing Management, Addison Wesley Longman, Milano. 56 Kapferer J. N., (1992), Strategic Brand Management, Free Press, London. 54
45
rappresentati nella memoria del consumatore. L’idea è che la memoria sia una sorta di “rete associativa di nodi” i quali, collegati l’uno all’altro, rappresentano ognuno un concetto. La cosa interessante è l’interconnessione esistente tra i vari concetti 57, l’insieme di nodi e di associazioni portano alla creazione della brand image, che si crea in base all’esperienza del consumatore.
Brand image Furono Gardner e Levy (1955) che introdussero l’idea che i prodotti non avessero solo una natura fisica, ma anche psicologica e sociale, e che l’emotività legata alla marca, portasse i consumatori a scegliere una marca piuttosto che un’altra. La costruzione della brand image avviene dall’integrazione delle diverse leve del communication mix e attraverso la percezione del consumatore, che a seconda del suo background, si forma delle aspettative e un’idea sommaria legate alla marca. Il prodotto sottostante una marca può essere imitato dai concorrenti, ma la marca è unica. L’immagine di marca dovrebbe essere lo specchio della filosofia, della mission, della personalità dell’azienda, in modo che i consumatori possano percepire in maniera inequivocabile tutto ciò che sottostà all’immagine di marca. È un concetto di tipo qualitativo e non quantitativo. L’immagine di marca può essere misurata come notorietà spontanea attraverso il concetto top of mind. Con questa espressione s’intende la prima marca recuperata nella memoria in risposta ad uno specifico stimolo di categoria 58. Le marche che possiedono una forma fisica si prestano con più facilità al riconoscimento di marca, poiché la propria fisicità aiuta il riconoscimento della marca all’interno del contesto in cui viene inserita.
Brand equity La brand equity o valore di marca è il valore della marca oltre i patrimoni fisici che si associano a chi la produce 59 e può essere pensata come un flusso addizionale di cassa che si ottiene dall’associazione della marca con il prodotto che la rappresenta.
57
East R., Wright M., Vanhuele M., (2009), Comportamento del consumatore, Apogeo,Trento. Ad esempio, se dovessimo aver sete e pensassimo ad una bevanda ci verrebbe in mente come primissima opzione la Coca Cola. 59 Biel A.L., (1991), The brandscape: converting brand image into equity, Free Press, London. 58
46
La brand equity è quindi la valorizzazione delle componenti di marca quali: la componente identificativa, la componente fiduciaria e la componente valutativa. Di fatto, si può affermare che l’equity del brand sia identificabile nelle aspettative di comportamento del consumatore legate alla fiducia e alla fedeltà. È grazie al valore della marca che i consumatori manifestano una preferenza per un prodotto rispetto ad un altro, seppur sostanzialmente identico. Il valore della marca viene misurato attraverso la misura con cui i clienti sarebbero disposti a pagare di più una determinata marca. Il valore della marca è il risultato dell’atteggiamento nei confronti della marca stessa, della sua forza e degli effetti del contesto.
Figura 11. Fattori che costituiscono la brand equity
Brand management Il ruolo distintivo della marca rappresenta solo un primo elemento di quel particolare legame che questa stabilisce tra una determinata offerta e una data domanda. In condizioni di alta intensità concorrenziale, la marca è la sintesi tra notorietà ed immagine il cui scopo è di affermarsi presso un determinato pubblico di riferimento. In un’ottica economico-aziendale, si può quindi definire come “una specifica relazione istituita con un dato mercato per l'affermazione di una particolare offerta” 60. 60
Brondoni S.M., Di Gregorio A., (1996), Brand Equity e politiche di marca, Franco Angeli, Milano.
47
La marca condensa in sé la storia evolutiva del prodotto, riassumendo sinteticamente le risorse destinate dall'impresa allo studio dei mercati concorrenziali e soprattutto indirizzando la sua conoscenza verso le tendenze del mercato. Garantisce una “promessa”che non dovrebbe deludere mai le aspettative del mercato a cui è rivolta, cercando allo stesso tempo di guadagnare fette di mercato, affinché il patrimonio aziendale aumenti profittevolmente. È in quest’ottica che si inserisce il brand management, processo di marketing che ha come fine ultimo di mantenere, migliorare e, se possibile, aumentare il prestigio del brand. Lo scopo è di raggiungere l’ambita posizione di top of mind all’interno della memoria dei consumatori. La corretta gestione della marca non solo può produrre un aumento delle vendite del prodotto in questione, ma estendersi sino a migliorare le vendite connesse al marchio. La gestione del marchio comprende sia le caratteristiche materiali che quelle immateriali. Grande importanza viene data agli intangibile assets, che possono comprendere un’ideologia che unisca sentimenti, credenze e filosofie di vita. La gestione del marchio viene dunque attuata in modo che la costruzione di immagine aziendale sia forte e solida. Il brand manager ha il compito di sorvegliare le prestazioni complessive del marchio, poiché è dalla gestione competente dello sesso che dipende il successo del brand. Il brand management può essere indirizzato sia alla gestione di un brand di un prodotto tangibile che ad una linea di pensiero, rappresentante uno stile di vita 61. Tale gestione può essere agevolata se comprendente tutta una serie di consumatori di pensiero molto più omogenei rispetto a quanto sarebbero se condividessero un prodotto fisico. Può rivelarsi difficile a causa della condivisione o meno di tale pensiero. Non può essere utilizzata momentaneamente o periodicamente. Chi è Buddista o lo è o non lo è. Certo sono possibili differenti livelli di coinvolgimento, ma sicuramente abbracciare un credo, religioso, politico o filosofico, è ben altra cosa che consumare un prodotto a cui si è affezionati. Il sottolineare tali differenze risulterà molto utile nell’introduzione dei concetti relativi all’employer branding, che verranno esposti nel capitolo seguente.
61
Come abbracciare la filosofia Buddista, che non è una religione, ma un modo di vivere la propria vita in sintonia con chi ti circonda e con la natura di cui l’essere umano fa parte.
48
2.2.4 La comunicazione organizzativa Siamo giunti alla quarta macro-area comunicativa, ultima di ordine ma non d’importanza. Una frase molto significativa racchiude l’importanza di questa forma comunicativa “the Customer comes second: put your People first” 62. Invernizzi utilizza il termine comunicazione organizzativa con un’accezione molto ampia, includendo al suo interno l’intero settore della comunicazione in tutte le sue forme. Inizialmente, riferendosi a questo tipo di comunicazione, la si indicava come comunicazione interna. Ma visti gli innumerevoli fattori, alcuni dei quali esposti nel primo capitolo, che hanno contribuito ai cambiamenti contestuali, tale accezione si è rilevata essere troppo limitativa. Seguendo il modello anglosassone si è introdotto il concetto di comunicazione organizzativa, caratterizzata da una valenza più ampia e comprendente tutti i soggetti operativi e che sono strategicamente rilevanti per lo sviluppo e le performance dell’impresa stessa. Nei modelli organizzativi tradizionali la comunicazione segue un percorso topdown, ripercorrendo la linea guida gerarchica formale e rispecchiando i rapporti di potere proposti nell’organigramma aziendale. Sicuramente questo tipo di comunicazione è rapido e preciso, non tiene però conto della figura del dipendente all’interno del processo comunicativo, creando così una certa insoddisfazione. Negli anni, affianco a questa modalità, si sono create altre forme di comunicazione, tra tutte quella bottom-up. Questa modalità è volta ad aumentare la partecipazione del personale alle attività comunicative dell’organizzazione. In questo modo la comunicazione favorisce gli scambi interpersonali, incrementando di rimando la soddisfazione della risorsa umana. L’individuo deve essere messo nella condizione di poter trovare una propria collocazione nel sistema organizzativo. Il dipendente come “capitale intellettuale”, nuova ricchezza dell’azienda 63, è alla base del nuovo valore, ancor più importante dei tangible asset.
62
Rosembluth H., Mcferrin D., (2002), The Customer Comes Second: Put Your People First and Watch 'em Kick Butt, HarperCollins, New York. 63 Epifani S., (2003), Business community. Gestire il capitale intellettuale nella net Economy, Franco Angeli, Milano.
49
Per poter essere in grado di produrre valore, una risorsa deve essere caratterizzata da quattro differenti aspetti: - Generare valore. - Essere difficilmente imitabile. - Essere insostituibile. - Essere rara. Ăˆ necessaria una panoramica del settore della gestione delle risorse umane al fine di comprendere al meglio la fondamentale funzione ricoperta dal patrimonio cognitivo: i dipendenti.
50
2.3 Panoramica del settore delle risorse umane La gestione delle risorse umane comprende le attività che riguardano la selezione, il reclutamento, la formazione, la valutazione, la retribuzione e la carriera del personale, oltre alle relazioni sindacali. Se nel passato il personale veniva quasi esclusivamente considerato come mero costo da amministrare e dirigere, oggi una gestione più “intelligente” delle risorse umane rappresenta un elemento che permette una migliore competitività ed una amministrazione più sensata di questo grande “capitale intellettuale” di cui l’impresa dispone. Non essendo riconducibile ad un unico settore economico, la gestione del capitale umano comprende al suo interno professionalità “trasversali” e può essere suddivisa in due grandi sottosettori, in cui le imprese: - Svolgono come loro attività principale e prevalente la gestione delle risorse umane. - Hanno al loro interno uno o più addetti o una specifica funzione per la gestione delle risorse umane. Per quanto riguarda il primo caso, effettuando un’intervista al dottor Mario Bianco 64, è stato possibile riferire come agenzie atte alla ricerca e selezione del personale, si siano in questi ultimi anni dovute adeguare a numerosi cambiamenti, quali la necessità di snellire l’impianto organizzativo e di adeguarsi alle esigenze esterne. Negli ultimi anni solo a Milano più di cento società di reclutamento del personale non sono riuscite a sopravvivere, poiché non si sono adeguate ai cambiamenti circostanti. Le cause principali sono state: - La decisione di molte organizzazioni d’internalizzare la funzione della gestione delle risorse umane. - La quasi totale assenza in Italia del settore ricerca, che ha spinto molti talenti a lasciare il Paese, causando un depauperamento alle società di recruitment.
64
Consulente di Direzione Agenzia Selebi Unipersonale S.r.l., per ulteriori informazioni visitare il sito www.selebi.it.
51
Qui di seguito un organigramma che mostra l’integrazione dell’area risorse umane, presente ormai nella maggior parte delle aziende.
Figura 12. Integrazione area risorse umane nell'organigramma aziendale
52
2.4
Le fasi della gestione delle risorse umane
Il reclutamento del personale può avvenire sia sul mercato del lavoro esterno, che all’interno dell’azienda stessa. Pur variando strumenti ed attività, si articola generalmente nell’identificazione del profilo da acquisire, nella ricerca e nell’attivazione delle fonti di reclutamento, nella preselezione e nella successiva fase di selezione del personale, nell’assunzione della risorsa ed infine nell’inserimento della stessa nella struttura aziendale. A tale scopo vengono attivate le seguenti procedure: - Identificazione del profilo o dei profili professionali da acquisire tramite job description. Questa è composta da due parti: la prima descrive la posizione in base al titolo o alla categoria del ruolo, ai compiti richiesti ed al livello di responsabilità; la seconda si riferisce alle caratteristiche anagrafiche e personali (età, stato civile, capacità organizzative e skill). - Ricerca e attivazione delle fonti di reclutamento, indirizzate al mercato esterno, quale principale fonte di acquisizione di nuove risorse ed attuate dall’azienda stessa, dalle agenzie per il lavoro o da studi di consulenza. La scelta delle fonti e dei canali di reclutamento più idonei (inserzioni, banche dati, siti web, ecc.) risulta fondamentale per una corretta ricerca. - Preselezione, effettuata attraverso uno screening, ovvero una prima scrematura dei curricula ricevuti in risposta alle varie inserzioni, per individuare una rosa di candidati. - Selezione, atta a confrontare e verificare i requisiti posseduti dai singoli candidati con quelli richiesti per il profilo delineato. L’obiettivo è quello di individuare la persona più adatta allo svolgimento di un certo compito. In questa fase si comunicano ai candidati tutte le informazioni relative al contesto. - Assunzione del personale, previa accettazione dell’offerta che avviene mediante la firma del contratto, dopo aver fornito tutta la documentazione necessaria al datore di lavoro 65. In contemporanea al contratto economico, 65
Le principali tipologie contrattuali previste dalla legislazione nazionale sono: il contratto a tempo indeterminato, il contratto a tempo determinato, la collaborazione continuata e continuativa, il lavoro a progetto, il contratto d’inserimento, il part-time, il contratto di lavoro temporaneo, l’apprendistato e il lavoro autonomo.
53
viene tacitamente scambiato il così detto contratto psicologico 66. Secondo Schein (1965) tale nozione implica un aspetto bilaterale, in cui i partner dello scambio sviluppano delle aspettative circa gli obblighi reciproci. La difficoltà dell’interscambio sta però nel personificare l’organizzazione, con cui l’individuo pattuisce esattamente i termini delle promesse. Negli anni l’attenzione si è focalizzata su uno solo dei partner: il lavoratore. Il contratto psicologico 67
è
dunque
una
componente
necessaria
nella
relazione
organizzazione-dipendente, un insieme di promesse ed aspettative reciproche circa una relazione dinamica ma stabile nel tempo. Viste le numerose mutazioni del contesto in cui il contratto psicologico si applica, è stata necessaria nel tempo una rimodernizzazione dello stesso.
Figura 13. Evoluzione del contratto psicologico.
Qualora, e non sempre accade, il contratto psicologico vada a buon fine, può servire a rafforzare i legami tra dipendente e organizzazione, la soddisfazione del lavoratore 66 67
Nozione introdotta da Argyris nel 1960. Solari L.,(2008), La gestione delle Risorse Umane, dalla teoria alle persone, Carrocci,Roma.
54
circa la sua persona e le prospettive di ruolo, la fiducia riposta nell’organizzazione ed infine gli investimenti personali del dipendente nell’organizzazione. Il contratto psicologico è quindi una funzione necessaria, non certo sufficiente, per migliorare le condizioni e la qualità della vita lavorativa del dipendente. D’altronde se si dovesse verificare una violazione delle promesse, aumenterebbero i livelli di insoddisfazione, frustrazione e delusione del lavoratore nei confronti di sé e dell’organizzazione in cui lavora. Il fallimento del contratto psicologico 68 può avvenire per due possibili ragioni: - Reneging: quando si percepisce un distacco da parte dell’impresa che rinnega le sue promesse. - Incongruence: quando si percepiscono delle incongruenze tra le aspettative del lavoratore circa gli obblighi dell’impresa. Il fallimento, o comunque il non totale rispetto del contratto psicologico, può portare a diverse problematiche che si possono tradurre con un aumento della demotivazione del lavoratore, con conseguenze a lungo termine dell’abbassamento dell’impegno, aumento dell’assenteismo e del turnover. Una corretta formulazione ed
una
corretta
attuazione
del
contratto
psicologico,
possono
giovare
indiscutibilmente ad entrambi i partner che lo stipulano. - L’inserimento del personale, quale fase introduttiva all’interno dell’azienda, ha come scopo di fornire al neo-assunto qualsiasi tipo di informazione sulla realtà organizzativa di cui sta entrando a far parte. È in questa fase che vengono programmate delle modalità di interazione “adulto-neofita” il cui fine è quello di facilitare i processi di apprendimento sociale e lavorativo. Tre sono i principali metodi di training: o Coaching: relazione che si instaura tra il neofita ed il lavoratore più esperto, che ha anche responsabilità di tipo gerarchico. Il clima che si viene a creare è generalmente aperto allo scambio interpersonale, dove il neo-assunto può e deve esporre dubbi e perplessità al fine di acquisire nel minor tempo possibile consapevolezza e padronanza di sé e delle sue azioni. 68
Robinson S., Wolfe-Morrison E., (1995),
55
o Mentoring: relazione tra due dipendenti al di fuori della linea gerarchica. Il lavoratore esperto ricopre il ruolo di guida, anche emotiva, offrendo consigli e feedback. Il rapporto instaurato può durare anche uno o due anni, e prevede un coinvolgimento interpersonale. Una formazione non solo di tipo tecnico-professionale ma anche e soprattutto sulle competenze trasversali e gestionali. o Tutoring: interazione che si basa sulla trasmissione del sapere pratico, mediante esperienza diretta in modo che la teoria sia supportata da un riscontro pratico monitorato da vicino. Sarebbe utile che il neofita attuasse il processo di information seeking 69 e che il tutor applicasse lo scaffolding 70. - L’impiego del personale, ovvero la gestione del personale che lavora all’interno di un’organizzazione. Avviene attraverso una serie di attività e di procedure, su cui l’ente o l’impresa può puntare per garantire il miglior impiego delle sue risorse. Un efficace sistema di gestione del personale, acquisito dopo una corretta pianificazione, passa attraverso l’interazione di attività e processi strettamente collegati alle strategie aziendali. - La formazione, ossia il processo attraverso cui viene fornita, mantenuta o migliorata la preparazione professionale dei lavoratori. Non riguarda solo l’acquisizione di competenze tecniche, ma anche di competenze relazionali, di atteggiamenti e di capacità utili per affrontare situazioni nuove. Per un’azienda, soprattutto di grandi dimensioni, puntare sulla formazione del personale è considerato un investimento, in linea con gli obiettivi generali. Oggi l’impegno a favore di interventi di formazione continua fa parte delle strategie sostenute dall’Unione Europea, per promuovere l’occupazione dal punto di vista qualitativo e per favorire la competitività economica. Mi sembra doveroso aprire una parentesi, che spero mi venga perdonata. Come studentessa e lavoratrice occasionale, vorrei sottolineare quanto in Italia tale aspetto 69
Ossia quali e quante domande il neofita pone e come si auto pone nei confronti dell’ambiente circostante. 70 Questo termine si utilizza per indicare il supporto e l'assistenza fornita ad una persona nuova del campo, affinché svolga un compito troppo complesso per i suoi livelli di competenza. Citando la Hogan, diremo che "lo scaffolding è una forma estremamente sociale di istruzione, con i pari o gli insegnanti che interagiscono apertamente con uno studente mentre lui tenta un compito".
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venga troppo spesso accantonato, ponendo molta più attenzione alla quantità rispetto alla qualità del lavoro. Grazie all’intervista con il dottor Bianco è emerso quanto poco le organizzazioni investano in ricerca e formazione, fornendo così la prima causa che spinge i giovani talenti ad allontanarsi dall’Italia. - L’analisi e la valutazione del lavoro, attraverso la determinazione dei metodi più noti per valutare e guidare le singole risorse di un’organizzazione, avviene tramite: o Job analysis: processo con cui vengono raccolte le informazioni riguardanti i comportamenti lavorativi e gli strumenti utilizzati in relazione al contesto. L’attenzione è posta sulle modalità di svolgimento del lavoro e sui risultati che produce. o Job description: descrizione della posizione lavorativa e del lavoro in sé, degli obiettivi proposti, delle modalità e procedure di svolgimento, delle condizioni lavorative ed infine dei risultati attesi dall’attività lavorativa. o Job evaluation: definizione di un metodo di classificazione oggettivo in quanto basato sulla misurabilità dell’oggetto della prestazione lavorativa (mansione, posizione di lavoro). E’ un mezzo per comparare i valori relativi delle differenti mansioni entro un’organizzazione, al fine di porre le basi per una struttura razionale delle retribuzioni e costituisce lo sviluppo logico del taylorismo organizzativo. - La valutazione delle prestazioni, quale giudizio sulla qualità dell’attività lavorativa svolta da un dipendente ad alto profilo professionale. La valutazione, oltre al giudizio finale, prevede un piano di miglioramento, in cui il valutatore indica le tappe per consentire un miglioramento delle performance del diretto interessato. La valutazione ha effetti sulla retribuzione e sugli sviluppi di carriera. - La programmazione delle carriere e le politiche retributive (promozioni, dimissioni, pensionamenti, ecc.) si propone di garantire l’incontro tra le esigenze dell’azienda, le aspirazioni e le competenze dell’individuo. La retribuzione, oltre a regolare il rapporto tra impresa e lavoratore, è uno degli strumenti attraverso cui l’organizzazione può incentivare e motivare il
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lavoratore, nell’intento di ottenere la sua partecipazione agli obiettivi aziendali. Le aziende e gli enti pubblici possono attivare tutta una serie di servizi a favore dei propri dipendenti, per migliorare la situazione di lavoro e favorire un certo grado di benessere: i benefit, di cui parleremo ampiamente nel terzo capitolo. - La comunicazione con il personale, ossia la comunicazione interna, che riguarda il funzionamento organizzativo senza essere rivolta all’esterno 71. Con questa affermazione non si vuole in nessun modo sostenere che la comunicazione interna non abbia effetti anche sull’ambiente esterno all’organizzazione, si vuole solo indicare come gli interlocutori diretti siano costituiti dal personale interno. È un aspetto importante, trait d’union, tra l’organizzazione ed i suoi dipendenti, deve essere coerente, chiara e trasparente. Chi avvia il processo ha l’obbligo di sollecitare ed attendere un feedback, affinché ogni membro coinvolto possa comunicare e allo stesso tempo essere ascoltato.
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Bisio C., (2004), Comunicare in azienda, Franco Angeli,Milano.
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2.5 La risorsa umana: talento imperdibile In un’intervista al Corriere della sera Roger Abravanel 72 ha esposto le tematiche sull’evoluzione futura delle aziende e la capacità di rispondere alle attese dei mercati, che saranno sempre più forti ed esigenti. Oggi solo il 20% dei settori ha una visone globale, entro dieci anni almeno l’80% dei settori prima solo locali, scenderà su scala mondiale. Sarà un processo inarrestabile, dove i leader aziendali per condurre le loro aziende al successo, dovranno innovare e rinnovarsi, grazie anche all’aiuto di talenti, figure in grado di valorizzare l’azienda. Con il termine workforce shortage, s’intende la difficoltà delle imprese a reclutare nuove figure professionali. Per molto tempo le imprese hanno sottovalutato l'importanza strategica del settore risorse umane ai fini della competitività aziendale. Ciò ha portato a non prestare molta attenzione alle diverse attitudini,valori e al patrimonio intellettuale che ogni individuo porta con sé. I fattori che hanno contribuito a rivoluzionare l'odierno panorama economico-produttivo sono molteplici, in particolare il crollo demografico tra il 1966 e il 1979 e l'emergere della generazione “X”. In Italia il calo delle nascite continuerà ad essere un’emergenza ancora per i prossimi anni. Come già descritto nel primo capitolo, con il fortissimo arresto delle nascite a partire dagli anni Settanta, vi è stato un innalzamento dell’età media che tenderà ad aumentare nel prossimo futuro. Tali preoccupazioni vengono confermate da uno studio effettuato nel 2005 dal McKinsey Global Institute (MGI). Nel 2024 l’Italia sarà il paese con l’età media della popolazione più alta di tutta Europa, superando di quasi vent’anni la media USA.
2.5.1 Dalla corporate recruiting vision alla corporate retention vision A fronte di quanto sin qui enunciato, le organizzazioni hanno iniziato a capire quanto fosse strategicamente importante la risorsa umana. Nei paesi anglosassoni si è sviluppata una cultura recruiting oriented, la quale prevede una continua
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Abravanel è direttore della società di consulenza strategica McKinsey in Italia. Ha scritto innumerevoli articoli relativi ai temi della competitività. Ha collaborato con Il Sole 24 Ore.
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innovazione nell’attrarre i talenti, che sono pochi, a fronte di una sempre maggiore competizione tra organizzazioni. War of talent è un termine che fu coniato nel 1997 da McKinsey & Company, per indicare la ricerca di talenti nelle pratiche di management aziendale. Certo è che in una società talmente competitiva, in un mondo basato sulla conoscenza, non solo la ricerca di talenti, ma anche e soprattutto l’attraction degli stessi diviene compito sempre più arduo. Vi è stato un interessante capovolgimento dei ruoli. Un tempo le migliori aziende venivano corteggiate da possibili dipendenti, che si adoperavano molto per essere i prescelti. Ora è l’individuo, la risorsa intangibile, il talento, ad essere ricercato, corteggiato e fortemente desiderato. Secondo gli esperti questo fenomeno inizierà a tramontare almeno tra due decadi. Per fronteggiare questa situazione è necessario che le organizzazioni sviluppino una cultura orientata al recruiting, ossia indirizzata alla costruzione di un forte employer brand all’esterno. Come abbiamo già ripetuto innumerevoli volte, una buona employee image 73, si costruisce grazie ad un’azione di word of mouth74 attivata dai dipendenti soddisfatti nei confronti dell’azienda in cui operano. Un altro metodo impiegato dalle aziende per ottenere segnalazioni è quello dell’employee referral program: il personale viene incoraggiato, attraverso benefit e rewarding, a segnalare possibile personale qualificato. Una politica che possiamo definire talent-oriented aiuta a costruire e coltivare una culla di talenti. Essa serve anche per compensare tutte quelle problematiche affrontate nel precedente paragrafo, quali il turnover o un basso commitment. In una struttura, il cui fine è quello di ricercare “il meglio” presente nel mercato, succede quindi che si punti sul così detto “candidato passivo”, ossia una persona già impiegata in un’altra organizzazione, ma che potrebbe avere qualche motivazione a cambiare impiego. In questi casi, dove la relazione azienda-possibile dipendente è molto delicata, l’organizzazione tende a non affidare all’esterno le attività di recruiting, ma preferisce attuare l’in-house recruiting. Vista la capacità di tali strutture nell’individuare e coltivare talenti, i talenti stessi saranno possibili prede di
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Concetto meno ampio di quello di corporate image , poiché è rivolto ad un pubblico più ristretto: gli employers. 74 Per ulteriori informazioni sull’argomento si rimanda alla lettura del Journal of Advertising Research,December 2004.
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organizzazioni concorrenti. Da una strategia di recruiting che, sempre per rimanere all’interno della metafora bellicosa war of talent, mira alla “cattura” di personale talentuoso, si passa alla retention,termine che indica l’insieme di azioni attuate per mantenere il proprio personale di talento. Questi aspetti verranno riconsiderati, ma per ora vorrei concludere il capitolo con una riflessione relativa alla figura del dipendente di talento. Questo nuovo attore organizzativo si troverà di fronte alla necessità di tenere alto il muro che lo separa e lo differenzia dagli altri lavoratori. Si troverà invischiato in una tela dalla quale non potrà uscire poiché correrebbe il rischio di apparire incoerente. Per essere fedele a sé stesso e all’immagine fornita di sé ai capi e ai colleghi, incorrerebbe nel rischio che maggiormente può minare il suo talento: il rischio della certezza. È un’arma a doppio taglio, dove esiste il pericolo di soppiantare la giusta armonia necessaria in un luogo “vivaio” di talenti e lavoratori professionisti, con la voglia incessante di essere il primo ad avere “quel” talento, ad essere insomma, alla continua ricerca del meglio, a discapito dell’equilibrio psicosociale all’interno del posto di lavoro. Invece di creare armonia e stima reciproca, si vengono così a creare assetti inutilmente e dannosamente competitivi che possono trascendere in antipatie personali.
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3 Capitolo 3 3.1 Corporate recruiting: employer branding 75 Prima di introdurre il concetto di employer branding, è necessario specificare il significato di employee e brand(ing) separatamente. Il termine employee 76 nasce nel XVIII secolo e indica colui che svolge, stipendiato e con continuità, un lavoro di concetto in un ente pubblico. Per veder nascere il termine brand bisogna aspettare un secolo e mezzo, quando si inizia a marchiare a fuoco il bestiame. Con il tempo, e visto l’ampliarsi della gamma di oggetti a cui applicarlo, tale termine ha rafforzato via via il suo ruolo identificativo. La definizione ufficiale qui riportata è proposta da Kotler 77: “brand è quel nome, termine, segno, simbolo o combinazione di questi il cui fine è quello di identificare i beni o i servizi di un’impresa ( o l’impresa stessa) e di differenziarli da quelli della concorrenza”. In questo contesto il significato di brand abbraccia tutti quei concetti permeanti la storia dell’impresa, sino ad arrivare ad identificare le aspettative dei potenziali acquirenti/dipendenti. Vi è una differente e forse ben più nota unione di termini: la corporate brand 78; ma in questo contesto non ci è utile per poter definire l’impresa come realtà percepita quale luogo di lavoro. Spesso gli sforzi delle organizzazioni mirano tutti al mercato esterno per la “publicizzazione” della corporate brand, per la creazione ed il rafforzamento della corporate identity e, soprattutto, per la fidelizzazione dei clienti (brand loyalty). Tale intensità di sforzi dovrebbe essere rivolta anche (e soprattutto) verso le risorse umane, attraverso azioni mirate e costanti di employer branding Secondo la definizione di Amendola l’employer branding è “la strategia di marketing finalizzata a creare un’immagine aziendale coerente con l’identità dell’impresa come employer (luogo di lavoro), in sintonia con il target di riferimento e ben distinta da quella dei competitors, attraverso la quale attrarre e
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Amendola, E, (2008) Corporate Recruinting, Anthea Consulting, Bologna. www.dizionario.corriere.it. 77 Padre fondatore del Marketing Management e già citato numerose volte. 78 Il Brand relativo l’impresa stessa. 76
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fidelizzare le persone di talento”. Si viene così a creare una sorta di parallelismo attraverso il quale si delineano azioni di marketing atte da una parte ad attrarre e fidelizzare clienti e dall’altra ad attrarre e/o mantenere forza lavoro qualificata. L’intensità e la convinzione di tali strategie è solitamente più client-oriented; spesso le organizzazioni dimenticano che, allo stesso modo in cui si rischia di perdere un cliente (attraverso azioni scorrette o promesse non mantenute), si può anche rischiare di perdere la fiducia del proprio dipendente. Come già esposto in precedenza, vista la necessità delle organizzazioni di attrarre talenti, tale inadeguata attuazione dell’employer branding strategy può determinare il fallimento della impresa stessa. La costruzione di una solida reputazione, come più volte sottolineato, è l’aspetto a cui ogni organizzazione ambisce sopra ogni altra cosa. Attraverso comportamenti scorretti accompagnati da azioni di word of mouth attuate da dipendenti, si possono causare danni di immagine all’impresa non arginabili. L’adozione di una strategia di employer branding dipende molto dal ruolo che il brand ricopre all’interno dell’agire organizzativo e soprattutto dalla consapevolezza del ruolo strategico che il personale ha nelle attività di branding. Secondo un modello relativo a studi condotti da Martin e Beaumont 79 le aziende che considerano il corporate brand punto focale della propria strategia aziendale, inserendo le risorse umane come guida nelle attività di corporate branding, comprendono meglio il valore strategico dell’employer branding, attuando azioni mirate in questo ambito. L’employer branding è basato su alcuni principi fondamentali tra cui l’employer identity ,concetto che si distacca da quello di corporate identity, poiché quest’ultimo si riferisce all’azienda come realtà istituzionalizzata che attraverso il suo agire cerca di conquistare fiducia e goodwill da parte dei suoi stakeholder. Con employer identity si intende l’identità aziendale come luogo di lavoro 80; vengono qui presi in considerazione quei fattori che caratterizzano l’ambiente di lavoro dei dipendenti o futuri tali. È attraverso
79
Martin G., Beaumont, P.B., Doig, R., Pate, J. M., (2005). Branding: A new performance discourse for HR, European Management Journal, 23 (1), p.76-88. 80 In inglese work environment.
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l’employer branding che l’employer identity viene in prima istanza definita e quindi comunicata al proprio target di riferimento. Lo scopo dell’attuazione di politiche di employer branding è finalizzato al raggiungimento di un buon posizionamento sul mercato, affinché il proprio pubblico abbia un’immagine percepita forte e coerente con la employer identity aziendale. Nella creazione e nel rafforzamento dell’employer identity gioca un ruolo rilevante tutto ciò che l’organizzazione fa al fine di soddisfare l’esperienza lavorativa di collaboratori o risorse umane. Questo insieme di azioni, fulcro centrale della strategia di employer branding, viene chiamato employer value proposition (EVP). I driver dell’EVP e dunque dell’employer branding, sono i fattori intangibili, di cui abbiamo abbondantemente parlato nel secondo capitolo.
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3.2
I driver dell’employer branding : tangible e intangibile asset
Abbiamo visto come negli ultimi anni le organizzazioni si siano indirizzate verso un radicale cambiamento culturale ed organizzativo improntato sugli intagible asset. Benché l’utilizzo di questi driver sia sempre più consistente, la realtà dei fatti vede ad ogni modo la tendenza da parte delle aziende a sottovalutare questi fattori, continuando a privilegiare i tangible asset. Con questa tipologia di fattori si intendono quegli aspetti più pragmatici utilizzati da ogni organizzazione come, ad esempio, le attività di people management.
Tangible asset Per cercare di contrastare la concorrenza, le leve tangibili più utilizzate sono : - Aumento retributivo. - Benefit. - Opportunità di crescita personale all’intero del contesto lavorativo. - Possibilità di lavorare in un contesto fortemente eterogeneo, stimolante e multiculturale. - Possibilità di seguire corsi formativi per incrementare il bagaglio conoscitivo del dipendente. I fattori sopra citati sono in effetti importanti da un punto di vista psicologico: i dipendenti che lavorano in un contesto che offre queste possibilità, hanno una spinta ad un commitment maggiore. Ma possono bastare queste leve per farsi considerare differenti e più “attraenti”, catturando quindi l’interesse del target a cui l’organizzazione si vuole indirizzare? No, o meglio, non solo. È fondamentale che l’impresa accosti all’utilizzo di leve tangibili anche l’attuazione degli intangibile asset. Un uso sinergico e complementare di questi due aspetti può portare alla struttura immensi benefici riscontrabili ben oltre il breve-medio periodo. Benché l’utilizzo di sole leve tangibili non sia auspicabile, la storia ed il successo di alcune
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organizzazioni sembra dirci il contrario 81. Uno studio del 2008 condotto da Anthea Consulting82 mostra come più dell’80% dei neo-laureati sia disposto ad accettare uno stage, se retribuito. In questo caso entra in gioco la paura dei giovani di non trovare lavoro stabile e, quindi, di non potersi lasciar sfuggire un’opportunità formativa seppur spesso non all’altezza delle competenze acquisite. Posso dire, per esperienza personale, che in percentuale sono pochi gli stage che si concludono con un’assunzione a tutti gli effetti. A ben vedere lo stage è una chimera che si risolve con la perdita di attrattiva delle aziende da parte del target di riferimento 83. L’ossimoro sta nel fatto che numerose aziende lamentano la difficoltà di trovare giovani talentuosi, quando molto raramente sono le prime a trasformare gli stage in contratti stabili. L’incertezza sulla propria assunzione spinge i giovani laureati, più dell’85%, a dichiararsi disposti a muoversi, non solo nel nostro Paese ma anche all’estero. Questo, se da una parte facilita il collocamento di personale da parte delle multinazionali con sedi in tutto il mondo, dall’altra comporta il problema della fuga di talenti all’estero, lasciando un vuoto di personale preparato nel nostro panorama nazionale. Un altro tangible asset su cui le organizzazioni fanno molto leva è l’aspetto retributivo, messo al primo posto dai giovani manager. Tale fattore viene percepito realisticamente da parte dei giovani laureati che in media si aspettano di guadagnare circa 1.000€ netti al mese. Il realismo utilizzato nella previsione di guadagno del primo stipendio si azzera però inspiegabilmente, poiché gli stessi giovani stimano un aumento considerevole nei tre/quattro anni successivi la loro assunzione 84. Se per i giovani, dunque, è importante l’aspetto retributivo, per i manager di mezza età l’obiettivo principe non è quello di raggiungere un buon status sociale, ma quello di mantenere ciò che già hanno. La paura più sentita è quella di essere rimpiazzati da risorse più giovani. 81
Ci si riferisce al consistente successo che ebbe Unilever (2000) quando, al contrario di altre strutture, propose ai propri candidati target, la possibilità di un lavoro a tempo indeterminato, anziché la somministrazione di stage o tirocini. 82 Studio condotto in Italia che prende in esame la categoria dei neo-laureati e dei manager. 83 È di questi ultimi mesi il “caso l’Oreal”, azienda in cui viene utilizzato il richiamo dello stage che non si traduce mai in assunzione. Questo comportamento sta portando l’organizzazione ad avere significativi problemi di reputazione. Ho infatti sentito di numerosi studenti che si sono rifiutati di inviare il curriculum. 84 Aumento che non si verifica.
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Intangible asset Anche se il discorso dei fattori intangibili è già stato affrontato, ritengo necessario contestualizzarlo all’interno della visione della strategia dell’employer branding. Abbiamo visto come le leve tangibili siano solo un palliativo, se utilizzate separatamente. Il lavoro è divenuto col tempo sempre più parte integrante della nostra vita, si rende dunque necessario per il lavoratore che esso non rappresenti solamente luogo di crescita professionale, ma anche umana, secondo una logica di “bellessere aziendale” 85. Le aziende devono adattare le proprie strategie di employer branding assecondando le necessità di cambiamento dei loro dipendenti, attraverso il recupero e la valorizzazione della cultura organizzativa. Studi empirici hanno dimostrato come le persone risultino più interessate a lavorare in un contesto caratterizzato da un paniere di valori simili ai loro, piuttosto che in aziende dove si verifichi un’incongruenza tra il livello valoriale proposto e le azioni effettuate. L’employer branding fornisce gli strumenti necessari per raggiungere quella coerenza necessaria che possa delineare una chiara employer identity agli occhi di quel target interessato a condividere valori, obiettivi e cultura organizzativa. Abbiamo visto come un buon ambiente di lavoro (work environment) sia una tra le principali necessità dei lavoratori, che non solo mirano ad avere una buona retribuzione, ma anche a sentirsi realizzati in un ambiente “proprio”. Se queste necessità non vengono soddisfatte, i soggetti ad alto potenziale, che sono consapevoli di essere persone particolarmente ricercate, possono essere indotti a cercare (e sicuramente trovare) altrove il soddisfacimento delle loro necessità. Alle aziende avere personale soddisfatto, altamente motivato ed impegnato, non può che portare un enorme vantaggio competitivo. E’ quindi davvero un peccato che siano tanto rare le organizzazioni consapevoli sino in fondo del potenziale guadagno, che avrebbero nel gestire le loro risorse umane nel migliore dei modi. Sarebbe utile, per questo tipo di strutture, misurare l’engagement dei dipendenti, ossia sondare “cosa realmente motivi il personale a dare di più”. E’ infatti provato che organizzazioni caratterizzate da alto engagement dei lavoratori abbiano risultati di business più elevati. 85
Termine coniato da Enzo Spaltro, nato a Milano il 3 luglio 1929 è direttore di Psicologia e Lavoro, Psicologia Italiana e Teorema.
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Figura 13. I fattori che determinano l'engagement. Fonte Hewitt Associates.
Studiare quindi quali sono i driver che spingono le risorse umane a lavorare meglio, aiuta
l’azienda
ad
identificarsi
come
un
buon
ambiente
di
lavoro,
contraddistinguendosi dai competitor. Atteggiamenti di questo tipo possono giovare alla corporate image a cui si lega il concetto di reputazione aziendale. Hatch e Schulz hanno sviluppato un modello in grado di esprimere detta reputazione in base a tre fattori:
Figura 14. Aspetti che compongono la corporate identity
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Il giusto allineamento degli elementi sopra riprodotti può favorire la costruzione di una buona reputazione; in caso contrario il rischio di una costruzione fallimentare è forte. Un’analisi di questo tipo può aiutare le organizzazioni a fortificare le aree critiche ed intervenire prima che la situazione diventi irrecuperabile. La corporate reputation ha degli effetti diretti sull’employer attractiveness, ossia sulla capacità dell’impresa di risultare “attraente” agli occhi dei propri dipendenti o futuri tali. In quest’ottica l’azienda dovrà gestire al meglio l’integrazione di tutti i ruoli, in modo da poter arricchire i profitti aziendali con una realtà socialmente responsabile e la realizzazione di un posto di lavoro piacevole .
Corporate reputation Corporate identity
Corporate image Promotori
Employer identity
Employer image Pubblico target
Employer attractiveness Figura 14 Relazione tra corporate reputation ed employer attractiveness
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3.3 Modello employer brand global framework: sviluppo di una strategia
Figura 15. Employer brand global framework (EBGF). Fonte Anthea Consulting.
Il modello employer brand global framework (EBGF) indica chiaramente come l’employer brandig sia un processo integrato di quattro modelli. Partendo dal primo schema sulla destra: brand experience, possiamo vedere come l’influenza dei fattori tangibili ed intangibili possa produrre effetti positivi o negativi sul comportamento dei dipendenti nei confronti dell’organizzazione. Tali fattori delineano l’EVP (employer value position ) grazie al quale l’azienda costruisce la propria employer brand promise che sottende l’inquadramento dell’employer branding positioning. Il terzo schema è quello relativo all’employer branding action che evidenzia quattro fasi del processo dell’attività di employer branding, ossia l’assessment, il prospective, il monitoring (di natura strategica) ed il development che individua azioni di natura più operativa. Alle fasi del processo di employer branding verrà dedicato il paragrafo 3.5. Infine, l’ultimo schema relativo ai benefit, indica come una strategia di employer branding condotta al meglio possa non solo migliorare l’attrattività dell’organizzazione stessa, ma anche abbassare i costi di recruiting e retention ed aumentare il livello di engagement dei propri dipendenti.
70
3.4 Target di riferimento dell’employer brandng strategy Prima di iniziare con la spiegazione delle fasi dell’employer branding strategy, è bene focalizzare per un attimo l’attenzione su coloro ai quali queste fasi sono indirizzate. La segmentazione del mercato equivale alla scomposizione dello stesso in segmenti caratterizzati dalla necessità degli stessi bisogni, delle stesse ideologie o degli stessi atteggiamenti. La prima scrematura che viene effettuata è relativa all’età e prevede quattro macroaree. Ogni macro-area è caratterizzata da fasi storiche differenti che hanno inciso sui comportamenti di ognuno riguardo all’atteggiamento nei confronti del lavoro: - Generazione dei baby boomer: i nati negli anni Cinquanta. Sono quei lavoratori quasi in procinto di entrare nella fase di pensionamento e ciò che più li caratterizza è la loro fedeltà all’azienda. In molti casi la maggior parte di loro nel corso della vita lavorativa avrà cambiato al massimo cinque organizzazioni. - Generazione X: i nati tra il 1963 ed il 1977. Rappresentano i nuovi manager, le persone di cui si parlava nei paragrafi precedenti, disposti a spostarsi, perché single o perché molto desiderosi di far carriera. Sono numericamente inferiori, perché appartenenti al periodo del grande calo demografico avvenuto agli inizi degli anni ’70. - Generazione Y: i nati tra il 1978 ed il 1983. Sono i giovani trentenni, eterni indecisi, spaventati da un futuro molto incerto e la cui stabilità non è programmabile. Sono disposti a muoversi, ad accettare un lavoro flessibile e, pur di lavorare, accettano compensi inferiori alle loro capacità e conoscenze. - Generazione Z 86: i nati dopo il 1983. Le nuove leve, la mia generazione, o la generazione mille euro 87. Noi miriamo più in alto e cerchiamo nuovi master, altre specialistiche, perché la nostra preparazione ci sembra inadeguata e non ci sentiamo competitivi. È la generazione di coloro che non sanno come
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Termine di mia invenzione. Come cita un famoso film italiano di Massimo Venier, uscito in Italia nel 2008.
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e quando entreranno nel fantomatico “mondo del lavoro” e non sanno quando ne usciranno. È la generazione a cui si dice che le scuole italiane sono in fondo ad ogni classifica europea, ma anche che la continua procrastinazione dell’entrata nel mondo del lavoro per specializzarsi è inutile. È quella generazione che i nonni chiamano “dei fortunati”, ma che di fortunato, a parte forse i beni materiali, non ha davvero nulla. Oltre a questa segmentazione in macro-aree per fasce di età, esiste quella utilizzata negli USA relativa ai job seeking, ossia ai differenti livelli di coinvolgimento nella ricerca del lavoro. Attraverso questa segmentazione non si assumono solo “candidati attivi”, ossia coloro che cercano lavoro, ma si cerca di catturare tutto quel segmento di “candidati passivi” intesi come soggetti non attivi nella ricerca del lavoro e quindi difficili da individuare. Questa tipologia di candidati può essere rappresentata a seconda del grado di “passività”.
Figura 16. Grado di passività dei candidati
Nel primo anello esterno sono situati tutti quei candidati al limite della passività, si tratta di persone già impiegate, ma che sono solo parzialmente soddisfatte della loro posizione. Sono persone verso cui l’azienda si deve muovere con piani mirati di recruiting. Nel secondo anello vengono rappresentati soggetti “semi-passivi”, lavoratori soddisfatti in misura maggiore del contesto lavorativo in cui sono inseriti. Non sono interessati a cercare un nuovo posto di lavoro, a meno che non gli venga proposta un’alternativa davvero allettante. Il solo modo per poter attrarre questi
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soggetti è usare una campagna di hard networking, con cui l’azienda riesca a raccogliere un elevato numero di informazioni sul soggetto e delineare un profilo che lo rappresenti. Il core nel cerchio concentrico è costituito dai “candidati passivi”, ossia coloro che sono pienamente soddisfatti del lavoro e non hanno nessuna intenzione di cambiare impiego, poiché non sentono nessuna carenza. Un’organizzazione, per essere più attrattiva nei confronti di “candidati passivi”, deve avere un’employee image forte ed accattivante e la job description deve essere chiara nei contenuti e nella forma, mostrando una crescita professionale allettante. Queste azioni vengono descritte da Adler 88 come di job branding, secondo cui il candidato prescelto accetta il lavoro per i seguenti motivi: - Avere la percezione di poter ottenere una chiara prospettiva di crescita. - La strategia e vision dell’azienda sono direttamente connesse con la tipologia di lavoro offerta. - Il candidato si sente protagonista della mission aziendale. - La descrizione del profilo richiesto deve essere ben visibile nel sito aziendale. La selezione e la scrematura di candidati ideali porta l’azienda a non perdere tempo prezioso nella ricerca di persone non idonee. È fondamentale focalizzare l’attenzione su una rosa di possibili dipendenti, in modo da poter mantenere risorse ed energie per cercare di attuare forme di recruiting specifiche e mirate. Una volta esposte le possibili scelte effettuabili dall’organizzazione, entreremo nel vivo delle fasi della strategia di employer branding, cercando di delineare al meglio ogni passaggio del processo.
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Per maggiori informazioni http://www.adlerconcepts.com.
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3.5 Employer branding actions : le fasi del processo Come ogni buona strategia di marketing, anche quella relativa al processo di employer branding deve essere lungimirante e ben solida. L’azione strategica dell’employer branding prevede l’attuazione di quattro fasi: l’assessment, il prospective, il monitoring ed il development. In questo paragrafo analizzeremo da vicino ogni fase, descrivendone le azioni.
Assessment La prima fase dell’employer branding strategy è l’assessment, che comprende una serie di attività atte a focalizzare l’attuale posizionamento dell’azienda in termini di immagine e reputazione all’interno del panorama competitivo. In questa prima fase l’impresa deve capire i punti di forza e di debolezza, in modo da potenziare i primi e cercare di attenuare secondi. Molta attenzione dovrà essere dedicata alla visione e missione aziendale. Grande rilevanza assumono in questa fase sia la cultura aziendale che i brand values interni. Come già anticipato, la consapevolezza del proprio essere aziendale è un buon punto di partenza per lo sviluppo di una valida employer identity, rafforzata da indagini quali-quantitative rivolte sia al mercato interno che a quello esterno, che aiutano a: - Valutare un possibile gap tra coerenza dell’immagine aziendale percepita dal futuro dipendente in fase recruiting e l’immagine percepita dopo il suo inserimento in azienda. - Capire se in fase di recruiting sono state fatte promesse che poi non sono state mantenute. - Cercare di limitare il turn-over, capendo preventivamente i bisogni ed i desideri del neo-dipendente. - Valutare se e come i dipendenti condividono i brand values. - Capire come e quanto i dipendenti si sentono di appartenere all’azienda per cui lavorano. - Percepire come e se i dipendenti parlano all’esterno del proprio posto di lavoro. - Capire le intenzioni di permanenza in azienda da parte dei dipendenti.
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Queste analisi vengono poi confrontate con le indagini quantitative rivolte all’esterno ed aiutano a valutare le caratteristiche aziendali, per la definizione dei tangible/intangibile asset che costruiranno la employer value proposition. L’apporto fondamentale fornito da queste analisi è anche quello di individuare i maggiori concorrenti diretti e di valutare l’azienda in relazione ad essi. Tutte queste informazioni forniranno un quadro sintetico ma ben delineato sulla attuale employer brand positioning, aiutando a capire se l’azienda è caratterizzata o meno da una forte brand personality. Conclusa la prima fase, l’azienda è pronta per affrontare il secondo step.
Prospective In questa fase l’azienda costruisce il proprio employer brand, sulla base di tutte quelle informazioni e nozioni apprese nello step precedente, che aiutano l’azienda a differenziarsi dai concorrenti e a trovare il proprio employer brand positioning. Affinché questo avvenga, è fondamentale che l’azienda capisca al meglio il mercato del lavoro, individuando il proprio target di riferimento in funzione degli obiettivi prefissati. Attraverso l’individuazione del proprio target verranno intraprese politiche pubblicitarie tramite annunci sui quotidiani e la career section allestita all’interno del proprio sito web. Queste azioni aiutano a definire le promesse aziendali, comunicando la propria EVP. In questa fase creativa si sviluppano in modo grafico le idee che devono rappresentare l’identità aziendale. È in questo momento che prende piede un claim accattivante, in grado di attrarre il pubblico a cui ci si vuole rivolgere. In questa fase nascono e si sviluppano tutte quelle forme di comunicazione che spaziano dalla divulgazione di brochure agli stand più interattivi, utilizzati principalmente durante i career day universitari o ai virtual job fair, luoghi virtuali in cui molte persone si incontrano e in cui è più facile la comunicazione aziendale. L’importanza fondamentale di questa tipologia di comunicazione (interattiva) merita un paragrafo a parte. Occorre integrare l’attività di employer branding con le attività di sviluppo della comunicazione a livello corporate. Questa fase è davvero molto delicata poiché l’integrazione delle due
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funzioni sopracitate può causare rallentamenti al processo comunicativo e altre criticità come: - Sbilanciamento comunicativo maggiormente teso verso la comunicazione di marketing, a scapito del potere decisionale della direzione delle risorse umane. Il gioco verrà condotto dalla funzione di marketing che tenderà a privilegiare una comunicazione consumer piuttosto che employer. - Maggior autorevolezza della direzione delle risorse umne, che può contribuire a gestire la negoziazione interna in modo più efficace, poiché si verifica una conduzione strategica più mirata ed autonoma. Queste due fasi strategiche sono preliminari alla vera e propria costruzione dell’identità aziendale.
Development In questa fase avviene la comunicazione e lo sviluppo dell’employer brand. Tale comunicazione ha come destinatari sia i dipendenti attuali che quelli potenziali. La differenziazione in categorie non comporta la predominanza di un’azione comunicativa che privilegi l’uno o l’altro segmento. È fondamentale che l’immagine comunicata sia realmente coerente con la cultura aziendale. Al fine di creare un forte e sentito senso di appartenenza, le organizzazioni possono adottare delle politiche di riconoscimento del valore dei singoli dipendenti, oppure svolgere azioni che contribuiscano ad incoraggiare le relazioni tra dipendenti facendo leva su strumenti di relationship marketing. Le azioni di retention sono innumerevoli: possiamo citare l’erogazione di benefit, la proposta di un asilo per l’infanzia come sostegno alle madri dipendenti dell’azienda, l’offerta di una palestra aziendale o gli sconti per centri fitness 89. Al contempo politiche di recruiting possono prevedere scelte di strumenti comunicativi ad hoc, per poter coprire l’intero territorio nazionale. La scelta degli strumenti da utilizzare dipende fortemente dal tipo di
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Innumerevoli studi sono stati effettuati a fronte del fatto che chi fa abitualmente attività fisica si concentra meglio sul posto di lavoro.
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target a cui l’azienda si vuole rivolgere. Se la figura da ricercare è quella di un manager esperto, per l’azienda sarà poco profittevole proporre tale mansione ad un career day nelle università, sarà al contrario utile organizzare cocktail party, convention o happy hour, in modo da attirare il segmento preselezionato. Da questa penultima fase si passa al monitoring, fase utile in ogni processo comunicativo, attuata per verificare l’efficacia di quanto sviluppato nelle fasi precedenti.
Monitoring In questa ultima fase vengono utilizzati i feedback ricevuti per poter capire come e quanto l’attività comunicativa sia stata efficace. Il primo passo consiste nel vagliare i curricula ricevuti in modo da individuare quelli in linea con il profilo ricercato. Va da sé che maggiore è la percentuale di CV utili e pertinenti, maggiore è stata l’efficacia dell’azione di comunicazione. Ma questo feedback non è sufficiente ai fini della comprensione dell’operato della struttura. L’organizzazione si avvarrà periodicamente di uno strumento di monitoraggio: l’EBPS 90. Attraverso l’utilizzo di questo monitoraggio sarà possibile : - Migliorare le proprie strategie di employer branding. - Monitorare l’evoluzione percettiva dei segmenti target interessati. - Conoscere il livello di notorietà del corporate brand. - Conoscere chi sono i competitors. - Valutare l’efficacia del lavoro delle azioni di employer branding. Questo studio potrà facilitare la focalizzazione di carenze insite nella comunicazione aziendale e provvedere dunque ad incrementare azioni atte a migliorare i propri punti deboli.
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L’employer branding positioning survey è uno strumento di indagine quantitativa che viene utilizzato per analizzare il posizionamento dell’employer brand di alcune tra le principali aziende.
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3.6 L’employer branding attraverso l’utilizzo del Web 2.0 Abbiamo più volte sottolineato l’importanza strategica dell’utilizzo di piattaforme tecnologiche, fattore che deve ancora una volta essere approfondito visto il contesto specifico in cui è introdotto. L’uso di internet, come mezzo di ricerca di talenti, ha portato le aziende ad avere a che fare con un canale innovativo dalle potenzialità non ancora ben esplorate. Benché sia sicuramente un canale ormai indispensabile, è comunque necessario che le organizzazioni capiscano che comunicare attraverso il Web 2.0 non è come comunicare attraverso tutti gli altri canali. Diventa dunque fondamentale attuare strategie comunicative che siano specifiche ed in grado di catturare l’attenzione di quel determinato target a cui ci si vuole indirizzare. Ormai le aziende possono utilizzare una gamma molto ampia di canali, attraverso cui promuovere la propria strategia di employer banding. Tra i maggiori possiamo citare: - I siti di recruiting on line 91. - I social network 92. - I blog. Per quanto concerne il recruiting on line, la modalità di proposta è caratterizzata da parametri differenti rispetto a quelli vigenti per gli annunci cartacei; non esistono limiti di spazio o cromatici, è possibile inserire elementi multimediali ed il processo di candidatura on line è immediato ed intuitivo. Grazie alla tipologia di supporto, l’azienda ha la possibilità di dire molto su ciò che è e su ciò che sta cercando. Attraverso una descrizione dettagliata e chiara si arriva dunque, sin da subito, a restringere il campo di coloro che possono essere interessati. Questo di rimando aiuta l’organizzazione a targettizzare il più possibile la sua offerta evitando di incorrere in soggetti debolmente interessati, che rischierebbero di rendere la strategia di employer branding meno chiara. Allo stesso modo l’azienda può farsi conoscere potenzialmente in ogni parte del mondo, grazie alla portata praticamente
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Si citano ad esempio : www.carriere24.ilsole24ore.com; www.cliccalavoro.it; www.abclavoro.it. Si citano ad esempio : Facebook; My Space; Twitter.
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illimitata di internet. Maggiore è il pubblico a cui ci si riferisce, maggiore sarà la possibilità di trovare al suo interno il talento che l’impresa sta cercando. Attraverso lo sfruttamento dei caratteri intrinseci della rete, l’employer branding può portare alla nascita e alla creazione di un vero e proprio evento mediatico e relazionale. Il più completo mezzo di employer branding riguarda la pubblicazione on line del proprio profilo aziendale, che viene di volta in volta aggiornato a seconda della posizione cercata. Un altro aspetto possibile è l’aggiunta della sezione “lavora con noi”. Questo strumento di ricerca può essere un’arma a doppio taglio poiché, ai fini di una sua riuscita, deve rispettare due condizioni: la prima è che la ricerca sia frequente nel corso dell’anno, la seconda è che in questa sezione vengano caricate informazioni esaustive e dettagliate. Se queste condizioni non dovessero sussistere, l’azienda perderebbe non solo credibilità ma anche occasioni d’oro magari irripetibili.
Employment web site È basilare per un’azienda avere un proprio sito in cui inserire una sezione relativa alle posizioni vacanti. Molte organizzazioni compiono l’errore di sottovalutare questo aspetto comunicativo, pensando che basti dedicare solo qualche riga per catturare l’attenzione dei possibili candidati. Tale comportamento non può che essere dannoso, mentre, una comunicazione adeguata, porta vantaggi a tutte quelle strutture che invece curano questo aspetto. Per essere efficace, la comunicazione di un sito web istituzionale deve prevedere l’usabilità del sito: l’uso intuitivo del menu, una grafica chiara ed accattivante, l’utilizzo di una comunicazione adeguata e la presenza di informazioni recenti e sempre aggiornate. Sette sono i parametri guida attraverso la cui attuazione è possibile creare un sito web istituzionale accattivante. Il primo parametro prevede che la dicitura “lavora con noi” 93 sia bene visibile e situata nella home e non in pagine più interne, in modo da non disincentivare i possibili candidati attraverso ricerche lunghe o poco intuitive. Il secondo parametro prevede che le pagine “lavora con noi” siano, come già
93
In inglese job opportunities o careers.
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anticipato, chiare, esaustive e sempre aggiornate. La struttura dell’intero sito, in ogni sua sezione o sottosezione, deve quindi essere coerente ed avere carattere unitario, sia per quanto riguarda i font utilizzati che lo stile comunicativo. Il rispetto di queste norme permette all’intera struttura di essere coordinata e facilmente intuibile. Il terzo parametro coinvolge l’impegno dell’azienda a garantire la massima riservatezza sui dati personali dei candidati e deve dunque mettere in evidenza le norme relative alla privacy. La quarta regola da seguire è di introdurre un link “manda ad un amico” in modo da incentivare il passaparola tra candidati a costo zero per l’azienda ed allo stesso tempo permettere di avere benefici promozionali. La quinta regola prevede la possibilità da parte del candidato di poter visualizzare le proposte di lavoro senza obbligatoriamente effettuare il login, procedura che disincentiva la fruizione del sito facendo perdere tempo prezioso al candidato. È importante anche saper presentare le offerte in maniera diretta, ma anche personalizzata e non generica e distaccata. La sesta regola prevede che all’interno dell’employment web site siano presenti le descrizioni della cultura organizzativa ed i suoi valori guida. Descrizioni dettagliate circa il luogo di lavoro, lo stile manageriale, le politiche di retention e recruiting, le opportunità di carriera, l’insieme dei benefit, aiutano il candidato a percepire in modo chiaro e diretto il profilo aziendale. Per rendere il sito maggiormente candidate-friendly, sarebbe bene inserire video aziendali attraverso i quali il CEO 94 della struttura racconti i punti salienti dell’organizzazione. Infine, attraverso l’utilizzo del virtual stand, si ha la possibilità di comunicare come e in qual misura l’organizzazione intenda di dialogare con il suo target.
3.6.1 Le sfumature del network Il lavoro di comunicazione è sicuramente facilitato dalla presenza di numerosi strumenti sempre molto efficaci per attirare l’attenzione dei “candidati passivi”. Tali strumenti sono inoltre poco dispendiosi e dunque un numero sempre più crescente di aziende li utilizza come integrazione alla comunicazione su piattaforme 94
Acronimo di chief executive officer, in italiano Amministratore Delegato.
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più tradizionali. I blog ed i social nerwork sono nati allo scopo di condividere con il maggior numero di persone possibili esperienze, idee, informazioni e materiale di ogni tipo. I blog, ad esempio, sono utili nel coinvolgere persone in dibattiti virtuali su argomenti di grande interesse. Una parentesi a parte si deve aprire in relazione ai già citati social network che, ancora di più, permettono l’individuazione di candidati passivi e la condivisione di notizie attraverso un network potenzialmente illimitato. In questo contesto è utile citare il social networking Facebook 95 che ha raggiunto 175 milioni di iscrizioni in tutto il mondo. Se fosse un Paese, sarebbe il sesto al mondo per densità di popolazione. Sicuramente l’aspetto più interessante è il news feed, ossia la possibilità di poter visualizzare in tempo reale tutte le informazioni relative agli amici con cui si è in contatto. Benché molto popolare, ha il grande limite di non riuscire ad estrapolare da ogni utente le informazioni necessarie per una buona attività di recruiting.
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Social network inventato da Mark Zuckerberg ed i suoi tre compagni di università.
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3.6.2 Campus recruting: una nuovissima forma di reclutamento Questa nuova forma di reclutamento prevede la focalizzazione dell’attenzione su soggetti da reclutare provenienti dalle università. Tale rapporto, ovviamente, è tanto più efficace quanto più i rapporti tra aziende ed università sono stretti e continuativi. Per molto tempo le organizzazioni hanno adottato un approccio campus-oriented, ossia rivolto solamente a famose università. Oggi questo approccio non ha ormai molto senso, non essendo più in grado di fornire le risorse necessarie all’azienda. Si è quindi sviluppato l’approccio student-oriented, basato sulla tipologia di studente a prescindere dall’università di provenienza. Per poter attrarre gli studenti è necessario conoscere e capire i cambiamenti in atto dovuti in gran parte alla presenza delle tecnologie. Per catturare giovani promesse, dunque, si rimanda all’utilizzo di social networking, di una comunicazione chiara e lineare e di proposte di lavoro che non comprendano la sola proposta di stage. Una comunicazione poco onesta comporterebbe davvero, a lungo andare, ripercussioni profonde sull’economia aziendale e ancor peggio, minerebbe la reputazione dell’organizzazione.
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3.7
Come fare recruiting attuando retention: l’employee referral program
La logica vincente di azioni che promuovano un forte orientamento alle risorse umane è comprovata. Spesso però, per una serie di motivi che spaziano dalla mancanza di risorse finanziarie ad un orientamento più business che gestionale, tali attuazioni sono carenti. A volte, benché vengano progettati processi che riguardano la gestione delle risorse umane, sono utilizzati addirittura strumenti retrogradi, non più idonei a rispondere alle esigenze contestuali. Il bisogno ancora una volta è di stare al passo coi tempi, utilizzando efficaci piani di recruiting in grado di garantire la presenza di personale qualificato e talentuoso. Come spesso accade, una volta individuata la necessità, si cerca di ideare una possibile soluzione. Ecco infatti che, qualche anno fa, nasce negli USA una pratica davvero particolare nonché utile ed efficace, capace di garantire una serie di vantaggi in termini di costi e di aumento della qualità di reclutamento: l’employee referral program. Questi programmi specifici di recruiting sono accuratamente definiti e sviluppati e consentono di attrarre ed inserire persone di talento grazie al lavoro incentivato del personale già presente in azienda. Alcuni esperti sostengono che questa tattica sia una tra le più vincenti in assoluto. Studi effettuati dal MIT Sloan School of Management 96, rivelano che i principali vantaggi nell’effettuare politiche di employee referral program (da qui in poi ERP) siano rappresentati dal fatto che le persone assunte attraverso questo processo tendano ad avere performance maggiori, rispetto a coloro che sono stati assunti attraverso metodi tradizionali. Tale aspetto è arricchito dal fatto che questi dipendenti si mostrano più attaccati all’azienda, abbassando in maniera significativa il turnover di persone di talento. Un altro vantaggio è sicuramente dato dal fatto che l’azienda non si deve più scontrare con numerose richieste di possibili dipendenti non qualificati, poiché l’ERP tende a focalizzare il campo dei possibili dipendenti, scartando sin da subito quelli che non sono adatti alla mansione richiesta. Ma sicuramente il vantaggio più interessante in termini monetari è che l’applicazione di politiche ERP porta alla
96
Nasce nel 1914 al Massachusetts Institute of Technology (MIT) una delle scuole leader nel campo del business. Per avere più informazioni si consiglia di visitare il sito : http://mitsloan.mit.edu.
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possibilità di ottenere un ROI 97 più alto, dal momento che la spesa delle attività di recruiting viene praticamente azzerata. Non solo l’ERP porta dunque a restringere il campo di possibili candidati, proponendo tra le scelte i più qualificati, ma diminuisce i costi ed i tempi di ricerca. Utilizza inoltre come mezzo di reclutamento i dipendenti già presenti, attivando una sorta di retention in termini psicologici, facendoli sentire più responsabilizzati, più coinvolti nei processi di gestione aziendale e, soprattutto, diminuendo quella possibile conflittualità che spesso si crea negli ambienti lavorativi. Si presume infatti che il dipendente che propone la persona qualificata sia vicino a questa in termini di skill e di cultura. Dunque, in un ambiente di questo genere, è più facile che si crei un senso di unità e di orgoglio nei confronti dell’ambiente di lavoro, di se stessi e dei colleghi.
Figura 17. Livello di efficacia dei metodi di recruiting
Questo grafico mette in evidenza le differenze esistenti nei differenti driver solitamente usati nel recruiting. I parametri utilizzati sono la quantità delle risposte raccolte e la loro qualità. Questo grafico è molto utile per garantire lo sviluppo di piani integrati di comunicazione finalizzati al recruitng. L’azienda, secondo le sue
97
ROI è l'acronimo per "return on investment" Viene utilizzato per indicare l'indice che identifica la redditività del capitale investito. Praticamente serve per capire quanto il capitale investito in campagne pubblicitarie sia stato redditizio.
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esigenze, può bilanciare in maniera coerente l’uso dei diversi strumenti e tenere allo stesso tempo sotto controllo l’impatto di questi sul budget che ha a disposizione. In uno studio condotto da SHRM e EMA 98 viene evidenziato un quadro informativo sul cost-per-hire 99 per i diversi strumenti di recruiting..
Figura 18. Fonte SHRM/EMA
Dalla tabella sopra riportata si evince come l’employee referral program sia lo strumento che ha l’impatto economico più basso sulle attività di recruiting. Uno studio ancor più specifico ha riportato il confronto tra l’ERP e internet.
Measure
Referral Program
Internet
Cost of source
$ 2,796
$ 1,877
- $ 919
9.3%
22.1%
+ 2.3 times better
3.2%
12.5%
+ 3.9 times better
4.14
3.62
+ 14.36% higher
Voluntary turnover < 1 year Voluntary turnover > 1 year Performance
Improvement of Referral over Internet
Figura 19. Fonte SHRM/EMA
98
Rispettivamente acronimo di Society of Human Resources Management e Employment Management Association. 99 È lo strumento più diffuso per valutare l’impatto economico delle attività di recruiting.
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È evidente come sotto ogni punto di vista l’utilizzo dell’ERP si possa considerare la strategia vincente. L’utilizzo di sistemi di valutazione della performance dei propri dipendenti è forse l’aspetto più rilevante nella valutazione dell’efficacia dell’ERP, poiché è il parametro rispetto al quale è possibile verificare la qualità dei candidati ottenuti attraverso i diversi metodi e verificare l’incidenza degli stessi sul business aziendale. A rischio di apparire retorici, è opportuno ribadire che, come ogni processo aziendale, anche l’efficacia dell’ERP dipende fortemente dal modo in cui viene gestito e dal grado di coinvolgimento interno che si riesce a sviluppare.
86
3.8
Come riconquistare i talenti persi attraverso il boomerang recruiting
In questo ultimo paragrafo si esporrà una forma molto particolare di attività aziendale rivolta ai così detti corporate alumni, ossia ex dipendenti che si sono particolarmente distinti per il loro talento ma che, per i motivi più diversi, si sono allontanati dall’organizzazione. Attraverso il boomerang recruiting l’azienda si impegna ad attivare un processo di riassunzione degli ex dipendenti. Con questo stesso nome si intende anche il ritorno spontaneo degli ex dipendenti stessi, dopo un periodo di assenza. Come la maggior parte delle nuove strategie di corporate recruiting, anche il boomerang recruiting è considerato un’attività in grado di produrre un alto ROI. Questo, per due motivi essenziali: - Perché ha un cost-per-hire molto basso. - Perché il dispendio in termini di tempo e di energie è molto limitato nella fase di conoscenza e valutazione dei candidati. Ciò che rende i “boomerang” così attraenti non è solo il fatto di essere talenti di per sé, ma anche, e soprattutto, perché nel corso del loro allontanamento dall’organizzazione di origine hanno sviluppato nuove skill, appreso nuove informazioni e sviluppato nuovi punti di forza. Se si volesse analizzare questo fattore da un punto di vista puramente economico, queste persone si rivelerebbero dei tesori rari, poiché apporterebbero con il loro ritorno in azienda nuove conoscenze, senza che l’azienda stessa abbia speso nulla in corsi di formazione o di aggiornamento. Benché sviluppare questa pratica di re-recruiting 100 sia decisamente vantaggioso sotto molti punti di vista, è pur vero che tali soggetti sono considerati da molti manager come dei veri e propri traditori e, pur di non reinserirli in azienda, sono disposti a perdere tutti i vantaggi del caso. In realtà ci troviamo davanti ad una ambiguità di comportamento. Se per i manager tale distacco viene visto come un comportamento poco leale da parte degli ex dipendenti, è comunque vero che in quest’epoca di iper mobilità lavorativa le
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Termine coniato da me.
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richieste vengono sempre più spesso fatte su specifici progetti di breve durata. È forse più conveniente per tutti che il dipendente talentuoso passi, per quanto possibile, da un’azienda ad un’altra, per approdare infine ad una delle aziende precedentemente abbandonate. Credo che tale percorso sia davvero consigliabile per tutte le parti in causa. È come se un medico di una cittadina sentisse il bisogno di girare il mondo per apprendere quanto più possibile dagli altri Paesi, sviluppare nuove abilità, imparare nuovi metodi di operare e approfondire in questo modo le sue conoscenze. Al rientro in patria, il medico, rinfrancato dalle precedenti esperienze si sentirà più capace, arricchito e competitivo, e tutta la cittadina, il suo studio, i suoi pazienti ne gioveranno. Ora vedremo esattamente e per quali motivi un’organizzazione dovrebbe implementare una strategia di boomerang recruitng.
3.8.1 Implementare la boomerang recruiting strategy I motivi per cui questa strategia deve essere implementata all’interno delle attività di reclutamento sono molti. Il primo da citare è il modo d’integrarsi sicuramente più veloce dei dipendenti boomerang rispetto a quello dei dipendenti assunti in modi differenti. Una seconda motivazione sono le maggiori garanzie di produttività di tali dipendenti, avendo già vissuto quella specifica realtà aziendale con i suoi valori, la sua cultura ed i suoi processi interni. Inoltre, considerato che già una volta hanno lasciato l’azienda, si pensa che molto difficilmente l’abbandoneranno di nuovo. Di conseguenza, possono essere degli ottimi promoter e anche maggiormente credibili, poiché consapevoli di altre realtà aziendali. Attraverso il processo di reinserimento di un boomerang, si innescherà molto probabilmente una reazione a catena che invoglierà altri corporate alumni a ritornare. Il fatto stesso di poter essere riassunti (politica, come già anticipato, utilizzata raramente) porta i dipendenti a sentire un forte senso di community, consci del fatto che, pur lasciando l’azienda, potranno tornare bene accolti.
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Quando il boomerang recruiting è un buco nell’acqua. Come si dice, “dagli errori si impara”. Se una volta attivato tutto il processo di boomerang recruiting nessun corporate alumnus intende tornare, si possono comunque avere dei benefici, come qui di seguito esposto: - Gli ex dipendenti diventano buoni acquirenti dei beni e servizi forniti dall’azienda. - Gli ex dipendenti possono comunque promuovere l’azienda. - L’azienda può costruire alleanze strategiche con le organizzazioni in cui lavorano gli ex dipendenti. - Gli ex dipendenti possono proporre alcuni candidati seguendo una logica di referral program. - Il boomerang recruiting può indurre l’azienda a rivedere le politiche di retention e dunque cercare di migliorasi sempre di più. Ovviamente, in questo processo di riacquisizione, non sono inseriti tutti gli ex dipendenti. Il target specifico riguarda tutte quelle persone con particolari skill, di evidente talento e tutti coloro che possano apportare un significativo contributo all’interno dell’azienda. Prima di passare alla descrizione delle varie fasi di questa strategia, è utile sottolineare come questo processo non sia così facile da attuare come sembra. E’ possibile infatti che si vengano a creare forti sentimenti di gelosia od invidia, soprattutto se la riassunzione comporta aumenti salariali notevoli o ruoli di responsabilità maggiore.
3.8.2 Le fasi attuative del boomerang recruiting Pur non esistendo un modello standard di sviluppo, esistono punti salienti che, se rispettati, possono aiutare a rendere efficace la strategia di boomerang recruiting. Innanzi tutto è necessario riuscire a trovare la persona o le persone che si occupino di coordinare lo sviluppo del programma. La cosa fondamentale è creare un
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business case 101, fornendo un’indicazione accurata del budget per la definizione dei costi necessari all’implementazione del programma, un preciso rewarding plan che premi adeguatamente la performance dei boomerang e sistemi di valutazione che consentano di quantificare i ritorni in termini economici. La redazione di questo documento è necessaria per convincere i top manager della validità del progetto ed ottenere l’impegno ed il coinvolgimento di tutti coloro che sono necessari allo sviluppo dello stesso. Ça va sans dire che se l’impresa è una realtà internazionale, la stesura del planning sarà stilata e condivisa in tutte le unità interessate. È fondamentale anche effettuare un benchmarking con altre strategie, al fine di identificare fattori di successo e critiche negative dello stesso. Sapere quali dipendenti talentuosi lasceranno per primi l’azienda si rivelerà molto utile, poiché saranno proprio quelli ad essere il principale target del boomerang recruiting program. E’ altrettanto importante costruire un sistema di valutazione (metrics) che consenta di valutarne correttamente l’approccio, seguendo questi parametri: - ROI. - Qualità delle assunzioni. - Velocità delle assunzioni. - Retention rate. - Livello di soddisfazione dei candidati e dei manager. - Effetti del boomerang recruting, in termini economici. Uno dei fattori chiave dell’efficacia di tale strategia è sicuramente la tempistica: è molto importante che la strategia venga attuata prima dello strappo definitivo tra azienda e dipendente, per poter fare intendere la volontà dell’azienda alla reintegrazione. Una serie di telefonate successive servirà a sondare la disponibilità del recupero del dipendente da parte dell’azienda o comunque la volontà di mantenere vivo il rapporto il più a lungo possibile.
101
Un piano ben definito in grado dimostrare i vantaggi di questa particolare strategia.
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3.9 Considerazioni Con questo ultimo paragrafo si è conclusa la prima parte di questo elaborato. In queste pagine sono stati considerati molti aspetti del marketing, della comunicazione e della gestione delle risorse umane. Al fine di applicare quanto sin qui annunciato, è necessario dimostrare un caso specifico che non confuti quanto esposto. Il caso scelto è un po’ particolare, poiché non segue i canoni. Nel decidere il caso da proporre ho vagliato davvero molte possibilità. Non mi mancavano né il tempo né l’entusiasmo, quindi ho iniziato ad elencare su un foglio tutte le organizzazioni che ancora non erano state trattate e che avrebbero potuto comprendere nella loro gestione aziendale tutti gli aspetti considerati. In questo elaborato ho cercato di racchiudere le mie due grandi passioni: il marketing e la psicologia, alle quali aggiungerò la politica nel capitolo successivo.
91
Parte Seconda
4 Capitolo 4 Nella prima parte sono stati esposti numerosi concetti relativi all’ambito della gestione delle risorse umane e del marketing, talvolta affiancati da qualche riflessione psicologica e sociale. Esporre teoricamente concetti ed idee non è cosa facile, e ancor meno concretizzare tali teorie in modo da risultare pragmaticamente utili. Assai raramente infatti avviene che nella pratica si rispecchi chiaramente tutto lo studio teorico che l’ha preceduta. Al contrario, avviene molto più di frequente che nella pratica sia la teoria a vedersi rinnovata ed “aggiustata” a situazioni che non si erano probabilmente previste. In questa seconda parte parleremo di un caso molto particolare, probabilmente mai trattato prima in questo specifico ambito d’analisi. Sebbene gli studi sull’employer branding siano numerosi, specialmente oltre oceano, quasi tutti sono stati indirizzati allo studio di organizzazioni di una certa rilevanza sul mercato nazionale ed internazionale. Quando pensai di poter incentrare il mio lavoro di laurea specialistica sull’employer branding, decisi di non trattarlo come molti altri prima di me avevano fatto. Volevo poter parlare di questo argomento in modo innovativo e poter unire le mie due grandi passioni: la gestione delle risorse umane e la politica. È così che ho pensato alla possibilità di poter trattare, unitamente all’applicazione della strategia employer branding, un caso politico unico nel suo genere. Vorrei sottolineare che la scelta di questo partito politico non è stata dettata in nessuno modo da sentimenti di simpatia/antipatia o da nessun altro tipo di propensione ad abbracciare questa o quella ideologia politica. La scelta è ricaduta sul Popolo della Libertà perché l’unico partito in Italia che possa essere definito partito-azienda e con al suo interno una struttura di tipo organizzativo. Nel vagliare quale partito poter analizzare mi si è presentato più di una volta il timore che questo lavoro venisse frainteso, ed anziché essere preso per ciò che è, ossia il lavoro di una studentessa al termine del ciclo universitario e bene intenzionata a proporre
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materiale innovativo, fosse visto come una improbabile ricerca di traguardi troppo alti. È per questo che mi sono permessa di scrivere al dottor Eugenio Amendola102, che ha mostrato grande entusiasmo nei confronti dell’idea proposta. Ora, l’idea di proporre un binomio “employer branding”/“Popolo della Libertà” potrà suscitare alcune perplessità. In realtà l’idea originaria era di sottoporre lo studio di due strutture politiche rivali, in modo da rispettare una sorta di par condicio etica. L’attuazione di questa proposta risulta praticamente impossibile per due motivi basilari: non esiste un partito di centro sinistra, o di sinistra che possa essere studiato al pari di una qualsiasi organizzazione e non avrebbe nessun senso proporre uno studio sull’employer branding e preoccuparsi al contempo di essere considerati di parte. Questo perché il partito in questione non viene trattato sotto il profilo politico, ma considerato più strettamente sotto il profilo organizzativo ed aziendale, come si farebbe con una qualsiasi altra impresa. Nell’affrontare questa analisi verranno esposte alcune nozioni sociologiche relative all’importanza del leader e la centralità del carisma all’interno di un gruppo.
102
Consulente e managing director di Anthea Consulting e senior associate all’Employer Brand Institute.
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4.1 La struttura organizzativa del PdL Trovo interessante aprire questo paragrafo con l’evoluzione negli anni dei termini “partito politico”: Downs 103 [1957] “… una compagine di persone che cercano di ottenere il controllo dell’apparato governativo a seguito di regolari elezioni.” Weber 104 [1958] “… associazioni fondate su una adesione libera, costituite al fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza all’interno di un gruppo sociale e ai propri militanti attivi le possibilità per il perseguimento di fini oggettivi o per il perseguimento di vantaggi personali, o per tutti e due gli scopi.” Sartori 105 [1976] “… un partito è qualsiasi gruppo politico identificato da un’etichetta ufficiale che si presenta alle elezioni, ed è capace di collocare attraverso le elezioni (libere o meno) candidati alle cariche pubbliche.” Come è possibile intuire, nel corso nel ’900 sono state numerose le definizioni attribuite alla locuzione “partito politico”, ma la più interessante risulta probabilmente quella proposta da Weber, poiché viene chiaramente esposta la natura organizzativa del partito politico che, nonostante le naturali evoluzioni contestuali ed interne al partito stesso, mantiene di base la concettualizzazione weberiana sopra citata 106. Angelo Panebianco 107 fornisce una chiave di lettura sociologica secondo la quale i partiti sono organizzazioni tanto quanto basta per presentare caratteristiche e problematiche tipiche dei sistemi organizzativi. Questo presuppone che i partiti, come un qualsiasi altro tipo di azienda, siano una struttura in piena evoluzione, che si modifica nel tempo reagendo ed agendo all’interno di un contesto che muta a sua volta, in un vortice caratterizzato da tutte le peculiarità descritte ed analizzate nel
103
Downs A., (1957), An Economic of Democracy, Harper & Row, New York. Weber, M, (1958), Il Metodo delle Scienze Sociali, Einaudi, Torino. 105 Sartori G. (1957) Democrazia e definizioni, Il Mulino, Bologna. 106 Moroni, C, (2008), Da Forza Italia al Popolo della Libertà, Carrocci, Roma. 107 Famoso giornalista del Corriere della Sera, politologo e saggista. 104
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primo capitolo. È grazie a questo tipo di approccio evolutivo che è possibile studiare le numerose trasformazioni che coinvolgono i partiti, descrivendone l’assetto e le modalità di cambiamento. È in questa visione che viene inserito e proposto lo studio del PdL, senza mai tralasciare come tale partito sia basato sul carisma del proprio co-fondatore Silvio Berlusconi. Lo scopo di questo capitolo è dunque dimostrare come può essere possibile estendere il concetto di employer branding a realtà non propriamente aziendali, ma che comunque per loro natura, risultano fortemente organizzate. Come già anticipato è di fondamentale importanza la figura carismatica del leader e, come sostiene Gianni Baget Bozzo: “Forza Italia è un partito basato sul carisma di Berlusconi, ed è un carisma fondato sulla sua immagine di imprenditore di successo, che ha saputo attribuire e diffondere la dimensione economica come un valore liberale positivo.” 108 La dimensione carismatica raggiunge in questo contesto un così elevato grado di importanza da meritare un paragrafo a parte.
108
Intervista di Chiara Moroni a Gianni Baget Bozzo nel novembre del 2004.
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4.2 Origini e struttura: da Forza Italia al Popolo della Libertà Forza Italia risulta ancora oggi essere una forza politica “diversa” e questo perché sin dalla sua nascita si è prestata particolare attenzione alla sua diversità organizzativa rispetto ai partiti che l’hanno preceduta in modo da salvaguardarne l’identità politica. Un partito-non partito, il cui scopo è di proporre all’elettorato un concetto nuovo e vincente, la cui struttura organizzativa si riferisca al modello dell’azienda-madre Fininvest. Il disegno politico e organizzativo di Berlusconi comprende forze fisiche locali dalle quali far irradiare il progetto politico virtuale, accompagnato dai sempre maggiori consensi raccolti dalla figura del suo fondatore. In questo modo Forza Italia è sin dagli albori un partito a penetrazione territoriale, nascendo da una iniziativa elitaria, guidato da un leader forte e carismatico, supportato da un numeroso club periferico che sostiene il partito. L’aspetto interessante è che questo partito, nei primi mesi di vita, venga legittimato dalla Fininvest (istituzione promotrice) che riunisce in una sola figura la leadership dell’organizzazione esterna (Fininvest) e quella del neo-partito (Forza Italia), fondato sul carisma personale del suo leader. Viene così a crearsi un partito leggero dove predomina la figura del leader che permea tutta la struttura partitica, in modo da renderla leggera, flessibile, snella ed orientata al fare. Le strutture organizzative di Fininvest e Forza Italia sono simili e puntano all’informalità organizzativa e all’assenza di standardizzazione delle norme interne; i profili ricercati sono quelli di personale fedele, flessibile, rapido nell’attuazione e capace di improvvisare 109. Il risultato di una leadership vincente porta le due “aziende” verso un atteggiamento orientato all’innovazione, all’adattamento, agli stimoli e ai cambiamenti dell’ambiente esterno, sempre pronta a fornire soluzioni ad hoc. Nella campagna elettorale del 1994 Berlusconi recluta persone di fiducia che provengono quasi tutte dalla sua azienda: esperti di comunicazione, di sondaggi, di
109
Galletto,G,(1988) Fininvest: un caso di cultura d’impresa, tesi di laurea, Facoltà di Scienze Politiche, Università di Genova.
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marketing e di reti di vendita. È tutto pronto per proporre sul mercato un prodotto nuovo, innovativo e del tutto rivoluzionario, un prodotto vincente sul mercato elettorale. Una volta vinte le elezioni, questa struttura fatica un po’ a mantenersi in vita, visti gli innumerevoli impegni del leader e vista la decisione di non appesantirne la struttura e mantenerla il più snella possibile. Al fine di proporre una leadership più accurata ed organizzata, viene ingaggiato Cesare Previti, che ha il compito di definire un nuovo assetto organizzativo del partito, senza dimenticare lo scopo di avere a che fare con una struttura leggera. Il susseguirsi di una serie di fallimenti porta il 18 gennaio 1997 all’approvazione del primo Statuto di Forza Italia. In questa sede viene delineato l’assetto organizzativo sia nazionale che periferico del partito. Le novità principali consistono nella suddivisione amministrativa in Regioni, Province e Comuni e nella separazione dei ruoli elettivo-istituzionali ed amministrativi. Attraverso l’attivazione dello Statuto si è voluto abbandonare una volta per tutte la forma di maxicomitato elettorale privo di identità, che sin dalla nascita ha caratterizzato il partito. Con gli esiti del 2001, la struttura organizzativa del partito cigola nuovamente, poiché vengono trascurate le esigenze periferiche e locali, i dibattiti interni e la scelta dei leader locali. Secondo le parole di Baget Bozzo: “Il vero problema non è che sia un modello presidenziale ma che al contrario non lo sia abbastanza, nel senso che Berlusconi è legato da rapporti personali basati sulla fiducia che ne condizionano fortemente le scelte, limitando la possibilità di prendere decisioni strategiche sulla base di esigenze di efficienza e rendimento.” 110
La centralità del leader, all’interno del contesto di Forza Italia, lascia dubitare della capacità di sopravvivenza di quest’ultima nel caso in cui il suo leader, per qualche motivo, decidesse di abbandonarne la guida. Fino al 2006 la logica di funzionamento generale del parto resta quella manageriale-aziendale, la linea di comando è fortemente incentrata sulla presidenza, che si premura di istituire un gruppo specializzato per la selezione dei candidati.
110
Baget Bozzo G., (2000), L’identità di Forza Italia, in Ragion politica, giugno. (http://www.ragionpolitica.it/testo.2.html).
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Nel 2006 come nel 1994, Berlusconi si propone come forza innovatrice in contrasto con il governo Prodi e come lui stesso sostiene: “La gente mi ha caricato di una responsabilità molto forte e non per merito mio, ci sono milioni di italiani che mi dicono di cambiare l’Italia.” 111 Grazie ad un flusso continuo che parte dal basso, milioni di cittadini scelgono il nome “Popolo della Libertà” per un nuovo movimento 112 caratterizzato da una semplificazione del quadro e delle procedure politiche. Ecco che, nel 2007, vengono annunciati importanti cambiamenti anche all’interno del partito, che da ora in poi vedrà una dirigenza: “Democratica, così democratica da cambiare ciò che abbiamo fatto sino ad ora… saranno fatti fuori i vecchi fannulloni… tutte le cariche saranno decise democraticamente…” 113 Il Popolo della Libertà, differentemente da Forza Italia, permette a Berlusconi di proporsi come la forza nuova, estranea alla politica, dando la possibilità al leader di ristrutturare l’assetto organizzativo che tanto penalizzava Forza Italia. Il leader si è addirittura messo da parte, lasciando la possibilità ai cittadini di decidere a chi sarebbe andata la leadership del nuovo movimento politico. Così facendo viene dato ampio spazio alle decisioni della società civile ed il movimento si ripropone come il primo che si prenda a cuore il giudizio popolare, anche per le questioni di minor importanza. L’evoluzione verso una istituzionalizzazione tradizionale ha dunque portato ad una strutturazione e ad un radicamento territoriale attraverso l’elaborazione della cultura politica di un movimento innovativo voluto dal “basso”.
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Dalla trasmissione Otto e mezzo , La7, del 21 novembre 2007. Si noti il termine, scelto per indicare un distacco totale da ogni forma di partito tradizionale. 113 Discorso di Silvio Berlusconi del 18 novembre 2007, di Piazza San Babila, Milano. 112
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4.3 Cultura politica del partito azienda A questo punto, avendo imboccato la strada che porta all’analisi del PdL come organizzazione, diviene doveroso esporre la cultura politica che caratterizza tale movimento. La cultura politica è un connubio che unisce da una parte gli strumenti politici, economici, intellettuali e morali dei cittadini e dell’altra tutte le culture incorporate nei partiti e nei loro dirigenti. L’incontro di grandi realtà politiche come Forza Italia e Alleanza Nazionale in un solo grande partito qual è il Popolo della Libertà, ha portato la cultura politica a giocare un ruolo di grande rilievo, sia all’interno del partito stesso 114 che in una dimensione esterna. Secondo Easton115, nei partiti di massa fondati sulle ideologie le due dimensioni, interna ed esterna, convergono confluendo in un’unica espressione culturale che orienti le scelte politiche e sia seguita dall’elettorato. Secondo Berlusconi, il Popolo della Libertà: “Formula il suo programma politico sulla base del senso comune dei cittadini cercando di dare forma politica a ciò che i cittadini si attendono ed è una creazione del popolo senza un fondamento culturale ed organizzativo preesistente.” 116 In un partito non basato su ideologie, la coesione, l’identità interna ed il consenso esterno sono basati sul carisma del leader. L’elemento che accomuna la dimensione interna e quella esterna della cultura politica, ciò che porta tanti elettori ad aderire attivamente e, dunque, ciò che porta alla scelta elettorale, è la forte personalità del leader. Ciò che ammalia è la figura del non politico, che è alla guida di un non partito, non basato su ideologie ma che, al contrario, si basa “sul fare”, ponendo in primo piano il successo personale del leader come imprenditore a garanzia di una buona riuscita della realizzazione del progetto politico.
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Delineando una forte identità caratterizzante la classe dirigente e dei militanti. Relativa agli elettori che si riconoscono nelle proposte valoriali e programmatiche del partito. 116 http://www.forzaitalia.it/speciale_congressi/adesioni_slide.pdf. 115
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4.3.1 Dimensione esterna della cultura politica del PdL Domandarsi quale sia il fulcro del PdL, il motivo per cui questo partito ha vinto non solo le elezioni del 1994, ma anche quelle del 2001 e del 2008, può essere una domanda un po’ ingenua; ma è comunque necessaria una spiegazione più approfondita. L’elemento determinante è stato sicuramente il fatto di incentrare la proposta politica sulla figura di Berlusconi che ha proposto, non solo un nuovo modo di interloquire con i suoi elettori, ma anche un nuovo modo di far politica in una prospettiva di efficienza aziendalistica e di mercato che scredita l’inefficacia della politica tradizionale. Il successo è garantito in prima persona dalle affermazioni decise ed incontrastate del leader che si propone, come già detto, come figura vincente, in un rapporto “diretto” ed “esclusivo” con i suoi elettori. Senza Berlusconi il PdL non reggerebbe, non avrebbe senso di esistere. È lui a costituire l’elemento di base sul quale si fonda il consenso elettorale, perché è lui stesso che si pone come esempio e come garanzia di un successo sicuro ed ineguagliabile. Se, dunque, manteniamo il parallelismo proposto in precedenza tra PdL ed organizzazione, risulta evidente come questa realtà possa reggere anche grazie alla solida reputazione 117 costruita nel tempo dal leader 118. Accanto a questo elemento viene introdotto quello di novità, del gusto per le scelte autonome. L’elettorato a cui si rivolge è diviso geograficamente in due aree: la zona del Nord aggrega aree metropolitane dove si è affermata la nuova economia insieme ai sistemi locali di piccola impresa 119, la zona del Sud presenta al contrario un modello economico ancora dipendente dall’intervento dello Stato, caratterizzato da un alto tasso di disoccupazione ed un peso rilevante della pubblica amministrazione. Il Popolo della Libertà non ha coesione territoriale, ma le differenze dell’elettorato e della struttura territoriale trovano risposta nella stessa persona: il Premier. È attraverso la personalizzazione dell’identità del partito e la modernizzazione della sua base
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Si ricorda, che ogni organizzazione deve mirare alla costruzione ed al mantenimento di una solida reputazione che sia duratura del tempo. 118 Indagine empirica svolta da Renato Mannheimer successiva il voto del 1994. 119 Diamanati I., (2004), Dal partito di plastica alla Repubblica fondata sui media, in “ComPol”, V, I, pp. V-XIII.
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territoriale, che Berlusconi riesce a contenere le pressioni incrociate che attraversano la base sociale e territoriale del partito stesso. L’elettorato è dunque eterogeneo, ma grazie all’uso sapiente dei mass media ed una comunicazione chiara e non troppo pretenziosa, è possibile trovare un punto di incontro per tutti.Nei paragrafi successivi vedremo come il fatto di basarsi su una sola persona e di ricorrere costantemente al suo carisma, crei dei profondi problemi identitari al partito, che senza leader sarebbe come un fantoccio senza il cuore e la testa, le due parti vitali di un corpo. Molto lavoro è stato fatto, ma molto ancora dovrà essere fatto, affinché il PdL abbia un’indipendenza tale per cui possa essere più longevo del suo leader, più forte nei suoi valori e nella sua mission.
4.3.2
Dimensione interna della cultura politica del PdL
Agli albori Forza Italia si presentò nel panorama politico senza alcuna preparazione ed elaborazione culturale, poiché nata dalla volontà di un singolo e sviluppata più come scommessa imprenditoriale che come partito vero e proprio. Sicuramente la scarsa organizzazione iniziale e la mancanza di una storia condivisa hanno aiutato a creare l’idea che la figura del fondatore sia stata fondamentale per l’identità del partito. Berlusconi come il brand: è lui l’identità del partito, il simbolo senza il quale la classe dirigente non è autosufficiente. Secondo l’onorevole Antonio Palmieri 120: “I valori guida del partito sono orientati verso una politica del fare, verso il sostegno della libertà delle idee e delle azioni, perché è così che è il leader; la speranza è che la cultura del leader si trasmetta a tutti gli uomini che si riconoscono in questo movimento.” Il fatto che tutto giri attorno alla figura del leader porta numerosi vantaggi, ma anche alcune problematiche, come la fragilità costante del partito che, senza leader, zoppica e fatica ad esistere. È in questa chiave che Baget Bozzo sostiene la
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Intervistato da me lunedì 17 maggio 2010.
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necessità di una mutazione genetica del partito. Il problema è la mancanza di una vera e propria classe dirigente che trovi all’interno dei valori espressi la sua identità, cosa che permetterebbe la sopravvivenza del partito anche senza la figura del leader. I dirigenti, pur condividendo i valori, non riescono a separare quelli del partito da quelli del leader. In qualche modo ci si identifica prima con Berlusconi e, solo in seconda istanza, con i valori che egli esprime.
Dalla cultura del “leader”… 121 Abbiamo dunque visto come l’identità del partito si sia sempre rifatta a quella del suo fondatore, senza sviluppare in modo chiaro ed autonomo linee guida proprie. La centralità della figura ha imposto al partito una cultura incentrata sul leader. Berlusconi, come già anticipato, ha trasferito le linee guida dalla Fininvest a Forza Italia (Popolo della Libertà). Tre sono gli elementi che caratterizzano la cultura organizzativa della Fininvest: - L’enfasi sulle virtù del leader che ha la missione di rendere congrui i fini ed il management. - Il valore fondamentale attribuito al ruolo della comunicazione, sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione. - La presenza di una struttura reticolare che connetta dal centro i numerosi attori periferici. Come già anticipato, questi tre aspetti sono gli stessi che regolano la struttura organizzativa anche all’interno del partito. Una particolarità interessante emerge nel momento in cui ci si domanda quale sia in definitiva la cultura di Berlusconi. Un’ipotesi potrebbe essere che: “Berlusconi non abbia né metodi né regole, la sua creatività, la sua intuizione rivoluzionaria scaturiscono dalla più totale irrazionalità. Crede nei sogni cancellando ogni traccia di negatività dal suo animo.” 122
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… alla cultura dei “valori”, nel paragrafo seguente D’Anna S., Moncalvo G.(1994), Berlusconi in Concert, Otzium, London.
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Ma quando Berlusconi entrò in politica era a capo della Fininvest, un gruppo imprenditoriale composto da trecento aziende organizzate in sette divisioni: - Comunicazione. - Editoria. - Grande distribuzione. - Assicurazioni e servizi finanziari. - Immobiliare. - Sport . - Servizi di gruppo.
Una tale organizzazione così diversificata al suo interno sente la necessità di essere guidata in maniera sinergica ed unitaria. La mission è di vendere servizi alle famiglie offrendo risposte ai loro bisogni materiali. Sin da subito è stata forte l’omogeneità della cultura aziendale, che ha contribuito a tenere unite le varie aziende del gruppo. Ogni struttura era ed è Berlusconi oriented, che: “… trascina, coinvolge, sa vendere come nessun altro […] lui lancia messaggi sta a noi imparare…” 123 La tattica è di proporre una realtà dicotomica, divisa tra il bene ed il male, che segua un po’ le fila delle fiabe. In azienda, come nel partito, Berlusconi tende a sottolineare chiaramente i nemici, quale sia il pericolo e quali siano gli ostacoli da superare. L’obiettivo politico è chiaro: governare con efficienza ed efficacia lo Stato, escludendo ad ogni costo il pericolo che si affaccino le “sinistre illiberali”. Si vengono a creare le dimensioni del “noi” e del “loro” dove l’uno incarna il bene e l’altro il male. Un altro elemento culturale dell’organizzazione è rappresentato dalla dimensione rituale e celebrativa che aiuta a rafforzare il senso di appartenenza e di condivisione, ma anche a rimarcare la dimensione politica e partitica del fenomeno Popolo della Libertà. Ricapitolando quindi questa prima parte, possiamo ribadire come Forza Italia alle origini si sia basata sulla cultura del suo leader
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Testimonianza raccolta da D’Anna e Moncalvo (1994).
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fondata sul successo personale, sulla libera e creativa iniziativa individuale e sul valore del fare. Il tutto accompagnato da atteggiamenti di culto verso il leader, ed il suo esempio di vita, che incarna il “pensiero positivo”.
…. alla cultura dei “valori” Quanto esposto sin qui però non è sufficiente ad affrontare le sfide esterne e la competizione politica ed elettorale. Questa consapevolezza ha portato a un tentativo di elaborazione ideale e teorica di un progetto culturale volto a dare spessore ideale, riscontrabile nella Carta dei valori 124 elaborata nel 2004. Lo scopo è di fornire ai membri del partito di ogni ordine e grado valori e principi nei quali identificarsi ed in base ai quali delineare progetti politici a prescindere dalla personalità del leader e dal suo ruolo interno al partito. Il tentativo di definire un’identità partitica non deve comunque escludere quella del suo fondatore. L’identità del partito è un insieme di elementi razionali ed emozionali, alcuni dei qual più propriamente culturali, come i valori, i simboli o gli ideali, altri più concreti come il leader. Il punto cruciale risulta essere quello di un lavoro interno al partito, che miri alla consapevolezza di un sé politico, che prescinda da qualsiasi tipo di presenza carismatica. La figura del leader ed il suo carisma meritano un paragrafo a parte.
124
http://www.pdlcapaccio.com.
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4.4 Il carisma del leader Il potere è la capacità di influenzare il comportamento altrui per ottenere i risultati che si desiderano 125. È stato calcolato che esistono ben duecentoventuno definizioni di leadership sviluppate dagli anni Venti sino agli anni Novanta; se inizialmente proponevano la definizione di leadership come “la capacità del leader di affermare la propria volontà”, più recentemente riescono a cogliere una maggiore reciprocità tra il leader ed i suoi adepti. Secondo la visione di Nye 126 “il leader è colui che aiuta un gruppo di persone a formulare ed a conseguire obiettivi condivisi.” Ogni leader mobilita il suo personale affinché gli obiettivi prefissati vengano mantenuti. La leadership è dunque una relazione sociale costituita principalmente da tre soggetti: il leader, i seguaci ed il contesto in cui la relazione tra questi si svolge. La funzione di un leader all’interno di un gruppo è di definire gli scopi e gli obiettivi, rafforzare l’identità e la coesione del gruppo ed infine di coordinare il lavoro collettivo 127. Per stabilire se un soggetto compie attività di leadership è necessario verificare se grazie ai suoi interventi il gruppo in cui egli è inserito riesce più facilmente a conseguire i propri obiettivi. Inoltre, esiste un legame molto stretto tra leadership e potere, tale relazione ha una intensità ed una estensione che variano molto a seconda dei contesti in cui sono inserite. La leadership è efficace se si fonda sullo smart power, ossia una buona combinazione di smart e hard power. È necessaria una breve spiegazione che permetta di capire in modo approfondito tali concetti utili per spiegare il lavoro svolto.
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Joseph, S, Nye Jr, (2009) The power to lead, Laterza, New York. University Distinguished Service Professor alla Harvard University’s Kennedy School of Governent. 127 Kellermann,B, (2004) Cattiva leadership. Quando il lato oscuro della natura umana prende il comando, Etas, Milano. 126
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Hard power Lo hard power è fondato su minacce ed incentivi basandosi sul concetto del bastone e della carota. Benché l’utilizzo di questa tecnica non sia il più auspicabile da utilizzare, può indurne i seguaci a modificare il proprio comportamento e portare all’ottenimento dei risultati prefissati. Lo hard power si fonda sulla coercizione. Un leader che utilizza lo hard power deve possedere abilità organizzative e politiche. Per abilità organizzativa si intende la capacità nel gestire la struttura ed il flusso di informazioni all'interno della stessa. I leader devono gestire la cerchia ristretta dei propri consiglieri in modo da potersi assicurare il flusso di informazioni in entrata e uscita. Un leader che lavori efficacemente non può tralasciare di sviluppare preziose abilità politiche. Numerosi sono i modi per fare politica: manipolare, intimidire, negoziare o minacciare; ovvero fare hard power. Benché sembrino idee di altre realtà, è possibile nonostante tutto fare politica seguendo un'ispirazione, oppure seguendo e sviluppando relazioni che si basano sulla fiducia. Politica significa non soltanto riuscire a conseguire risultati per sé stessi od il proprio clan, ma anche accumulare capitale politico per negoziare con il mondo esterno. In questo senso l'attività politica è resa possibile grazie ad abilità machiavelliche. Ogni azione deve essere sapientemente autocontrollata al fine di non cadere in un vortice di esercizio del potere che porti inevitabilmente, prima o poi, al fallimento della leadership 128, poiché la politica della paura non è l'unica abilità politica possibile.
Soft power Il concetto di soft power si fonda sulla capacità di condizionare le preferenze degli altri, affinché desiderino fare ciò che noi vogliamo che facciano dando l'esempio attraverso l'attrazione e la seduzione, lavorando attraverso l'influenza, la persuasione e condividendo nel miglior modo possibile la cultura aziendale. L'utilizzo del soft power è fondamentale al fine di attuare una politica democratica
128
McClelland, D.C. E Burnham D.H. (2000), Power is the Great Motivator, in Harvard Business Review, pp 100-110.
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quotidiana. Nelle organizzazioni con strutture relativamente piatte, l'utilizzo del soft power è la risorsa principale di cui il leader dispone; se questo venisse meno non rimarrebbe molto altro. Una politica di soft power fondata sull'attrazione può persino rivelarsi più efficace di una politica di hard power, poiché atta a stimolare maggior impegno, lealtà ed accrescere in questo modo il potere del leader. Al contrario, un eccesso di hard power machiavellico, potrebbe interferire con lo soft power privando il leader della possibilità di esercitare potere. Le abilità per un buon soft power sono: l'intelligenza emotiva, la comunicazione e la capacità di convincere e coinvolgere chi ci circonda. L'intelligenza emotiva consiste nella capacità di avere autocontrollo, disciplina ed empatia in modo da consentire di canalizzare le passioni personali ed attrarre gli altri. L'intelligenza emotiva comporta la consapevolezza ed il controllo dei propri problemi psicologici in modo che questi non interferiscano con l'attività di indirizzo politico. Una buona comunicazione non può che aiutare a generare soft power, e permette d’interagire con pubblici distanti, con i singoli individui o comunque con piccoli gruppi. Ricorrendo alla comunicazione un leader può attrarre e mantenere seguaci. Infine, dare il giusto esempio, può essere un'altra forma di comunicazione di cruciale importanza per il leader. L'ultima abilità su cui poggia il soft power è la capacità di visione che consiste nell'esercitare una forte attrazione sui differenti seguaci ed anche su tutti gli stakeholder. Per essere sostenuta da un numero così ampio di persone, una visione di successo deve contenere una diagnosi accurata e realistica della situazione. Nello scegliere gli obiettivi e nel rielaborarli in una visione, i leader devono individuare le domande giuste prima di proporre le risposte. La questione è quella di sapere non solo prevedere cosa potrebbe succedere, ma avere l'abilità di convincere i seguaci ad agire prima che accada, portando a dimostrazione esempi e dati convincenti e anticipando i dubbi e le perplessità del pubblico. Tutto questo è possibile solo se il leader impara dai suoi seguaci, li studia e capisce prima di loro cosa vogliono e cosa no. In sintesi, l'attuazione dello soft power può risultare vincente sia per il leader che per i suoi seguaci. Come sostenne
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Eisenhower illustrando l'importanza del soft power: “La leadership è la capacità di indurre gli altri a collaborare, non soltanto perché lo ordina il leader ma perché questi vogliono istintivamente soddisfare le richieste del loro leader.” 129
Smart power Gli individui sono attratti dalle qualità personali del leader, ma anche dagli effetti della sua comunicazione. Al fine di non prediligere una forma di leadership che tenda di più verso lo hard od il soft power, la strategia vincente sarebbe quella di abbinare hard e soft power in una strategia efficace: smart power. E’ bene sottolineare che il soft power non è né meglio né peggio dell’hard power: il punto è che entrambi possono essere utilizzati per finalità buone o cattive. La verità è che manipolare la mente di una persona (possibile utilizzo del soft power) non è detto che sia meglio che costringerla con la forza (attuazione di hard power). Lo smart power promuove l'uso strategico della diplomazia, della persuasione e della capacità di costruire relazioni e network importanti. Lo smart power, nella combinazione tra hard e soft power, permette di adattarsi ad un ambiente in continua evoluzione e trarre vantaggio dalle situazioni in cui ci si trova, seguendo una logica che premi chi è artefice del proprio destino, ed infine premi chi riesce ad adeguare il proprio stile al contesto ed ai bisogni dei seguaci. Allo stesso modo i seguaci devono rendersi conto che qualsiasi tipo di leader, nel bene o nel male, agendo giustamente o sbagliando, è sempre e comunque un essere umano. Lo sbaglio sta nel divinizzare o demonizzare, a seconda dei casi, questa figura, che risulta sì responsabile delle azioni di chi lo circonda, ma a cui non può essere data né la colpa né il merito totale delle azioni compiute.
129
Axelrod, A, (2003), Eisenhower on Leadership: Ike's Enduring lessons in Total Victory Management, Jossey-Bass, San Francisco
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4.5 L’organizzazione nel PdL Abbiamo fin qui esposto molti aspetti relativi al fatto che il PdL può essere considerato a tutti gli effetti una vera e propria organizzazione. Le ragioni: - E’ stato fondato e guidato da un imprenditore di successo. - Alle origini la maggior parte della forza lavoro proveniva proprio dalla casa madre Fininvest. - La struttura snella ricorda l’organigramma di un’azienda flessibile ed incline ai cambiamenti.
E’ molto interessante constatare ancora come la figura del leader abbia un impatto profondo su chi lo circonda. Silvio Berlusconi, leader del PdL, di Mediaset, del Milan e di una serie infinita di altre attività, che tipo di leader è? Non è facile rispondere a questa domanda, poiché sono numerosi i punti di vista che si devono considerare per affrontare questo argomento. L'unica cosa su cui gran parte delle persone che conoscono Berlusconi si trova concorde, è definire questo personaggio politico indiscutibilmente carismatico. Si prescinde allora da qualsivoglia ideologia politica, credo ideologico o sentimento personale. Riferendoci a quanto prima esposto, sicuramente il carisma produce soft power. Per carisma s’intende il potere speciale che un individuo ha di ispirare negli altri sentimenti di passione e lealtà. I leader carismatici vengono spesso descritti come sicuri di sé, consapevoli delle loro qualità, energici e capaci di entusiasmare gli altri. La parola “carisma” deriva dal linguaggio religioso, che le conferisce un'aura di magia e di mistero: charisma in greco vuol dire dono divino/grazia. Max Weber usò il termine carisma per descrivere un tipo di leader straordinario che in realtà non esiste, se non in modo imprecisato 130. Secondo il sociologo il carisma avrebbe una dimensione sociologica oltre che psicologica. Sigmund Freud sostiene che l'attrazione verso leader carismatici è presente a livello simbolico nell'inconscio, dove essi rappresentano il ritorno al padre primogenito 131, la necessità di avere un leader carismatico
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Weber M.,(1958), Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino. Freud, S, (1913) Totem e Tabù,
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rispecchia la nostra necessità di avere un ordine che regni dentro di noi. La necessità di questo bisogno cresce e si acutizza nel momento di crisi o comunque di maggior sfiducia nella società che ci circonda. È difficile individuare l'esatta combinazione di personalità, seguaci e condizioni esterne da cui ha origine il carisma. Molti studi relativi al carisma non hanno mostrato se questa sia una caratteristica inerente la persona o la relazione. Secondo alcuni studiosi i leader carismatici sono negativi quando hanno la propensione a progetti grandiosi, non sono disponibili a delegare e non responsabilizzano i seguaci. Mentre i leader carismatici sono positivi quando, come Gandhi o Martin Luther King, permettono ai loro seguaci, grazie alla loro influenza, di migliorare la situazione. I leader carismatici si affidano più al loro potere personale che alla carica ispiratrice. Seppur non sia ancora ben chiaro cosa crei la carica carismatica di un leader, nell'uso corrente tale accezione è riferita alla capacità di attrarre di alcuni individui, che dipende in parte da qualità innate, in parte da abilità apprese ed in parte dal contesto sociale e politico di riferimento. In definitiva, secondo Nye 132 il termine carisma è un termine impreciso, usato per indicare un magnetismo personale che può variare a seconda delle circostanze e dei seguaci. Benché Nye concluda in questo modo la sua trattazione sul carisma della leadership, io mi permetto di prendere le distanze da questa affermazione. Credo ci siano realtà oggettive che prescindano dal contesto o da chi le sta vivendo. Se una persona è carismatica, è carismatica sia per i suoi sostenitori che per i suoi oppositori: condividere a tutti costi può portare alla mancanza di obiettività e razionalità. Berlusconi è carismatico per molti motivi, il primo dei quali è che è riuscito a portare un partito di carta 133 ad un grado tale di apprezzamento, da superare di gran lunga tutte le aspettative. Un altro importante motivo è che i volontari, come gran parte degli elettori che lavorano per il partito, lo votano non tanto per gli ideali che propone, ma principalmente per l'uomo in sé. Il leader Berlusconi, nella sua attività politica, alterna forme estreme di hard power che indirizza incessantemente ad ogni forma di opposizione che gli si pari davanti, a forme di soft power verso tutti i suoi collaboratori e seguaci.
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Nye S. (2009), Leadership e potere, LaTerza, Bari.
133
Definizione fornita dall'opposizione.
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Un aspetto molto interessante da analizzare in questo ambito è come e quanto il carisma e la personalità del Premier abbiano inciso sulla decisione dei dipendenti del PdL di lavorare proprio in una realtà come questa. Il mio scopo è di analizzare il PdL come organizzazione, studiando i processi relativi alle azioni di recruiting e retention, spostando l’attenzione dal target di riferimento rappresentato solitamente dagli elettori ed interessarmi invece ai dipendenti. Come vengono selezionati i dipendenti nel PdL? Come vengono accolti, trattati ed incentivati? Chi o che cosa li spinge a lavorare in una realtà così dinamica e stressante? In una intervista effettuata all’Onorevole Antonio Palmieri 134, ho avuto modo di capire l'assetto organizzativo all'interno del PdL, inteso in questo caso non come partito ricevente voti, ma come luogo di lavoro. Il quadro che ne è emerso è singolare. Il PdL come organizzazione assume abbastanza di rado, poiché il turnover dei dipendenti è quasi pari a zero praticamente da un decennio. Questo aspetto, se vogliamo abbastanza logico, è anche molto interessante. È da questo punto che prende il via la mia analisi empirica, resa possibile grazie all'intervista con l'Onorevole Palmieri.
4.5.1 L'employer branding nel PdL: recruiting E' possibile sostenere che il sistema organizzativo del PdL inteso come azienda, non è, o è molto poco, orientato ad attività di recruiting. Questo fatto avviene fondamentalmente per due motivi: - La maggior parte delle assunzioni sono state fatte nel 1997. - Il turnover è pari a zero. Per quanto riguarda il primo punto, abbiamo visto nei paragrafi relativi alla nascita e allo sviluppo del PdL (ex Forza Italia) come il successo del partito e la relativa
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Responsabile delle comunicazioni internet del Pdl.
111
organizzazione siano dovute alla scelta di improntarlo seguendo le orme di casa Fininvest. Quando, nel 1997, molti degli operatori che lavoravano in Fininvest sono stati chiamati in Forza Italia, il senso d'orgoglio nell'essere stati scelti ha portato la maggior parte di loro a non lasciare più il posto inizialmente ottenuto. A questo aspetto è strettamente correlato il fatto che proprio grazie al forte senso di appartenenza e di compiacenza, il livello di turnover è praticamente pari allo zero. Negli ultimi due anni, sono state assunte solo tre persone. Ci si domanderebbe allora: perché scegliere di analizzare un simile caso aziendale che in più, non prevede neppure una cultura orientata al recruiting, per un elaborato sull’employer branding? La risposta sta nella definizione di employer branding fornita da Amendola: “Strategia di marketing finalizzata a creare un'immagine aziendale coerente con l'identità dell'impresa come employer, luogo di lavoro in sintonia con il target di riferimento e ben distinta da quella dei competitor, attraverso la quale attrarre e fidelizzare le persone di talento.” L'attrazione dei talenti risulta essere solo una delle componenti di questa strategia. Il PdL d’altra parte ha nel suo organico i migliori talenti che possa desiderare: sono stati presi in blocco i più capaci 135 e dalla Fininvest sono stati “catapultati” 136 nella realtà di Forza Italia. Poiché c’è grande commitment all’interno del posto di lavoro e la cultura aziendale è ampiamente sentita e condivisa, raramente le persone cercano altrove o vengono licenziate. Questo porta logicamente ad avere poco ricambio di personale e dunque poca possibilità di ricerca. Ma nella possibilità abbastanza remota che questo avvenga, la ricerca del personale nel PdL non avviene attraverso i consueti metodi. Questo perché essendo un’organizzazione anomala ed avendo un rapporto costante e diretto con gli elettori, non potrebbe scegliere tra loro un futuro dipendente 137. Dunque il target di riferimento per i possibili dipendenti del PdL ricade nel paniere dei pochi eletti appartenenti al
135
Ma anche i meno necessari in Fininvest. Termine utilizzato dall’onorevole Palmieri. 137 Per l’onorevole Palmieri è una questione di correttezza verso tutti i cittadini,sceglierne una piccolissima minoranza non sarebbe né serio né giusto nei confronti degli altri. 136
112
gruppo dei politici, oppure a persone fidate, consigliate attraverso una politica di employee referral program 138.
4.5.2 Retention nel PdL Il PdL può essere definito una realtà employee oriented a tutti gli effetti, poiché ha sempre cercato di creare e costruire un ambiente lavorativo appetibile per i suoi dipendenti, in modo che questi abbiano una motivazione sempre valida nel lavorare in una realtà tanto ambita. Tale motivazione va continuamente alimentata attraverso una condivisione intelligente della cultura aziendale. In questo ambiente di lavoro si crea un lovemark, ovvero un legame fatto di passione e di mutuo beneficio che dura nel tempo e si basa su fiducia e profonda lealtà 139. Una realtà orientata al mantenimento del dipendente porta ad un maggiore senso di appartenenza, rafforzando la reputazione dell’organizzazione stessa, poiché ogni dipendente è “portavoce” dell’azienda. Il caso PdL è sicuramente un ottimo esempio di struttura che mira ad un rapporto fiduciario azienda-lavoratore, che sia persistente nel tempo. Dall’intervista è emerso che questa situazione di benessere generale crea un miglior clima ambientale e conseguentemente migliori le prestazioni generali del team di lavoro. È anche emerso come questa modalità di gestire il rapporto con i dipendenti sia facilitata da una cultura organizzativa orientata all’utilizzo di canali tecnologici, in modo da equilibrare al meglio il mix tra comunicazione face to face e comunicazione asincronica, considerata più “fredda”. La cultura aziendale per Schein è: “Un insieme di assunti di base, inventati, scoperti o sviluppati dai membri di un’organizzazione per affrontare problemi di adattamento esterno o integrazione interna che si è dimostrato così funzionale da essere considerato valido e, conseguentemente, da essere indicato ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, di pensare, di sentire in relazione a quei problemi.” 140
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Strategia decritta nel terzo capitolo. Da “Fatti un giro” (2008) rivista di comunicazione pubblica n.35, Franco Angeli, Milano. 140 Schein E. H., (1990),Cultura d’azienda, Guerini e Associati, Milano. 139
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In effetti si è sviluppata una efficace comunicazione interna focalizzata su aspetti sia organizzativi che culturali, tale processo è riuscito così bene che i dipendenti sentono l’azienda come una realtà propria, da cui provengono e a cui appartengo. È necessario spendere, vista l’importanza, qualche parola relativa al senso di appartenenza in questo specifico contesto. Durante il colloquio con l’onorevole Palmieri è risultato decisivo il coinvolgimento dei dipendenti in relazione alle ideologie politiche. Benché possa sembrare scontato per una realtà di questo tipo, tale comportamento è vivo in molte altre strutture quali la Virgin, che all’interno dei suoi slogan di recruiting specifica che in Virgin possono lavorare solo persone con un Virgin spirit. È un processo abbastanza logico anche perché è stato dimostrato141 che i dipendenti che condividono maggiormente la cultura e lo spirito aziendale, non solo lavorano meglio ma sono anche più fedeli. L’idea di impresa di famiglia è molto sentita all’interno del PdL, dove vengono forniti benefit materiali come incentivazioni monetarie o scatti di carriera, e maggiormente si percepisce come un dipendente possa dedicarsi all’organizzazione non per il proprio beneficio personale, ma per quello collettivo. Trattandosi di una realtà non molto estesa 142, si sente la necessità di lavorare al meglio e questo porta non solo ad una competizione notevole, ma stimola anche l’intero team a dare il massimo in ogni situazione, in modo particolare nei momenti clou quali possono essere le elezioni.
4.5.3
NO al boomerang recruiting
Al fine di riallacciarci con quanto esposto nel terzo capitolo, mi piacerebbe spendere due parole in relazione al concetto del boomerang recruiting. Come abbiamo già precedentemente detto, questa strategia consiste nel cercare di non perdere i rapporti o comunque di riallacciarli con gli ex talenti, al fine di cercare di ripristinare la relazione di impiego. Nella realtà non sono molte le aziende che
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Spaltro Enzo , (2004), Il clima lavorativo. Manuale di meteorologia organizzativa &ndash; Franco Angeli, Milano. 142 Ci si riferisce alla sede del PdL di Milano con sede in viale Monza.
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effettuano questo tipo di strategie, la causa è da attribuirsi a differenti motivazioni: - Mancanza di una struttura ad hoc. - Mancanza di tempo e di voglia da parte delle aziende nel rincorrere personale “traditore.” - Manager che non accettano di riavere nel loro team ex dipendenti che hanno preferito la loro struttura ad un’altra. Ci sono situazioni invece in cui non vale nessuna delle motivazioni sopra fornite ed il motivo per cui il boomerang recruiting non viene applicato è che all’interno di una struttura qual’è il PdL, dove ogni tipo di rapporto è fondato sulla lealtà e sulla fiducia, dove sono numerosi i “segreti professionali”, nel momento in cui si spezza il legame azienda-dipendente non è più possibile ricostruirlo.
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Conclusioni L’obiettivo del presente lavoro di tesi è dimostrare come la strategia di marketing di employer branding possa essere applicata anche ad ambiti non strettamente affini al mondo aziendale e al brand. Nella stesura dell’elaborato mi sono spesso domandata se fosse compito troppo arduo proporre uno studio che coinvolgesse due mondi apparentemente così diversi: l’employer branding strategy e la politica. Sono quindi giunta alla conclusione che, pur essendo molto importante l’argomento di cui si parla, ancor più fondamentale è come se ne parla. Intendo dire che esistono molti temi che talvolta non vengono affrontati da noi laureandi, perché sembra che abbiano poca attinenza con le materie esaminate durante il nostro percorso universitario. Se considerati a fondo, questi studi possono invece essere affrontati da una diversa “angolatura”. Quando decisi di proporre l’argomento dell’employer branding, sapevo che in questi ultimi anni tale soggetto era già stato ampiamente trattato. Sicuramente il mio scopo non era certo di proporre l’ennesimo studio su un’organizzazione mediogrande, ma semmai cercare un nuovo punto di vista ed un nuovo argomento da analizzare. Come scrive il grande Umberto Eco 143, il fulcro di tutto il lavoro di una tesi sta nell’avere la possibilità di trattare un argomento di cui si è entusiasti. Nel mio caso, employer branding e politica. Per molti un binomio inusuale, per la sottoscritta la possibilità di poter affrontare in modo innovativo un argomento già piuttosto dibattuto. A questo proposito, è necessario sottolineare che durante la fase antecedente la stesura dell’elaborato, è stato più complicato del previsto ottenere materiale sufficientemente esaustivo ed aggiornato. Di frequente, la consultazione di materiale bibliografico straniero è stata fondamentale. Mi sono addentrata lungo un percorso volto a mettere in luce la sempre più importante, e ormai fondamentale, figura della risorsa umana: l’individuo, per troppo tempo considerato come semplice risorsa alle proprie dipendenze. Ho considerato le aziende non più come prede in cui trovare una collocazione
143
Eco U., (2004), Come si fa una tesi di laurea, Franco Angeli, Milano.
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lavorativa ma come cacciatrici di capitale intellettuale, di conoscenza implicita, di talento. È la consapevolezza del ruolo centrale della persona all’interno dell’organizzazione, che rende possibile essere competitivi in quest’era postindustriale. Ma perché è tanto difficile essere competitivi, attrarre e mantenere talenti? È stato possibile spiegare il boom dell’utilizzo della strategia di employer branding solo a fronte di una visuale sintetica, ma esaustiva, dell’ambiente circostante le imprese del XXI secolo. Nella prima parte del mio elaborato ho trattato tutti quei cambiamenti contestuali che hanno spinto le aziende a modificare l’assetto organizzativo, al fine di non essere vittime in un mondo incentrato sempre più sulla competitività e sull’incessante necessità di cambiamento. Questi i punti che, a mio parere, è utile considerare: -
La globalizzazione, che vede il continuo emergere di Paesi considerati sino a pochi decenni fa appartenenti al “terzo mondo”, che crescono e diventano sempre più competitivi.
- La digitalizzazione, che permette la divulgazione di notizie e conoscenze e la possibilità di poter essere costantemente in contatto con tutto il mondo. - Le leggi introdotte nel nostro Paese, atte a regolamentare alcune forme di lavoro, così dette atipiche. - Le numerose ristrutturazioni che si sono rese necessarie (benché qualche volta abusate) al fine di snellire l’organizzazione, in modo che questa sia più flessibile e ricettiva verso i numerosi cambiamenti proposti dall’ambiente in cui l’impresa vive.
Questi fattori hanno aumentato l’interesse delle aziende verso personale potenziale, che potesse fornire un valore aggiunto all’organizzazione aziendale in termini di competenze e di innovazione. La così detta war of talent, iniziata alla fine degli anni Novanta ha permesso un ribaltamento dei ruoli, dove a “rincorrere” i possibili candidati sono le aziende e non più viceversa. La strategia dell’employer branding, si inserisce in questo contesto quale compito delle aziende di attivare politiche di attraction e soprattutto di retention.
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Un talento insoddisfatto dell’azienda è doppiamente problematico: nel lasciare il posto di lavoro priva l’organizzazione delle sue capacità e, una volta abbandonata l’azienda, è possibile che passi alla concorrenza o che attivi passaparola negativo, dannoso e difficilmente arrestabile. Il problema, dunque, non è solo attrarre potenziali talenti, ma anche trattenerli e renderli consapevoli del fatto che la struttura in cui operano li apprezza e mira ad una collaborazione duratura. Abbiamo più volte sottolineato che attuare la strategia dell’employer branding indica la capacità dell’azienda di avere le idee chiare, non solo sul work environment, ma anche sulla giusta valutazione dei propri candidati, al fine di attrarli con proposte interessanti e che possano essere mantenute. In questo discorso ho potuto ampiamente documentare, come il ruolo del Web 2.0 e di tutte le nuove tecnologie abbiano facilitato l’intero processo. Se l’accessibilità alle informazioni facilita il compito dell’azienda nell’avere un ventaglio più ampio di possibili dipendenti, è pur vero che mantenere costantemente aggiornate e disponibili tali informazioni è un compito troppo spesso trascurato e sottovalutato. Molte volte le aziende minimizzano l’importanza di un corretto utilizzo dei canali comunicativi. È invece fondamentale che il talent abbia un’idea precisa dell’azienda in cui andrà a lavorare, considerandola come la migliore in assoluto e la più rispondente alle sue esigenze. È importante che l’azienda rappresenti il top of mind per il potenziale dipendente di talento, con il duplice scopo di creare una forte corporate identity e di proporsi come la migliore tra le alternative possibili. A questo scopo è stato proposto nel secondo capitolo un excursus relativo alla brand image e brand equity: il brand aziendale come preciso motivo di scelta per un talento. Il caso tipico è quello di l’Oréal 144, dove quasi il 45%, degli studenti di marketing invia il curriculm, benché sia noto che a quasi nessun stagista venga rinnovato il contratto e che l’ambiente lavorativo non sia tra i migliori. Ma allora perché si è disposti a scendere a compromessi? I motivi possono essere: l’innalzamento del turnover e il desiderio di proporsi unicamente per il brand aziendale, che aiuta a migliorare il curriculum del candidato. Se il brand attira tanti talenti, cosa succede se al brand si unisce la condivisione della stessa vision
144
Dati forniti dall’Università Cattolica del Sacro Cuore nel corso delle lezioni dell’anno accademico 2009-2010.
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aziendale? L’analisi che ho proposto in questo elaborato vede lo studio di un caso inusuale. Ho scelto di abbinare l’attuazione della strategia dell’employer branding al caso del partito politico Popolo della Libertà. Attraverso un’intervista molto interessante ho potuto dimostrare come, in una realtà non propriamente classica, sia possibile applicare l’employer branding strategy. Il 17 maggio scorso, mi è stata concessa un’intervista all’Onorevole Antonio Palmieri, responsabile della comunicazione della sede di Milano di questo partito. Il fulcro della nostra conversazione è stato analizzare il partito politico seguendo un’ottica aziendale. Benché tale punto di vista non sia particolarmente gradito ad alcuni componenti del partito, è chiaramente riscontrabile che il PdL può essere considerato un “partito azienda” a tutti gli effetti. Le motivazioni possono essere fornite dal fatto che il suo fondatore, Silvio Berlusconi, nel formare nel 1994 l’allora Forza Italia si ispirò a Fininvest, proponendo il primo partito di matrice aziendale e dal fatto che un numero importante di talenti da Fininvest si sia trasferito a lavorare direttamente in Forza Italia. Nell’intervista è emersa la peculiarità del PdL come work environment caratterizzato da un basso turnover e da un alto livello di commitment da parte dei dipendenti. Scopo di questa trattazione è stato quindi di estendere il concetto di employer branding ad altre realtà, che non siano le mere aziendali. A tale proposito si potrebbero prendere in considerazione altri casi che possano offrire delle peculiarità interessanti, estendendo lo studio dell’employer branding ad altri ambiti, ad esempio al campo musicale. Mi riferisco, ad esempio, al caso del gruppo Celtic Women,che negli ultimi cinque anni ha visto tre talentuose soliste abbandonare il gruppo. Se rapportassimo il fatto ad una realtà aziendale, emergerebbe che la strategia di attraction è stata attuata con successo 145, ma che al contrario quella di retention è stata deficitaria, poiché i vari talenti hanno deciso di abbandonare il gruppo dopo un periodo relativamente breve. E’ auspicabile che la proposta di diversificare lo studio dell’employer branding strategy estendendolo ad altri contesti, possa trovare adeguate applicazioni nel futuro. Gli intenti sarebbero di fornire maggior completezza basandosi su differenti
145
Vengono inserite nel gruppo solo le migliori voci irlandesi.
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analisi, vista la flessibilità della strategy, ed al tempo stesso di rinforzare la consapevolezza dell’unicità della risorsa umana. L’individuo, inteso come risorsa di talento, che rimane tale oltre l’ambito aziendale e che merita un’analisi approfondita anche se inserito in altre realtà.
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