Ch창tillon
petite ville industrielle
© 2010 Hever Edizioni via San Nazario, 42 • 10015 Ivrea (To) I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento (fotografie e microfilm compresi) totale o parziale e con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi
Finito di stampare nel mese di aprile 2010 presso Musumeci SpA • Quart (Valle d’Aosta) Progetto e ideazione © Poetica del Territorio Centro Studi • Châtillon (Ao) Realizzazione grafica e impianti stampa Arti Grafiche Martinetto • Romano Canavese (To) Collana: Monografie - numero 1 Traduzione francese Silvia Franceschetti • Aurora Traduzioni
Assessorat de l’Education Assessorat de l’Education et de la Culture
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Realizzazione editoriale HEVER
e di Chât
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Assessorat des Activités Productives Assessorato Attività Produttive
Châtillon
petite ville industrielle
Testi e ricerche di Maria Vassallo Con la collaborazione di Cesare Dujany Maria Beatrice Feder Miriana Pession FotograďŹ e di Enrico Formica
Collana MonograďŹ e
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Indice
Prefazioni
pag.
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Introduzione di Maria Vassallo e Cesare Dujanyy
pag.
9
Una comunità in trasformazione di Maria Beatrice Feder
pag.
13
Uomini e fucine
pag.
31
Acque e territorio: un rapporto proficuo e duraturo
pag.
53
Il tempo delle industrie
pag.
101
Lanificio Guglielminetti
pag.
111
Acqua e energia elettrica
pag.
123
Infrastrutture
pag.
141
La Soie di Miriana Pession
pag.
155
Scenari per il futuro
pag.
183
Approfondimenti e Documenti di Maria Beatrice Feder e Maria Vassallo
pag.
193
Bibliografia
pag.
213
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I
n un momento di crisi generale, che da qualche tempo colpisce duramente anche la nostra comunità con gravi problemi di contrazione del mercato e della produzione, con la chiusura di attività produttive importanti che generano insicurezza, cassa integrazione e disoccupazione, potrebbe apparire quasi irriverente avviare una ricerca storica che vada a rispolverare i momenti epici e di forte trasformazione di una società prettamente rurale che si apriva ad una nuova realtà di tipo industriale. La rilettura del passato però ci permette di riscoprire, oltre alle situazioni nuove e di sviluppo che si andavano a creare sul nostro territorio, anche momenti bui che potrebbero paragonarsi agli attuali e dai quali con impegno e perseveranza i nostri avi sono riusciti ad emergere, come ci auguriamo succeda nuovamente oggi per le nuove generazioni. L’interesse per la riscoperta di quelle che furono le numerose attività artigianali o industriali del passato nasce soprattutto dall’esigenza di dare un’ulteriore occasione di rilancio al nostro Comune verso un turismo culturale interessato a rivisitare siti produttivi, un tempo di grande importanza, in un percorso archeologico che riporti alla luce ruderi, opifici, fabbriche, fucine, mulini, ancora presenti sul territorio. Naturalmente la ricerca storica è un primo passo verso la rivalorizzazione di un autentico patrimonio immobiliare e culturale che è nostro dovere recuperare con adeguati progetti funzionali, che lo rendano fruibile alle future generazioni. Un vivo ringraziamento vada quindi a coloro che hanno creduto in questa idea, che si sono impegnati per posare la virtuale prima pietra di una costruzione che richiederà parecchio tempo e soprattutto cooperazione ed investimenti mirati ad un restauro non sempre facile, alla rianimazione di attività e produzioni che necessitano di esperienza, conoscenze e ardori ancora sopiti. Grazie a Miriana Pession, enfant du pays, a Beatrice Feder, a Maria Vassallo, la quale forte della sua esperienza e dell’entusiasmo che la contraddistingue ha saputo coinvolgere in quest’opera tutti coloro che ha incontrato per carpire memorie, raccogliere testimonianze, rinvigorire ricordi sbiaditi di un passato mai dimenticato. Un grazie anche a Enrico Formica, le cui sontuose riprese fotografiche di panorami, siti e documenti ci introducono in questo mondo fantastico della ricerca; e come non ricordare infine Cesare Dujany, quel giovane novantenne che non perde occasione per stupire tutti per la sua lucida conoscenza della storia della nostra Regione e la chiara attualità delle sue innovative proposte. L’augurio più sincero è che, accanto ad un’attività di rivisitazione della storia dell’industria locale, trovino terreno fertile nel nostro Comune nuove attività produttive, per ridare vita e speranza ad un paese ora in difficoltà, affinché Châtillon possa ritornare a svolgere quel ruolo di petite ville industrielle (et culturelle) di un tempo. Giuseppe Moro, Sindaco 5
I
l presente volume vuole essere un contributo alla storia di una Comunità, come quella di Châtillon, che ha rappresentato storicamente il confine dell’espansione industriale della Valle d’Aosta, che aveva il suo inizio a Carema e Pont-Saint-Martin. E questo libro ne è la conferma, poiché nulla di simile con tale intensità è individuabile in altri comuni della Valle. “Châtillon, petite ville industrielle” è un’opera minuziosa e dettagliata, nata con l’intento di focalizzare l’attenzione del lettore su di un periodo storico importante, foriero di grandi cambiamenti, soprattutto economici, ma anche sociali, culturali e politici. E così si scopre una Comunità alle prese con le trasformazioni dell’Ottocento e del Novecento: una realtà che faceva dell’agricoltura la sua fonte primaria e che con il tempo si trovò a diventare uno dei centri industriali della Valle. Con ricadute sociali anche importanti: da un lato, con l’introduzione di nuovi posti di lavoro e, dall’altro, con l’abbandono in parte della dura attività dei campi per affrontare una nuova sfida nella fabbrica. Il libro ci propone, quindi, uno spaccato di una zona della nostra regione che nel tempo ha svolto una sua precisa funzione nella fase dello sviluppo siderurgico. Una fase contrassegnata da un’espansione generale, con aumenti occupazionali, nuove infrastrutture, una diversa cultura, più moderna e improntata ai nuovi aspetti socio-economici. È cresciuta così una Comunità che ha vissuto le trasformazioni positive e negative, i momenti di sviluppo come i periodi di difficoltà. La visione di questo mondo in evoluzione è ben riportata dal volume, grazie alla ricerca meticolosa svolta negli archivi storici e alle testimonianze umane e di immagini che ci regalano un volto nuovo di Châtillon, del suo vissuto e della sua metamorfosi. Un plauso va, quindi, all’autrice e ai collaboratori, che si sono prodigati nel far “rivivere” tanti anni e tante situazioni, per conservare nella memoria emozioni e fatti, che sono poi le fondamenta dalle quali trae spunto il presente. Alberto Cerise Presidente del Consiglio regionale della Valle d’Aosta
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D
ans sa Tsanson dou Pay, l’abbé Joseph-Marie Henry (1870-1947) écrivait à propos de Châtillon: Veide-vò lé? L’est Tsateillon! / Petsouda veulla, gran renon!! / De seya, leur, son tot flourà; / N’en mandon vià a vagonnà! Il entendait ainsi mettre l’accent sur la vocation industrielle de cette petite ville, à l’entrée du Valtournenche, là où le Marmore se jette dans la Doire. Châtillon était connue pour son activité sidérurgique dès le Moyen-Âge, jusqu’à ce que celle-ci commence à décliner, au XIX Xe siècle, et ce, même si l’on ne peut parler d’une véritable industrie qu’à partir du début du XX Xe siècle, avec l’implantation de la fabrique de soie. Et cette époque coïncide précisément avec de profonds bouleversements du point de vue démographique, social et donc culturel: l’on assiste à des mouvements migratoires liés à de nouvelles formes d’activité et à une modification du train de vie. L’on commence alors à percevoir le passage graduel de la société agro-pastorale traditionnelle à un type de société industrielle. Les fabriques de soie, puis de laine, telle l’usine Guglielminetti ont, comme les forges et les moulins avant elles, connu des périodes de crise qui les ont obligées à fermer leurs portes, mettant ainsi fin à un chapitre capital de l’histoire récente de Châtillon. Ce serait une erreur que de poser, sur les vestiges de ce passé glorieux, ou du moins prospère, le regard nostalgique du passéiste ou que de songer à la muséification des sites au sens traditionnel du terme. Mieux vaudrait faire revivre ceux-ci de façon dynamique, non seulement par le biais de la récupération des structures, de l’outillage et des anciens savoir-faire, mais aussi par l’analyse de leurs composantes socio-culturelles et ethno-anthropologiques en faisant appel à la mémoire des protagonistes ou aux archives. Il n’est évidemment pas envisageable de redonner à ces lieux de la mémoire leur rôle primitif. Ils se prêteraient plutôt à une valorisation culturelle et pourraient présenter un intérêt touristique, ce qui permettrait de les réinsérer de plein droit dans les activités économiques de la commune. Car il s’agit là d’un patrimoine qui doit être sauvegardé à tout prix et qu’il est opportun de faire revivre pour le restituer à la communauté de Châtillon et à la Vallée d’Aoste tout entière. La restitution est l’un des objectifs prioritaires de l’Assessorat de l’éducation et de la culture, mais sa concrétisation sur tout le territoire régional passe nécessairement par des campagnes de sensibilisation et la création de synergies avec les communautés locales. Dans cette optique, la publication «Châtillon, petite ville industrielle», qui constitue un exemple éloquent de ce que nous souhaitons faire, ne représente que la première d’une série d’actions concrètes et ciblées destinées à s’amplifier au cours des années à venir. Laurent Viérin Assesseur à l’éducation et à la culture de la Région autonome Vallée d’Aoste
Ennio Pastoret Assesseur aux activités productives de la Région autonome Vallée d’Aoste 7
Ringraziamenti
Un’opera che affondi le proprie radici nella storia di un territorio deve ricorrere alla memoria e ai documenti di molte persone. Autori ed Editore esprimono la loro riconoscenza a quanti hanno messo a disposizione tempo, materiale e competenze, e qui vivamente si ringraziano: Eddie Aquilina Sergio Artaz Antonio Bertallot Barbara Bonetti Letizia e Marisa Burgay Yves Burgay Alfred Camilleri Victor Camilleri Dario Ceccarelli Don Paolo Chasseur Silvano Chevron Marcello Christillin Antonietta Cislaghi Daria Covolo Jean-Claude Daudry Aldo De Simone Luigi Di Pilato Alice Dolci Faustino Dujany Carlo Fosson Riccardo Gallo Pecca Concetta Gallucci Aldo Gaspard Ornella e Tiziana Guglielminetti Alessandro Guida Sergio Masini Luciano Mazzanti Abele Meynet
Luca Minini Renzo Navillod Roberto Nicco Luigi Personettaz Teresa Piccolo Victor Ragonesi Giuseppe Ramolivaz Cristina Rore Diodato Rubbo Bruno Sarvadon Romano Sarvadon Eugenio Serra Ivo Sudaz Anna Maria Torreano Giovanni Torreano Carlo Vancheri Nicola Vassallo Stefania Vassallo Archivio Parrocchiale di Châtillon Archivio Notarile di Aosta Archivio di Stato di Torino Archivio Storico Intesa Sanpaolo Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon CVA Compagnia Valdostana delle Acque Il Contato del Canavese Laboratorio Colorprint Parrocchia di Arvier SAV Società Autostrade Valdostane
Sigle e abbreviazioni: ACCH – Archivio Comunale di Châtillon ANA – Archivio Notarile di Aosta ASIS – Archivio Storico Intesa Sanpaolo
AST – Archivio di Stato di Torino sd – senza data – angolo di ripresa (da 150° a 360°)
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Introduzione
N
el 2001 venne pubblicato il libro Châtillon in età moderna nel quale venivano presentati i risultati di una lunga e complessa ricerca sulla storia di Châtillon nel periodo compreso tra XV e XVIII secolo. Si trattava di una prima fase di lavoro-indagine negli archivi che si fermava alle soglie dell’età contemporanea, periodo di grandi cambiamenti politici, istituzionali, ma anche economici e culturali. La fase finale dell’età moderna per la storia generale segna il passaggio dal sistema feudale alle grandi trasformazioni economiche e sociali (v. nascita dell’industrializzazione) e avvia il processo di formazione della società di massa. Per Châtillon è un periodo di grande vitalità: lo sfruttamento delle miniere di ferro impone la costruzione di fucine e forge per la lavorazione del minerale; le riforme economiche ed amministrative emanate dal Regno di Sardegna fanno di Châtillon una piccola capitale dei servizi e degli uffici del Dipartimento: l’ufficio dell’Insinuazione, le Poste, il Banco del sale. Ne conseguì la necessità di adeguare le strade, i ponti, gli edifici pubblici alle nuove esigenze: di fatto tra gli anni 1760 e 1780 ebbe inizio una fase di grande rinnovamento urbanistico. Si rendeva perciò necessario riprendere la ricerca focalizzando l’attenzione sugli aspetti economico-sociali della comunità châtillonaise, poiché quelli più squisitamente istituzionali avrebbero seguito inevitabilmente le sorti dell’intero territorio nazionale e Châtillon avrebbe perso le sue specificità di piccola capitale dei conti di Challant. Ma non solo... Otto e Novecento sono stati secoli di trasformazione economica radicale e talvolta violenta. Alcune aree sono state
convertite ad uso industriale, sono state costruite imponenti infrastrutture: ferrovia, stazione, centrali idroelettriche hanno dato al paesaggio un volto nuovo, sovrapposto irreversibilmente a quello preindustriale che per lunghissimo tempo aveva accompagnato e determinato la vita degli châtillonais. La seconda fase di ricerca, avviata due anni fa circa, ha messo quindi in evidenza la crisi epocale e drammatica della siderurgia locale, nella seconda metà dell’Ottocento, ricalcando inesorabilmente la crisi più generale dell’intera Valle d’Aosta e dello stato sabaudo stesso. La petite ville industriellee – così l’aveva definita Frutaz a proposito dell’attività siderurgica dei Gervasone – potè contare sulla presenza di una vera grande industria solo nel primo Novecento, quando la Soie s’insediò nell’area attigua alla ferrovia e al corso della Dora, nella prospettiva di sfruttarne le risorse idriche per il funzionamento dello stabilimento e di rendere agevole il trasporto, in entrata delle materie prime, in uscita della produzione. Fu certamente un passaggio determinante nella vita della comunità: migliaia di operai, soprattutto giovani donne, giunsero in paese con le speranze di tutti gli emigranti, la più importante delle quali era senz’altro il miglioramento delle proprie condizioni di vita allo scopo di assicurarsi un avvenire meno stentato di quello che si prospettava loro nelle località di provenienza. Ma il momento di cesura, tra un passato rurale – nel quale agricoltura e allevamento erano le basi economiche – e un’epoca di rinnovamento e di trasformazione radicale, si verificò nel secondo dopoguerra. 9
La rete stradale interna al territorio comunale, collegata all’autostrada, provocò il reale cambiamento: terreni di ottima qualità vennero sottratti all’agricoltura per fare posto allo svincolo autostradale; i piccoli e numerosi villaggi della collina vennero collegati tramite comode strade al centro urbano e alle grandi vie di comunicazione. Ne conseguì un processo di dispersione e di omogeneizzazione delle piccole comunità tradizionali. Queste, che avevano raggiunto e mantenuto per lungo tempo una discreta autonomia, si organizzavano in forme consortili per le attività basilari, come la molitura del grano e dei cerali, l’uso delle acque per l’irrigazione, la gestione dei forni, e trovavano nel Borgo i servizi, gli uffici, il commercio, i liberi professionisti, soprattutto il mercato e le fiere che erano da sempre centro vitale e luogo d’incontro per tutti, anche per coloro che provenivano dai Comuni limitrofi. Le piccole comunità si trovarono ad abbandonare progressivamente, nella seconda metà del Novecento, le loro consuetudini e finirono per adottare uno stile di vita “moderno”, tipico dell’età industriale. Il mondo ben integrato e complementare, in cui gli uni avevano bisogno degli altri, e la solidarietà di vicinato era un valore essenziale per mantenere in vita l’intera comunità, cominciò a sfaldarsi. In un primo momento si creò una situazione di apparente stabilità che coniugava l’occupazione agricola con quella industriale: la figura dell’operaio-agricoltore s’impose come compromesso e anello di congiunzione tra i due mondi. Con il ricambio generazionale, l’attività agricola non fu più preminente nell’economia di Châtillon. Se la generazione degli operai-contadini conobbe e accettò il lavoro in fabbrica per migliorare la propria condizione sociale ed economica, le generazioni successive trascurarono progressivamente la vita di campagna acquisendo una cultura cittadina, urbanizzata e omologata alle nuove tendenze. 10
Fu quindi la presenza della grande industria a modificare la mentalità châtillonaise: le stesse operaie, che numerose giungevano in paese, non incisero sostanzialmente sul sistema delle relazioni parentali e sociali; spendevano la propria vita tra la fabbrica e il convitto, e se alcune si sposarono a Châtillon, molte si accasarono altrove, altre ancora tornarono alle loro case nei periodi di crisi. A distanza di circa trent’anni dalla chiusura dello stabilimento Soie e dal periodo della crisi generale dell’industria, si può constatare come l’elemento naturale che ha reso possibili tanti cambiamenti strutturali – in molti casi sembravano irreversibili e definitivi – sia ancora una volta l’acqua, libera di correre nei torrenti, oppure imbrigliata nei canali, nelle tubazioni, nei bacini idroelettrici. L’acqua è ancora oggi un problema, una necessità, una risorsa. Non solo l’agricoltura e l’industria hanno responsabilità nell’inquinamento idrico; lo stesso turismo consuma, inquina, distrugge. Il Marmore, il torrente che tanto ha dato alla comunità di Châtillon e ancora si offre ai passanti e ai turisti nelle sue vesti stagionali, una più suggestiva dell’altra, è sormontato da ben cinque ponti poco distanti tra loro. Essi sono il simbolo delle grandi trasformazioni: per dieci secoli il ponte romano ha permesso i transiti dell’intera Valle d’Aosta, sopportando carichi di ogni tipo; poi venne sostituito da un ponte seicentesco, che ne ricalcò le funzioni di collegamento tra il Borgo e Chameran, e di raccordo della Strada Reale; quindi nel 1766 venne innalzato un ponte nuovo, ardito e maestoso, che rendeva più agevole il passaggio della Grande Routee sul Marmore, e in epoca più recente il ponte della circonvallazione. Infine, il ponte sull’autostrada, simbolo di modernità e di ancoraggio a questo nostro presente in perenne movimento.
I documenti La ricerca è stata condotta in gran parte nell’Archivio Storico del Comune; qui sono conservate solo alcune tracce della storia siderurgica, relative ai problemi che via via sorgevano per la gestione dei boschi. È risaputo che il taglio eccessivo di piante per produrre carbone e per alimentare forni e fucine portò gravissime conseguenze, tra cui la necessità di trasferire altrove la lavorazione del minerale. Il Consiglio Comunale doveva poi occuparsi della gestione delle risorse idriche. Così troviamo frequentemente atti consiliari inerenti alla regolamentazione delle acque, dei corsi naturali e dei canali, alla loro manutenzione e distribuzione agli aventi diritto. Fucine e forge rappresentavano solo una parte, e non quantitativamente significativa, delle attività economiche di Châtillon, che per la quasi totalità della popolazione attiva consisteva nel lavoro agricolo e pastorale. Altro materiale di entità ragguardevole concerne la vita sociale del Comune, in special modo il movimento della popolazione in corrispondenza dell’apertura di grandi cantieri industriali e per l’avvio di attività produttive che richiedevano manodopera. Più numerosi sono i documenti conservati presso l’Archivio Storico Regionale di Aosta, ma il Fondo Challant a cui si fa riferimento termina nel primissimo Ottocento; altro materiale è conservato presso l’Archivio di Stato di Torino, particolarmente utile alla ricostruzione della fase finale dell’avventura mineraria e metallurgica di Châtillon. Per ricostruire la prima fase della storia della Soie è risultata particolarmente preziosa ed efficace la consultazione delle carte depositate presso la sede milanese dell’Archivio Storico Intesa SanPaolo. Vi si trovano documenti relativi alla fondazione della società e ai primi anni di attività, con particolare riguardo alla situazione internazionale del mercato delle fibre tessili artificiali. Un altro approfondimento ha preso invece
in considerazione gli anni Sessanta e lo sviluppo della rete internazionale della Soie: il caso maltese è molto ben documentato negli Archivi del Partito Nazionalista Maltese attraverso le pagine della rivista Ir-Review w per gli anni 1963 e 1964, e presso la National Library nelle pagine del Times of Malta dell’anno1964. Alcuni materiali di studio, inediti e di particolare importanza per lo svolgimento della ricerca storica, sono riproposti nell’ultima sezione di questo libro, alla voce “Approfondimenti e Documenti”.
Ricerca storica e fotografica Lo sviluppo della ricerca non ha preso in considerazione solo le carte e la documentazione d’archivio. Sono state intervistate le persone che hanno vissuto direttamente le vicende dell’industria châtillonaise, e che hanno raccontato la loro esperienza lavorativa attingendo ad una memoria autobiografica ancora molto viva e ricca di particolari. A completamento della ricerca, sono stati sentiti anche i protagonisti attuali che, pur nel mutato scenario economico e con le innovazioni tecnologiche del presente, proseguono la loro attività sul solco tracciato dai loro predecessori. L’impianto di questa pubblicazione nasce dalla convinzione che la storia narrata e argomentata abbia bisogno di dialogare costantemente con le immagini dei luoghi e dei soggetti di cui si parla. Pertanto la ricerca si è indirizzata verso la costruzione di un repertorio di immagini in cui si accostano vecchie e nuove rappresentazioni del territorio. Cartoline e fotografie del primo Novecento aprono i capitoli; le moderne riprese fotografiche illustrano la realtà attuale e ne mettono in evidenza le trasformazioni. Si tratta quindi di una documentazione estremamente variegata, di facile e immediata fruizione, volta a snellire il racconto storico e a renderlo gradevole e comprensibile. 11
Châtillon ma terre natale! Louis Dubouloz
Les eaux bruyantes du Marmore Inspirent les Châtilloneins Et chantent de leur voix sonore Ses ponts, ses attraits riverains: Les prés, les vignes, les collines, Les promontoires, les forêts, Et le Zerbion qui les domine Avec son alpe et ses chalèts; Et la bourgade si coquette Qui monte tout en serpentant, Toujours gaie, toujours proprette, Hospitalière à tout venant; Et le grand pont fait à plein ceintre Perché sur le gouffre béant, Tenant les bords dans son écreinte Avec sa croupe de géant; Le clocher à flèche élancée Dont les suaves carillons Font résonner dans la Vallée Joies et pleurs de Châtillon. En maints lieux des masses gisantes D’un marbre de grande valeur Offrent leurs teintes verdoyantes Aux yeux ravis du voyageur. Sur le penchant de la colline S’étalent de nombreux hameaux Entourés de terres opimes Sur des tertres riants et beaux. Partout ton riche territoire A des sites délicieux Où les gais amis viennent boire De ton bon vin nectar des Dieux. Membres de la philarmonique Nos virtuoses musiciens Aux manifestations civiques Sont l’orgueil des Châtilloneins.
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A nos pompiers pleins de bravoure Toute eau convient à leur emploi, Mais contre la soif ils recourent A la fontaine des Trois Rois. [...] Dans une époque reculée Chaméran eut un grand renom Et Hugonin sa renommée En fondant les premiers canons. Voyez-vous là-bas dans la plaine? C’est «La Soie» en activité, La rude voix de la sirène Y donne un entrain de cité. Sur les bords rocheux de la Doire Le vétuste chateau d’Ussel Surplombe avec son ombre noire Et ses crénaux lancés au ciel. Et tout en haut à Bellecombe De séculaires chataigners Étendent leurs épaisses ombres Sur la pelouse des vergers, Offrant leurs fruits aux gais convives Quand vient la fête de Toussaint Avec la bricià si exquise Qu’on arrose avec du bon vin. A Glereyaz hameau champêtre Dans la belle saison d’été L’abeille intelligente aprète Un miel exquis et parfumé. [...] Coulez coulez eaux du Marmore Raccontez-nous les faits d’antan, Coulez toujours, coulez encore Pour les redire à nos enfants. Oh Châtillon! terre chérie! De tes enfants heureux séjour! Tu es leur petite Patrie Qu’ils aiment de tout leur amour!
Una comunità in trasformazione
L’occupazione francese e l’età napoleonica
P
rima di iniziare l’analisi della storia economica e sociale di Châtillon, può essere utile fermare l’attenzione sui più importanti eventi politici della fine del XVIII e dell’inizio del XIX secolo; possiamo così notare come gli sconvolgimenti che hanno accompagnato la Francia e l’Europa alla fine dell’Ancien Régime siano giunti prepotentemente anche nella nostra Regione con l’occupazione militare francese del 1798, cui seguono l’abdicazione del re e la formazione a Torino di un governo provvisorio, e con la prima “Révolution des Socques” nel 1799, seguita da una breve restaurazione. Analogamente è convulso e dirompente l’inizio del 1800, con il passaggio nella Regione dell’Armata napoleonica nel mese di maggio e, nel 1801, con la seconda “Révolution des Socques”, che prende l’avvio con l’abbassamento delle campane di Châtillon, in seguito all’ordine di requisizione delle stesse e della loro fusione per recuperare il bronzo. Certamente Châtillon e il suo Comune risentono profondamente della situazione di radicale cambiamento e ne sono profondamente impressionati, come appare anche dalle parole di uno dei suoi più conosciuti (anche se non più fortunati) cittadini, Claude François Bich1. Nipote del celebre Pantaléon, l’“architetto di Châtillon”, che aveva ospitato Napoleone nel 1800 e che aveva altresì subito le ire popolari durante la seconda “Révolution des Socques”, Claude François nutre sentimenti fortemente lealisti verso la monarchia sa-
bauda e, anche se non è diretto testimone dei fatti rivoluzionari che racconta, manifesta ancora una profonda emozione quando, più di mezzo secolo dopo, descrive l’occupazione francese e alcuni dei suoi momenti più significativi, per esempio la distruzione dei titoli feudali dei conti di Challant. A proposito della Repubblica Francese egli scrive: «A cet effet elle envoya des hommes au Chateau de Châtillon pour en emporter toutes les patentes, parchemins, livres de censes, investitures, lettres etc. et les brûler tous sur la place publique. Les délégués républicains revenus du Chateau de la Maison des Comtes de Challant apportèrent neuf gros paquets contenants 150 pièces qui furent brûlées sur la place devant la Garde Nationale armée et aux chants de la Marseillaise. Quoique les délégués à cette indue spoliation illégale contre un Comte devenu citoyen comme quelconqu’autre sans perdre le
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1. Claude François Bich (18171888) fu autore di numerosi manoscritti. In particolare sulla storia di Châtillon si ricordano Mémoire ou notices historiques sur Châtillon et le Mandement par François Bich (…), conservato nella biblioteca del Seminario Maggiore di Aosta, e Notes historiques sur Châtillon et son Mandement, augmentées et corrigées, après la première mémoire historique (…), conservato nella parrocchia di Châtillon.
Cartolina di Châtillon (sd). Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
Claude François Bich (Châtillon 1817-1888) Testimone diretto delle vicende di Châtillon nel XIX secolo e autore di due manoscritti sulla storia della cittadina e del suo circondario è Claude François Bich, terzo figlio dell’avvocato Victor e nipote del grande Pantaléon, stimato Sindaco della cittadina. Nato il 25 giugno 1817 a Châtillon, Claude François è cresciuto ed educato con la sorella Marie Victoire Joséphine e il fratello Félix Pantaléon, ai quali un profondo affetto lo lega per tutta la vita. Di salute cagionevole fin dall’infanzia, egli è colto e sensibile all’arte, in particolare al disegno, e riproduce nei suoi libri in numerose illustrazioni i castelli di Ussel e Châtillon, il ponte romano, le chiese. Tra i suoi interessi prevale la storia, a proposito della quale egli lamenta la dolorosa oscurità di certi periodi antichi e auspica la continuazione delle sue ricerche, fatta magari da qualcuno più fortunato, ardito e istruito e con la possibilità di accedere agli archivi. La sua posizione politica è improntata al più sentito lealismo nei confronti di casa Savoia, per la quale la Valle d’Aosta è sempre stata la figlia beneamata. Egli è inoltre rigorosamente conservatore, rispettoso dell’autorità e profondamente devoto e religioso. Laudator temporis acti egli prova un forte rimpianto per la Châtillon di una volta, quando c’erano personaggi più dotati e più validi, rifiuta ogni ideologia più o meno democratica e l’esprit nivelleur dei tempi moderni; in particolare si scaglia contro la rivoluzione e l’occupazione francese, condannandole duramente e deridendo la pretesa di portare una libertà vexante et étrangère. I contrasti che oppongono il padre Victor, a proposito di alcuni diritti feudali sulle miniere della famiglia, all’ultima contessa di Challant in una serie di processi costano al primo più di 200.000 franchi e contribuiscono al suo fallimento. Claude François, insieme alla sua famiglia, è travolto dal disastro e dai debiti e, alla morte del padre nel 1847, è costretto a lasciare l’antica abitazione, a trasferirsi in case sempre più modeste, subendo le umiliazioni della povertà. Eppure in questi anni, quando diventa un problema anche trovare la carta per scrivere, egli si dedica alla stesura della storia della sua famiglia e della cittadina, oltre che alla “costruzione” dell’Abrégé du paroissien roman, libriccino da lui scritto, cucito e rilegato, contenente preghiere in quattro lingue (latino, francese, italiano e tedesco), salmi, immagini di santi e delle quattordici stazioni della Via Crucis, tratte da un libro di preghiere del padre. Si tratta certo di un ricordo della felicità e dell’agiatezza ormai perdute definitivamente: nel corso degli anni, infatti, le condizioni economiche sono diventate sempre più difficili, tanto da indurre i superstiti dell’antica famiglia a chiedere aiuto alla Congregazione di Beneficenza, che fornisce otto lire annuali ai tre fratelli Bich dal 1871 fino alla morte dell’ultimo dei tre, Claude François, il 1° febbraio 1888.
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droit de posséder ce qui lui appartient ont eu cependant soin de faire un choix et de laisser au chateau ce qui était plus précieux. Cependant en diverses circostances postérieures, tant la Commune que les particuliers n’ont point pu trouver à l’Archive du chateau les actes dont ils avaient besoin, grâce à la ballordagine (sic) des Républicains». Per analizzare la vita di Châtillon nel periodo napoleonico, possiamo fare riferimento a due significativi documenti, presenti nell’Archivio Storico Comunale: - l’État contenant les renseignements sur la Commune de Châtillon2 (chef lieu de Canton, arrondissement d’Aoste), del 1° ottobre 1808, redatto dal Sindaco, il notaio Antoine Sulpice Jans, e contenente indicazioni sulle attività economiche praticate (in particolare manifatture e fabriques), sullo stato dei boschi e sulle infrastrutture, ponti e strade; - l’État de Population3, dello stesso anno, un censimento degli abitanti a cura del Sindaco, aiutato dal percepteur des contributions M. Morettaz per la parte relativa agli abitanti di Promiod4. Questi due documenti sono nello stesso tempo un’importante fonte d’informazioni sulla condizione economica e sociale, oltre che sulla composizione della popolazione del Comune, e il segno dell’attenzione con la quale l’amministrazione francese si preoccupa di conoscere le condizioni del paese. Tutta la Valle d’Aosta infatti, in seguito al decreto del primo console Napoleone Bonaparte, l’11 settembre 1802 è stata annessa alla repubblica francese; per la precisione essa è compresa nel dipartimento della Dora; quest’ultimo è stato creato nel 1801 e suddiviso a sua volta nei tre arrondissements di Ivrea, capoluogo del dipartimento, Chivasso e Aosta. Nel periodo successivo, dopo la proclamazione dell’impero napoleonico nel 1804, la Valle d’Aosta, il Piemonte ed altre regioni del nord
e del centro Italia entrano a far parte dell’Impero francese. Nel 1808, al momento della stesura dei due documenti citati sopra, il dipartimento della Dora è guidato dal Prefetto Auguste Jubé de la Perelle5, l’arrondissement di Aosta invece è sottoposto all’autorità del Sottoprefetto, Jean Laurent Martinet6. Stando alle dichiarazioni dell’État contenant les renseignements sur la Commune de Châtillon, il Comune all’inizio del XIX secolo attraversa un momento di crisi. Il Sindaco ne attribuisce le cause all’eccessivo prezzo di cuoio e pelli, il cui costo è di recente aumentato di due terzi rispetto al passato con conseguenti gravi problemi per le due concerie del Comune, e del carbone, indispensabile alle fabbriche per la fusione della ghisa. Simile è la situazione per tutte le attività manifatturiere, anche per le quattro fucine che producono gli strumenti per l’agricoltura e alle quali sono strettamente legate sei piccole officine che producono chiodi. Il Sindaco infine denuncia l’assoluta mancanza di capitali, «très rares, tellement qu’on ne trouve pas à emprunter même en payant le 18%». Un bell’interesse per i prestatori di denaro! Egli non indica le ragioni della penuria di denaro, ma non è difficile immaginare che il prelievo fiscale, enormemente aumentato in Valle d’Aosta durante il periodo napoleonico, e i mancati rimborsi alla Regione per le spese di guerra abbiano influenzato negativamente anche la situazione del Comune. Gli occupati nelle manifatture sono poco numerosi e in diminuzione rispetto al passato. Nelle due concerie, «où l’on y travaille les cuirs, les veaux et quelque peu de chamoiserie», sono rimasti solo cinque operai (tre in una e due nell’altra), mentre solo l’anno precedente esse ne impiegavano fino a venti (quindici la più grande e cinque la più piccola). In sintonia con quanto accade in tutta la Regione, che vede i primi sintomi di ripresa per la metallurgia a partire dal 1806, un po’
migliore è la situazione delle officine metallurgiche, tra le quali il Sindaco Jans ricorda la fabriquee situata a Conoz del maître de forge Bartolomeo Gervasone, residente a Chameran con la sua numerosa famiglia, alla quale si aggiungono quattro domestici e sei operai. Nell’analisi sulle attività esercitate nel Comune non sono, invece, citati imprenditori della famiglia Bich, che tanto ha dato alla metallurgia locale nel secolo XVIII. Morto infatti Pantaléon Bich nel 1801, mancato l’anno seguente anche il suo primogenito Jean Jacques, è rimasto solo il secondogenito Victor Joseph, padre di Claude François, il futuro “storico” di Châtillon. La mancanza di riferimenti alla famiglia Bich, in un’indagine sullo stato della metallurgia a Châtillon, si può forse spiegare con il fatto che Victor Bich non vive nella cittadina, ma preferisce esercitare l’avvocatura a Torino; pertanto egli non segue le orme paterne ed ha costituito una società di gestione con il notaio Jean Baptiste Defey e con Pantaléon Luboz, anch’egli notaio. La società Defey et Compagnie inoltre non opera a Châtillon, bensì in Valle d’Ayas, a Verrès, Hône, Saint-Barthelémy, e questo spiega forse l’esclusione dal censimento. In tutto il Comune il numero dei lavoratori nelle officine metallurgiche è comunque in crescita di alcune unità rispetto agli anni precedenti ed è costituito, nel 1808, da tredici operai7 e una quindicina di colporteurs di carbone. Essi fondono la ghisa, lavorano il ferro e producono per il governo baguettes de fusil (canne di fucile), attività che il Sindaco segnala come innovativa per quanto riguarda i procedimenti di produzione. Gli addetti alla metallurgia, grazie alla loro utilità e al loro numero esiguo, causato dalla «difficulté d’en trouver qui vient toujours plus grande», sono i dipendenti meglio pagati; infatti, guadagnando 1 franco e 50 centesimi al giorno, il loro salario è il doppio di quello percepito dai conciatori (75 centesimi per die15
2. ACCH, Serie II, 20, 10. 3. ACCH, Serie II, 21, 1. Il testo citato contiene il censimento delle famiglie del Borgo di Châtillon e di Chameran. 4. ACCH, Serie II, 21, 1, Consigne du quartier de Promiod du 15 janvier 1809. Nel medesimo volume e fascicolo sono presenti i dati delle popolazioni di Promiod, Ussel e Bellecombe, invece l’ État de la population du quartier de Nissod è conservato nel volume 20, fascicolo 9. Da questi documenti sono tratte le informazioni sul nome, la località di residenza, la condizione di famiglia e la professione degli abitanti del Comune. 5. Auguste Jubé de la Perelle diventa Prefetto del Dipartimento della Dora nel 1808; egli è in quel momento adjudant-Commandant, Commandeur de la Légion d’Honneur, Chevalier de l’Empiree ed è un funzionario abile e certo molto devoto all’Imperatore, che lo ricompensa nominandolo Baron de Perelle. Nel 1813 abbandona l’incarico, diventando Prefetto del Gers. Continua poi la sua carriera durante la Restaurazione e diventa Maréchal de camp. 6. Jean Laurent Martinet è Sottoprefetto dell’arrondissementt dal 1801 al 1810. 7. Grazie all’État de Population fait en exécution de l’arrêté de Monsieur le Prefet du 29 décembre 1808 citato, si può risalire al nome dei lavoratori nelle forge residenti nel Borgo e a Chameran nel 1808. Si tratta di Cerutti Jean, garçon de forge, Marcoz Nicolas, Marcoz Baptiste, Marcoz Pierre, forgerons, tutti residenti nel Borgo. Risiedono invece a Chameran Gaspard Jean Martin, forgeron, che ospita a casa sua, con la sua famiglia, due garçons de forge di cui non si fa il nome, e i sei operai che compaiono insieme alla famiglia di Bartolomeo Gervasone.
Prezzi delle derrate nel 1808 Frumento
Segale
Mais Riso
Castagne
Castagne secche
Mine
Burro
Grassi
Libbra
Uova
Olio di noci
Patate
Dozzina
Libbra
Mine 1
7,30*
2,85
3
7,50
2,50
0,95
0,50
0,25
0,25
0,45
7,75**
2,75
2,60
7,25
2,50
0,90
0,50
0,25
0,25
0,45
* prezzi del mese di florile ** prezzi del mese di pratile
ci ore di lavoro) e più del triplo di quelli degli addetti alle fucine (10 /12 franchi al mese). I commerci dei prodotti però sono scarsi, la produzione manifatturiera di Châtillon è volta a coprire le richieste dell’arrondissementt o al massimo è venduta in Piemonte come presumibilmente quella agricola, della quale però purtroppo il Sindaco non indica la quantità, ma solamente i prezzi delle derrate più comuni (tra i cereali ci sono segale, orzo, avena, mais, frumento; tra i prodotti di origine animale uova e burro, infine patate e castagne), annotando anche in alcuni casi le differenze tra i prezzi del mese di florile (che corrisponde al periodo compreso tra il 22 aprile e il 22 maggio) e quelli del mese di pratile (che va dal 22 maggio al 22 giugno)8.
8. Il calendario rivoluzionario francese è adottato dalla Convenzione il 5 ottobre 1793 ed entra in vigore dal giorno successivo. Il 22 settembre 1792, il giorno seguente alla proclamazione della Repubblica Francese e all’equinozio d’autunno, diventa il primo giorno dell’anno I, inizio di una nuova era della libertà che si vuole sostituire all’era cristiana. Il nuovo anno è diviso in 12 mesi, tutti di 30 giorni e divisi in tre decadi; i loro nomi sono vendemmiaio, brumaio, frimaio, nevoso, piovoso, ventoso, germinale, florile, pratile, messidoro, termidoro, fruttidoro.
Per quanto riguarda il numero e la condizione degli abitanti dell’intero Comune, bisogna fare riferimento al secondo dei documenti redatti nel 1808 e cioè all’État de Population, che permette di giungere alla stima di 1.925 anime residenti nelle varie località: 636 nel Borgo, 150 a Chameran, 344 a Nissod e nei villaggi limitrofi, 434 a Promiod e dintorni, 161 a Bellecombe e 200 a Ussel. Bisogna però premettere che dobbiamo prendere questa cifra con qualche cautela, perché talvolta i dati riscontrati presentano imprecisioni o errori, segno delle evidenti difficoltà che hanno incontrato i compilatori del censimento, che del resto ne sono consapevoli tanto che dichiarano di compiere il loro lavoro avec toute exactitude possible. 16
Un altro limite del Recensementt risiede nel fatto che purtroppo, secondo un’abitudine che si ripete anche negli anni successivi, sono indicate solo le professioni degli abitanti del Borgo e di Chameran, mentre per quanto riguarda le altre frazioni non si indica quasi mai (se non in rarissime eccezioni) l’occupazione dei residenti, quasi come se fosse scontato che essi possono praticare esclusivamente l’agricoltura. Inoltre è sempre e solo specificata l’attività del capofamiglia maschio e ciò riduce molto la possibilità di conoscere meglio la composizione socio-economica delle famiglie degli châtillonnais, perché nel caso di famiglie in cui il capofamiglia sia una donna, nubile o vedova, nessuna informazione viene fornita. Fatte tutte le precedenti premesse, forse noiose ma necessarie, si può dire che dei 786 censiti nel Borgo e a Chameran conosciamo la professione di circa 157 abitanti. Tra di loro, come scrive il Sindaco Jans, ci sono tredici operai nelle fabriques e cinque conciatori; tutti gli altri esercitano mestieri legati all’agricoltura (18), al commercio (12), alla ristorazione (12), a vari settori dell’artigianato, come l’alimentazione (6), l’abbigliamento (7), l’edilizia (5), solo per citare i più numerosi. C’è inoltre un numero esiguo, ma significativo di liberi professionisti: un avvocato, due notai, Luboz e Antoine Pellissier, il farmacista Jean Baptiste Favre ed alcuni altri impiegati legati a vario titolo alla giustizia e all’amministrazione, l’huissierr Alexandre Chandiou, i due greffiers de justicee Bouteille
e Perron, un officier municipal, Gaspard Jean André, e l’officier de santéé Tarella. È dunque innegabile che l’amministrazione francese si interessi molto alle attività manifatturiere e metallurgiche e che ad esse il Sindaco, nella compilazione della sua risposta sullo stato del Comune, dedichi un notevole spazio; ma è altrettanto vero che dal censimento appare che la popolazione del Comune, e in particolare quella del Borgo di cui abbiamo notizie più precise, non ne è particolarmente toccata. Tali attività forse sono strategiche, certamente saranno potenziate in un non lontano futuro, ma interessano poco gli abitanti del Comune dediti in buona parte ad altri mestieri. In merito alla questione che ci poniamo, e che fa un po’ da filo conduttore di tutta la prima
parte del nostro lavoro, sulla possibile definizione di Châtillon come petite ville industrielle, dobbiamo quindi rilevare una ambivalenza della cittadina che certo ha sviluppato, già dal secolo precedente, una vocazione per la metallurgia, ma la riserva essenzialmente a pochi addetti ai lavori.
La Restaurazione, la situazione economica durante gli anni ‘20 e ‘30 Un altro interessante documento sulla situazione economica e sociale degli abitanti del Comune è costituito dalla Statistique de la Commune de Châtillon, redatta dal Sindaco, il farmacista Jean Baptiste Favre, in risposta 17
Il Borgo di Châtillon.
9. ACCH, Serie II, 54, 1. La documentazione è composta da una statistica iniziale, che si riferisce al 1818, alla quale si aggiungono delle informazioni successive, compilate il 20 aprile 1820 e trasmesse all’Intendenza il 1° agosto 1821 e un ultimo questionario riassuntivo (senza data).
a una richiesta della Intendenza di Aosta sulla situazione economica del Comune negli anni 1818, 1819, 1820 e trasmessa all’Ufficio dell’Intendenza il 1° agosto 18219. È trascorsa una decina d’anni circa dal 1808 e la situazione politica della Valle d’Aosta, e dell’intero Regno di Sardegna, è enormemente mutata: è finita l’età napoleonica e c’è stata la Restaurazione. Sui troni di tutta l’Europa sono tornati gli antichi sovrani e Vittorio Emanuele I di Savoia è il re di Sardegna (anche se per poco: abdicherà infatti nel marzo 1821 in favore del fratello Carlo Felice). Il governo però non deve essere del tutto tranquillo, perché nella Statistique, accanto alla descrizione delle principali attività degli abitanti e delle infrastrutture del Comune, sono presenti anche alcune informazioni sulle possibili risorse che la comunità potrebbe fornire in caso di necessità (guerra, ribellione, calamità naturale?) in relazione agli edifici che potrebbero fungere da caserma, ospedale, magazzino o agli sfollati che si potrebbero ospitare. Vi è inoltre un certo interesse a conoscere il carattere, o meglio l’indole, degli abitanti e le loro opinioni nei confronti del governo. Su questo punto la risposta del Sindaco è precisa e sintetica: il carattere degli châtillonnais è buono e tutti sono molto fedeli al governo legittimo. Per quanto riguarda la descrizione della vita comunale, la popolazione del Comune è in lento, ma costante aumento: gli abitanti, che erano 1.925 nel 1808, diventano 2.100 nel 1818 e 2.112 nel 1820. Essi risiedono soprattutto nel Borgo o nel sobborgo di Chameran e in numerosi borghi e villaggi, ai quali si aggiungono altri agglomerati di montagna, abitati soltanto nella bella stagione, ed alcune abitazioni sparse. Dei villaggi del Comune la Statistiquee fornisce un elenco abbastanza dettagliato, in quanto indica le località e il numero delle abitazioni; la stessa cosa accade per le risorse, come i boschi, e le infrastrutture, come le vie di comunicazione. A proposito 18
di queste ultime il Sindaco sostiene che sono purtroppo in cattive condizioni, perché le riparazioni che si fanno ogni anno grazie alle corvées non sono sufficienti. Sia per la difficile praticabilità delle vie di comunicazione sia per la povertà dell’economia, gli châtillonais del 1820 non hanno grandi contatti con l’esterno; infatti si spostano per lavoro solo pochi scieurs de long (taglialegna), i quali non avendo abbastanza mezzi in famiglia vanno a lavorare in Piemonte, da ottobre a marzo. La maggior parte dei residenti invece utilizza i mesi invernali per preparare gli utensili per l’agricoltura ed è costituita da agricoltori ed allevatori, “tutti proprietari” secondo la dichiarazione del Sindaco Jean
Baptiste Favre. Certo le proprietà terriere non sono molto estese, sono direttamente coltivate dai proprietari, aiutati dai figli, che sono spesso definiti journaliers. La produzione agricola degli anni 1818-21 dell’Ottocento è ben documentata: come nel resto della Regione essa si sta diversificando e accanto al frumento e alla segale, la cui produzione resta comunque la più significativa, cominciano ad essere coltivati anche il mais e le patate, molto adatte come colture di montagna. Continua la coltivazione degli alberi da frutto, le noci sono molto importanti soprattutto per la produzione dell’olio, ed è abbondante la produzione di vino e formaggio, che vengono anche esportati.
La produzione, calcolata secondo le tradizionali unità di misura utilizzate nella Regione, le mine e i rubbi10, non è però costante e varia piuttosto considerevolmente da un anno all’altro: per esempio, per quanto riguarda il frumento, si passa dalle 229 mine del 1818 alle 93 del 1819 e, negli stessi anni, la produzione di segale va dalle 4.225 mine alle 3.399; analogamente nel biennio 1820-21 si nota un notevole divario nella produzione delle patate (che passano da 3.500 a 2.700 mine) e delle noci (che passano da 1.500 a 400 mine). Anche mettendo in conto la possibilità d’imprecisioni ed errori nel computo della produzione agricola da parte degli amministratori, le variazioni sono veramente consistenti 19
Vigneti lungo la strada per Isseuries. 300°
10. La mina è un’antica unità di misura il cui valore dipende da zona a zona; le indicazioni fornite dal Royale Sécretaire d’État pour les Affaires Internes per una corretta compilazione della Statistique dichiarano che 4 mine e 114 formano un ettolitro. Non abbiamo invece trovato indicazioni precise e univoche sul rubbo, che spesso è pari a circa 8,169 chilogrammi.
11. Sono notai Jean André Bouteille, Octave Carrel, Jean Baptiste Defey, François Joseph Frutaz, Jacques Laurencet e Antoine Pellissier.
e forse è anche a causa di queste che le derrate alimentari non sono sufficienti per il fabbisogno degli abitanti, i quali sono costretti a comperare ciò che manca loro negli altri Comuni della Valle o in Piemonte. A tale scopo viene anche tenuto un mercato, soprattutto per il grano, una volta la settimana nel capoluogo. Il foraggio, la cui produzione varia nel biennio 1820-21 dai 151.000 ai 100.000 rubbi, serve naturalmente per il bestiame. Sono allevati asini (6 capi), maiali (4-5 capi), muli e cavalli (35-40 capi), ma soprattutto bovini, montoni e capre (dei quali nel 1820 sono calcolati rispettivamente 850, 250 e 200 capi). Risulta però difficile fare un calcolo esatto, perché, secondo un’abitudine che caratterizza ancora oggi l’allevamento valdostano, gli animali stanno nelle stalle solo per una parte dell’anno e poi si recano a pascolare in montagna; ma il curatore dell’indagine cerca di essere preciso al punto di stimare anche il numero delle bovine che vanno nei vari alpeggi del territorio comunale e la quantità di fontina prodotta. A fronte di una produzione complessiva di 2.500 rubbi di formaggio nel 1820 egli arriva a calcolare infatti che la produzione estiva di sette alpeggi sia di 1.047 rubbi. Per quanto riguarda le attività estrattive e metallurgiche, negli anni ‘20 dell’Ottocento, nel territorio del Comune non è sfruttata nessuna miniera; è però attiva la famiglia Gervasone, che si occupa non solo di un altoforno a Chameran e di un fourneau à fondre e una chaufferie a Conoz, ma anche di numerosi altri opifici nell’alta e media Valle, apportando importanti innovazioni tecnologiche alla lavorazione e alla produzione. Le attività metallurgiche conservano dunque la loro importanza per il Comune, anzi hanno incrementato la produzione rispetto al 1808, inoltre procurano rinomanza al paese, se non altro per i rapporti con l’Intendenza di Artiglieria; in realtà, però, esse continuano ad impiegare solo un piccolo numero di per20
sone, cioè otto forgerons, due chaudronniers, quattro charbonniers. La popolazione attiva di Châtillon dunque è occupata anche in altri settori, oltre all’agricoltura e alla metallurgia. Sono presenti infatti nel Comune cinque concerie, tre in più rispetto a quanto emerge dall’indagine del 1808, tre teintureries e due fabbriche di cappelli, che hanno rispettivamente venti, sei e due dipendenti. Ci sono inoltre ventisette macine, tredici delle quali però sono in attività solo un paio di mesi all’anno, in grado di macinare circa 990 mine di grano al giorno. Non mancano infine numerose attività artigianali che riguardano i più diversi ambiti: la lavorazione dei tessuti (ci sono sei tessitori, sei drappiers, tre tailleurs), la costruzione (con quattro muratori, cinque falegnami, due carpentieri, un lattoniere), il taglio della legna g che (che occupa ben dodici scieurs de long, talvolta nella brutta stagione sono costretti ad emigrare), i trasporti (sei carrettieri). Si aggiungono inoltre un produttore di coltelli, un bottaio, quattro calzolai, un mugnaio, quattro maniscalchi, sei mineurs. Infine un certo numero di persone si dedica al commercio, nel quale lavorano (tra mercanti, negozianti, rivenditori e venditori di chincaglieria) ben ventun addetti. Complessivamente grazie alla Statistiquee si individua la professione di 135 persone, che possono rappresentare la piccola borghesia locale e che costituiscono, su una popolazione di 2.112 abitanti, la percentuale del 6,39%. Certo è una cifra modesta, ma rende sicuramente l’idea di una comunità piccola, ma ben organizzata, che cerca di rispondere a tutte le esigenze della vita della collettività. Sono rari i professionisti, non c’è un medico, ma sono presenti un chirurgo, M. Ravera, un farmacista, Jean Baptiste Favre (il Sindaco) un veterinario, un esperto non meglio identificato, che però è il geometra e proprietario Alexandre Chandiou, e infine sei notai11.
Si tratta dei notabili del paese, coloro che spesso ricoprono la carica di Sindaco o di consigliere comunale e che si occupano pertanto anche della gestione della Caisse des pauvres, ricostituita dopo il crollo dell’impero napoleonico. Se la Statistique è ricca di dati economici relativi alla produzione agricola, essa tace però tutta una serie di informazioni sulla composizione delle famiglie, sui dati anagrafici della popolazione, sulla lingua parlata e sul livello culturale, o perlomeno sulla capacità di leggere e scrivere degli abitanti. Di tali elementi invece comincia ad interessarsi l’indagine sugli abitanti del 1837 e si occupa con attenzione il Censimento del 185812. Il limite che riscontriamo è che purtroppo la documentazione fornita riguarda solo gli abitanti del Borgo e della frazione di Ussel, quest’ultima limitatamente all’indagine del 1837; pertanto se le informazioni sono più ricche e dettagliate, purtroppo sono più circoscritte e limitate nello spazio. Nel corso del 1837 gli abitanti del Borgo sono 753 – presumibilmente è compresa in questa cifra anche la popolazione del villaggio di Chameran – riuniti in 196 nuclei familiari, ai quali va aggiunto il gruppo di dieci frati presenti nel convento dei cappuccini ristabilito a Châtillon nel 1817 (dopo la soppressione ordinata dai Francesi nel 1802) grazie all’attivo interessamento del curato Mathieu Dauphin e al sostegno fornito dal vicario apostolico Jean Adam Chrétien Linty, uno dei fondatori della Caisse des pauvres. Su 753 residenti è riportata la situazione professionale solo di 148; se si aggiungono le informazioni su altri dodici châtillonnais (uno studente, nove soldati e due carcerati) si raggiunge così la percentuale del 21,24% della popolazione, purtroppo abbastanza ridotta, in quanto persiste l’abitudine di indicare la professione del solo capofamiglia (e in alcuni casi nemmeno quella).
I notabili rappresentano sempre un gruppo molto ristretto e i dati su di loro non differiscono molto per numero e professioni da quelli degli anni precedenti: ci sono due avvocati, Victor Bich e François Salomon Perron, tre notai, i dipendenti della pubblica amministrazione, il percepteur des impôts Spingardi, l’insinuateurr Pierre Vincent Dapino, il greffier Savoie e l’huissierr Bordan; infine, per quanto riguarda le professioni legate alla salute, accanto al chirurgo Ravera, che esercita almeno dal 1808, si aggiungono il dottor Cesare Ferraris, nato a Torino, e il farmacista Nicolas Fumero, nato a Caramagna, nei pressi di Saluzzo. Sempre tra le persone di rilievo della comunità si citano i due maîtres d’usinee Gervasone, figli di Alessandro Gaetano, e cioè Antoine Joseph, che, ormai vedovo, vive con i due figli Zenon Gabriel e Jean Pierre, e François Guillaume, che vive con la moglie Marie Julienne Gaspard, i due figli, François Louis Auguste e François Alexandre, la nuora Collombino Marie Madeleine e la nipotina Marie Julienne Thérèse. Tra i lavoratori del Borgo, si segnalano solo due forgeronss e due subtilateurs, in netta diminuzione dunque rispetto agli otto addetti degli anni ‘20. La stessa cosa accade agli occu-
21
12. Sui due censimenti si vedano il Dénombrement de la population de Châtillon, e il Bulletin pour le dénombrement de 1858 sur la population de fait du 31 décembre 1857, ACCH, Serie II, 54, 1.
Cartolina di Châtillon (sd). Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
pati nel settore del tessile: sono infatti rimasti un tisserand e due teinturierss rispetto ai dodici (rispettivamente sei e sei) di una quindicina d’anni prima. Restano invece abbastanza numerosi i tanneurss (otto nel Borgo), tra i quali hanno un certo rilievo Claude François Machet e Pierre Marie Chapuis, soci e gestori della conceria di proprietà del signor André Follin, situata nel villaggio di Conoz. Un documento13, purtroppo non datato, propone alcuni interessanti dati sulla produzione della loro piccola impresa, che tratta all’anno circa 200 pelli di bue, 600 di vitello, 100 di capra e 1.000 di montone, tutte provenienti dal paese, e rivendute per due terzi nel paese e un terzo a Torino e dintorni. Per quanto riguarda la manodopera, dal documento risultano impiegate nella conceria circa quattordici persone con la paga di 1 lira e 50 centesimi al giorno.
La situazione nel periodo pre-unitario: il censimento del 1858
13. Il documento è la risposta ad una indagine dell’amministrazione centrale sulle condizioni dell’industria; non è datato, ma la sua collocazione, nello stesso fascicolo dell’indagine del 1837, e soprattutto i nomi e l’età dei censiti, inducono a collocarlo nel 1837.
Ultimo per la data, ma non certo per l’importanza che riveste e per la ricchezza dei dati che fornisce, è il censimento del 1858, redatto sulla popolazione presente nel Borgo di Châtillon il 31 dicembre 1857, cioè su un totale di 621 residenti. Grazie alla precisione delle domande poste per il censimento e alla meticolosità di alcuni compilatori (non di tutti purtroppo) si riescono ad avere informazioni abbastanza attendibili sulla condizione lavorativa e sociale (casi di estrema povertà o handicap) di circa 444 châtillonnais, non più quindi solo dei capifamiglia. Se si aggiungono poi i 98 bambini di pochi anni di età (e che quindi non possono essere ancora in grado di lavorare) si arriva ad avere qualche informazione sulla condizione di 542 abitanti del Borgo, con una percentuale dell’87,27% sulla popolazione censita. 22
La categoria più numerosa è costituita dalle ménagères, ben settantasei, che costituiscono il 12,23% della popolazione, percentuale destinata verosimilmente a crescere in quanto è probabile che ad esse si possano aggiungere altre trentasei donne, mogli o figlie, che non hanno indicato nessuna condizione professionale. Abbastanza numerosi sono anche i domestici (21), che vivono di norma con i loro datori di lavoro e spesso sono costretti ad emigrare in altre località della Regione. Tra le attività produttive ha un ruolo abbastanza marginale l’agricoltura, che impiega “solo” quarantacinque addetti (il 7,24%), se si considerano insieme coloro che si dichiarano contadini, coltivatori, agricoltori e giornalieri. È vero che l’analisi riguarda solo il Borgo e non gli altri villaggi del Comune (dove probabilmente la situazione è molto diversa e i lavoratori della terra costituiscono la maggioranza), ma rispetto anche solo a trent’anni prima, quando gli agricoltori erano la quasi totalità, la situazione è certo molto cambiata. È altresì difficile valutare il ruolo della metallurgia, in quanto i lavoratori legati in qualche modo al settore sono pochi e spesso emigrano, almeno periodicamente: ci sono infatti sette forgerons (di cui quattro emigrati in altri Comuni della Regione), tre chaudronniers (contro i due del 1820), due minatori (meno quattro rispetto al 1820), tre cloutriers, un serrurier, due affilatori (padre e figlio, emigrati a Pré-Saint-Didier) e un chimiste minéralogiste (di origine piemontese e ospite all’Hôtel Lion d’Or). Anche se ai precedenti si aggiungono i dieci conciatori (la metà dei quali proviene dal Piemonte) il ruolo delle attività manifatturiere risulta abbastanza limitato per quanto riguarda gli addetti, che costituiscono il 4,66% della popolazione. È dunque questo un momento molto difficile e il futuro, con la proclamazione del Regno d’Italia e l’introduzione di nuove leggi antiprotezionistiche, non sarà purtroppo migliore.
Sono inoltre scomparsi, almeno nel Borgo, alcuni mestieri, quali colporteur de charbon, scieur de long, g maréchal ferrand, ed altri in particolare legati al settore del tessile, come drappierr e teinturier. Sono sempre pochi i professionisti, anche se possiamo segnalare tra le professioni legate alla salute, accanto al medico Jean Christillin, la novità costituita dalla presenza di una levatrice, ormai anziana, Lale Dorothé in Carrel; completa il quadro il farmacista Nicolas Fumero, presente nel Comune almeno da vent’anni, insieme alla moglie Marie Thérèse Thédy, un’importante benefattrice della Caisse des pauvres. Tra i dipendenti legati in qualche modo a professioni di pubblico interesse sono da segnalare l’insinuateur, il commis de poste, il gérant des hypothèques, sei insegnanti (tre dei quali sono suore) e le forze dell’ordine, quattro carabinieri e un brigadiere, tutti nati fuori Valle. I settori prevalenti sono il commercio e l’artigianato: nel primo trovano impiego diciotto, tra albergatori, locandieri e caffettieri, e quattordici negozianti; nel secondo sono particolarmente numerosi gli occupati nei settori alimentare (trentaquattro tra panettieri, salumieri, macellai), dell’abbigliamento (venticinque tra sarti, cappellai, modiste, tagliatori di abiti) e della costruzione (sedici tra muratori e lattonieri, molti dei quali nati in Piemonte). In percentuale i commercianti/albergatori e gli artigiani costituiscono circa il 17,23% della popolazione. Se quindi si vuole trovare una caratteristica dominante della vita economica di Châtillon in questi ultimi anni del Regno di Sardegna, la possiamo cercare in una vocazione commerciale e artigianale. Il censimento del 1858 è però importante perché non si limita a descrivere la professione dei residenti, ma anche la composizione delle loro famiglie, la provenienza degli abitanti, la lingua parlata e la capacità degli abitanti di leggere e scrivere.
Gli châtillonnais sono raggruppati in 137 “nuclei familiari”, la cui composizione è molto diversificata: • 23 nuclei con un solo componente ed eventuale domestico; • 9 nuclei formati da una coppia con eventuale domestico; • 54 nuclei con entrambi i genitori, figli ed eventuale domestico e/o ospite definito étranger; • 23 nuclei di un solo genitore con figli ed eventuale ospite; • 22 nuclei di famiglia “allargata” con eventuale ospite; • 4 nuclei formati da persone prive di legami di parentela; • 2 nuclei di altra tipologia. Sono ventitré le famiglie che ospitano una o più persone estranee perché apprendisti, garzoni, pensionanti, bambini accolti a vario titolo (6) o semplicemente étrangers con o senza ulteriore definizione professionale (22); si tratta il più delle volte di lavoratori immigrati che non hanno altra soluzione abitativa nel paese. Se a questi étrangers (sette dei quali sono nati fuori Valle) si aggiungono poi gli altri settantaquattro abitanti che sono nati in Savoia o in altre regioni italiane (nella
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Chameran dessous (sd). Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
14. Sulla vita di Pierre Alexandre Gaspard e sulla sua famiglia si veda pag. 193.
Biglietto da visita di P. A. Gaspard e sotto Brevetto di fornitore ufficiale dell’Imperatore Napoleone III conferito a P. A. Gaspard l 11 aprile 1856 a Parigi. ACCH, 51, 1. l’11
maggior parte dei casi il Piemonte, talvolta in Lombardia), si può considerare come sia ben presente il fenomeno dell’immigrazione, che caratterizza la storia della Valle d’Aosta intorno alla metà dell’Ottocento e che coinvolge a Châtillon il 13,04% della popolazione. Sono prevalentemente artigiani (calzolai, sarti, cappellai) e lavoratori di settori che si possono definire specialistici (lattonieri, subtilateurs, pettinatori di canapa, calderai, cloutriers, conciatori, bottai, lavoratori del cuoio), ma anche negozianti, albergatori, caffettieri, forze dell’ordine (i quattro carabinieri e il brigadiere del paese), un’insegnante e il farmacista. Gli spostamenti avvengono però anche in uscita, infatti quarantadue châtillonnais sono emigrati (presumibilmente non in via definitiva poiché sono comunque segnalati nel censimento) in altri paesi della Regione, fuori Valle o in Francia. C’è da notare una certa omogeneità tra la professione dell’emigrante e il luogo di destinazione e se vogliamo anche una certa coerenza. Di solito (anche se ovviamente ci sono delle eccezioni) si recano a lavorare in altri paesi della Regione, in particolare ad Aosta, i domestici, gli impiegati nelle attività
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metallurgiche come i forgiatori e gli affinatori (che spesso sono anche nati fuori Regione e si trasferiscono via via dove il loro lavoro è richiesto), i giornalieri, alcuni artigiani e gli ecclesiastici (un canonico a Verrès, un prete a Villeneuve, un recteurr a Valgrisenche). In Piemonte si trasferiscono in prevalenza commercianti e soldati, ma anche domestici e artigiani (un rilegatore e una sarta). Infine emigrano in Francia pochi artigiani, ma impegnati in settori che richiedono una certa abilità e specializzazione (un orefice, un litografo e un ebanista, questi ultimi a Parigi), e infine un novizio (recatosi in Savoia per proseguire gli studi). Tra gli châtillonnais emigrati in Francia non è indicato nel censimento del 1858 il nome di Pierre Alexandre Gaspard, di 47 anni, poiché si è allontanato dal suo paese natale con il figlio Pierre Louis Gabriel già da molti anni, dopo la morte della prima moglie Célestine Magdeleine Rey nel 1837. Vale però la pena di ricordarlo, perché anch’egli si trova in questo periodo a Parigi, dove si sta dedicando con successo alla rappresentazione di soggetti religiosi con la tecnica della litografia. La sua attività lo mette in relazione con i più importanti personaggi dell’epoca, tra i quali l’entourage dello stesso imperatore Napoleone III14. I frequenti spostamenti della popolazione fanno sì che nel Borgo si parlino abbastanza frequentemente accanto al francese (178 persone) e al dialetto (39 persone) anche l’italiano (54 persone) e il piemontese (30 persone). A loro si aggiungono all’incirca diciassette châtillonais che dichiarano di utilizzare quotidianamente, oltre al dialetto locale, il francese (5), l’italiano (4) o il piemontese (8). Ci sono anche due censiti che utilizzano il francese e il tedesco (1) e il francese e l’italiano (1). È necessario però ricordare che possediamo dati sulla lingua parlata solo per 320 residenti; al dato incompleto va poi aggiunto che un’indagine che riguardasse anche gli abitanti degli altri villaggi (oltre agli abitanti del Borgo) darebbe probabilmente risultati diversi.
Bisogna infine soffermarsi su un’altra importante domanda del censimento, relativa alla capacità di leggere e scrivere degli abitanti di Châtillon. A questo proposito la situazione è incoraggiante, in quanto 390 persone rispondono affermativamente e solo 93 negativamente, mentre 24 intervistati dichiarano di sapere solo leggere. È vero che i dati in nostro possesso non coprono l’intera popolazione del Borgo (infatti 31 persone non rispondono alla domanda) e che essi non danno indicazioni sulla dimestichezza con la lettura e la scrittura che possiedono i 390 alfabetizzati, però questi ultimi rappresentano il 62,80% della popolazione (cifra che sale sino al 72,49% se si prendono in considerazione solo gli abitanti in età scolare e si escludono gli 83 bambini che sono al di sotto dei sei anni). Tale percentuale di alfabetizzati è abbastanza coerente con quella di Aosta che è, alla metà dell’Ottocento, per la popolazione maschile superiore all’80% e per quella femminile del 65%, mentre è molto più bassa nelle valli laterali15. Questa situazione si spiega anche con l’interesse per la scuola mostrato nel Comune, anche da parte della Caisse des pauvres, che nel 1863 si trasforma in Congregazione di Carità del Comune, sotto la presidenza del Sindaco Pierre Noussan e di altri notabili. Un altro problema che il Comune deve affrontare riguarda le persone più sfortunate: i malati e i poveri. Tra i primi il censimento del 1858 sottolinea l’esistenza di tredici portatori di handicap gravi: quattro sordi, una cieca, sei sordomute, tra cui due coppie di sorelle, un muto e paralitico e un imbécile. Per quanto riguarda i secondi, dobbiamo fare come sempre riferimento alla documentazione della Congregazione di Beneficenza, ma ai dati del 1856 (in quanto mancano quelli dell’anno del censimento). Sono presenti nel territorio comunale novanta pauvres honteux, suddivisi secondo la consuetudine in tre ca-
tegorie: tra di loro 49 persone percepiscono 4 lire, 26 poveri 3 lire e 15 indigenti 2,50 lire. Con questi dati e questa situazione, Châtillon si presenta alla fine degli anni Cinquanta, proprio alla vigilia della proclamazione del Regno d’Italia, come una comunità in trasformazione, senza particolari scosse, che si adegua per quel che può ai tempi, alle nuove iniziative economiche, ma che subisce nel contempo l’infelice epilogo della storia siderurgica, rimanendo quindi in una posizione di attesa fino alla fine del secolo. Si riadatta dunque ad un sistema economico e sociale adeguato alla piccola realtà di un centro sostanzialmente rurale che si rinchiude un po’ in sé nell’attesa di tempi nuovi, della modernità che si affaccia già a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento con il tentativo grandioso e promettente dei fratelli Cordero di impiantare uno stabilimento di grandi dimensioni nell’area prossima alla stazione.
15. Sull’argomento si consulti Marco Cuaz, La Valle d’Aosta fra stati sabaudi e Regno d’Italia (1536-1914), 1995, pag. 319. Sullo stato dell’istruzione in Valle d’Aosta si veda anche Marco Cuaz, Alle frontiere dello stato. La scuola elementare in Valle d’Aosta dalla restaurazione al fascismo, 1988.
L’assistenza ai poveri: la Caisse des pauvres e il Bureau de Bienfaisance Merita un approfondimento l’analisi della categoria più sfortunata e più povera della popolazione. Il problema degli indigenti, del
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Cartolina di Châtillon (sd). Biblioteca b o eca Mgr. g . Duc uc ddi CChâtillon. â o.
16. ACCH, Serie II, 20, 10, Questions relatives à la mendicité, fait à Châtillon le 9 août 1808. 17. Sull’istituzione del Bureau de Bienfaisance si veda il fascicolo Liti, lasciti, deliberazioni e donazioni varie, ACCH, Serie II, 119. Sulla fondazione, gli scopi e le attività della Caisse des pauvres si veda anche il volume 120.
resto, interessa in particolar modo già l’amministrazione centrale francese che, dal 1801, ha ordinato la costituzione in Francia dei Bureaux de Bienfaisancee che si occupano dei poveri, e nel 1808 ha proibito la mendicità. Nel corso dello stesso anno viene inviato al Sindaco Jans uno specifico questionario, con domande sul numero dei poveri del Comune e in particolare su coloro che mendicano, sul loro sesso ed età, sulla quantità e l’origine dei fondi destinati al loro sostentamento16. Su questo argomento le risposte del Sindaco non sono molto precise: egli indica l’esistenza di ottantaquattro poveri, undici dei quali addirittura non hanno alcun reddito e sono obbligati a ricorrere alla mendicità. Per poter provvedere a loro egli dichiara di avere solo 283 franchi, gestiti dal Bureau de Bienfaisance, ma lamenta la carenza di fondi, che dipendono esclusivamente da doni e elemosine. L’Ufficio di Beneficenza si è installato da poco nel Comune, precisamente il 3 aprile 1808, come risulta dalla ricca documentazione in merito17 grazie alla quale è possibile integrare con altre informazioni la relazione del Sindaco. Esso è amministrato da un Consiglio costituito da alcuni notabili locali, come il geometra Sulpice Billet, il maniscalco Joseph Michel Duch, il notaio Joseph Gaspard, il proprietario Pierre Sulpice Marchley, il parroco Mathieu Dauphin, e il Sindaco stesso. In realtà, però, l’Ufficio di Beneficenza non fa che continuare l’attività di un’istituzione già presente nel Comune dal 1794, precisamente la Caisse des pauvres, fondata a profitto del Comune di Châtillon, per iniziativa dei due fratelli Linty, il cavaliere Jean Sebastien Commandeur de l’hôpital de la Sacrée réligion des Saints Maurice et Lazare, e il priore Jean Adam. I due sono nipoti di Jean Jacques Linty, curato di Châtillon dal 1754 al 1793, e Chanoine doyen della Cattedrale di Aosta. Tale Cassa è dotata sin dalla sua fondazione del lascito di 4.400 lire donato dal curato e 26
dai suoi eredi, molto affezionati al Comune di Châtillon, dove hanno soggiornato presso lo zio (prozio) e hanno iniziato i loro studi. Al legato iniziale si sono aggiunte nel corso degli anni altre donazioni e l’ente destina ogni anno la maggior parte degli interessi che ottiene dal proprio capitale all’aiuto della classe più indigente. Di tale somma, però, il Bureau de Bienfaisancee può gestire solo i due terzi, in quanto il restante terzo è distribuito ai poveri, secondo le sue conoscenze e la sua coscienza, direttamente dal parroco, che nel 1808 è il canonico Mathieu Dauphin (nato a Nus nel 1764 e parroco a Châtillon dal 1798 fino alla sua morte nel 1818). Il risultato è che l’Ufficio stanzia nel 1808 cento franchi (quindi meno della metà di quelli inizialmente previsti) a beneficio di quarantatré concittadini, senza riuscire ad aiutare tutti gli ottantaquattro poveri dichiarati dal Sindaco Jans. La cifra corrisposta ad ognuno dei beneficati varia da un franco e cinquanta a due franchi e cinquanta e gli aventi diritto sono suddivisi a seconda della loro povertà in tre categorie, che tengono conto di età, infermità ed altre miserie familiari o personali. Per avere un quadro più completo può essere interessante osservare anche quali sono le condizioni socio-economiche di coloro che compongono il consiglio di gestione del Bureau e le modalità della loro nomina. Si tratta di un gruppo di sei persone, compresi il Sindaco e il curato, tra le quali si sceglie un segretario, che nel 1808 è il geometra Sulpice Billet. È inoltre nominato un tesoriere che deve provvedere a distribuire gli aiuti: si tratta di M. Moretto, il percepteur des impôts. Ogni anno il gruppo è modificato con la sostituzione di uno dei suoi componenti. La modalità di questo avvicendamento è assai particolare: il consiglio sorteggia il nome di chi deve essere sostituito e provvede a elaborare una rosa di possibili candidati, tra i quali l’amministrazione centrale estrarrà a sua volta il subentrante. Si trat-
ta sempre di personalità del luogo, pertanto i nomi si ripetono. Può però essere interessante notare che di loro si indica anche la fortuna presunta: 15.000 franchi per un proprietario e per un negoziante (si tratta rispettivamente di Antoine Joseph Pellissier e Pierre Henry Duc); 5.000 per un maestro elementare (Jean Baptiste Visenda). Sono presi in considerazione anche i fratelli Jean Martin Gaspard, maréchal ferrandd di Chameran e Jean André Gaspard, negoziante e proprietario, conseiller municipal public. A proposito di questo ente abbiamo per i primi anni della Restaurazione una documentazione inferiore rispetto a quella estremamente ricca dell’età napoleonica. Possediamo nondimeno i dati degli anni 1820 e 1821, mentre c’è un “buco” nelle informazioni relative alle
distribuzioni ai poveri tra gli anni 1809 e 1819 e tra il 1822 e il 1835. Gli indigenti aiutati sono quarantatré nei due anni presi in esame e ricevono complessivamente 111,50 lire nel 1820 e 128 nel 1821, individualmente invece percepiscono un aiuto di circa 1,50-3 lire nel 1820 e 1,50-5 lire l’anno seguente. Dal 1836 la documentazione sulla Caisse des pauvres, Établissement de Bienfaisance ricomincia ad essere abbastanza numerosa e precisa; pertanto possiamo consultare i verbali delle sedute dei Consigli Comunali che deliberano sulla distribuzione dei fondi ai poveri nel periodo 1836-1856. Non emergono però grandi novità nella gestione dell’ente di beneficenza nel corso degli anni: si mantiene infatti l’abitudine consolidata di suddividere les 27
Disegno di Claude François Bich tratto dal suo manoscritto Notes historiques sur Châtillon et son Mandement, 1873. Archivio Parrocchiale di Châtillon.
18 ACCH, 120, 1, Questionario speciale per l’inchiesta sulle varie forme di erogazione di beneficenza, Provincia Torino, Circondario Aosta, Comune Châtillon. Questionario speciale per le opere pie elemosinieree (senza data, ma stampato dalla tipografia nel 1885).
pauvres honteuxx (come sono definiti nei documenti) in tre categorie, a seconda dell’età, infermità ed altre miserie familiari o personali. Essi sono individuati nelle principali località del Comune (il Borgo, Chameran, Ussel, Bellecombe, Nissod, Promiod) e sono quasi equamente divisi tra uomini e donne. Da un esame della documentazione emerge inoltre che gli indigenti sovvenzionati sono praticamente gli stessi da un anno all’altro, ricorrendo infatti quasi sempre gli stessi nomi, segno della permanenza della loro condizione di povertà. Solo dopo la proclamazione del Regno d’Italia si introducono alcuni cambiamenti in materia di assistenza e sanità con la legge del 3 agosto 1862, che regolamenta gli enti di beneficenza e ne assegna la tutela alle amministrazioni provinciali. Lo stato liberale e unitario non vuole certo sostituirsi alle organizzazioni che si occupano di beneficenza, ma semplicemente vuole essere il garante del loro buon funzionamento e sorvegliarne la gestione patrimoniale. La Caisse des pauvres pertanto subisce una riorganizzazione e il 1° febbraio 1863 è ricostituita in Congregazione di Carità del Comune, in ottemperanza alla legge dell’anno precedente. Essa è gestita da un consiglio di notabili del Comune, presieduto dal Sindaco Pierre Noussan. Nonostante la trasformazione, però, l’organismo non perde il suo importante e riconosciuto ruolo nella comunità; infatti continua ad occuparsi degli châtillonnais più poveri, aumentando via via gli aiuti in denaro che nel 1887 arrivano fino alla cifra di 8 lire, e riceve lasciti, talvolta addirittura l’intera eredità, dai più fortunati, di solito in cambio di preghiere e messe in suffragio. Inoltre, col passare degli anni, la Congregazione di Carità vede aumentare le sue competenze tanto che comincia ad occuparsi anche di “seppellimento dei poveri, acquisto libri e cancelleria per istruzione fanciulli poveri”18. Nel corso degli anni ‘90 dell’Ottocento, a livello locale 28
diventano quindi sempre più numerose le richieste degli insegnanti delle scuole elementari delle varie frazioni per l’acquisto di libri scolastici e di materiale per gli studenti provenienti da famiglie bisognose. Tali richieste sono sempre accolte e finiscono per costituire una discreta spesa, tanto che nel 1894 l’ente emette un mandato di pagamento di 96 lire per il negoziante Alex Duc. Contemporaneamente, a livello nazionale, è approvata la legge del 17 luglio 1890, che si potrebbe definire la “prima norma quadro” in materia di assistenza e beneficenza pubblica. Coerentemente con la nuova normativa la Congregazione di Carità assume il ruolo di coordinamento di tutte le iniziative benefiche e di carità del Comune.
Une communauté en transformation
L
e début du XIXème siècle a apporté de grands changements politiques à Châtillon. En effet, la ville, comme de nombreuses autres régions du nord de l’Italie, en 1802 a été annexée à la République française, dans le Département de la Doire et l’Arrondissement d’Aoste. En ce qui concerne la situation économique, dans l’État contenant les renseignements sur la Commune de Châtillon de 1808, le Maire décrit une situation caractérisée par l’augmentation générale du prélèvement fiscal et par le prix élevé des matières premières, notamment celui du cuir et du charbon. Suit un déclin de l’activité manufacturière, en particulier des deux tanneries, où l’on y travaille les cuirs, veaux et quelque peu de chamoiserie, les quatre forges où l’on fabrique les outils pour l’agriculture et les six clouteries: tous subissent une forte baisse des travailleurs salariés. Les deux fabriques pour la fonte de la gueuse, détenues par le maître de forge Bartolomeo Gervasone, ont des conditions meilleures; elles se distinguent par la production de baguettes de fusil pour le gouvernement et emploient treize ouvriers et une quinzaine de colporteurs de charbon. Le commerce des produits, toutefois, est insuffisant: la production manufacturière assure la demande de l’arrondissement ou tout au plus est vendue dans le Piémont; l’agriculture est le secteur le plus répandu et emploie la majorité de la population, qui en 1808 s’élève à 1.925 personnes. Avec la Restauration de la maison de Savoie la population de la ville croît, bien que lentement, et arrive en 1820 à 2.112 habitants, qui résident principalement au Bourg ou dans le village de Chameran. Les activités métallurgiques conservent leur importance dans la communauté mais, selon la marche constante de toute la période, elles utilisent peu de main-d’œuvre (juste une quinzaine de personnes), dans le haut fourneau de Chameran, dans le fourneau à fondre et dans la chaufferie à Conoz, tous détenus par la famille Gervasone. Toutefois, la majorité des châtillonnais s’occupe de l’élevage de bovins, de moutons et de chèvres, et de l’agriculture, cultivant ainsi blé, seigle, maïs, pommes de terre, noix et raisin pour la production de vin. Dans la ville, se développent diverses activités manufacturières: cinq tanneries, trois teintureries et deux fabriques de chapeaux. Il y a également d’innombrables autres activités artisanales, notamment liées au travail des fibres textiles, à la construction, aux commerces. Par contre, sont rares les professionnels: parmi eux, toutefois, il y a un pharmacien et six notaires. Durant les dernières années du royaume de Sardaigne, ce sont précisément les activités artisanales et de commerce qui commencent à devenir dominantes dans le Bourg, qui compte 621 habitants en 1857 (les données sur la totalité des habitants de la Commune manquent). En baisse, le nombre des employés dans les manufactures et des agriculteurs, tandis que le nombre de commerçants/hôteliers et artisans représente 17,23% de la population. Un autre élément caractéristique de la ville devient l’extrême mobilité de la population: des émigrants quittent le territoire communal, alors que des immigrés s’y établissent, en apportant avec eux de nombreuses activités et l’utilisation courante des trois langues (italien, français et allemand) et de deux dialectes (le patois et le piémontais). A la veille de la proclamation du royaume d’Italie, Châtillon s’identifie comme une communauté en plein changement, qui s’adapte comme elle peut aux initiatives économiques des temps nouveaux, mais en même temps elle s’organise pour répondre à toutes les exigences de la vie communautaire. 29
Uomini e fucine
Il rapido declino della grande attività siderurgica nel corso del XIX secolo
S
in dal secolo XII, quando divennero visconti di Aosta, gli Challant esercitarono i loro diritti signorili sulle miniere del viscontado, e quindi anche sulle miniere che venivano di volta in volta scoperte nel territorio di Châtillon. Nel 1400 per conto degli Challant si estraeva sul versante di Valmeriana minerale di ferro, che veniva fuso in una fucina nei pressi del castello di Ussel. Nei secoli XVII e XVIII i conti avviarono nuove ricerche di giacimenti e intensificarono la lavorazione dei metalli, in gran parte destinati all’esportazione. Ma la storia metallurgica trova le sue origini gloriose in un personaggio passato alla storia come “maestro Hugonin”, che già nel 1346 costruì i sei schioppi di bronzo montati su affusto, che possono essere considerati i primi esemplari di artiglieria (fusa) in Italia. Gli schioppi furono commissionati dalla marchesa Margherita di Savoia e compaiono tra le spese sostenute per la difesa del castello di Lanzo Torinese. Altro personaggio di spicco nella storia di metà Settecento è senz’altro Pantaléon Bich. Uomo intraprendente e laborioso, fece costruire a Châtillon e a Verrès delle fabbriche per la lavorazione del ferro che esportava in Piemonte. In società con il barone d’Avise, intraprese l’estrazione del ferro a Ussel e a Valmeriana con ottimi risultati. Bich colse l’opportunità di concentrare nelle sue mani (in una prima fase in società con il conte di Challant) la gestione dell’intero settore minerariometallurgico compreso nei territori di Ussel,
Bellecombe, Pontey e Conoz. Questo avvenne alla morte di Barthélemy Champion, altro imprenditore siderurgico della seconda metà del Settecento, e alla scadenza nel 1763 della convenzione stipulata dal Bich con i Davise1. Bich ebbe la fortuna di incontrare un uomo di straordinarie capacità, Bartolomeo Gervasone, al quale cedette le sue officine di Châtillon. In quegli stessi anni, infatti, Gervasone gestiva la fabbrica di Conoz ed era responsabile (maître) del forno di Ussel. Bich lo incaricò anche di dirigere la fabbrica che aveva appena costruito a Verrès nel 1766. Lo stesso ingegnere minerario D’Aubuisson, incaricato dal governo napoleonico di sovrintendere 31
Ill Ru ddu Bourgg alle ll Fabriques b di Conoz. Nella pagina a sinistra: Piazza Duc.
1. A proposito della storia metallurgica di Châtillon si vedano: Nicola Vassallo, Miniere e siderurgia nel territorio di Châtillon, in Maria Vassallo, Châtillon in età moderna, 2001; Roberto Nicco, L’industrializzazione in Valle d’Aosta, 1987; Carlo Sapegno, I Gervasone, 2002.
2. AST, Sezioni Riunite, Governo francese, m. 65, Etat des principales mines connues dans l’arrondissement d’Aoste, 8 dicembre 1803. 3. ACCH, Serie II, 20, 10, Registre de la situation des fabriques, manifactures et du prix des damrées. 8 Germinal an 13.
alle attività minerarie nei nuovi dipartimenti della Dora e del Sesia, ne parlò in termini entusiastici sottolineandone le doti di intelligenza e abilità non comuni e le spiccate capacità imprenditoriali: «il a établi plus de douze forges ou fourneaux dans la Vallée, il s’y est fixé et est devenu un des maîtres de forge les plus considérables du Pays». Anche nell’accordo con il conte di Challant e Pantaléon Bich per la lavorazione del mi-
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nerale di Traversella nella fabbrica di Verrès, Bartolomeo Gervasone riuscì a strappare condizioni molto vantaggiose e del tutto eccezionali nel panorama regionale, forte dei riconoscimenti guadagnati sul campo durante la sua attività metallurgica. In piena età rivoluzionaria e poi napoleonica (periodo bellico) egli può contare su commesse importanti da parte dell’Azienda Generale di Artiglieria; fonde il ferro a Ussel e a Bellecombe nel territorio di Châtillon, e nelle fonderie di Torgnon, Pontey ed Aymavilles. Il Rapporto sulle principali miniere conosciute nell’Arrondissement di Aosta del 1803, alla voce “Châtillon”, segnala la presenza di minerale di ferro che viene estratto in loco, ma – aggiunge – le miniere sono esaurite, anche se alcuni ritengono che ve ne siano ancora da esplorare. Da una successiva relazione del 1808 risulta che è attiva una fabbrica di nuova costruzione a Conoz dove si fonde la ghisa e si produce il filo di ferro, e baguettess per fucili per conto del Governo. Ne è proprietario Gervasone2. Esistono poi quattro forge per la produzione di utensili necessari all’agricoltura o per la ferratura dei cavalli, che vengono gestite da fabbri; vi sono inoltre sei chioderie, delle quali quattro sono comprese nelle forge già menzionate, e infine due fabbriche per la fusione della ghisa che risultano in declino e delle quali non si dà la localizzazione. Qualche anno più tardi, nel 1812, incontriamo Gaetano Gervasone, il maggiore dei figli di Bartolomeo, tra i richiedenti autorizzazione a mantenere in attività la lavorazione del ferro; egli la ottiene per le officine di Pontey e Torgnon e, nel territorio di Châtillon, per l’officina di Conoz; inoltre con lo stesso provvedimento di concessione può mantenere in attività a perpetuitéé un altoforno per fondere il minerale di ferro situato nella frazione di Ussel e di Planaval (Arvier)3. Gaetano Gervasone, in una lettera indirizzata al Consiglio di Stato, reclamando per i danni che potrebbero essergli causati dall’attività di
altre fucine che Jean Baptiste Defey intende costruire nel territorio di Brusson, presenta le sue credenziali e, nella stessa occasione, espone in sintesi la situazione della siderurgia châtillonaise: 1. l’officina di affineria di ghisa e sottilizzazione di Conoz ha più di un secolo di vita; ma da più di dieci anni, sempre a Conoz, egli è proprietario di un atelier per la produzione di baguettess di fucili per l’Azienda Generale di Artiglieria; 2. anche l’altoforno di Ussel è di sua proprietà ed ha più di cento anni; 3. è anche proprietario di una officina nella quale si producono mestoli; 4. nel paese ci sono numerose altre piccole forge di chiodaioli tutte di antica costruzione; 5. nei territori di Châtillon e Saint-Vincent vi sono inoltre numerose fucine dove si lavora il ferro per produrre utensili per il lavoro agricolo.
stabilisce inoltre una regolamentazione del consumo dei combustibili e obbliga i proprietari di imprese siderurgiche a dichiarare le caratteristiche dell’edificio, la natura e la quantità del combustibile che si propongono di utilizzare. Anche le imprese già avviate devono chiedere la concessione per continuare l’attività. Alle domande di concessione devono allegare i disegni dettagliati, con piante e sezioni degli edifici, delle macchine, dei forni e delle prese d’acqua5.
Queste “fabbriche” consumano molto carbone che in gran parte proviene dai boschi di Châtillon, Saint-Denis, Antey, Saint-Vincent; ma al momento attuale – sostiene Gervasone – tali boschi risultano esauriti, tanto che bisogna approvvigionarsi di legna nei territori di Brusson e Ayas. In considerazione di questa emergenza, Gaetano Gervasone chiede la concessione di trasferire la sua fucina di affineria situata a Conoz in un’altra località nel territorio di Brusson, concessione che gli verrà accordata nel 1816 dal re Vittorio Emanuele4. È in questa fase che vengono prodotti i disegni delle fucine della Valle d’Aosta e quindi anche delle proprietà Gervasone. La Loi sur les mines, décrétée par le corps législatif dans la séances du 21 avril 1810 corregge e chiarifica la precedente del 1791. Si sancisce definitivamente che il sottosuolo è proprietà della Nazione ed è necessaria un’autorizzazione governativa anche per la trasformazione e lavorazione del minerale. La legge 33
4. AST, Sezioni Riunite, Intendenza Generale d’Ivrea, cat. VI, Miniere e fucine 1811-1814. 5. AST, Sezioni Riunite, Controllo Finanze, Concessioni, vol. 1 e 13.
A sinistra: disegno delle officine e fonderie di Ussel. Sotto: disegno delle Fabriquess di Conoz, Ru du Bourgg e canale di derivazione.
I Gervasone, artefici dello sviluppo industriale Se Bartolomeo Gervasone aveva assunto il ruolo del più popolare e fortunato maître de forges della Valle d’Aosta, il figlio Gaetano divenne l’artefice dello sviluppo industriale di Châtillon, et donna l’air d’une petite ville industrielle6, anche se i suoi interessi di imprenditore siderurgico lo portarono a creare poli produttivi in numerose aree della Regione. Ma è nel 1821 che Gaetano Gervasone mette in atto il suo progetto di costruzione di un imponente impianto produttivo nel letto del torrente Marmore. Con patente reale del 13 novembre 1821, Carlo Felice accorda all’imprenditore di Châtillon «la facoltà di derivare due ruote d’acqua dal torrente di Mont-Servin» per attivare un’officina destinata a fondere il minerale di ferro, concessione soggetta a un canone annuo di lire nuove 36. La nuova fabbrica si fregia del titolo di Fabrique royale d’acierr ed ha il suo accesso sulla strada, in corrispondenza dell’arco di ingresso lungo la via Menabrea7. La committenza statale, in particolare l’esercito, sarà l’elemento determinante per la vita dell’industria siderurgica di Châtillon e della Valle d’Aosta in genere. La crescente richiesta di dotazioni militari è alla base dei numerosi e successivi contratti che l’Intendenza Generale di Artiglieria stipulò con i membri della famiglia Gervasone. Di fatto Gaetano venne affiancato dai suoi quattro figli: Guglielmo Francesco, Antonio Giuseppe, Vittorio e Giacomo. Nel 1822 fu Antonio Giuseppe, figlio “emancipato” di Alessandro Gaetano, a “sottomettersi con cauzione”, com’era prassi in questo tipo di contratto, per la fornitura di 83 assali in ferro d’Aosta per affusti, obici, al prezzo di lire 14 per rubbo8. Gli assali dovevano essere della migliore qualità di ferro locale, rispondere a diversi requisiti, tra cui le dimensioni (73 pollici e 7 linee), dovevano essere “gagliardi” con tre lastre di ottimo ferro, af-
finché potessero resistere alle solite prove della caduta e della percossa col montone. Si susseguirono diversi contratti nel ‘23 (150 assali in ferro), ‘25 (200 assali in ferro) e ‘26 (150 assali), tutti di Antonio Giuseppe. Ritroviamo Antonio Giuseppe in un progetto di ricerca, nel quale è associato a Pietro Nicolao Gerbore. Entrambi sono proprietari di fucine nella provincia di Aosta e da anni sono alla ricerca di metodi efficaci per “fabbricare l’acciaio”. Nel 1828 presentano congiuntamente supplica al re Carlo Felice di «voler loro concedere un privilegio esclusivo per la fabbricazione dell’acciaio» secondo un metodo del quale «li presentarono una minuta descrizione, obbligandosi a far uso esclusivamente dei minerali di ferro del paese». Allo stesso Regio Brevetto farà riferimento una nuova patente del 1835. Nel 1829, ravvisata la necessità di razionalizzare il suo patrimonio industriale disperso in punti diversi della Valle d’Aosta, Gaetano Gervasone chiude gli altiforni di Planaval e Montgeron, le affinerie di Arvier e di Torgnon per concentrare la produzione nell’altoforno di Chameran, in quello di Ussel e nelle fabbriche di Conoz, Ussert a Pontey e a Les Guillattes di Brusson. Gli anni ‘30 vedono i fratelli Gervasone costantemente presenti nell’attività siderurgica, impegnati come sono nella fornitura di materiali in ferro all’Azienda Generale d’Artiglieria, fortificazioni e fabbriche militari del Regno di Sardegna. A chiusura del decennio in corso si trova poi una fotografia d’insieme delle fabbriche di Châtillon appartenute alla famiglia Gervasone, attraverso la Relazione sulla situazione economica della provincia di Aosta9. Gaetano Gervasone risulta proprietario dell’altoforno di Chameran e di quello di Ussel; ai figli lascia invece in gestione la subtiladure di Conoz, composta dall’officina, due camere e un magazzino per il carbone. Gli stessi fratelli 35
Nella pagina a sinistra: in alto i resti della Fabrique Royale d’Acier,r «...au fond de la gorge où mougissent les eaux du Marmore...» (EDOUARD AUBERT, La Vallée d’Aoste, e 1860). Sotto: l’altoforno della Fabrique.
6. François Gabriel Frutaz, Le château de Châtillon, 1899, pag. 51. 7. AST, Sezioni Riunite, Patenti Controllo Finanze, vol. 1, carta 154, 1821. 8. AST, Sezioni Riunite, Azienda Generale Artiglieria Fortificazioni. Contratti, n° 9, 1822. 9. AST, Sezione I, Paesi per Provincia, Aosta, m. 37, 2, Relazione sulla situazione economica della provincia di Aosta, 1839.
I contratti con l’Azienda Generale di Artiglieria I fratelli Gervasone, insieme ad altri produttori di materiali in ferro, approvvigionavano il Regio Arsenale di Torino, dove la qualità del ferro dolce proveniente dalla Valle d’Aosta era particolarmente apprezzata, come si apprende dai numerosi contratti conservati presso l’Archivio Storico di Torino. Il 26 febbraio 1830 è Giuseppe Antonio Gervasone a vincere l’appalto della provvista di kg 26,923 di ghisa lavorata in tante palle da 24 di calibro a 52 centesimi per ogni kg, che dovrà essere effettuata entro il settembre dell’anno in corso. «Queste palle saranno di dimensione tale a poter passare in un calibratojo, che abbia di vuoto interno il diametro di mm 134,6 non passeranno in un altro di diametro mm 132,7 ciascuna di esse avrà almeno il peso di kg 8,900. La superficie di esse dovrà essere senza scabrosità, coste, sfalde, nicchie, o bolle, e la ghisa non dovrà contenere alcun sopragetto, o altro pezzo di materia unita a freddo. La configurazione sarà perfettamente sferica, e liscia, senza nicchie o scabrosità. Le medesime dovranno essere fuse in sabbia, qualora risulti che esse risultino migliori con tal metodo, senza maggiore spesa di fabbricazione. Le forme di ghisa per fondervele, secondo l’ordinario metodo, saranno a carico dell’impresario, ma l’arsenale però provvederà il modello in bronzo per la fusione in sabbia. Qualunque trasporto, e diritto di gabella sarà pure a carico dell’impresario. Le collaudazioni si faranno in Torino previa ispezione di un ufficiale che sarà dal signor colonnello comandante destinato a tale oggetto sul luogo delle fucine». L’anno successivo Guglielmo firma un atto di sottomissione per la provvista di 3.150 miriagrammi di ferro dolce d’Aosta «pelle « officine della Maestranza d’Artiglieria, rilevante in complesso alla somma di lire 19.687,50. Il ferro suddetto fa duopo che sia della migliore qualità duttile a freddo e a caldo, e che abbia per conseguenza molto nervo, privo di raddoppiamenti, graniture, dentellature, scaglie, traversi, e simili difetti, che in questo caso lo renderanno di riffiuto. Un tal ferro deve trarsi dalle fucine di Aosta e deve essere atto a sopportare li soliti esperimenti che si praticano nelle Officine del Regio Arsenale». Quindi nel ‘33 sarà di nuovo Antonio Giuseppe a produrre e a consegnare ai Regi Magazzini dell’Arsenale 480 miriagrammi di ferro dolce abbozzato in staffoni e sopra orecchioni per affusti di battaglia, e altri pezzi a lire 7 per miriagrammo; oltre a 260 miriagrammi di ferro dolce in verga a lire 6,50 al miriagrammo. Il tutto deve essere consegnato entro gennaio dell’anno successivo. Nel primo semestre del 1834 Guglielmo produce cento pale in ferro, dieci bicorne per fucine campali e catene di vario tipo, ruotelle di commettitura per affusti da assedio e ferro fuso per usi diversi. E nel secondo semestre dello stesso anno saranno i fratelli Gervasone a stipulare un contratto con l’Azienda Generale d’Artiglieria per la fornitura di miriagrammi 140 di ferro tondino dolce laminato del diametro di mm da 10 a 28 ed altri manufatti in ferro di varia tipologia.
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Gervasone e uno di essi, Antonio, che risulta proprietario dell’edificio, gestiscono una subtiladure nel Borgo, composta dall’officina, una camera e un piccolo magazzino per il carbone a cielo aperto di circa 40 metri. I fratelli Gervasone convertono lingotti di ferro tayeulss in ferro subtilisé e pronto per essere commercializzato. La materia prima proviene dalle fucine situate nel Comune di Fenis e in qualche caso da Allian nel Comune di Aymavilles. Utilizzano carbone di legna resinosa e di castagno proveniente dai boschi di Châtillon, Saint-Vincent, Chambave, Pontey e Antey nella misura di 1/2 miriagrammo per miriagrammo di ferro lavorato e che costa sessanta centesimi al miriagrammo. In ciascuna subtiladure lavorano tre operai con le qualifiche di subtiladeur, lavorant et brasquin. Sono pagati a lire 0,25 per miriagrammo. Per la lavorazione sono utilizzati un martinet et une trombe à ventt fabbricati in Valle che vengono attivati dalla caduta d’acqua del ru. I lavori sono interrotti per circa un mese a causa del gelo, «ainsi que par l’enlevement des eaux pour habattre les noires chataignes». Il ferro prodotto assume la forma di «cercles, rondins quaré et divers calibres pour le Royal Arsenal et selon les comandes». Il figlio Antonio Giuseppe possiede un’affinerie et subtiladure a Tornafol e una subtiladuree nel capoluogo. L’attività dei Gervasone si svolge nel medesimo settore economico, ma è distribuita in molte località della Valle d’Aosta: Guglielmo Francesco e Antonio Giuseppe seguono gli impianti di Aymavilles e Gressan e la nuova fucina di Introd, mentre Guglielmo si occupa dell’affineria di Fenis. Giacomo costruisce un nuovo opificio a Nus in sostituzione del vecchio impianto di Saint-Barthélemy. Guglielmo e Antonio si interessavano particolarmente delle innovazioni tecniche: Antonio applicò il metodo Faber all’altoforno di Chameran e Guglielmo a quello di Aymavilles; Antonio impiantò una nuova officina a Châtillon (1844) del tipo “contese” con
forni a riverbero e un forno alla Wilkinson. Sempre nel 1844 Guglielmo, in collaborazione con Enrico Falk, fondatore di importanti stabilimenti siderurgici nel milanese, ottenne un privilegio per “scarbonizzare la ferraccia”. Nella seconda metà del XIX secolo i documenti diradano; d’altra parte è l’epoca in cui la siderurgia valdostana precipita in una grave crisi, per superare la quale si costituisce il 18 marzo 1854 a Torino la Società delle Ferriere dell’Alta Valle d’Aosta, sull’esempio di un’analoga società nata pochi anni prima per raggruppare le aziende della Bassa Valle. I tentativi di razionalizzare e coordinare la produzione di ferro, attraverso l’accorpamento del patrimonio industriale dei Lasagno, Gerbore, Gervasone e Paolo Perrod (a cui si aggiungono gli stabilimenti di chiodi e viti di Venaria Reale), e la concessione di ricerca e coltivazione delle miniere a Pollein, a Pontey,
in particolare a Montgeron e Valmeriana, non sortiscono gli effetti sperati. Nel 1856 la lavorazione è sospesa e gli stabilimenti vengono chiusi. La Società Ferriere dell’Alta Valle di Aosta era succeduta ai Gervasone nella proprietà dell’antica ferriera di Châtillon che venne perciò travolta nel fallimento e soggetta a espropriazione forzata, come risulta dalla Relazione giudiziale di stima presentata nell’anno 1858 dal perito ingegnere Camillo Bernardi10. Anche i tentativi della Società Ferriere della Bassa Valle, volti a ottenere ferro combinando in diverse miscele minerali di Cogne, Traversella e Châtillon, uniti a scorie, fallirono, tanto che la stessa società venne sciolta nel 1861. È l’ora della “disfatta industriale”. Nel deludente panorama industriale mantengono un ruolo significativo i Mongenet che innovano gli impianti produttivi dello stabi37
Disegno della Fabrique Royale d’Acier nel progetto del 1821. AST, Sezioni Riunite, Tipi annessi alle patenti, sec. XIX, n. 293.
10. ACCH, Sezione Seconda, 442, 2, Relazione del Comune di Châtillon al Prefetto della Provincia di Torino, manoscritto.
11. F.-G. Frutaz, op. cit., p. 52. 12. A tale proposito, si vedano più avanti i capitoli dedicati al Lanificio Guglielminetti e all’Acqua e energia elettrica. 13. ACCH, Sezione Seconda, 388, 1, Lascito A. Gervasone. Sulle vicende relative al Lascito si veda pag. 208.
limento di Pont-Saint-Martin e i Gervasone che nel 1860 riacquistano a prezzi fallimentari e riattivano con successo gli stabilimenti di Aymavilles e Villeneuve. Oltre alla produzione per scopi bellici, i Gervasone sono impegnati nella fornitura di materiale per la costruzione della Mole Antonelliana di Torino11. Negli stessi anni a Châtillon operano alcuni fabbri nelle fucine di chiodi e serrature; sono impiegati complessivamente diciotto persone tra cui si contano un subtiliseur, sette minatori, sei fabbri, un serrurierr e tre cloutiers. Dalla relazione del 1874 redatta dal Comune di Châtillon su richiesta della Prefettura emerge che la forza motrice proveniente dall’utilizzo delle acque del ru de la Bourgeoisie mette in funzione tredici ruote da mulino, una pile a olio e un numero imprecisato di martinetti per forgerons; il ru di Chameran sei ruote da mulino, tre piles a olio e due martinetti di forgerons e mole; il Canale des Guves – potrebbe essere il canale in cemento che corre lungo la facciata dello stabilimento Gervasone – un mulino a sei ruote angloamericane. 38
La fine del secolo vede la conclusione della storia siderurgica, intesa in senso tradizionale, alimentata cioè con il carbone. Il sopravvento dell’energia elettrica modificherà sostanzialmente il quadro produttivo, privilegiando gli stabilimenti collegati direttamente alla rete ferroviaria, allorché il trasporto a distanza dell’energia non costituisce più un ostacolo agli insediamenti industriali. Risulta così esemplare il caso del passaggio di proprietà della forgia Gervasone sita a Tornafol nelle mani di un altro imprenditore, non più siderurgico, bensì artigiano tessile. Si tratta di Felice Guglielminetti che, oltre a produrre tessuti in lana, installò una turbina idraulica Hercule, di fabbricazione francese, per la produzione di energia elettrica12. A partire da questa vendita, il patrimonio accumulato dai Gervasone viene via via sgretolandosi. L’eredità spettante a Adolfo, figlio di Pierre, confluì nel 1927 nel famoso Lascito Gervasone con il quale il cospicuo patrimonio immobiliare venne destinato all’assistenza dei bambini poveri e malaticci13.
L’antica fabbrica Gervasone, che era stata confiscata in seguito al fallimento della Società Ferriere Alta Valle, subì vari passaggi di proprietà, fino a giungere, tra i secoli XIX e XX, nelle mani dei fratelli Cordero e successivamente del commendatore Federico Selve, noto industriale della Bassa Valle, comproprietario dello stabilimento metallurgico di Donnas, e al cavaliere Tommaso Giussani, grande industriale milanese, allo scopo di assicurare autonomia energetica al nuovo stabilimento che essi erano in procinto di costruire a Châtillon14. Questi ultimi acquistarono anche la forza motrice del torrente Marmore; chiesero una nuova concessione sull’uso delle acque che dalla frazione Grand Moulin di Antey venivano portate in condotta forzata fino all’area della stazione ferroviaria, producendo oltre seimila cavalli di forza che avrebbero messo in funzione l’imponente impianto industriale della Soie. Nell’epoca delle grandi trasformazioni industriali molte speranze vennero coltivate da un considerevole numero di valdostani che,
come Bich, presidente del Comice Agricole, vedevano la spinta industriale – nata a Châtillon ottant’anni prima, quando i fratelli Gervasone ottennero nel 1821 con patente reale la concessione d’acqua del torrente Marmore per attivare fiorenti fucine per la fusione del minerale di ferro – ormai al giro di boa. L’epoca di prosperità industriale e commerciale per la Valle era finita con la crisi mineraria. Neanche la tanto sospirata locomotiva, che doveva rivitalizzare l’industria, era riuscita a produrre il risveglio che ci si aspettava. La mancanza di carbon fossile, la distruzione delle foreste, l’esaurimento di gran parte delle miniere avevano causato il tracollo dell’economia valdostana e la fine di ogni illusione. Ma sullo scorcio del secolo un nuovo orientamento sta indirizzando l’industria metallurgica e manifatturiera verso l’utilizzo su vasta scala della caduta di acqua per produrre energia elettrica ad uso industriale. Nel 1890 la ditta Cordero, che aveva comprato la fabbrica Gervasone e installato mulini americani che funzionarono diversi anni nel 39
360° «Au fond de la gorge [...] on voit une vaste usine dans laquelle sont réunis hautsfourneaux, fonderie et forges...» (EDOUARD AUBERT, op. cit., 1860).
14. Sulla vicenda si veda la documentazione a pag. 201.
Lavori nel torrente Marmore Nell’archivio storico di Châtillon è conservato un documento del 12 gennaio 1849 relativo a lavori da eseguirsi nel torrente Marmore ad opera del minatore Joseph Vollet per ordine di Pietro Gervasone, proprietario della Fabrique Royale d’Acier. Il Vollet, originario di Locana, si obbliga a far saltare la roccia che ostruisce l’alveo del torrente, in prossimità dello stabilimento metallurgico di Gervasone sulla riva destra del torrente Mont-Cervin, di fronte allo sbarramento (digue) verso la parte meridionale dello sbarramento stesso, costruito a ponente del torrente per proteggere gli stabilimenti. La digue è definita da una linea in calce viva di forma quasi circolare e, perpendicolarmente a questa linea, l’escarpementt avrà la profondità di un metro, sotto la faccia superiore di un masso che si trova di fronte alla partie de la montagne à exploiter, et le plus proche du lieu au travail; i lavori devono cominciare in corrispondenza della linea perpendicolare che si vede verso la fine meridionale degli escarpementss già effettuati, e termineranno sulla cima del lato meridionale del masso sul quale si appoggia la barriera di recente costruita dall’impresario Cristillin. «L’entrepreneur emploiera toute la connaissance de l’art pour que les mines donnent des gros blocs que le sieur Gervason veut utiliser pour achever la barrière déjà mentionnée en consequence les eclats des mines ne seront point rapetissées à marteau, et il s’oblige de transporter les blocs provenants des mines sur la rive droite du torrent un peu en dessus du lieu où s’executent les travaux». I lavori devono terminare entro un mese. Il costo è di lire 150 e un barile di vino.
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sito dei vecchi fabbricati, prese l’iniziativa di installare a Châtillon una grande manifattura di cotone per 1.500 operai. L’amministrazione comunale acquistò i terreni a nord della stazione destinati allo stabilimento con un finanziamento di lire 30.000; numerosi sottoscrittori credettero nell’iniziativa e investirono i loro risparmi. Purtroppo la sottoscrizione delle azioni non raggiunse la somma necessaria all’impresa e tutto il progetto venne abbandonato15. Ma fu comunque l’avvio di un processo di trasformazione della società che si rivelò pochi anni più tardi irrinunciabile.
L’attività residuale della siderurgia ottocentesca: gli artigiani del ferro La storia dell’artigianato delle Alpi rivela due caratteristiche fondamentali delle società montane: da un lato l’artigiano, per la sua attività sedentaria, si identifica totalmente con la comunità, vive nel concentrico urbano, lavora per e con i suoi vicini produ-
cendo attrezzi o oggetti indispensabili alle pratiche agricole e all’allevamento. Ma sovente l’artigiano proviene da altre regioni o migra stagionalmente da altre località della Valle. In questo caso, nella sua attività itinerante, egli porta modelli e conoscenze diverse, contribuisce allo scambio e all’apertura del mondo alpino agli stimoli provenienti dall’esterno, all’esportazione della cultura sviluppata in montagna quando scende nelle pianure e nelle città. Dall’altro lato, gli artigiani sono stati esempio di forte solidarietà sia all’interno della categoria specifica, in quanto fabbri, forgiatori, sellai, falegnami, mugnai, e in ognuna delle innumerevoli categorie fiorite all’interno del mondo artigiano, sia per area geografica di provenienza. Ne è testimonianza lo sviluppo rapido e diffuso delle piccole comunità di emigranti che si riconoscevano proprio nella comune appartenenza ad un settore lavorativo e nelle origini valligiane. Fino alla fine del XIX secolo sicuramente la figura principale e presente in tutte le comu-
nità montane è quella del mugnaio. Si trova quasi sempre a valle del villaggio, là dove un corso d’acqua naturale o un canale appositamente costruito mette in movimento la ruota del mulino. Talvolta proprio la presenza di acqua spinge l’artigiano a sfruttare l’energia idraulica per impiantare anche altre strutture produttive, forge e officine nelle quali fuochi e magli sono azionati dalla forza dell’acqua. Il fabbro, come il mugnaio, è indispensabile alla vita economica dei piccoli borghi rurali o montani. Se il contadino e il pastore sono in grado di lavorare il legno per costruire i propri attrezzi agricoli, hanno bisogno di rivolgersi al fabbro per gli utensili in ferro, chiodi, vomeri dell’aratro, falci, vanghe e picconi. Châtillon, nella sua storia siderurgica, può vantare la presenza costante di laboratori artigianali del ferro. Il censimento dei fabbricati16, realizzato nel 1911, permette di conoscere la consistenza degli opifici nel Comune compresi nei confini del Borgo e di Chame41
360° «La nuit, quand les feux sont en pleine activité, quand les marteaux gigantesques frappent le fer rougi en faisant jaillir à chaque coupe des gerbes d’étincelles, quand les ouvriers, semblables à de noirs fantômes, courent et s’agitent au milieu des flots de lumière dont les éclats illuminent les fenêtres et les portes, le spectateur placé sur le pont qui franchit la gorge et domine la fonderie peut, sans grand effort d’imagination, se croire transporté devant les cavernes infernales et rêver qu’il assiste aux dances des démons» (EDOUARD AUBERT, op. cit., 1860).
15. ACCH, Sezione Seconda, 442, 2. Si veda anche il box Il Cotonificio Cordero nel capitolo Acqua e energia elettrica. 16. ACCH, Sezione Seconda, 458, 2, Elenco degli Opifici e delle Imprese Industriali in cui sono occupati non più di 10 operai. V Censimento Generale 1911.
Ruelle du Pont Romain.
17 Intervista a Giovanni Torreano del 3 maggio 2008.
ran: risultano attive tre officine per fabbri site nelle Ruelle de Moulins, una intestata a Antonio Torreano, una a Quinto Avignone e la terza agli eredi di Pietro Gianoli. Nella Rue du Pont Romain Luigi e Serafino Ramella sono proprietari anch’essi di officine per fabbri. Nella Ruelle du Mont Cervin, al numero 11, vi lavora Edoardo D’Herin; allo stesso numero civico, tra i nomi dei proprietari di opifici per fabbri, compare Vittorina Ducly. Si contano poi uno stagnaro in Via Umberto I, due maniscalchi in Via Menabrea, un ramaro nella Ruelle des Moulins (oltre a bottai, battilana, falegnami e conciai). Nel Borgo e a Chameran vi sono 311 famiglie per un totale di 1.150 residenti. Quaranta anni più tardi, in occasione del IX censimento della popolazione, a Châtillon su 3.870 abitanti saranno presenti sei fabbri e un minatore. 42
La famiglia Torreano Ripercorrendo la storia familiare di Giovanni Torreano17 ritroviamo puntualmente gli elementi che hanno caratterizzato la storia dell’artigianato alpino. Il nonno Antonio viveva in Piemonte a Borgofranco dove già produceva, in una fucina in affitto, tutti gli attrezzi necessari per l’agricoltura, nonché picconi e badili per il Genio Militare. Quando si trasferì a Châtillon acquistò un mulino con tre macine a ruota idraulica; sfruttando l’acqua del canale del Borgo costruì lungo lo stesso ru un impianto con due magli più un ventilatore idraulico. Il ventilatore delle fucine consisteva in un tubo in legno con delle feritoie; l’acqua scendendo aspirava l’aria e battendo su una lastra di pietra formava un velo che non permetteva la fuoriuscita dell’aria, la quale invece passava
nelle tubazioni che andavano alle fucine. Con Antonio lavoravano tre figli. Uno di questi, Eligio, subentrò nella conduzione delle attività, sia molitoria sia di fabbro, continuando a produrre con passione e perizia attrezzi molto apprezzati dagli agricoltori di Châtillon, Valtournenche, Saint-Vincent, Nus e dintorni. Avendo la SIP (Società Idroelettrica Piemontese) acquisito il diritto di sfruttare le acque del Marmore in cambio di energia elettrica, Eligio Torreano acquistò il fabbricato adiacente, idoneo all’installazione dei meccanismi necessari all’azionamento sia del mulino che dell’officina, attraverso l’energia elettrica anziché quella idraulica. Altre officine erano attive nel Borgo, ma nessuna di queste è rimasta attiva per molto tempo. Giovanni Torreano ripercorre con la memoria i momenti salienti della sua vita, da quan-
do era ragazzo e frequentava l’Istituto Tecnico Sella nella città di Biella, dove alloggiava presso due signorine di età avanzata. Quando tornò a Châtillon, dopo aver lasciato gli studi a causa del cattivo stato di salute del padre, avrebbe voluto produrre carpenteria metallica; ma questa attività necessitava di ampi spazi e quindi decise di cambiare settore. Nel 1972, dopo una serie considerevole di esperienze lavorative nelle quali inventiva e abilità giocavano un ruolo importante, iniziò, su idea e con la collaborazione della moglie Ida Pasquettaz il commercio delle piastrelle, sanitari e materiali vari per l’edilizia. È rimasto però legato alle sue origini e ripercorre con piacere i ricordi della storia familiare che si materializzano nella fucina ancora intatta e che sarebbe pronta a trasformarsi in un piccolo museo della lavorazione del ferro.
Interno dell’officina Torreano.
Les hommes et les forges
L
’histoire métallurgique de Châtillon a ses glorieuses origines dans un personnage connu comme “maître Hugonin”, qui déjà en 1346 avait construit les six canons en bronze montés sur affût, qui pourraient être considérés les premières pièces d’artillerie fondues en Italie. Une autre grande personnalité de l’histoire du milieu du XVIIIème siècle est certainement Pantaléon Bich, un homme entreprenant et laborieux, qui a fait construire à Châtillon et à Verrès des usines pour la transformation du fer qu’il exportait au Piémont. Bich eut la chance de rencontrer un homme d’une extraordinaire capacité, Bartolomeo Gervasone, auquel il vendit ses usines de Châtillon. En pleine période révolutionnaire et ensuite napoléonienne, Bartolomeo Gervasone fondait le fer à Ussel et à Bellecombe, sur le territoire de Châtillon, et dans les fonderies de Torgnon, Pontey et Aymavilles. Durant la même période, les mines de fer sur le territoire de Châtillon s’épuisèrent, mais dans le hameau de Conoz était encore en activité une usine, où on produisait la fonte ainsi que le fil de fer et les baguettes pour les fusils. Il y avait aussi quatre forges qui produisaient d’outils pour l’agriculture ou des fers pour les chevaux, six clouteries, et enfin deux autres usines destinées à la fusion de la fonte. En 1812, Gaetano Gervasone, un des fils de Bartolomeo, demanda la permission pour maintenir en activité la fabrication du fer et l’obtint pour les ateliers de Pontey et Torgnon et, sur le territoire de Châtillon, pour l’atelier de Conoz; de plus, avec la même concession il put maintenir en activité à perpétuité un haut fourneau pour fondre le minéral de fer, situé dans le hameau d’Ussel et de Planaval (Arvier). A intégration du dossier, furent produits les dessins des forges de Gervasone avec des plans et des sections des bâtiments, des machines, des fourneaux et des prises d’eau se référant à Ussel, Bellecombe et Conoz. Si Bartolomeo Gervasone avait atteint le rôle de “maître de forges” le plus populaire de la Vallée d’Aoste, son fils Gaetano devint l’architecte du développement industriel de Châtillon, en la faisant devenir une “petite ville industrielle”, même si ses intérêts d’entrepreneur sidérurgique l’amenèrent à créer des pôles de production dans de nombreux endroits de la Région. En 1821, Gaetano Gervasone bâtit un imposant établissement dans le lit du torrent Marmore. La nouvelle usine se décorait du titre de “Fabrique Royale d’Acier” et avait sa voie d’accès sur la route, en face de l’arc d’entrée sur la rue Menabrea. La demande croissante de matériel militaire a été cruciale pour le développement sidérurgique de la Région et a fait devenir les Gervasone les fournisseurs de l’Intendance Générale d’Artillerie. Dans la seconde moitié du XIXème siècle, la sidérurgie valdôtaine plongea dans une grave crise; pour la surmonter naquit la Société des Forges de la Haute Vallée d’Aoste, à l’instar d’une société semblable constituée quelques années auparavant dans le but de regrouper les entreprises de la Basse Vallée. Les tentatives pour rétablir le travail du fer sur une échelle industrielle ont échoué définitivement. En 1856, les travaux ont été suspendus et les établissements furent fermés. La Société des Forges de la Haute Vallée d’Aoste était devenue propriétaire de l’ancienne usine de Châtillon, autrefois des Gervasone qui, par conséquence, fut touchée par la faillite et dut être cédée. Cependant, lors de ces mêmes années, à Châtillon, certains forgerons restèrent en activité dans les forges des clous et des serrures: un total de dix-huit personnes y étaient employées dont un subtiliseur, sept mineurs, six forgerons, un serrurier et trois cloutiers. 44
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La fucina È rimasto solo più nei ricordi degli anziani il crepitìo del metallo incandescente, il rimbombo del maglio, il rumore del martello battuto sull’incudine, nell’atto di forgiare una lama, una zappa, un chiodo o quant’altro necessitasse ai contadini e agli artigiani. Ma il fabbro conserva ancora oggi un fascino particolare, forse dovuto alle abilità nel dare forma e funzionalità al ferro, servendosi dell’acqua e del fuoco. Salendo Rue des Moulins o Vicolo Gervasone s’incontra un vecchio fabbricato, nei pressi del quale scorre (e se ne sente il rumore assordante) il Ru du Bourg, indispensabi46
le fornitore di energia pulita ed economica. Il fabbricato ospita l’antica forgia della famiglia Torreano, rimasta a testimoniare la vita di un passato ancora recente, ma caduto nell’oblio per l’incalzare della modernità. Nonostante i quasi cinquant’anni di inattività, la forgia e gli utensili che vi si conservano hanno ancora l’aspetto di oggetti e spazi funzionali, pronti a riprendere il ritmo di lavoro del fabbro e dei suoi apprendisti. La fuliggine ha uniformato il colore delle pareti e degli attrezzi, così a prima vista può sembrare di trovarsi in un antro buio e silenzioso. Ma spostando l’attenzione verso
Interno della Fucina Torreano. 320째
i singoli oggetti, miracolosamente riacquistano forma e significato due grossi magli azionati dal movimento di pulegge e lunghe e larghe cinghie di cuoio. Tra i due magli, la berta che imprimeva la forma voluta al pezzo di ferro incandescente. Una grossa incudine e una serie infinita di utensili (tenaglie, pinze, punzoni, chiodi, martelli e mazze, lime) sono tuttora disposti in bell’ordine sulle pareti annerite di fumo. Il bancone in legno, con le sue morse, i cassetti e la mensola che ospita le lime di diversa forma e taglio, invita a considerare la varietà di attrezzi e la complessità del lavoro artigianale.
«Intanto, vivo ma solitario, è rimasto soltanto lo scroscio dell’acqua portata dal canale sotterraneo lì vicino. E pare un muggito cupo, di rabbia e di protesta, quello che sale dal portello che, di là dal piazzaletto, s’apre a picco nel punto dove, dopo il salto, l’acqua andava a colpire le grandi ruote che prima di venire estromesse dall’energia elettrica davano forza motrice alla forgia e ai mulini». Così Giacomo Ottavio descriveva la fucina nel 1981 per La Voce dei Campanili, L’Echo de nos montagnes.
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Acque e territorio: un rapporto proficuo e duraturo
Corsi d’acqua naturali e artificiali
I
corsi d’acqua che solcano e disegnano le valli hanno sempre rappresentato, nonostante i pericoli e le devastazioni dei fenomeni alluvionali, la principale risorsa economica per le popolazioni alpine. Torrenti e fiumi sono stati costantemente oggetto di attenzioni e interesse per privati e pubbliche amministrazioni che hanno tentato di risolvere gli inevitabili problemi di gestione e manutenzione, diritti e sicurezza, con la istituzione di consorzi con proprio statuto, organizzazione delle corvées e la redazione di regolamenti. Il fondo dei torrenti che scendono verso il fondovalle è composto generalmente di ciottoli e ghiaia mobili; è spesso instabile e in caso di piene tende a straripare minacciando i prati e le colture circostanti a causa dell’erosione delle sponde. La pioggia vivificatrice può trasformarsi in grêle terriblee che danneggia prati e coltivi e che solo una mano provvidenziale riesce a fermare prima che le conseguenze diventino irrimediabili. La violenza dell’acqua è stata perciò anche fonte inesauribile di inquietudine per le comunità che si insediavano in prossimità di torrenti. Soprattutto in concomitanza con le variazioni climatiche più disastrose, i sedimenti provenienti dai versanti dissodati e resi quindi più franosi scesero a valle travolgendo e ricoprendo case, prati e coltivi, sentieri, ponti e strade. Restano testimonianze che descrivono la scomparsa dei campi sotto le “rovine” (ammassi di breccia), la distruzione dei ponti, degli argini, degli opifici che sorgevano lungo le sponde.
Ad eccezione delle acque utilizzate per l’irrigazione e per la forza motrice degli opifici, le altre scendevano verso il Po causando sovente ravages. «Nous ne les aimions pas, ces eaux, – dichiarava Emile Chanoux nei suoi celebri discorsi sull’acqua e le problematiche ad essa connesse – car elles menaçaient, dans leurs courroux, nos prairies et nos chemins et nos maisons aux saisons des grandes pluies. Mais il y a quelques années ces eaux ont été maîtrisées, et plus puissantes que le charbon, elles donnent à la civilisation et à l’industrie, de la lumière, de la force et de la chaleur»1.
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1. Emile Chanoux, Regard sur l’avenir des problèmes économiques valdôtains in Ecrits, Imprimerie Valdôtaine, Aosta 1994, p. 339.
Nella pagina a sinistra: uno scorcio di Rue Gervasone. Cartolina di Châtillon veicolata nel 1930. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
Mappa storica dei principali ru di Châtillon, 1837. Archivio Comunale di Châtillon.
Gli alvei dei fiumi sono stati più e più volte ricostruiti, i muri di sostegno e di contenimento sono stati risistemati; talvolta si è ricorso a semplici tramezzi per deviare la corrente verso la riva opposta, oppure sono state realizzate grandi opere di arginamento. Il controllo dell’acqua è sempre stato fondamentale per una grande quantità e varietà di attività economiche: attraverso i sistemi irrigativi per i bisogni dell’agricoltura e dell’allevamento, con la costruzione di acquedotti per gli usi domestici, le derivazioni di canali secondari per il funzionamento dei mulini, delle falegnamerie, delle forge e impianti siderurgici in generale, per l’industria idroelettrica.
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I ru di Châtillon Anche a Châtillon, come in gran parte della Valle d’Aosta, la rete idrologica si presenta complessa e articolata in innumerevoli ru e canali di derivazione per soddisfare esigenze di varia natura. Sono sette i principali ru “storici” che ancora oggi attraversano il territorio comunale. A partire dalla zona montuosa, troviamo il Ru de la Cherva che ha origine alle sorgenti del torrente di Promiod. È lungo circa 2.500 tese e irriga i prati di Nissod per un totale di circa 50 seteurss di superficie. Il Ruisseau de Promiodd inizia nei pressi della sorgente del torrente omonimo, un po’ più in
basso. Il suo corso misura circa 1.000 tese in lunghezza e irriga principalmente i prati di Promiod. Il Ru des Gagneurs nasce dal torrente Marmore, ai confini con il territorio di Antey, attraversa la collina di Châtillon ed irriga anche Biegne, pertinenza di Saint-Vincent. Il Grand Ruisseau de Châtillon tendant à Saint-Vincent prende le acque dal torrente Marmore nei confini di Châtillon; distribuisce acqua in nove focages di Châtillon e in dieci di Saint-Vincent; venne costruito nel XIV secolo e da allora ha suscitato innumerevoli discordie tra le due comunità. La manutenzione del ru e le spese relative, per costume antico, sono tutte a carico di Saint-Vincent, a ricompensa degli svantaggi che il ru arreca ai proprietari di Châtillon. Il Ru du Bourg o de la Bourgeoisie capta le acque dal torrente Marmore, attraversa il villaggio di Conoz e si dirama quindi in tre direzioni principali: il ramo di Conoz detto Ruvet che finisce al Valleil di Merlin; il ramo Tornafoll che ha il suo sbocco alle saracinesche omonime; il ramo Baratt che finisce alla cappella omonima. L’acqua di quest’ultimo ramo viene ancora divisa in due parti uguali, in corrispondenza della cappella Barat, nelle ramificazioni dei Grands Prés e di Crétaz. Il Ru Chandiana est d’une nécessité absolue pour une partie des Communes de Châtillon, Chambave, Saint-Denis e le sue acque che derivano dal torrente Marmore servono esclusivamente per i bisogni agricoli. Il Canale di Chameran deriva le sue acque dal torrente Marmore e si suddivide in quattro rami: il ramo di Breill che termina in corrispondenza del sottopassaggio della Ferrovia dello Stato; il ramo di Grange di Barma che termina alle saracinesche esistenti al lato nord-est del castello del barone Gamba; il ramo denominato Plan de Ventoux di mezzodì che comprende il tratto di canale intercorrente tra il peso pubblico e la frazione Garin; l’ultimo ramo prende il nome di Plan de Ventoux
di levante e comprende la diramazione che ha inizio alle saracinesche esistenti nel lato nord-est del cimitero e termina alle saracinesche esistenti nel lato est di Ventoux. È possibile ricostruire almeno in parte le vicende legate all’uso e al controllo dell’acqua attraverso gli atti amministrativi del Comune e delle associazioni consortili. Per il periodo che qui ci interessa analizzare, la documentazione prende in esame soprattutto i casi di manutenzione straordinaria che si rendevano necessari in seguito alle violente piene che travolgevano ponti e argini2.
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2. ACCH, Serie II, 20, 4/7; Serie III, 48, 5/6/9; 55, 1/3; Serie Suppletiva, 88, 2/3; 94, 8/11; Sezione Seconda, 329, 3; 429, 1/2/3/7/8.
Disegno del corso del torrente Promiod. Archivio Comunale di Châtillon.
Ru du Bourg. Tratto a cielo aperto.
3. ACCH, Serie II, 21, 4, Riparazioni del Pont des Chèvres, 1812. 4. ACCH, Serie II, 20, 7, Rôle de payement, 1807. 5. Il territorio comunale di La Magdeleine, confinante con quello di Châtillon, si trova tra 1.450 e 2.734 metri. 6. ACCH, Serie III, 55, 2, Papiers concernans la repartition des eaux d’arrosement des biens du quartier d’Ussel, 1807.
Risale al 1806 la lettera del Prefetto del Dipartimento della Dora indirizzata al Sottoprefetto d’Aosta3, volta a chiarire i termini entro i quali doveva essere effettuata la manutenzione dei corsi d’acqua a carico della pubblica amministrazione. Il Prefetto ritiene che sia compito dell’amministrazione promuovere la unione dei proprietari interessati, qualora i torrenti minaccino di invadere e devastare le proprietà rivierasche. Se ciò non avviene, l’amministrazione può obbligare alla manutenzione e alla riparazione degli argini, ma solo nei casi di negligenza o di rifiuto e quindi di fronte all’eventualità che si verifichino danni a cose e persone. In caso poi di contestazione tra privati, la competenza a dirimere le questioni spetta al Tribunale. La legge del 14 floréal dell’anno 11 – precisa il Prefetto – attribuisce 56
al potere amministrativo la competenza sui fiumi e i canali di proprietà pubblica la cui gestione interessi tutti gli amministrati. Nell’anno successivo l’Amministrazione Comunale di Châtillon procede alla redazione del Rôle de payementt4 delle riparazioni straordinarie fatte al Ru des Gagneurs, le cui acque sono utilizzate per irrigare i beni di parte della collina di Châtillon. Si prevede la classificazione dei suddetti beni in base a quattro categorie, ciascuna delle quali paga un importo unitario corrispondente: nella prima categoria rientrano i beni siti nell’hameau de Chardin, a Bruzoncles des Follin, Le Cret de Triore, Bruzonclo des Gard, Periana, Champlong. g Tali beni sono soggetti al pagamento di 45 centesimi per ogni giornata di lavoro. Alla seconda categoria, a 65 centesimi per giorno, appartengo-
no Isseurie, Murate, Verdetta, Cono e Merlin; nella terza, a 90 centesimi per giorno, troviamo Cré Blanc, Barmusse e Sounière, Cretadon e Pissin; nella quarta a 1 franco e 5 centesimi, troviamo Albard, Le Crêt e La Tour, Clozel dessous, Clozel dessus, Domiana e Biegne. Curiosamente tra i proprietari facenti parte del Consorzio del Ruisseau des Gagneurs s’incontrano numerosissimi capifamiglia provenienti dai villaggi di La Magdeleine. Nel consegnamento che questi fanno, dichiarano la loro provenienza, l’uso dei beni irrigati, il numero di ore spettanti. Risulta evidente che i magdeleins coltivano soprattutto vigne, prati e cheney, ad integrazione delle colture praticabili sul territorio di La Magdeleine5. Si susseguono numerose pratiche concernenti la ripartizione delle ore d’acqua per i diversi ru esistenti nel territorio e per ciascun quartier ((denominazione antica delle frazioni o accorpamento di borgate). Così, procedendo in senso cronologico, con una deliberazione6 del 31 maggio 1823, il Consiglio Comunale di Châtillon decide di incaricare l’esperto Jean Grat Meynet di procedere alla predisposizione del Rôle de payementt per i proprietari dei beni irrigabili di Ussel. Con Meynet viene stipulata una convenzione nella quale si specifica il corrispettivo da accordargli e vengono definiti i criteri della ripartizione delle acque; la stessa convenzione sarà sottoposta all’approvazione dell’Ufficio d’Intendenza perché diventi esecutiva. In appendice il Consiglio Comunale dichiara inoltre che non ci saranno deroghe ai diritti d’irrigazione che possono competere al quartiere di Bellecombe. La decisione del Consiglio era stata sollecitata dai proprietari di Ussel, che lamentavano la mancanza di una ripartizione equa, a fronte di una ricchezza invidiabile di corsi d’acqua e con grave pregiudizio per le coltivazioni. Ricorsero quindi al Consiglio Comunale, nella sua qualità di amministratore delle Grandi Consorterie, affinché prendesse provvedimenti, a partire dalla nomina di un esperto per la misurazione
Le ore d’acqua La necessità di regolamentare una materia così importante per la vita della comunità ha prodotto nel tempo una grande quantità di documenti dai quali, oltre a desumere dati di carattere amministrativo (lettere, delibere, preventivi, rapporti, ecc), si possono estrapolare informazioni preziose sulle attività economiche, sull’uso del suolo, sulle famiglie dei proprietari che fruivano della ripartizione delle ore d’acqua. Sulle vicende relative al Ru des Gagneurs, per esempio, il Rapport relatif à la répartition d’heures d’eau qui suit del 1836 descrive l’operato dell’esperto misuratore. Il progetto di ripartizione in questo caso è piuttosto complesso: esso prevede la divisione del canale che irriga 178 tese (misura variabile da luogo a luogo pari all’apertura delle braccia, in superficie m 3,50 circa) di proprietà private in cento branches (settori). L’esperto ha diviso il corso del ru in quattro parti, tutte attive contemporaneamente nella medesima unità di tempo: la quinzaine, turno di irrigazione composto di sole 252 ore, poiché le ore della notte, cioè dalle 9 della sera alle 3 del mattino, non sono comprese. I turni cominciano il lunedì alle 3 del mattino e terminano alla seconda domenica dopo le 9 di sera. Il programma prevede una sola posa d’acqua per diversi appezzamenti dello stesso proprietario, anche se sono separati gli uni dagli altri «lorsque l’arrosement ne dérange pas l’ordre, ni occasionne du retard à celui qui le suit». Inoltre, poiché molti appezzamenti sono di piccolissima estensione e non raggiungono nemmeno la metà della superficie utile alla posa di un quarto d’ora, l’esperto misuratore ha previsto di riunire due o tre appezzamenti per ottenere la quantità minima di tempo. Per evitare di distribuire l’acqua in modo casuale, ogni imboccatura delle ramificazioni del ru deve avere una chiusa regolabile con il relativo numero di riferimento. Il turno di posa d’acqua si farà nello stesso spazio di tempo ovvero nella stessa quindicina, ma non su un’eguale superficie di terra, perché, considerando la situazione delle diverse località che il geometra ha attentamente esaminato, non sarebbe giusto che i beni che sono a due ore di distanza dall’embouchuree (derivazione) del canale abbiano la stessa quantità di ore che hanno quelli che sono più o meno lontani, perché il canale non può conservare in tutta la sua corsa la stessa quantità di acqua, soprattutto se attraversa des ravines et des lieux escarpés, dove si perde considerevolmente. Segue l’elenco dei beneficiari, le proprietà e i confini, estensione, la quota di acqua in ore e quarti, l’orario dell’irrigazione, il giorno della settimana, prima o dopo mezzogiorno. Le proprietà (tutte in collina) sono coltivate a vigna, castagneto, prati, campi.
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Bonjean, poiché si trattava di attribuire i diritti d’irrigazione a chi non li aveva o di dare una quantità più o meno grande di acqua ai singoli proprietari. Il misuratore doveva poi redigere il preventivo di spesa anche per la costruzione di due piscine e fissare l’indennizzo dovuto ai proprietari dei fondi da espropriare, e quindi predisporre la ripartizione delle spese calcolate in ore di presa d’acqua. Il lavoro dell’esperto veniva retribuito 15 centesimi per quartanata di terra irrigabile. Analogo procedimento venne applicato nei confronti dell’acqua proveniente dalle sorgenti di Nissod. La pratica concernente la ripartizione delle ore d’acqua venne messa a punto tra l’agosto del 1829 e il settembre del 1831. L’esperto Jean Martin Gal, arpenteur patenté de l’Université de Turin, con domicilio a Torgnon, redige il rapporto sulla sua missione a Nissod7 che prevede per ciascun proprietario le ore di presa d’acqua in rapporto alla estensione dei propri fondi agricoli.
Ru du Bourg. Saracinesca nei pressi della Fucina Torreano.
7. ACCH, Serie III, 55, 1, Rapport conténant repartition des sources d’eau de la Consorterie et hameau de Nissod Commune de Châtillon. 8. ACCH, Serie III, 48, 9, Délibération du Conseil Communal, 4 maggio 1849.
di tutti i beni irrigabili, e quindi i prati, i giardini e le canapaie esistenti nel territorio di Ussel. Sulla base di detti calcoli e in rapporto alla qualità dei beni, l’esperto avrebbe attribuito a ciascun fondo in giusta proporzione il diritto di arrosement, osservando che questa operazione sarebbe stata estesa tanto ai beni irrigati con l’acqua del torrente Taxard che a quelli che utilizzavano l’acqua della Creta d’Ussel e i prati des Isles qui s’arrosent avec l’eau de la Doire. Nella stessa data l’esperto Meynet passò – secondo il costume dell’epoca – soumissions davanti al Consiglio di Châtillon, atto che sanciva gli accordi, secondo i quali il Meynet sarebbe stato accompagnato e assistito nella suddetta operazione dal consigliere Joseph 58
L’impegno dell’Amministrazione Comunale si fece sempre più oneroso nella prima metà dell’Ottocento, periodo nel quale le piogge insistenti devastarono i campi coltivati, le piene distrussero gli argini dei fiumi e sovente finirono per causare crolli in corrispondenza dei muri di contenimento dei ru, con grave pericolo per i fondi da irrigare. Proprio per far fronte a tale eventualità e trovare le relative risorse finanziarie, il Comune di Châtillon decise di determinare quali fossero effettivamente i ru che dovevano essere dichiarati comunali, le cui spese di riparazione, quindi, sarebbero state a carico dell’Amministrazione8. Da tempo immemorabile il Comune aveva fatto eseguire con i fondi della sua cassa tutte le riparazioni straordinarie – ricostruire muri, archi, canali in legno – che si erano rese necessarie per i ru, comprendendo nell’elenco anche i corsi naturali.
La spesa prevista per l’anno 1849 si aggirava tra sette e ottomila lire; troppo onerosa per l’Amministrazione – dichiarò il Sindaco Charles Bich – e quindi doveva essere sostenuta in debita proporzione direttamente dagli utenti, sulla base di un rôle de répartition. L’Intendente, prima di approvare l’operato del Consiglio Comunale, pose alcune questioni e chiese precisazioni in merito alle determinazioni assunte: 1. è necessario definire se i ru servono solo a qualche particolare o per un gran numero di utenti; 2. se tutta la comunità in generale trae vantaggi da uno dei ru elencati nella delibera; 3. se ci sono altri ru la cui manutenzione sia a carico esclusivo degli usagers;
4. se ci sono regolamenti o égances che abbiano stabilito i diritti e i doveri di ciascuno sui suddetti ru. Il 26 novembre dello stesso anno il Consiglio Comunale prende atto delle osservazioni fatte e procede alla verifica dei dati richiesti dall’Intendente, raccolti nella tabella sotto riportata9. Nell’elenco manca il Ru de la Cherva di Nissod, che compariva invece in un precedente elenco presentato dall’Amministrazione Comunale. Infine il Consiglio Comunale precisa che les usagers hanno sempre fatto regolarmente le corvées per le riparazioni di loro pertinenza e il Comune pagava le spese dei lavori in atto. La delibera viene sottoposta all’approvazio-
Ru Gagneurs Saint Valentin
Numero degli utenti 440 100
Soggetto a égance sì no
Conno
600 (quelques artifices, moulins, forges, taillanderies et moules. La Commune derive de ce ruisseau l’eau qui longe la rue de la Bourgade et arrose les jardins.)
no
Chameran
400 (des artifices, abrevoirs, besoins des familles du faubourg)
Solo per i prati
Dessus et dessous Promiod Boësse Mellé Moriola Taxar Isles Mochareyy Leches Cret Parchemin Chandiana Bertina
40 8 40 36 40 35 25 40 20 30 144 10
sì no sì sì sì sì sì sì sì no sì no
Bourg
600 (habitants les quartiers du Bourg et de Chameran)
no
9. ACCH, Serie III, 48, 9, Délibération du Conseil Communal, 26 novembre 1849.
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Ru du Bourg. Presa sul torrente Marmore. 300°
ne dell’Intendenza di Ivrea che, sulla base delle osservazioni in proposito fatte dall’Intendente di Aosta l’anno precedente, ritiene che la manutenzione dei ru sia di spettanza degli utenti, e non a carico del Registro Generale, come prevede il Regolamento 2° per le acque. L’Intendente quindi non approva la deliberazione del Consiglio Comunale. Nel lungo elenco che accomuna ru e corsi naturali d’acqua manca il Ruisseau de Châtillon tendant à Saint-Vincent; non essendo a carico della comunità châtillonaise, il Consiglio non ritiene utile inserirlo tra i ru comunali. In risposta alla circolare prefettizia del 1° ottobre 1874 (n. 13817) il Comune di Châtillon redasse un documento sotto forma di tabella in cui riepilogava la situazione del proprio territorio. Dal torrente Cervino stimato lungo 30 km, largo in media 10 m e con una portata media di circa 5 mc, derivano sei canali, tra i quali il sesto non risulta citato in nessun altro documento: il Canal des Guves, sulla destra oro60
grafica del torrente Cervino, con una chiusa di presa larga 1,20 m e con 200 litri di acqua derivata, per un mulino a sei ruote angloamef la cui acqua è staricano, actuellement inactif, ta restituita al torrente. Concessionario risulta Peirani da almeno 30 anni, mentre gli altri cinque canali sono in concessione al Comune di Châtillon, ai Comuni di Saint-Vincent e Châtillon il Ruisseau de Saint-Vincent, t e ai Comuni di Châtillon, Saint-Denis e Chambave il Ruisseau de Chandiana. I primi cinque canali furono concessi dai signori di Challant nel XIV secolo. Nelle annotazioni si rileva che i primi tre canali (Gagneurs, Saint-Vincentt e Chandiana) sono utilizzati per l’irrigazione, mentre i restanti alimentano ««faibles forces motrices de roues de moulin ordinaires et quelques martinets de forgeron dont on peut indiquer la force en chevaux à vapeur parce qu’elle n’a jamais été calculée par un homme tecnique». L’impiego principale rimane comunque l’arrosement des campagnes, anche se si contano tredici ruote di mulino, una pile à huile et
martinets de forgerons sul corso del Ruisseau de la Bourgeoisie, e sei ruote di mulino, tre piles à huile et martinets de forgerons et meules sul Ruisseau de Chameran. Anche per gli Amministratori Comunali è chiara l’ambivalenza dell’economia locale: agricoltura e lavorazione del ferro sono le principali attività che si contendono l’uso delle acque. Riguardo invece alla regolamentazione dell’uso delle acque incanalate nei ru, l’Archivio Storico di Châtillon conserva un documento estremamente interessante, relativo al Réglement du Ru de la Bourgeosie10. Il Consiglio Comunale presieduto dal Sindaco Pierre Noussan, il 21 maggio 1866, adotta all’unanimità un nuovo regolamento per il Ru detto anche du Bourgg o de la Bourgade. Si tratta di un regolamento diviso in nove articoli, dei quali qui di seguito si riporta una sintesi: 1. Il ru è diviso in tre parti come nel passato: il Ruvet de Conoz, la branche de Tornafol, la branche de Barrat detta anche des Grands Prés.
2. Durante la stagione dell’irrigazione il Ruvet de Conozz continua ad avere la quantità d’acqua usuale; il surplus sarà diviso alla chiusa delle Fabriques in ragione di 3/5 per la branche de Tornafoll e 2/5 per quella di Barat. Nelle altre stagioni la quantità di acqua sarà divisa a metà circa. 3. La manutenzione ordinaria e straordinaria del ru sarà d’ora in poi a carico di tutti gli utenti in generale, senza alcuna distinzione, in proporzione al terreno irrigabile e agli artifici che ne utilizzano l’acqua. 4. I proprietari di terreni con estensione inferiore a dieci are contribuiranno per mezza giornata ogni tre anni, oppure un sesto di giornata per anno. I possessori di terreni da dieci a venti are contribuiranno per mezza giornata ogni due anni; da venti a sessanta are per mezza giornata all’anno; da sessanta a cento are per una giornata all’anno; più di un ettaro una giornata per ogni ettaro. 5. Gli artifici provvederanno alla manutenzione ordinaria e straordinaria; essi sono 61
10. ACCH, Serie III, 55, 2.
6.
7.
8.
9.
divisi in tre categorie di cui però si leggono solo le prime due voci: • corrispondenti a un ettaro di terreno • corrispondenti a sessanta are • [...] La branche de Tornafoll fornirà l’acqua necessaria al ru de la Bourgadee e nessuno la potrà deviare senza l’autorizzazione del direttore; la quantità d’acqua sarà regolata da una chiusa. Le branches de Tornafoll e de Baratt saranno anch’esse suddivise, la prima a Tornafol e la seconda alla cappella di Barat, in due piccoli corsi, e nessun utente potrà prendere più della metà dell’acqua di ciascuna branche. Tutto il terreno irrigabile con il ramo di Tornafol dovrà essere irrigato esclusivamente con l’acqua di questo canale ed è quindi espressamente vietato servirsi dell’acqua dell’altra branche. Si osserveranno inoltre le disposizioni degli articoli 1.2.3.4.5.6.7.8.9.10.12.13.14 del Réglement de Police ruralee del Comune. In base all’art.13, quindi, il prezzo della giornata è fissato a 80 centesimi.
vecento, i membri dell’Assemblea Generale degli utenti del canale di Chameran, quando si trovarono a suddividere i carichi relativi all’uso delle acque11. Il verbale del 28 marzo 1909 riporta il numero degli utenti che sono 270; la superficie soggetta a irrigazione che consiste in 5.745 are, a cui si aggiungono 1.900 are ripartite tra artifici e derivazioni d’acqua. La metà è
Il Regolamento venne approvato dal Sottoprefetto di Aosta l’8 giugno 1866 con l’avvertenza di aggiungere alla delibera il Réglement de Police rurale e l’antico Réglement du Ruisseau de la Bourgade. Anche l’Acquedotto di Chameran vide l’istituzione di un Consorzio, con relativo statuto, nello stesso periodo della formazione del Consorzio Ru du Bourg; g anzi quest’ultimo fece da riferimento e modello per la redazione del documento e del regolamento interno. I due ru erano accomunati da una utenza mista di agricoltori e artigiani/industriali, per cui le acque erano fortemente contese dalle parti e in entrambi i casi necessitava una rigorosa ripartizione, anche nella scansione dell’anno, delle derivazioni. Se ne fecero carico, nei primi anni del No63
11. ACCH, Sezione Seconda, 429, 1, Commune de Châtillon. Registre des Déliberations. Ruisseau de Chameran.
Nella pagina a sinistra: Canale di SaintVincent. Canale di Chameran. Progetto di ricostruzione dell’acquedotto, 1873. Archivio Comunale di Châtillon.
La Grande Digue di Breil. 250°
a carico des exercices: il barone Gamba usa l’acqua per un impianto elettrico pari a 1.564 are; Alexandre Alliod per un foulon de drap corrispondente a 136 are; François D’Herin possiede un mulino e un frantoio per 410 are; Edouard D’Herin per la sua forgia ha un carico di 342 are; Angelique Noussan per la sua industrie de pâtes 273 are; la segheria di Césarine Vogliano per 342 are e infine il lavatoio delle Suore della Provvidenza per 205 are. La derivazione per uso domestico interessa pochissimi utenti, a testimonianza del fatto che l’acqua corrente sarà una conquista successiva. Ma la storia del canale di Chameran è molto più antica e se ne ritrovano tracce nei documenti, per il periodo qui considerato, a partire dal primo Ottocento, quando si resero necessarie opere di consolidamento o di rifacimento dell’acquedotto che attraversava tuttora il borgo di Chameran in corrispondenza dell’antica casa Gervasone.
12. ACCH, Serie II, 21, 4.
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Il contenimento delle acque Le opere dell’uomo sono spesso minacciate dagli agenti atmosferici, come il vento, le abbondanti nevicate o le piogge insistenti. In ognuna di queste situazioni si verificano danni a cui bisogna porre rimedio. Per tutto l’Ottocento, i ponti che collegavano il capoluogo con le località limitrofe erano in legno, quindi soggetti a continue e mai definitive riparazioni. Ma anche i canali e gli acquedotti in pietra necessitavano periodicamente di manutenzione e ricostruzione di parti danneggiate o andavano rifatti integralmente. È del 1812, sotto il governo francese, la pratica relativa alla ricostruzione dell’arco a sostegno del canale che attraversa il borgo di Chameran, in corrispondenza della via Menabrea (sur la Grande Route), come si legge sull’intestazione del documento, à l’entrée de Châtillon, prise du coté d’Aoste12. In un altro documento dello stesso tenore, ma datato 1873, l’acquedotto risulta ricostruito
nuovamente, ma questa volta in dalles, pietra da taglio più elegante e resistente. La Grande Route che attraversa il faubourgg di Chameran ormai è route nationale13. Tornando al 1812, troviamo un altro provvedimento del Consiglio Comunale col quale si stabilisce di ripartire le spese per la riparazione del Pont des Chèvres sul fiume Dora tra i comuni confinanti che vengono serviti da detto ponte: Châtillon, Saint-Vincent, Montjovet14. Un anno più tardi si presenta lo stesso caso con il rifacimento del Pont de Ventoux, ponte in legno in cattivo stato e minacciante rovina. Il ponte pericolante ostacola le comunicazioni con il capoluogo degli abitanti di Ussel, Bellecombe e Pontey. Il Comune interviene con la riparazione des pilliers en pierre e la ricostruzione del ponte ancora una volta in legno. Nel 1866, un’ennesima alluvione demolì il ponte di Ussel. In questo caso, la Giunta municipale di Châtillon chiese al Sottoprefetto l’autorizzazione al taglio di 20 larici della fo-
resta di Ciserale (sopra Pontey) per provvedere al materiale di costruzione15. Gli anni centrali del secolo, tra il 1840 e il 1870, furono particolarmente difficili per le popolazioni dei comuni valdostani: piogge continue e abbondanti misero a dura prova la robustezza dei ponti, degli argini e di ogni struttura che dovesse contenere la violenza delle acque. Si susseguirono quindi interventi d’urgenza per mettere in sicurezza i canali, gli alvei dei torrenti, le terre che si affacciavano sulle sponde della Dora. Le piogge dell’ottobre 1846 causarono danni ingenti a strade, ponti, acquedotti e canali qui ont été considerablement dégradés par les grands éboulements. Crollarono numerosi tratti di muro di sostegno, e massi ostruirono ovunque il passaggio dell’acqua nei canali16. Dal 1861 al 1864 furono eseguiti lavori di prolungamento della Grande Diguee sulla riva sinistra della Dora in prossimità e a protezione del villaggio di Breil.
13. ACCH, Serie Suppletiva, 88, 3. 14. ACCH, Serie II, 21, 4. 15. ACCH, Serie III, 54, 2. 16. ACCH, Serie III, 55, 3.
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Vallone di Promiod dall’Alpe Champcellier. 250°
Eaux et territoire: une relation fructueuse et durable
L
es ruisseaux qui traversent et dessinent les vallées ont toujours été, malgré les dangers et les ravages des inondations, la principale ressource économique pour les populations alpines. Les ruisseaux et les rivières ont constamment fait l’objet d’attention et d’intérêt pour les entreprises publiques et privées qui ont tenté de résoudre les inévitables problèmes de gestion et d’entretien, les droits et la sécurité, avec la création de consortiums dotés de propres statuts, l’organisation des corvées et la rédaction de règlements. Les lits des rivières ont été reconstruits à maintes reprises; les murs de soutènement ont été améliorés: il suffisait parfois de faire recours à de simples cloisons pour détourner le courant vers la rive opposée, soit il fallait, par contre, de grands travaux d’endiguement. Le contrôle de l’eau a toujours joué un rôle crucial dans un grand nombre d’activités économiques: à travers les systèmes d’irrigation pour les besoins de l’agriculture et de l’élevage; avec la construction d’aqueducs à usage domestique, ainsi que les dérivations des canaux secondaires pour le fonctionnement des moulins, de la menuiserie, de la forgerie, des usines d’acier et, en général, pour l’industrie hydroélectrique. A Châtillon, aussi, comme dans une grande partie de la Vallée d’Aoste, le réseau hydrologique est complexe et articulé par d’innombrables rus et canaux de dérivation pour satisfaire différents types d’exigences. Il existe sept rus “historiques” principaux qui encore aujourd’hui traversent le territoire communal: lee Ru de la Cherva, lee Ruisseau de Promiod, lee Grand Ruisseau de Châtillon tendant à Saint-Vincent, lee Ru des Gagneurs, lee Ru du Bourg ou de la Bourgeoisie, lee Ru Chandiana et le Canal de Chameran. 66
Il est possible de reconstruire au moins une partie des événements liés à l’utilisation et au contrôle de l’eau grâce aux actes administratifs de la Commune et des consortiums. Pour la période qui concerne notre analyse, la documentation prend en considération surtout les cas d’entretien extraordinaire qui étaient nécessaires à la suite des inondations violentes qui ont balayé les ponts et les digues. L’engagement de l’administration municipale est devenu de plus en plus onéreux dans la première moitié du XIXème siècle, période pendant laquelle les pluies persistantes ont ravagé les champs cultivés, les inondations ont détruit les bords des fleuves et souvent cela a fini par provoquer des effondrements au niveau des parois de confinement avec les rus, en créant ainsi un grand danger pour les propriétés qui devaient être irriguées. Pour répondre à cette éventualité et trouver les fonds de financements, la ville de Châtillon a décidé d’établir les rus qui devaient être déclarés municipaux, dont le coût de la réparation aurait dès lors été supporté par la municipalité elle-même. En réponse à une circulaire préfectorale du 1err octobre 1874, obligeant les Communes à décrire les dérivations des cours d’eau, la ville de Châtillon a résumé la situation de son propre territoire: de la rivière Cervino, longue de 30 km, avec une largeur moyenne de 10 m et un débit d’environ 5 mètres cubes, dérivent six canaux. L’usage principal restait toutefois l’arrosage des campagnes, même si on comptait treize roues de moulins, une pile à huile et martinets de forgerons sur le cours du Ruisseau de la Bourgeoisie, et six roues de moulins, trois piles à huile et martinets de forgerons et meules sur le Ruisseau de Chameran. 67
Nelle pagine precedenti: • Cascatella del Canale di Saint-Vincent • Formazioni di ghiaccio nel torrente Marmore
Ponti storici nel Borgo
Nelle quattro pagine centrali: Vista di Ch창tillon dal castello di Ussel. 250째
Collegio Gervasone da Chameran dessus
Canale di Saint-Vincent. Tratto a cielo aperto nel territorio di Ch창tillon. 300째
Nella doppia pagina seguente: Centrale di Covalou (CVA). 170째
La gorgee del torrente Marmore nei pressi della Fabrique Royale d’Acier. 300°
Sopra: resti della Fabrique Royale d’Acier Sotto: veduta dal Ponte Nuovo 190°
190°
Nella tripla pagina seguente: veduta dal ponte secentesco 200째
Veduta di Ch창tillon dal campanile di Notre Dame de Gr창ce (restauro del 2009). 300째
Nelle tre pagine: vigneti sulla collina di Ch창tillon. 300째
Mulino Torreano. 180째
Officina del Lanificio Guglielminetti. 180°
Nelle pagine seguenti: Turbina e macchine del LaniďŹ cio Guglielminetti. 150°
Il tempo delle industrie
Demografia e società
L
’andamento demografico del Comune di Châtillon per tutto il Novecento è stato influenzato pesantemente dai flussi migratori che in vari periodi hanno portato nella cittadina valdostana intere famiglie al seguito di operai, commercianti, tecnici e in minor misura dirigenti e specialisti delle imprese industriali che vi si sono insediate. Attraverso i censimenti della popolazione è possibile tratteggiare il profilo della popolazione, delle famiglie, delle occupazioni lavorative, dei fabbricati industriali e artigianali, delle abitazioni, ma anche delle provenienze dei molti immigrati e infine delle cosiddette “coppie miste”. Lo scostamento tra i dati della popolazione totale di Châtillon riferiti agli anni 1911 e 1931, quando si passa da 2.800 circa a 4.322 residenti, è il risultato di un fenomeno che si accentuerà nel corso del secolo scorso. In concomitanza con nuovi insediamenti industriali, in relazione all’altalenante situazione occupazionale e, nelle epoche più recenti, grazie alla presenza di infrastrutture viarie e ferroviarie, la popolazione di Châtillon ha subito variazioni continue, sia sul piano quantitativo che per quanto riguarda la composizione sociale. Il primo censimento1 a cui si può guardare per ottenere informazioni sulla composizione della popolazione châtillonaise è quello del 1911. Pur nell’incompletezza delle informazioni, risulta evidente che il dato più significativo riguarda il numero di persone assenti dal Comune, presumibilmente emigrati in gran
parte all’estero o in altre regioni italiane. Secondo Louis-Napoléon Bich furono 22.000 i valdostani che abbandonarono la Valle in un periodo di poco precedente, tra il 1885 e il 1905, e il flusso verso l’esterno della Regione, principalmente verso la Francia, non solo aumentò ancora fino allo scoppio della prima guerra mondiale, ma riprese immediatamente e in misura massiccia al termine del conflitto. La popolazione valdostana diminuì da 85.481 nel 1861 a 80.860 nel 1911 e si trattò di un’emigrazione permanente che ebbe come mete le principali città francesi (Parigi, Marsiglia, Lione), la vicina Svizzera (Losanna e Ginevra), ma anche i paesi d’oltremare (Canada, Stati Uniti, Australia, Argentina)2. L’emigrazione di massa che caratterizzò i paesi europei mediterranei già negli ultimi due decenni dell’Ottocento fu certamente un
101
1. ACCH, Sezione Seconda, 458, 2, V Censimento della popolazione, 1911. 2. Stuart S. Woolf, Emigrati e immigrati in Valle d’Aosta, in Storia d’Italia. La Valle d’Aosta, 1995, pag. 621.
Cartolina di Châtillon veicolata nel 1938. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
Cartolina di Châtillon veicolata nel 1918. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
segno di rottura con il passato. Per la Regione valdostana significò soprattutto spopolamento, e in particolare delle vallate laterali più svantaggiate nel collegamento con il fondovalle; nel contempo si registrò un profondo mutamento della composizione della popolazione residente, in seguito alle frequenti ondate migratorie verso l’interno della Valle. Le migrazioni temporanee si erano sempre verificate, pressoché in ogni epoca, e proprio su questa consuetudine antica e abituale per la montagna, le comunità alpine avevano trovato una sorta di equilibrio e stabilità. A differenza delle altre regioni italiane, dove l’emigrazione rispondeva anche ad un problema di sovraffollamento, la Valle d’Aosta era poco popolata e inoltre, al flusso in uscita dalla Valle, si accompagnava un flusso in entrata. Le economie locali subirono una vera e propria rivoluzione allorché, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, l’insediamento nelle valli delle nuove attività industriali legate alle miniere, alla metallurgia e infine all’energia idroelettrica determinò la stabilizzazione degli emigranti ed arrestò “l’emorragia” di valdostani.
Prima del XX secolo, gli immigrati provenivano quasi tutti dal Piemonte e praticavano attività commerciali. Nei decenni successivi, a cavallo tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, arrivarono in massa uomini e donne (perlopiù molto giovani) dalla vicina Lombardia per occupare posti di lavoro nell’industria tessile, mentre i tagliatori di pietre giungevano da Massa e da Carrara per lavorare nelle cave, bergamaschi e bresciani erano preferibilmente minatori, i veneti lavoravano nell’industria metallurgica, mentre manodopera specializzata per le Officine Ansaldo giungeva da Terni e da Conegliano. Se l’emigrazione trovava le sue cause più immediate nella necessità economica, conseguente alle scelte politiche inadeguate o del tutto assenti, l’immigrazione fu determinata in molteplici occasioni da scelte politiche molto mirate. Nel caso della Valle d’Aosta, soprattutto durante il regime fascista, si assistette ad una vera e propria colonizzazione, anche culturale, a favore e con la connivenza di grandi gruppi industriali, che si espresse nella italianizzazione forzata della Valle e nell’arrivo di un esercito di burocrati, specie in occasione della istituzione della Provincia di Aosta.
Il censimento del 1911 La moderna storia industriale di Châtillon ha avuto un avvio tormentato e lento, negli anni a cavallo dei secoli XIX e XX, quando si verificò un cambiamento degli interessi economici degli imprenditori, peraltro esterni alla Valle, che intuirono le potenzialità della Regione, specialmente in relazione alla presenza di abbondanti corsi d’acqua. La produzione di energia elettrica e la possibilità di trasportarla anche a considerevole distanza rese il territorio valdostano particolarmente adatto all’insediamento di impianti industriali, oltre ovviamente alle centrali idroelettriche. 102
Censimento delle case e altri fabbricati3. Opifici, forni e torchi. 1911 Proprietario
Via o frazione
Uso del fabbricato
Torreano Antonio fu Giuseppe
Ruelle des Moulins
Mulino
Panna Maria fu Giovanni
Ruelle des Moulins
Mulino
Gianoli eredi di Pietro
Ruelle des Moulins
Opificio fabbro
Comune di Châtillon
Ruelle des Moulins
Scuola maschile
Ramella Luigi fu Giulio
Rue du Pont Romain
Officina fabbro
Guglielminetti Umberto fu Felice
Rue du Pont Romain
Mulino
Yoccoz Celestino
Passaggio Stazione
Opificio conceria
Società Latteria
Rue Baqueret
Personettaz Adolfo fu Battista
Passage des Cloîtres
Opificio Falegnameria
Moitre eredi di Pietro
Strada Provinciale 1
Macello e ghiacciaia
Duc Francesco
Passaggio Barat
Conceria
Vogliano Bernardo fu Pietro
Via Menabrea 1
Conceria
D’Herin Edoardo fu Francesco
Ruelle du Mont Cervin 11
Opificio fabbro
\Alliod Alessandro
Ruelle du Mont Cervin 19
Opificio Tintoria
Aymonod Isidoro Alessandro
Ruelle du Mont Cervin 22 Chameran dessus Ussel
Mulino cereali Mulino Opificio Mulino da cereali
D’Herin Francesco fu Francesco Junod Rosalia
Ussel
Forno e torchio consorziale
Aymonod Giuliana
Ussel
Torchio consorziale
Aymonod Giovanni
Ussel
Forno consorziale
Bonjean Francesco
Ussel
Forno consorziale
Charriere Modesta
Bellecombe
Forno consorziale
Vuillermoz Giacomo
Bellecombe
Mulino cereali
Dujean Basilio
Bellecombe
Forno consorziale
Abitanti villaggio
Promiod
Forno consorziale
Abitanti villaggio
Promiod
Mulino cereali consortile
Proprietari
Brusoncles
Forno consorziale
Cochet Celestina
Champlong
Forno pane uso famiglia
Dondeynaz Simeone
Murate
Torchio
Abitanti
Merlin
Forno consorziale
Abitanti
Merlin
Torchio consorziale
Abitanti
Cret Blanc
Forno consorziale
Abitanti
Chavod
Forno consorziale
Messelod Francesco
Pissin
Mulino Forno Torchio
Comune di Châtillon
Domiana
Scuola
Comune di Châtillon
La Tour
Scuola
Herin Giovanni
Domiana
Forno consortile
Abitanti
Albard
Forno consortile
Blanchod Noé
Closel dessous
Forno consortile
Abitanti
Closel dessous
Torchio per vinacce
Abitanti
Neran
Torchio e forno consortile
Brunod Vittoria e sorella
La Tour
Forno consortile
Abitanti
Cret dessous e dessus
Forno consortile
3. La tabella Censimento delle case e altri fabbricati è un’elaborazione dei dati forniti dal censimento della popolazione del 1911.
103
Il dibattito che si accese nella prima decade del Novecento, a proposito della proposta Giussani e Selve di costruire un grande stabilimento nei pressi della stazione, nel territorio di Châtillon, non produsse gli esiti previsti. La società châtillonaise, tradizionalmente dedita al commercio e all’agricoltura, non si fece travolgere dall’entusiasmo che caratterizzò l’epoca per tutto ciò che portava innovazione e progresso nella vita quotidiana. Gran parte della popolazione residente a Châtillon conservò la propria occupazione abituale e il sistema economico della comunità non subì veri e propri cambiamenti. Analizzando il Censimento del 1911, risulta evidente che l’attività economica industriale è inesistente; la presenza di opifici per fabbri denuncia una radicata presenza di laboratori artigianali, residuo dell’importante attività siderurgica di metà Ottocento. Sono molto più numerosi i forni e i mulini per cereali, distribuiti su tutto il territorio, nell’intento
Cartolina di Châtillon veicolata nel 1900. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon. 104
di fornire un servizio basilare e indispensabile agli abitanti delle frazioni. Quindi l’attività economica principale rimaneva la produzione di cereali, di foraggio per l’allevamento di bovini, e dell’uva per ricavarne vino per il consumo familiare. Particolare attenzione veniva dedicata alla salvaguardia del raccolto e all’integrità del fondo rurale.
Tra campi e fabbriche Solo nei periodi di difficoltà economiche e politiche (la chiusura delle frontiere non permetteva l’emigrazione stagionale o definitiva) i valdostani hanno manifestato interessi specifici per il lavoro in miniera e in fabbrica. Certamente, se considerato all’interno dell’economia agricola e pastorale, l’attività lavorativa dipendente e svolta in ambienti chiusi e malsani non poteva che risultare marginale e in contrasto con l’identità del montanaro, se non altro per la impossibile complementarietà delle due occupazioni, dal momento che si svolgevano entrambe nella bella stagione. Sino agli anni Sessanta del secolo scorso, anche se la principale opportunità di lavoro proveniva proprio dalla occupazione nell’industria, il lavoro in fabbrica veniva visto solo come una delle possibili risorse dell’economia familiare, accanto all’agricoltura e all’emigrazione, ma secondaria rispetto all’impiego seppur temporaneo nel settore del turismo, oppure ancora alla sicurezza del pubblico impiego presso l’amministrazione regionale. Le industrie valdostane hanno sempre incontrato difficoltà nel reperire maestranze locali. D’altra parte, il contadino-operaio ha mantenuto legami profondi con la terra, resi possibili anche dalla meccanizzazione del lavoro agricolo, e quindi permettendo ai piccoli proprietari di fondi di praticare il partial time farming con assunzioni in attività temporanee o stagionali oppure annuali, ma con contratti a tempo parziale.
L’economia delle comunità alpine della Valle non è stata molto diversa da quelle europee, in cui «il gruppo familiare possedeva la quasi totalità delle risorse indispensabili al proprio sostentamento e alla propria riproduzione e forniva il nucleo essenziale della forza lavoro necessaria per procedere allo sfruttamento di tali risorse. L’accesso alle risorse silvo-pastorali di proprietà comune era di capitale importanza, così come l’esistenza di forme collettive di lavoro (nella manutenzione dei canali di irrigazione e delle strade e nella gestione degli alpeggi) che si intersecavano con le attività di competenza delle singole famiglie, consentendo economie di scala e significativi guadagni in termini di efficienza. In questo quadro cresce il peso dell’emigrazione stagionale, temporanea, anche permanente, in gran parte della Valle d’Aosta»4. Per Stuart J. Woolf la contemporaneità di emigrazione e immigrazione in Valle d’Aosta può spiegarsi in termini di pratiche dalle radici plurisecolari. Prova inequivocabile si riscontra nella percentuale crescente di matrimoni “misti” tra immigrati/e e valdostane/i che raggiunge il 20% nel periodo 1881-19515. Analizzando i dati del IX Censimento del 1951 è possibile rilevare la diffusione e l’importanza di questo fenomeno anche nel Comune di Châtillon: la percentuale elevatissima di immigrati non si accompagna necessariamente all’isolamento e alla netta separazione rispetto alle famiglie autoctone; in numerosissimi casi la famiglia degli anni Cinquanta si compone di un genitore châtillonais e di un genitore immigrato o comunque nato altrove, fuori Valle. Si ha la netta impressione che il paese accolga con molta serenità il forestiero e che ci sia posto per tutti. La presenza di una quarantina di famiglie provenienti da paesi stranieri (molte da Francia e Svizzera, ma anche Germania, Austria, Croazia, Usa, Argentina e Egitto), ma di chiara origine italiana e in molti casi valdostana, lascia ipotizzare che si tratti di rientri degli emigranti al luogo d’origine, proprio in
corrispondenza di un aumentato benessere e di maggiori possibilità di trovare lavoro. Altri nuclei si sono trasferiti al seguito del capofamiglia, occupato con mansioni di un certo rilievo all’interno dell’azienda presso cui lavora, come nel caso di Ernesto Krans, chimico presso la Soie, proveniente dalla Svizzera6. Châtillon, negli anni del secondo dopoguerra, vive una fase particolarmente felice dal punto di vista occupazionale: vi si trovano due centrali idroelettriche da pochi anni messe in funzione; una grande industria tessile che produce fibre artificiali; alcune cave di marmo, la più importante delle quali è ancora attiva7; numerose imprese di costruzioni edili e di autotrasporti; infine vi abitano una settantina di famiglie nelle quali almeno un componente è occupato alla Cogne. Una parte considerevole delle famiglie residenti nelle frazioni e nei villaggi della collina continua a praticare l’agricoltura e l’allevamento e in numero crescente adotta il sistema della doppia occupazione, nel quale uno o più membri lavorano in fabbrica o in altre aziende, mentre il capofamiglia gestisce l’azienda agricola familiare.
105
4. Paolo Sibilla, Pier Paolo Viazzo, Cultura contadina e organizzazione economica, in Storia d’Italia. La Valle d’Aosta, 1995, pag. 135. 5. Stuart S. Woolf, op. cit., pag. 621. 6. ACCH, Sezione Seconda, 462, IX Censimento della popolazione. 7. Sulle cave di marmo verde si veda la documentazione a pag. 206.
Operaie dello stabilimento Soie, 1943. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
Fienagione sulla collina di Châtillon.
La provenienza delle famiglie immigrate varia in base alla tipologia di occupazione: il dato più evidente riguarda i dipendenti delle cave di marmo che in larghissima parte sono carraresi; gli operai e le operaie (numerosissime)della Soie provengono invece da varie province lombarde e venete, ma anche dal Piemonte e da alcuni centri della Toscana; lo stesso vale per i muratori e gli operai della Cogne. In alcuni casi il capofamiglia è una donna, quasi sempre accompagnata da figli in età da lavoro, o da donne che convivono con altre persone della famiglia (sorelle, madri, nipoti); la composizione del nucleo familiare non sempre rispetta il tradizionale sistema di ruoli (marito, moglie, figli): sovente l’ordine è sovvertito a favore di raggruppamenti do106
vuti alla necessità di condividere l’abitazione e tentare insieme l’avventura della ricerca del lavoro fuori dalle mura domestiche o al di là delle relazioni parentali.
Verso la terziarizzazione L’apertura dello stabilimento Soie, che all’inizio contava sull’impiego di manodopera femminile immigrata, comportò non pochi cambiamenti per il paese. Innanzitutto bisognava dare alle giovani operaie, che numerose raggiungevano Châtillon, un posto in cui alloggiare: la Provvidenza nacque a questo scopo. Le donne immigrate facevano poca vita sociale a causa della stretta sorveglianza cui erano sottoposte dalle suore, e gli unici contatti che avevano
con la gente del posto avvenivano in fabbrica, anche se all’inizio erano pochi gli abitanti di Châtillon che vi lavoravano. Forse la presenza di queste ragazze poteva persino passare inosservata in paese. L’inserimento di alcune di loro nella vita della comunità locale fu pertanto graduale e non generò fenomeni di intolleranza. Con la seconda guerra mondiale cessò l’immigrazione legata alla fabbrica: ormai erano gli abitanti del posto ad offrire la manodopera necessaria. La dirigenza, com’era consuetudine, continuava ad essere reclutata fuori dalla Regione, anche in relazione all’assenza di scuole in grado di preparare personale tecnico specializzato. In seguito alla modernizzazione della fabbrica, avviata nel 1964, contemporaneamente all’insorgere di un periodo di crisi del settore,
la Soie non assunse più personale e i nuovi immigrati, che continuavano ad affluire numerosi a Châtillon, così come nel resto del Nord Italia, in concomitanza con il boom economico degli anni Sessanta, cercarono lavoro presso le imprese che gestivano i lavori di costruzione dell’autostrada e dei trafori. L’avvio di questi grandi lavori di edilizia fa registrare anche un aumento della popolazione di Châtillon: da 3.894 nel 1961 passa a 4.345 nel 1971. Riguardo alla provenienza degli immigrati, anche a Châtillon, come in tutta la Valle, i meridionali, calabresi soprattutto, hanno superato i veneti: dei 304 immigrati dal Sud, 65 provenivano dall’Abruzzo, 37 dalla Campania, 20 dalla Puglia, 5 dalla Basilicata, 115 dalla Calabria e 62 dalla Sicilia. 107
Svincolo autostradale a Châtillon.
Immigrati a Châtillon dal 1946 al 1972
8. Espace, temps et culture en Vallée d’Aoste, 1996, pag. 33.
Piemonte
Veneto
1946
28
1947
Lombardia
Toscana
8
12
1
29
12
8
9
1948
30
7
5
15
5
1949
57
11
3
4
2
1950
27
3
10
9
1
1951
52
1
6
1952
47
8
10
6
12
1953
36
20
24
16
27
1954
33
6
1
7
2
1955
48
1
6
4
7
1956
42
4
18
1
12
1957
28
3
4
5
8
1958
32
7
19
1
23
1959
34
2
16
6
51
1960
17
8
13
1
6
1961
17
3
12
1
18
1962
46
16
13
17
56
1963
27
5
11
14
5
1964
39
10
8
3
5
1965
21
5
12
2
8
1966
22
18
19
12
1967
15
8
4
3
1968
35
3
10
8
8
1969
16
1
13
2
1
1970
35
12
13
11
1971
47
3
32
9
11
1972
18
1
19
4
10
Totale
878
166
304
184
302
Terminato questo periodo di grandi lavori la popolazione si stabilizza: evidentemente molti meridionali, che erano giunti a Châtillon approfittando della forte domanda di manodopera, si sono rivolti ora ad altre attività, favorendo l’incremento del terziario, come confermano le statistiche a livello regionale. 108
Sud
Dopo l’agricoltura, che dominava nella prima metà del XX secolo, dopo l’industria, che sembrava trionfare all’indomani della seconda guerra mondiale, ecco che il terziario diventa ora il settore trainante dell’economia valdostana, impiegando nel 1991 il 63% della popolazione (contro il 53% della media nazionale)8.
Le temps des industries
T
out au long du XXème siècle, le développement démographique de la ville de Châtillon a été fortement influencé par les flux migratoires qui apportaient périodiquement des familles entières dans la ville valdôtaine dans le sillage des travailleurs, des commerçants, des techniciens et, dans une moindre quantité, des cadres des entreprises industrielles qui se sont installés sur le territoire municipal. Avec la naissance de nouvelles installations industrielles, en relation à la situation oscillante de l’emploi et, plus récemment, grâce à la présence d’infrastructures routières et ferroviaires, la population de Châtillon a subi des variations continues, à la fois quantitatives et en ce qui concerne la composition sociale. L’histoire industrielle de Châtillon a eu un départ lent et difficile, à cheval sur le XIXème et le XXème siècle, quand il y a eu un changement des intérêts économiques des entrepreneurs, d’ailleurs non originaires de la Vallée, qui ont vu le potentiel de la Région, notamment grâce à la présence d’abondants cours d’eau. La production d’énergie électrique et la possibilité de la transporter à des distances considérables rendent le territoire valdôtain particulièrement adapté à des installations industrielles, ainsi que des centrales hydroélectriques. Jusque dans les années soixante du siècle dernier, même si les principales offres d’emploi provenaient de l’industrie, le travail en usine n’était vu que comme une des ressources possibles de l’économie familiale, vis à vis de l’agriculture et de l’émigration, mais secondaire à un engagement, même si temporaire, dans le secteur du tourisme, ou mieux encore à la sécurité représentée par un emploi public auprès de l’administration régionale. Châtillon, dans les années d’après-guerre, vit un moment particulièrement heureux d’un point de vue occupationnel: il y a deux centrales hydroélectriques mises en service depuis peu d’années; une grande industrie textile, qui produit des fibres artificielles; des carrières de marbre, dont la plus importante est toujours en activité; plusieurs entreprises de construction et de transports, et enfin environ soixante-dix familles dans lesquelles au moins un membre est employé à la Cogne. La plupart des personnes qui résident dans les hameaux et les villages de la colline continue à pratiquer l’agriculture et l’élevage de bétail et en nombre croissant adopte le système du double emploi: un ou plusieurs membres travaillent dans les usines ou les autres entreprises, tandis que le chef de famille gère la ferme familiale. L’origine des immigrés varie en fonction du type d’emploi: la donnée la plus évidente concerne les employés des carrières de marbre, qui en grande majorité proviennent de Carrara; les travailleurs et les ouvriers (très nombreux) de la Soie arrivent par contre des différentes provinces de la Lombardie et de la Vénétie, mais aussi du Piémont et de quelques centres de la Toscane, et la même chose en est pour les maçons et les travailleurs de la Cogne. Dans certains cas, le chef de famille est une femme, presque toujours accompagnée d’enfants en âge de travailler, ou des femmes vivant avec d’autres personnes de la famille (sœurs, mères, petitsenfants); la composition du ménage ne reflète pas toujours les rôles traditionnels (mari, femme, enfants): l’ordre est souvent modifié en raison de la nécessité de partager la maison et de tenter ensemble l’aventure pour trouver un emploi. 109
Lanificio Guglielminetti
Un secolo e mezzo di storia
L
e manifatture tessili – dopo aver abbandonato i villaggi e le piccole comunità in cui si erano sviluppate da tempo immemorabile le attività artigianali legate alla lavorazione delle fibre animali e vegetali, come la canapa, la lana e il lino – si installarono nel fondovalle di ciascuna regione alpina. Saranno, alla fine del XIX secolo, l’introduzione di macchinari, la presenza della rete ferroviaria e infine l’energia idroelettrica a mutare la geografia delle manifatture che, con queste innovazioni, potranno insediarsi nei luoghi attrezzati con le moderne infrastrutture. Gli imprenditori si servono ancora dei tisserands à main, come faceva Felice Guglielminetti quando insediò la sua Teinturerie et fabrique de drap a Saint-Vincent, dove quattro operai svolgevano le operazioni di battage, teinture et foulage du drap tessuto sulle montagne di Chamois, La Magdeleine e Torgnon da artigiani locali, ai quali Guglielminetti forniva la lana grezza acquistata in Valle. Felice Guglieminetti può essere considerato l’unico imprenditore laniero della Valle d’Aosta, capostipite di una famiglia che per quattro generazioni e in centocinquanta anni di attività si è dedicata alla produzione di tessuti in lana. Originario di Quarona Sesia, di professione era tintore e come tale iniziò la sua attività in Valle a partire dal 1858 in società con Felice De Magistris, dando vita ad una teinturerie et fabrique de draps presso la quale lavoravano quattro o cinque operai1; ma dovette sospenderla presto, per arruolarsi nell’esercito, durante la campagna di guerra del 1859 e le successive guerre d’indipenden-
za. Il suo congedo definitivo dalle armi avvenne nell’ottobre 1866; per la sua dedizione alle sorti del nuovo regno gli vennero concesse ben tre medaglie al valore militare. Nei ricordi familiari (della zia Nerina) l’arrivo in Valle si colora di romanticismo. Felice appariva – per la passione politica e la fedeltà dimostrata al suo generale Garibaldi – un sovversivo agli occhi della famiglia e del piccolo Comune di Quarona. Decise quindi di cercare fortuna altrove: con un carro trainato da un mulo, Felice trasportò il suo telaio fino alla gola di Montjovet, dove l’animale, probabilmente provato fino allo sfinimento dal lungo viaggio, morì. Il coraggioso garibaldino e la sua sposa decisero a quel punto di fermarsi a Saint-Vincent. Comprarono l’Hotel des Vignes e la casa attigua, adornata da un bel glicine e da un maestoso castagno. Qualche anno più tardi decisero di trasferire l’attività a Châtillon, nella via Tornafol, e
111
1. Valerio Castronovo, L’industria laniera in Piemonte nel XIX secolo, 1964.
Nella pagina di sinistra: ex palazzina Soie, attualmente sede dell’IPRA. Cartolina di Châtillon (sd). Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
2. ANA, Tappa di Châtillon, Albin Felix Lucat notaire, Vol. 1692, Vente d’immeuble par M.lle Gemma Gervason à M. Guglielminetti Félix et son épouse Torrigiotti Thérèse, n. 18, 5 febbraio 1882. 3. ANA, Tappa di Châtillon, Albin Felix Lucat notaire, Vol. 1693, Vendita di stabili passata da Guglielminetti Felice ai coniugi Crosa Costantino e Guglielminetti Rosa, n. 192, 10 agosto 1883.
Congedo militare di Felice Guglielminetti. Archivio Famiglia Guglielminetti.
in prossimità del Ru du Bourgg per sfruttarne l’energia. Nello stesso stabile ancora oggi si trova il Lanificio Guglielminetti che ha cessato l’attività alla fine del 2008. Teresa Torrigiotti – questo era il nome della sposa di Felice Guglielminetti – era nata a Lovario Sesia, da una famiglia di fabbri e abili produttori di ferro battuto, anche di notevole pregio artistico. Di lei restano i bellissimi disegni a stampa per tessuti che volle raccogliere nelle 132 pagine di un libretto rilegato, sulla prima pagina del quale di proprio pugno scrisse:
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1881, 2 marzo. Oggi che ho finitto di stampare il libretto Il mio nome metto. Torrigiotti Teresa moglie di Felice Guglielminetti. Teresa Torrigiotti condivise tutte le avventure familiari e aziendali di Felice Guglielminetti: la sua presenza a fianco del marito fu continua e fattiva, se consideriamo gli atti notarili nei quali compare come parte in causa, sia per gli acquisti che le vendite di stabili, terreni e la cessione di quietanze. La incontriamo a Saint-Vincent in atti notarili degli anni Settanta, mentre l’acquisto dell’abitazione di Tornafol a Châtillon potrebbe risalire al 1882, quando Gemma Gervasone vende a Guglielminetti per tremila lire italiane «un corps de domiciles a la ruelle Marmoire consistant en une etable, autre etable au dessus, soit magasin pour le bois, poile et cuisine dessous, et autre poile et cuisine dessus»2. Lo stabile venne intestato al Guglielminetti e il giardino e maquis a nome della sposa Torrigiotti Teresa. L’anno successivo Felice scioglie ogni legame con il paese di origine: vende a suo cognato Crosa Costantino e a sua sorella Rosa Guglielminetti tutti i beni che lui ha a Quarona per 2.500 lire italiane3. Felice aveva acquistato l’officina attrezzata con forgia per la lavorazione del ferro di via Tornafol, nei pressi del Ponte Romano, dove poteva sfruttare la forza idraulica del canale del Borgo. Il nuovo proprietario ne farà una fabrique de drap e sul finire del secolo attiverà anche una centralina per la produzione di energia elettrica. L’azienda si ingrandisce: vi trovano posto un centinaio di fusi, ai quali lavorano una decina di operai addetti ai reparti carderia e filatura, e sfrutta un salto d’acqua di 14 metri che mette in funzione tre ruote idrauliche. Fin dal 1892 vi era stata installata una turbina idraulica Hercule, di fabbricazione france-
se, e l’impianto di energia elettrica era stato adottato qualche anno più tardi, nel 1895, per l’illuminazione dell’opificio e per il funzionamento delle macchine nei reparti di filatura. La produzione annuale raggiungeva circa 6.000 metri di tessuto, diversificata in coperte, pezze di lana per vestiti, tessuti in grandi pezze di colore diverso. Felice morì nel 1897 a 61 anni di età, dopo una vita intensa e ricca di soddisfazioni4. La coppia aveva avuto tre figli dei quali Umberto, l’unico maschio, seguì le orme del padre, dedicando alla manifattura tutte le sue energie. Con lui lavoravano una ventina di operai, in gran parte donne. La piccola fabbrica produceva in autonomia anche i colori; questi erano naturali, ottenuti da vegetali reperibili localmente o prodotti appositamente:
il famoso rouge d’Ayas era dato dalla robbia e dalla garanza, due piante coltivate nei dintorni del Lanificio; per ottenere il marrone e le sue sfumature si usava il mallo delle noci che veniva fatto macerare per sei mesi in una grande vasca piena d’acqua. Umberto introdusse anche la colorazione con prodotti chimici, che acquistava a Biella. Potenziò la sua bottega artigiana con l’impianto di una propria centrale elettrica con dinamo tedesca e con l’acquisto di nuovi telai meccanici, tra cui un telaio elettrico, uno Schunner che fece arrivare dall’Inghilterra e che volle regalare alla moglie, una donna intelligente e aperta, pronta a recepire le spinte innovative che provenivano dall’esterno. Albina Grosso – così si chiamava la moglie di Umberto – alla morte del marito, avvenuta 113
Telaio Schunner.
4. Molte informazioni sul Lanificio e sui processi di lavorazione sono state fornite da Ornella Guglielminetti.
5. Fernanda Favre, Umberto Guglielminetti, in Donne al lavoro, 2009, pag. 113.
nel 1938, ripose le sue speranze nella capacità imprenditoriale del figlio che portava il nome del nonno. Felice in effetti portò nel Lanificio di famiglia, che si attestò come unica industria tessile laniera della Valle d’Aosta, macchine più consone alla lavorazione moderna della lana, ma dovette acquistare la materia prima all’esterno della Valle per insufficienza di lana valdostana. Fu molto attivo anche nella vita pubblica: gli fu riconosciuto il titolo di commendatore, venne eletto consigliere regionale e per quarant’anni assunse la carica di rappresentante dei Piccoli Industriali Valdostani. L’imprenditore proseguì nella scelta della colorazione industriale, acquistando le macchine tintorie in acciaio inox fabbricate dalla OMAT di Vallemosso, con le quali riusciva a ottenere tutti i colori desiderati. Felice Guglielminetti provvide alla rifinitura delle pezze, cimandole; queste, in seguito, venivano rasate e stirate. Comprò anche la calandra a vapore per stirare pezze di un metro e mezzo di altezza che passavano nella cimatrice per la rifinitura, quindi venivano arrotolate. Precedentemente aveva acquistato una macchina self-acting che filava sul piano orizzontale: all’andata filava il filo, al ritorno lo raccoglieva, cioè faceva la bobina. Quindi le operaie toglievano le bobine piene sostituendole con tubetti vuoti. Se il filo si rompeva, le addette alla macchina facevano la pounura, cioè torcevano il filo. La macchina funzionava 24 ore su 24 con turni di otto ore, si fermava solo a Natale e a Pasqua. Ma il grande passo verso la modernizzazione degli impianti Felice lo fece con l’acquisto di un macchinario fabbricato appositamente per il Lanificio dalla OCTIR di Biella. Infine vennero acquistati da un’altra azienda tessile i famosi Ringg di tre etti per fuso: si trattava di macchine per la lavorazione verticale e continua più avanzate sul piano tecnologico e molto competitive nel mercato tessile. L’ultimo Guglielminetti nasce nel 1938 ed è 114
ormai il rappresentante della quarta generazione di imprenditori della lana. Porta il nome del nonno Umberto e continua la produzione della lana a livello artigianale fino al giorno della sua morte, avvenuta il 27 ottobre 2008. Nel tentativo di aggiornare gli impianti e rimanere ancora competitivo sul mercato, compra un telaio elettronico che non necessita di spolette e che può portare rocche fino a 50 kg; con questo telaio è possibile tessere pezze di vario tipo, dopo averne preparato il disegno. I Guglielminetti avevano aperto tre punti vendita per la commercializzazione della loro merce: a Châtillon, nei locali attigui al Lanificio, ad Aosta presso la Maison Savouret all’angolo di via Bramafam, e a Ivrea nella centralissima via Arduino. Ma – come riferisce Umberto Guglielminetti in un’intervista rilasciata il 9 aprile 2008 – il mercato ha ormai subito cambiamenti radicali: «Sono praticamente scomparsi i sarti, le magliaie, i materassai; perciò abbiamo dovuto lasciare Ivrea e Aosta mantenendo solo il punto di Châtillon»5. Il Lanificio, fino a quando è rimasto attivo, ha continuato a produrre il drap, tessuto con il quale si confezionano i costumi tradizionali della Valle, come quelli di Cogne, Donnas, Gressoney, Lillianes e di altri gruppi folcloristici; i panni per le Scoufounères, pantofolaie che usano ancora il panno, e per le divise delle guide alpine. Si trattava ormai di una lavorazione di tipo artigianale che sopravviveva, nella crisi generale dell’industria tessile, grazie alla volontà e alla passione irriducibile di Umberto Guglielminetti. La Laine Valdôtaine, nonostante la chiusura definitiva dell’attività nell’autunno del 2008, è ancora viva nella memoria collettiva attraverso i prodotti rintracciabili nelle fiere di artigianato tipico alle quali non poteva mancare Umberto Guglielminetti, conosciuto e apprezzato come testimone di un mondo che appartiene al passato industriale di Châtillon e della intera Valle d’Aosta.
Caratteristiche della lana La lana grezza, che veniva portata al Lanificio, aveva un suo colore naturale che poteva essere bianco, grigio o moretto. Le pecore che trascorrevano l’estate in montagna e venivano tosate in autunno davano la migliore qualità di lana, resistente e calda. La parte migliore della tosatura era costituita dal pelo lungo e liscio della schiena e dei fianchi della pecora; il pelo corto e ricciuto che ricopriva le zampe e il ventre era meno pregiato. In un primo tempo l’approvvigionamento di materia prima era fatto direttamente in Valle, dove si contavano decine di migliaia di pecore; si passò quindi all’acquisto di lana dal Biellese, e infine della lana merinos australiana. Mescolando lana valdostana con lana merinos si otteneva un filato più fine e morbido e quindi tessuti di alta qualità.
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Lavorazione La lana veniva disposta in strati alti mezzo metro, grandi quanto la stanza e vi si versava sopra della oleina diluita con acqua. Poi passava al girodano, una macchina che funzionava grazie alla forza dell’acqua e che mescolava la lana in modo omogeneo. La cardatura si faceva con tre carde di ghisa: nel primo passaggio le fibre venivano sistemate in file parallele e riportate sulle cannelle; in seguito queste venivano tagliate e portate sulle cannelliere e messe nella seconda carda che perfezionava il parallelismo delle fibre. La terza carda divideva le fibre in cento fili avvolti su delle cannelle. A questo punto si passava ai Ring, g macchine per la lavorazione verticale e continua, da cui si otteneva il filo che veniva avvolto in bobine, ritorto e filato. Dalla bobina il filo passava all’aspatrice ad acqua per formare le matasse. Creata la spoletta, si congiungevano da due a quattro fili e si formava la rocca. La rocchettatrice era una macchina a cui potevano lavorare anche otto persone contemporaneamente. La rocca veniva portata al ritorcitoio, dove il filo era avvolto attorno a un bottiglione di legno. Le rocche ritorte e unite formavano il filo che, prelevato dal bottiglione, veniva messo sull’aspatrice da cui uscivano le matasse di una quantità predeterminata (in genere un etto) e infine si procedeva all’etichettatura e all’imballaggio. Tintura Inizialmente la colorazione della lana, sia in filo che in matasse o pezze, avveniva con procedimenti naturali e con l’uso di vegetali e sostanze rintracciabili in natura o coltivate – nel caso delle piante – appositamente dal Lanificio. Il materiale da tingere veniva immerso in vasche inox e portato ad ebollizione per un paio d’ore. Poi fu introdotta la colorazione con prodotti chimici. Tessitura Si partiva dal filo in bobina e si preparavano le rocche poste sull’orditoio. Si contavano i fili necessari per ottenere un certo metraggio di tessuto. L’altezza della pezza poteva raggiungere 2,60 metri, misura per una coperta matrimoniale. Il telaio era dotato di otto trame, quindi otto colori a scelta. I disegni venivano preparati precedentemente; di solito il Lanificio utilizzava disegni geometrici in stile scozzese, anche double face. I telai battevano un numero di colpi variabile: quelli più antichi (del nonno Umberto) battevano 60-70 colpi al minuto, poi si passò a telai che battevano 120-130 colpi; nei tempi più recenti si è giunti a 580 colpi al minuto. Finissaggio Questa operazione permetteva di ottenere il drap, un tessuto molto resistente e caldo che si ricavava facendo passare la pezza di lana tra due cilindri di legno – la follatura – bagnata con acqua e sapone o soda, scaldata fino ad infeltrirla. La macchina si chiamava follone. Il follone più antico funzionava con energia idraulica, poiché l’acqua metteva in funzione una leva che batteva la pezza di panno: il pim-pum che durava un’intera giornata. Il follone moderno è attivato da corrente elettrica; consiste in ingranaggi e cinghie di cuoio. Questa nuova macchina, che è stata in funzione fino alla chiusura dell’attività, ha permesso di accelerare i tempi di infeltrimento fino a sole tre-quattro ore di lavoro.
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Interno del LaniďŹ cio Guglielminetti. 300°
Lavaggio e asciugatura Il lavaggio si faceva in acqua fredda e sapone. I tessuti venivano centrifugati e messi in un essiccatoio dove 150 kg di matasse asciugavano in mezz’ora di tempo. Il Lanificio adottava altresì sistemi più artigianali, come l’asciugatura su lunghi bastoni di legno appesi a soffitto nelle stanze dell’edificio. L’asciugatura avveniva anche all’aperto, dapprima stendendo le lunghe pezze di lana sulla ringhiera del balcone dell’abitazione dei Guglielminetti; in seguito, Felice riuscì a realizzare un attrezzo che permetteva di stendere numerose pezze al sole e all’aria, senza problemi di spazio e di peso: inventò nel 1946 la ramma, stenditoio in ferro, regolabile in altezza, dotato di puntine che trattenevano le pezze anche quando erano molto pesanti. Cimatura Le pezze venivano rasate e stirate con una calandra, macchina che stirava a vapore. Quindi si passava la cimatrice per rifinire le pezze. Per controllare la qualità del tessuto, si prendeva il rullo di pezza e lo si faceva passare tra due cilindri appesi al soffitto e da questi le pezze scendevano a mo’ di tende; quindi per trasparenza si vedeva se il tessuto era perfetto o se aveva qualche imprecisione. I difetti di lavorazione venivano corretti a mano. 122
Acqua e energia elettrica
L’illuminazione elettrica
C
on la distribuzione dell’energia elettrica la popolazione delle città può ottenere energia a basso costo e senza fatica. In tale maniera la piccola officina, l’operaio isolato nella sua abitazione vengono messi in grado di valorizzare le loro forze lavoro ed entrare in concorrenza con le fabbriche che producono energia con il vapore o con il gas. La possibilità di disporre facilmente di energia produrrà notevoli applicazioni nelle case e per le strade, applicazioni che renderanno più facile e piacevole la vita. Ci vorrà tempo prima che il pubblico si avvezzi all’uso dell’elettricità, ma ciò si verificherà sicuramente»1. Ma l’invenzione che illuminò il mondo si deve a Thomas Edison che nel 1878 fondò la Edison Light Company, società produttrice delle prime lampadine, messe a punto dallo scienziato dopo aver scoperto che i filamenti di carbone in un bulbo con un riempimento gassoso si riscaldavano ma non bruciavano e resistevano per decine di ore (dalle 40 iniziali a 1.500). Così una grande e felice scoperta per la Valle d’Aosta fu la possibilità di sfruttare le immense risorse idriche della Regione per ottenere energia elettrica; ma, come ogni novità, richiese tempi lunghi e approcci graduali e pazienti. La città di Aosta ebbe le strade illuminate dall’energia elettrica nel 1885, quando nacque la Société Valdôtaine pour l’Eclairage Public che costruì una piccola centrale elettrica sulle sponde del Buthier. Tale iniziativa, dovuta a François Farinet, segnò l’avvio dello sviluppo sociale ed economico della Valle,
«luogo ideale per lo sfruttamento razionale di grandiose risorse energetiche»2. Due anni più tardi entrò in funzione lo stabilimento della Società Elettrometallurgica a Pont-Saint-Martin destinato al trattamento elettrolitico del rame; da questa nascerà nel 1899 la Società Elettrochimica che alimenterà lo stabilimento di Pont, costruito tra il 1901 e il 1902, con un’importante centrale elettrica sulle sponde della Dora Baltea. La stessa società, con l’intervento decisivo della Banca Commerciale, nel 1918 si trasformò in SIP (Società Idroelettrica Piemonte), uno dei maggiori gruppi italiani del settore elettrico. Una centrale elettrica di 3.000 CV venne costruita nel 1897 per lo stabilimento di carburo di calcio a Saint-Marcel. Tra il 1916 e il 1921 la Società Ernesto Breda portò a compimento un vasto programma di opere idroelettriche nella Valle del Lys. La Comunità di Châtillon conobbe l’illuminazione elettrica nel 1890, quando venne
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1. Werner von Siemens, in La rivoluzione della luce, pag. 180. 2. Corrado Binel, Gli anni dell’elettrosiderurgia: le acciaierie Cogne dalla prima guerra mondiale al boom economico, in Storia d’Italia. La Valle d’Aosta, 1995, pag. 545.
Cartolina di Châtillon veicolata nel 1920. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
Ru du Bourg. Sistema di chiuse nell’area delle Fabriquess di Conoz.
3. ACCH, Serie Suppletiva, 87, 3, Impianti e forniture elettriche. 4. ACCH, Serie Suppletiva, 94, 2, Cahier des charges pour la concession et l’eclairage avec la lumière electrique, 27 novembre 1890. 5. ACCH, Serie Suppletiva, 87, 3, Impianto illuminazione elettrica in Châtillon, 25 agosto 1893. 6. ACCH, Sezione Seconda, 444, 2, Verbal du Conseil Communal, 16 aprile 1891.
concesso a Edoardo Pomatto, mécanicien domicilié à Aoste, di realizzare l’impianto elettrico per illuminare il paese. «Enthousiasmé des riches et puissantes chutes d’eau qui abondent aux environs de cette importante bourgade pouvant fournir des forces motrices considerables, le soussigné [Pomatto] a projeté de profiter d’une minime partie de ces forces pour implanter dans cette Commune un service public de lumière électrique»3. Si trattò di una concessione trentennale a partire dal 1° gennaio 1891, in base alla quale all’impresario spettavano tutte le spese e i rischi dell’impianto, «sans aucun concours ni indennité de la part de la Commune. Les pratiques inherents à la concession de la force 124
motrice, de l’implantation des isolateurs sur les proprietés et sur le sol public, comme celles de pose du fil restent faites par la Commune, mais le emût et l’indennité qui en deriveraient seront supportés par le concessionnaire»4. Per l’illuminazione delle vie, piazze e chemins, il signor Pomatto si obbliga a mantenere un prezzo non superiore a lire 4 per ciascuna lampada a incandescenza della forza di 16 candele, assumendosi tutte le spese d’installazione e di manutenzione. Per quanto concerne l’illuminazione pubblica, le lampade dovranno restare accese dal crepuscolo fino a mezzanotte tutte le sere dell’anno; durante le fiere o festività o manifestazioni con grande concorso di gente, resteranno accese fino al mattino successivo. Nel caso poi che l’illuminazione elettrica venisse a mancare, il concessionario sarà tenuto a rimpiazzarla subito con quella a petrolio, come è attualmente. Inoltre il signor Pomatto dovrà posizionare le lampade nei luoghi indicati dall’autorità comunale, servendosi dei bracci delle lampade a petrolio. All’atto della stipulazione del contratto, il concessionario dovrà depositare presso la tesoreria comunale la somma di lire 1.000, a titolo di garanzia, somma che gli verrà restituita dopo tre mesi di funzionamento regolare. Viene anche fissato il luogo dove deve sorgere l’opificio del signor Pomatto e la sua estensione: nell’angolo nord-ovest del Prato della Fiera e avrà la lunghezza di 12 metri per 5 metri di larghezza. La derivazione d’acqua della forza motrice verrà praticata alle fabbriche di Conoz, impegnandosi a restituirla con un tubo di 20 cm «de dix mêtres externe par la branche de Barat le long du pré de foire se rendant responsable tant pour son fait propre que pour celui de la Commune derivant de la concession, de toutes les réclamations qui pourraient se soulever de la part des usagers industriels et agricoles». L’Ispettore della sezione torinese dei Telegrafi dello Stato autorizzò nell’agosto 1893 Pomatto a eseguire l’impianto a condizione che ve-
nissero osservate tutte le norme stabilite dal Decreto Ministeriale 24 giugno 1892 e che l’incrociamento con i fili telegrafici venisse fatto inferiormente ad angolo retto, alla distanza non minore di due metri, e ancora che si usasse un conduttore coperto a più strati di materia isolante, e che venissero posati robusti fili di ferro del diametro di mm 5,08 a protezione della linea telegrafica5. Quasi contemporaneamente all’affidamento dell’incarico di illuminare elettricamente le vie di Châtillon, solo tre mesi dopo, nell’aprile 1891, i fratelli Giovanni e Adolfo Cordero, che si presentano come proprietari di una importante forza motrice nel Comune, chiedono al Prefetto della Provincia di Torino di soprassedere all’approvazione del contratto con Edoardo Pomatto, perché essi sono in trattative per installare un cotonificio nel medesimo Comune e intendono offrire gratuitamente la corrente elettrica necessaria al servizio d’illuminazione pubblica6. Anche altri imprenditori si erano attivati per ottenere la concessione a fornire illuminazione elettrica: Grato Coccoz (orologiaio-meccanico), la Società Roncati di Aosta, l’ingegnere Zino di Torino, che allega alla domanda una planimetria, e Pietro Molinar di Aosta. Nove anni più tardi, l’illuminazione pubblica verrà fornita dall’imprenditore tessile Umberto Guglielminetti; nella lettera indirizzata al Sottoprefetto di Aosta, datata 31 ottobre 1899, egli offre lo stesso servizio del precedente concessionario, Edoardo Pomatto, a condizioni più vantaggiose, con un ribasso di lire 50 sulle 300 previste come compenso al fornitore di energia elettrica. Nell’anno successivo, Guglielminetti, che intende prolungare il proprio impianto sino alla stazione ferroviaria, e mano a mano anche nelle frazioni più vicine come Breil, Conoz, Merlin, chiede autorizzazione per il prolungamento dei fili e per il posizionamento dei pali lungo le strade pubbliche, promettendo di «uniformarsi alle
Il Cotonificio Cordero Giovanni e Adolfo Cordero avevano presentato domanda il 25 aprile 1891 per ottenere la concessione ad impiantare nel territorio comunale di Châtillon una manifattura di cotone della capacità di 50.000 fusi che avrebbe dato lavoro fino a 1.500 operai. I fratelli Cordero chiedono al Comune la concessione di terreni per una estensione di circa 25.000 mq e la regolamentazione delle acque dei diversi canali che hanno la loro presa sul torrente Marmore. A compensazione della concessione, la ditta Cordero si impegna a fornire gratuitamente la corrente elettrica necessaria all’illuminazione pubblica di Châtillon a partire dal momento in cui entrerà in funzione lo stabilimento. Il Consiglio Comunale si dichiara unanimamente d’accordo all’insediamento industriale in considerazione degli indubbi vantaggi che ne deriverebbero alla cittadinanza: in primo luogo migliorerebbe la condizione economica generale della popolazione, poi certamente le numerose famiglie costrette ad emigrare ogni anno all’estero pour chercher un pain que leur pays natif leur a refusé jusqu’ici, sarebbero felici di lavorare nel loro paese; infine il concorso economico del Comune verrebbe compensato con la fornitura gratuita della illuminazione pubblica elettrica. Viene anche stabilito di nominare una commissione con l’incarico di studiare le forme e le modalità della concessione dei terreni da acquistare o espropriare. La commissione redige un rapporto che presenta al Consiglio Comunale nel settembre 1891, e nell’ottobre la Sottoprefettura di Aosta risponde al Sindaco di Châtillon esponendo tutte le osservazioni del caso. L’analisi puntuale delle procedure messe in atto per la concessione di terreno alla Ditta Cordero focalizza l’attenzione soprattutto su due problemi: la cessione dei terreni, per quanto formalizzata in un atto di promessa fatta dai proprietari, non risulta vincolante poiché non vi è stata determinazione del prezzo, anzi questa è rinviata ad accordi ulteriori che possono anche non essere accettati. Non potendo inoltre escludere il caso di ricorrere all’esproprio, si chiede al Comune di individuare l’ufficio che potrebbe curare le pratiche e sostenerne le spese. Dal momento che i Cordero si assumono l’onere di anticipare la somma necessaria all’acquisto dei terreni, il Sottoprefetto fa osservare che non è chiaro da quale epoca abbiano a decorrere gli interessi a favore di questi ultimi. Poi non è specificata la quantità di forza motrice che il Comune mette a disposizione del cotonificio e se l’acqua occorrente sia concessa gratuitamente o mediante corrispettivo. Ancora risulta incerto se la Ditta Cordero si debba incaricare dell’impianto e del funzionamento della pubblica illuminazione o solo fornire l’elettricità, e in questo caso chi avrebbe provveduto alla trasmissione della corrente? Infine il Comune non si è procurato nessuna garanzia circa l’osservanza degli obblighi che i Cordero si assumono. In coda alle osservazioni, il Sottoprefetto suggerisce al Sindaco e ai consiglieri comunali di non opporsi alla costituzione degli operai in cooperativa, «giacché la cooperazione è uno dei più benefici e dei più not(evoli) fattori del progresso sociale, e non è dicevole per un Consiglio Comunale il farsene apertamente oppugnato». Per finire, si sollecita la revoca delle precedenti deliberazioni per non incorrere in errori e soluzioni contraddittorie. I risultati di questa concitata vicenda purtroppo furono negativi; lo stabilimento che avrebbe dovuto impiegare fino a 1.500 operai non venne costruito, almeno non da parte dei fratelli Cordero e non nell’epoca di questi accordi. Bisognerà attendere ancora una trentina d’anni prima di vedere sorgere un grande impianto industriale che effettivamente darà lavoro a migliaia di persone e che apporterà nuova vitalità all’economia della Valle. Ma quella è la storia della Soie.
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07. ACCH, Sezione Seconda, 407, 2, Progetto di convenzione per l’illuminazione pubblica tra il Comune di Châtillon e l’industriale Guglielminetti Umberto fu Felice, 23 luglio 1901. 08. ACCH, Sezione Seconda, 407, 4, Impianto elettrico Ravera. Deliberazione del Consiglio Comunale, 2 settembre 1911. 09. ACCH, Sezione Seconda, 407, 4, Lettera del Sottoprefetto di Aosta ai Sindaci del Circondario, 27 ottobre 1916. 10. Jean Brocherel, La Vallée d’Aoste centre industriel, in Augusta Praetoria, Troisième année, n. 7-8, luglio-agosto 1921, pag. 137. 11. Ibidem, pag. 139.
norme che gli saranno date tanto dall’autorità comunale che dalla Commissione Edilizia». E ancora nel 1901 viene stipulata una convenzione tra il Comune e la Ditta Guglielminetti per l’illuminazione del capoluogo e di Chameran mediante 16 lampade della forza di 25 candele, fornite dallo stesso imprenditore7. Un nuovo concessionario si presenterà agli amministratori comunali nel 1911 con una proposta accattivante: illuminerà gratuitamente la Sala del Consiglio e l’anticamera della Segreteria, mentre il resto della fornitura manterrà i prezzi praticati precedentemente dal Guglielminetti. Si tratta di Giuseppe Ravera, capo mastro, costruttore, imprenditore di Ivrea – come si legge sulla carta intestata della Ditta – che manterrà la concessione fino al 1921. Da un documento dell’anno successivo risulta che sono illuminate elettricamente le borgate di Chameran, le vie Ponte Romano, Umberto I, Tollein, la strada della Stazione; e un anno dopo risultano aggiunte lampade in via Monte Cervino, nelle frazioni Merlin e Selotta e nel 1915 due lampade a Pissin8. L’approssimarsi del coinvolgimento nella guerra mondiale porterà inevitabilmente preoccupazione e restrizione dei consumi. Ne troviamo traccia nella lettera che il Sottoprefetto di Aosta, Pettinato, invia ai Sindaci del Circondario per comunicare loro che è stato disposto con Decreto Legge 19 ottobre 1916 la riduzione dell’illuminazione pubblica – con qualsiasi mezzo attivata e quindi anche quella prodotta con energia elettrica – alla metà di quella fornita precedentemente dal momento dell’accensione fino alle 22,30 e alla quarta parte da questa ora fino a quella di spegnimento. I canoni devono commisurarsi ad ore e ridursi in proporzione con l’aggiunta di un decimo per le somme inizialmente convenute. I prezzi delle lampadine aumentano visibilmente, tanto che da 0,80 si passa a 3 lire nel 1917 e a 6 lire tra il 1918 e il 1919. Nello stesso fascicolo si trova un accenno alla Filovia: il commissario prefettizio Fissore la126
menta il cattivo funzionamento dell’illuminazione pubblica; tra i lampioni non funzionanti vi è quello posizionato presso il garage della Filovia. È il 30 maggio 19249.
Le centrali idroelettriche Le risorse naturali su cui l’industria di Valle ha potuto contare in passato sono essenzialmente quelle minerarie e idriche. Non solo, l’intreccio tra le due risorse determinò, sul finire del XIX secolo, la ripresa economica e la nascita di importanti poli industriali siderurgici e tessili. La scoperta della houille blanche, di cui la Valle poteva vantare abbondanti scorte, diffuse un nuovo entusiasmo tra coloro che credevano nella ripresa economica della Regione. «Cette richesse en forces hydrauliques va faire de notre pays le principal producteur d’énergie électrique de la haute Italie. Une bonne partie de cette énergie thermique et motrice sera utilisée sur place, par l’installation de nombreux établissements industriels dans le pays. La houille blanche est appellée à activer une foule d’industries dans la Vallée d’Aoste. Cela ne peut manquer»10. Certamente, le sane e semplici tradizioni regionali risentirono del soffio di vita cittadina che derivava dall’insediamento di industrie; «et les conservateurs bourrus, traqués dans leur quiétude, vont jusqu’à maugréer contre ces diaboliques inventions électriques, qui ravagent les campagnes et mettent à sec les torrents. Respectons ce culte pour le passé, mais ouvrons tout de même les yeux vers l’avenir»11. La prima centrale della Valle d’Aosta venne costruita nel 1886 con la derivazione delle acque dal torrente Buthier; da allora molti Comuni dotarono di illuminazione elettrica i conglomerati urbani. L’utilizzo dell’elettricità era limitato all’illuminazione: non esisteva la possibilità di trasporto dell’energia a grandi distanze, non era disponibile una
macchina elettrica in grado di trasformare, in modo conveniente, l’energia elettrica in energia meccanica. Solo alla fine del secolo, dopo la scoperta del campo magnetico rotante da parte di Galileo Ferraris e le sue applicazioni che sfociano nella realizzazione del motore asincrono, si apre la strada allo sfruttamento industriale dell’elettricità. Le risorse idriche della Valle diventano un bene strategico, il vagheggiato “carbone bianco” che – nei desideri di molti – avrebbe soddisfatto il bisogno di energia delle nascenti industrie locali, del Biellese, del Torinese, e quindi portato progresso e benessere. La prima significativa industria che sfrutterà commercialmente la nuova energia nasce a Pont-Saint-Martin, come Società Industriale
Elettrochimica che si trasformerà in Società Piemontese di elettricità. In mancanza di un quadro legislativo idoneo a regolamentare la presenza di centrali idroelettriche in Valle, si assiste alla crescita rapida e disordinata di impianti: la centrale di Pont-Saint-Martin nel 1901, Challand-SaintVictor nel 1906, Bard nel 1907. Molte società si accaparrano i diritti allo sfruttamento dell’immensa risorsa idroelettrica della Valle d’Aosta; tra queste la SIVA (Società Idroelettrica Valle d’Aosta) acquisisce le concessioni per lo sfruttamento delle acque dei torrenti Marmore e Evançon12. Nel territorio di Châtillon, già a partire dal 1899, la Società Piemontese per la Fabbricazione del Carburo di Calcio (alla quale succedette la Società Idroelettrica Valle d’Aosta il 28 127
CVA. Centrale idroelettrica in frazione Breil.
12. Roberta Rio, Sviluppo industriale e risorse idriche in Valle d’Aosta, 2006.
13. ACCH, Sezione Seconda, 407, 3, Richiesta della Società Piemontese per la Fabbricazione del Carburo di Calcio, 4 dicembre 1899. Il modulo corrisponde a 100 litri. 14. ACCH, Sezione Seconda, 407, 3, Decreto di derivazione acque della Dora Baltea, 25 luglio 1912.
giugno 1909) presentò domanda per praticare una derivazione d’acqua in sponda destra della Dora Baltea, nella misura massima di moduli 200, onde produrre con un salto utile di m 45,20 la forza nominale massima di 12.053 HP, successivamente modificato a m 40,41 per ottenere 10.776 HP13. Nel rispetto delle esigenze stagionali dell’agricoltura locale la derivazione di acqua consisteva in 200 moduli nel periodo aprile-settembre e di 140 moduli nel periodo invernale. La Ditta si impegnava a installare all’inizio del canale un idrografo autoregistratore e a trasmettere periodicamente al Genio Civile i diagrammi per determinare la portata media effettiva. Il progetto prevedeva la costruzione di due dighe di presa (una stabile, l’altra instabile), un canale derivatore (parte a cielo aperto, parte in galleria), una vasca di carico, una condotta forzata, un edificio dei motori, un canale di scarico e le “opere d’arte” per l’attraversamento dei corsi d’acqua minori. La diga a monte, instabile, avrebbe svolto la funzione di sbarrare il ramo sinistro del fiume per convogliare in quello destro tutta l’acqua del fiume o almeno 20 moduli. La diga inferiore, stabile, avrebbe costituito invece la vera diga di presa. Il decorso della domanda di derivazione ebbe tempi lunghi: la Società dovette sostenere le opposizioni dei proprietari di fondi agricoli che venivano irrigati con le acque dei corsi interessati alla derivazione, ma il Genio Civile non accettò le motivazioni dei ricorrenti e accordò quindi la concessione nel corso del 1906. Qualche anno più tardi, un decreto prefettizio accorda alla Società Idroelettrica Valle d’Aosta la facoltà di derivare in sponda destra della Dora, nel territorio di pertinenza di Châtillon, a circa 140 m a monte dello sbocco del rivo detto Pessey, con una concessione della durata di 30 anni, al canone annuo di lire 27.48014. La Società Idroelettrica Valle d’Aosta si trovò a dirimere un’altra questione, relativa questa 128
volta alle Ferrovie dello Stato. Il presidente della Società, Tommaso Giussani, scrisse al Sindaco del Comune di Châtillon per invitarlo ad associarsi, a nome del Comune, alla perorazione che egli intendeva inviare alla Deputazione Provinciale di Torino perché l’impianto idroelettrico sulla Dora Baltea, nel tratto compreso fra il castello di Ussel e il Borgo Vecchio di Montjovet, venisse costruito senza alcun vincolo da parte delle Ferrovie dello Stato. Queste infatti intendevano riservarsi “per i loro eventuali futuri bisogni” – sottolinea il Presidente Giussani – il tratto della Dora tra Châtillon e Champ de Praz, oltre a quello già precedentemente vincolato tra Saint-Marcel e Châtillon. La
costruzione dell’impianto doveva iniziare nella primavera del 1911 e proseguire per tre-quattro anni, con il concorso di tutte le risorse e della mano d’opera dei comuni interessati, nell’intento di mettere in funzione un impianto di 10.000 cavalli di forza. Ma il vincolo che le Ferrovie ponevano sul tratto di fiume non avrebbe permesso la realizzazione dell’opera, perché – sostiene Giussani – esse hanno vincolato da anni domande di concessione su tutti i fiumi d’Italia, senza aver tuttavia costruito nessun impianto. Inoltre «alle Ferrovie dello Stato servirebbe meglio il primo tratto Saint Marcel-Châtillon, dal quale si può trarre una maggiore quantità di energia, e che è tecnicamente accertato che
assai meglio di un impianto come il qui vincolato, per la trazione elettrica delle Ferrovie, servono derivazioni che permettano l’accumulazione dell’acqua, e cioè impianti su piccoli torrenti con grandi cadute»15. Sempre in rapporto al progetto di costruzione dell’impianto, la Società Idroelettrica Valle d’Aosta presentò domanda alla Prefettura di Torino per installare una conduttura ad alta tensione che congiungesse la centrale elettrica di proprietà di Giuseppe Ravera, sita nel Comune di Châtillon, con i cantieri di lavoro che sarebbero stati costruiti sulle sponde della Dora. La conduttura era costituita «da un’unica linea principale della lunghezza di circa km 6,50 a tre fili di rame elettrolitico 129
CVA. Centrale di Saint Clair. Sala comandi. 190°
15. ACCH, Sezione Seconda, 407, 3, Lettera del presidente della Siva al Sindaco del Comune di Châtillon, 16 febbraio 1911.
nudo alla tensione di 3.000 volt efficaci tra filo e filo, con frequenza di 50 periodi. Il diametro dei fili in tutta la linea è di 5 m/m, e cioè tale che la corrente percorrerà i fili stessi con una intensità inferiore a 2 ampères per m/m quadrato di sezione. I pali saranno in legno iniettati dell’altezza di m 11; gli isolatori saranno del tipo indicato nel disegno [allegato al progetto, ndr] e provati a 40.000 volt. Tutti gli attraversamenti con la strada comunale che conduce alla stazione di Châtillon, con tutte le mulattiere e con la linea telegrafica saranno protetti da rete metallica in buona comunicazione colla terra»16. L’energia elettrica sarebbe stata utilizzata a scopo di forza motrice e di luce, e sarebbe rimasta in esercizio per il tempo della costruzione dell’impianto, previsto in tre anni. Qualche anno prima, nel 1905, Tommaso Giussani di Milano e il commendatore Federico Selve di Donnas avevano chiesto di poter effettuare due distinte derivazioni dal torrente Marmore, perché intendevano costruire a Châtillon un grande complesso idroelettrico con uno o più impianti industriali metallurgici in prossimità della ferrovia e con la possibilità di trasportare a distanza l’eccesso di energia che ne verrebbe prodotta. Gli utenti dei canali di irrigazione dislocati lungo la bassa Valtournenche si opposero con forza alla concessione di derivazione delle acque del Marmore e inoltre il Decreto Prefettizio del settembre 1911 dichiarò improcedibile la domanda di concessione per incompatibilità con le derivazioni, peraltro numerose e importanti, che già esistevano in quel tratto del torrente Marmore17. Altri tentativi vennero compiuti nel 1908: l’ingegnere Pietro Calzoni di Brescia inoltrò domanda per derivare 120 moduli di acqua sulla sponda destra della Dora Baltea, a quota 451,47 metri nel territorio di Châtillon, allo scopo di produrre energia elettrica per l’illuminazione e per fini industriali. Nello stesso anno Giuseppe Calatroni e Carlo Rossi pre-
sentarono domanda di concessione per la derivazione di acqua dalla Dora Baltea nel tratto di fiume compreso nei comuni di Châtillon, Hône e Bard. In questo caso, si trattava di produrre energia elettrica per alimentare un’industria elettrochimica da costruire a Hône. In entrambi i casi, la risposta del Prefetto fu negativa, poiché su un ampio tratto della Dora l’Amministrazione delle Ferrovie dello Stato aveva da tempo posto un vincolo per la trazione elettrica delle ferrovie. Il fenomeno qui descritto ebbe ampia risonanza regionale: tra il 1905 e il 1908 si ebbe un altissimo numero di domande di concessione per alimentare opifici e stabilimenti industriali. Nel 1916 e in generale durante la prima guerra mondiale aumentò la richiesta da parte di industrie metallurgiche che producevano materiale bellico18. Negli anni che vanno dal 1916 al 1921 vengono costruite le prime centrali della Valle d’Aosta, ad Aymavilles, Chavonne, Champagne, Grand Eyvia, Valpelline ed Ollomont; alcune di esse, pur modificate, sono ancora attive; altre sono state ricostruite integralmente e delle vecchie centrali resta memoria solo nel toponimo. Nel 1918 nasce, a Torino, la SIP (Società Idroelettrica Piemontese) che sino alla nazionalizzazione avrà parte di primo piano, insieme all’Edison, nella progettazione e realizzazione di impianti in Valle. Negli anni immediatamente successivi vengono progettati e messi in cantiere gli impianti destinati allo sfruttamento dei torrenti Marmore e Lys; vengono avviate le costruzioni delle dighe del Goillet, Cignana e Gabiet nella conformazione ancora oggi utilizzata. In questo arco di tempo non deve essere dimenticato il ruolo importante che ha l’Ansaldo nella costruzione e gestione di impianti idroelettrici utilizzati, quasi esclusivamente, per scopi industriali; dall’Ansaldo nascerà, nel 1927, la Società Nazionale Cogne, il più importante e duraturo insediamento industriale della Valle d’Aosta. 131
16. ACCH, Sezione Seconda, 407, 3, Richiesta del presidente della Siva alla Prefettura di Torino, 5 ottobre 1911. 17. Sull’argomento si veda la Relazione del Sindaco al Prefetto della Provincia di Torino a pag. 201. t pag. 30. 18. Roberta Rio, op. cit.,
Nella pagina a sinistra: mappa delle centrali idroelettriche della Valtournenche. Elaborazione grafica di Alessandro Guida.
Paradossalmente tutta questa attività frenetica di fatto non produce ricchezza e occupazione paragonabili all’entità delle aspettative e soprattutto ai vantaggi economici delle imprese che vi hanno investito i capitali; nonostante l’energia prodotta ed esportata nel resto del paese, alcuni comuni valligiani debbono ricorrere all’iniziativa locale per risolvere i problemi di illuminazione ed irrigui.
Gli impianti sul Marmore
19. G. Ciampi, I nuovi impianti idroelettrici sul Marmore della SIP-BREDA, in Sincronizzando..., Rivista del Gruppo idroelettrico SIP 1922-1930.
Gli anni Venti vedono la trasformazione massiccia delle antiche modalità di sfruttamento delle acque. Dalla forza idraulica con cui si attivavano principalmente ruote per il funzionamento di mulini, forge e concerie si passa alla produzione di energia elettrica per usi molteplici, in particolare domestici, artigianali e industriali. Si elaborano piani di sfruttamento di intere vallate, in cui «la costruzione dei bacini di accumulazione compensa le magre dei corsi 132
d’acqua alimentatori e provvede l’acqua per le punte giornaliere»19. La Società Piemontese Lombarda Ernesto Breda, sulla base di tale principio (di utilizzo sistemico delle acque di ciascuna vallata) progettò una serie continua di impianti idroelettrici che utilizzavano le acque del torrente Marmore e dei suoi affluenti dal comprensorio di Cervinia (lago Goillet) fino al territorio di Châtillon, con una caduta di circa 2.000 metri. È proprio a questo dislivello che l’Ufficio Idraulico del gruppo SIP pensò per la costruzione degli impianti di Valtournenche. Furono previste cinque derivazioni, di cui tre nel corso del torrente (derivazione ad acqua fluente) e due in vallate laterali (impianti con serbatoi stagionali integratori di Goillet e di Cignana). La prima di queste derivazioni è a 2.526 metri di quota al lago Goillet, creata con lo sbarramento dell’emissario del lago e sopraelevandone il livello di circa venti metri per ottenere un invaso di 11,1 milioni di metri cubi. Le acque del Marmore vengono utilizzate nella località Notre Dame de la Garde a Perrères
dove con una diga a stramazzo si forma un piccolo serbatoio di 150.000 mc; da qui sono canalizzate al bacino di carico di Promeron e quindi in condotta forzata alla centrale di Maën, sfruttando un salto di m 475. Inoltre le acque derivate dal serbatoio di Cignana (16 milioni di mc) sono convogliate fino a un pozzo piezometrico ricavato nella roccia e da questo, con un salto di 810 m, raggiungono la centrale di Maën. Il secondo salto, tra Ussin e Covalou, si produce prendendo le acque ad Ussin, dove uno sbarramento del Marmore crea un piccolo serbatoio, da cui parte un canale a quota m 1.312,50 e, dopo un percorso di 9,2 km in galleria, giunge al bacino di carico di Promiod a cui fanno seguito le condotte forzate della centrale di Covalou. Immediatamente a valle di quest’ultima, ha inizio l’ultima derivazione dell’impianto: un canale a pelo libero in galleria lungo circa tre km convoglia l’acqua alla condotta forzata della centrale di Châtillon (Breil), dove giunge con un salto verticale di 278 metri. La centrale di Breil è l’ultima delle centrali situate
sull’asta del torrente Marmore, a valle di tutto il sistema idroelettrico della Valtournenche. Le opere di presa hanno inizio con lo sbarramento del torrente Marmore, a monte della centrale di Covalou. Il bacino di compenso e di modulazione ha una capacità di invaso di 40.000 mc; dalla pre-vasca di convogliamento, mediante tre paratoie, l’acqua può essere immessa nel torrente Marmore: la paratoia centrale serve a far defluire le portate irrigue necessarie. Una paratoia atta a smaltire una portata di 6 mc al secondo immette l’acqua in un canale largo m 3 e profondo m 1,5, ricavato lungo la parete nord-est del bacino, per alimentare direttamente la galleria forzata della centrale di Châtillon. Dal fondo del canale di presa diretta tramite paratoia di regolazione viene alimentato il canale di Saint-Vincent per usi irrigui. Una galleria in pressione lunga m 2.647,20 collega il bacino di compenso e modulazione con il pozzo piezometrico o di espansione ed alimenta due condotte forzate della lunghezza di m 646,70 e diametro da m 1,20 a m 1,40. 133
CVA. Centrale di Châtillon in frazione Breil. 300°
CVA. Centrale di Châtillon in frazione Breil. Sala turbine. 300°.
A 465 metri di altitudine si trovano due gruppi generatori, in corrispondenza del fabbricato della centrale posto sulla sponda sinistra della Dora Baltea in località Breil, piccola frazione di Châtillon. La restituzione della portata d’acqua avviene per caduta in un canale sfociante in vasca a pelo libero con due scarichi di fondo a paratoia piana e stramazzo verso l’immissione nel fiume Dora Baltea. Complessivamente l’impianto idroelettrico Valtournenche avrebbe dovuto produrre, secondo la previsione della società costruttrice, 220 milioni di kWh, di cui 130 nei mesi invernali e 90 durante l’estate. I lavori furono iniziati nell’autunno del 1923 e, quando l’ing. Ciampi scrive, soltanto gli impianti di Cignana e il secondo salto del Marmore erano stati realizzati; la messa in funzione della centrale Covalou era prevista per l’estate del 1926, quella di Cignana nell’inverno ‘27-‘28, insieme al primo salto sul Marmore (Perrères Maën). Per consentire il rifornimento di tutti i cantieri 134
disseminati lungo la valle, venne costruitaa una teleferica che da Châtillon garantiva un servizio continuo per 16 km fino a Maën. Lungo il percorso erano attive altre nove teleferiche minori per complessivi 8,5 km. Per soddisfare le esigenze dei vari cantieri e non interferire con la fornitura di energia elettrica delle grandi reti, venne costruita una piccola centrale ai piedi di Valtournenche, nei pressi dei cantieri della società. A Châtillon, invece, venne allestito un cantiere nel quale trovava posto il magazzino principale, completamente cintato, con raccordo ferroviario, piano caricatore e partenza della teleferica Châtillon-Maën. Inoltre vi erano state installate anche undici baracche adibite a magazzini ed uffici. Le acque del lago Goillet, restituite a m 466 dopo una corsa in discesa che copre ben m 2.060 di dislivello, con le acque di Cignana ed altre raccolte nel percorso, rendono disponibile oggi una potenza di 123.000 kW e 286.000.000 kWh di energia elettrica all’anno.
La centrale di Châtillon La centrale di Châtillon20 è un impianto a bacino ed ha pertanto la possibilità di gestire la sua produzione in modo indipendente dalla portata di acqua entrante nell’accumulo, per un tempo determinato dal rapporto capacità/portata. La produzione media annua raggiunge 67.600.000 kWh. L’inizio dei lavori risale al 1939, quando Mussolini, in visita nella Valle, posò la prima pietra di rito; l’impianto entrò in funzione l’anno successivo. Di quell’avvenimento è rimasto un cippo su cui sono riportati la data e il nome italianizzato – secondo il costume fascista – di Châtillon, che diventava così Castiglione Dora. Molti ricordano che il cippo era sormontato da una statua di Mussolini; ora vi trova posto la ruota di una turbina. Il fabbricato ove è collocata la centrale presenta i caratteri tipici dell’architettura degli anni Trenta: imponente e squadrato, con linee semplici e protese verso l’alto. Nei pressi vennero costruiti altri quattro fabbricati civili, due con
funzione abitativa per le esigenze del personale, uno era l’abitazione riservata al capo impianto – un ruolo importante sia in centrale che nella vita sociale del paese – e l’ultimo era destinato alle attività ricreative dei dipendenti e delle loro famiglie. Infatti la gestione e l’esercizio dell’impianto, prima dell’ammodernamento e dell’automazione, impegnavano oltre trenta persone – quasi lo stesso numero oggi comprende gli operatori per controllo e manutenzione di tutti gli otto impianti del Reparto Operativo Châtillon – che in parte venivano ospitate nelle case della centrale. L’impianto venne costruito dalla SIP, nazionalizzato nel ‘63 (Enel) e infine nel 2001 venne acquistato dalla Regione Valle d’Aosta con altri venticinque impianti per formare la nuova CVA (Compagnia Valdostana delle Acque SpA). Fino al 1988 l’impianto era gestito e controllato dal personale in loco, poi venne automatizzato e diretto dalla sala di controllo della stessa centrale, quindi telecontrollato 135
20. Le informazioni relative alle centrali idroelettriche di Châtillon sono state fornite da CVA, Ufficio Relazioni Esterne.
dal Posto di Teleconduzione di Pont-SaintMartin, successivamente trasferito nella sede CVA di Châtillon. La centrale è stata per anni un luogo importante della produzione di energia elettrica, sia come centro di controllo di numerosi altri impianti, sia per la presenza della stazione elettrica di smistamento energia a 132 kV e 220 kV. Attualmente vi trova sede uno dei quattro reparti operativi che gestiscono i trenta impianti CVA disseminati nella Regione. La sezione 132 kV della stazione elettrica in origine occupava tutta l’area contigua alla centrale; le sue apparecchiature tradizionali “in aria” sono state sostituite con altre “in blindato”, cioè segregate in contenitori saturi di gas isolante e quindi meno visibili all’esterno. La stazione è proprietà dello Stato ed è gestita dalla Società Terna.
La centrale di Saint Clair
21. Jean Brocherel, Nos forces hydrauliques, in Augusta Praetoria, Troisième année, n. 9-10, ottobre-novembre 1921, pag. 185.
La rivista diretta da Jules Brocherel, Revue valdôtaine de pensée et d’action regionaliste, si interessò molto ai nuovi fermenti industriali degli anni Venti e seguì passo passo i lavori di costruzione delle centrali idroelettriche della Valle d’Aosta; in particolare dedicò ampio spazio ai resoconti dettagliati dell’andamento dei cantieri che via via si andavano aprendo un po’ dappertutto nella Valle principale, sulle sponde della Dora e nelle singole vallate laterali. In un articolo apparso nell’autunno 1921, Brocherel riferisce in forma schematica la situazione dei progetti, le concessioni, le fasi di realizzazione, le caratteristiche di ciascuna centrale21. Sulla Dora Baltea si contano nove progetti, due di questi riguardano il territorio di Châtillon: la concessione accordata a Mario e Umberto Cravetto nel marzo 1921 di una presa di derivazione a Saint-Marcel, con centrale prevista a Châtillon. I lavori non sono ancora iniziati quando scrive Brocherel, ma 136
si attende la loro apertura a breve termine. La portata sarà di 300 moduli, la caduta di 70 m, la potenza media di 28.024 HP. Il secondo progetto è della Società Idroelettrica Valle d’Aosta che ha costruito un canale di derivazione interamente in galleria, sulla destra orografica della Dora, per portare l’acqua necessaria al funzionamento della Centrale di Montjovet. In realtà soltanto il secondo progetto andò a buon fine; per la centrale detta di Châtillon e situata nella borgata Breil bisognerà attendere ancora una ventina d’anni (1939), e per la seconda centrale, sulla destra orografica della Dora, ulteriori dieci anni. La centrale di Saint Clair, terzo impianto sull’asta fluviale della Dora Baltea, è di tipo
fluente e quindi ha la potenza disponibile strettamente legata alla portata di acqua del fiume in quel momento. Mediamente produce 163.300.000 kWh. Utilizza l’acqua derivata dallo sbarramento di Nus, realizzato con una serie di paratoie che convogliano parte dell’acqua verso la derivazione. In caso di eventi alluvionali le paratoie vengono sollevate e l’acqua può scorrere in modo naturale senza impedimenti. Nel normale esercizio, l’acqua derivata dal fiume (55 mc al secondo) viene ripulita del materiale in sospensione che essa stessa trasporta (foglie, piante, rifiuti, carogne di animali, ecc. che la società CVA provvede a conferire presso le discariche autorizzate) con
l’utilizzo di griglie che impediscono l’accesso al canale derivatore e vengono mantenute pulite tramite un’apparecchiatura automatica, lo “sgrigliatore”. Il canale derivatore, in leggera pendenza, è a pelo libero, in parte all’aperto e in parte in galleria per una lunghezza totale di m 14.327 fino alla vasca di carico posta 68 metri più in alto rispetto alle turbine. Dalla vasca di carico parte una condotta forzata che nel tratto terminale si biforca in due rami, uno per ogni turbina. La centrale di Saint Clair è stata totalmente costruita in caverna, a circa 100 m all’interno della roccia. L’ultimo tratto del canale derivatore, la vasca di carico e la condotta forzata 137
CVA. Centrale di Saint Clair. Vasca di raccolta e sgrigliatore. 190°
Legge idroelettrica a favore dei comuni montani La Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 1953 pubblicò la legge 27 dicembre 1953, n. 959, che portava norme modificative del testo unico di leggi sulle Acque Pubbliche e riguardanti l’economia montana. Si trattava di un «sovracanone imposto alle società esercenti impianti idroelettrici in bacini imbriferi montani, ammontante in lire 1.300 per ogni chilovat di potenza concessa o subconcessa e che andavano devoluti in diversi modi, da stabilirsi, ai Comuni compresi in detti bacini idrografici». Circa un anno dopo il Ministero dei Lavori Pubblici rese noto il perimetro del bacino imbrifero montano della Dora Baltea, che veniva limitato alla quota altimetrica di 500 m sul livello del mare, esonerando quindi dal pagamento del sovracanone annuo previsto dall’art. 1 della legge n. 959 gli importanti impianti idroelettrici costruiti sull’asta della Dora Baltea, situati nella zona da Châtillon a Pont-Saint-Martin. Di fronte a questa decisione, la Regione Valle d’Aosta presentò ricorso al Consiglio di Stato e al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, nel tentativo di tutelare i diritti e gli interessi di tutti i rimanenti altri comuni rivieraschi valdostani. A fronte delle difficoltà sopraggiunte nell’applicazione della legge, l’Amministrazione Regionale propose la costituzione di un Consorzio per le scelte degli interventi, per la redazione dei programmi di lavoro, per l’utilizzo dei fondi e per tutte le iniziative volte al progresso economico e sociale delle popolazioni, salvo in tutti i casi, la possibilità di richiedere la fornitura diretta di quantità determinate di energia come previsto dagli articoli 1 e 3 della legge 959. La Regione Valle d’Aosta predispose la costituzione del Consorzio fra i Comuni della Valle e lo Statuto del nuovo organismo nell’ottobre 1955. Entro il 20 novembre dello stesso anno i Comuni designarono un loro rappresentante nel Consorzio Bacino Imbrifero Dora Baltea. Con i sovracanoni idroelettrici spettanti al Consorzio, il Comune di Châtillon stabilì di finanziare una serie di interventi per un totale di 333.300.000 lire, somma sulla quale il Comune sarebbe intervenuto con il 30% del totale. Gli interventi miravano principalmente alla sistemazione di strade, acquedotti, fognature, ampliamenti delle scuole e dell’asilo del capoluogo, e altre opere pubbliche che si ritenevano neccessarie.
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sono in galleria; il collegamento di servizio tra la sala macchine e la vasca di carico avviene attraverso un ascensore. Il macchinario, i due gruppi generatori, le turbine Francis e l’alternatore ad asse verticale con potenza totale di 31.000 kW, prodotto dalle ditte Tosi San Giorgio e Breda nel 1942, sono installati nella caverna centrale, mentre le apparecchiature ausiliarie sono distribuite in nicchie e nelle gallerie d’accesso. All’entrata in servizio nel 1950, anche i trasformatori di produzione per immettere l’energia sulla rete 132 kV erano all’interno della galleria; in seguito, con l’ammodernamento dell’apparecchiatura e la riduzione a una sola macchina, il trasformatore è stato spostato all’esterno. Il funzionamento dell’impianto è praticamente continuo, regolato sulla portata del fiume; nel periodo invernale l’acqua si riduce e resta in servizio un solo gruppo generatore, consentendo alternativamente la manutenzione senza perdite di produzione. In caso di mancato funzionamento dei gruppi generatori, l’acqua immessa nel canale continua il suo percorso fino alla vasca di carico, ove un apposito sistema di paratoie e gallerie portano l’acqua non turbinata al fiume.
Eau et électricité
C
e fut une grande et heureuse découverte pour la Vallée d’Aoste la possibilité d’exploiter les énormes ressources en eau de la Région pour obtenir de l’énergie électrique mais, comme toute nouveauté, celle-ci exigea beaucoup de patience et une approche progressive. La Communauté de Châtillon connut l’éclairage électrique en 1890, quand à Edoardo Pomatto, mécanicien domicilié à Aoste, fut accordé le permis de réaliser l’installation électrique pour éclairer la ville. Neuf ans plus tard, l’éclairage public sera assuré par Umberto Guglielminetti, fabricant de textile de Châtillon et, depuis 1911, par Giuseppe Ravera, maître d’œuvre, constructeur, entrepreneur d’Ivrea. La découverte de la houille blanche enthousiasma ceux qui croyaient en la reprise économique de la Région et donna une impulsion à un nombre croissant d’initiatives visant à produire de l’énergie hydroélectrique. En 1918, à Turin, naquit la SIP (Société Hydroélectrique Piémontaise) qui, jusqu’à la nationalisation, joua un rôle prédominant, avec Edison et d’autres sociétés hydroélectriques, dans la conception et la construction d’équipements dans la Vallée. Pendant les années suivantes, ont été conçues et réalisées les installations destinées à l’exploitation des flux du Marmore et du Lys; la construction des digues de Goillet, Cignana et Gabiet, encore utilisées aujourd’hui, a enfin débuté. La Société piémontaise-lombarde Ernesto Breda, en utilisant d’une manière systémique les eaux de chaque vallée, a conçu une série continue de centrales hydroélectriques qui utilisaient les eaux du Marmore et de ses affluents depuis la zone de Cervinia (lac Goillet) jusqu’au territoire de Châtillon, avec une chute d’environ 2.000 mètres. L’usine de Breil (un hameau de Châtillon) est la dernière des centrales situées sur l’axe du Marmore, en aval du système hydroélectrique de la Valtournanche. L’installation a été exploitée dès 1940, nationalisée en 1963 (ENEL), et en 2001 elle a été achetée par la Région Vallée d’Aoste avec d’autres infrastructures pour former la nouvelle CVA (Compagnie Valdôtaine des Eaux SpA). La centrale de Châtillon fut pendant des années très importante pour la production d’énergie électrique, tant comme centre de contrôle pour de nombreuses autres installations, que pour la présence de la centrale de triage d’énergie à 132 kV et 220 kV. Actuellement, il y a une des quatre divisions opérationnelles qui gèrent les trente installations CVA situées dans la Région. La centrale de Saint Clair, également sur le territoire de Châtillon, est la troisième installation sur l’axe fluvial de la Doire Baltée; elle a une puissance disponible strictement liée au débit du fleuve à chaque moment. En moyenne elle produit 163.300.000 kWh. Elle utilise l’eau provenant du barrage de Nus, réalisé avec une série de vannes qui canalisent une partie de l’eau vers la dérivation. En cas d’inondations les vannes sont soulevées et l’eau peut s’écouler de façon naturelle sans entraves. La centrale de Saint Clair a été construite en 1950, complètement dans la grotte, à environ 100 m à l’intérieur du rocher.
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Infrastrutture
L
o sviluppo industriale si è sempre accompagnato, e nei casi migliori è stato preceduto, dalla costruzione di infrastrutture viarie atte a sostenere l’aumento di traffico e il movimento di materiali e persone che ruotano intorno ai nuovi insediamenti produttivi. Per Châtillon si può parlare di una vera e propria rivoluzione delle vie di comunicazione che ha trasformato radicalmente il paesaggio e la vita della comunità. La necessità di adeguare alle nuove esigenze le infrastrutture viarie ha prodotto nello spazio di poco più di mezzo secolo un reticolo fatto di strade, circonvallazioni, con i relativi raccordi e svincoli autostradali, ferrovia e stazione. Dall’esame delle carte d’archivio emerge in modo evidente il passaggio epocale da una struttura urbana di piccola entità, quale era il paese nel tardo Ottocento, ad un centro di crescente importanza economica durante tutta la prima metà del secolo successivo.
di una feudalità ingombrante ed ostile ad ogni tentativo di rinnovamento economico e sociale. Tra il 1764 e il 1766 venne costruito il tratto della Strada Reale che attraversava il centro abitato di Châtillon e che mise in opera il nuovo ponte sul Marmore, più adatto al passaggio di carri e carrozze che precedentemente dovevano scendere per la via Ponte Romano e risalire dalla Chiesa di Notre Dame de Grâce verso Chameran1. Le strade che collegavano il Borgo con le frazioni erano numerose e impegnavano l’Amministrazione Comunale in molte scelte e soprattutto nella manutenzione, sempre urgente e onerosa, a causa della natura del suolo e per la presenza della rete di canali che per maltempo o incuria finivano per esondare portando sassi e detriti sul pavimento stradale. Anche per tutto il secolo successivo il Comune dovette misurarsi con questo problema e quindi non mancano tracce degli interventi
Ponti e strade Il sistema viario dell’intera Valle d’Aosta subì gli effetti nefasti della crisi economica che aveva attanagliato la Regione tra il secolo XVI e la prima metà del XVII. Bisogna attendere la fine del Settecento, caratterizzata da buona ripresa demografica e sviluppo delle attività minerarie e metallurgiche, per vedere un interesse reale dei governi locali e dello Stato nei confronti delle comunicazioni intervallive. Con Vignet des Etoles, intendente riformista, le strade tornarono all’attenzione delle amministrazioni, nella convinzione che la povertà della Valle fosse determinata in special modo dall’isolamento, oltre all’inerzia della nobiltà e alla presenza 141
1. Maria Vassallo, Châtillon in età moderna, 2001, pag. 97.
Nella pagina di sinistra: Centrale di Covalou. Per gentile concessione di CVA. Cartolina di Châtillon veicolata nel 1941. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
2. ACCH, Serie III, 48, 3, Verbal des visites, 6 settembre 1816. 3. ACCH, Sezione Seconda, 392, 1, Elenchi delle strade comunali e vicinali (18671933).
Disegno del ponte in ferro sul Marmore. Progetto della Società Nazionale delle Officine di Savigliano. Archivio Comunale di Châtillon.
anche tra le carte dell’Archivio Storico. In un documento (sembrerebbe una bozza) del 1816 le strade sono classificate in due categorie: nel primo gruppo si contano sette strade, nel secondo les chemins particulierss2. Per ciascuna strada si riportano il punto di partenza e di arrivo, lo stato in cui versa, eventuali attraversamenti di torrenti, e in questo caso si citano i ponti e la loro tipologia in pietra o legno. Ne emerge un quadro assai preoccupante, nel quale le calamità naturali hanno una responsabilità rimarchevole, ma è soprattutto il materiale con cui sono costruiti i ponti a causare i danni più ingenti e ripetuti nel tempo. In un documento successivo, del 1867, il Sindaco Noussan presiede il Consiglio Comunale che si ritrova a valutare lo stato in cui versano le strade comunali; queste vengono elencate e di ciascuna viene riportata la lunghezza e la larghezza, il punto di partenza e di arrivo; possono essere chemin à chariots o chemin à mulets. Lo stesso elenco viene riconfermato con un atto consiliare del 1871: 1. Chemin des Rovines congiunge il faubourg de Chameran con il territorio di AnteySaint-André. Lungo la strada non vi sono luoghi abitati; si sviluppa su km 4,120 per una larghezza media di m 2,60.
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2. Chemin d’Ussel et Bellecombee da Chameran raggiunge il villaggio di Bellecombe attraversando il villaggio di Ussel. È lungo km 6,560 e largo m 2. 3. Chemin de Conoz et Lavall parte dal Borgo, attraversa Conoz e La Verdetta e termina a Chardin, per la lunghezza di km 5,200. 4. Chemin de Promiodd congiunge il Borgo con il Comune di Antey La Magdeleine. Attraversa Conoz, La Verdetta e Promiod, sviluppandosi per km 11,800 e per m 2,50 di larghezza. 5. Chemin de Nissod, partendo dal Borgo ai confini con Saint-Vincent, attraversa il villaggio di Cret Blanc, Pissin, Sounère, i due Closel e Domiana. La lunghezza è di km 5,450 per m 2,60 di larghezza3. La presenza di numerosi torrenti sul territorio ha imposto in tutte le epoche particolare attenzione alla sicurezza e di conseguenza agli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria dei ponti, operazione indispensabile per consentire le comunicazioni e i rapporti sociali ed economici all’interno della comunità. Molti aspetti della vita quotidiana richiedevano continui trasferimenti di uomini e merci tra il capoluogo e le frazioni: dal mercato alle funzioni religiose, dal disbrigo di pratiche burocratiche alla partecipazione a feste e ritrovi. Si susseguono quindi, nei faldoni dell’Archivio Storico, numerosi documenti relativi al ripristino della viabilità, al rifacimento e consolidamento dei ponti e delle passerelle che attraversavano la Dora e il Marmore, ma anche tutti gli altri torrentelli che solcano e disegnano il territorio. Sicuramente l’attraversamento della Dora costituiva l’ostacolo maggiore alle comunicazioni con le frazioni situate sulla destra orografica del fiume, anche perché il ponte in legno non era in grado di resistere alle ondate di piena che, peraltro, per buona parte dell’Ottocento, si susseguirono con notevole furore e sistematica ciclicità. Tanto che nella
primavera del 1896 il Sindaco Alliod, in rappresentanza del Comune, firmò un contratto con la Società Nazionale delle Officine di Savigliano per la fornitura e posa in opera di una travata metallica in sostituzione dell’esistente ponte in legno detto d’Ussel4. Il contratto faceva seguito ad una deliberazione del Consiglio Comunale datata 26 agosto 1894 che prevedeva la demolizione della travatura in legno per «costrurre e collocare in opera, sugli attuali appoggi previamente adattati, una travata in ferro omogenea lunga m 52,40 e larga m 2,70 tra gli assi delle travi principali, con sovrastante impalcatura in legno rovere, il tutto per la somma a corpo di lire 9.300». Il capitolato d’oneri che venne presentato previde la costruzione della passerella costituita da due travate metalliche oblique, indi-
pendenti, e sistemate l’una di seguito all’altra, sostenute da due spalle in muratura e da una pila centrale pure in muratura. Qualche anno dopo, nel novembre 1899, la stessa Società Nazionale delle Officine di Savigliano presentò analoga offerta per la costruzione di un ponte in ferro sulla Dora in sostituzione del ponte in legno detto di Breil, ancora in situ anche se non più transitabile. Il corso del torrente Marmore termina proprio in corrispondenza del sentiero che conduce a Ussel e a Bellecombe, e che collega non solo i due hameauxx con il capoluogo, ma anche con Pontey e gli altri villaggi dello stesso versante. Sulla parte terminale del torrente Marmore, e quindi in prossimità della confluenza nella Dora, era stata costruita una passerella in le143
Ponte in ferro sulla Dora Baltea in frazione Breil.
4. ACCH, Sezione Seconda, 403, 1, Contratto con la Società Nazionale Officine di Savigliano, 28 marzo 1896.
5. ACCH, Sezione Seconda, 403, 1, Passerella di Ussel sul torrente Marmore. Lettera dell’ing. Egisippo Devoti al Podestà di Châtillon, 27 gennaio 1936. 6. ACCH, Sezione Seconda, 403, 1, Ricostruzione del ponte di Ussel. Corrispondenza tra il Comune di Châtillon e la Società Nazionale Officine Savigliano, 26 settembre 1945. 7. ACCH, Sezione Seconda, 115, 2, Capitolato d’appalto. Preventivo per le spese. Relazione e Profili trasversali (via Menabrea e Ponte sul Marmore), 26 gennaio 1888.
Cartolina di Châtillon veicolata nel 1908. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
gno la cui strada d’accesso era un viottolo di campagna – così la descrive l’ingegnere Egisippo Devoti – a fondo naturale, largo in qualche punto non più di m 1,25 e con pendenza fino 7,60%. L’ingegnere era stato incaricato dall’Amministrazione Comunale di stabilire le cause del crollo della passerella e prevedere i lavori necessari per ripristinarla5. Nella Relazione si fa riferimento ad un incidente automobilistico, avvenuto il 16 gennaio 1937, che fu causato dal passaggio di un camion che trasportava circa 45 q di peso, e che fece coricare la passerella col suo centro sul fondo del torrente Marmore, con danni quantificabili in 1.266 lire. L’ing. Devoti ribadisce che la strada non è adatta al passaggio di camion, ma solo di pedoni e piccoli carri agricoli; prevede di ricostruire la passerella rialzandola mediante capriate e paranchi, senza schiodare l’impalcato.
Nel 1945 torna ancora una volta all’attenzione degli amministratori comunali la manutenzione del ponte di Ussel: il ponte non è transitabile; urgono lavori di riparazione. Siccome il Comune non ha mezzi per fronteggiare le spese di ripristino, mette a disposizione un congruo quantitativo di legname in piedi nel bosco di Promiod, il cui valore economico potrebbe essere impiegato quale compenso per la ditta appaltatrice. I lavori vennero eseguiti dalla Ditta Duguet Giuseppe per mc 64 di legname che, su richiesta dell’interessato, doveva provenire dai boschi di Bellecombe, anziché Promiod. Per portare a compimento il lavoro di ricostruzione del ponte, il Comune di Châtillon necessitava dei dati tecnici del progetto del ponte in ferro realizzato negli anni 1895 e 1896 dalla Società Nazionale Officine Savigliano. Questa però rispose che non disponeva più dei disegni e degli incarti relativi a quel progetto6.
Le strade del borgo «La vaporiera che da circa due anni scuote coi suoi stridoli fischi la eco dei nostri monti cagionò una ben sentita crisi commerciale a questa valle non ancora, per impianto d’industria, preparata a riceverla. Immani forze motrici restano inoperose ancora, ed i prodotti di questo fecondo sì ma angusto territorio ben presto sono esportati dalla febbrile attività della ferrovia. Questa febbre comunicata agli uomini d’affari essi non più soggiornano nei luoghi attraversati dalla locomotiva, ma dato serto alle cose ecco l’ora del ritorno che li richiama alla stazione donde ne deriva gran diminuzione nel minuto commercio dei paesi. D’altra parte questa Valle Aostana, tanto bella tanto decantata da scrittori poeti, rimaneva sin’ora quasi inaccessibile per le difficoltà che incontravansi nella viabilità; ora grazie alla ferrovia è destinata, né fia nostra illusione, a vedersi centuplicare i visitatori»7. 144
Con queste parole, i geometri Personettaz e Salamano, autori del progetto di sistemazione della via principale di Châtillon, all’epoca via Menabrea – siamo nel 1888 –, introducono la loro relazione tecnica, sostenendo l’urgente necessità di dare al Borgo un aspetto più moderno e consono ai nuovi tempi: «...dato uno sguardo al deplorevole stato in cui si trova la via principale Via Menabrea, considerando come sia fuori dall’altezza dei tempi e poco consono colle necessità attuali l’aspetto prettamente rurale di questa importante contrada, con quel suo selciato trasandato,con quel suo rigagnolo torto ed irregolare, con quegli abbeveratoj in mezzo alla contrada, i quali colle loro scolature producono in inverno rigonfi di ghiaccio». L’Amministrazione Comunale delibera quindi di incaricare i due geometri, entrambi residenti a Châtillon, di redigere un piano di abbellimento e di sistemazione della via, dando istruzioni in merito alle modifiche più importanti da apportare: «selciato con marciapiedi e ruotaje, soppressione di mezzo alla contrada delle due fontane ed abbeveratoj esistenti, provvedere alla dispersione delle scolature delle fontane». Gli scoli dell’acqua creavano gravi disagi in pieno inverno quando ghiacciavano deteriorando l’acciottolato che quindi doveva essere riparato puntualmente ogni anno. Inoltre il canaletto che correva al centro della via, trovandosi ingombro di ghiaccio, non poteva più essere utilizzato per la pulizia della strada (spazzatura, depositi immondizie, animali morti gettati lì e peggio). Per ovviare a tale inconveniente – affermano i due geometri – si possono prevedere due canali sotterranei seguendo l’asse della strada, che partono dalla via dei Mulini dove ha luogo la presa d’acqua e si dirigono in direzione opposta, uno verso levante attraverso tutto il caseggiato e l’altro verso ponente sino all’angolo dell’Hotel Londres. Essi propongono anche un rimedio all’abbandono dell’immondizia: di tratto in tratto,
secondo l’ubicazione designata nel capitolato, vi saranno lastroni in pietra bucati con coperchio mobile per immettervi le spazzature, le nevi, ecc. Riguardo invece ai marciapiedi, si prevede di costruirli bilateralmente e lungo tutto il tracciato a partire dal numero 1 di via Menabrea, dove si trova l’Hotel Londres, sino all’ultima casa verso levante, regolando l’ampiezza del marciapiedi in base allo spazio disponibile. «Le ruotaje, stante la considerevole pendenza della via dalla casa n. 49 civico, verso levante, si è giudicato limitarle a detto punto sino ad attraversare tutto il ponte sul Marmore, tratta a pendenze meno accidentate e meno sensibili». Esauriti i punti previsti dal Comune, Personettaz e Salamano affrontano un altro problema del paese, anche se esula dalla materia dell’incarico che è stato loro affidato. I due auspicano l’erogazione dell’acqua potabile e nel perorarne la causa descrivono la situazione del momento: «La presa d’acqua attuale è imperfettissima e la fonte insufficiente e soggetta a periodici intorbidamenti ai quali occorrerà riparare mediante vasche di deposito ben tenute». Inoltre, per aumentare la quantità d’acqua alla fonte, essi pensano
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08. ACCH, Sezione Seconda, 458, 2, Censimento della popolazione e dei fabbricati, 1911. 09. ACCH, Sezione Seconda, 392, 1, Verbale di deliberazione del Podestà, 10 aprile 1930. 10. ACCH, Sezione Seconda, 392, 1, Chemins communaux, 15 giugno 1880. 11. ACCH, Sezione Seconda, 114, 3, Asta pubblica per l’aggiudicazione dell’Impresa di costruzione della strada comunale tra capoluogo e stazione ferroviaria, 26 marzo 1885.
Mappa storica delle strade e delle frazioni. Archivio Comunale di Châtillon.
La manutenzione delle strade La manutenzione delle strade era uno degli impegni più onerosi e complessi dell’Amministrazione Comunale. I collegamenti viari tra il Borgo e i villaggi della collina e gli hameaux distribuiti in un territorio molto variegato e su più livelli altimetrici ponevano seri problemi di agibilità e sicurezza, particolarmente accentuati nelle stagioni fredde e nei periodi di piogge abbondanti. Per tutto l’Ottocento, Sindaco e segretario si recavano periodicamente in visita lungo le strade per rilevare guasti, trasgressioni dei privati nell’uso delle acque, degli spazi comuni, danneggiamenti delle infrastrutture, osservando lo stato dei ponti e delle rive dei torrenti. Ne traevano quindi indicazioni per decidere quali interventi fossero più urgenti, quali costi avrebbe dovuto sostenere l’Amministrazione, e infine come i privati avrebbero potuto rimediare ai danni provocati da incuria e da mancato rispetto delle regole convenute. Il verbale di visita, del 6 settembre 1816, delle strade che collegavano Châtillon cheflieu con Champlong e la frazione di Conoz con Promiod venne redatto dal segretario François Sulpice Billet (expert et secrétaire substitut). La visita venne fatta per verificare le opere e le riparazioni necessarie che non erano state eseguite. Per esempio, «Favre Jean André et le proprietaire au couchant d’icellui – au lieu de Champ de Cort – sont tenus de reconstruire six toises de pavé au Chemin au nord de leur pièce et d’ouvrir le fossé». Lo stesso vale per numerosi altri proprietari, ma talvolta si rendono necessari altri tipi di intervento, come per «Gard Laurent dit Troliet au village de Conoz au lieu dit La Croize du Chemin au midi soit angle de son chenevier où il y a la treille sur le Chemin est tenu d’escarper le Rocher à niveau du Chemin et d’y construire une toise de rampe». Oppure, ancora, i proprietari devono costruire muri di sostegno alla strada che costeggia i loro fondi, come nel caso di Messellod Anne Marie di Conoz alla quale viene richiesto di costruire due tese di muro. Più comunemente i proprietari sono tenuti alla pulizia del tratto di strada di competenza, come viene detto esplicitamente per «Messelod dit Battandier les heritiers de Panthaleon et Jean André, au couchant de leurs domicilles et places à Conoz nettoyeront le Chemin et construiront le pavé sur la longueur de quatre toises sur le sommet». Un’altra operazione che veniva richiesta molto frequentemente era quella di sgomberare la strada da massi: Messelod Pierre del Borgo, Carlon André e Favre Sulpice au lieu dit Grand Cheney et Conù de La Verdetta puliranno la strada e toglieranno le pietre che ne ostruiscono il passaggio. Là dove i torrenti e i ru con facilità tracimavano, veniva richiesto ai proprietari di costruire e rimettere in buono stato ponteille et acqueducc – Dujany Jean e Messelod dit du Cés costruiranno les aqueducs opportuni per eliminare l’acqua
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all’utilizzo di una sorgente a monte di quella in uso a cui potrebbe essere collegata, raccogliendole ambedue in una ampia vasca cementata e ben coperta. Nel 1911 venne effettuato il censimento della popolazione, dei fabbricati dal quale possiamo trarre numerose notizie sulla composizione sociale della popolazione di Châtillon, sulle attività economiche che vi si svolgevano, sull’uso comunitario di alcuni beni, come i ru, i forni e i mulini8. Dallo stesso documento si può dedurre il disegno della rete stradale interna al Borgo e di collegamento con le frazioni. Borgo e Chameran sono considerate come unico agglomerato urbano. Nell’elenco suppletivo delle strade comunali, approvato con delibera del marzo 1930, la strada Grange de Barmes compare insieme alla strada d’accesso al nuovo Cimitero. Il 10 aprile 1930, la stessa strada viene iscritta nell’elenco delle strade comunali con deliberazione del Podestà9. La borgata Grange de Barmes è composta da sei/sette case, ma è in espansione dopo che l’acquedotto municipale vi è stato allacciato. Nello stesso documento si fa riferimento all’ipotesi di collegare la borgata con la carrozzabile Châtillon-Breil, già appartenente alla Nazionale Ivrea-Aosta. Gli abitanti vorrebbero concorrere alla costruzione della strada mediante prestazione della loro opera personale.
La strada per la stazione Il 15 giugno 1880 il Consiglio Comunale approvò l’elenco generale delle strade comunali redatto dal direttore stradale, monsieur Pession. Tra queste gli amministratori ritengono di dover inserire la route de Ventoux, anche solo provvisoriamente, fino a quando non si saprà in quale luogo verrà costruita la stazione ferroviaria10. È la prima citazione della nuova via di comunicazione che, nelle speranze di molti,
avrebbe dovuto una volta per tutte risolvere il problema dell’isolamento della Valle e permettere il transito di persone, merci e prodotti industriali, nella prospettiva di uno sviluppo imminente in armonia con le trasformazioni economiche delle vicine regioni italiane. Per l’Amministrazione Comunale di Châtillon si trattava nell’immediato e concreto ordine delle cose di progettare una strada di collegamento tra il Borgo, le frazioni e la costruenda stazione ferroviaria. Venne dato l’incarico di progettare la strada al geometra Enrico Suquet, il quale accompagnò i disegni e le planimetrie generali con una relazione, da cui si possono trarre alcune informazioni sull’area interessata ai lavori: l’attivazione della linea ferroviaria Ivrea-Aosta è prevista per il 1885; tutti i lavori procedono alacremente e la tratta di ferrovia tra Verrès e Chambave è praticamente conclusa11. Il geometra Suquet ritiene di aver studiato a fondo la soluzione migliore per disegnare il tracciato. Ha scelto il versante a ponente della collina di Creta per l’ottima esposizione di quest’ultima. Il tracciato, procedendo verso levante, costeggia la ferrovia per circa 80 m e poi in direzione nord-est raggiunge la collina Creta «con una salita limitata, ma non senza grave sacrificio economico per i grandi movimenti di terra». Raggiunta la collina, il tracciato prosegue a metà costa sino alla cappella di Barat, punto di passaggio obbligato «per esservi quivi la biforcazione di diversi sentieri e la diramazione del rio d’irrigazione di Barat». A venti metri circa dalla strada nazionale il tracciato si allarga per accedere alla stessa nella doppia direzione di Châtillon e di Saint-Vincent. La strada percorre in tutta la sua lunghezza terreni sufficientemente compatti, salubri e bene esposti e lascia libero corso alle acque d’irrigazione mediante la costruzione di un piccolo numero di manufatti di poca entità che, in corso d’opera, potranno essere soppressi.
dalla strada. Qualche volta si rendeva necessario allargare la strada, come nel caso di «Chandiou les frères de la Verdetta au lieu dit Planet escarperont le rocher qui obstrue le chemin». Particolare attenzione era riservata ai proprietari e gestori di artifici di forge e mulini di Conoz e del Borgo; nel luogo detto l’écolion et Ponteille de l’Isla – quindi a valle del corso del ru du Bourgg – costoro hanno la responsabilità di ricostruire l’acqueducc e vi metteranno una chiusa. Messelod Joseph, Favre Sulpice e Gervason Sieur Alexandre ricostruiranno il pavé su ventisette tese di lunghezza lungo le loro proprietà. Inoltre lo stesso Messelod «escarpera le rocher qui obstrue le Chemin et retablira l’acqueduc qui traverse le Chemin». In più occasioni si ribadisce che la larghezza della strada deve essere di sette piedi e quindi i lavori di ripristino devono tenerne conto. Alcuni tratti di strada competevano all’Amministrazione Comunale come nel luogo detto La Lezièree dove è necessario d’y escarper le Rocherr che ostruisce la strada e costruire di nuovo la ponteillee che attraversa il ru e costruirvi due tese di pavé sotto forma di rampa; «au lieu dit Champlong, le pont qui traverse sur le torrent dit de Mont Cervin, étant dans un très mauvais état il est urgent et necessaire de le reconstruire». Proseguendo la visita, Billet verifica lo stato della strada che dal villaggio di Conoz giunge a Promiod e rileva una ventina di situazioni nelle quali i proprietari sono tenuti ad effettuare le riparazioni e provvedere al ripristino dei fossi che costeggiano la strada: «Chandiou les memes frères de la Verdetta au couchant de leur Chenevier de la Verdetta relleveront le mur de soutient qui est tombé et qui empeche au Chemin. Favre André – au dit lieu – rellevera le mur de soutient enlevera les pierres roulantes, construira neuf toises de pavé et formera le Chemin de la largeur de sept pieds. Puis il construira un acqueduc qui traverse le chemin du Consil de Murate et ouvrira un fossé à coté du chemin tout le long au bord de la pièce». Quando la competenza delle riparazioni spetta al Comune, Billet può disporre anche di fare effettuare i lavori direttamente dai residenti dei villaggi interessati: «depuis l’endroit où le Ruisseau des Gagneurs traverse le Chemin, jusqu’au sommet où joint le Chemin de Promiod lieu dit Chemin plan. Ce trajet de Chemin étant sur la proprieté communale et étant necessaire d’y enlever les pierres roulants, aplanir le Chemin et le rendre de la largeur sus fixée. Cette reparation sera faitte par forme de corvées par les habitants du hameau de Conoz et de La Verdetta». Infine tutti i proprietari aboutissants aux susdits Chemins sono tenuti alla pulizia delle suddette strade, apriranno e costruiranno fossi e canali per impedire che le acque si spandano sulle strade, taglieranno gli alberi e tronchi o rami «qui embarassent le Chemin et auront soin de rendre les dits Chemins de la largeur de sept pieds».
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12. ACCH, Sezione Seconda, 392, 1, Notizie sulle strade comunali esterne, 25 aprile 1903.
Sopra: Planimetria della strada per la Stazione. Archivio Comunale di Châtillon. Cartolina di Châtillon veicolata nel 1904. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
Inevitabilmente il progetto suscitò contestazioni e proteste che sfociarono in un ricorso dei proprietari a cui venivano espropriati i terreni. Il Consiglio Comunale confermò la prima scelta e il Prefetto della Provincia di Torino, in data 2 dicembre 1884, emanò il decreto di approvazione del progetto Suquet e
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incaricò il Sindaco di Châtillon di portare ad esecuzione quanto disposto nel decreto prefettizio. L’avviso d’asta venne pubblicato sul Feuille d’Aostee n. 14 di mercoledì 8 aprile 1885. L’asta pubblica si tenne pochi giorni dopo nella sala comunale alla presenza della Giunta per l’aggiudicazione dell’impresa di costruzione della strada comunale obbligatoria tra il capoluogo e la stazione ferroviaria del Comune. La base d’asta fu fissata a lire 16,387. Si aggiudicò i lavori la ditta Sogno. Si hanno notizie della medesima strada, a distanza di una quindicina d’anni, quando il conte Hector d’Entrèves, Sindaco di Châtillon, redige un documento sulla situazione delle strade comunali esterne. Tra queste, la strada della stazione può essere considerata una continuazione della strada ChâtillonValtournenche, e per le merci se ne avvale pure il Comune di Saint-Vincent; per questo motivo – sostiene il Sindaco d’Entrèves – ha carattere consorziale e dovrebbe essere assunta in manutenzione dalla Provincia12.
Ferrovia e stazione L’idea di collegare con la strada ferrata la Valle d’Aosta al resto d’Italia e alle regioni confinanti fu concepita fin dal 1836, quando si pensò ad un traforo per collegare la Valle d’Aosta a Chamonix (Francia) o a Martigny (Svizzera), con forte anticipo sulle realizzazioni dei trafori ferroviari del Fréjus, del Gottardo e del Sempione che risalgono tutti al periodo 1871-1905. I lavori però ebbero inizio solo nel 1881 e furono completati nel 1886 in un clima di euforia generale, spiegabile con le aspettative molto diffuse di ottenere vantaggi economici, sociali e culturali dalla costruzione della ferrovia. In realtà il nuovo mezzo di comunicazione si dimostrò subito uno strumento inefficace a risollevare le sorti dell’economia regionale. La concorrenza delle produzioni provenienti dal resto del territorio regionale e la nascente industria del triangolo industriale ebbero effetti piuttosto negativi. Crebbero le importazioni e di conseguenza le attività produttive tradizionali della Valle vennero presto abbandonate con tristi e inevitabili scelte di emigrazione e di abbandono della montagna. Il nuovo corso fatto di ripresa economica e rinnovata fiducia nel futuro si verificò, invece, a partire dalla prima guerra mondiale, allorché la domanda di ferro e acciaio per gli armamenti riattivò la produzione della Società Cogne nel periodo 1916-1935. Fu in questi anni che venne prolungata la ferrovia da Aosta a Pré-Saint-Didier, nel 1929, per facilitare il trasporto dell’antracite da La Thuile-Morgex che alimentava la centrale termica dell’industria siderurgica di Aosta. Anche gli acciai speciali prodotti dalla Cogne erano spediti per ferrovia. Sino al 1960, la ferrovia rimase il principale mezzo di trasporto della Valle per i lavoratori pendolari e viaggiatori occasionali, e per il nascente turismo di massa; ma fu anche il mezzo usato dalle famiglie di immigrati che andavano a stabilirsi
preferibilmente in prossimità delle stazioni ferroviarie. Con la costruzione dell’autostrada la circolazione automobilistica ebbe il sopravvento sul treno, garantendo maggiore rapidità e facilità di collegamento transalpino attraverso i trafori e i valichi valdostani.
Autostrada e circonvallazione Autostrada e trafori stradali hanno contribuito a trasformare la società valdostana negli ultimi cinquant’anni in un crocevia attivo e dinamico sull’asse delle comunicazioni transfrontaliere tra Italia e resto dell’Europa occidentale. Si può dire – con Bernard Janin – che davvero si è verificata la terza rivoluzione dei trasporti, dopo quella del XVIII secolo, che vide la costruzione della strada carrozzabile, e la rivoluzione portata dalla ferrovia alla fine del XIX secolo. I trafori stradali del Gran San Bernardo (1964) e del Monte Bianco (1965), collegati dall’autostrada ai centri urbani della Lombardia e del Piemonte, garantiscono mobilità e scambi inimmaginabili fino a metà del Novecento. In questo settore la Valle d’Aosta recuperò il ritardo accumulato nei secoli passati e diede 149
Cartolina di Châtillon veicolata nel 1913. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
Area industriale e moderne vie di comunicazione viste dalla Centrale di Saint Clair. 200°
13. Bernard Janin, Frontiera e crocevia d’Europa: le comunicazioni, in Storia d’Italia. La Valle d’Aosta, pag. 51. 14. I dati del traffico automobilistico in entrata e in uscita dal casello di Châtillon (anno 2009) sono stati forniti dalla Direzione della SAV. 15. ACCH, Archivio di Deposito, cat. X 1965-1968 1/3 “Autostrada Quincinetto-Torino”, Verbale di deliberazione del Consiglio Comunale. Autostrada e circonvallazione, 15 dicembre 1961.
il via a un flusso incessante di uomini e merci sull’asse Parigi-Roma-Renania-Pianura Padana, fornendo un collegamento commerciale e turistico su scala europea13. La SAV (Società Autostrade Valdostane) fu costituita già nel 1962; il primo tratto Quincinetto-Verrès fu inaugurato nel ‘67, seguì il tronco fino a Châtillon nel ‘68, fino a Nus l’anno successivo, e infine nel 1970 venne raggiunta la città di Aosta per una lunghezza complessiva di 48 km, dei quali il 6% correva in galleria. Ci vollero più di trent’anni perché l’autostrada fosse completata fino al Tunnel del Monte Bianco. Lo stesso tempo ci volle per il collegamento Aosta-Gran San Bernardo. L’autostrada ha in gran parte alleggerito il traffico della vecchia statale 26, salvaguardando la quiete e la tranquillità dei centri urbani attraversati dall’inquinamento e dagli incidenti automobilistici. Nei flussi autostradali un quinto del movimento complessivo si registra al casello di Châtillon, dove approdano i turisti invernali diretti alle stazioni sciistiche della Valtournenche, e Cervinia in particola150
re, a cui si aggiungono i frequentatori del Casino di Saint-Vincent14. L’autostrada ha incentivato anche il fenomeno della distribuzione di imprese e abitazioni in aree decentrate, soprattutto a valle della città di Aosta, come è accaduto a Châtillon e a Pont-Saint-Martin, dove, nei pressi delle uscite autostradali si sono via via insediate nuove industrie leggere e differenziate. Certamente non sono mancati i disagi, le ripercussioni sulle singole comunità che non sempre hanno avuto vantaggi evidenti dalla costruzione dell’autostrada nei propri confini territoriali, oppure hanno subito scelte compiute da altri (SAV e Regione) senza vedere nell’immediato alcun beneficio per la vita del Comune. L’Amministrazione Comunale di Châtillon giunse a chiedere al Presidente della Giunta Regionale di interpellare gli organi locali prima di prendere decisioni riguardo all’autostrada e alla nuova circonvallazione15. Qualche mese più tardi, in effetti, con una lettera indirizzata ai Sindaci dei Comuni di fon-
do Valle, l’Amministrazione Regionale prese in considerazione il coinvolgimento dei Comuni nella «previsione di eventuali progetti di massima per i sotto e sovrappassi di acquedotti, fognature, strade comunali, canali d’irrigazione e condutture elettriche»16. Ma a distanza di tre anni, il Sindaco Luigi Vesan ricorse contro le risultanze del progetto poiché il tracciato «annulla o comunque ignora la strada intercomunale Châtillon-Glereyaz-Saint-Vincent, strada asfaltata d’interesse turistico, indispensabile per il collegamento della frazione Glereyaz al concentrico comunale»17. Nel progetto inoltre non è previsto come vengono ripristinate diverse altre strade, passaggi ed opere di pubblico interesse intersecate dalla nuova autostrada. Infine l’area di occupazione prevista per la stazione autostradale è eccessivamente grande, tenendo presente che i terreni circostanti sono edificabili, particolarmente a monte della strada Châtillon-Glereyaz, per cui occorre ridurre i limiti di distanza dall’area di circolazione stradale allo stretto necessario, in modo da
non pregiudicare lo sviluppo edilizio della zona. Dopo aver fatto l’analisi delle situazioni da modificare, il Sindaco chiede di mantenere in efficienza la strada rotabile di accesso alle frazioni di Glereyaz e Larianaz, di provvedere alla conservazione della esistente strada poderale e canale irriguo della zona Grand Praz e Cretaz mediante la costruzione di un ponte canale in corrispondenza della sezione n. 261, ove si riscontra un’altezza libera di circa m 10 sopra il nuovo piano stradale. Chiede anche di migliorare il tracciato della deviazione della strada di accesso della stazione ferroviaria nonché il raccordo presso lo spigolo dello stabilimento Châtillon. Il Sindaco chiede poi di conservare un sottopassaggio, almeno pedonale, in corrispondenza della strada principale di accesso alla stazione e del Comune di Pontey, e di creare un opportuno collegamento tra le strade esistenti di Tornafol, Stazione FS ed Istituto Salesiano. La strada di Bertina deve essere conservata e sistemata con la costruzione di una sottovia 151
16. ACCH, Archivio di Deposito, cat. X 1965-1968 1/3 “Autostrada QuincinettoTorino”, Autostrada e sistemazione strada statale n. 26, 10 maggio 1962. 17. ACCH, Archivio di Deposito, cat. X 1965-1968 1/3 “Autostrada Quincinetto-Torino” Richiesta di modificazione del progetto approvato con Decreto Ministro LLPP n. 2114 dell’11 ottobre 1965, 25 novembre 1965.
18. ACCH, Archivio di Deposito, cat. X 1965-1968 1/3 “Autostrada Quincinetto-Torino”, Assemblea dei commercianti, esercenti e artigiani del Comune, 30 marzo 1966. 19. ACCH, Archivio di Deposito, cat. X 1965-1968 1/3 “Autostrada Quincinetto-Torino”, Verbale della riunione della Commissione Comunale per la Viabilità e i rappresentanti degli operatori economici, 18 maggio 1966. 20. ACCH, Archivio di Deposito, cat. X 1965-1968 1/3 “Autostrada QuincinettoTorino”, 8 settembre 1971.
Cartolina di Châtillon (sd). Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
rotabile presso la testata a levante del nuovo Ponte sul Marmore. I canali irrigui, le fognature, gli acquedotti già esistenti devono essere conservati e ripristinati. Viene suggerita l’opportunità di sopraelevare il ponte sul torrente Marmore per aumentare l’altezza e la luce libera, onde assicurare il deflusso delle acque e dei materiali vari convogliati durante le alluvioni e le eccezionali piene. Di fronte alla prospettiva di veder transitare gli autoveicoli fuori dal centro abitato – come era previsto nel progetto di raccordo tra il casello autostradale e la circonvallazione nuova – i commercianti, esercenti e artigiani di Châtillon si riunirono in assemblea e dalla discussione emerse il timore diffuso nella categoria per la possibile perdita dei flussi economici e turistici del Comune. Si opposero a qualunque allacciamento, tenuto conto che la statale 26 – a loro avviso – poteva ampiamente sopportare il traffico proveniente dall’autostrada e diretto verso la Valle del Cervino18. La Commissione Comunale per la Viabilità e i rappresentanti degli operatori economici, in una riunione comune del 18 maggio 1966, denunciarono ancora una volta il mancato coinvolgimento dell’Amministrazione Comunale nella predisposizione del progetto di
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massima della circonvallazione, i cui lavori erano stati iniziati nell’autunno del 1964. La discussione mise a fuoco i problemi di viabilità del centro abitato di Chameran e del Borgo che potevano trarre vantaggi dall’alleggerimento del traffico automobilistico e del trasporto pesante, ma nel contempo avrebbero perso il passaggio di acquirenti potenziali dei prodotti messi in vendita dai negozianti della via principale, ove peraltro si erano sempre svolti i commerci di Châtillon. A questo proposito, infatti, i rappresentanti dei commercianti chiedono «che sia costruita una sola strada di allacciamento alla Valtournanche, lato a monte e solo per l’immissione nella stessa degli autoveicoli in salita verso la Valle, in modo che la corrente discendente continui a svolgersi nella Borgata». Si riservavano comunque di verificare la reale portata del traffico automobilistico nel Borgo di Châtillon dopo l’entrata in servizio della nuova circonvallazione19. Bisognerà attendere il settembre 1971, quindi altri cinque anni, prima che i lavori vengano ultimati e che la Società Autostrade Valdostane consegni al Comune le opere d’interesse del territorio di pertinenza; un anno più tardi la stessa Società ripresenta la richiesta di deliberazione da parte dell’Amministrazione Comunale dell’acquisizione delle opere connesse alla costruzione dell’autostrada Quincinetto-Aosta20. A quaranta anni di distanza, la presenza dell’autostrada e del raccordo con la circonvallazione è da ritenersi indispensabile per lo svolgimento regolare delle attività del centro urbano. Il traffico commerciale che forniva servizi di trasporto alle numerose aziende presenti sul territorio ha lasciato posto ad un numero crescente di auto private dei residenti, al traffico dei pendolari e delle merci che transitano per il nodo stradale. Con i suoi circa due milioni e mezzo di passaggi automobilistici all’anno, al casello autostradale, Châtillon si pone ai primi posti tra i nodi viari di smistamento del flusso turistico odierno.
Infrastructures
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e développement industriel a toujours été accompagné et, dans certains cas, précédé par la construction d’infrastructures routières pour soutenir l’augmentation du trafic et la circulation de matériaux et de personnes qui gravitent autour des nouvelles entreprises. Pour Châtillon, on peut parler d’une vraie révolution des moyens de communication qui a radicalement transformé le paysage et la vie de la communauté. La nécessité d’adapter aux nouvelles exigences les infrastructures routières a donné lieu, en un peu plus d’un demi-siècle, à un réseau de routes, de voies de ceinture, avec leurs raccords et échangeurs des autoroutes, de chemins de fer et gares ferroviaires. Les archives montrent clairement le passage d’une structure urbaine mineure, comme l’était la ville à la fin du XIXème siècle, à un centre économique avec une importance croissante dans la première moitié du siècle suivant. La présence de nombreux cours d’eau sur le territoire a imposé à toutes les époques de se concentrer sur la sécurité et donc sur les interventions pour le maintien de routine et extraordinaire des ponts, ce qui est essentiel pour permettre les communications et les relations sociales et économiques au sein de la communauté. De nombreux aspects de la vie quotidienne nécessitaient un transfert continu de personnes et de marchandises entre le chef-lieu et les hameaux: du marché aux fonctions religieuses, du traitement des formalités aux cérémonies, fêtes et rencontres. Dans les fardes de l’Archive historique, se succèdent donc plusieurs documents relatifs à la remise en état des routes, à la réfection et le renforcement des ponts et des passerelles qui traversent la Doire, le Marmore, mais aussi toutes les autres petites rivières qui traversent et dessinent le territoire. Les travaux pour la construction du chemin de fer, qui aurait relié la Vallée d’Aoste au reste de l’Italie et aux régions frontalières, débutèrent en 1881 et furent achevés en 1886 dans une euphorie générale, expliquée par l’attente des avantages économiques, sociaux et culturels qui devaient en découler. En réalité, le nouveau moyen de communication s’est vite révélé inefficace pour améliorer le sort de l’économie régionale: la concurrence des productions du reste de la Région et l’industrie émergente du triangle industriel eurent des effets assez négatifs. Les importations ont augmenté, et par conséquent les activités productives traditionnelles de la Vallée ont été rapidement abandonnées, ce qui causa l’inévitable émigration et l’abandon de la montagne. Jusqu’en 1960, le chemin de fer est resté le principal moyen de transport pour les navetteurs et les voyageurs occasionnels de la Vallée, et également pour le naissant tourisme de masse, mais il était également le moyen utilisé par les familles d’immigrés qui allaient s’installer de préférence en proximité des gares. Avec la construction de l’autoroute, la circulation automobile l’emporta sur le train, en permettant une plus grande rapidité et facilité de connexion transalpine, à travers les tunnels et les cols de la Vallée d’Aoste. Quarante ans plus tard, la présence de l’autoroute et la jonction avec la bretelle sont considérées comme essentielles pour le bon déroulement des activités du centre urbain. Le trafic commercial qui fournissait des services de transport à de nombreuses entreprises a fait place à un nombre croissant de véhicules privés des résidents, au trafic des navetteurs et des marchandises qui passent par le nœud routier. Avec environ deux millions et demi de véhicules annuels passant au péage, Châtillon se place parmi les premiers nœuds routiers du trafic touristique d’aujourd’hui. 153
Nevicata nel parco del Castello del Baron Gamba. Archivio Gariboldi 1946. Biblioteca Mgr. Duc di Ch창tillon.
La Soie
I difficili esordi
C
hiunque conosce le condizioni e le posizioni topografiche, idrografiche ed idrologiche della Valle di Aosta, che dal Piccolo S. Bernardo si estende per un tratto oltre cento dieci chilometri sino a quel di Borgofranco, con una superficie di quasi 4.000 chilometri quadrati, si domanda come mai una delle più vaste zone d’Italia per estensione territoriale, dove ergonsi le più alte montagne dell’Europa, Monte Bianco, Monte Cervino, Monte Rosa, dai cui nevai e ghiacciai eterni scaturiscono numerosi corsi d’acqua della potenzialità di migliaia e migliaia di cavalli di forza, che in un paese ove le meravigliose energie elettriche potrebbero alimentare grandiosi impianti elettrici ed industriali ed occupare utilmente migliaia di operai, vi difettino gli opifizii metallurgici e manifatturieri, mentre altrove, ove natura non fu così prodiga dei suoi favori, e per citare una sola regione a noi vicina, il Biellese, vi abbondino gli stabilimenti industriali che portano vita, attività e benessere economico in paese?»1. Esordiva così il documento redatto in data 17 aprile 1906 dalla Commissione amministrativa locale, nominata con deliberazione del Consiglio Comunale dell’8 aprile 1906, allo scopo di servire da intermediario tra gli abitanti di Châtillon e gli industriali Selve e Giussani, interessati a impiantare in paese uno stabilimento industriale. La risposta arrivava subito dopo ed era di una franchezza e di una lucidità sbalorditive: «I capitali destinati alle industrie affluiscono non tanto là dove vi è abbondanza di forza motrice, di lavoro e di braccia, ma piuttosto dove vi è remissività ed onestà nelle popolazioni nelle cessioni e vendite dei terreni necessari agli
impianti industriali, dove vi è certezza della stabilità delle acque destinate ad alimentarli». Questo era in sintesi il nucleo del problema che Federico Selve (comproprietario di uno stabilimento metallurgico a Donnas) e Tommaso Giussani (industriale milanese) si trovarono ad affrontare allorché avanzarono la loro proposta per un nuovo impianto industriale a Châtillon. Dopo i primi accordi presi tra il Sindaco, conte Ettore d’Entrèves, e i due industriali, il progetto venne presentato alla popolazione il 1° aprile 1906, mediante una conferenza pubblica presieduta dal cavalier L. N. Bich, Presidente del Comitato Agricolo di Aosta. Il suo fu un appello sincero e appassionato, non privo di toni sentimentali, che offre anche un interessante excursuss storico-industriale del paese.
1. ACCH, Sezione Seconda, 444, 2, Il Risveglio Industriale della Valle d’Aosta, il Futuro Grande Stabilimento Industriale in Châtillon, Tipografia Edoardo Duc, Aosta 1906.
Il cavalier Bich affrontò subito la questione delle acque, spiegando al pubblico presente
Cartolina di Châtillon (sd). Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
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I giornali dibattono sul progetto Giussani e Selve La costruzione dello stabilimento sollevò enormi polemiche e numerose pagine delle maggiori testate giornalistiche dell’epoca furono dedicate all’argomento. In modo particolare il Mont-Blanc, giornale di Edouard Duc, fondato nel 1894, vicino al cattolicesimo liberale, prese posizione a favore del progetto, mentre il Jacques Bonhomme, giornale dei fratelli Farinet, fondato nel 1897 e liberale, si schierò contro. Anche il Travailleur, di ispirazione socialista, prese parte al dibattito: inizialmente sottolineò i vantaggi derivanti dal nuovo stabilimento, poi cambiò opinione e ne evidenziò i pericoli, allineandosi alle posizioni del Jacques Bonhomme. Si leggeva sul Mont-Blanc: «On se plaint partout que le commerce ne marche plus, que la crise de l’argent est grande, que la campagne rend peu, que l’émigration augmente d’une manière inquiétante, faute de ressource au pays et, quand des grands industriels cherchent de venir créer chez nous de nouvelles industries qui apportent l’aisance et le bien-être, les ennemis du progrès mettent tout en jeu pour les décourager». Il Jacques Bonhommee non si limitò a criticare l’operato di Giussani e dei suoi sostenitori, ma prospettò anche una soluzione: «Solo dopo che l’autorità avrà riconosciuto i diritti di ogni canale e determinato la quantità massima d’acqua che spetta ad ogni ruscello, potrà autorizzare i richiedenti ad eseguire le loro derivazioni a condizione che lo facciano senza garanzia di volume d’acqua e che ogni presa delle due derivazioni sia disposta in modo da far passare tutta l’acqua necessaria agli anziani canali, prima che entri nei tubi. A queste condizioni è evidente che la seconda derivazione è impossibile e che la prima, ossia la superiore, si riduce notevolmente. Anche con questa riduzione resterebbe però ai richiedenti abbastanza forza motrice per permettere l’installazione di una fabbrica e il rispetto nei fatti e non solo nelle parole dei diritti acquisiti». Continuarono ancora per tutto l’anno le polemiche tra le opposte correnti di pensiero che, dalle file dei giornali, cercarono di chiarire con argomentazioni sempre più convincenti i loro punti di vista. Infine la stessa amministrazione comunale, in risposta al Memoriale della Ditta Giussani, depositato il 10 dicembre 1906 presso il Prefetto di Torino, documento di ben 15 pagine contro le critiche mosse al progetto in occasione della conferenza di Antey, ric-
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che era intenzione degli industriali promotori del progetto utilizzare la forza motrice del Marmore sul luogo e che tale atto non avrebbe compromesso alcun diritto dei contadini utilizzatori dei ru. In quanto rappresentante del Comitato Agricolo, Bich si dichiarava interessato a salvaguardare per primo i diritti e gli interessi dell’agricoltura locale. Passò poi a illustrare ai presenti le vicende industriali della Valle d’Aosta, sottolineando il ruolo di polo propulsivo svolto da Châtillon, ricordando la funzione svolta nel paese dai fratelli Gervasone, che avevano inaugurato l’era degli altiforni, dei Cordero e del fallimento del progetto di installare a Châtillon uno stabilimento per la lavorazione del cotone, fino ad arrivare, dopo ben sedici anni, ad una nuova iniziativa, quella di Giussani e Selve appunto, che avevano acquistato il vecchio mulino Cordero, i diritti sul torrente Marmore e ora chiedevano nuove concessioni per poter impiantare il loro stabilimento industriale senza alcun sacrificio finanziario, come invece era avvenuto nel 1890 quando il Comune aveva messo a bilancio lire 30.000 per l’acquisto dei terreni. Inoltre il cavalier Bich rassicurò i contadini preoccupati di veder soppiantata l’agricoltura dall’industria: «Ceux qui s’occupent d’économie rurale ont pu constater l’intime liaison qui existe entre l’agriculture et les industries. Partout où fleurissent les industries, l’agriculture est progressiste, prospère, florissante; l’agriculture est pauvre et négligente où manque le puissant concours des établissements industriels. Les fabriques sont des grandes consommatrices des produits de la campagne, parce que là les agriculteurs trouvent à débiter à des prix raisonnables l’excédant de leur production». Infine affrontò un argomento molto attuale, l’emigrazione: «Je crois que des fabriques occupant des milliers d’ouvriers auront pour conséquence non seulement de faire cesser partiellement l’émigration, mais de favoriser la rentrée
en foule des Valdôtains émigrés à l’étranger, heureux de repatrier pour gagner leur pain sous le toit natal et travailler leurs campagnes»2. La domenica successiva, 8 aprile, il Consiglio Comunale di Châtillon si riuniva per procedere alla nomina della Commissione i cui compiti sarebbero stati i seguenti: 1. persuadere tutti i proprietari di terreni da occuparsi di cederli ad un prezzo ragionevole; 2. conciliare tutte le questioni di passaggio delle aree occupande e le ragioni dei terzi ed altri interessi; 3. studiare come conciliare i diritti degli utenti dei rivi di irrigazione con quelli acquisiti dai cessionari della presa del Marmore per forza motrice, tutelando i singoli interessi; 4. studiare tutti i vantaggi di indole amministrativa di cui potrebbe usufruire il Comune di Châtillon dal progettato stabilimento, gli interessi reciproci dei promotori e quelli del paese3. Il problema delle acque era sicuramente quello più sentito in quanto gli utenti dei rivi si sentivano minacciati e defraudati della loro unica e certa fonte di sussistenza, l’agricoltura, a favore di una nuova fonte di reddito, l’industria, dai contorni ancora non ben delineati. Ecco perché Giussani intervenne più volte per ribadire che intendeva rispettare tutti i diritti dei contadini, soprattutto quelli riguardanti l’uso delle acque e addirittura migliorare il regime delle stesse per evitare perdite e dispersioni tra i canali; mostrava anche, a conferma delle sue buone intenzioni, il rapporto dell’ingegnere Perrachio Lodovico del 24 agosto 1905, che confermava la possibilità di realizzare due distinte derivazioni d’acqua dal torrente Marmore senza arrecare danni a nessuno4. Ma il progetto di effettuare le due distinte derivazioni d’acqua si arenò di fronte all’ostinazione dei contadini che non erano disposti a rinunciare ai loro diritti neanche in vista di un eventuale miglioramento delle condizioni economiche future.
co di perizie e compilato con estrema cura dall’ingegner Perrachio Lodovico e dagli avvocati Boyer Enrico e Cattaneo Riccardo, così si esprimeva nella seduta del 20 maggio 1907: «…A rimuovere parte dei pericoli temuti si era proposto che la Ditta Giussani facesse la sua presa inferiormente alle bocche dei canali Marseiller e Gagneur oppure che provvedesse a riportare più superiormente le prese di quei due canali estendendoli più a monte della nuova presa da Giussani progettata. Simile proposta che offriva già un importante mezzo di conciliazione non è stata accettata; ora un simile rifiuto per parte della Ditta Giussani ha fatto sì che permangono e restano maggiormente avvalorati i timori e giustificate le apprensioni già manifestate nei precedenti memoriali sia del Comune che degli utenti delle varie derivazioni maggiormente interessate… In una parola, il Memoriale Giussani è troppo abilmente presentato, ma non serve a tacitare la coscienza degli amministratori del Comune e delle varie utenze». Da un articolo apparso sul Mont-Blancc il 24 luglio 1908, si venne a sapere che la fabbrica era stata costruita a Verrès e non più a Châtillon, con grande delusione di quanti avevano creduto nel progetto. Anche il Jacques Bonhommee si espresse sul fallimento del progetto sostenendo che: «…si donc la fabrique n’est pas venue ce n’est pas la faute du pays, mais parce qu’on n’a pas encore trouvé les capitalistes pour la créer. Voilà la vérité». I giornali e i documenti d’archivio non si occuparono più della faccenda; tutte le polemiche sollevate si dispersero nel nulla, senza lasciare tracce. Il fatto sorprendente è che nel 1918-1919, quando di nuovo si parlò di impiantare a Châtillon uno stabilimento industriale, e questa volta il progetto si realizzò, nessun giornale dedicò alla notizia lo spazio e l’interesse dimostrati in precedenza. Solo sul Duché d’Aostee un articolo in terza pagina riferì della posa della prima pietra del futuro stabilimento e della connessa cerimonia. Un cenno casuale si trova anche sul Mont-Blanc, in un articolo in cui i Sindaci del Mandamento di Châtillon chiedono che il Governo revochi il Decreto della soppressione di questa Pretura. Nell’articolo si legge: «…si pensi che Châtillon, coi suoi 3.000 abitanti costituenti la popolazione stabile, ha altresì una popolazione fluttuante di altri 1.500 abitanti che acquisteranno la stabilità, e ciò per la recente costruzione del grandioso Stabilimento La Soie de Châtillon».
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2. Il Risveglio Industriale della Valle d’Aosta, op. cit., pagg. 5-10. 3. Il Risveglio Industriale della Valle d’Aosta, op. cit., pag. 14. 4. Le Mont-Blanc, articoli del 27 luglio, 3, 10, 17 agosto 1906, Biblioteca Regionale di Aosta. 5. ACCH, Sezione Seconda, 197, 1, Verbale di deliberazione del Consiglio Comunale del 28 luglio 1918 contenuto nei Registri deliberazioni originali del Consiglio Comunale 18961923. 6. ACCH, Sezione Seconda, 197, 1, Verbale di deliberazione del Consiglio Comunale del 1° dicembre 1918 contenuto nei Registri deliberazioni originali del Consiglio Comunale 1896-1923. 7. Duché d’Aoste. 1894-1926, 12 marzo 1919, Biblioteca Regionale di Aosta.
Cantiere di costruzione dello stabilimento Soie. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
La nascita della Soie Dopo circa dieci anni di silenzio, di nuovo si parla di costruire uno stabilimento industriale a Châtillon. Mancano, nell’archivio comunale e sui giornali dell’epoca, documenti che aiutino a capire come siano iniziate le trattative per la costruzione della fabbrica e soprattutto come mai non abbia incontrato gli ostacoli del tentativo precedente. Il primo documento relativo all’argomento risale al luglio 1918: si tratta di una deliberazione comunale in merito all’istanza del dott. Biroli per impiantare uno stabilimento industriale5. Dall’analisi del documento si evince che le trattative erano già iniziate la primavera dell’anno prima, ma soprattutto c’è un cenno interessante del Sindaco, il cavaliere Pietro Noussan, al progetto di Giussani e Selve «...che, per le sorte difficoltà, non ebbe seguito; questo prova che sin d’allora, l’amministrazione comunale e la cittadinanza sentivano il bisogno di avere in paese una industria, che desse lavoro ed occupazione ai volenterosi, alla classe lavoratrice». Nel documento si legge che la Società è in fase di costituzione, che avrà sede a Milano, che il
capitale iniziale è di 5.000.000 elevabile a 7 e che la fabbrica sarà «...un grandioso impianto di industria chimica, manifatturiera, capace di assicurare lavoro continuo a non meno di 450 donne e 150 uomini». Il Sindaco passa poi ad elencare le richieste della Società, alla cui accettazione essa subordina l’esecuzione del progettato impianto: 1. il Comune s’impegni a concedere alla Società un minimo di litri 150 di acqua da derivare dalla Roggia Comunale del Borgo per l’uso industriale dello stabilimento; 2. qualora il Comune disponesse di energia elettrica in eccedenza ai bisogni dei servizi pubblici comunali, si impegni a cederla alla Società sino alla concorrenza di 400 HP al prezzo di costo; 3. il Comune s’impegni a cedere gratuitamente alla Società n. 4.000 piante di alto fusto dei boschi comunali per la costruzione dei fabbricati, che occuperanno un’area coperta di oltre 16.000 metri quadrati. Il Sindaco è dell’avviso che «...anche le Amministrazioni Comunali nei limiti delle loro potenzialità e dei mezzi materiali e morali di cui dispongono devono preoccuparsi del dopo guerra e interessarsi della numerosa falange di prodi concittadini che ritorneranno alle loro case dopo aver esposta la vita per la grandezza della patria e cercar di facilitare loro in ogni modo un onesto lavoro, impedendo per quanto possibile l’emigrazione delle migliori braccia». Le richieste, dopo ampia ed animata discussione, vengono tutte accettate e subordinate ad alcune condizioni che riguardano soprattutto il rispetto di alcuni diritti nell’esecuzione dei lavori, i costi degli stessi a carico della società e la manodopera da reclutare sul posto. Con la deliberazione del 1° dicembre 19186 il Comune dà il via all’esecuzione dei lavori e finalmente il 3 marzo 1919 si celebra il rito ufficiale e solenne della posa della prima pietra alla presenza di tutte le autorità, come ricorda l’articolo del Duché d’Aoste7, unico giornale a
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dare rilievo alla notizia: «...vers les 3 heures de l’après-midi, Directeur de la Société, Conseil communal, Clergé et notabilités de l’endroit, ouvriers et une foule de personnes se trouvent sur les lieux avec le corps philarmonique. Après une remarquable allocution, pleine d’à-propos, M. le chanoine-curé F. Brunod donne la bénédiction par tous désirée à la pierre angulaire. …M. le Syndic local, chev. Pierre Noussan, … tandis qu’il prononce ces derniers mots, il laisse choir de ses mains la traditionnelle bouteille de Champagne qui vient, elle aussi, parfumer la pierre déjà embaumée par le rite sacré». Il signor Antonio Bertallot, responsabile della manutenzione della fabbrica dal 1958 al 1968, nel corso dell’intervista del 16 febbraio 2009, riferisce di aver assistito al ritrovamento della prima pietra sotterrata insieme ai documenti relativi ai diritti delle acque, ad alcune monete e a schegge di vetro della bottiglia di Champagne bevuta proprio in occasione della cerimonia di inizio lavori. Due anni più tardi (1921) lo stabilimento entra in funzione: si tratta della prima industria italiana per la fabbricazione di seta artificiale viscosa con brevetti e capitali italiani.
Dalla Soie alla Montefibre Ma chi era Marco Biroli? E perché sceglie proprio Châtillon? Marco Biroli, trentaquattrenne chimico pavese, sulla base della propria esperienza di vice direttore della Cines (società di inizio secolo nata con lo scopo di produrre pellicole di nitrocellulosa per l’industria cinematografica; adotta poi il processo alla viscosa e si trasforma nel 1916 in Società Cines seta artificiale) e di un brevetto ottenuto negli Stati Uniti il 15 maggio 1917, riconosciuto in Italia, decide di costituire una società per la produzione di fibre tessili artificiali, impiantando uno stabilimento in Valle d’Aosta, a Châtillon, dove le
acque della Dora Baltea sembrano garantire la disponibilità di almeno due dei fattori indispensabili alla produzione: acqua particolarmente dolce ed energia8. Il progetto ottiene l’appoggio determinante della Banca Commerciale Italiana ed il 9 agosto 1918 viene costituita a Milano la società anonima La Soie de Châtillon (verrà chiamata anche solo Soie) con capitale di cinque milioni di lire. Il modesto investimento iniziale si rivela subito largamente insufficiente e triplica già nel marzo 1920. A questo aumento ne seguono altri a ritmo incalzante, a supporto di questo ambizioso progetto e delle successive espansioni: nel 1922 infatti inizia la costruzione dello stabilimento di Ivrea e nel 1923 di quello di Vercelli. Il periodo successivo è caratterizzato dall’inizio di una crisi del settore di portata mondiale, che però interessa poco la Soie la quale non 159
Grafico della produzione complessiva della Soie negli anni dal 1920 al 1929. Per gentile concessione del Contato di Ivrea.
8. Anna Maria Falchero, Quel serico filo impalpabile... Dalla Soie de Châtillon a Montefibre (1918-1972), in Studi Storici, Rivista Trimestrale dell’Istituto Gramsci, gennaio-marzo 1992.
Interno dello stabilimento Soie. Anni ‘20. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
si era limitata a seguire il “trend” mondiale di sviluppo della produzione, passato da 44 milioni di kg prodotti nel 1923 ai 120 milioni del 1927, ma si era conquistata quote crescenti di mercato: dagli 880 mila kg prodotti nel 1923 aveva infatti superato, nel 1927, i 5 milioni di kg, passando dal 2% al 4,29% della pur enormemente accresciuta produzione mondiale. A raggiungere tale traguardo aveva contribuito in modo decisivo l’attenzione dedicata dai dirigenti della Soie allo sviluppo della ricerca. Infatti, i due laboratori sperimentali, il chimico e il tessile, se richiedevano l’impiego di risorse finanziarie notevoli, avevano d’altro canto permesso di mettere a punto la produzione di due nuove fibre corte, seris e chatilaine. Avevano inoltre risolto in tempi brevi i problemi tecnici relativi all’impianto, nello stabilimento di Vercelli, di un reparto per la produzione di seta all’acetato di viscosa, adatta alla produzione di titoli finissimi di filato e destinata quindi ad un mercato ben diverso da quello verso cui si dirigeva il rayon. Infine avevano permesso di realizzare notevoli economie attraverso un procedimento che permetteva di recuperare circa il 90% dei pro-
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dotti chimici utilizzati per il bagno delle fibre. La crisi di sovrapproduzione nel settore delle fibre tessili artificiali, unitamente alla grave crisi finanziaria del 1929, si aggrava ed investe anche la Soie che passa sotto il controllo della finanziaria Sofindit, cui la Banca Commerciale aveva fatto ricorso nel tentativo di alleggerire il peso delle proprie partecipazioni industriali. La soluzione imposta dalla Sofindit, ed attuata negli ultimi mesi del 1933, porta ad una riduzione del capitale sociale da 200 a 100 milioni della Soie (che cambia nome per ragioni politiche e diventa Società anonima italiana per le fibre tessili e artificiali, S.A.I.F.T.A). Al momento del passaggio dalle mani della Sofindit, posta in liquidazione nell’aprile del 1934, a quelle dell’Istituto per la ricostruzione industriale, la Soie aveva quindi già trovato una “sistemazione” che, pur ridimensionando in misura notevole le ambizioni dei suoi dirigenti, avrebbe consentito di approfittare dei primi segni di ripresa del mercato. La Soie, il cui pacchetto azionario di maggioranza era pervenuto all’Iri attraverso la smobilitazione della Sofindit, viene considerata un “gioiellino” e molte sono le offerte di acquisto che vengono sottoposte all’Iri. Infine, dopo numerose trattative, la società, attraverso una complicata operazione di mercato, viene ripartita tra le maggiori imprese italiane operanti nel settore tessile: la Marzotto, il Lanificio Rossi, il Lanificio Rivetti. Il nuovo Consiglio di Amministrazione, riunitosi il 30 marzo 1942 nei locali della Banca Commerciale Italiana, da una parte saluta l’uscita di scena degli uomini dell’Iri, dall’altra riconferma una sorta di continuità nella gestione dell’impresa, la cui presidenza resta ad Ettore Conti, mentre Furio Cicogna mantiene la carica di amministratore delegato. Il capitale sociale sale a 275 milioni di lire. Gli anni della guerra mondiale da una parte fanno rilevare un incremento notevole del consumo interno di fibre tessili artificiali,
dall’altra però devono affrontare molti problemi, come l’approvvigionamento delle materie prime, la scarsità della manodopera e i bombardamenti degli stabilimenti di Vercelli e Ivrea dopo l’8 settembre 1943. Alla fine del conflitto, tutti gli stabilimenti vengono chiusi per mancanza di carbone ed il Consiglio di amministrazione perde anche alcuni dei propri membri, di cui erano note le simpatie fasciste, compreso l’amministratore delegato Furio Cicogna. Tuttavia l’immediato dopoguerra apre prospettive rosee: già nel 1946 la produzione raggiunge il milione di kg mensili e continuano le ricerche verso un filato ad alta tenacità destinato alla fabbricazione di pneumatici. Alla vigilia della guerra in Corea che, con la ripresa della corsa agli armamenti trasforma gli Stati Uniti in paese importatore, determinando un’impennata della domanda interna ed estera ed una rapida ascesa dei prezzi, la S.A.I.F.T.A., che nel marzo 1949, ormai libera da condizionamenti politici, riprende la denominazione ufficiale di Soie, può vantare un capitale pari a 5 miliardi e mezzo di lire. L’euforia coreana è però di breve durata: già nel marzo del 1952 la crisi del settore tessile, determinata sia dalla stasi del mercato interno che da una netta contrazione delle esportazioni, appare decisamente grave. Ad attenuare la portata della crisi contribuisce sia l’attenzione dedicata dai dirigenti della Soie allo sviluppo dei filati speciali (filati tinti in pasta, a bava discontinua, ritorti e ad alta tenacità), sia la decisione di incrementare la produzione di filati all’acetato di viscosa, che spuntava prezzi più alti. La crisi, che non accenna a risolversi, convince gli amministratori ad inoltrarsi, alla fine del 1953, nel campo delle fibre sintetiche (nylon ad esempio), in cui si erano già affacciate altre imprese come la Rhodiatoce, la Polymer Industria Chemische Spa e la Montecatini. L’andamento del settore tessile, che sembra incapace di uscire dalla crisi, spinge i diri-
genti della società a studiare la possibilità di adattare parte degli impianti a produzioni chimiche, avvicinando ancor di più la Soie all’orbita della Edison di Giorgio Valerio che, nel marzo del 1955, entra nel Consiglio di Amministrazione della società. Nei quindici anni successivi la Soie porta il proprio capitale da 5 miliardi e mezzo a 38 miliardi circa, incorporando una serie di società, ampliando notevolmente le proprie partecipazioni azionarie nei settori chimico e tessile ed assicurandosi il pacchetto azionario di maggioranza di un istituto di credito di medie dimensioni, il Banco Lariano. Anche la “politica estera” della società amministrata da Furio Cicogna, in procinto di diventare Presidente di Confindustria, si rivela non priva di dinamismo: nel dicembre del 1958 viene infatti firmato un primo contratto con l’URSS per la fornitura di progetti, macchinari e procedimenti di lavorazione per l’impianto di uno stabilimento che avrebbe prodotto tessuti di rayon ad alta tenacità per pneumatici, cui sarebbe seguito, quattro anni più tardi, un analogo contratto con la Romania. Nel 1965 viene installato un secondo impianto in URSS mentre, a partire dal 161
Visita del gerarca fascista allo stabilimento della Soie,1943. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
L’industria tessile artificiale in Italia Le premesse tecnologiche delle fibre artificiali sono da ricercare nell’indubbio progresso realizzato dall’industria chimica nel corso della prima guerra mondiale, in particolare per quanto riguarda due elementi essenziali per il processo produttivo del rayon, la soda caustica e l’acido solforico. Il procedimento industriale che, agli inizi degli anni Venti, tanto ha affascinato l’imprenditore italiano Riccardo Gualino, consiste nella trasformazione di un materiale “povero” quale la cellulosa o i cascami di cotone (linters) in una soluzione colloidale che, passata attraverso una filiera, si solidifica divenendo un filo continuo. Dopo varie lavature, desolforazioni, sbiancature e torciture, il rayon, questo il termine di fantasia con cui gli americani nel 1926 designano sia le fibre di cellulosa rigenerata sia quelle a base di esteri di cellulosa, è pronto per la tessitura. La prima indicazione in merito alla possibilità di fabbricare artificialmente la seta, o quanto meno un filato con caratteristiche simili, risale al matematico inglese Robert Hooke, che vi accenna in un volume pubblicato nel 1664. Nonostante l’idea venga ripresa nel secolo successivo dal fisico francese Réaumur e da altri, le prime fattive soluzioni al problema vengono trovate soltanto due secoli dopo, sulla scorta degli esperimenti effettuati sui coloranti e poi sugli esplosivi derivati dalla cellulosa. Ai primi tentativi, legati ai nomi dello svizzero Andermars, del francese Ozanam e dell’inglese Swan, che tra il 1855 e il 1883 ottengono brevetti per la fabbricazione della “seta artificiale”, segue l’invenzione del processo alla nitrocellulosa, brevettato da Hilaire de Chardonnet nel 1884, del processo viscosa, brevettato da Cross e da Bevan nel 1892, della tecnica Bemberg al cuprammonio (1890) e di quella di Napper del bagno di coagulazione della viscosa al solfato di zinco (1912). Ad un primo periodo “pionieristico”, che tra il 1890 e il 1920 vede nascere una quarantina di stabilimenti in tutto il mondo ed è caratterizzato da innumerevoli problemi tecnologici e da prezzi piuttosto elevati, a fronte di una produzione non certo cospicua, segue un decennio di euforia, segnato da una precocissima vocazione del settore alla concentrazione, determinata dalla natura stessa di questa industria, che richiede non solo un elevato capitale fisso, ma continui e cospicui investimenti nella ricerca di nuovi prodotti e di perfezionamenti dei processi tecnico-produttivi.
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1961, accordi stipulati con la Firestone Tire and Rubber Company avrebbero portato prima all’installazione di un impianto di filati tessili poliammidici in uno degli stabilimenti Firestone a Hopewell, negli Stati Uniti, e poi alla costituzione in compartecipazione della società francese Polyfibres e della Châtillon Malta Ltd., con analoghe finalità. Se tali accordi, che prevedevano la fornitura di know-how w e di assistenza tecnica da parte della società italiana, forniscono una solida testimonianza in merito al livello tecnologico da essa raggiunto nel settore dei filati speciali, è comunque indubbio che la ricerca e le scelte produttive della Soie non si discostano da quella tendenza generale allo sviluppo delle fibre sintetiche che caratterizzò l’intero settore negli anni Cinquanta e Sessanta. L’escalation delle fibre sintetiche può essere riassunta da alcune cifre: mentre, tra il 1947 e il 1959, la produzione mondiale di rayon e fiocco era pressoché triplicata, passando da 950 mila a 2 milioni e mezzo di tonnellate, quella di fibre sintetiche passava, tra il 1950 e il 1958, da 67.200 a 425.000 tonnellate, con un aumento del 630%. E infatti nel 1962 Furio Cicogna annuncia agli azionisti che, mentre la produzione di fibre artificiali della Soie è aumentata dell’8,4% (a fronte di un aumento del 7,3% della produzione nazionale), quella di fibre sintetiche è aumentata del 67,6% (l’aumento a livello nazionale è invece del 25,6%); cinque anni più tardi ben il 70% della produzione totale dell’impresa è costituito da fibre sintetiche. Intanto, nel 1966, dalla grande fusione tra l’Edison e la Montecatini nasce la Montedison: il colosso industriale finisce al centro di una complessa lotta per il controllo del settore chimico che si conclude nel 1970 con l’assunzione della presidenza da parte di Eugenio Cefis, Presidente dell’ENI, interessato a tagliare la strada alla società milanese nella petrolchimica. La Montedison continua a perdere cifre co-
lossali e a indebitarsi con le banche ad un ritmo impressionante. Sotto la guida di Cefis però coltiva anche grandi ambizioni: essa acquisisce non soltanto il controllo della Snia e della Montefibre (nata dalla fusione nel 1972 fra le società Soie, Polymer, Rhodiatoce e Sinteco), ma dà anche la scalata ad alcuni giornali ed entra in possesso di un grande impero finanziario. Nel 1977 il gruppo registra perdite di circa 500 miliardi di lire. La presidenza passa a Schimberni che propone un risanamento dei settori in perdita: soprattutto Snia, Montefibre e una vasta costellazione di società non strettamente connesse alle principali attività del gruppo. Da allora ci sarebbero voluti più di tre anni sia per modificare la struttura della società (riportandola, per gran parte del capitale azionario, sotto la proprietà di operatori privati), sia per smantellare (lavorando di forbici fra una selva di rami secchi e disfacendosi anche dei “gioielli di famiglia”) la colossale piramide di interessi costruita per monopolizzare il settore delle fibre sintetiche e artificiali e di ottenere nuovi finanziamenti agevolati. È in questo periodo che si situa la crisi profonda che investe La Soie de Châtillon e che porterà alla sua definitiva chiusura nei primi anni Ottanta. Continuano intanto le vicende del gruppo Montedison che nel 1986 passa nelle mani di Raul Gardini, il quale si inserisce nell’aspra contesa che oppone Mario Schimberni a Enrico Cuccia. Gardini viene dalla Ferruzzi, impero basato sul commercio dei cereali importati oltreoceano, sulla produzione di mangimi, cemento, sull’attività armatoriale, ma con interessi anche nel settore saccarifero. La Montedison resta sempre in deficit, nonostante importanti cessioni come quella della Standa a Silvio Berlusconi e di parte della quota detenuta nella Fondiaria a Camillo De Benedetti. Per questo motivo Gardini intavola trattative, nel corso del 1988, con il presi-
Così le varie società europee che si costituiscono a partire dal 1890 e che utilizzano i tre diversi procedimenti (alla nitrocellulosa, al cuprammonio e alla viscosa) hanno dato vita, già nel primo decennio del Novecento, ad una serie di accordi di collaborazione tecnica nonché, ed è quanto meno singolare in un contesto di produzione scarsa e di prezzi elevati, ad un consorzio di produttori alla viscosa, costituito nel 1906, che sarebbe stato il primo di una lunga serie. Le prime grandi imprese sorte agli inizi del Novecento sono: la Courtauld’s Ltd., una società tessile inglese che, a partire dal 1904, inizia a produrre rayon e viscosa; la Société Française de la Viscose, che nell’aprile 1911 costituisce, insieme alla Société Anonyme pour la Fabrication de la Soie de Chardonnet ed a La Soie Artificielle, il Comptoir des Textiles Artificiels; la Vereinigte Glanzstoff Fabriken, tedesca, che inizialmente adotta il processo al cuprammonio, passando poi al processo viscosa, grazie ad accordi con una impresa fondata in Germania dal principe Guido Henkel von Donnersmark, che disponeva del brevetto Müller sulla composizione del bagno di coagulo dei filamenti; e l’olandese Enka, fondata nel 1911. Gli accordi stipulati tra queste grandi imprese non hanno effetto solo sui prezzi, ma portano anche alla costituzione di numerose società in altri paesi. È il caso dell’Italia. Qui nel 1904 un gruppo finanziario francese che faceva capo a Chardonnet costruisce un primo stabilimento a Padova, cui si aggiunge, nel 1908, anche grazie agli accordi di collaborazione stipulati tra la Courtauld’s e la Société Française de la Viscose, la Société Italienne de la Viscose, che costruisce un piccolo stabilimento industriale a Venaria Reale; ad un altro accordo, quello stipulato tra la Glanzstoff e il Comptoir des Textiles Artificiels, si deve invece la costituzione, nel 1912, della Società Cines seta artificiale, alle cui dipendenze lavora, in qualità di vicedirettore, Marco Biroli, il fondatore della Soie di Châtillon. Di fatto la produzione italiana di seta artificiale, nonostante la creazione di un numero piuttosto elevato di nuove società, finisce per decollare soltanto agli inizi degli anni Venti, con il contributo determinante di Riccardo Gualino, che proprio verso il lucroso settore delle fibre tessili artificiali indirizzava, a partire dal 1919, l’attività della Snia, nata nell’aprile 1917 come Società di navigazione italo-americana e trasformata nel 1922 in Snia-Viscosa, assumendo il controllo di altri stabilimenti, tra cui quello di Venaria Reale.
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Stabilimento Soie. Anni ‘20. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
dente dell’ENI Franco Reviglio, per dar vita ad una azienda comune, alla quale conferire gli impianti per le produzioni chimiche di base, le fibre, gli elastomeri e i prodotti per l’agricoltura, premessa ineludibile per ottenere adeguate economie di scala, che in quei comparti nessuno dei due gruppi da solo può raggiungere. Nasce così, nel gennaio 1989, l’Enimont. La parabola di Gardini finisce nell’inchiesta “Mani pulite”: accusato di scorrettezze e irregolarità da un suo collaboratore, preferisce uccidersi piuttosto che vedere mortificata la propria immagine (23 luglio 1993). Le sorti della conglomerata Ferruzzi-Montedison non migliorano però con l’uscita di scena di Gardini: il 4 giugno 1993 viene dato l’annuncio che non si è più in grado di rispettare gli obblighi assunti con i creditori e i Ferruzzi vengono estromessi dal controllo del gruppo che passa nelle mani di cinque banche: Comit, Credit, Banca di Roma, San Paolo, Mediobanca. Ridenominato Compart, il gruppo viene risanato, ma al prezzo della cessione quasi completa delle attività chimiche alla Shell nel 1997. Alcune riflessioni: se nel 1957 Furio Cicogna sottolineava come, dei 38 anni di vita della
società, soltanto 11 avessero fatto registrare risultati positivi, sta di fatto che un risultato indubbiamente positivo era costituito proprio dalla capacità della Soie di sopravvivere, e di crescere, all’ombra del “gigante” Snia Viscosa. Una capacità di sviluppo basata, in larga misura, sulla costante attenzione dedicata alla ricerca sui “filati speciali”, che rappresentava la costosa, ma vincente, risposta alle limitazioni imposte dai cartelli nazionali ed internazionali: i “filati speciali” che, esulando dall’ambito dei vari consorzi, non soltanto avevano consentito all’impresa di ritagliarsi fette di mercato in settori ben diversi dal tessile, ma avevano anche costituito un innegabile punto di forza nelle innumerevoli trattative di cui la storia dei consorzi per le fibre tessili artificiali è costellata. La scelta di investire massicciamente nella ricerca, che pure è in qualche modo insita nella natura stessa del settore, appare in questo caso strettamente legata ad un’altra notevole caratteristica dell’impresa: la continuità, incarnata da Furio Cicogna, che ne resse le sorti per quarant’anni, di un management puntualmente riconfermato ad ogni “cambio della guardia” (cui forse non era del tutto estraneo) nella maggioranza azionaria e che, se si rivelò tutt’altro che sordo alle esigenze dei politici, appariva singolarmente privo di quelle vocazioni speculative che caratterizzarono tanta parte del capitale italiano.
La produzione Le informazioni riguardanti la produzione sono frutto di un’elaborazione delle interviste fatte ai signori Yves Burgay, Antonio Bertallot e Sergio Masini nell’inverno 2009. Yves Burgay è stato capo-laboratorio e assistente alla tecnologia di produzione. Ha iniziato a lavorare in fabbrica il 3 settembre 1942 e ha cessato ufficialmente il 30 novembre 1979; per altri due anni ha svolto il 164
compito di consulente tecnico. Sergio Masini ha lavorato alla Soie dal 1956 al 1986 ricoprendo vari ruoli: in principio presso l’ufficio tecnico, poi dal 1968 ha preso il posto di responsabile del settore della manutenzione occupato prima da Antonio Bertallot, che nel frattempo era stato trasferito a Malta. Lo stabilimento, alla nascita, era destinato alla produzione del rayon, una fibra artificiale la cui materia prima proviene dalla cellulosa, attraverso il procedimento chiamato “alla viscosa”. La fibra tessile veniva interamente fabbricata a Châtillon, a differenza delle materie prime che invece erano di importazione: la cellulosa arrivava dagli Stati Uniti, la soda da Mantova, mentre l’acido solforico, necessario alla fabbricazione della viscosa, era prodotto dalla Soie stessa. La cellulosa costituiva la base di partenza. I fogli di cellulosa venivano messi in presse con soda caustica: questo processo era la “mercerizzazione”. Venivano poi pressati e mandati nelle sfibratrici che sminuzzavano la cellulosa. A questo punto erano pronti per la maturazione. Qui restavano alcuni giorni, poi passavano nel reparto del solfuro di carbonio: la farina veniva versata in botti, mescolata con solfuro e altri componenti chimici e da qui si formava la viscosa. La pasta così ottenuta veniva filtrata e inviata in filatura (sempre a 11 gradi). Nel reparto di filatura c’erano macchine in cui passava l’acido solforico caldo e la viscosa andava a finire in questo bagno. I fili di rayon che uscivano dalla filiera in platino (perché inattaccabile dall’acido solforico) posta sulle macchine venivano avvolti su bobine (rocche) e inviati al lavaggio dove subivano diversi trattamenti. Passavano infine in forni che servivano a far seccare la seta. L’ultimo reparto era la torcitura, dove il filo veniva trattato in modo da essere più resistente. Qui si formavano le matasse che venivano poi imballate e spedi-
te (oppure, ma solo dopo la ristrutturazione avviata nel 1964, inviate al reparto orditura, dove venivano avvolte su dei “subbi” per poi passare al reparto tessitura, dove si formava la tela). Tra la filatura e la torcitura, vi era dunque un’interruzione: il filo che usciva dalla filatura era avvolto su spole ancora impregnate di acidi e veniva trasportato nel reparto successivo per terminare il suo ciclo di lavorazione. Nel corso di questi procedimenti si formavano degli scarti che in seguito poterono essere recuperati, grazie all’introduzione di tecniche atte a tale scopo, e nuovamente trattati, passando attraverso le stesse fasi di lavorazione e permettendo così di aumentare leggermente la produzione9: se nel 1957 gli scarti reinseriti nel ciclo produttivo rendevano 74 tonnellate, nel 1965 arrivavano a 198. La fabbrica produceva i tre quarti dell’energia di cui aveva bisogno, il resto veniva dall’Enel: una turbina a vapore azionata da una caldaia a nafta forniva 2.000 kW/h di elettricità termica. Il vapore era altresì utilizzato per la fabbricazione della viscosa. La fabbrica non po165
Reparti dello stabilimento Soie. Laboratorio chimico. Officina centrale termica. 1974. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
9. Françoise Pourvis, Châtillon étude d’un petit centre urbain, 1970, pag. 38.
teva assolutamente stare senza acqua: questa giungeva dal rivo del Borgo. Vicino all’edificio dei Salesiani c’erano due vasche sempre piene, che fungevano da riserva per i casi di emergenza.
Stabilimento Soie. Fasi della lavorazione della seta artificiale. Preparazione liquidi. 1974. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
Dal 1964 la fabbrica cambiò volto e venne avviata una ristrutturazione molto importante; infatti diventava sempre più difficile mantenersi competitivi in un settore in continua espansione come questo, soprattutto dopo la rivoluzione tecnologica degli anni ‘60 che immise sul mercato fibre sintetiche derivate dal petrolio a prezzi decisamente inferiori rispetto alle fibre artificiali provenienti dalla cellulosa naturale. In più, l’aumento del costo dei prodotti petroliferi (ricordiamo che lo stabilimento consumava undici/dodici cisterne di nafta pesante alla settimana per la centrale elettrotermica) si rifletteva su tutta la fabbrica: aumentava il prezzo della cellulosa, prodotta negli Stati Uniti (Florida), in quanto il suo ciclo di produzione necessitava di tanto calore per cui, essendo aumentato il prezzo del petro-
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lio, aumentava di conseguenza anche il suo; le altre materie, l’acido solforico e la soda, erano prodotti che venivano dall’elettrolisi e per ottenere questa era necessaria l’energia elettrica che veniva prodotta da centrali elettrotermiche alimentate a nafta; poi la presenza di macchinari ormai vecchi ritardava ulteriormente la produzione che restava stazionaria e il cui deficit veniva colmato dagli stabilimenti più attivi di Ivrea e Vercelli; il laboratorio di fabbricazione dell’acido solforico non era più all’altezza del suo compito e risultava meno dispendioso fare arrivare l’acido da Mantova piuttosto che fabbricarlo sul luogo. Le conseguenze di questa ristrutturazione sono state molte. Innanzi tutto si è superata l’interruzione tra filatura e torcitura introducendo un sistema di produzione continua: partendo sempre dalla pasta di viscosa, si otteneva già nella stessa macchina il filo finito ritorto. La durata del ciclo completo precedente era di sei giorni, l’ultimo di 40 secondi. Il filo veniva raccolto nei fusi, poi sistemato su enormi bobine dette “subbi” che contenevano 800 e più fili l’una, e queste venivano caricate direttamente sui telai. Avendo snellito questa produzione, molti reparti sono rimasti liberi e ciò ha permesso l’introduzione di un’altra lavorazione, l’acetato, sempre un derivato della cellulosa. Questa nuova produzione raddoppiava, con la sua entrata in funzione, le capacità produttive di tutto il complesso. Infatti annualmente venivano prodotte 2.500 tonnellate di rayon viscosa, a cui si aggiungevano 2.400 tonnellate annue di rayon acetato. Queste due fibre sono ancora oggi molto usate nella tessitura perché non provocano allergie (essendo la materia prima di origine vegetale). In modo particolare il primo prodotto, la viscosa, è molto più bello, prende colori molto particolari ed è molto più resistente. Ha però un difetto: presenta difficoltà di tingibilità. Il rayon acetato ha invece meno pro-
blemi tintoriali, ma è un tessuto più delicato, è meno resistente ed è stirabile solo a basse temperature, altrimenti fonde. La qualità della produzione, per la resistenza e l’accuratezza delle scelte, era conosciuta ed apprezzata a livello mondiale. Infine, a questa produzione si aggiungeva quella dei tessuti in maglieria indemagliabile che creava circa cento posti di lavoro in più. I vecchi impianti furono demoliti e l’edificio venne ampliato: la superficie costruita venne portata a 35.000 m2 su 120.000 m2 di terreno10. I macchinari vennero sostituiti: si arrivò a cinquanta macchine per la filatura e cinquantasei per la tessitura. Durante questi lavori di ristrutturazione la fabbrica non si è mai fermata. Certo, ha rallentato i ritmi di produzione, ma non ha
chiuso. Il personale è stato impegnato in vari modi, come spiega nel dettaglio l’articolo apparso su Le Travail11, organo ufficiale del PCI, il 1° dicembre 1965. A parlare è il segretario regionale, Renato Strazza che, dopo aver incontrato i rappresentanti della direzione generale della fabbrica, si esprime in questi termini: «Si tratta di smantellare la totalità delle costruzioni vecchie… Questo comporterà per la società l’investimento di molti miliardi…Era necessario prendere una coraggiosa decisione, dato che il mercato era saturo e, di conseguenza, la produzione delle bobine di viscosa stava diminuendo fortemente per mancanza di richieste… I macchinari che verranno installati saranno ultramoderni e in grado di produrre ciò che c’è di meglio oggi sul mercato… 220 o 230 lavoratori verranno 167
Cravatte confezionate con i filati della Soie. Collezione Famiglia Pession.
10. Châtillon hier et avant-hier, a cura della Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon, (sd) pagg. 77-78. 11. Le Travail 1947-1996, articolo del 1° dicembre 1965, Biblioteca Regionale di Aosta.
12. Le Travail, febbraio 1977, Biblioteca Regionale di Aosta.
occupati nel reparto nuovo di Châtillon, in quanto continuerà la produzione; 60 o 70 lavoratori saranno impiegati, sempre a Châtillon, per lo smantellamento e la costruzione del nuovo stabilimento; 50 o 60, secondo la richiesta, saranno trasferiti al reparto bobine nella fabbrica di Ivrea. Inoltre, altri 60 verranno inviati a Vercelli, ove verranno installati i nuovi macchinari per la produzione del tessuto indemagliabile, in modo che, appena la costruzione del nuovo stabilimento sarà finita, si possa disporre di manodopera specializzata in grado di insegnare agli altri lavoratori la nuova produzione. Pertanto, tenendo in considerazione il totale delle maestranze impiegate, circa 130 lavoratori dovrebbero rimanere senza lavoro sino all’apertura del nuovo stabilimento… Ritengo giusto informare che detti lavoratori saranno messi a Cassa Integrazione, che dà loro diritto ad un salario pari a 70 ore mensili, che tradotti in soldi significa percepire circa 23 o 24 mila lire al mese». Durante la trasformazione la produzione subì una contrazione brutale, ma già dal 1967 riprendeva vigore per raggiungere livelli più elevati dei precedenti. Il filo di viscosa regredì leggermente rispetto all’acetato e ai tessuti indemagliabili, molto più utilizzati. La produzione dell’acetato raggiunse quella della viscosa, 2.400 tonnellate all’anno e il tessuto indemagliabile raggiunse 1.800 tonnellate. Dopo l’introduzione del ciclo continuo della viscosa, in fabbrica venne introdotto un sistema di turnazione continua, in modo da non arrestare la produzione e assicurarne la continuazione. I prodotti finiti venivano poi esportati: i fili di viscosa raggiungevano per lo più la Lombardia o i Paesi dell’Est (Russia, Polonia, Ungheria), il tessuto indemagliabile sempre la Lombardia o la Svizzera, il rayon acetato la Francia. Verso gli anni ‘70 il mercato italiano subì un’inversione di tendenza: la concorrenza 168
di paesi a tecnologia più avanzata e l’arrivo sui mercati di prodotti orientali a più basso costo, misero in difficoltà la fabbrica; la sua produzione si abbassò di anno in anno fino al 1983 quando fu obbligata a fermarsi definitivamente.
La crisi Come già ricordato, intorno agli anni ‘70 il settore tessile entrò in crisi. Per capire le ragioni di questa crisi che porteranno alla chiusura dello stabilimento nel 1983, tornano utili alcuni articoli apparsi sulla Gazzetta del Popolo, su Le Travail, giornale del PCI, su Lotte sindacali della CISL, e sul Réveil social del SAVT. Nel 1971-72 iniziò una recessione internazionale nel settore delle fibre, conseguenza della flessione sul mercato dei prodotti tessili, che provocò in Europa la perdita di 400 mila posti di lavoro12. Le cause di tale recessione vanno ricercate in una situazione di sovrapproduzione e di contemporaneo incremento delle importazioni di articoli tessili e di abbigliamento che provenivano dai Paesi del Terzo Mondo. Negli stessi anni la Montefibre diventò, nella produzione di fibre sintetiche, il gruppo più importante d’Italia dopo l’acquisizione degli stabilimenti di varie società italiane operanti nel settore (Soie, Rhodiatoce, Polymer, Sintetico e all’80% della Snia Viscosa). Ma pur essendosi assicurata, con questa vasta operazione di concentrazione, il controllo della quota maggiore del mercato italiano, la Montedison non seppe sfruttare in modo efficiente le strutture acquisite. I problemi da affrontare erano complessi. Da un lato, si trattava di scegliere tra produzioni competitive a livello internazionale e produzioni che stavano perdendo quota sempre più velocemente: questo significava chiusura di molti reparti e ristrutturazione di altri, su
dimensioni, livelli produttivi e tecnologie allineati con quelli delle più qualificate concorrenti internazionali. Dall’altro lato, la necessità di tipologie produttive tra loro omogenee ed integrate e, per un altro verso, il problema dei costi crescenti dei prodotti petroliferi rendevano indispensabile la ricerca di economie esterne, che potevano sussistere solo nella localizzazione degli impianti il più possibile vicino ai grandi poli petrolchimici. La soluzione di questo secondo nodo venne individuata da Cefis nella costruzione di impianti nuovi, a tecnologia avanzata, soprattutto nel Meridione, cioè nei pressi degli impianti petrolchimici della Montedison. Dunque la chiave interpretativa della politica meridionalistica della Montedison stava in questa ricerca di economie esterne a cui andava aggiunta la facilità di reperire capitali: infatti ogni insediamento al sud poteva essere finanziato largamente dallo Stato. L’ultimo piano di ristrutturazione presentato dalla direzione, chiamato il piano “delle cento botteghe”, individuava tutta una serie di produzioni sostitutive da attuare in trentacinque fabbricati di dimensioni non superiori a 220 addetti. Le aziende sarebbero state a partecipazione Montedison, ma sarebbero andate ad operare in settori differenziati come il meccanico, l’alimentare, quello del legno. Per quanto riguardava i dipendenti rimasti nei reparti fibre, data la loro bassa qualificazione ed il livello di invecchiamento abbastanza elevato, si sarebbe reso necessario un finanziamento di 15 miliardi per la loro riqualificazione; per la ristrutturazione degli impianti, invece, la cifra necessaria ammontava a 44 miliardi. In totale l’opera di risanamento e ristrutturazione della Montefibre sarebbe venuta a costare circa 300 miliardi. Tale ipotesi venne respinta dai sindacati che ne denunciarono gli aspetti più ambigui. Venne soprattutto rilevata la mancanza di un serio
discorso di riconversione produttiva e di programmazione all’interno del settore chimico e nel quadro dell’economia del Paese. Quest’ultima trattativa, poi, era stata caratterizzata da una serie di azioni provocate da parte della Montedison: nel dicembre ‘75 annunciò improvvisamente la chiusura di tutti gli stabilimenti e il licenziamento dei lavoratori; nell’ottobre ‘76 Cefis avanzò un nuovo pesante ricatto, dichiarando che la ditta non era in grado di pagare per intero gli stipendi per la grave situazione finanziaria (100 miliardi di debiti). La Montefibre di Châtillon diventava così uno dei tanti rami secchi che dovevano essere recisi e la sua chiusura veniva decretata entro la fine del dicembre 1977. Le Travail13 sostiene che la politica del taglio dei rami secchi ha motivazioni che vanno ricercate all’interno di una logica da multinazionale che ha portato la Montedison a perseguire tre direzioni di sviluppo: America del Nord; America Latina e Terzo Mondo; Paesi socialisti, e ad abbandonare invece progressivamente i settori italiani, il cui mantenimento avrebbe comportato, come minimo, una attività di programmazione e di integrazione verticale. La Montedison
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13. Le Travail, febbraio 1977, Biblioteca Regionale di Aosta.
Demolizione degli edifici Soie (reparto caldaie). Inverno 1986. Archivio Famiglia Pession.
14. Gazzetta del Popolo, 20 febbraio 1975, Biblioteca Regionale di Aosta. 15. Gazzetta del Popolo, 21 settembre 1982, Biblioteca Regionale di Aosta.
Convitto operaie Soie. Cartolina veicolata nel 1926. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
avrebbe così deciso di smantellare le produzioni più difficili da gestire. In realtà già nel febbraio ‘75 era scattata la cassa integrazione per 407 dei 573 operai della fabbrica: 200 donne e 207 uomini restavano così a casa per un giorno alla settimana14. Allora però Cefis assicurava che per la Montefibre di Châtillon non c’erano assolutamente problemi, in quanto egli avrebbe concentrato tutta la produzione degli stabilimenti che intendeva chiudere proprio nella fabbrica di Châtillon. E già nel 1975 cominciò una serie di scioperi, gestiti dai sindacati, allo scopo di sensibilizzare la Regione al problema.
Nel frattempo la Montedison avanzò proposte sostitutive, come quella delle “botteghe” già enunciata. Chiedeva poi maggiori finanziamenti al Governo in cambio del suo impegno a tenere aperti gli stabilimenti. L’articolo del 2 novembre 1975 della Gazzetta del Popolo denunciò il comportamento della Regione che sembrava non interessarsi per nulla alla vicenda, tanto che Mario Gemello, allora vice Sindaco di Châtillon, chiedeva che lo stabilimento venisse seguito dalla Regione Piemonte, che già si stava occupando di quelli di Ivrea, Vercelli e Pallanza. I giornali scrivevano di assemblee, scioperi, di stipendi ridotti. La situazione non si sbloccava e procedeva nello stesso modo per molti anni. Erano soprattutto i sindacati i protagonisti di questa fase: con le loro iniziative tentavano di mobilitare i lavoratori, ma anche la Regione, affinché si assumesse le proprie responsabilità. Nel settembre 1982, 117 operai accettarono la buonuscita di otto milioni offerti dalla direzione: «A questo punto la Châtillon la chiudiamo noi, senza aspettare che lo facciano un po’ per volta i padroni» confessava un operaio, stanco della situazione15. Non tutti però avevano voglia di cedere a questo ricatto: «Ci tentano con otto milioni di buonuscita per sfoltirci e poterci poi dire che in mancanza di un certo numero di operai non si può portare avanti il lavoro. E questa manovra sta andando in porto». Il 1° ottobre 1982 la Gazzetta del Popolo riportò la notizia di 350 lettere di licenziamento. A questa decisione seguì una manifestazione di operai davanti ai cancelli della Montefibre di Milano in Via Pola 14. Intanto cessava l’attività del reparto viscosa. Buone notizie arrivarono dalla delegazione valdostana che aveva partecipato ad un incontro con il Ministro La Malfa sulla vicenda della chiusura della fabbrica: i licenziamenti vennero ritirati e il personale venne messo in
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cassa integrazione straordinaria; l’azienda garantì poi la continuità del reparto acetato; infine si impegnò a ricercare altri imprenditori disponibili ad utilizzare l’area lasciata libera dalla produzione della viscosa. L’ottimismo era destinato a durare poco: il 20 dicembre 1982 i 130 operai del reparto acetato vennero messi in cassa integrazione e l’11 gennaio 1983, nonostante gli accordi di ottobre, venne annunciata la chiusura della fabbrica a causa del pesante deficit: 8 miliardi (2,5 a Vercelli, 3,5 reparto viscosa Châtillon, 2 reparto acetato Châtillon). A nulla servirono ovviamente le contestazioni di parte sindacale sul mancato rispetto degli accordi sottoscritti in ottobre a Roma: la sperimentazione, questa la pretestuosa risposta aziendale, non è stata proficua poiché non sono state accettate le richieste di aumento dei ritmi produttivi. Sui giornali continuarono invece le accuse contro la Regione e lo Stato che non si erano mossi per tempo alla ricerca di soluzioni alternative. Gli uffici del Ministero del Lavoro di Aosta, che hanno seguito da vicino la questione della cassa integrazione degli operai, conservano ancora tutte le pratiche. In modo particolare, si sono occupati del reinserimento degli ex dipendenti Montefibre in altre realtà lavorative. Tutti, soprattutto quelli di una certa età, sono stati sentiti, anche alla presenza di psicologi, al fine di facilitare questa delicata fase della loro vita. Merita soffermarsi su come è stata interpretata la crisi da coloro che l’hanno vissuta in prima persona. Per alcuni la produzione della Châtillon era ormai possibile solo nei Paesi del Terzo Mondo: troppi erano infatti i problemi legati all’inquinamento, i problemi ambientali insomma. Inoltre bisogna ricordare che la dirigenza stessa non credeva nel tipo di produzione: essa proveniva dal mondo delle fi-
bre sintetiche, prodotti di sintesi del petrolio e non credevano nella validità delle fibre artificiali, derivate invece dalla cellulosa e quindi da prodotti naturali. Decisamente si capiva che non vedevano l’ora di chiudere. Temevano solo le reazioni dei sindacati e della Regione. Hanno quindi iniziato a chiudere il reparto della viscosa nell’estate del 1982 usando come pretesto una doppia coincidenza: l’invecchiamento dei macchinari e la flessione mondiale del mercato. Dal momento che non si registrava alcuna reazione di una certa rilevanza hanno chiuso anche il reparto acetato nel dicembre 1982. Per altri, come il signor Yves Burgay, la chiusura dello stabilimento è da attribuire a una carenza di qualità manageriali: vestirsi è una necessità e, anche se il settore attraversa una crisi, questa è sicuramente passeggera e, se si è in grado di rinnovarsi a seconda delle esigenze dei tempi (se si possiedono cioè qualità manageriali), la crisi si supera e l’azienda si rimette in carreggiata, più competitiva che mai.
La manodopera I dati relativi al personale della fabbrica riportati nella tabella della pagina successiva provengono in parte da Françoise Pourvis, autrice di uno studio intitolato Châtillon, étude d’un petit centre urban del 1970, in parte da Vittorio Grisero, autore dell’opera Le vicende industriali della Valle d’Aosta ed i loro riflessi economico-sociali e demografici, e in parte dai documenti trovati presso l’archivio comunale di Châtillon16. Come evidenzia la tabella, 2.106 persone lavorano in fabbrica nel 1922. Questo dato concorda con l’aumento della popolazione di Châtillon emerso dal confronto tra i censimenti del 1921 e del 1931: questa infatti passa da 2.927 a 4.098 unità. 171
16. ACCH, Sezione Seconda, 444, 3, Leggi sul lavoro delle donne e dei fanciulli, 1916-1937.
Anno 1920 1922 1925 1926 1927 1928 1929 1930 1932 1935 1937 1940 1948 1950 1955 1960 1961 1965 1966 1968 1973
17. Luigi Giunta, Piero Lucat, t Modernizzazione economica, movimento della popolazione e classi sociali in Valle d’Aosta durante il fascismo (19221943), in Questioni di storia della Valle d’Aosta contemporanea, 1983, pagg. 9-51. 18. Christophe Garnier Mémoire de Maitrisee in L’économie d’une région: la Vallée d’Aoste, 1990, pag. 41. 19. ACCH, Sezione Seconda, 458, 5, VIII Censimento Generale della popolazione. Irregolarità.
Personale 477 2.106 1.869 1.696 1.782 1.603 1.501 1.452 584 826 (406) 511 1.226 765 632 675 566 563 552 503 555 550
Si vede poi come il personale diminuisca considerevolmente tra il 1925 e il 1935: questa contrazione si spiega con la grande crisi economica del 1929 che investe il mondo intero, aggravata in Valle d’Aosta dal fallimento di due grosse banche (Banca Réan nel 1928 e Credito Valdostano nel 1930), che costringe molti valdostani all’emigrazione definitiva. Luigi Giunta e Piero Lucat17, parlando della crisi economica del 1929, scrivono che «a pagarne lo scotto è in particolare la Soie di Châtillon, maggiore industria del settore delle fibre tessili artificiali [...] La crisi si ripercuote soprattutto sulla manodopera meno protetta, quella femminile, che scende da 1.142 a 319 addette». La consistente diminuzione della popolazione risulta anche confermata dai censimen172
ti Istat del 1931 e del 1936: gli abitanti di Châtillon passano infatti da 4.098 a 3.216. Bisogna anche tenere conto del fatto che siamo nel periodo fascista e che la politica di italianizzazione del regime spegne il poco entusiasmo dei valdostani per il lavoro in fabbrica18. Altra testimonianza importante è un documento trovato nell’archivio del Comune di Châtillon relativo ai censimenti sopra citati. Si tratta di una lettera di spiegazione che il Comune invia alle autorità fasciste a Roma che hanno accusato il Comune di aver mal condotto il censimento del 1936 in quanto risulterebbe troppo elevato lo scarto di popolazione in rapporto a quello del 1931. Così si giustificava il Comune19: «Il notevole scarto tra i risultati dell’attuale censimento e quelli del censimento del 1931 deve attribuirsi alle seguenti cause: 1. Nel 1931 vennero calcolati 242 emigrati che si presumeva rimpatriassero entro il 31 dicembre di quell’anno. 2. Dal censimento del 1931 a quello del 1936 la maestranza dello stabilimento per le fibre tessili artificiali è scesa dal migliaio a 428 operai e impiegati. 3. Nel 1930 erano in attività cinque cave di marmi con operai fatti venire espressamente da Carrara con le rispettive famiglie; ora una sola è in esercizio, la cava di Issories, che occupa solo una quindicina di operai immigrati da Carrara. 4. Fino a tutto il 1930 la Sip-Breda aveva in corso i lavori di costruzione di una galleria per l’attivazione di una terza centrale elettrica a valle della centrale Covalou. I lavori sono stati sospesi a fine dicembre per ragioni economiche. Gli operai si sono spostati in altri paesi dove sorgono altre industrie. 5. Notevole è risultata l’emigrazione all’estero permanente con una media annua di circa 70 individui». Questi i dati dal 1932 al 1936:
Anno
Emigrati
Immigrati
1932
310
199
1933
475
166
1934
278
112
1935
288
127
1936
178
79
TOTALE
1.529
683
Françoise Pourvis aggiunge che nel 1930 vengono licenziati 500 operai, 400 nel 1931, 150 nel 1932. Dal 1935 si assiste ad una ripresa; nel 1936 vengono assunti 90 operai, 180 nel 1937: siamo questa volta nell’ambito delle nuove misure prese dal Governo per far fronte alle sanzioni economiche imposte dalla Società delle Nazioni, misure volte a favorire lo sviluppo delle industrie, riducendo le importazioni. Per il periodo successivo alla guerra sembra possibile ipotizzare una sorta di stabilizzazione della situazione dovuta alla ormai avvenuta radicalizzazione dell’impianto industriale nella vita del paese: se alla sua apertura la fabbrica aveva portato con sé decine di ragazze provenienti da altre regioni del nord Italia, che in qualche modo avevano dovuto sistemarsi in paese contribuendo all’aumento della popolazione, dopo la guerra la situazione pare cambiare considerevolmente in quanto la fabbrica è ormai una realtà ben accettata dagli abitanti del paese, molte ragazze si sono stabilite definitivamente a Châtillon, altre sono tornate al loro paese d’origine, la manodopera viene reclutata in paese e nei dintorni. Se vi è immigrazione in questo periodo, e i dati lo confermano, questa è diretta prevalentemente verso altre fonti di lavoro. Inoltre, tra il 1948-1965, la manodopera della fabbrica diminuisce, passando da 765 a 552 unità. Questa riduzione del personale è conseguenza dell’avvio del processo di meccanizzazione, divenuto ormai indispensabile, vista
la qualità dei macchinari, non più in grado di competere con sistemi di produzione più moderni attivati in altri stabilimenti (Ivrea, Vercelli). Dalla fondazione, il numero degli addetti è diminuito del 74%. Gli stessi dati compaiono in un articolo del giornale Lotte Sindacali20, il foglio della CISL, nel quale si nota con preoccupazione come l’occupazione sia diminuita non solo alla Soie, ma anche in tutte le altre industrie della Valle. La crisi del settore esplode negli anni ‘70 e da allora il personale occupato andrà sempre diminuendo: la Gazzetta del Popolo21, sulle pagine dedicate alla Valle d’Aosta, scrive che nel febbraio 1975 gli occupati sono 573, ma destinati ben presto a diminuire a causa dei provvedimenti di cassa integrazione previsti dalla società. Sempre dalla Gazzetta del Popolo sappiamo che nel 1977 i dipendenti sono ancora 560, ma il loro futuro è sempre più incerto. Nel 1981 scendono a 521. Nel 1982 più di cento operai, stanchi di una situazione che pare non offrire più garanzie per il futuro, accettano la buonuscita (otto milioni di lire). La fabbrica chiuderà definitivamente un anno dopo, licenziando i 400 operai rimasti. Interessante è senza dubbio l’analisi delle zone di provenienza e dell’età della manodopera, per lo più femminile. I registri dell’immigrazione dal 1926 al 1957, conservati presso l’archivio comunale di Châtillon, forniscono dati utili a questo scopo22. L’analisi di tali dati ha permesso di rilevare come, limitatamente a quel periodo, la maggior parte della manodopera arrivasse dalla provincia di Vicenza (in modo particolare dai comuni di Lusiana, Gallio, Bassano, Marostica), seguita a distanza dalle province di Torino, Belluno, Bergamo, Brescia, Treviso e Padova. Anche l’età è significativa: la maggior parte delle ragazze aveva un’età compresa tra i 16 e i 20 anni, ma non mancavano operaie più giovani. 173
20. Lotte Sindacali (1954-1970), 17 febbraio 1959, Biblioteca Regionale di Aosta. 21. Gazzetta del Popolo (19611983), 20 febbraio 1975, Biblioteca Regionale di Aosta. 22. ACCH, volumi dal 474 al 481.
23. ACCH, Sezione Seconda, 444, 3, Leggi sul lavoro delle donne e dei fanciulli, 1916-1937.
Manodopera impiegata alla Soie per fasce di età Maschi
Femmine
Anno
sopra i 15 anni
sotto i 15 anni
sopra i 21 anni
tra 15 e 21 anni
sotto i 15 anni
1925
745
38
297
540
233
1926
708
24
405
489
70
1927
636
4
431
529
182
1928
560
36
350
459
198
1929
572
6
350
232
341
1932
303
91 sopra i 18
166 14-18
24 sotto i 14
1935
231
112 sopra i 18
53 14-18
9 sotto i 14
1937
238
161
82
30
1
Dalle denunce di esercizio che gli industriali esercenti aziende soggette alla legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli devono presentare alla Prefettura della rispettiva provincia23, si apprende che gran parte della manodopera è composta da giovani operaie, come si evince dalla tabella sopra riportata.
La Provvidenza Già dal secolo scorso, a Chameran, una frazione a ovest di Châtillon, si stabilirono delle suore francesi, Les Sœurs de la Providencee (da qui il nome di “Provvidenza” dato all’edificio), espulse durante la Rivoluzione, e qui fondarono una comunità che accoglieva le ragazze del posto insegnando loro le faccende domestiche. Dopo molti anni, nel 1920, le suore ottennero il permesso di rientrare in patria e lo stabile venne acquistato dalla Direzione della Cooperativa di Consumo di Aosta che, nell’ottica di un utilizzo a scopi sociali, affidò l’opera alle Suore di San Giuseppe. La Casa si trasformò in un pensionato per operaie immigrate impiegate alla Soie, e tale 174
accoglienza si protrarrà fino al 1951. Dopo una radicale ristrutturazione, affidata all’impresario Jaccod Pascal, la Provvidenza iniziò la sua nuova attività ospitando dapprima una dozzina di operaie, poi sempre di più (fino a 290), come riporta il quaderno compilato dalle suore e conservato nell’archivio della Provvidenza. Purtroppo questo è l’unico dato conservato per quanto riguarda le ragazze ospitate; i dati invece sono più numerosi e precisi per quanto concerne le altre attività del Pensionato. Alla sua apertura, infatti, la fabbrica occupava tante giovani operaie provenienti dal nord Italia che necessitavano di alloggiamento e non tutte trovavano posto alla Provvidenza. Questo fatto, unito alla constatazione che le ragazze alloggiate alla Provvidenza erano tra le migliori come rendimento (questo era senz’altro legato agli stretti controlli cui venivano sottoposte dalle suore), convinse la direzione della Soie a impegnarsi economicamente nell’opera di ingrandimento dei locali della Provvidenza. Somme furono anche messe a disposizione dalla Cooperativa: venne aumentato il numero delle stanze, vennero utilizzati meglio i locali liberi, l’antica cappel-
la fu adibita a sala di lavoro e ricostruita nel piano superiore. Da un’altra fonte sappiamo che dopo i lavori la Casa poteva ospitare 300 operaie24, numero destinato ad aumentare fino a 700 in vista della costruzione di un altro edificio vicino alla fabbrica, sempre adibito all’assistenza delle operaie e sempre gestito dalle suore. Un’interessante testimonianza sui canali di reclutamento delle ragazze che giungevano a Châtillon e sulle loro condizioni di vita presso le suore, ci è fornita da Elio Riccarand25. L’autore riporta una lettera pubblicata da L’Ordine Nuovo nel gennaio del 1922: «In questo stabilimento tessile valdostano si usa ogni arbitrio e ogni minaccia a danno delle maestranze. Giorni fa si sono licenziati due operai per il solo fatto che avevano giustamente reclamato il cottimo loro spettante. Un caporeparto obbliga inoltre un reparto femminile a fare ore straordinarie, minacciandolo, in caso contrario, di licenziamento. Le nostre lavoratrici, che sanno le conseguenze terribili della disoccupazione, sono così strette come in una morsa dalla prepotenza padronale. Nel dormitorio le povere nostre compagne si lamentano perché non vi si può più vivere. La sporcizia è enorme e gli insetti più schifosi vi pullulano a meraviglia. Alcune operaie, che vivono dalle monache, sono state costrette a ritornare a casa senza un soldo, dopo aver lavorato per molto tempo, o con dei debiti. Preti e industriali sono in questo modo d’accordo nei loro propositi di affamamento e di reazione. Vi sono infine degli ordini draconiani per impedire i comizi di classe. Le operaie devono soltanto lavorare, lavorare e lavorare come bestie da soma e i loro miseri guadagni sono ancora immiseriti dalle continue e ingiuste multe». Il riferimento ai preti come alleati degli industriali non era dettato da generico anticlericalismo, ma dall’azione apertamente antioperaia svolta dall’Ufficio di Collocamento di Aosta diretto da don Livio Farina. L’Italica Gens si era spesso distinta nell’iniziativa an-
tiproletaria, sia arruolando operai crumiri in occasione degli scioperi, sia procurando alle aziende operai disposti a lavorare a condizioni di gran lunga peggiori di quelle stabilite dagli accordi fra le varie Direzioni aziendali e le Organizzazioni Sindacali degli operai. Nel caso della Soie, don Farina e Lombardi, segretario dell’Italica Gens, erano poi accusati di essersi recati personalmente in provincia di Bergamo dove, per mezzo degli ecclesiastici delle diverse località e presso le sedi parrocchiali, avevano reclutato personale femminile, parte del quale minorenne, senza offrire neppure serie e reali garanzie sulle condizioni di lavoro e in base ad una semplice lettera della Soie. Riccarand aggiunge che, all’atto dell’assunzione alla Soie, le operaie dovevano dichiarare di accettare una trattenuta quindicinale di lire 10 fino ad un ammontare di lire 100, somma che veniva successivamente restituita solo a quelle operaie che resistevano un anno intero presso la Soie. Le lavoratrici reclutate venivano alloggiate appunto in due Convitti, uno gestito dalle suore, l’altro posto all’inter-
175
24. Châtillon, le pensionnat ouvrier de la Providence in Messager valdôtain, 1919, pagg. 41-45. 25. Elio Riccarand, Fascismo e antifascismo in Valle d’Aosta 1919-1936, 1978, pag. 97.
Istituto Salesiano. Biblioteca Mgr. Duc di Châtillon.
Complesso di ex palazzine e centro direzionale della Soie, attualmente sedi dell’IPRA (Istituto Professionale Regionale Alberghiero). 250°
no dello stabilimento, ma entrambi funzionanti alle dipendenze della ditta che, in tal modo, estendeva il suo controllo sulle operaie ben oltre la giornata lavorativa. Già nel 1934, accanto al Convitto per le operaie, venne istituito un particolare, e precursore per l’epoca, Asilo Nido di Châtillon, destinato ad accogliere i bambini dai 2 ai 6 anni, figli delle giovani operaie che nel frattempo si erano stabilite nel paese definitivamente formando una famiglia. Durante la seconda guerra mondiale, bambini orfani, abbandonati o comunque bisognosi di assistenza, vennero accolti in Provvidenza dove veniva loro offerta la possibilità di frequentare le scuole. Dal 1951 la Casa si trasformò in relazione alle nuove esigenze del paese: le operaie vennero sostituite da studentesse delle scuole medie e dell’avviamento che frequentavano gli istituti scolastici di Châtillon. Successivamente toccò a studentesse delle scuole superiori e a partire dal 1980 la Casa ospita persone anziane bisognose di cure e di assistenza. 176
I Salesiani Ad offrire una sistemazione alle operaie che giungevano a Châtillon non c’era solo la Provvidenza. Riporto qui di seguito i ricordi di don Giovanni Gobber (incontrato nel febbraio del 2000), primo direttore dell’Istituto dei Salesiani di Châtillon, fondato nel 1948 su richiesta dei dirigenti della Soie per venire incontro alle esigenze dei suoi dipendenti. I Padri Salesiani, in locali messi a disposizione dalla direzione dello stabilimento, crearono un loro istituto destinato agli orfani e alle persone bisognose di un posto dove alloggiare. Don Gobber ricorda che fu incaricato dal Vescovo, Mons. Francesco Imberti, di accogliere il desiderio della Soie di dar vita ad un’opera di assistenza e beneficienza nei locali che la stessa società aveva adibito, sotto la direzione delle Suore di San Giuseppe, a Convitto per le operaie immigrate che prestavano servizio presso lo stabilimento. La riduzione del personale e la graduale sistemazione in loco delle
maestranze aveva reso i locali dell’edificio disponibili per altri eventuali usi e servizi. Restava da decidere quale opera avviare che rispondesse ai desiderata della Soie, come e con quali persone farvi fronte. Aiutato dal nuovo Vescovo, Mons. Maturino Blanchet, e da altri sacerdoti interessati all’iniziativa, don Gobber organizzò un incontro con il Superiore Generale dei Salesiani a Torino per sentire il suo parere ed i suoi suggerimenti. Costui si mostrò entusiasta all’idea e suggerì a quali persone rivolgersi per portare a termine il progetto. Non restava che programmare un incontro con la direzione della società per confrontare le proposte con le esigenze di tutti. L’idea si concretizzò in un’opera scolastica di assistenza sociale per giovani orfani ed in particolari condizioni economiche e familiari, residenti in Valle d’Aosta, in età dopo la scuola dell’obbligo. Il tipo di scuola più rispondente a queste esigenze era la scuola di avviamento professionale triennale a indirizzo artigiano, per meccanici-aggiusta-
tori e per falegnami-ebanisti, prevista dopo la scuola elementare dell’obbligo. I giovani allievi sarebbero stati interni. Venne prevista anche la possibilità di ammissione alla scuola, come allievi esterni o semiconvittori, per i figli degli operai dello stabilimento. Don Gobber ricorda che il numero degli allievi doveva essere di 90-100 unità. Questo comportava un corrispondente numero di persone addette ai vari servizi: insegnanti, assistenti, personale ausiliario, e un arredamento conveniente: alloggi per i giovani e per il personale, servizio di mensa e di guardaroba, aule scolastiche e di studio, officine e laboratori per le esercitazioni pratiche e l’insegnamento tecnico. Era stato previsto nel contempo di ottenere per la scuola il riconoscimento legale. Si giunse al mese di giugno del 1948. La società seguiva con attenzione e interesse l’andamento dei lavori. Finalmente l’opera prese avvio nell’anno scolastico 1948-49. I primi giovani ospiti furono 33. Il personale salesiano era di sei confratelli, più alcuni addetti ai 177
Istituto Salesiano di Châtillon. Laboratorio di falegnameria.
servizi ausiliari, mentre il servizio di mensa e guardaroba venne assunto dalle suore. Il 4 febbraio 1949 venne inaugurata ufficialmente l’opera con una cerimonia solenne alla quale parteciparono le più alte autorità religiose della Regione con i dirigenti della Società che avevano reso possibile un simile lavoro grazie alla loro sensibilità e disponibilità. Ancora oggi l’Istituto continua la sua attività.
Internazionalizzazione della Soie de Châtillon
26. ASIS, Fondo ST, cart. 66, 1, Questione Tubize-Châtillon, corrispondenza Fusi-Toeplitz.
Tre sono le direzioni approfondite in questa ricerca: Stati Uniti, Russia, Malta. La prima si è delineata in modo piuttosto preciso e dettagliato a seguito della visita 178
all’archivio storico della Banca Commerciale Italiana, ora Banca Intesa, che aveva appoggiato la nascita della società anonima La Soie de Châtillon con un cospicuo investimento finanziario. La ricerca tra i documenti conservati in archivio ha permesso di seguire, attraverso la corrispondenza tra Siro Fusi (direttore della filiale BCI di New York, con sede in William Street 62-64) e Lodovico Toeplitz (amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana), le vicende che hanno portato alla fusione, nel 1928, tra la Tubize artificial silk company of America e la Châtillon, per dare vita alla American Châtillon Corporation, con sede a Rome in Georgia26. Tali sviluppi hanno trovato conferma in altre ricerche indirizzate a conoscere le vicen-
de industriali della cittadina di Rome. È così emerso che la Châtillon Corporation, poi diventata Celanese, a partire dal 1928 ha impiantato uno stabilimento per la produzione di rayon a Rome in Georgia (USA)27 e per l’occasione Mussolini ha inviato un dono alla città di Rome: una statua di Romolo e Remo recante la seguente iscrizione latina: ROMAE NOVAE AUSPICIUM PROSPERITATIS ET GLORIAE LUPAM CAPITOLINAM SIGNUM ROMA AETERNA CONSULE BENITO MUSSOLINI MISIT ANNO MCMXXIX Nel testo si legge che il dono, presentato come un passaggio simbolico dall’antica Roma alla Roma moderna, fu offerto il 20 luglio 1929 da Marco Biroli della Soie di Châtillon, Milano, Italia. Il testo prosegue spiegando che non è noto il nome dello scultore della statua, ma l’originale, esempio dell’arte etrusca, si trova nel Palazzo dei Conservatori sul Campidoglio, a Roma. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, ma soprattutto la posizione assunta dall’Italia nel corso della guerra, fecero sì che la statua fosse rimossa e custodita al sicuro all’interno di un edificio. Nel 1952 un gruppo di cittadini si mobilitò per riportare la statua in piazza, di fronte al Municipio, dove si trova tuttora. “La pista americana” della Châtillon emerge anche in uno studio del 2007 ad opera di Federico Barbiellini e Andrea Goldstein intitolato Italian Investment in the United States – Contributions to a History. «Italy acquired an important international leadership in synthetic fibers, a high-tech sector where European companies were out-competing American ones. They found it expedient to directly invest in the United States, to the point of turning rayon into “an American industry that foreign-based multinationals created”. The two leading Italian firms were Turin-based
SNIA Viscosa, created in 1917 as a maritime company and later converted into fibers manufacturing, and La Soie de Châtillon, a distant second-largest, created by Marco Biroli in 1918 (with Banca Commerciale Italiana-BCI backing) to exploit a US patent. As far as Châtillon is concerned, following the 1926 takeover by BCI, in 1928 it partnered with Tubize to establish American Châtillon in Rome, GA, to jump over 45% ad valorem U.S. import duties. To celebrate and remind Georgian Romans of their etymological ancestry, Benito Mussolini sent a piece of Coliseum’s walls to be used as cornerstone for a bronze she-wolf, suckling two bronze infants. The experience, however, proved short-lived as Châtillon did not have the necessary financial strength to compete against American firms, a point stressed by CEO Ugo Mancini in the 1946 Costituente hearings. This led to the merger of the U.S. subsidiary with Tubize in 1930, which in turn was to eventually merge with Celanese. American Châtillon was also very competitive in the fabrication of specialized equipment, which it sold to various competitors. The rest of the Italian chemical industry abroad remained very modest in size and competitiveness». In merito alle vicende legate alla Russia, è il signor Yves Burgay a riferire la sua esperienza nel corso dell’intervista del 12 gennaio 2009. «Nel settembre 1961 (fino a marzo 1962) parto per la Russia (Bolachova). Eravamo circa 40 persone. Io ero il responsabile tecnologico. A Vercelli avevano sperimentato una fibra ad alta tenacità (cord-supercord). I Russi ne comprarono il brevetto perché gli pneumatici dei Mig, quando atterravano, scoppiavano. Il brevetto costava 70 miliardi. La Châtillon spedì 100 macchine in Russia e ne arrivarono a destinazione 99. Una venne smontata per spionaggio industriale da parte dei Russi. Oltre a fornire le macchine, la Châtillon fornì supervisione impianti e tecniche. Dovevamo istruire la mano179
27. Tracce di tali vicende si trovano nel sito www.romegeorgia. com/capwolf.html
dopera locale. Lo stabilimento esisteva già: era stato costruito dagli studenti che lavoravano gratis per il partito. Prima di partire vengo convocato in Regione dove mi forniscono un numero di telefono da contattare in caso di pericolo. Ritorno in Russia nel periodo settembre 1962giugno 1963 per avviare la fabbrica. Nel gruppo c’erano due svizzeri che lavoravano per la Kemap che si occupava di automatismi e quattro inglesi che lavoravano per la Platt e si occupavano dei torcitoi. Gli altri erano tutti italiani. Comunicavamo grazie alla presenza di traduttori italiani, calabresi fuggiti dall’Italia dopo Togliatti». Merita ora soffermarsi sulle vicende della Châtillon e della Castellana (nome dato alla fabbrica nata a Malta nel 1967 dal simbolo riprodotto anche nel giardino d’ingresso dello stabilimento, ovvero il Castello di Ussel). Gli studi sulla storia delle due fabbriche di Malta sono stati condotti in loco, visitando i locali che le ospitavano e che ora sono sede di altre attività e intervistando ex personale della fabbrica, i signori Alfred Camilleri (ha lavorato per 44 anni e lavora ancora oggi a regime part time) e Victor Camilleri (impiegato dal 1964 al 1977), residenti a Malta e Antonio Bertallot (a Malta dal 1968 al 1973), residente a Vercelli. Nell’anno dell’indipendenza dalla Gran Bretagna (1964), la nuova repubblica era del tutto sprovvista di aziende industriali. Il governo maltese incentivò quindi gli investimenti industriali finanziando il 50% dei costi dei nuovi impianti e garantendo 10 anni di esenzione fiscale (tasse patrimoniali). È in questo contesto che nel 1963 la Châtillon decide di impiantare uno stabilimento industriale a Malta. Prima di avviare la produzione però è necessario formare i “tecnici” e così gruppi di venti/trenta uomini partono per sei/nove mesi alla volta di Ivrea e Vercelli al fine di affiancare operai italiani nell’uso dei macchi180
nari (tra questi vi è anche Alfred Camilleri). Nel 1964 tornano a Malta e a fine anno lo stabilimento avvia la produzione (tessitura) con 200 dipendenti, di cui una decina impiegati. Nel 1967, attigua alla Châtillon, nasce La Castellana, con l’utilizzo di 280 operai, per la confezione di capi in seta artificiale, venduti anche presso lo spaccio industriale di Vercelli. Nel corso di un viaggio in Italia nel 1969, giunge a Châtillon Fabio Tagliavini, allora direttore dello stabilimento maltese. Tagliavini s’innamora della sagoma ardita del Castello di Ussel e decide di adottarlo come simbolo per la fabbrica. Tutta la manodopera era reclutata a Malta e nei dintorni, mentre i tecnici e i responsabili arrivavano dall’Italia, restavano qualche anno e poi ritornavano in Italia. La Castellana viene chiusa nel 2002 per problemi strutturali e pericolo di allagamento: successivamente nasce un centro commerciale e un ristorante che mantiene il nome e il logo della fabbrica. La Châtillon ha invece ceduto il posto alla Nylon Knitting LTD, azienda che esiste tuttora e che si occupa di filati di nylon.
La Soie
En termes de développement économique et socio-culturel, Châtillon se présentait au début du XXème siècle comme une ville à connotation agricole et conservatrice. Cette mentalité traditionaliste a été affrontée, mais sans succès, par un groupe d’industriels milanais qui, en 1906, profitant de certaines concessions de la Commune, ont essayé d’implanter une usine textile. La cause de l’échec semble être attribuée aux paysans qui refusaient de renoncer à leurs droits sur les eaux, qu’ils auraient dû autrement partager avec l’usine naissante, même si elle aurait pu améliorer l’avenir économique: la campagne était encore leur principale source de subsistance et toute innovation était considérée comme une menace. La deuxième tentative a eu par contre un résultat positif: en 1919, commencèrent les travaux de construction de la fabrique, qui a ouvert en 1921 en utilisant une main-d’œuvre féminine immigrée: il s’agissait de jeunes ouvrières du nord de l’Italie, surtout de la Lombardie et de la Vénétie, reçues dans les maisons d’accueil (la Providence et l’Institut des Salésiens), nées de la volonté des dirigeants de la Soie. Après la seconde guerre mondiale, la main-d’œuvre était recrutée localement. L’usine, à la naissance, était destinée à la production du rayon, une fibre synthétique dont la matière première provenait de la cellulose, à travers un processus appelé “à la viscose”. La fibre textile était entièrement fabriquée à Châtillon, tandis que les matières premières étaient importées: la cellulose des États-Unis, la soude de Mantoue, et l’acide sulfurique, nécessaire à la fabrication de la viscose, était produit par la Soie même. Depuis 1964, l’usine a été transformée: une restructuration très importante visant à la production d’acétate, un dérivé de la cellulose. Cette nouvelle production doublait, avec son entrée en activité, la capacité productive de l’ensemble: chaque année, en effet, 2.500 tonnes de rayon viscose étaient produites, auxquelles s’ajoutaient 2.400 tonnes par an de rayon acétate. Les vieilles installations furent démolies, le bâtiment fut agrandi et la machinerie fut remplacée. La Soie de Châtillon a réussi à s’imposer aussi à l’étranger, avec l’ouverture d’établissements aux États-Unis (Rome, ville de la Géorgie en 1928), en Russie (Bolachova 1961) et à Malte (1967). L’usine de Châtillon a fermé en 1983, à cause de la crise du secteur textile et d’un manque d’intérêt de la part de la Région, qui à cette époque confiait son développement au tourisme. En outre, la modernisation des installations revenait trop chère et l’Administration préféra ne pas s’engager: Montedison, qui avait acquis le contrôle de Montefibre (née de la fusion en 1972 entre les sociétés Soie de Châtillon, Polymer, Rhodiatoce et Sinteco) put ainsi procéder tranquillement au démembrement de son empire financier et décida de fermer l’usine. Là où se trouvait la Soie de Châtillon, le 16 mars 1990, s’installa Tecdis, une usine de cristaux liquides. La nouvelle industrie, qui se tenait parmi les entreprises les plus importantes et novatrices de la Vallée, a malheureusement eu une vie courte et avec ses événements troublants elle a marqué l’épilogue de l’histoire industrielle de Châtillon.
181
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Scenari per il futuro
Il dopo Soie
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li anni Ottanta segnarono la fase più acuta della crisi in atto nell’industria valdostana. Il censimento del 1981 contava 8.618 occupati nell’industria di cui 7.703 in aziende con oltre 35 dipendenti e 915 in aziende con meno di 35 e più di 10 dipendenti; nel 1982 gli occupati in aziende con più di 35 dipendenti scendevano a 7.075, con un calo di 628 unità; nel 1983 erano 6.437, con un ulteriore calo di 608 unità. Non si hanno dati circa il numero degli occupati nelle aziende con meno di 35 e con più di 10 dipendenti: è da ritenersi, comunque, probabile la stessa tendenza1. In soli tre anni l’industria valdostana vedeva ridursi la forza lavoro di 1.236 unità, pari al 16%. Inoltre, si registrava un notevole ricorso, per gli occupati, alla cassa integrazione: tra la gestione ordinaria e quella straordinaria si passò da 971.102 ore del 1981 a 2.336.339 del 1983. Successivamente anche la manodopera occupata vide assottigliarsi l’opportunità di mantenere l’impiego, tanto che 2.189 addetti all’industria dovettero abbandonare il proprio impiego; la forza lavoro nella Valle si ridusse a 4.248 unità. I settori più colpiti erano quello dell’industria chimica, metallurgica, tessile, dell’abbigliamento. Quelli che presentavano un andamento stazionario, con segno positivo in alcuni casi, erano le industrie alimentari e delle bevande: S.I.B. di Pollein e Cioccolato Feletti di Pont-Saint-Martin; le industrie della carta stampa ed editoria: Industrie Grafiche Musumeci; le industrie delle costruzioni e installazioni di macchine: Enrietti di Hône, C.A.S.T.
di Arnad, Honestamp di Hône e Coros di Cogne; e le industrie delle costruzioni di giochi, giocattoli e articoli sportivi: Maxel di Gignod. Se nel 1961 l’industria contribuiva a fornire il 60% delle entrate della Regione, nel 1993 questo dato scendeva al 30%2. Il paesaggio industriale della Valle d’Aosta si trasformò profondamente: 1. una sola impresa superava i 500 salariati: l’ex-Cogne, unica sopravvissuta della tradizione siderurgica; 2. la piccola e media impresa si moltiplicava: il 90% degli stabilimenti esistenti erano infatti di tipo artigianale (con meno di 10 dipendenti); 3. nascevano imprese che facevano appello alle nuove tecnologie: la Conner (supporti per computer) a Pont-Saint-Martin al posto dell’Ilssa Viola, la Baltea Disk (materiale per stampanti) a Arnad e la Tecdis (cristalli liquidi) a Châtillon al posto della Soie.
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1. La situazione industriale valdostana, a cura dell’Assessorato Industria e Commercio, 1983. 2. Espace, temps et culture en Vallée d’Aoste, 1996, pag. 331.
Nella pagina a sinistra: Miniatura del castello di Ussel. Knitting Cotton Malta. Biennale di Forgiatura. Châtillon 2009.
Linee di produzione della Società MDM di Châtillon. 200°
3. ISTAT 1981, 1991. 4. Elaborazione Osservatorio Economico e Sociale su dati ISTAT – Archivio ASIA, 2007.
Venerdì 16 marzo 1990, con una fastosa cerimonia inaugurale, prendeva il via il nuovo stabilimento della Tecdis, costruito nell’area dove sorgeva la Soie. E così la fabbrica, che per 60 anni aveva influenzato la vita del paese, cedeva il posto ad una costruzione moderna, realizzata dall’architetto Albertini di Torino, e adibita alla produzione di cristalli liquidi. La nuova industria, che si attestava tra le più importanti e innovative della Valle, sfortunatamente ha avuto vita breve e con le sue travagliate vicende ha segnato l’epilogo della storia industriale di Châtillon. Consultando i dati sulla popolazione di Châtillon, non si può certamente dire che 184
l’apertura di questa nuova fabbrica abbia fatto registrare incremento demografico, come invece era avvenuto all’indomani dell’entrata in funzione della Soie: la popolazione infatti è passata da 4.657 unità nel 1981 a 4.632 nel 1991 e a 4.712 nel 19963. È evidente che l’industria non rappresenta più l’unica fonte di guadagno e molti sono coloro che si sono rivolti al terziario. Nella elaborazione OES su dati ISTAT del 20074 si contano ventotto attività manifatturiere, e di queste diciannove sono imprese artigiane, su un totale di 403. Il 25,6% è costituito peraltro da attività finanziarie, assicurative, immobiliari, professionali, noleggio e servizi per le imprese; il 19,9% è occupato
Fu Giorgio Minini, imprenditore di origine lombarda, a fondarla nel 1982; negli anni successivi venne affiancato, e lo è tuttora, dai due figli: Luca, amministratore unico, e Ambra, responsabile dell’area commerciale. L’azienda produce attrezzi in metallo duro utilizzati nello stampaggio a freddo, e altri in acciaio per stampaggio a caldo: viti, bulloni e particolari speciali in acciaio e carburo di tungsteno. Può vantare il primato della produzione esclusiva di punzoni coniati in Italia, e nello stampaggio dei punzoni speciali si attesta intorno al 50% del mercato nazionale e al 15% del mercato estero. La società, con i suoi 40 dipendenti, progetta e realizza attrezzature speciali con contenuti innovativi di alto livello; si pone in una nicchia di mercato presente in tutto il mondo nel settore dei trasporti, automobilistico e aerospaziale, dell’elettronica, edilizia, arredamenti ed elettrodomestici. Per il prossimo futuro si prevede un’espansione del mercato verso i paesi dell’Est e del Nord Europa, verso la Cina e l’India, e infine verso Occidente, in Brasile, Stati Uniti e Canada.
dal settore delle costruzioni e il 22,6% dal commercio. Nel territorio comunale di Châtillon sono rimaste pochissime realtà produttive assimilabili all’impresa di carattere industriale. Nell’area occupata per buona parte del Novecento dallo stabilimento Soie, che parzialmente venne utilizzato per la costruzione della Tecdis, attualmente in attesa di nuove destinazioni, hanno trovato posto negli ultimi anni alcune piccole e medie imprese; tra queste la più importante è senz’altro la MDM, che si pone ai più alti livelli nella produzione di attrezzature meccaniche destinate ad applicazioni industriali nel settore della deformazione dei metalli.
La CMP di Luigi Personettaz si trova in frazione Perolles, ai bordi dell’autostrada. La piccola impresa – vi lavorano quattro persone oltre al titolare – progetta e realizza attrezzature destinate all’industria e all’artigianato: stampi per elastomeri, stampaggio di piccole serie di particolari in gomma; parti meccaniche e manufatti per riparazione e manutenzione di macchine di vario genere, congegni speciali per l’automazione, prototipi nel settore della ricerca e dello sviluppo di tecnologie meccaniche ed elettroniche. Furono Cesare Personettaz e Annamaria Della Croce, genitori dell’attuale titolare, ad avviare nel ‘69 l’azienda fornendo macchine e assistenza alla clientela in Valle e nel vicino Piemonte. Luigi Personettaz prosegue l’attività del padre e riconosce l’importanza di una preparazione adeguata che, nell’area di 185
5. Le informazioni sono state fornite dall’Ufficio Relazioni Esterne della CVA, Compagnia Valdostana delle Acque SpA.
Châtillon, viene assicurata ai giovani, che si appassionano alla meccanica di precisione, dall’Istituto dei Salesiani. Altre piccole e medie aziende del settore terziario, tuttora presenti sul territorio, si occupano principalmente della commercializzazione dei prodotti industriali. La Savio Industria caffè liquori di Châtillon conta ormai più di 50 anni di attività. Venne fondata il 1° maggio 1958 da Paolino Savio per la tostatura e vendita al dettaglio di caffè e per la commercializzazione internazionale di grandi marche di bevande alcoliche. Dopo dieci anni di attività trasferì la sua sede vicino al casello autostradale e negli anni Novanta nell’attuale sede di fronte alla stazione ferroviaria. Attualmente vi lavorano venti dipendenti. Per festeggiare il cinquantenario, la Savio ha messo in produzione un nuovo genepì in edizione limitata, che ricava da piantine raccolte nella parte alta dell’alpeggio di Cime Bianche preso in affitto dalla Parrocchia di Valtournenche.
Biennale di Forgiatura. Châtillon 2009.
L’antica tradizione della forgiatura del ferro trova ancora oggi il modo di continuare a vivere, seppure in forme e materiali più consoni alle attuali esigenze del mercato.
Artigiani del ferro e del legno hanno un ruolo di primo piano nella produzione di oggetti di vita quotidiana e di attrezzi di vario tipo. Uno di essi, Romano Sarvadon, modella il ferro nella sua Officina Tour di Châtillon, utilizzando la forgia a carbone con maglio e martello, proprio come faceva suo padre che forniva punte e scalpelli ai muratori. Romano lavora il ferro battuto dal 1986, ma per diversificare la produzione fornisce anche elementi di carpenteria metallica. Il mercato del ferro battuto ha subito un arresto nell’ultimo anno, ma gli estimatori e gli appassionati dell’oggetto costruito con la sapienza e la cultura artigianale non mancano; cultura che – sostiene Romano Sarvadon – richiede passione e conoscenze che potrebbero non avere futuro se non si investe sui giovani e sull’occupazione del domani. Paolo Sarvadon produce serramenti in alluminio; Jean-Marc Martinet e Eric Mus sono artigiani del ferro, producono carpenteria metallica; mentre Lucchetti e Baldelli sono concessionari il primo di elettrodomestici e attrezzature alberghiere, il secondo di macchine confezionatrici e strumenti di misura ad alta tecnologia. A futura memoria di questa arte umile, ma fortemente espressiva e ben radicata nella cultura della cittadina, si svolge la Biennale di Forgiatura di Châtillon alla quale partecipano fabbri provenienti da tutta Italia e dai paesi confinanti, in particolare dalla Francia. I forgerons si esibiscono in creazioni di manufatti in ferro dando prova di grande perizia, abilità e passione.
La Compagnia Valdostana delle Acque Ad oggi, la principale realtà produttiva, per dimensioni e fatturato, avente sede in Châtillon, è rappresentata dalla società CVA, Compagnia Valdostana delle Acque SpA5, che produce ener186
gia sfruttando le acque del territorio regionale. A Châtillon, l’attività di produzione di energia elettrica era presente già nei primi del Novecento, con piccoli impianti idroelettrici. A metà del secolo scorso, quest’attività diventa rilevante con l’entrata in servizio di due impianti costruiti dalla SIP, Società Idroelettica Piemontese, nelle frazioni Breil e Saint Clair, ceduti all’Enel, Ente Nazionale Energia Elettrica, in seguito alla legge che sanciva la nazionalizzazione del settore elettrico (1962). Nel 1987 Enel trasferisce da Ivrea a Châtillon la gestione “tecnica” delle centrali situate in Valle; nello stesso anno viene, di fatto, ultimato il progetto di teleconduzione degli impianti, eliminando il presidio esistente in ogni centrale e accentrando il controllo a distanza in un unico punto, detto il Posto di Teleconduzione, nel Comune di Pont-Saint-Martin. La politica regionale, da sempre interessata a raggiungere l’autonomia nella gestione delle risorse idriche presenti sul suo territorio, nel 1995, acquisisce da Ilva Centrali Elettriche, tramite la sua società finanziaria Finaosta, tre centrali idroelettriche situate a Verrès, Villeneuve e Cogne, creando così la società CVA SpA, con sede ad Aosta. Nel 1997 CVA acquista dall’Amministrazione Regionale la centrale di Issime, che apparteneva al gruppo Ilssa Viola di Pont-Saint-Martin, operante nel settore siderurgico valdostano. L’entrata in vigore del Decreto Bersani del 1999, che stabilisce in recepimento alle direttive comunitarie la privatizzazione e la riorganizzazione del settore elettrico, permette alla Regione di giungere, dopo anni di trattative, all’accordo del 19 aprile 2000 per la vendita, da parte dell’Enel, degli impianti ubicati sul territorio regionale. La Valle d’Aosta diventa così la prima regione in Italia ad essere autonoma nella gestione delle acque e delle risorse che da esse derivano. L’accordo di vendita diventa esecutivo il 1° giugno del 2001 con la creazione della società Geval SpA, che sei mesi più tardi, il 1° gennaio del 2002,
incorpora la preesistente società CVA, di proprietà della Regione, acquisendone i siti produttivi e assumendo la nuova denominazione di “CVA Compagnia Valdostana delle Acque – Compagnie Valdôtaine des Eaux SpA” con sede a Châtillon, in via Stazione 31. Le trenta centrali idroelettriche, dislocate in vari Comuni della Regione, hanno una potenza nominale complessiva di 908 mW e producono mediamente 2.700 milioni di kWh all’anno. Nell’Alta Valle, a febbraio 2010 è entrato in funzione un impianto di nuova costruzione a Faubourg e uno nuovo è previsto nel 2011 a Torrent. Con la costituzione della nuova CVA, confluiscono a Châtillon, oltre alle attività di gestione tecnica degli impianti, già presenti in paese con l’Enel, anche tutte le attività amministrative e commerciali, che prima erano svolte a Torino e a Roma. L’esercizio e la manutenzione degli impianti resta suddivisa nei quattro Reparti Operativi, di cui uno ha sede a Châtillon, frazione Breil, e ha competenza sugli impianti denominati Saint Clair, Châtillon, Covalou, Maën, Perrères e sulle dighe di Cignana e Goillet. Il controllo a distanza di tutti gli impianti avviene oggi tramite il Posto di Teleconduzione che si trova nella sede di Châtillon. Una caratteristica particolare di CVA è la produzione di energia esclusivamente da fonte rinnovabile, quindi pulita al 100%, valorizzata dal marchio “Eaux de la Vallée Energia pura” che la contraddistingue a livello nazionale. A Châtillon hanno sede anche le società controllate: CVA Trading, Valdigne Energie, Idroenergia, Idroelettrica. Queste ultime sono consorzi di autoproduzione, CVA Trading è la società di vendita dell’energia elettrica, mentre Valdigne Energie è la società che gestisce gli impianti di nuova costruzione. Il Gruppo CVA fornisce energia su tutto il territorio nazionale ad aziende con consumi significativi, mentre in Valle la fornisce anche alle aziende di piccole dimensioni e ai clienti domestici. 187
Il futuro degli insediamenti industriali dismessi Da almeno trent’anni si pone alle amministrazioni pubbliche territoriali il problema delle strutture industriali dismesse, connesso alla crisi e alla chiusura definitiva di gran parte degli impianti produttivi sorti tra la fine del XIX e lungo tutto il secolo successivo. Che fare, per esempio, delle miniere, delle cave, delle stazioni ferroviarie, degli stabilimenti ormai in disuso e quasi sempre di enormi dimensioni, al punto di occupare porzioni importanti di suolo edificabile? Le scelte si sono sostanzialmente indirizzate verso due soluzioni: l’abbattimento delle strutture, sovente per fare posto a centri commerciali, multisale cinematografiche, altri poli produttivi di piccole e medie dimensioni, laboratori artigianali, fiere e mercati, manifestazioni. Un’altra soluzione, sicuramente più onerosa e complessa, ma anche più politicamente corretta, perché si proietta nel futuro e pone le basi per uno sviluppo sostenibile del territorio, è stata quella della creazione di ecomusei volti alla conservazione e alla salvaguardia di un patrimonio di conoscenze e di memoria che, con il cambio generazionale, andrebbe definitivamente perso. Non solo, il declino delle industrie ha portato con sé una grave crisi economica generalizzata e all’abbandono, almeno tendenziale, delle aree industriali. È diventato quindi indispensabile rivitalizzare queste aree e conservarne gli elementi strutturali per evitarne lo snaturamento e la creazione di comunità estranee al passato del luogo, con la perdita radicale di ogni legame, affettivo e culturale, con la storia del territorio. Gli esempi fin qui realizzati in tutta Europa, dove il fenomeno si è presentato con estrema drammaticità, danno esiti positivi e in molti casi entusiasmanti: le attività economiche hanno ripreso vigore, sulla spinta del turismo culturale che si è sviluppato intor-
no all’ecomuseo. Oltre all’occupazione di numerosi addetti per le opere di ripristino e riqualificazione delle strutture dismesse, si è creato un diffuso indotto sul territorio, fatto di attività di ristorazione, di alberghi, di mezzi di trasporto, vendita di gadgets e souvenirs, e così via. Inoltre, intorno ad un ecomuseo tematico si sviluppano iniziative di studio e formazione: stages e laboratori di restauro, addestramento di persone per rimettere in funzione macchine e impianti, non solo a scopo dimostrativo, ma anche produttivo, che poi è il modo migliore per trasmettere conoscenza e consapevolezza dei sistemi economici del passato6. Tutto ciò trova piena attuabilità nel comprensorio industriale (oggi limitato a poche realtà produttive) di Châtillon, che può vantare un patrimonio di archeologia industriale di tutto rispetto e pressoché unico nel panorama valdostano. Le antiche miniere, attive sin dal Medioevo, sul versante di Ussel e Bellecombe, le cave di marmo sul fronte opposto, sulla collina di Châtillon, che hanno dato marmo di pregevole qualità per buona parte del Novecento, sono facilmente raggiungibili e si prestano ad un percorso museale. La gloriosa Fabrique Royale d’Acier, dalla prospettiva inconsueta, posta com’è a ridosso dell’alveo del torrente Marmore e quindi nel punto più basso dell’orrido su cui si affaccia l’arditissimo ponte moderno che collega il Borgo con Chameran, è testimone dei tempi d’oro della siderurgia châtillonaise, sotto la direzione intelligente e operosa dei maîtres de forges della famiglia Gervasone. Le fabriques di Conoz, nascoste nel folto della boscaglia cresciuta intorno ai ruderi delle costruzioni che ospitarono forge e forgerons per lunghissimo tempo, rappresentano oggi un passato ancora più lontano, quando vi erano attive fucine per la lavorazione dei metalli. Altre fucine erano situate nel Borgo e a Chameran: nei vicoli del Borgo, che portano i nomi delle attività che vi si svolgevano, si trova la splendida fucina 189
Nella pagina a sinistra: Immagini della Biennale di Forgiatura e della Sagra del miele. Châtillon 2009.
6. Sull’argomento si veda: Massimo Negri, La valorizzazione museale del patrimonio industriale in Italia, in Le Strade del Ferro. Contributi per un progetto museale in Valle d’Aosta, Quaderno 1 del Museo Minerario Alpino, Cogne 1991.
Torreano, esempio di museo spontaneo, in cui attrezzi e macchine aspettano pazientemente di essere visitati, studiati, presi a modello per le moderne creazioni in ferro. E poi ancora, sulla strada che conduce al Ponte Romano e alla chiesetta della Madonna delle Grazie, un’antica insegna, Laine Valdôtaine, segnala la presenza di un’altra preziosa realtà industriale di Châtillon, il Lanificio appartenuto da sempre alla famiglia Guglielminetti, unico esempio in Valle d’Aosta di industria tessile tradizionale. Nello stesso edificio è conservato un cimelio della storia idroelettrica della Valle: nel 1892 vi fu installata una turbina idraulica Hercule, di fabbricazione francese, per l’illuminazione dell’opificio e per il funzionamento delle macchine nei reparti di filatura; la stessa turbina, a partire dal 1899, fornì l’energia elettrica per l’illuminazione del paese. Ma la grande industria approdò sul suolo châtillonais nel 1919: la Soie, demolita nel 1990 per far posto ad un nuovo impianto industriale, rimane nei ricordi di quanti vi hanno lavorato e, a testimonianza dell’importanza di quell’insediamento, restano tre palazzine riutilizzate per ospitare la scuola alberghiera. Gli edifici hanno mantenuto la loro struttura originaria e le eleganti decorazioni liberty, nonostante i lavori di riattamento abbiano reso necessario aggiungere elementi moderni e funzionali alla nuova destinazione d’uso. Ma l’ecomuseo non sarebbe completo se non vi fossero compresi i tracciati dei ru, la cui acqua e la manutenzione attenta e continua degli châtillonais hanno reso possibile la realizzazione di questo mondo industriale (e industrioso) appena ricostruito nei suoi elementi ancora visibili sul territorio, la vera, autentica petite ville industrielle. In questa prospettiva, l’Amministrazione Comunale di Châtillon nel 2008 ha promosso una iniziativa, ad oggi avviata con un progetto preliminare, volta alla riqualificazione dell’area delle Ferriere Gervasone, tra tutte le 190
emergenze architettoniche del parco archeologico del centro urbano sicuramente la più suggestiva, per lo scenario nel quale è immersa e per l’interesse storico di cui è oggetto. Il recupero dell’area contribuirà tanto «alla storia della metallurgia quanto all’immagine e alla qualità ambientale», si legge nel progetto che prevede in primo luogo la valorizzazione del sito, la realizzazione di un percorso storico e panoramico nel borgo di Châtillon, la messa in sicurezza dell’area, la restituzione alla cittadinanza di un sito e della memoria di un’attività economica e imprenditoriale di primaria importanza per buona parte dell’Ottocento. Un’altra iniziativa, sempre nella prospettiva di rendere fruibile un’area di indubbio fascino, propone la creazione di un parc de tyroliennes, ovvero la predisposizione di un percorso che permetta la discesa lungo la gorgia del Marmore, con l’utilizzo di tyroliennes, ponti nepalesi e vie ferrate. Si auspica che il percorso venga integrato con l’esplorazione del patrimonio naturalisticoarcheologico, inserendo la Fabrique Royale d’Acierr nel contesto ambientale dell’orrido. Tali progetti, se andranno in porto, potrebbero rappresentare il primo tassello di un mosaico molto più composito nel quale troverebbero posto le riqualificazioni degli insediamenti industriali dismessi, in una visione integrata del territorio e quindi comprensiva di tutte le strutture che nel tempo ne hanno fatto la storia.
Scénarios pour l’avenir
Les années quatre-vingts ont marqué la phase la plus aiguë de la crise en cours dans l’industrie valdôtaine. Si, en 1961, l’industrie contribuait à fournir 60% du chiffre d’affaires dans la Région, en 1993 ce pourcentage descendait à 30%. Suite à ces changements, le paysage industriel de la Vallée d’Aoste changea profondément, avec la naissance de petites et moyennes entreprises qui utilisaient de nouvelles technologies. Dans la ville de Châtillon, n’existent presque plus de réalités productives à niveau industriel. Sur le terrain occupé pour une bonne partie du XXème siècle par l’établissement de la Soie, dont une portion a été successivement utilisée pour la construction de Tecdis, actuellement en attente de nouvelles destinations, ont trouvé leur place, pendant les dernières années, de petites et moyennes entreprises, dont la plus importante est sans aucun doute MDM, une société qui se situe aux plus hauts niveaux dans la production d’équipements mécaniques destinés aux applications industrielles dans le domaine de la déformation des métaux. La CMP de Luigi Personettaz est par contre une petite entreprise qui conçoit et fabrique des équipements utilisés dans l’industrie et l’artisanat. D’autres petites et moyennes sociétés dans le secteur tertiaire, encore présentes sur le territoire, traitent principalement la commercialisation de produits industriels. L’ancienne tradition de forger le fer trouve encore aujourd’hui le moyen de survivre, quoiqu’avec des formes et des matériaux adaptés aux besoins actuels du marché. En mémoire de cet art humble, bien enraciné dans la culture de la ville, se déroule la Biennale de la Forge de Châtillon: y participent les forgerons provenant de toute l’Italie et des pays voisins, particulièrement de la France, qui exhibent leurs créations de fer fabriquées à la main démontrant une grande habileté, compétence et passion. Parmi les principales activités pour l’avenir de Châtillon, se distingue la Compagnie Valdôtaine des Eaux SpA, dont le siège se trouve au numéro 31 de Rue de la Gare, où a été également installé le Poste de Téléconduite. L’entreprise, connue sous l’acronyme CVA, possède trente centrales hydroélectriques réparties dans toute la Région, qui produisent 908 mW de puissance nominale totale et environ 2.700 millions de kWh par an. Bientôt, entreront en service deux autres centrales, Faubourg et Torrent, situées dans la Commune de La Thuile dans la haute Vallée. Les données ISTAT de 2007 mettent en évidence un processus probablement irréversible: sur vingthuit sociétés manufacturières dix-neuf sont artisanales, et la grande industrie a définitivement disparu; le commerce et les services, ainsi que l’activité de construction, tout en occupant un pourcentage important, emploient toutefois un nombre réduit de travailleurs, avec pour conséquence l’appauvrissement de la population. La désindustrialisation a posé le problème des structures industrielles abandonnées, lié à la crise et la fermeture définitive de la plupart des usines construites entre la fin du XIXème et tout au long du siècle suivant. Que faire des mines, des carrières, des gares, des établissements en désuétude? Les exemples jusqu’à maintenant réalisés en Europe, où le phénomène a été dramatique, donnent toutefois des résultats positifs et souvent enthousiasmants: les activités économiques ont repris vigueur, grâce au tourisme culturel qui s’est développé autour des Ecomusées. En plus de nouveaux emplois pour la réhabilitation et le réaménagement des structures abandonnées, de nombreuses activités se sont établies sur le territoire, en revitalisant les communautés et en redonnant un sens à leur histoire. 191
Approfondimenti e Documenti
Gaspard lasciò alcune tracce di sé anche nella Pierre Alexandre Gaspard: un imprenditore châtillonais a Parigi sua Regione, per esempio con l’acquisto nel
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ierre Alexandre Gaspard, nato a Châtillon l’8 aprile 1810 da Jean Gaspard Gaspard e Marie Laurence Roveyaz1, può rappresentare una figura significativa in una storia delle attività economiche di Châtillon nei secoli XIX e XX, sia per il lavoro particolare che esercitò (egli fu infatti litografo ed editore di immagini sacre a Parigi e dimostrò di possedere allo stesso tempo caratteristiche artistiche e attitudini imprenditoriali); sia per il grande successo economico e sociale che conseguì e gli permise di partecipare ad eventi economicamente e culturalmente importanti, come l’Esposizione Universale di Londra del 1851 e quella di Parigi del 1855, dove ricevette importanti riconoscimenti e fu insignito della medaglia di bronzo2. L’attività professionale non solo permise a quest’intraprendente e abile artigiano/artista valdostano di conseguire una notevole ricchezza, ma gli fece anche ottenere riconoscimenti, di cui egli fu giustamente molto orgoglioso e che conservò con gelosa cura fino alla morte, da parte delle più importanti autorità religiose, politiche e culturali e della sua epoca: il Papa Pio IX, il Re di Sardegna Carlo Alberto e l’Imperatore Napoleone III. Egli operò per più di vent’anni a Parigi, dunque lontano dalla sua comunità d’origine, ma mantenne comunque contatti con essa. Inoltre, al termine della sua carriera professionale, rientrò in patria, vi si stabilì e vi morì il 10 agosto 1874. Nonostante la sua lunga lontananza dalla Valle d’Aosta, dal 1837 ai primi anni ‘60,
1862 dei castelli di Verrès e Issogne3 (che però furono venduti nel 1869 al barone francese Marius de Vautheleret); con la riproduzione di una celebre stampa di Sant’Orso4 e con la frequentazione di Claude François Bich, che lo ricorda come uno dei lettori del suo libro Notes historiques sur Châtillon et son mandementt e ne rammenta la data di morte nel suo Abrégé du paroissien roman par aucun imprimeur. La figura di Pierre Alexandre Gaspard suscita dunque molto interesse, per i contatti che egli riuscì a stabilire con personaggi di grande rilievo politico, per la sua capacità di unire buone competenze in ambiti molto diversi tra di loro, come per esempio la tecnica, l’arte, il mondo imprenditoriale, e infine per il suo carattere intraprendente e tenace. La famiglia Gaspard Della famiglia di Pierre Alexandre Gaspard si conservano numerose tracce nell’archivio storico comunale e in quello parrocchiale. Possiamo così conoscere il nome dei nonni paterni, Marie Louise Vuillermoz, di Jean Pierre, nata a La Magdeleine, e Jean Léger Gaspard, originario di Valtournenche, di due zii, Jean André (1761-1827) e Jean Martin (1770-1831), fratelli del padre Jean Gaspard (1764-1816), nonché dei fratelli e delle sorelle, zii, naturali o acquisiti, cugini, cognati e nipoti. I tre fratelli Gaspard, Jean André, Jean Gaspard e Jean Martin sembrano essere molto energici nella loro attività professionale. Il primogenito Jean André, negoziante e pro193
Nella pagina di sinistra: Immagini della Sagra del miele. Châtillon 2009.
1. Nell’Archivio della chiesa parrocchiale di Châtillon sono conservati sia l’atto di battesimo sia quello della morte di Pierre Alexandre Gaspard, oltre a quelli di tutta la sua famiglia. 2. Tutta la documentazione citata su Pierre Alexandre Gaspard si trova in ACCH, Serie III, 51, 1. 3. Si vedano le notizie su Gaspard, proprietario del castello di Issogne dal 15 novembre 1862 al 1869, in Omar Borettaz, I graffiti del castello di Issogne, 1995; Sandra Barbieri, Declino e rinascita nel corso del XIX secolo, in Documenti, Il castello di Issogne, 1999. Su Gaspard e il castello di Verrès si veda Ottavio Giovanetto, I seicento anni del castello di Verrès, 1991. 4. Lin Colliard, Artisti valdostani… che rischiano l’oblio”, Corriere della Valle d’Aosta, Aosta 12 ottobre 1995, pag. 3.
Disegno di Claude François Bich tratto dal suo manoscritto Notes historiques sur Châtillon et son Mandement, 1873. Archivio Parrocchiale di Châtillon.
prietario, dalla fortuna presunta di 15.000 franchi, risiede nel Borgo ed esercita, nei primi anni del XIX secolo, la funzione di conseiller municipal public; il più giovane Jean Martin, maréchal ferrantt e forgeron, risiede a Chameran con la famiglia e alcuni dipendenti, garçons de forge. Entrambi sono apprezzati nella comunità e attivi nell’ambito economico e in quello politico. Tra i fratelli, il secondogenito Jean Gaspard ha probabilmente la vita più ricca di soddisfazioni e di impegni. Egli infatti unisce ai suoi interessi professionali legati all’agricoltura (è definito in alcuni atti cultivateur e in altri propriétaire) un’attività al servizio della comunità: è infatti conseiller municipal nei difficili anni dell’occupazione francese e Sindaco di Châtillon nel 1799. Sue notizie 194
sono fornite da un altro châtillonais, Claude François Bich. Questi, nella sua Mémoire ou notices historiques sur Châtillon et le Mandement del 1862, nel capitolo intitolato Des anciennes guerres et du Régiment des Socques, ricorda l’importante azione del conseiller municipall Jean Gaspard Gaspard e dei suoi colleghi, che avevano il difficile compito di mediare tra gli ordini delle autorità francesi e le proteste della popolazione locale in numerose circostanze, non ultima quella della seconda Révolution des Socques nel 1801. Dalla stessa fonte abbiamo notizie anche sulle posizioni politiche di Jean Gaspard, che viene definito di sentimenti “antifrancesi”, come del resto tutti i suoi colleghi consiglieri, e sull’abitazione della famiglia, che risulta essere posta nel Borgo, precisamente si trova a est della antica
casa comunale, tra casa Ducly e casa Bondaz. Oltre alle attività professionali e alla politica, Jean Gaspard Gaspard si dedica alla numerosa famiglia. Infatti i figli che lui e la moglie Marie Laurence mettono al mondo sono ben undici. Pierre Alexandre è l’ultimogenito, nato dopo cinque fratelli e cinque sorelle. Rimasto a soli sei anni orfano del padre, improvvisamente mancato il 7 aprile 1816, egli è allevato dalla madre, che muore il 19 febbraio 1830, e certamente seguito dagli zii e dai fratelli maggiori Charles Joseph e Gabriel, che è anche il padrino del suo unico figlio maschio. Pierre Alexandre si sposa quando è ancora molto giovane con Célestine Magdeleine Rey, e da lei ha tre figli: Pierre Louis Gabriel, che nasce il 21 giugno 1831 ed è l’unico che
sopravvive fino all’età adulta, Rosalie Mélanie (1833) e Rosalie Laurence (1835), che muoiono in tenera età, rispettivamente a due e a sei mesi. Uno châtillonais a Parigi Probabilmente in seguito a questi lutti familiari, cui si aggiunge la morte della moglie mancata a 28 anni l’8 settembre 1837, Pierre Alexandre emigra in Francia, forse passa per Chambéry (dove si trova il figlio Louis nel 1837) e si ferma a Parigi. Lì nel 1838 è fondata la ditta “Gaspard éditeur”, specializzata nella produzione di immagini sacre, in particolare, come è specificato nella carta intestata della ditta, “Chemin de la croix, tableaux d’Église et estampes”. In realtà la produzione dei primi anni non 195
5. Répertoire des Catalogues du Mobilier et des objets réligieux des XIXème et XXème siècle è reperibile sul sito: www. inventaire.culture.gouv.fr. alla voce Gaspard P. A. 6. L’immagine della stampa è stata pubblicata e descritta da Ada Peyrat, t Immagini della Valle d’Aosta nei secoli, 1983, pag. 102. Della stampa di San Grato si è occupato anche Lin Colliard, op. cit., pag. 3
deve essere particolarmente ricca, soprattutto non comprende ancora tra i soggetti rappresentati la Via Crucis, che in seguito procurerà grandi elogi e riconoscimenti all’editore. Si può descrivere la tecnica utilizzata con le parole del catalogo della ditta che nel 1853 scrive: «Chemins de la croix, peinture à l’huile sur toile, peinture à l’huile sur lithographie appliquée sur toile, chemins de croix appliqués sur toile, coloris fixe, perfectionné, imitant la peinture à l’huile, ne nécessitant ni verre, ni cartons pour l’encadrement et offrant une grande économie de prix»5. La sede della ditta è in Rue des Cannettes, ai numeri 7 e 9, vicino alla chiesa di Saint-Sulpice, e la produzione per tutti gli anni ‘40 deve essere abbastanza tradizionale. Nelle lettere di ordinazioni di questo periodo sono infatti molto richieste immagini di santi, come Santa Maria dell’Incarnazione, San Filippo Neri e, soprattutto, la litografia dei settanta martiri della Cina, Cocincina e Tonchino. È proprio grazie a quest’ultimo soggetto che giunge il primo riconoscimento a Monsieur Gaspard da parte di un’autorità politica molto importante, il Re di Sardegna Carlo Alberto. Infatti il 18 settembre 1845, dimostrando una grande capacità di coltivare relazioni con capi di stato, scrive al sovrano, chiedendo il permesso di inviare in omaggio «quelques exemplaires de la planche des soixante dix serviteurs de Dieu avec leurs notices». Il sovrano comunica il suo favore all’imprenditore attraverso una lettera del Segretario di Stato agli Affari Esteri, conte Solaro della Margherita, e gradisce l’omaggio tanto più volentieri in quanto, secondo le parole del conte: «SM est informée de l’esprit tout à fait louable qui vous a dirigé dans cette publication religieuse et dans toutes celles de même nature dont vous vous occupez spécialement et avec succès». La lode più grande e più apprezzata della litografia dei settanta martiri della Cina giunge però a Monsieur Gaspard addirittura dal Papa Pio IX, che l’11 giugno 1853 fa scrivere 196
da Domenico Fioramonti, cardinale originario della Ciociaria, un bref d’éloge, unitamente al quale è inviata una medaglia d’oro, che viene in seguito rappresentata nella carta intestata e nei biglietti da visita della ditta. Un altro soggetto della produzione di Pierre Alexandre Gaspard è San Grato, un personaggio particolarmente caro alla tradizione popolare e religiosa valdostana. La stampa dedicata al patrono di Aosta è abbastanza conosciuta ed è datata intorno agli anni ‘506. Essa è costituita da un ovale centrale, dominato appunto da San Grato che benedice i prodotti della terra, sovrastato da un riquadro più piccolo, che riproduce l’Apoteosi del Santo. Sotto l’ovale si trovano il titolo della tavola e l’indicazione “Propriété de Gaspard et Cie”. Ai due lati dell’ovale sono rappresentate otto scene della vita del Santo (quattro delle quali sono ambientate sicuramente in Valle d’Aosta). Nel corso degli anni ‘50 la sede della ditta di Gaspard si trasferisce in Rue de Madame, al numero 1. Si può ipotizzare che il trasloco sia effettuato verso una sede più grande e più prestigiosa, visto il notevole successo dell’attività professionale. Non è chiaro invece se l’indirizzo dei laboratori sia anche quello dell’abitazione, dove Pierre Alexandre abita con la seconda moglie Rosalie Lechat. Il matrimonio è stato celebrato a Parigi ed è stato preceduto da un contratto matrimoniale, che definisce le questioni economiche tra i coniugi, stipulato il 24 novembre 1848 presso il notaio Leon Pierre Sereville. Non abbiamo notizie sulla nascita di figli da questo secondo matrimonio, ma è probabile che non ve ne siano stati (o per lo meno nessuno è sopravvissuto al padre). Sulla seconda signora Gaspard, invece, possediamo qualche riga scritta da un amico di famiglia, che scrive a Gaspard dopo il ritiro dall’attività di quest’ultimo e saluta anche la moglie, definendola toujours souriante et bien aimée. I cambiamenti più importanti, però, non riguardano solo il matrimonio e il trasferi-
mento della sede. Pierre Alexandre Gaspard infatti non si accontenta di percorrere sempre lo stesso “cammino”, seppure ormai molto apprezzato, ma vuole diversificare e perfezionare la sua produzione. Pertanto negli anni ‘50, dopo avere già raggiunto una certa fama e un discreto successo, egli si dedica alla produzione di Chemins de la croix, cioè delle stazioni della Via Crucis. Le motivazioni che lo spingono a questa scelta sono probabilmente numerose (non ultimo quelle economiche), però l’editore in alcuni documenti, scritti per presentare la produzione in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1855, mette in rilievo soprattutto il profondo spirito religioso e la precisa volontà artistica, capaci di offrire una visione unitaria di un fenomeno complesso e articolato in quattordici momenti come la passione e la morte di Gesù Cristo. Gaspard si sofferma anche sull’aspetto più prettamente professionale e pratico della sua attività lavorativa e tiene a sottolineare, con un certo orgoglio: «Mon oeuvre est à la fois une Création et de l’art industriel [sottolineato dallo stesso autore, ndr]. Les tableaux que j’ai l’honneur de vous soumettre sont de deux dimensions, la plus petite est une réduction de la plus grande: or en faisant cette réduction, j’ai découvert un procédé industriel qui m’appartient et au moyen duquel je peux livrer au prix de 40 à 50 francs l’un des tableaux peints à l’huile sur toile et d’une exécution telle qu’on ne pourrait le faire dans les conditions ordinaires pour le prix de 250 à 300 francs». È questo un aspetto interessante della personalità di Pierre Alexandre Gaspard: egli tiene a sottolineare la sua capacità di produrre “oggetti” aderenti alla verità religiosa, belli, probabilmente unici sul mercato, ma anche convenienti e economici. Altri cenni sulla tecnica della produzione delle stazioni della Via Crucis sono contenuti in un testo successivo, precisamente nella relazione presentata all’Athénée des arts, sciences
et belles lettres di Parigi il 16 marzo 1857 dalla commissione incaricata di esaminare la produzione di Gaspard in vista dell’assegnazione di una medaglia d’oro. Il relatore, M. Boillon, parla anche a nome dei suoi colleghi Bernard, Pradier e Fodéré; dopo un breve elogio di alcune litografie della ditta di immagini sacre, insiste sul doppio “punto di vista”, artistico e industriale, con il quale bisogna valutare la Via Crucis e fornisce alcune importanti indicazioni sulla sua realizzazione pratica. L’idea originale è dell’imprenditore di Châtillon, che si affida per l’esecuzione «au pinceau habile de M. Colin, celui qui a si bien compris les sujets qu’on lui donnait à peindre, qu’il lui eut été difficile de faire mieux, quand lui même il aurait conçu la pensée qu’il a si bien rendue». Del dipinto originale viene eseguita la copia, «exécutée en partie par des procédés particuliers, de façon à répondre aux exigences du goût le plus éclairé et à des conditions pécuniaires telles, que nulle part on ne rencontrerait quelque chose de comparable. Cette extrème modicité de prix était indispensable pour réaliser complètement les projets de l’auteur, je veux dire la propagation de l’oeuvre religieuse et artistique»7. L’autore di questa relazione all’Ateneo delle Arti si sofferma molto, visto il compito che deve assolvere, sulla produzione professionale, ma dona anche qualche informazione sul carattere dell’uomo, riconoscendogli laboriosità, intelligenza, merito, perseveranza e capacità di sacrificare tempo e denaro alla realizzazione di un obiettivo. Questi apprezzamenti positivi sono forse scontati, dato il contesto ufficiale in cui sono pronunciati, ma acquistano un certo valore se si vuole compiere il tentativo di comprendere la dimensione non solo professionale, ma anche umana del personaggio. L’impegno profuso nel lavoro ha avuto sicuramente un risultato positivo e Pierre Alexandre Gaspard diventa un artigiano molto noto e molto richiesto in Francia e 197
7. ACCH, Serie III, 51, 1, Rapport fait à l’Athénée des arts, sciences et belles lettres de Paris, sur un chemin de la Croix de M. Gaspard, Paris le 16 mars 1857.
Stazione della Via Crucis realizzata dalla ditta Gaspard. Chiesa parrocchiale di Arvier. 8. Su P. A. Gaspard autore delle stazioni della Via Crucis della chiesa di Arvier si vedano: Bruno Orlandoni, Architettura in Valle d’Aosta, 1996; Bruno Orlandoni, Elisabetta Viale, Architettura religiosa e arti figurative, in Arvier, una comunità nella storia, 2005, pagg. 325-386.
all’estero. Egli è citato in numerosi periodici, riceve ordinazioni, soprattutto delle sue celebri Vie Crucis, da ogni parte della Francia (e anche dalla Valle d’Aosta, dove una è acquistata dalla chiesa di Arvier nel 1858)8. Tra i suoi “clienti”ci sono non solo semplici parroci, ma prelati di “alto livello”: vescovi, arcivescovi, direttori di seminari. Inoltre, dopo aver esposto i suoi prodotti all’Esposizione Universale di Londra del 1851 e avere vinto una medaglia di bronzo, egli 198
partecipa a quella di Parigi del 1855, anche se la Commissione imperiale dell’Expo non lo ammette nella sezione Belle Arti, come egli aveva richiesto, ma in quella dell’Industria. Il successo di pubblico e di lodi è comunque grande, tanto che l’editore viene decorato con un’altra medaglia, sempre di bronzo. D’altra parte l’impegno per l’Expo messo in atto da Monsieur Gaspard è totale, egli non solo si attiva per partecipare alla manifestazione, ma conserva anche le lettere di invito
e i volantini relativi alle iniziative correlate all’Esposizione stessa, per esempio una cena di gala in onore dell’imperatore, finanziata dagli espositori allo scopo di dimostrargli il loro affetto e la loro gratitudine. Gaspard sicuramente ha dei buoni motivi per manifestare devozione verso Napoleone III, poiché la casa imperiale negli anni 1855-1859 è un’affezionata cliente, in particolare acquista oggetti sacri e li dona a varie chiese di Parigi. È preposto a tale compito il canonico e dottore in teologia Charles Ouin-la-Croix, Grand-Aumônier de la Maison de l’Empereur che si occupa di fornire le chiese povere di oggetti religiosi9. Per quanto riguarda la Via Crucis il fornitore è appunto l’artigiano di Châtillon, il prelato gli scrive per ordinare le opere, provvede inoltre ai mandati di pagamento e addirittura per un lavoro gli raccomanda un giovane pittore suo conoscente. A titolo di riconoscimento ufficiale delle frequenti relazioni commerciali tra l’editore di Rue Madame e l’entourage di Napoleone III, quest’ultimo, attraverso il Ministro dell’Imperial Casa, l’11 aprile 1856 conferisce a Pierre Alexandre Gaspard il brevetto di fornitore ufficiale dell’Imperatore, titolo che viene anche ricordato nel biglietto da visita dell’editore. È questo un momento di grande successo per l’artigiano/artista valdostano, a suggello del quale l’anno seguente si aggiungono altre due medaglie d’oro attribuite dall’Académie nationale, agricole, manufacturière et commerciale e dall’Athénée des arts, sciences et belles lettres. In entrambi i casi la motivazione dell’importante riconoscimento è legata alla Via Crucis; a questo proposito l’Ateneo delle arti, scienze e belle lettere è particolarmente elogiativo, nella relazione della Commissione incaricata, e molto formale nella cerimonia di consegna della medaglia, che avviene domenica 5 aprile 1857, nel corso di una seduta solenne. Proprio in questo momento di grandi suc-
Marchio della ditta Gaspard sul retro della tela, riportata nella pagina a fianco.
cessi e riconoscimenti, però, Pierre Alexandre Gaspard decide di ritirarsi dagli affari e di cedere la sua attività a Monsieur L. Chausson. Questi mantiene nel suo biglietto da visita l’indicazione sia del nome del suo predecessore, sia dei riconoscimenti (brevetto di fornitore dell’Imperatore, medaglie) da lui ottenuti. Evidentemente il nome Gaspard è una garanzia di serietà professionale e successo. Forse tra i motivi che spingono a ritirarsi dagli affari l’imprenditore, che ha solo cinquant’anni, non ci sono solo l’appagamento per gli ottimi risultati ottenuti e il desiderio di godersi il meritato riposo dopo una vita di lavoro. Probabilmente proprio il successo conseguito dall’editore valdostano ha suscitato in colleghi di lavoro e concorrenti gelosie e rivalità, spiacevoli da sopportare, come appare dalla lettura di alcune lettere personali, nelle quali un amico parla di: «jalouses « et basses attaques de ceux à qui vous donniez le pain quotidien»10. Il ritorno a Châtillon Quali che siano i motivi del suo ritiro a vita privata, l’artista ritorna nella sua Regione d’origine e nel 1862 acquista per 40.000 lire dal conte Cristino (Christin) Passerin d’Entrèves i castelli di Verrès e di Issogne. L’atteggiamento tenuto da Gaspard in questi anni nei confronti del patrimonio storico ed artistico della Regione è già stato studiato e non è quello che ci piacerebbe vedere in un personaggio che è, oltre che un grande imprenditore, anche un uomo legato all’arte. 199
9. Notizie sull’attività del Grand Aumônierr Ouin de la Croix e sui contatti con Gaspard si trovano in Catherine Granger, Mémoires et documents de l’Ecole des chartes..., 2005, pag. 69. 10. La lettera citata, purtroppo con una firma incomprensibile, si trova in ACCH, Serie III, 51, 1.
11. ACCH, Sezione Seconda, 119, Régistre des délibérations de la Congrégation de Charité du 1859 à 1889.
Egli infatti non si rivela un “mecenate”, interessato all’arte, non si cura della ristrutturazione dei due edifici, ma ne vende numerosi e importanti oggetti d’arte ad acquirenti privati e pubblici. Ne è un esempio la vendita nel 1867, al Museo Civico di Torino, di alcuni arredi provenienti dalla cappella del castello di Issogne: una parte degli stalli e frammenti della vetrata istoriata raffigurante la Fuga in Egitto e la Disputa di Gesù con i dottori e quattro pannelli del polittico sopra l’altare. Infine, i due castelli sono nuovamente venduti, nel 1869, al barone Marius de Vautheleret, ingegnere francese impegnato nello studio del collegamento ferroviario tra Aosta ed Ivrea. Nel frattempo, Gaspard mantiene importanti relazioni all’interno del paese, dove conosce Claude François Bich che gli fa leggere il suo manoscritto. Gli anni a Châtillon danno a Pierre Alexandre Gaspard la possibilità di riprendere i contatti con i parenti, che necessariamente si sono allentati durante gli anni del soggiorno a Parigi. Molti dei suoi numerosi fratelli non ci sono più, ma qualcuno della numerosa famiglia Gaspard è ancora in vita: per esempio le sorelle Marie Anne Thérèse, che è sposata con Jean Nicola Berton e muore durante l’epidemia di colera del 1868; e Marie Rosalie, che è sposata con Gilles Joseph Herin, sopravvive al fratello e muore il 7 ottobre 1881; la cognata Josephine Roussi e i nipoti Gaspard, Berton, Herin. Più difficili sono invece le relazioni con la moglie Rosalie, dalla quale si separa nel 1866, in seguito ad un giudizio reso dal Tribunale del dipartimento della Senna ed accompagnato da una liquidazione in denaro, il 12 maggio 1867. Si allentano moltissimo anche i contatti con l’unico nipote Louis Gaspard, nato a Parigi dal figlio Pierre Louis Gabriel, tanto che al momento della morte il nonno non sa nemmeno se il giovane sia ancora in vita e non lo cita nel testamento. 200
Gli ultimi anni non devono essere troppo felici neppure dal punto di vista economico, in quanto il patrimonio al momento della morte, avvenuta il 10 agosto 1874, è calcolato dalla Congregazione di Beneficenza, nominata erede universale, intorno a 15.346,80 lire. Ci sono però anche un passivo di 2.383,95 lire, numerose migliaia di lire di debiti e vari lasciti che fanno scendere l’eredità ad un attivo di 8.161 lire. La cifra è considerevole, ma non è certo eccezionale, soprattutto se si pensa che l’acquisto dei due castelli di Verrès e Issogne è costato circa 40.000 lire. La Congregazione di Beneficenza deve comunque decidere se accettare l’eredità e come comportarsi con i debitori. Si aggiungono poi altre difficoltà, cioè le pretese della moglie Rosalie, separata e residente a Neuvillette, nel dipartimento dell’Eure, ma in grado di richiedere, in virtù del contratto matrimoniale, o un quarto dell’eredità del marito in possesso o la metà in usufrutto, e soprattutto le richieste del nipote Louis Gaspard, erede legittimo, nonostante non sia stato citato nel testamento. Iniziano così ricerche e dibattiti all’interno della Congregazione, prima a proposito dell’entità del patrimonio di Gaspard, poi sulla necessità di liquidare i debiti e i lasciti del defunto e infine sull’opportunità di accettare l’eredità. Su quest’ultimo punto la decisione finale è negativa. L’Ente di Beneficenza finisce così per accettare l’offerta, esigua ma certa e non soggetta a lunghe discussioni in tribunale, di Louis Gaspard, che dona 400 lire in cambio dell’eredità del nonno11. È il gennaio del 1876, cala così definitivamente il sipario anche sugli ultimi strascichi della vicenda terrena di questo interessante imprenditore, nato a Châtillon, da una famiglia piccolo borghese molto attiva all’interno della comunità, e qui tornato negli ultimi anni della sua vita.
Relazione del Sindaco di Châtillon rarle come bealere semplicemente irrigatorie al Prefetto della Provincia di Torino da non doversi caricare nei tempi di magre e Ill.mo Signor Prefetto della Provincia di Torino1. L’Amministrazione Comunale di Châtillon, per quanto desiderosa che sorga un grande stabilimento industriale nel suo territorio, non può fare a meno di rilevare che la domanda Giussani non fornisce le debite giustificazioni dell’innocuità delle progettate nuove derivazioni dal torrente Marmore. E per vero non è in alcun modo giustificata l’affermazione che nel torrente, al punto dove si effettuerebbe la prima derivazione, scorrano durante le massime magre invernali non meno dei litri 1.200 che si vorrebbero derivare. Manca uno studio che accert i l’estensione del bacino idrografico superiore alla progettata presa, come pure difetta ogni dato statistico della distesa dei ghiacciai che forniscono le acque al torrente. Per contro una diuturna esperienza ha insegnato che al cadere dell’inverno, in primavera, fino a che non sia alquanto avanzata la fondita delle nevi e lo scioglimento dei ghiacciai nell’alta montagna, il torrente si mantiene in magra; e che in tale stato di scarsezza permane ancora in Aprile e in Maggio quando è già sentito il bisogno dell’irrigazione, senza pur considerare che è continuo il bisogno di disporre delle acque per le necessità della vita, e per le esigenze delle industrie già esistenti fino dai più remoti tempi. Nella Relazione che fa parte della domanda si riconosce che nel tratto del Marmore corrispondente alla prima derivazione trovansi altre prese, quella del Rû Marseiller, e quella del Rû Gagneur, nel tempo stesso però omette di menzionare la presa del molino di Revere superiore a tutte in territorio di Anthey. Senonché la Relazione non si fa poi carico di spiegare in quale modo resterebbe provvisto alle esigenze di quei canali, forse perché è bastato all’Autore del progetto il conside-
prima dello scioglimento dei ghiacciai. Ora l’avere confessato l’esistenza delle prese pel Rû Marseiller e pel Rû Gagneur doveva logicamente importare nel computo della disponibilità dell’acqua nel torrente la deduzione delle competenze di quei due canali in ogni tempo trattandosi di voler fare una derivazione nuova e continua. La visita dei luoghi se si fosse fatta nel contradditorio indetto pel giorno 28 scorso Agosto avrebbe dimostrato che la presa del Rû Marseiller si esercita a bocca libera a sponda destra del Marmore in territorio di Anthey poco inferiormente alla progettata prima presa. Essa serve a tradurre le acque ai territori di Verrayes e di Saint-Denis, senza che più avvenga ritorno di sorta delle acque nel torrente. Il Rû Gagneur che ha pure la presa in territorio di Anthey si esercita a sponda sinistra inferiormente alla presa del Rû Marseiller, e dopo non breve percorso porta le restanti acque nella parte superiore del territorio di Châtillon, spingendole sul territorio di SaintVincent fino alla frazione Biegne. È ovvia l’interrogazione: come sarà provvisto alle esigenze di que’ canali se l’intero volume dei 1.200 litri supposti esistere nel torrente in tempo di scarsità si vorrebbero convogliare nella prima derivazione per esservi contenuti con opere di muratura, e parte anzi condotti in galleria? Altri rilevi più gravi ancora si hanno a fare in ordine alla progettata derivazione inferiore. A riguardo della medesima la Relazione pur ammettendo l’esistenza di altre derivazioni nel percorso corrispondente all’ideato secondo canale; non si cura di calcolarne la portata, e di tenerne conto scusandosene col dire, invece, che si è tenuto conto che l’antica ferriera di Châtillon ha il diritto acquisito colla Regia Patente 25 Ottobre 1821 di derivare litri 680 al minuto secondo che devonsi lasciare deflu201
1. ACCH, Sezione Seconda, 444, 2, Impianto Stabilimento Industriale Saifta, 1906. La Relazione è riportata integralmente.
ire dalle dette bealere, e tale diritto verrebbe acquistato facendo la nuova derivazione. Qui abbondano gli errori e le incongruenze. Si tralascia di avvertire che intanto l’acquisto dell’asserto diritto della ferriera di Châtillon non è ancora stato fatto dalla Ditta Giussani richiedente la nuova derivazione. Ma quella che non si può accettare in silenzio è l’affermazione che in forza della Regia Patente 25 Ottobre 1821 devansi lasciar defluire dalle bealere superiori litri 680 al minuto secondo a beneficio di quella ferriera. Una simile affermazione sconvolge l’applicazione dei più sicuri principii sia del diritto comune, che delle leggi speciali in argomento delle derivazioni dalle Acque pubbliche. Qui fa d’uopo supplire alle deficienze nell’istruttoria della pratica. L’invocata Regia Patente 25 Ottobre 1821 non è stata prodotta dalla Ditta Giussani richiedente, e nel contradditorio del 28 Agosto non si è fatta la visita della località cui è relativa quella Sovrana Provvidenza. Ora dall’ispezione della località si sarebbe visto che la ferriera di Châtillon si trova nel punto inferiore del torrente Marmore in prossimità del ponte per la Strada provinciale che dall’abitato principale del paese mette alla frazione Chameran, là dove le acque da un livello molto più elevato precipitano al basso in attiguità al fabbricato della ferriera. E dall’esame dell’invocata Regia Patente 25 Ottobre 1821 e degli analoghi disegni, ed atto di sottomissione, esame che ognuno può fare accedendo all’Archivio di Stato per la Sezione Camerale, si ricava che il punto di presa delle acque avveniva alla distanza di non più di 76 metri superiormente all’edificio della ferriera, sempre quindi nella parte inferiore del torrente. È detto nella Regia Patente di concessione a Giacomo [Gaetano, ndr] Gervasone: «È concessa a titolo di enfiteusi ed albergamento perpetuo la facoltà di stabilire l’officina sulla sponda destra del (torrente) Monte Cervino e di derivare per uso della medesima due ruote d’acqua dallo stesso 202
torrente, purché si conformi esattamente alla Relazione 10 Maggio 1821 e tipo dell’architetto Faldella 10 Maggio 1821 controsegnata Mosca. L’Ingegnere della Provincia di Aosta invigilerà perché, omesso il regolatore del progetto Faldella, sia invece ricoperto l’imbocco alla fine del versatore con un grosso macigno legato alle roccie vicine con spranghe di ferro impiombato onde diriga le acque sovrabbondanti nel letto del torrente». Il canone a pagarsi fu stabilito nell’annua somma di lire 36. Una semplice ispezione accerterebbe ancora oggi l’esistenza del fabbricato e delle opere di presa come nell’originario disegno dell’architetto Faldella, e nella stessa e medesima località. Inutile andar riferendo tutta la serie dei successivi trapassi di quella proprietà (che per altro la Ditta richiedente dovrebbe giustificare); solo si dirà che nella Relazione giudiziale di stima presentata nell’anno 1858 dal perito ingegnere Camillo Bernardi nella circostanza della espropriazione forzata delle proprietà cadute nel fallimento della Società delle miniere dell’Alta Valle di Aosta succeduta ai Gervasone già era constatata la notevole scarsità delle acque, causa non ultima della cattiva sorte toccata a quella Società, e dell’invilimento dei valori di quelle proprietà. In tale condizione di cose come si fa ad immaginare che in virtù della Regia Patente 25 Ottobre 1821 la ferriera Gervasone abbia acquistato in confronto alle bealere poste molto superiormente, e di gran lunga più antiche, il diritto di obbligarle a lasciar defluire 680 litri al minuto secondo? Come si fa a sorreggere la pretesa della Ditta Giussani per cui portando la nuova presa superiormente alle altre preesistenti bealere acquisti sulle medesime una ragione di prelazione per un volume di litri 680 al minuto secondo? Sono principii consacrati dal diritto comune che l’avente un diritto di servitù non possa usarne se non a norma del suo titolo (art. 646
cod. civ.); e che fra diversi utenti dell’acqua deva sopportarsi prima da quelli che hanno titolo o possesso più recente; e fra utenti in parità di condizione dall’ultimo utente (art. 652 cod. civ.). Per entrambi i riguardi, la presa ex Gervasone dovrassi pur sempre considerare in confronto alle nuove bealere l’ultima e per minore antichità del titolo, e per la posizione topografica alla medesima assegnata dalla male invocata Regia Patente 25 Ottobre 1821. Non sono informate a principii diversi le disposizioni della legge speciale concernente la derivazione delle acque pubbliche in data 10 Agosto 1884 n. 2644 e relativo Regolamento 26 Novembre 1893 n. 710. Basti ricordare le disposizioni degli art. 4 e 6 della legge 10 Agosto 1884 secondo le quali in ogni concessione è di tutta essenza la determinazione così del punto di presa, che di quello per la restituzione delle acque al torrente quando si tratti di derivazione per uso industriale. Conforme è il dettato dell’art. 9 secondo cui quando il concessionario di una derivazione intenda variarne la posizione, deve farne la domanda rispetto alla quale si procederà come è stabilito nell’art 8 per una concessione ex novo; dettato la cui ragionevolezza non ha bisogno di essere dimostrata, dovendosi sempre fare salve ed impregiudicate le ragioni dei terzi, e dovendosi dallo Stato limitare le concessioni alla giusta misura della disponibilità delle acque (art. 615 cod. civ.; 2 della legge e 15 lett. a del relativo regolamento). L’Amministrazione comunale di Châtillon, pur desiderosa di favorire l’incremento dell’industria, mancherebbe al suo dovere se a causa di equivoci e di future contestazioni non insistesse nei rilievi che essa crede dover fare alla domanda come viene presentata al nome della Ditta Giussani. La Relazione unita a quella domanda ammette in corrispondenza al secondo canale l’esistenza di altre derivazioni, ma non accenna quali e di quanta importanza esse siano. Dopo lo scarico della progettata prima deri-
vazione esiste il canale detto di Saint-Vincent ma che serve pure una parte del territorio di Châtillon; derivazione antichissima avendosi memoria della investitura concessa dal nobile Pietro di Challant signore di Châtillon ai nobili Pietro, Giovanni, Bonifacio e Giacometto di Challant signori di Mongiovetto comprendente le terre di Saint-Vincent in data 27 Agosto 1325 per notaio Delesqueney; confermata dalle Patenti di salvaguardia date da Filiberto duca di Savoia il 13 Aprile 1481; da altra investitura data da Carlo Emanuele il 19 Agosto 1600, e da transazione 25 Gennaio 1720 per notaio Decruce, non meno che da Provvidenze amministrative e giudiciali di data più recente. Sempre a servizio, per lo meno in parte, del territorio di Châtillon esistono a sponda destra del Marmore i canali Chandiana e di Chameran pure essi datanti da epoca la più remota per antiche concessioni de’ Signori di Challant, convalidate dal Principe. Il rû Chandiana oltre al territorio di Châtillon serve ai comuni di Saint-Denis e di Chambave, e quello di Chameran oltre a servire all’irrigazione di una zona indifferente serve pure all’attivazione di vari opifizi. Altro canale meritevole di speciale menzione sul territorio di Châtillon è quello detto de la Bourgade per la cui amministrazione fu deliberato il 23 Novembre 1902 un nuovo regolamento, essendosi ravvisato meno rispondente alle moderne esigenze il Regolamento più antico in data 23 Novembre 1861 (approvato con Reale Decreto 23 Giugno 1862) che comprendeva anche altri canali. Pel Comune si producono gli avanti accennati Regolamenti, ritenendosi non obbligato ad incontrare le spese per la produzione di altri atti più antichi, visto che nemmeno dalla Ditta Giussani si è pensato di produrre la Regia Patente 25 Ottobre 1821 da essa invocata; e considerato che nella domanda non è disconosciuta la più antica esistenza degli altri canali sovramenzionati, de’ quali basterebbe la semplice ispezione locale a dimostrarne l’esi203
1. La richiesta di concessione risale al 1919 e fu oggetto di molte discussioni e provvedimenti, come risulta dai verbali delle deliberazioni dell’Assemblea Generale degli utenti del Ru du Bourg.
stenza ultrasecolare, anzi immemoriale. Ed è pure memore l’Amministrazione Comunale che la legge 10 Agosto 1884 concernente la derivazione delle acque pubbliche consacrando col dettato dell’art. 24 quello che già era l’insegnamento della più autorevole giurisprudenza dei patrii Magistrati ebbe a ricordare che: «per gli effetti dell’art. 1 di essa legge, il possesso trentennario, anteriore alla sua promulgazione, doveva avere in ogni caso, nei rapporti col Demanio, valore ed efficacia di titolo». Un’osservazione ancora si crede in dovere di fare, ed è che le suddesignate derivazioni per acqua continua (ad eccezione del canale Chandiana) e così non solo estiva, inservendo tanto all’irrigazione, quanto ai bisogni della vita, non meno che a molteplici industrie, che per non potersi dire grandi, sono pur esse necessarie e meritevoli di tutto il riguardo. L’affida poi il disposto dell’art. 11 della più volte ricordata legge 10 Agosto 1884 che hanno a rimanere quelle derivazioni, come sono, a bocca aperta, essendovi la più autorevole dimostrazione delle consuetudini locali nel notissimo Coutumier du Duché d’Aoste, stato per più secoli vero codice della ragione politica e civile in questi paesi. Conchiudendo l’Amministrazione Comunale di Châtillon chiede che nella necessaria ulteriore istruttoria della pratica, abbiasi a tenere conto dei rilevi sovraesposti, ed in più particolare modo chiede sieno le rispettive opere di presa riformate in modo che sia assicurata la prelazione alle già esistenti bealere. E così chiede che sia rimessa all’Autorità Comunale un doppio della chiave delle paratoie, affinché possa ogni qualvolta lo esiga lo stato di scarsezza delle acque nel torrente far riversare nel torrente un volume d’acqua sufficiente per le già esistenti derivazioni: all’accertamento delle condizioni del torrente sarà facile provvedere collocando apposita colonna idrometrica, sì e come in casi analoghi si usa di praticare. 204
Regolamento/Statuto del Ru du Bourg del 1938 Il Consorzio delle acque del canale del Borgo di Châtillon venne riconosciuto con Decreto Reale 8 marzo 1937 e si diede uno statuto che venne pubblicato a stampa nel 1938 dalla Tipografia e Legatoria Mario Olivero di Châtillon. Venne stabilita la sede nel Municipio ed indicata la superficie dei terreni irrigati che all’epoca risultava pari a 117 ettari. Lo scopo con cui venne istituito il Consorzio era «di provvedere alla conservazione e manutenzione di tutte le opere necessarie per la derivazione ed il convoglio e la distribuzione delle acque ed alla disciplina del loro godimento ed alla ripartizione dei pesi relativi in rapporto ai diritti degli utenti» (art. 2 dello Statuto). L’articolo 3 distingue due categorie di utenti: nella prima categoria sono compresi tutti i proprietari dei terreni irrigati a mezzo delle acque del canale con le sue diramazioni; della seconda fanno parte gli industriali e proprietari che se ne servono come forza motrice, o per uso diverso da quello dell’irrigazione. L’accenno agli industriali trova rispondenza anche nell’articolo 9 dove, a proposito dell’Assemblea Generale, lo Statuto prevede che tra i cinque membri effettivi ve ne sia uno designato dalla Società Anonima Italiana Châtillon per le fibre tessili, a dimostrare l’estrema importanza dell’acqua per la Soie e nel contempo la responsabilità dell’azienda nei confronti degli altri utenti del ru. Anche nella ripartizione delle spese, all’art. 22, si stabilisce che la Società Anonima Italiana Châtillon, che usufruisce di 150 litri d’acqua continui, concorrerà come per il passato con la somma di lire duemila, come risulta dalla delibera 8 ottobre 1922, per le spese di riparazione e di amministrazione del canale1. Inoltre si prevede l’aggiornamento continuo del Catasto del Consorzio nel quale saranno segnate le particelle irrigate con la natura del terreno e le singole superfici; per gli utenti di
categoria industriale si riporteranno il numero di cavalli di forza di ogni singolo opificio o il quantitativo di acqua impiegata, come risultano dal relativo decreto di concessione o di riconoscimento. «Il Consorzio ha l’obbligo di mantenere in buono stato tutte le opere necessarie per il regolare convoglio e distribuzione delle acque. Nessun utente potrà, di suo arbitrio, aprire una nuova bocca di presa, o modificare quella esistente prima, né potrà modificare gli alvei e le sponde del canale, né fare delle piantagioni, o opere di qualsiasi genere, nelle vicinanze dei rivi, le quali opere possono recare danno ai medesimi o nuocere al libero corso delle acque» (art. 31 del tit. V). La precedenza nell’uso dell’acqua spetta sempre agli utenti che irrigano i campi «in quanto è strettamente necessario e convenientemente regolato». Il Comune di Châtillon utilizza le acque del ru per uso pubblico – lavatoi, pulizia delle strade e fognature – e non concorre al pagamento delle spese di riparazioni e di amministrazione; non ha rappresentanza negli organi del Consorzio, né diritto di voto. La chiusura del Canale del Borgo per le riparazioni ordinarie o straordinarie può avvenire anche su richiesta degli utenti agricoli o industriali e viene autorizzata dal presidente, dopo aver consultato i direttori. Gli utenti proprietari di industrie sono tenuti ad avere un proprio scaricatoio indipendente, per poter procedere alle riparazioni dei propri impianti senza deviare l’acqua del canale. Qualora le piante e gli arbusti impedissero il libero corso dell’acqua, i direttori possono prescriverne il taglio ai proprietari dei terreni confinanti con il rivo. Particolare attenzione viene riservata all’agricoltura: si vieta la discarica di materiale nocivo nel canale e di sporcare in genere le acque. Per le prestazioni in natura, gli utenti agricoli concorreranno in ragione di un’ora ogni dieci are o frazioni di dieci are di terreno irriguo. Le altre categorie di utenti concor-
reranno per un’ora ogni cavallo nominale o frazione di esso. Lo Statuto definisce anche le competenze dei direttori e dei guardiani del canale. La carica di direttore è gratuita e dura tre anni; i direttori si occupano della manutenzione del canale e devono eseguire gli ordini del presidente. Fanno frequenti visite per individuare rischi di franamenti; i danni alle sponde inferiori sono imputabili al Consorzio, mentre delle sponde superiori rispondono i proprietari. Inoltre i direttori controllano che, in corrispondenza delle deviazioni, la ripartizione delle acque corrisponda alle norme previste dal Regolamento. Il guardiano sorveglia il canale dalla presa alle saracinesche di Barat e Tornafol e riferisce anomalie o interruzioni al presidente del Consorzio; in caso di deviazione dell’acqua, il guardiano deve rimuovere ogni ostacolo al flusso dell’acqua. Può anche multare coloro che contravvengono alle norme del Regolamento. Durante la raccolta del fieno il guardiano può chiedere al presidente di diminuire la portata del canale. Al di fuori del periodo d’irrigazione la quantità d’acqua del ramo di Conoz viene ridotta strettamente al puro necessario per gli usi domestici. Quello del ramo Barat viene ridotto ad 1/5 in modo che non straripi l’acqua nelle proprietà costeggianti il canale. Per il ramo Tornafol l’acqua viene mantenuta costante durante tutto l’anno poiché è utilizzata ad uso industriale e civico.
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Cave di marmo a Isseuries.
Le cave di marmo verde
1. ACCH, Sezione Seconda, 445, 1.
La Relazione1 illustrativa sulle attività censite il 10 settembre 1938-XVI fa luce sulla presenza di un discreto numero di industrie estrattive e di alcune tratteggia brevemente la storia dell’insediamento: 1. Cave marmi verdi. Da una quindicina di anni alcune ditte di Massa-Carrara fecero ricerche di marmi sui due versanti della Valle del Marmore o di Valtournanche; l’iniziativa fu determinata dal franamento di blocchi staccatisi dalla montagna a monte della strada Ivrea-Aosta che misero a scoperto la natura della roccia. Nei primi anni sei o sette ditte si contesero il Campo e fecero ottimi affari. Successivamente tale industria estrattiva fu colpita da una forte crisi 206
donde i fallimenti di varie ditte e la liquidazione delle altre. Sorse poi la Società Marmi Issorie che ha resistito finora, e, a quanto pare, ha raggiunto una situazione assai buona. Tutta la produzione è ora destinata alla Società Anonima Montecatini. La cava in regione Issorie è la migliore per consistenza e coloritura del materiale. Trattasi di una montagna compatta omogenea e perciò resistente. Le altre cave consistono in massima parte di trovanti più o meno voluminosi. 2. Cave di sabbia. Le cave di sabbia in attività appartengono ad impresari costruttori che le sfruttano quando loro necessita sabbia per i propri lavori. 3. Non esistono altre aziende estrattive. Si viene a sapere dell’esistenza di altre picco-
le unità estrattive dalla lettura dei verbali di denuncia di esercizio, risalenti agli anni Cinquanta e Sessanta, fatta dai titolari delle cave: Neyroz geom. Silvano Giuseppe, domiciliato in Châtillon, si dichiara esercente della cava di pietra denominata “Breil” di sua proprietà (1954, 20 febbraio). Barbieri Federico, residente a Châtillon in via Tour de Grange 3, si dichiara esercente della cava oficalce marmo verde, denominata “Sedevoux”, sita in Châtillon in località Sedevoux, di proprietà di Barbieri Federico, comprovando detta sua qualità di esercente, davanti al Sindaco Vuillermoz cav. Faustino (1961, 19 gennaio). Rag. Salvatore Marino, imprenditore proprietario della cava di marmo verde oficalce, denominata “Fontane” sita nel Comune di Châtillon, denuncia che l’inizio dei lavori è avvenuto il 22 febb. 1954. Abita in via Menabrea 56 (1961, 20 luglio. Querceta). Biselli Francesco, imprenditore della cava di marmo verde denominata “Plan Tressy”, denuncia il proprio contratto d’affitto (1960, 20 ottobre). Rag. Perona Quirino, imprenditore della cava oficalce denominata “Ravese” nel Comune di Châtillon. La Soc. Buffoni & C denuncia l’inizio lavori di lizzatura marmi nella stessa località Ravese (1961, 18 gennaio). Mannoni Dario, imprenditore della cava di oficalce denominata “Mont Blanc” sita nel Comune di Châtillon, denuncia l’inizio dei lavori per il 13.3.1962. Precedentemente, nel 1952 la stessa cava apparteneva a Lucchetti Giuseppe di Carrara (1962, 7 marzo).
La cava di Isseuries. Intervista a Renzo Navillod. Renzo è di Verrayes. Lavora alla cava di Isseuries come direttore responsabile dal 1991; con lui lavora un operatore e manovratore di mezzi meccanici che abita a Isseuries ed è originario di Châtillon. Il proprietario della cava, invece, vive e lavora a Massa, dove ha sede la società Marmi e Graniti spa che gestisce questa e altre cave in Italia. Renzo racconta che nel periodo 2000-2003 si estraevano principalmente lastre di marmo verde di buona qualità; in seguito la cava è stata sfruttata, e lo è tuttora, soprattutto per ottenere graniglia di marmo, prodotto a basso costo e con relativi guadagni limitati. La graniglia, assemblata al cemento, viene utilizzata per la produzione di pannelli per il rivestimento esterno degli edifici. Il pietrame estratto viene inviato agli impianti di Verona e Bergamo, dove avviene la frantumazione e quindi venduto per posare selciati. In Valle d’Aosta non ci sono impianti di questo tipo, né le cave attive attualmente ne giustificherebbero la presenza. Altre cave di marmo verde in Valle si trovano a Issogne e a Verrayes. Nel territorio di Châtillon, delle numerose imprese estrattive è rimasta solo una cava di sabbia sul corso della Dora Baltea. Le lastre di marmo verde (Issorie Green) hanno incontrato notevole successo nel mercato italiano e internazionale: sono state utilizzate negli USA per i rivestimenti esterni dei grattacieli e per la Casa Bianca, in Arabia Saudita per le colonne delle moschee. Il marmo verde è facile da pulire, resistente alle intemperie e agli agenti atmosferici in generale, conserva a lungo le sue qualità. Il trasporto del materiale avviene su ruote, da quando fu costruita la strada per Isseuries dalla società che gestiva le cave. In seguito, con la cessione della cava alla Marmi e Graniti, anche la strada venne acquisita dalla nuova società concessionaria; soltanto dal maggio 2000 è diventata comunale. Prima della costruzione della strada, la sabbia che serviva per il taglio dei blocchi di marmo veniva trasportata con una teleferica. I blocchi scorrevano lungo una via di lizza, un tracciato sul terreno spianato e coperto di traversine di legno su cui poggiavano le lizze di 3 m x 30 cm, enormi liste in faggio come grandi slitte, che venivano insaponate per rendere scivolosa la superficie. Lungo la via di lizza, dove erano sistemati punti di ancoraggio, venivano trasportati blocchi di 20 tonnellate. Per riportare le traversine nella loro sede, alla partenza della via di lizza, si impiegavano i muli. La via di lizza conduceva direttamente alla stazione ferroviaria, dove i blocchi venivano caricati sui vagoni merci dei treni. Un altro punto di arrivo era il Poggio, un’area attrezzata nel centro abitato, dove invece il marmo era caricato sui camion e portato a Massa; qui la società Marmi e Graniti proseguiva la lavorazione e la commercializzazione. Attualmente la coltivazione è autorizzata fino al 2016, quando presumibilmente la cava sarà completamente esaurita. Nello stesso periodo, a chiusura dell’attività, la società garantirà il recupero ambientale dell’area.
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Lascito Gervasone Il Lascito Gervasone risale al 1927, allorché Adolfo, figlio di Pietro Gervasone, devolve la sua parte di eredità a favore dei bambini bisognosi di assistenza. Qualche anno dopo, nel ‘31, venne redatto lo Statuto per la Casa Ricovero temporaneo per convalescenti e malaticci poveri di Châtillon “Adolfo Gervasone”. L’Opera Pia che portava questa denominazione venne eretta, nello stesso anno, in Ente Morale con un patrimonio di lire 1.514.407,50 costituito dall’intera massa ereditaria del benefattore. L’Istituto assistenziale doveva provvedere – si legge nello Statuto – al ricovero, al mantenimento e all’assistenza temporanea dei poveri di ambo i sessi convalescenti e malaticci, con preferenza ai bambini e fanciulli dai tre ai quattordici anni, aventi il domicilio nei Comuni di Châtillon e Pontey (in quel tempo uniti nel Comune di Châtillon), e che non abbiano parenti tenuti per legge a provvedere alla loro sorte e in grado di farlo. Relazione storico-finanziaria sul lascito Adolfo Gervasone (manoscritto non datato) luglio 1927 Muore Adolfo Gervasone e lascia erede l’Asilo Infantile Rigollet. Gli esecutori testamentari (don Leonardo Croux, parroco, e Conchatre Ernesto, segretario comunale) fecero predisporre l’inventario notarile dei beni ereditati e procedettero alla formalizzazione dell’accettazione dell’eredità e alla istituzione dell’Opera Pia voluta dal testatore. 1928 L’Amministrazione dell’Asilo venne sciolta e sostituita da un Commissario Prefettizio che provvide al ritiro dei depositi lasciati presso la Cassa di Risparmio di Torino e dell’Opera Pia di San Paolo di Torino ed al pagamento dei legati disposti dal testatore, nonché all’estinzione dei debiti ed al pagamento dei diritti. 208
Ottobre 1928 Il Commissario Prefettizio decise di istituire un refettorio, che durò fino al 1932, per bambini poveri e di salute cagionevole presso la Casa della Provvidenza, per una spesa complessiva di lire 126.527,19. 1928 Cominciarono le attività di studio per la costruzione dell’edificio. L’ing. Borello venne incaricato di progettare la struttura rimanendo entro i limiti di spesa di 350.000, ma questi rinunciò per ristrettezza economica. L’incarico venne allora affidato all’ing. Rusconi di Ivrea senza limite alcuno. 1929 Gli ingegneri Giay di Torino proposero l’acquisto di fabbricati siti in via XX Settembre al n. 45 a Torino: lire 890.000 in contanti o 1.100.000 in titoli di Stato. Poi lire 900.000 in contanti. Ma rinunciarono perché il Commissario ne voleva 1 milione. Seguirono offerte sempre più basse. Luglio 1930 Approvazione del progetto di costruzione della Casa Ricovero per lire 734.844,60. Ottobre 1930 Appalto lavori alla ditta Ramella Pais per lire 713.231,50. Costruzione di un muro di sostegno del terreno (non previsto) per lire 127.866,67, a cui si aggiunsero altre spese non previste. Al collaudo dei lavori la somma ammontò a lire 888.248,43. 1932 Il fabbricato di Torino venne venduto a lire 455.000. 1933 Vennero venduti all’asta il prato di Saint Clair e la vigna di Breil a prezzi ribassati per il deprezzamento generale dei beni immobiliari. 1934 L’amministrazione dell’Opera Pia chiese l’autorizzazione per alienare a trattativa privata le restanti porzioni del lascito. Furono venduti i beni immobili di minore entità, ma venne sospesa la vendita dell’immobile di via Umberto I, n. 5, pensando di ricavare lire 130.000. 1936 Il Tribunale condanna l’Asilo al pagamento del credito integrale della ditta Ramella Pais pari a lire 885.208,43, di cui sono già state liquidate 736.914,05. Per far fronte
all’impegno contratto nei confronti della ditta costruttrice, l’Amministrazione dell’Asilo propone i seguenti provvedimenti: 1. vendita del fabbricato di via Umberto I n. 5 per lire 130.000; 2. vendita di tutte le piante mature al taglio nella foresta di Ussert per lire 50.000; 3. vendita del lotto piante già martellate per lire 15.000; 4. vendita dell’Alpe Ussert dopo sfruttamento del bosco per lire 25.000; 5. alienazione della casa sita in via Umberto I n. 6 occupata da Chiotti per lire 14.000. Resterebbe così solo il nuovo fabbricato tuttora incompleto e di nessun reddito, salvo qualche futura utilizzazione. Sono risultate inutili le trattative per la vendita con il Comando del 4º Reggimento Alpini, con l’Ente Opere Assistenziali di Milano, con il Ministro dei Fasci degli Italiani all’estero. L’attuale situazione sarebbe determinata dall’eccessiva previsione di spesa sia nell’acquisto dell’area che nella esecuzione dei lavori, dalla mancata vendita dello stabile di Torino e il troppo sollecito impianto di un ricovero presso la Casa della Provvidenza che costò una spesa di lire 126.527. La stessa cifra avrebbe potuto coprire gran parte del passivo. 1937, 30 giugno. Châtillon Il Podestà del Comune di Châtillon chiede autorizzazione all’acquisto del patrimonio dell’Ente Morale Gervasone. Il Podestà del Comune di Châtillon; vista la propria deliberazione 29 maggio u.s. approvata dalla G.P.A. in seduta 10 Giugno corrente; visti gli art. 2 e 3 della legge 21 Giugno 1896 n. 218; vista la deliberazione 27 Giugno colla quale si è deliberato di accettare il mutuo di lire 250.000 concesso a questo Comune per far fronte al deliberato acquisto di tutto l’attuale patrimonio dell’Asilo Ricovero Gervasone; fa rispettosa istanza alla E.V. perché voglia autorizzare, ai sensi di cui all’art. 3
della succitata legge, il Comune di Châtillon ad acquistare dall’Ente Morale Asilo Ricovero Gervasone tutto il patrimonio dell’Ente stesso per il prezzo a corpo di lire 225.000 consistente nei seguenti immobili tutti gravati d’ipoteca a favore della Ditta Ramella e Pais che verrà radiata coll’atto stesso d’acquisto coll’assenso della Ditta suddetta che verrà soddisfatta di ogni suo credito: 1. tutto un fabbricato urbano sito in Châtillon via Umberto I n. 5 adibito ad uso abitazione e pubblico esercizio; 2. parte di altro fabbricato urbano sito in Châtillon via Umberto I n. 6 con bottega e retrobottega a pianterreno, tre vani sottostanti e piccola camera sopra la via Ponte Romano; 3. un fabbricato con cortile di nuova costruzione il tutto confinato a nord dal Conte Carlo Piero D’Entrèves; ad est dalla strada comunale tendente al vecchio Cimitero, a sud Fusero ed altri; 4. una malga con annessa foresta di alto fusto in Regione Ussert (territorio dell’ex Comune di Pontey). Compresi tutti gli altri eventuali diritti immobiliari pervenuti all’Ente dell’Asilo Ricovero Gervasone dalla successione del defunto Sig. Gervasone Adolfo: detti fondi sono descritti al Catasto ai n. 123-176-177-502-503504-505-506-509-510-511 per complessive Ea. 24.22.97 e con un reddito imponibile di lire 320,15. Si unisce alla presente istanza un foglio bollato da lire 6 per il Decreto d’autorizzazione. Con massima osservanza. 1937, 13 agosto. Châtillon Duc Alessandro, in qualità di Presidente dell’Asilo Ricovero Gervasone, vende al Comune di Châtillon, rappresentato dal Podestà Ferrando Luigi, tutti gli immobili di proprietà dell’Asilo Ricovero siti nel Comune di Châtillon e nell’ex Comune di Pontey. Nel Comune di Pontey: boschi cedui, seminativi irrigui, pascoli, boschi d’alto fusto, fabbri209
cati rurali e castagneto da frutto. Fanno parte della malga di Ussert con annessa foresta di alto fusto. Nel Comune di Châtillon: 1. Casa con botteghe in via Umberto I (attuale via Chanoux) attigua al palazzo Comunale. 2. Vigneto tra Passerin d’Entreves, canale del Borgo e via della Chiesa, a ponente Favre Vittorio e Ottin Celerina e Asilo Infantile. 3. Seminativo irriguo le cui coerenze sono: a nord il canale del Borgo e via della Chiesa, levante via della Chiesa, ponente Canale del Borgo, sud Guglielminetti Umberto. 4. Fabbricato rurale (ora abbattuto) coerenziato da tutti i lati dall’Asilo Infantile e seminativo. 5. Nuovo palazzo Asilo Gervasone non ancora ultimato. 6. Fabbricato sito in via Umberto I, 2. Il prezzo della vendita è di lire 225.000. Inoltre il signor Duc nella stessa occasione paga la somma di lire 183.294,75 dovute alla Ditta Ramella e Pais come liquidazione totale per i lavori svolti. 1939, 23 settembre. Châtillon. Anno XVII Il Sindaco del Comune di Châtillon scrive una memoria destinata al Prefetto in merito alle vicende del Lascito Gervasone. Da un attento riesame della pratica non mi pare che questo Comune si sia impegnato di cedere all’Opera Pia Gervasone tutte le attività residuate per la ricostituzione, almeno in piccola parte, del suo originale patrimonio per i fini di pubblico interesse che erano stati assegnati all’Opera Pia stessa. Né la deliberazione dell’Opera Pia fu la vendita del suo patrimonio né quella del Podestà per il relativo acquisto né tanto meno l’atto notarile 13 Agosto 1938 XVI rog. Michele Demateis notaio è stata inserita alcuna clausola in tale senso. Solo nel Memoriale diretto a S.E. Il Prefetto in data 29 maggio 1937 XVI si dice che il Comune potrà sempre in avvenire realizzare quanto per testamen210
to disponeva il defunto sig. Gervasone Adolfo destinando il fabbricato costruito ad opere di beneficenza o quanto meno, in caso di alienazione, devolvendo a favore dell’Opera Pia le maggiori somme eventualmente riscosse, previa deduzione del Capitale esposto coi relativi interessi. Questo è solo un pegno morale perché il Comune è intervenuto per evitare l’espropriazione giudiziaria del patrimonio dell’Opera Pia. Ciò non fu a scopo speculativo e perciò quanto potrà ricavare [...] potrà essere destinata ad un’opera di beneficenza che abbia scopi adeguati ai fondi disponibili. Il fabbricato non era ultimato e per renderlo abitabile occorrevano ancora non meno da 120 a 150 mila lire e, lasciato così abbandonato, andava in deperimento. Non potendo il Comune portarlo a finimento gli fu giocoforza cercare di alienarlo per quel prezzo che potesse realizzare. Nel 1937 vennero iniziate trattative con la Federazione Provinciale Fascista di Milano che altra volta aveva dimostrato interesse all’acquisto del fabbricato per le sue Colonie estive, con la Casa Editrice “La Scuola” di Firenze che già in passato aveva manifestato l’intenzione di venire ad istituire un collegio con corsi di Scuole Secondarie e finalmente colla Segreteria Generale dei Fasci Italiani all’Estero che pure altra volta si era interessata dell’affare. Le trattative coi due primi Enti non ebbero esito alcuno, solo con la Segreteria dei Fasci Italiani all’Estero le trattative riuscirono concrete e conclusive, e ciò mercé il personale interessamento di S.E. il Prefetto D’Eufemia. In un primo tempo i mandatari della Segreteria suddetta fecero balenare un progetto assai grandioso e vantaggioso per questa popolazione: si trattava di istituire nel fabbricato suddetto una colonia permanente per i figli ed orfani di italiani all’estero con annessa una scuola Arti e Mestieri che avrebbe potuto essere frequentata anche dai figli della popolazione locale. Lusingato da tale prospettiva il Comune moderò le sue pretese richiedendo in un primo tempo lire 450.000 scendendo poi a lire 330.000,
prezzo di perizia eseguita dall’Ufficio Tecnico di Finanza. I delegati della Segreteria dei Fasci all’Estero offrirono lire 200.000, non vollero muoversi da tale base; solo per il personale intervento di S.E. il Prefetto portarono l’offerta a lire 220.000 pagabili in diverse annualità. Il Comune dovette cedere e venne così concluso il contratto verbale, in presenza di S.E. stessa. La Segreteria dei Fasci Italiani all’Estero prese immediatamente possesso degli immobili in oggetto, vi fece eseguire tutti i lavori di completamento dall’Impresa Pometto sotto la direzione dell’Ufficio del Genio Civile di Aosta. Ciò avvenne nel mese di maggio 1938 e a giugno dello stesso anno la Colonia funzionò come Colonia montana temporanea. Da quell’epoca di contratto definitivo non se ne parlò più: in vari colloqui avuti con l’Avv. Lo Balsamo, l’Ing. Bonomi, il Comm. Barillari tutti funzionari della Segreteria Generale dei Fasci all’Estero si è sempre rimandata la stilizzazione della formula di contratto definitivo da sottoporsi all’approvazione tutoria in un convegno con S.E. De Cicco, direttore dei Fasci Italiani all’Estero. S.E. De Cicco venne più volte a visitare questa Colonia ma del contratto definitivo non se ne fece parola. Il Comune finora non ha percepito un centesimo mentre d’altra parte continua a pagare gli interessi sul mutuo passivo appositamente contratto colla Cassa di Risparmio di Torino. Quanto al rilievo fatto dal Ministero dell’Interno molto giusto e assennato per chi non conosce le condizioni di fatto locali, occorre tener presente che tutto il patrimonio dell’Opera Pia Gervasone era destinato ad essere venduto all’asta pubblica in seguito agli atti coattivi promossi dalla Ditta Ramella e Pais costruttrice del fabbricato; la Ditta aveva già inoltrato domanda di perizia giudiziaria al Tribunale di Aosta e l’Ing. Saltarelli, nominato perito, aveva iniziato le sue operazioni. L’O.P. non solo non poteva sottrarsi a tale esproprio forzato ma ogni giorno vedeva il suo debito aumentare per l’accumularsi degli interessi. Posto
il caso che il Comune non fosse intervenuto e che gli atti giudiziari fossero stati condotti a termine, il nuovo fabbricato, nelle condizioni in cui si trovava, senza tinteggiatura insomma, senza impianti sanitari e di riscaldamento, senza impianti luce, senza possibilità di avere l’acqua potabile, non avrebbe certamente trovato alcun acquirente. Gli altri immobili pure difficilmente avrebbero potuto, nel periodo in cui si sarebbe proceduto alla vendita (1938), incontrare acquirenti che facessero offerte tali da rappresentare la metà del loro valore venale. In definitiva la Ditta Ramella e Pais avrebbe poi ottenuto la cessione a suo favore di tutto il patrimonio in oggetto a tacitazione del suo credito di lire 183.294,75 oltre le ulteriori spese ed interessi. Ecco perché l’intervento del Comune venne appoggiato dall’Autorità tutoria, dalle Gerarchie del P.F.N. e dalla popolazione. Con massima osservanza. Il Podestà.
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