Atti del Seminario Internazionale
Economia, Etica e Ambiente: Il ruolo dei parchi e delle aree protette nel Mediterraneo organizzato dal Parco Nazionale d’Aspromonte Con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Federazione italiana Parchi e Riserve naturali 23/25 LUGLIO 2001 Sala Convegni Hotel Centrale Gambarie di S.Stefano in Aspromonte (Reggio Calabria)
A cura di Eric E. van Monckhoven e Fabio Cuzzola
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MEDPARKS 2001 23/29 Luglio 2001 Parco Nazionale d’Aspromonte
PROGRAMMA SCIENTIFICO A cura di Eric E. van Monckhoven
Lunedì 23 Luglio 2001 Ore 9:00 - 10:00
Registrazione
Ore 10:00 - 10.45 Apertura dei lavori: Tonino Perna, Presidente del Parco Nazionale d’Aspromonte Enzo Valbonesi, Presidente della Federazione italiana parchi e riserve naturali Aldo Consentino, Direttore Generale, Ministero dell’Ambiente Dioniso Gallo, Assessore all’Ambiente della Regione Calabria Fabio Renzi, Responsabile nazionale Legambiente
Ore 10:45 - 13:30 Sessione 1 : Potenzialità e valori dell'ecoturismo Introduce e coordina: Roberto Furlani, WWF Andrej Sovinc, UICN: ”Parks for Life” Assad Serhal, Al Shouf, Libano: ”Conservazione e sviluppo locale nella riserva naturale di AlShouf Cedar:” Mohammad S.Al-Qawabah, RSCN, Giordania: ” Gestione integrata della riserva naturale di Dhana" Ore 12:00
Coffee break
Vincent Fonvielle, La Balaguère, Francia: ” Rete di escursionismo nei Pyrenei ” Valya Stergioti, WWF, Grecia: ”Ecoturismo nella riserva naturale di Dadia” Ore 13:00
Discussione
Ore 13:30 - 15:00 Pranzo
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Ore 15:00 – 18:00 Sessione 2: Il ruolo dei Parchi e delle aree protette nel Mediterraneo Introduce e coordina: Maurizio Fraissinet, Presidente del Parco Nazionale del Vesuvio Rafael Madueno. Medforum Nickolas Zouros, Natural History Museum, Lesvos/Greece: ” Monumenti naturali e sviluppo sostenibile: la Foresta petrificata di Lesvos come caso studio” Mohsen Kalboussi, APNEK, Tunisia: ”Introduzione ai parchi nazionali ed aree protette della Tunisia” Ore 16:30-17:00 Coffee break Gianluca Serra, FAO, Siria: ”Approccio olistico nella gestione di una Wildlife Reserve" Karim Anegay, Agenzia del Nord, Marocco: ”Alternative alla deforestazione nella regione del Rif” Ore 18:00
Discussione e conclusioni prima giornata
Martedi 24 Luglio 2001 Ore 9:30 - 12:30 Sessione 3: Ambiente ed Economia : il contributo del commercio equo e della finanza etica Introduce e coordina Giorgio dal Fiume , presidente CTM Bruno Neri, Banca Etica : “Le sfide della finanza etica in Italia” Stefano Magnoni , Altreconomia: “Quanto è nordico il commercio equo ?” Tonino Perna, presidente PN Aspromonte: “ Finanza etica e commercio equosolidale e conservazione della natura”
Ore 11 :00
Coffee break
Ore 11:15
Discussione
Ore 13:00- 14:30 Lunch
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Ore 15:00- 16:30 Sessione 4 : Il ruolo delle comunità locali Introduce e coordina: Ing. Nania, Direttore del Parco nazionale d’Aspromonte Gulai Eskikaya, TEMA, Turchia: ”Sviluppo locale partecipato in aree protette” Antonia Theodosiou, Friends of Akamas, Cipro: ” Protezione delle risorse naturali e sviluppo locale nella penisola di Akamas”
Ore 16:30- 17:00 Coffee Break Ore 17:00 18:30
Sessione 5:
Protezione e conservazione della biodiversità nei Balkani
Introduce e coordina: Eric E. van Monckhoven, CRIC Intervengono: Aleksandar Rasnatovic, Parco nazionale di Skadra Jezero, Montenegro Diana Bejko (Albania), Snezana Dragojevic (Montenegro), progetto REC Lago di Shkodar
In contemporanea presso la sala conferenza dell'Ente Parco Aspromonte si terrà una sessione di lavoro tra i rappresentanti dei Gal (Gruppi d' azione locale ) della Calabria e della regione di Valentia (Spagna). Coordina : Antonio Alvaro , vice presidente del Parco Naz. Aspromonte Introduce : Beppe Panetta , presidente AsproGal Intervengono i rappresentanti del Gal di Valentia, del Gal Area Grecanica, del Gal Vate, dell’Asprogal.
Mercoledi 25 Luglio Ore 9:30-12 :00 Sessione di partenariato Coordina : Vince Caruana , Third World Group , Malta Ore 12 :00-13:00 Conclusioni del seminario e chiusura ufficiale
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MEDPARKS 2001 23/29 Luglio 2001 Parco Nazionale d’Aspromonte Elenco partecipanti: Sedat KALEM Turkey DHKD Gulay ESKIKAYA Tukey TEMA Ismael MENTES Turkey Min. Forests Valya STERGIOTI Greece WWF Maha EL KADI Lebanon Red Cedar Reserve Assad SERHAL Lebanon Red Cedar Reserve Malek GHANDOUR Lebanon Tomo Gorgevski Macedonia National Park of Galicica Andon Bojadzi Macedonia National Park of Galicica Lhou BAOUAN Morocco Agence du Nord Vincent ATTARD Malta Nature Trust Gianluca SERRA Siria FAO Ahmed KANANI Siria FAO Hussan FAHAD Siria FAO Brahim JAAFAR Morocco Min. Environnement Karim ANEGAY Morocco Agence du Nord Antonia THEODOSIOU Cyprus Forum of Ecological and ENvironmental NGOs Mohsen KALBOUSSI Tunisia APNEK Lukac GORDAN Croatia National Park Federation Andrej SOVINC Slovenia IUCN/Parks for Life Aleksandar RASNATOVIC Montenegro National Park of Skadar Lake Snejana DRAGOSEVIC Montenegro REC/Skadar Lake Mohammad S.AL.QAWABAH Jordan Royal Society for Nature Protection Kristaq SHORE Albania National Park of Prespa Mitro NEDELKO Albania Prefecture of Korche Diana BEJKO Albania REC/Skadar Lake Roberto FURLANI Italy WWF Maurizio Fraissinet Italy Federparks Adrian GRIMA Malta Third World Group Vince CARUANA Malta Third World Goup Zohir SEKKAL Algeria Mouvement Ecologique Algérien/Medforum/IUCN Rafael MADUENO Spain Medforum Vincent FONVIELLE Francia La Balaguère Felice SPINGOLA Italia Centro Studi PAN Pasqual MORENO Spain CERAI Hmaid KOUKI Tunisia Min. Agriculture Mounir SAKKOUI Tunisia Min. Agriculture Eric VAN MONCKHOVEN Finland CRIC Stefano MAGNONI Italy CTM/AltroMercato Giorgio dal FIUME Italy CTM/ALtroMercato Bruno NERI Italy ETIMOS/BANCA ETICA Aldo CONSENTINO Italy Min. Environment Enzo VALBONESI Italy Federparks
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MEDPARKS 2001 23/29 Luglio 2001 Parco Nazionale d’Aspromonte
1. Apertura dei Lavori Tonino Perna, presidente Ente Parco Aspromonte MED Parks 2001 è il primo incontro di parchi e aree protette del Mediterraneo. Sono qui presenti rappresentanti d’istituzioni e anche di associazioni ambientaliste che si occupano di parchi e aree protette provenienti da tutti i Paesi del Mediterraneo. Questo convegno probabilmente ha un errore di calcolo che è legato a quello che è successo a Genova, noi non pensavamo a questa triste situazione che si è venuta a creare nella città di Genova con il G 8 e questo ha impedito per esempio l’arrivo dei nostri amici dei parchi della Macedonia con cui già l’anno scorso abbiamo fatto un incontro per avviare un progetto di cooperazione fra il Parco di Galicicia nella parte del lago d’Ohrid in Macedonia, e il Parco di Prespa in Albania. Il fatto di fare quest’incontro qui in Aspromonte non è casuale. L’Aspromonte è la frontiera Sud, è l’ultimo parco nazionale geograficamente dell’Italia che ha un sistema di parchi nazionali di 21, che fra poco diventeranno 24, ed è diciamo la frontiera dal punto di vista geografico un po’ anche dell’Europa. Dal punto di vista geopolitico si trova al centro del Mediterraneo, è abbastanza facile osservarlo sulla carta, mentre storicamente questa montagna come altre montagne del Mediterraneo, è rimasta abbastanza fuori dei circuiti di scambio economici, culturali, scientifici. Il Mediterraneo come l’Atlante nel Maghreb, come i Balcani, come altre aree montagnose all’interno della Spagna, hanno vissuto per secoli una situazione che Braudel, il grande storico, non a caso definisce il Mediterraneo, non solo un problema di Paesi della costa, ma innanzi tutto un problema di Paesi che vivono la montagna del Mediterraneo, è straordinario che il più grande storico del XX secolo inizi il suo più famoso volume: “Il Mediterraneo nell’età di Filippo II”, che riguarda il Mediterraneo nel 1500, quando inizia il declino di questo gran mare, parlandoci delle montagne del Mediterraneo. Queste montagne sono state anche i luoghi anche di conservazione delle culture antiche: l’Aspromonte n’è un esempio, noi abbiamo ancora una popolazione di lingua greca che viene nel periodo delle invasioni turche, i greci di calabri si rifugiarono all’interno e hanno conservato questa lingua. E’ un posto dove si sono mantenute tradizioni antichissime. Il nostro santuario, antichissimo santuario bizantino è molto probabile che sia localizzato dove i Greci, parliamo della magna Grecia 2500 anni fa, adoravano gli dei. Nello stesso luogo dove adoravano gli dei greci oggi c’è una chiesa, un santuario bizantino.
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Ma il Mediterraneo cui noi oggi siamo chiamati a rispondere è il Mediterraneo del futuro. Noi vogliamo capire insieme se è possibile costruire un sistema di relazioni e di parchi nel Mediterraneo. Noi vogliamo capire cosa succede nel Mediterraneo da qui a dieci anni, quando secondo gli impegni presi a Barcellona nel 1995, il Mediterraneo diverrà un’area di libero scambio, la più grand’area di libero scambio del mondo. Noi siamo entusiasti di ciò, soprattutto se questo libero scambio significa anche che le persone possano circolare, che è quello che è successo in Europa che riteniamo sia una gran conquista dell’umanità. La libera circolazione delle frontiere, e il creare un’area di libero scambio nel Mediterraneo, è per noi popoli della frontiera Sud del Mediterraneo, dell’Europa del Mediterraneo, un fatto di straordinaria importanza ma che non potrà essere solo un fatto economico, deve diventare un fatto di scambi culturali e un fatto di conservazione e valorizzazione del nostro patrimonio naturale, storico, sociale e ambientale. Noi abbiamo bisogno quindi di intanto conoscerci, capire. Il parco è lo strumento in Aspromonte per cambiare una storia che è una storia pesante. Non possiamo nasconderci che fino a 10 anni fa questa montagna era famosa nel mondo per i sequestri, era famosa nel mondo per le guerre, le faide qui dove voi siete, dove inizia il parco oggi tutto questo è scomparso, non siamo nell’eden, non siamo nel paradiso, ma è iniziato un processo positivo ricco di fatti anche grazie al parco. All’inizio le popolazioni hanno visto male questo parco, quando io sono arrivato nel Novembre del ’99 mi sono trovato una pila di comuni che volevano uscire dal parco dell’Aspromonte, la provincia di Reggio Calabria aveva a maggioranza votato per una forte riduzione di questo parco, oggi noi abbiamo cinque comuni che chiedono di aumentare l’area, e otto altri comuni che vogliono entrare per la prima volta. Non è stata un’impresa facile, è una sfida, è una sfida anche entusiasmante dimostrare che se è possibile in Aspromonte migliorare la qualità di vita della gente e conservare l’ambiente, allora è possibile farlo in qualunque altra parte del Mediterraneo. E’ noto a tutti che il Mediterraneo è un’area che concentra un’infinità di problemi, sappiamo che dai dati la metà del traffico degli idrocarburi del mondo attraversa il Mediterraneo. Il turismo di massa è da una parte un fatto positivo perché ne abbiamo due casi qui rappresentati, abbiamo i rappresentanti di Malta e vi parleranno di questo, una piccola isola che ha più di un milione e mezzo di turisti, o di Cipro che hanno avuto un boom turistico che anche i calabresi vorrebbero ma senza gli stessi danni ambientali. Malta cuore del Mediterraneo, un’isola in cui si parla una lingua che è un po’ arabo, un po’ inglese, un po’ italiano, che è lo specchio di questo Mediterraneo multi culturale. Ma in quest’isola oggi ci sono il 30% di coste e di mare che non è balenabile; cioè noi dobbiamo evitare questo tipo di situazione, noi dico Aspromonte e tutte le altre aree del Mediterraneo che ancora non hanno un turismo di massa, ma che l’avranno perché il turismo è una delle poche industrie che non ha subito un solo anno di crisi negli ultimi trent’anni, che ha un tasso di crescita annuale a livello europeo del 10% annuo, questo turismo chiaramente va alla ricerca di nuove aree. Noi siamo contenti se riusciremo ad 7
avere più turismo, un turismo di qualità, un turismo culturale, un turismo ambientale qui in Aspromonte. Così come siamo contenti se questa nostra proposta di portare in un’area marginale attività ad alto valore aggiunto e basso impatto ambientale, qui noi abbiamo fatto partire e stanno partendo delle attività di livello nazionale, delle attività di post-graduate, di master, d’alta formazione. Da tutta Italia arrivano qui per studiare, formarsi, significa anche rivitalizzare i nostri comuni all’interno. La differenza dei nostri parchi latini e Mediterranei con i parchi del nord Europa e del nord America voi la conoscete, noi qui non abbiamo aree in cui l’uomo non abbia lasciato la sua impronta, noi abbiamo qui in queste montagne una cosa incredibile a pensarci. A 5 km da Gambarie abbiamo una fortezza della Magna Grecia, del VI secolo Avanti Cristo. A 30 chilometri abbiamo un altro insediamento greco e poi romano, perché i Greci si erano spinti anche in queste montagne per difendersi dagli attacchi. Abbiamo l’uomo che ha modificato e convissuto con la natura per cui la nostra idea di parco non è l’idea di un museo, dei grandi paesi dove gli europei hanno colonizzato come l’Australia, il Nord America, interi continenti, anche dobbiamo ricordarlo, eliminando un po’ di popolazione locale, spesso un bel po’ e si sono insediati con un’idea appunto che era possibile programmare, qui ci mettiamo l’uomo, là ci mettiamo la natura, là ci mettiamo l’industria. Noi veniamo da una storia millenaria, e fare la scommessa di un parco è quello di far mettere insieme gli abitanti, le tradizioni. Oggi è più che mai importante nel Mediterraneo, che la crescita economica nei prossimi anni non elimini la biodiversità. Uno studioso spagnolo, Palomo Gomes che ha fatto una ricerca sulle piante che arrivano nei mercati agro alimentari; bene c’è stato negli ultimi vent’anni a livello di vegetali che entrano nel mercato dei consumatori europei e Mediterranei, soprattutto nel Mediterraneo, una riduzione dal 60 al 70% delle specie commestibili. Questo significa che noi avevamo tanti tipi di lattughe, avevamo anche tanti tipi di frutta che, sono scomparsi; al mercato si trovano solo due tipi di mele. La riduzione della biodiversità nel Mediterraneo è molto più grave di quanto noi immaginiamo. Esso riguarda direttamente anche la nostra società. Noi abbiamo ancora in tutto il Mediterraneo una rete commerciale fatta di piccoli esercenti, di piccoli operatori, di piccole imprese; si pensi soprattutto ai contadini. Avevamo otto milioni di contadini con meno di quattro ettari al ’90, ne abbiamo sei milioni oggi: in dieci anni due milioni di contadini hanno lasciato le loro terre. Sono piccoli contadini, ma il piccolo contadino in Calabria era quello che faceva l’opera di terrazzamento, quello che curava i terreni, quello che si occupava delle acque, ecc. E da quando la terra è abbandonata queste montagne si degradano e si distruggono. Questo non succede solo da noi succede in Spagna, in Nord Africa, nei Balcani.
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Abbiamo quindi necessità di immaginare un’attività agricola, un’attività produttiva che sia remunerativa. Non si può chiedere ad un contadino di restare sulla terra se non ci vive bene con tutti i servizi che un parco, ad esempio, dovrebbe dare. Contemporaneamente bisogna attivarsi per la difesa dei prodotti tipici locali, una cosa in Italia molto sentita che ha tanti operatori dietro. Abbiamo necessità altresì nel settore dell’artigianato. Molti mestieri si stanno perdendo, qualcuno si sta recuperando. Il parco dell’Aspromonte sta dando un contributo in questo senso su un fenomeno incredibile: la lana delle pecore da 20 anni veniva bruciata perché non aveva più mercato. Da quest’anno, grazie ad una cooperativa e all’intervento del parco che la ha promossa, viene raccolta e vengono riportati i mestieri di un tempo dove si filava questa lana. E’ vero che oggi non ha un mercato, ma abbiamo trovato una formula: i turisti del nordeuropea amano molto farsi le cose con le loro mani, allora noi a questi turisti gli facciamo fare il tappeto loro stessi con il vecchio telaio perché se dovessimo produrlo oggi non avrebbe mercato, la concorrenza dei paesi asiatici lo rende assolutamente impossibile. Questo e altri esempi per dire una cosa fondamentale: i parchi nel Mediterraneo sono un laboratorio che deve influenzare la vita al di là del parco stesso; devono diventare un punto di riferimento educativo; devono diventare un punto di riferimento culturale. Noi abbiamo intitolato un capitolo “il parco produce arte e cultura” , i parchi sono una scommessa di questo tipo. Se invece noi li concepiamo come una fortezza, una difesa, noi abbiamo già perso all’inizio la nostra battaglia. Ecco credo che le nostre esperienze messe a confronto, accelerino quel processo utile a creare un sistema di parchi mediterranei che si ponga come realtà importante per il Mediterraneo e per il suo futuro. Grazie.
Aldo Cosentino, direttore generale Ministero dell’Ambiente La logica su cui si muove il Ministero dell’ambiente, è una logica di sistema, una logica nella quale i parchi nazionali li vediamo strettamente collegati a tutto il resto del sistema di sviluppo del territorio; parco come possibilità di sperimentare nuove formule o di recuperare vecchie formule che lungo il percorso abbiamo un po’ dimenticato. Da Catania tre anni fa nacque l’idea della rete ecologica nazionale, nella quale mettevamo per la prima volta a sistema un meccanismo nel quale vedevamo le aree protette non con il concetto del vincolo, ma con il concetto delle regole; secondo noi l’area protetta recupera e riporta quelle regole che lungo il percorso dei secoli o degli anni si sono dimenticati. Su questa proiezione abbiamo richiesto e ottenuto dal governo il finanziamento di un progetto articolato che riguarda proprio la montagna, che è A.P.E. ( Appennino Parco d’Europa) nel 9
quale per la prima volta non si è parlato esclusivamente e soltanto di interventi legati alla conservazione ma si è andato a tentare di coniugare in maniera concreta e reale il concetto di sviluppo con quello di conservazione. L’abbandono da parte dell’uomo dei territori per cause le più varie, la più semplice delle quali la carenza di redditività del lavoro agricolo, concetto di aver come dire in qualche modo dimostrato che l’attività agricola oltre che portare via sangue e sudore non dava capacità o possibilità di una garanzia economica sufficiente, ha comportato e comporta danni continui e costanti anche al nostro territorio, perché il territorio anche dei parchi nazionali non è un qualche cosa che abbiamo ereditato integro come può essere per altri parchi. I parchi del nord America hanno estensioni pari a più di una nostra regione, sono lasciati lì intatti assolutamente privi di uomini, nel senso non abitati, mai abitati e rimangono come tali. Noi abbiamo un sistema completamente diverso che si riflette in qualche modo anche su altre realtà del Mediterraneo, cioè territori ampiamente vissuti nel corso dei secoli e che oggi se hanno un problema è quello di essere stati abbandonati, di aver perso la possibilità di poter vedere l’uomo, di continuare a vivere per lo sviluppo che normalmente viene detto sostenibile, io preferisco usare il termine durevole perché intendo il termine nel senso dell’utilizzo della natura così come si è verificato nei secoli rispetto a quello che potrebbe sembrare invece una sorta di blocco. Su questa logica ci stiamo movendo sempre in maniera articolata perché, nel contesto degli Appennino parco d’Europa, abbiamo anche lanciato un atlante dei cibi genuini nel quale si va a recuperare il particolare rispetto alla globalizzazione, non siamo né pro né contro la globalizzazione, ma attivare quelle forme e quelle procedure che facciano riscoprire sensazioni, gusti, possibilità che lungo la strada si erano persi avendo a riferimento che in conseguenza anche di recenti allarmi sociali, parlo del cosiddetto problema del DSE, della cosiddetta mucca pazza, o di alcune questioni legate agli organismi geneticamente modificati, hanno portato a una richiesta di prodotti garantiti biologici, per i quali esiste un back up che può arrivare anche al 20-30%. Si tratta di riscoprire queste possibilità di riottenere determinati risultati e in questa logica il sistema dei parchi nazionali sotto l’egida del ministero dell’ambiente era a Torino l’anno scorso per la manifestazione della Slow Food con risultati più che lusinghieri tanto che alcuni produttori hanno visto decuplicare i loro introiti proprio in virtù della possibilità di far conoscere i loro prodotti direttamente al consumatore, così come siamo alla Borsa Internazionale del Turismo ormai da due anni, l’anno prossimo sarà il terzo per garantire quello sviluppo che diceva il presidente Perna del turismo che è l’unica attività non certamente in crisi, ma nello stesso tempo avendo a riferimento che quello che viene richiesto è sempre più un turismo di qualità, non è più un turismo un po’ del mordi e fuggi, non è quel turismo che distrugge o ha distrutto, che ha creato e crea una serie di problemi anche ai paesi del Mediterraneo.
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Dobbiamo ricordarci che l’uomo ha modificato la bio diversità nei secoli tanti dei prodotti che da noi sono diventati oggi comuni, che sono diventati una salvaguardia da adottare, sono invece prodotti, piante che abbiamo importato, che abbiamo importato alla fine del ’500 nel ‘600 che oggi sono diventati nel nostro contesto. Noi abbiamo modificato la natura attraverso le forme di innesto, oggi la possibilità della scienza ha accelerato notevolmente i processi di cambiamento e questo per alcuni aspetti può preoccupare perché non dà, o può non dare, la possibilità di adeguamento o di assestamento per la quale la natura ha bisogno non di ore ma in qualche caso di secoli e di qui la nostra cautela che non una posizione contraria perché è evidente che sarebbe oscurantistico pensare al blocco delle ricerche e delle possibilità di sviluppo ma nello stesso tempo la cautela necessaria per capire quali sono le conseguenza che questo può avere sia sul sistema ambientale sia sul sistema della salute dell’uomo anche se questo in forma solo indiretta ci riguarda. Il sistema in Italia negli ultimi anni ha visto nascere 21 parchi nazionali, storicamente ce ne erano soltanto tre , quindi 18 sono neo, e con tutti i limiti, con tutte le deficienze o carenze che tutti i sistemi non possono non avere specie in fase iniziale, in buona sostanza sono una dimostrazione formidabile del tanto che si è riusciti a fare per un sistema che nasce soltanto cinque o sei anni fa. Attualmente circa il 10% del territorio nazionale può essere definito rientrante in area protetta, in area protetta destinata quindi allo sviluppo nelle compatibilità ambientali con l’utilizzo e il recupero di certe situazioni, si è parlato prima del terrazzamento che avviene in Calabria, bene ma il terrazzamento è per esempio nel parco delle Cinque Terre dove l’abbandono sta portando e provocando dissesti idro geologici di grossa portata e di grave conseguenza anche per la stessa sicurezza dell’uomo. Si tratta di reimpostare non tanto un sistema di sviluppo, ma un sistema o un modello di sviluppo, ci siamo occupati di fare le strade senza crearci nessun tipo di problema di quello che questo comportasse per la natura in quanto tale. Ora non si tratta di non fare le strade, ma si tratta di fare quelle che servono, laddove servono nei termini e nei limiti in cui le compatibilità con l’ambiente consentano la possibilità di non bloccare lo sviluppo. Fare delle strade o fare delle nuove linee ferroviarie, che nessuno può contestare essere necessarie, non possono significare come sta accadendo in un’altra parte d’Italia per esempio che vengano perse le sorgenti d’acqua con conseguenze gravissime sulle possibilità di sviluppo dei territori, ma con conseguenze e sviluppi anche sulle possibilità che il territorio non abbia poi processi di depauperamento, di inaridimento, di desertificazione. Il cambiamento climatico che è in corso, non è che porta soltanto a una desertificazione che riguarda i territori del Nord Africa, la desertificazione è dietro l’angolo. E’ cambiato il regime pluviometrico, è cambiato il sistema delle manifestazioni dell’atmosfera, e su questo occorre richiamare la nostra attenzione, non per 11
bloccare lo sviluppo, ma per orientare questo sviluppo nella logica delle compatibilità e nella logica dell’evitare le conseguenze che in precedenza non avendole sufficientemente esaminate, ci hanno portato a certe ipotesi di negatività di cui abbiamo le conseguenze tutti i giorni davanti a noi. Quindi questo sviluppo d’aree protette il 10% è anche in una logica di tutela dello sviluppo dell’uomo, della possibilità di dare delle regole diverse che consentano all’uomo di svilupparsi. Questi territori dei parchi nazionali non sono certamente delle oasi all’esterno del territorio, ma sono dei territori che rientrano in una rete che riguarda le autonomie locali, siano esse, per quanto riguarda il nostro paese il comune, la provincia, la regione che non vengono assolutamente prevaricate, né intendiamo che questo avvenga sotto nessun profilo. Ed è per questo che l’aver lanciato questo progetto di APE, Appennino parco d’Europa ha avuto proprio questo significato, e la regione Calabria per esempio è una delle regioni capofila per l’utilizzo di alcuni interventi sperimentali, per un importo globale nell’area che riguarda la competenza della stessa di circa 17 milioni di euro. Tuttavia l’Italia non si pone come leader, ma semplicemente al pari degli altri paesi, al fianco degli altri paesi, per verificare con gli altri paesi quali possano essere gli scambi reciproci di esperienze, non soltanto con quei paesi con cui ormai abbiamo una comunione sempre più stretta rientranti nell’Unione Europea ma soprattutto insieme e con spinta dell’Unione Europea , della commissione della comunità, dei rispettivi governi anche sulla possibilità di tutti gli altri paesi, siano essi del Nordafrica siano essi dell’Adriatico o del Medio oriente, che costituiscano anche il superamento di alcune forme di egoismi o di nazionalismi che per alcuni aspetti si sono affastellati nel tempo ma non costituivano storicamente il nostro riferimento e la nostra possibilità. In Calabria abbiamo colonie greche, colonie albanesi dove ancora vengono mantenute tradizioni, culture, mentalità di quei paesi di origine anche se quei paesi di origine ci hanno dato queste popolazioni secoli fa e non anni fa. Questo è stato tutto mantenuto, trattenuto, si tratta di riscoprirlo, si tratta di avere una possibilità di allargare al turismo quella parte del Mediterraneo, quel sud dell’Europa che fino ad oggi in qualche maniera è stato negletto o abbandonato per le più varie motivazioni sociali, ma anche di strutture e di infrastrutture. Si tratterà di modificare una certa mentalità di approccio; quello che in Grecia è l’ospitalità del pescatore, quello che in Tunisia o che in Algeria o che in Marocco è l’ospitalità che consente di unire la possibilità di un turismo “di massa” con un turismo “di qualità”, si tratta di accentuare queste esperienze. Anche da parte nostra di imparare, noi non abbiamo nulla da insegnare, noi abbiamo da imparare e da scambiare delle esperienze, non riteniamo di essere più avanti o più indietro ma riteniamo semplicemente di avere reciproco interesse a scambiarci tutto quello che possano essere state le nostre culture, i nostri 12
sviluppi e vedere laddove noi possiamo aver preso delle strade giuste e laddove noi possiamo aver preso delle strade meno giuste se non addirittura sbagliate, non c’è nessun problema a riconoscere gli errori che possono essere commessi; noi intendiamo muoverci e ci stiamo movendo sempre nella nostra logica di sistema, di sistema paese, di sistema Unione Europea con gli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, e avendo a riferimento anche che alcuni di questi paesi stanno per entrare nell’unione a breve scadenza. Quindi è semplicemente allargare quest’esperienza, allargare le possibilità, noi stimoliamo tutti gli enti che fanno parte di questo sistema delle aree protette ma prima di tutti ancora le regioni, le province, i comuni anche ad attivare quelle forme di collaborazione con i paesi del Mediterraneo che trovano nelle iniziative eventualmente di comune interesse una serie di finanziamenti a livello dell’unione europea, opportunità che forse da parte del mio paese non sono state sufficientemente utilizzate e su questo abbiamo da imparare dagli amici spagnoli, dagli amici portoghesi, dagli amici francesi che stanno però un pochino come noi. Non c’è molto da nascondersi dietro le possibilità che noi non abbiamo perseguito sino ad oggi, dovremo farlo in maniera più concreta e su questo attivare quelle forme di collaborazione ripeto non soltanto a livello degli enti ma a livello di stati e livello di unione nei confronti degli altri stati. Il tutto al fine di attivare in una logica di sviluppo e di maggiore possibilità di riconoscere vantaggi e sviluppi alle popolazioni locali.
Fabio Renzi, responsabile nazionale Lega Ambiente / sistema parchi Dal parco dell’Aspromonte abbiamo continue occasioni di confronto e di riflessione sul sistema delle aree protette nel nostro paese. Quello che oggi ci viene proposto di vedere come il nostro sistema di aree protette, sistema che non rimane solo una cartografia, ma è anche un mondo di esperienze, di lavoro, di scambi di rapporti. Ecco come questa nostra esperienza possa diventare anche non solo un momento di confronto ma anche un momento di politiche per il Mediterraneo; a me pare che oggi la questione che ci poniamo è questa:se il sistema dei parchi e delle aree protette del Mediterraneo può svolgere un ruolo nelle politiche per il Mediterraneo. Dal punto di vista numerico è ancor più necessario che ci siano delle politiche per il Mediterraneo e per le sue coste , ma anche per le montagne del Mediterraneo e sappiamo purtroppo, come nelle politiche dell’unione europea la montagna non sia un tema importante. È vero che al Parlamento Europeo c’è un gruppo interparlamentare della montagna, ma i fondi strutturali per queste aree, sono per aree depresse, aree svantaggiate, secondo una formulazione e una concettualizzazione che per 13
molti versi è oggi superata perché queste sono aree svantaggiate o come si diceva una volta, aree marginali rispetto processi di sviluppo economico importanti e tumultuosi che nel dopoguerra in Europa ci sono stati, e che vedevano le montagne o queste aree più in generale aree proprio ai margini dello sviluppo, perché quello era uno sviluppo che aveva determinate traiettorie mentre oggi, cambiando i fattori dello sviluppo queste aree possono tornare ad avere un ruolo importante. Quindi è necessario avere una politica per il Mediterraneo, per una parte importante del Mediterraneo che sono le sue montagne, le montagne del Mediterraneo, che sia una politica non pensata nei termini di marginalità, nei termini di aree svantaggiate, ma che faccia invece, che veda invece queste aree come aree forti. Le debolezze di queste aree oggi le rendono forti per essere anche aree competitive dal punto di vista del turismo, dal punto di vista anche delle produzioni agricole, insomma per quello che tante volte diciamo di poter stare nei processi di globalizzazione non con l’esito scontato della omologazione ma invece per far contare le differenze le particolarità, e cosa importante per coniugare qualità ambientale e coesione sociale. Ecco io penso che i parchi e le aree protette questo ruolo lo possano svolgere nel Mediterraneo perché cominciano ad essere tanti e il fatto che ci siano molte aree protette è importante perché noi possiamo pensare alle politiche di sistema nel nostro paese. Il fatto che le aree protette siano tante in Italia e anche molto concentrate sull’Appennino, da questo ci è venuto facile pensare il primo progetto di sistema sull’Appennino proprio perché le aree protette erano tante, ed in contiguità fra di loro, quindi dandoci la possibilità di sviluppare politiche non solo alla scala del singolo parco, sia esso nazionale sia regionale, ma alla scala di aree vaste. Aree vaste spesso quasi di rilevanza sovra regionale; pensate lì nell’Appennino centrale, i Sibillini, Gran sasso, Maiella, Parco nazionale d’Abruzzo oppure quaggiù il Cilento, il Pollino, insomma proprio dei blocchi di aree. Ecco il fatto che le aree protette siano cresciute, ci permette di svolgere una riflessione non solo teorica e culturale, di far sì che le aree protette non siano solo un laboratorio perché sono un piccolo laboratorio disperso lì da qualche parte, ma perché acquisiscano anche una massa critica anche fisica, come è stato nel nostro caso in Italia che ci permette naturalmente in diversi contesti di farle contare nei processi di sviluppo locale. Ecco ma prima del sistema, vorrei richiamare alcuni elementi che hanno permesso in Italia in meno di dieci anni, di passare dal 3% al 10% in superficie protetta. Tenete conto che questi i dal ’93 sostanzialmente ad oggi, perché la legge quadro sulle aree protette è del 1991 ma si è iniziata ad applicare alla fine del ’92 inizio del ’93 sono cambiati sette o 14
otto ministri, otto ministri nel frattempo, l’Italia è stata dentro una vicenda politica culturale di transizione, una transizione politica e istituzionale molto forte. Si sono aperti in Italia i temi del federalismo, e quindi temi che hanno investito il ruolo dei parchi nazionali che qualcuno invece voleva vedere come elementi di centralismo. Si è passati da cinque parchi nazionali a 21 parchi nazionali, perché si sono colti alcuni elementi importanti. Il primo: il parco nella generalità dei casi è stata l’occasione non solo di un’individuazione di valori naturalistici e ambientali, non solo l’individuazione di aree importanti dal punto di vista naturalistico, ma anche una riscoperta di identità culturali. L’Italia dei nuovi parchi nazionali porta di nomi antichi che erano scomparsi dalla geografia culturale degli italiani e figurarsi degli europei. I sibillini, le foreste casentinesi, la Val grande, le dolomiti bellunesi, il Cilento erano nomi scomparsi, gli italiani non sapevano neanche più dove erano collocati, non erano presenti più forse neanche nei libri di geografia scolastici; quindi vi è stata una riscoperta attraverso il nome del proprio territorio, di identità locali, di identità culturali, e anche laddove i territori erano conosciuti purtroppo come l’Aspromonte e il Gennargentu per motivi diciamo di criminalità eccetera , il parco è stata l’occasione per un riscatto culturale che ancora oggi è importante. Quindi questo elemento dell’identità locale culturale è molto importante. Siccome la legge prevedeva anche l’istituzione nei parchi nazionali ma anche nei parchi regionali è stato così di enti autonomi, i piccoli comuni perché soprattutto i parchi sono stati realizzati nei piccoli comuni , piccole realtà, hanno visto nell’istituzione dell’ente o del consorzio una maniera anche per coalizzarsi e per far sì che l’identità culturale si sposasse con una maggiore forza istituzionale e quindi per avere un rapporto con i poteri regionali e nazionali, più forte e meno subordinato: per questo in Italia abbiamo ancora oggi molti nella generalità dei casi, molti comuni che chiedono di entrare nei parchi. L’altro elemento fondamentale, è stato quello che inevitabilmente essendo anche il parco così rappresentativo di dinamiche locali, si è capito subito la fortissima connessione tra conservazione della natura e sviluppo rurale, tra le tipicità anche agro alimentari e il patrimonio delle diversità biologiche e culturali. I parchi Mediterranei non sono degli oggetti banali, non sono orsacchiotto più lupo, più dépliant più gadget, più visita ma sono invece dei parchi abitati con le comunità locali vitali all’interno qui vi do solo un dato: l’85% dei gruppi di azione locale, del leader due in Italia, si sono istituiti, si sono svolti, hanno interessato aree protette, e siccome leader due è stato in Italia un’esperienza positiva, questo significa che non vi è stato scontro , conflitto, blocco tra l’esperienza di gruppi di azione locale nati per lo sviluppo rurale e i parchi, anzi in molti casi i parchi nazionali e regionali sono stati gli elementi di promozione.
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Quindi questo rapporto strettissimo occuparsi dei prodotti tipici, occuparsi di queste cose e occuparsi del nostro patrimonio di diversità biologica, del nostro patrimonio di diversità culturali, del nostro patrimonio di diversità paesistica e facendo anche un’operazione molto importante alla quale ci richiamava il direttore generale facendo così un discorso sulla tipicità, che non è solo ricetta, cosa che oggi c’è questo rischio, il favore, la moda nei confronti della tipicità rischia anche di come dire, paralizzare la tipicità. A noi interessa la tipicità in quanto è economia territoriale, un esempio , ci interessa il lardo di Colonnata non fatto con i suini olandesi, ma ci interessa il lardo di Colonnata fatto con i maiali delle Alpi Apuane, di quelle aree che al pascolo mantengono anche quei paesaggi agrari. Questo è importante, i parchi sono riusciti ad entrare in questo e il progetto dell’atlante dei prodotti tipici e tradizionali dei parchi italiani promosso dal Ministero dell’Ambiente e realizzato da Slow Food in collaborazione con Legambiente e Federparchi va in questa direzione. L’altro elemento è stato quello di puntare sul turismo, naturalmente il turismo è il fattore più complesso perché significa anche intervenire in aree dove storicamente non vi è la propensione all’ospitalità, all’accoglienza, ma vi è invece una resistenza; questo è importante perché sta a significare che il parco non è solo riconoscimento e rafforzamento delle identità e delle culture locali, ma è anche stimolo alla loro apertura, al loro mettersi in rete, al loro aprirsi al mondo. È a partire da questo che noi arriviamo anche a un processo di miglioramento, di ristrutturazione, di qualificazione anche de patrimonio di manufatti locali perché l’Italia non è solo il paese delle belle architetture, di una ricchezza di architettura minore importantissima ma anche il paese di un’edilizia che in questi anni, nel dopoguerra è venuta realizzandosi e che spesso ha degradato il paesaggio e i nostri paesi. Ecco questo lavoro sul turismo quindi come una leva anche per diffondere una coscienza, una consapevolezza, una necessità di rendere più belle, di dare importanza anche a questa edilizia che in questi anni era venuta avanti. L’altro elemento importante, è stato quello dei servizi territoriali, in molti di questi parchi così come in molte delle aree interne, nel nostro paese, per le cosiddette politiche di bilancio, di bilancio statale si è andati spesso ad una contrazione, ad una riduzione di quei servizi territoriali che sono fondamentali per mantenere la prima risorsa strategica, per far sì che questi parchi non siano degli oggetti banali, delle vetrine ma siano dei luoghi vivi e cioè la risorsa umana. In molte di queste situazioni noi abbiamo visto che in queste realtà dove dovevamo investire perché le persone rimanessero a svolgere quel complesso di attività del parco venivano chiuse le scuole, gli uffici postali, venivano tagliati i trasporti pubblici, cioè un discorso di bilancio semplice che non contabilizzava però i costi sociali che queste riduzioni comportavano. 16
Ecco è stato importante il parco, i parchi sono stati importanti perché hanno interpretato in termini nuovi domande antiche e quindi non hanno chiesto la difesa della scuola così come era, dell’ospedale così come era anche con tutte quelle incrostazioni localistiche, clientelari che nel tempo si erano venute a determinare, ma è stato invece un porre il problema per capire quali erano quelle soluzioni innovative che potessero rispondere contestualmente alle esigenze dei visitatori e a quelle dei residenti; ecco questo è stato un altro elemento che ha fatto sì che il parco sia stato visto come un’opportunità per il territorio, ecco questo ci ha permesso di far sì che in Italia si sia disegnato questo tessuto di aree protette. Il secondo passo è stato quello di sviluppare le politiche di sistema, cioè di passare dal parco come laboratorio al sistema dei parchi come un grande laboratorio per orientare le politiche di sviluppo e di assetto di grandi parchi del paese, per questo il progetto Ape, dal quale poi sono nati altri progetti di sistema come il progetto dei parchi alpini che vuole far svolgere un ruolo che ha come obiettivo che le aree protette alpine svolgano un ruolo nell’applicazione della convezione delle Alpi, nell’attuazione della convenzione delle Alpi, così come il Progetto Cip coste italiane protette che è un progetto che benissimo può diventare un progetto non solo italiano ma proprio Mediterraneo, perché riguarda il ruolo dei parchi e delle aree protette lungo le coste, o il progetto Itaca per le isole minori, che è un progetto Mediterraneo da qui il nome del progetto, tutto questo noi siamo riusciti in Italia a farlo entrare anche nelle politiche di Agenda 2000. Oggi tutti i parchi italiani sono, in vario modo protagonisti di progetti di partenariato per utilizzare i fondi di Agenda 2000 per realizzare queste politiche di sistema. Quando abbiamo pensato ad Ape abbiamo pensato soprattutto all’Europa, ai fondi strutturali. Ecco vi sono dei programmi che assegnano le risorse agli stati membri e alle regioni europee per sviluppare delle politiche che riguardano le diverse regioni sia che siano inserite nell’obiettivo 1 cioè le regioni a ritardo di sviluppo, o nell’obiettivo 2 o nell’obiettivo 3. E’ importante come dicevo che in Italia i parchi siano dentro la programmazione, cioè nel sistema della programmazione sia nazionale che regionale, tutti i parchi nazionali e regionali sono destinatari di risorse per sviluppare le misure di questi fondi per i temi che dicevamo prima dall’agricoltura al turismo all’infrastrutturazione, al recupero delle città, de patrimonio edilizio. Ape quindi come Appennino parco d’Europa, come dire che in Europa non vi è un’area come l’Appennino nella quale vi sia questa grande densità di aree protette, se a queste sommiamo anche i siti di importanza comunitaria e le zone 17
di protezione speciale individuate in base alla direttiva Habitat, voi capite la tessitura che viene a determinarsi e quindi stiamo facendo un’esperienza che può avere un valore europeo, un’esperienza di conservazione legata allo sviluppo del territorio, legata alla valorizzazione del territorio importantissima. Tenete conto che questo significa che i parchi si pensano non come monadi, ma come reti, come nodi di reti culturali naturalistiche ambientali, i parchi assieme anche ai territori che non sono parco, alle province, sviluppano progetti per realizzare corridoi biologici per l’orso e per il lupo ma realizzano anche itinerari storici per creare reti di fruizione del territorio e dell’Appennino e quindi stiamo pensando ad un progetto e che ha proprio una sua legittimità a scala locale ma ha una sua ambizione azionale, europea e Mediterranea e a noi piace pensarlo come un progetto di soggetti e di territori.
Enzo Valbonesi, Presidente della Federparchi. I temi trattati sono di grand’attualità, importanti in una visione delle aree protette non come semplici oasi che proteggono la natura ma come luoghi, capaci di prefigurare un modo diverso di gestire le risorse naturali e anche di guidare, di pilotare lo sviluppo come si dice lo sviluppo sostenibile. La federazione dei parchi, che ha 12 anni di vita che raggruppa la stragrande maggioranza dei parchi nazionali italiani e dei parchi regionali circa 110 aree protette, ha questa funzione principale, di favorire lo scambio d’esperienze e di portarle a conoscenza di tutti. Le aree protette hanno avuto uno sviluppo rapido dopo il 1991 con l’emanazione di una Legge Quadro nazionale che ha favorito la nascita di nuovi parchi nazionali. L’Italia quindi ha fatto un balzo in avanti notevole in questa politica. Il nostro compito è quello di favorire lo scambio tra i parchi associati, di discutere le politiche da proporre alle regioni e al ministero. E’ un’organizzazione d’aree protette che si suddivide a grandi linee in maniera un po’ schematica tra parchi e riserve nazionali e parchi e riserve regionali e locali in base all’articolazione delle competenze tra lo stato centrale e le regioni. È da questi sistemi d’aree protette che noi cerchiamo di emanare delle azioni, delle politiche esemplificative capaci di dimostrare la necessità, la validità delle aree protette in termini di tutela e di sviluppo economico anche fuori dei loro confini. Quello di cui hanno sofferto molto in questi anni, negli anni passati in Italia, i parchi è anche una sorta di malattia d’isolamento, di sentirsi territori un po’ assediati, assediati da politiche che non avevano adeguata attenzione per la conservazione della natura.
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Noi cerchiamo di far uscire i parchi da quest’isolamento che è mortale, che è negativo, perché i parchi possono avere forza, promuovere dei messaggi giusti, avere capacità di proporre delle cose importanti se si mettono insieme, se agiscono in maniera collegata tra loro e guardano oltre i loro confini, guardano a delle politiche sulla base di grandi sistemi territoriali, sistemi montuosi, sistemi costieri, sistemi fluviali. Questo è quello che stiamo cercando di fare: abbiamo con Legambiente, col Ministero in atto quest’azione che è quella più avanzata per unire la catena appenninica e i soggetti che lì gestiscono il territorio, i parchi, le province, i comuni in un gran progetto d’ecosviluppo, di sviluppo sostenibile dell’Appennino, questa gran montagna Mediterranea questa spina dorsale dell’Italia proiettata nel Mediterraneo. Altrettanto stiamo cercando di fare per l’Arco Alpino, dove tra l’altro esiste da tempo e opera uno strumento di collegamento, la rete tra le aree protette alpine transfrontaliere promossa e cui partecipano i parchi dei vari paesi che si affacciano sulle Alpi. Analoga cosa stiamo facendo tra i parchi fluviali del bacino del fiume Po, circa 40 aree protette fluviali che si sono coordinate tra loro e che stanno cercando di promuovere e anche condizionare le politiche delle autorità nazionali e regionali che gestiscono le politiche di difesa del suolo e di gestione dei fiumi, dei bacini, dei bacini fluviali di questo fiume che è il più importante del nostro paese. Altrettanto stiamo facendo per le coste, il problema qui è complesso, l’inquinamento, la pressione demografica e quindi della difficoltà a mantenere efficienti le aree di gran valore ambientale che ancora sono presenti ma sono sempre di più assediate dal turismo e da nuovi insediamenti o da insediamenti urbani che si espandono per le migrazioni che vengono dall’entroterra. Ecco noi stiamo cercando di mettere in rete le aree protette del nostro paese che si affacciano lungo le coste. Ritengo che così come noi nel nostro paese siamo cercando di coordinare i parchi, le aree protette in un rapporto con le associazioni ambientaliste come Legambiente e in rapporto stretto con il Ministero dell’Ambiente, cercare di coordinare e scambiarsi le esperienze, avere più forza tra loro all’interno appunto di questi sistemi territoriali, io credo che dobbiamo lavorare per avere momenti più stringenti, protocolli di lavoro tra il sistema delle aree protette, i sistemi delle aree protette dei paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo e che riguardano non solo i parchi fluviali, i parchi costieri ma tutti i parchi di questi paesi per il valore che hanno, per come la loro attività può condizionare in positivo il futuro di questo mare, che è un futuro di questo mare, dei paesi e delle popolazioni che lo vivono, dei sistemi ambientali che ancora sono presenti perché sono fortemente minacciati da uno sviluppo che può essere incontrollato e in parte lo è, e in cui i parchi possono giocare un ruolo esemplificativo d’esempio positivo. Quindi scambiarsi esperienze, fare
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rete, fare collegamento tra il sistema dei parchi dei paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Occasione straordinaria questa che ci viene offerta dall’iniziativa Intereg che può favorire questi scambi. Questa è una delle cose che possiamo fare, creare sistemi di parchi per tipologie d’aree protette, in seguito avremo altre occasioni come il Congresso in Sudafrica, occasioni per andare avanti e crescere insieme.
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MEDPARKS 2001 23/29 Luglio Parco Nazionale d’Aspromonte
2. Ecoturismo: potenzialità e valori Roberto Furlani, WWF Italia Coordino da 10 anni i progetti di sviluppo e capacity building, ossia la costruzione delle competenze nelle aree protette italiane; tra l’altro sono per il WWF Italia il referente per il turismo, faccio una breve introduzione e poi passerò al parola ai colleghi qui presenti al tavolo. Il 2002 è stato designato dall’UNEP, il programma ambiente delle Nazioni Unite, dalla WTO, l’organizzazione mondiale del turismo, “Anno dell’ecoturismo”, un sorta di celebrazione di questo segmento turistico che man mano, nel corso degli anni si è sempre più sviluppato, ha sempre visto aumentare il proprio giro d’affari. Il concetto d’ecoturismo inizia alla fine degli anni ’60, quando da un concetto statico di conservazione, ossia conservare vuol dire mettere sotto una campana di vetro e non fare niente, si cerca di passare ad un concetto più dinamico: conservazione sì, ma con il coinvolgimento delle popolazioni locali e soprattutto avviando attività non distruttive nei confronti dell’ambiente. L’ecoturismo quindi, viene proposto già all’inizio degli anni ’70 come strumento per la conservazione con diversi obiettivi, ossia oltre la protezione e la valorizzazione del territorio che l’attività eco turistica può dare. Negli anni ’80 appunto sono stati realizzati diversi studi economici a livello internazionale per capire la portata dell’ecoturismo. Ne cito due, essenzialmente uno studio condotto dall’economista americano David Western nel Kenya a metà degli anni ’80 in cui Western contabilizza quanto valgono gli animali africani, quanto vale un leone, quanto vale una mandria d’elefanti semplicemente facendo un calcolo, dividendo i ritorni economici diretti e indiretti delle attività turistiche con gli animali presenti in alcune parti ed emergono cifre strabilianti; ossia un leone vale in termini turistici 1000 dollari, un gruppo d’elefanti ne vale 60 mila e così via. Alla fine degli anni ’70 il WWF Italia, in Italia appunto, commissiona a NOMISMA, che è un’importante società economica, uno studio sul Parco d’Abruzzo da cui emerge come il livello economico delle popolazioni locali del parco è più alto rispetto ad altri grazie alle attività economiche indotte dal parco, primo da tutti il turismo. In questi anni l’ecoturismo ha aumentato a dismisura le visite nelle aree protette. Aumentano sempre di più le persone disposte a pagare fior di 21
quattrini per andare a vedere animali come gli orangutan in Malesia, per andare a vedere le balene nel santuario dei cetacei in Italia, piuttosto che in California o negli altri luoghi di riproduzione. Aumentano sempre di più le persone disposte anche a venire nel parco nazionale dell’Aspromonte, a fare trekking nella natura, e aumentano sempre di più i navigatori nel portale dei parchi italiani che, in questi ultimi tempi ha avuto una crescita vertiginosa degli accessi di persone che vogliono conoscere le realtà dei parchi italiani, vogliono capire la loro organizzazione turistica. Il problema è che una volta che UNEP e WTO , l’organizzazione mondiale per il turismo, hanno dichiarato il 2002 “Anno dell’ecoturismo”, sono insorte varie organizzazioni non governative e comunità locali in molti paesi del Sud del mondo, in America del Sud, in Africa, in Asia dove da tempo sono attivi programmi d’ecoturismo; in sintesi la protesta grossa rivolta appunto all’UNEP e al WTO di queste organizzazioni, di queste comunità locali è questa: “ L’ecoturismo è stato presentato come strumento di conservazione, come strumento di crescita di benessere delle comunità locali, in realtà dopo alcuni anni, fatti i debiti conti non è così perché è servito come strumento di penetrazione in territori ancora vergini, nelle foreste, in alcuni mari, su alcune coste, in alcune aree rurali da parte d’operatori turistici senza scrupoli, che invece di conservare il territorio lo hanno distrutto portando un di turismo di massa, hanno tenuto per sé i guadagni e nulla è venuto alle comunità locali che sono state anzi danneggiate da queste attività. L’ecoturismo alla fine non è tutto oro ciò che luccica, è un’arma a doppio taglio che può ferire il territorio, ma che se opportunamente gestito può invece valorizzare il territorio ed essere uno strumento di crescita.” Dal ’99 EUROPARK, la federazione che raccoglie alcuni parchi a livello europeo si è dotata di uno strumento di gestione che è la Carta del turismo durevole, tra l’altro adottata anche dalla federazione dei parchi italiani, che si rivolge ai gestori delle aree protette e agli operatori turistici, ed ha al suo interno una serie di principi di gestione del turismo, ossia principi per un turismo di qualità, qualità intesa come conservazione e valorizzazione dell’ambiente, e poi qualità dell’offerta turistica che deve servire come volano di sviluppo per il territorio, deve essere integrata con altre attività economiche presenti sul territorio, e deve coinvolgere e comunità locali, deve poi dare possibilità di guadagno per le popolazioni locali. Noi diciamo in Italia “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” ossia da una semplice carta poi bisogna passare ai fatti. Allora come WWF Italia, da circa una decina d’anni operiamo nelle aree protette italiane. Tra l’altro abbiamo iniziato proprio qua in Aspromonte con un progetto pilota pioniere nel Mediterraneo, perché riuniva una serie di paesi Mediterranei - Grecia, Spagna, Portogallo - più una serie di paesi nordici, per portare questo concetto di sviluppo durevole nelle aree protette. E proprio qua abbiamo sperimentato un modello di gestione turistica nell’area grecanica con un grosso coinvolgimento delle comunità locali, un progetto che oramai è abbastanza famoso, si sviluppa da dieci anni: è stato valorizzato un antico 22
percorso fatto nel 1850 da uno scrittore inglese Edward Lear, è stato riscoperto, valorizzato attorno a questo percorso, è stata creata una rete d’ospitalità diffusa, ossia una decina di paesi e di famiglie dell’Aspromonte offrono ospitalità nelle proprie case con la formula inglese del bed & breakfast agli escursionisti che ogni anno sempre più frequentano questo sentiero. Da questa esperienza e da altre che abbiamo avviato in altre aree protette italiane abbiamo imparato due cose, due principi che secondo noi sono fondamentali in tutti i processi di sviluppo ecoturistici: il primo, che ogni processo di sviluppo ha dei tempi molto lunghi perché se veramente si vuole coinvolgere, dialogare e costruire con la comunità locale, necessariamente bisogna lavorare per mesi ed anni sul territorio; il secondo, che per fare progetti d’ecoturismo non servono interventi a pioggia, non servono tanti soldi, ma ci vuole molto entusiasmo, molto convincimento perché proprio molte volte è l’entusiasmo ed il convincimento sono la chiave di volta che può garantire la continuità di un progetto. Allora l’obiettivo di questo tavolo di lavoro, che riunisce diverse esperienze molto appassionanti nel Mediterraneo, è in ogni modo cercare di chiarirci tra di noi appunto qual è il concetto d’ecoturismo per l’area Mediterranea, se è vero ciò che ho detto, che appunto deve essere un processo lento sul territorio, un processo di coinvolgimento e appunto sentire varie esperienze di là dal bacino del Mediterraneo. www.wwf.it
Andrej Sovinc, rappresentante dell’UICN/Parks for Life L’UICN è l’Unione internazionale per la conservazione della natura, l’organizzazione di conservazione più grande al mondo. Comprendente 1000 organizzazioni provenienti da 130 paesi in una partnership unica d’organizzazioni governative e non. Il lavoro dell’UICN si basa su sei commissioni, una delle quali è la WCPA, che è la commissione mondiale per le zone protette. L’intervento si articolerà in due parti. Un primo momento sarà dedicato alle ultime filosofie sulle aree protette, il nuovo paradigma per le aree protette; poi cercherò di spiegare il concetto di Parks for Life, che è in assoluto il primo programma d’azione per le zone protette in Europa, nato dalla collaborazione dell’UICN, WWF, il Centro per il monitoraggio della conservazione mondiale, la Federazione dei parchi europei, e il Bird Life International. Infine tenterò di delineare uno dei progetti scaturito da questo programma d’azione, il documento del turismo sostenibile per le zone protette.
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Fino a poco tempo fa, il movimento internazionale per le zone protette adottava come suo ideale il modello del Parco nazionale dello Yellowstone negli Stati Uniti; questo consiste nella preservazione di vaste zone di natura incontaminata affidandone la proprietà, la gestione ad agenzie pubbliche, solitamente nazionali che gestiscono il territorio nell’interesse nazionale, con particolare attenzione alla protezione e alle esigenze dei visitatori. Tali aree sono abbastanza rare in Europa, presenti forse in Scandinavia e nei parchi alpini come in Austria. Tuttavia possiamo notare che il movimento delle aree protette è diventato internazionale e il numero di queste zone sta crescendo, e i modelli sono stati allargati per includere diversi aspetti importanti. Si può vedere come la crescita sia parallela alla maggiore consapevolezza sulla natura e l’ambiente che si è sviluppata negli anni 60 e 70. Quindi cos’è una zona protetta secondo la definizione dell’Unione mondiale per la conservazione? La parte più importante riguarda la protezione, certamente nel rispetto della diversità biologica, ma ci sono termini quali risorse naturali e culturali, e la questione della gestione del territorio. Quindi, come dovrebbe essere una area protetta in questo nuovo paradigma per le zone protette? Dovrebbe ricoprire le sei diverse categorie per la gestione delle aree protette. Le categorie 1 e 2 riguardano le risorse naturali e i parchi nazionali. Per la zona del Mediterraneo è particolarmente importante la categoria 5, che si occupa dei paesaggi montani e marini protetti dove lo sviluppo sostenibile e ricreazionale ha svolto un ruolo considerevole. Per ciò che concerne la diversa proporzione delle sei categorie di gestione del territorio protetto, in Europa predomina la categoria 5, paesaggi protetti, ma non in tutto il Mediterraneo perché i colleghi nord africani e del Medio oriente probabilmente sosterrebbero che c’è ancora molto da fare sui paesaggi protetti in quelle zone. In un discorso più complessivo la categoria predominante è la 2, che comprende il 41% di tutte le zone protette. La seconda parte di questo nuovo paradigma sostiene che le aree protette non dovrebbero riguardare solo la protezione della vita selvatica (la Wildlife), dei paesaggi o della biodiversità, come dichiarato nella prima parte, ma includere altre funzioni come quella dei servizi ambientali che mirano a tutelare il territorio e le comunità nelle zone interessate dalla presenza di bacini idrici o miniere di carbone. Le aree protette possono avere una funzione economica importante; il turismo, se correttamente gestito, può essere una forza trainante. 24
Possono anche essere fonti di cibo. Di solito le aree protette comprendono foreste produttive, paludi, zone marine e di pesca. In alcuni casi ospitano comunità umane a rischio, sostengono stili di vita tradizionali che acquistano sempre più valore in questo mondo moderno, proteggono aspetti naturali unici quali cascate, barriere coralline, formazioni rocciose. Nelle zone protette possiamo esplorare i valori della natura selvaggia, perché in questo mondo moderno c’è un desiderio diffuso e primordiale per questa natura selvaggia. Molte aree protette sono state tutelate per il loro significato spirituale o religioso, come la crescita segreta d’alberi per associazioni artistiche e culturali. Questi sono posti per la scienza e la ricerca, senza dimenticare la loro importanza nel campo dell’istruzione e della consapevolezza pubblica. La nuova filosofia mira anche a collegare queste zone con il territorio circostante, e a tale proposito ecco due approcci moderni alle zone protette. Il primo avviene attraverso l’Original Planning che è un’iniziativa su larga scala per l’incorporazione di concetti ecologici nella programmazione originale e mira a tutelare le aree protette e collegarle attraverso corridoi ecologici. Il secondo approccio mira ad intensificare la cooperazione tra gli stati laddove i parchi interessino l’ecosistema di più paesi. In questi casi la collaborazione è fondamentale. Si parla poi dell’andare dall’isola alla rete, visto che una volta le aree protette erano viste come isole naturali in un mondo in degrado; oggi tentiamo di collegarli con corridoi, passaggi atti a fornire legami tra loro. Il background legale proviene dall’articolo 82 della Convenzione sulla diversità biologica che afferma che ogni paese dovrebbe sviluppare un sistema di aree protette per conservare la biodiversità. Ultimamente si ritiene che diverse istituzioni possono agire da gestori delle aree protette. Storicamente, la gestione di queste zone era visto come ruolo esclusivo del governo centrale. Adesso invece il governo è coadiuvato dagli sforzi di molti altri, agenzie para-statali, enti comunali e provinciali, comunità locali e gente del posto. Vi sono anche enti privati, ditte di legname o individui, come è accaduto a Malta dove un famoso sostenitore della natura, Joe Sultana, ha comprato delle isole, università, istituti religiosi, chiese. Infine vi è un incremento dei mezzi a disposizione di coloro che sono coinvolti nella gestione, una varietà di meccanismi ideati per rendere più proficuo il lavoro. Se le leggi e le regolamentazioni sono di notevole importanza, non meno importante è la questione della proprietà, solitamente il mezzo più affidabile attraverso il quale un governo o un altro ente può assicurare un adeguata protezione. Tuttavia esistono situazioni legali dove alcuni diritti quali la pesca, la caccia non sono acquisiti, sebbene siano praticati.
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Le zone protette dovrebbero diventare una parte definita del sistema di programmazione nazionale e dovrebbero avere un piano di gestione chiaro, adeguato e aggiornato. La zonizzazione è una caratteristica importante delle aree protette e del loro piano di gestione. Il Parco d’Abruzzo è stato individuato come uno dei modelli più efficaci di zonizzazione in Europa. C’è un intero nuovo capitolo di accordi e meccanismi di volontariato che assicurano un valido sostegno ai proprietari, agli amministratori; tutto ciò diventa sempre più importante per garantire la conservazione. Occorrono incentivi finanziari per ottenere azioni adeguate nella conservazione. Sembra se ne stia già discutendo all’Unione Europea. Standard e certificazioni di qualità possono essere usati come supporto agli obiettivi delle aree protette, standard di ecoturismo potrebbero regolare il turismo in queste zone, in futuro si potrebbero sviluppare standard ISO 14000 per la gestione delle suddette aree. In Europa esistono ancora aree di natura incontaminata e animali come il bisonte europeo in Polonia; non è un caso che IUCN, WWF e altri abbiano preparato un piano d’azione basato su questo nuovo paradigma per le aree protette. Quali sono i problemi principali da affrontare? Come è già stato detto, queste aree dovrebbero essere integrate in strutture di programmazione più vaste quali agricoltura, foreste, turismo, trasporti, industria e altri. Vi è ancora una copertura inadeguata di queste zone in Europa e nel Mediterraneo, e spesso la gestione è alquanto povera e inadeguata. Manca un sostegno politico e pubblico affidabile. L’obiettivo del piano d’azione di Parks for Life è quello di costituire una rete adeguata, efficace e ben gestita di aree protette in Europa. Si tratta di costituire una rete regionale di reti esistenti a livelli nazionali. Il piano prevede diversi tipi d’interventi mirati a favorire l’integrazione delle leggi nazionali con la legislazione internazionale, a sostenere i sforzi degli enti e delle organizzazioni che gestiscono aree protette, a aumentare la copertura delle protette creando collegamenti tra di loro, a migliorare i sistemi di gestione delle aree protette. Oltre alle attività che riguardano l’Europa a scala globale, esistono attività a livello sub-regionale (Baltico, Europa Centrale e Mediterraneo). Ad esempio fu organizzata una conferenza nel Cilento che s’interessò ai bisogni e alle esigenze delle aree protette del Mediterraneo e soprattutto delle regioni più emarginate. Poi ci sono attività a livello nazionale in ognuno dei paesi europei che sostengono l’attuazione del piano d’azione. L’area mediterranea risulta essere una delle sub-regioni che più richiedono attenzione. Sebbene ormai rimane poco dell’ambiente naturale originale del bacino, è ancora una regione ricca di paesaggi, di una cultura e storia affascinante, nonché di un clima che la rende molto appetibile al turista europeo. 26
Il Mediterraneo contiene molta della diversità biologica dell’Europa. L’80% delle specie e delle piante i cui habitat sono protetti dall’Unione Europea si trovano nei paesi mediterranei. Per quanto riguarda il turismo, esso costituisce un grande paradosso: può causare grossi danni alle aree protette se non è gestito in maniera appropriata, ma può portare enormi benefici. Si prevede un incremento annuale del 5%, tant’è che nel 2025 il numero di turisti nel Mediterraneo sarà raddoppiato. Il turismo ambientale aumenta del 30% ogni anno. Ecco alcuni dei suggerimenti provenienti dal piano d’azione per il turismo sostenibile. Una parte del progetto ideato e sviluppato dalla Federazione dei parchi europei si realizzerà grazie alla collaborazione tra gli amministratori delle aree, il settore turistico e le comunità locali. Dovrebbe contenere i seguenti capitoli: deve avere dei chiari obiettivi di conservazione, un inventario delle caratteristiche e delle attività turistiche, deve identificare l’immagine e i valori delle aree protette, dare importanza alle capacità di protezione, comprendere gli standard di qualità ambientale, utilizzare un approccio che miri più ai prodotti che alle esigenze di mercato, ci dovrebbe essere una verifica dell’impatto ambientale prima di qualsiasi importante sviluppo turistico, dovrebbe promuovere l’uso di una tecnica per la gestione del visitatore, dovrebbe evitare gli sviluppi del turismo estremo e di quello di massa, adottare la politica di promuovere l’uso del trasporto pubblico all’interno delle aree protette invece dei mezzi privati. Inoltre il piano per la conservazione e lo sviluppo integrato dovrebbe riguardare la globalità e non le singole parti. Lo sviluppo turistico deve avvenire in relazione al piano, come la verifica sull’impatto ambientale; le nuove infrastrutture dovrebbero prevedere l’approvvigionamento idrico e altri modi per evitare l’inquinamento; si dovrebbero promuovere mezzi di trasporto non inquinanti; servono zonizzazioni, controlli sugli ingressi, codici di comportamento per i visitatori; i centri di interpretazione dovrebbero essere situati fuori delle zone protette. Per maggiori informazioni si può consultare i seguenti siti: Http://wcpa.iucn.org/region/europe/europe01update.html www.ecnc.nl/doc/ecn/parkslif.html
Hassad Serhal, Al Shouf Cedar Reserve, Libano Parlerò del piano di gestione della riserva naturale di Al Shouf Cedar di cui sono il presidente da 5 anni. La riserva d’Al Shouf Cedar è una delle tre aree protette istituite nel 1996 nel Libano, e fa parte di un progetto chiamato “Le aree protette”, realizzato in Libano dal Global Environment Facility, con il sostegno 27
del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) e dell’Unione mondiale per la conservazione della natura (UICN). Il progetto è nella sua fase finale e si conclude nel 2002. La riserva Al Souf Cedar è gestita da un’organizzazione non governativa e in questo senso serve di modello per altre iniziative. E’ costituita da terreni comunali e statali in un’area montuosa e copre una superficie di 5500 ettari. Si tratta di dimensioni notevoli per il Libano, ricoprendo il 5% del territorio libanese. Il nostro obiettivo è ovviamente la conservazione dell’ecosistema, della diversità biologica, ma queste zone hanno anche bellissimi scorci panoramici, con vista sulla Bekaa Valley, con il Monte Herman ad Est e il Mediterraneo ad Ovest. Ha importanti elementi paesaggistici e ospita il 25% di ciò che rimane del cedro del Libano, il Cedrus Libani. Questo ci da una notevole importanza, visto che il Cedrus Libani è molto caro a tutto il mondo cristiano, essendo stato menzionato nella Bibbia più di cento volte. Riceviamo ed accogliamo turisti provenienti da tutto il mondo. Questa zona è stata dichiarata un importante rifugio per gli uccelli nel Medio Oriente da Bird Life International, ed è anche una zona per il recupero e la riproduzione di alcune delle specie a rischio, globalmente e localmente. Ciò che è più importante è che con l’aiuto dell’UICN, con cui ho lavorato strettamente negli ultimi vent’anni, siamo riusciti a realizzare un piano di gestione quinquennale per la nostra riserva che riteniamo dovrebbe guidarci in una gestione adeguata delle zone protette. Una squadra proveniente dalla nostra riserva ha visitato alcuni luoghi dell’Italia durante l’ultima settimana e ha firmato un accordo con un’area protetta dell’Abruzzo, il Serente Vellino, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente della regione, di 21 comuni dell’Abruzzo e ovviamente dell’amministrazione dell’area protetta. Stiamo unendo le nostre forze per conservare la natura in Europa, nel Medio Oriente e in Libano. Abbiamo individuato nove obiettivi per il nostro piano quinquennale di gestione che vertono principalmente sulla conservazione del patrimonio culturale e naturale, ma riguardano anche le comunità locali. Siamo d’accordo con l’UICN quando afferma che le persone costituiscono delle importanti risorse naturali e bisogna prestargli particolare attenzione perché saranno loro i protettori e i guardiani della nostra riserva. Abbiamo dedicato un’attenzione particolare anche all’ecoturismo. Ci sono delle strategie che stiamo sviluppando parallelamente al piano di gestione, come quella per il turismo che riguarda non solo il territorio della riserva ma quello di tutta la regione di Al Shouf, in quanto stiamo cercando di 28
collegare l’area con gli abitanti e con i villaggi circostanti. Uno dei più grandi paradossi degli amministratori di zone protette è quello di dovere proteggere le aree naturali per le persone e dalle persone. Se viene data la giusta attenzione a questo elemento nella fase iniziale della programmazione, in altre parole alla comunicazione e consultazione con la gente che vive nella zona, ciò renderebbe la vita più facile a noi e a loro. Abbiamo inoltre istituito un centro di ricerca e monitoraggio nella nostra riserva due anni fa, per assicurarci che una volta iniziata la zonizzazione che intendiamo fare al più presto come continuazione del piano di gestione, sapremo dove staremo andando, quali sono le zone più importanti, dove sono le specie a rischio, dove la gente può andare e dove non deve andare. Tutto ciò deve essere basato su informazioni scientifiche precise che ci vengono trasmesse dalle nostre squadre di gestione che stanno realizzando degli studi e raccogliendo dati che vengono inseriti nella banca dati della riserva. Questi dati sono comunicati a tutta la squadra che è composta da 25 elementi, tra amministratori, guide, scienziati, ranger, coordinatori dello sviluppo rurale e/o dell’ecoturismo. Dobbiamo assicurarci che la gente usufruisca dei benefici della riserva per compensare le risorse naturali che usavano liberamente prima che istituissimo leggi severe sul loro utilizzo. In questa direzione, stiamo valorizzando le produzioni tipiche locali. Ad esempio, la coordinatrice per lo sviluppo locale si reca nelle case e nei villaggi, comunica con le municipalità, promuove l’utilizzo del muney, un prodotto tipico locale che confezioniamo e vendiamo curando gli interessi locali. Presto venderemo anche su Internet oltre che nelle città e nei mercati; abbiamo quindi portato il parco e i suoi prodotti in città. Oltre a creare indirettamente lavoro, soprattutto per le donne, sta informando indirettamente la gente su ciò che facciamo, incrementando così la consapevolezza; è un progetto molto importante, in quanto collega la gente e la comunità alla nostra riserva. Per quanto riguarda le cifre economiche, il governo canadese ha finanziato solo 25000$, ma sono serviti per avviare diverse micro-produzioni con le famiglie. La coordinatrice è riuscita a coinvolgere 55 famiglie nelle comunità e tre comuni nella riserva. Il rientro è stato di 10000$ nel 99 e fino a 27000$ l’anno dopo, diventando così più che sostenibile. Un altro esempio sono le ricerche portate avanti dal nostro centro di monitoraggio: produzione di un Herbarium, creazione di una collezione di insetti, realizzazione di uno studio su alcune piante medicinali, sperimentazione con la rigenerazione naturale dei cedri con monitoraggi continui su fauna e flora, e promozione di piante commestibili, importantissimi per le popolazioni di tutto il Mediterraneo. 29
Ovviamente le attività richiedono un conto da pagare, attualmente gestiamo circa il 60% della riserva, che equivale a un bilancio di circa 230000$ l’anno. Il problema più grosso da affrontare, fin dall’inizio del progetto, è cosa fare una volta esauritisi i finanziamenti internazionali? E’ stato un bene essersi posti il problema fin dall’inizio. Già l’anno prossimo non riceveremo più i fondi del UNDP, ma questo non ci coglie impreparati avendo già individuato altre fonti di finanziamento che assicureranno la continuità della gestione. Inoltre esistono altre opzioni che stiamo valutando.
Durante la nostra visita in Abruzzo, abbiamo avuto modo di osservare uno dei migliori sistemi di zonizzazione in Europa. Noi cerchiamo proprio questo, dei partner che ci possano trasmettere esperienza, condividere i problemi e ricevere qualcosa anche da noi. Non tutto deve essere pagato, talvolta si ottiene che persone effettuano le loro ricerche senza percepire una retribuzione. Stiamo tentando di mettere in relazione ragazzi e ragazze italiani e libanesi intorno al tema della protezione dell’ambiente e della conservazione della natura. A Dicembre manderemo 15 giovani libanesi a visitare il parco d’Abruzzo, per conoscere il patrimonio culturale e nazionale. Allo stesso tempo una delegazione del parco di Serente sarà ospitata da noi. Si tratta quindi di un progetto di collaborazione a lungo termine. Riteniamo questa conferenza molto importante proprio perché ci dalla possibilità di confrontarci con persone provenienti da tutto il mondo e di discutere di attività future da realizzare insieme. Al Shouf Nature Reserve: www.shoufcedar.org
Mohammed S. Al-Qawabah, Royal Society for the Conservation of Nature, Giordania Cercherò di descrivere i punti essenziali della gestione della riserva naturale di Dhana, Dhana Biosphere riserve. Inizierò a descrivere la Giordania di 50 anni fa. La gente viveva in armonia con la natura. Adesso la situazione è leggermente cambiata con maggiore impatto sulle risorse naturali e paesaggistiche. Camion rumorosi esplorano e scavano nei terreni vergini, sorgono fabbriche intorno alle riserve. Vi è una cava di cemento a due passi dalla riserva che gestisco. Bisogna inoltre considerare gli effetti nocivi del turismo di massa, le conseguenze di un uso eccessivo delle terre per il pascolo che riguarda tutto il territorio giordano.
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Ultimamente, abbiamo subito un periodo di siccità durato cinque anni dove le capre hanno avuto un impatto negativo sui pascoli. Per quanto riguarda la caccia, che è proprio un problema molto grosso, la gente si è abituata ad esempio a catturare e uccidere i falchi, credendoli una specie pericolosa. Qual è la soluzione a tutti questi problemi? Come risolvere il problema della siccità e permettere alle capre di continuare a pascolare e a nutrirsi? In Giordania, alcune risposte sono arrivate con un gruppo d’ex-cacciatori che hanno voluto agire e hanno fondato nel 1966 un’organizzazione volontaria, chiamata The Royal Society for the Conservation of Nature, che si è mobilitata da allora per la conservazione della natura in Giordania. Tra l’altro si è attivata per la creazione di una rete d’aree protette. Una di queste è la riserva di Shouma, fondata nel 1979, con lo scopo principale di reintrodurre l’orice (oryx), che è una specie animale storica nel nostro paese ma che era completamente sparita dovuto alla caccia. Un’altra zona protetta è quella di Aszra, dove attualmente trovano rifugio tanti uccelli che anche loro erano minacciati di sparizione. Cinquanta anni fa c’era una popolazione molto numerosa di uccelli in questa zona paludosa. La vallata che divide in due la Giordania era, infatti, una zona di passaggio per tutti gli uccelli che migravano dall’Africa verso l’Europa. Secondo le statistiche circa un milione di uccelli sorvolavano le aree di Dhana e Aszra, che era proprio l’unica zona umida nella regione. Devo ancora menzionare la riserva di Ash Loon Forests, dove si sta cercando di reintrodurre altre specie scomparse 50 anni fa, e quella di Al Mujib, la più bassa del mondo con i suoi 400 metri sotto il livello del mare. Quest’ultima rappresenta un complesso sistema di fiumi e di monti, nel quale si prova a reintrodurre il Nubian Ibex, un’altra specie animale che era scomparsa. La riserva di Wadi Rum presenta un alto potenziale dal punto di vista turistico, essendo la seconda attrazione in Giordania. Tornando al tema principale, la riserva naturale di Dhana è stata la quinta ad essere istituita. Il villaggio di Dhana si trova ai piedi del monte Wadi Dhana che attraversa la zona protetta. Il paesaggio è spettacolare, si può camminare per 14km giù dai 1500 metri del Wadi Dhana fino a 200 metri sotto il livello del mare. Lungo l’itinerario vi è una biodiversità incredibile, e la questione fondamentale è come proteggerla. A cominciare dal 1993, per due anni, una giovane ricercatrice giordana ha esplorato tutto il territorio, effettuando uno studio abbastanza approfondito della biodiversità che ha poi servito di base per elaborare un programma quinquennale di monitoraggio al seguito del quale si è potuto sviluppare un piano di gestione. 31
Stiamo cercando di convincere alcuni cacciatori a diventare Ranger. Tra le persone più impegnate ce n’è una che ha ucciso 50 Ibex nel suo passato di cacciatore. Per ciò che concerne l’ecoturismo che si è sviluppato a Dhana, una tra le nostre tre grandi speranze è il campo di Rumana, dove siamo riusciti a organizzare uno spazio d’accoglienza al centro della riserva lasciando intatta la natura circostante senza però pregiudicare i piaceri e il divertimento che un posto del genere può offrire. Per quanto concerne l’accessibilità al parco e il controllo dell’afflusso, disponiamo di un unico veicolo che trasporta i turisti all’interno della riserva, e che ha sempre conseguito un notevole successo. Anche gli abitanti di Dhana apprezzano la natura, ed hanno un ruolo attivo nella sua gestione. Alcuni di loro hanno collaborato all’apertura di sentieri che rendono ancora più gradevole la visita guidata. Cerchiamo di far capire alla gente del posto come si possono trarre benefici dalla riserva conservando e valorizzando le sue risorse. Tutti devono fare uno sforzo per assimilare questa nuova dimensione che rappresenta il futuro. Dovremo organizzare delle visite complete, in modo che possano conoscere meglio la natura. Dovremo inoltre sfruttare le nostre strutture per incrementare la consapevolezza di tutti i bambini che vivono all’interno della riserva o fuori dei confini. Stiamo pensando ad un programma di sviluppo socio-economico per compensare chi era prima impegnato con il pascolo e la caccia. Riteniamo indispensabile stabilire buoni rapporti con le comunità locali. Oltre a spingere le persone verso un’agricoltura organica, chiediamo loro di trasmettere il messaggio a coloro che comprano. Molto importante, per quanto riguarda l’artigianato nella nostra zona, è la lavorazione dell’argento. Chiediamo alle persone di ispirarsi a elementi presenti nella riserva in modo da poter poi vendere i prodotti ai turisti. Tra i vari problemi da affrontare, uno dei principali riguarda il pascolo delle capre. Abbiamo cercato di collaborare con i pastori attraverso diversi progetti; una delle idee sarebbe di ingrassare le capre all’interno dei recinti, tenendole lontane dalle terre della riserva. Così anche la gente del posto comincerà a risentire dei benefici della riserva. Tornando al discorso dal campo Rumana all’interno della riserva di Dhana, esso è frutto del lavoro dell’equipe di Dhana, un gruppo di 54 persone di cui faccio parte. Siamo tutta gente del posto e abbiamo iniziato il programma sette anni fa. La riserva è adesso pienamente integrata, e riusciamo a gestirla con le
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nostre risorse frutto delle entrate. Ormai i conti tornano, grazie al numero di visitatori e la richiesta di prodotti e servizi. Credo che coloro che sono impegnati nella conservazione devono essere parte del quadro, devono agire come delle ombre che facciano da collante tra le persone e la natura. La strada da percorrere nella conservazione della natura è davvero lunga; ci sono molte cose di cui si è a conoscenza, ma ce ne sono molte altre che s’ignorano. Questo tema non appartiene al nostro tempo, né al nostro programma o alle persone che attualmente vivono e lavorano all’interno della riserva, è un tema di questa generazione come lo sarà per la prossima. E’ nostro compito facilitare il lavoro a chi verrà dopo di noi, consegnando un modello di natura che possa nuovamente auto-rigenerarsi. Siti Internet: www.noor.gov.jo/main/e1.htm www. environment.gov.jo/services3.html www.nis.gov.jo/biodiversity/home.html
Jean Louis Menegon, La Balaguère, Francia Sono il rappresentante della società La Balaguère in Francia che è specializzata nei circuiti di escursionismo e ha sede nei Pirenei. Sono arrivato alla Balaguère grazie all’apertura di una succursale all’altezza di Tolosa e sono responsabile dello sviluppo e dell’organizzazione. Noi siamo, per mestiere e per passione, preoccupati, coinvolti, motivati e mediatori per tutto ciò che riguarda il turismo duraturo nei Pirenei e in altre parti del mondo. Poiché La Balaguère è una società, dopo anni di esperienza e sulla base delle nostre relazioni con i clienti – gruppi, associazioni, scuole, imprese, famiglie, singole persone -abbiamo messo a punto una Carta di qualità che comporta criteri sia ambientali e sociali. In quanto siamo una società, è chiaro che a noi servono degli indicatori economici. Ma questo non impedisce di pensare agli altri aspetti, soprattutto perché viviamo dell’ambiente e della qualità dei servizi. Ci poniamo delle domande: come possiamo promuovere queste regioni montane e il parco dei Pirenei e allo stesso tempo proteggere l’ambiente e la natura? I Pirenei si estendono su 450 km attraverso tre regioni francesi e quattro spagnole. La Balaguère è partita nel 1984 da un’idea di Vincent Fonvieille, che era una guardia forestale, e aveva questo gran desiderio di condividere con altri la sua passione per queste montagne. Si è creata una professione dall’organizzare 33
escursioni, escursioni di trekking nei Pirenei fino in capo al mondo. Si sono attivate delle sinergie e si sono creati dei posti di lavoro. Intorno ai circuiti, sono nate delle micro-attività produttive e dei servizi. Sono stati rivalorizzati luoghi, tradizioni e stili di vita dimenticati. Eravamo sempre portati ad andare oltre, alla scoperta del paese, della gente, delle tradizioni, cercando di collegare il tutto al presente piuttosto che al passato. Camminare e passeggiare sono secondo noi i modi migliori per scoprire un territorio e le sue bellezze, incontrare le persone. Da queste esperienze vissute, ci sono ricordi che rimangono vivi per tutta la vita. Perché l’escursionismo è il nostro mestiere, chi di noi non ne aveva l’esperienza ha dovuto prendere i sentieri e rendersi conto personalmente di che cosa significava, studiare i siti, la fauna, la flora, ecc. In Francia, l’escursionismo è un fenomeno in pieno sviluppo. Sembra che ci sia un bisogno della gente sempre più vivo per riscoprire la natura e l’ambiente in modo esperienziale, Non solo, la gente vuole anche essere mediatore e comunicatore, poter dire “ho visto un posto stupendo, ecco ciò che ho visto” e anche “voglio difendere questo luogo perché domani ne possano godere i miei figli”. La Balaguère non è solo una società a responsabilità limitata; è anche un catalizzatore nelle regioni dove operiamo e in particolare nei Pirenei. Prima di promuovere i circuiti e vendere i nostri pacchetti abbiamo attivato tante sinergie sul territorio, reti di artigiani, di professionisti della montagna: guide, albergatori, istruttori di kayak, ecc. Anche a livello nazionale siamo molto attivi in promuovere questa grande famiglia di nuovi mestieri legati all’escursionismo. Abbiamo redatto una Carta di qualità perché siamo convinti che un domani non potremo sviluppare le nostre attività senza una seria attendibilità basata sulla qualità delle nostre prestazioni, dell’accoglienza, della convivialità, dell’ambiente. Ad esempio, abbiamo deciso di escludere a priori qualsiasi tipo di sport motorizzato. E’ nostro obiettivo offrire un’accoglienza attenta nella socievolezza pirenaica e nel rispetto dell’ambiente, servirsi di tutti i mezzi per garantire la sicurezza dei partecipanti, sviluppare una procedura di qualità costante, essere attenti all’omogeneità delle prestazioni tenendo conto di ogni considerazione fatta dai clienti; creare procedure comuni tra professionisti, offrire un adeguato inquadramento professionale, costituire dei gruppi a dimensione umana sempre nel rispetto del patrimonio storico, culturale e umano incontrato nell’esercizio della nostra professione. La Balaguère ha una squadra di guide di montagna, accompagnatori dei gruppi di escursionisti, tutti indipendenti, il cui numero si aggira intorno agli 80 elementi. La Balaguère è diventato uno dei principali Tour operatori in Francia, il settimo; ha creato i propri prodotti turistici e anche un’agenzia di viaggio. Gli sviluppi sono legati innanzitutto all’integrazione dei principali attori e delle imprese, 34
una ventina di accompagnatori fidelizzati sono oggi azionisti di questa società. La cifra d’affari agirà intorno a 4.000.000 FF. In cinque anni abbiamo visto il nostro volume di affari raddoppiare. Impieghiamo 19 salariati fissi. La sede operativa e storica si trova in un villaggio di 500 abitanti, forse paragonabile alla Calabria. Durante l’estate impieghiamo 90 stagionali e più di 400 collaboratori, gestori di piccoli alberghi e pensioni, con i quali abbiamo sviluppato delle sinergie cercando di capire come funzioniamo, quali sono la loro forza e i loro limiti. Dalla crescita del mercato deriva una sempre maggiore pressione da parte dei nostri clienti. Ci poniamo delle domande riguardo alla sostenibilità: il nostro prodotto base si trova nei Pirenei, che possiedono un capitale di natura notevole, poco urbanizzato e poco attrezzato. Tra i nostri prodotti, trovate escursioni accompagnate da guide professioniste, soggiorni in comodità, soggiorni gastronomici dato che la Francia è così famosa per la sua cucina, soggiorni sotto le stelle dove si torna a dormire sempre nello stesso posto, soggiorni con escursioni salutari, escursioni talassoterapeutiche, escursioni per lo yoga, soggiorni in famiglia, la semplice passeggiata. Ci sono anche escursioni tematiche legate alle arti come la musica, la pittura, la danza; alle scienze come la botanica, la zoologia, l’astronomia, la storia; allo sport, come la canoa, il kayak; alla salute, ecc. Esistono inoltre itinerari che passano un po’ ovunque in Francia o in Spagna come quelli che si collegano con il cammino per Santiago di Compostela. Vendiamo anche passeggiate libere per le quali mettiamo a disposizione dei nostri clienti un dossier completo con tutte le indicazioni pratiche. Siamo stati spinti dai nostri viaggiatori pirenaici a partire in capo al mondo, in Europa, nelle isole mediterranee, nel Nord Africa, ecc. Ancora non siamo arrivati in Calabria, ma dopo questa mia visita credo inizieranno i soggiorni anche nel Sud dell’Italia. Il Marocco, il deserto, ma anche molto più lontano dato che siamo rappresentati e i nostri prodotti vengono venduti anche in Nepal. I soggiorni per 10 a 15 persone hanno una durata da otto a 15 giorni, con delle guide locali. Ultimamente abbiamo scoperto la Mauritania. Quando siamo giunti nel deserto convinti di trovarci in spazi protetti naturalmente, ci siamo accorti di due cose: la prima, ad Attar, una piccola città della Mauritania, gli abitanti, sprovvisti di energia elettrica, utilizzavano quattro pile al giorno ciascuno che poi venivano gettati nel deserto. Noi, da buoni turisti, eravamo arrivati con un nostro approccio al deserto, ci eravamo creati la nostra energia per affrontare questo lato dell’ambiente preoccupandoci della protezione della natura, e abbiamo notato gente arrivata come noi, con bottiglie di plastica per l’acqua di cui poi si liberava nel deserto. Quindi il problema di come concepire uno sviluppo turistico sia nei Pirenei che altrove non è semplice, ma siamo consapevoli del fatto che certe informazioni passeranno dagli accompagnatori e troveranno eco nei turisti. Le cose cambiano 35
anche in positivo. Ad esempio in Francia abbiamo lasciato dietro di noi questa visione di un tempo quando si saliva ai 2000 o 3000 metri e si scorgevano intorno ai laghi rifiuti, plastica e scatole di conserve. Oggi tutto questo è cambiato, è diventata un’abitudine riguardare il nostro ambiente proteggendolo e rimuovendo i rifiuti lasciati dai nostri escursionisti clandestini. Sviluppare il turismo proteggendo l’ambiente è una sfida permanente. Si potrebbero stabilire delle zone a riserva totale e impedire l’accesso, c’è anche questa preoccupazione nei Pirenei, oppure accompagnare la gente nei punti panoramici assumendoci la responsabilità di quei luoghi. Concludo affermando che ci ritroveremo in Calabria, era mio desiderio venendo qui stabilire dei contatti con gli operatori turistici italiani, vedere se esistono strutture ricettive, individuare anche mezzi di comunicazione. www.balaguere.com
Maria Grifors, EcoMediterrania, Spagna Io rappresento un’associazione spagnola, Ecomediterrania, che fa parte della rete delle ong ambientaliste ed ecologiche del Mediterraneo Medforum. La nostra sede è a Barcellona. Il nostro lavoro in materia turistica si basa principalmente su un progetto, Ulixes XXI, per un turismo sostenibile nel Mediterraneo. Il progetto ha come obiettivo informare e sensibilizzare gli operatori che lavorano nel settore turistico su problematiche ambientali legate al turismo di massa. La realizzazione del progetto è avvenuta tra il 1997 e il 1998 in collaborazione con altre associazioni di MED FORUM. Il progetto è stato finanziato dall’Unione Europea e dalle amministrazioni dei paesi dove si è sviluppata la campagna: sviluppa la campagna: Spagna, Francia, Marocco, Tunisia, Malta. Perché questo progetto? Il Mediterraneo presenta delle caratteristiche speciali e specifiche, come il suo patrimonio storico e culturale, i suoi paesaggi naturali, il suo clima, la sua vicinanza ai mercati europei. Queste caratteristiche hanno contribuito a farne la principale destinazione turistica mondiale. Infatti, il turismo è la principale attività economica del Mediterraneo, almeno per alcuni paesi. Il primo paese esportatore di turisti nella regione è la Germania, seguita dalla Francia e poi dall’Inghilterra. Ultimamente è aumentato il numero di turisti venuti dall’Europa centrale e orientale. E’ abbastanza evidente che non tutti i paesi mediterranei tirano lo steso beneficio da questo fenomeno turistico. Vi è una grossa eterogeneità e diversità di destinazioni in questa regione. Ciò ci permette di differenziare le due rive, Nord e Sud. La riva a Nord riceve la maggior parte dei turisti grazie alle strutture e alla facilità di accesso. Infatti 36
Francia, Italia, Spagna e Grecia, insieme accolgono il 75% dei turisti nel Mediterraneo. SI dice spesso che se ben integrato, il turismo diventa un motore importante dello sviluppo durevole, del miglioramento del territorio in quanto segue l’opportunità di nuova valorizzazione del patrimonio naturale. Sfortunatamente il turismo nel Mediterraneo ha avuto degli impatti negativi, soprattutto nella zona costiera: inquinamento delle acque, erosione dei suoli, deturpamento della flora, della fauna e del paesaggio sono alcuni dei sintomi più importanti scaturiti dai metodi basati sulla crescita estensiva e sulla speculazione del suolo, generalmente al di sopra delle capacità di carica. Tra le varie tipologie di turismo, vi è il modello non sostenibile del turismo di massa, con albergo, sole, spiaggia, ecc. L’offerta è standard, permette di controllare le spese e di ridurre i prezzi; si basa sulla quantità, su livelli elevati di saturazione con un uso insostenibile delle strutture e risorse del territorio. Vi sono poi altre zone al sud, dove l’emergenza è ancora più forte con nuove destinazioni che hanno sviluppato offerte complementari, con campi da golf, porti turistici, ecc. C’è un altro modello che invece viene considerato sostenibile, basato sul principio dello sviluppo eco-compatibile, sulla preservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, sulle esperienze del territorio, che è l’elemento principale dell’offerta basata sulla qualità e la diversificazione del prodotto turistico. Sono spazi dove la ristrutturazione è stata eseguita con cura, spazi dove regna l’armonia e la popolazione è pienamente integrata. Anche qui esistono forme di offerte complementari, come formule d’ecoturismo e d’agriturismo, che aiutano a preservare il territorio dove si svolge l’attività, dove c’è una partecipazione della popolazione locale, una gestione integrata delle risorse. C’è la creazione di posti di lavoro localmente con un ritorno economico per le popolazioni; esiste una diversificazione delle attività con migliore integrazione. E’ un ‘occasione per migliorare le infrastrutture, per interscambiare cultura e creare nuove dinamiche sociali. Affinché un modello di turismo sia veramente sostenibile, deve essere economicamente valido, ecologicamente rispettoso, e socialmente giusto. Esistono anche altre definizioni, più complesse con più criteri, come la necessità della valutazione d’impatto ambientale, di piani territoriali integrati, di un’attenzione alla personalità dei luoghi, di sviluppare l’imprenditoria locale, di apertura e collegamento a scala regionale, di piani di mobilità, ecc. Il tutto deve essere inserito in una prospettive a medio e a lungo termine, in armonia con l’economia locale, con l’identità sociale, deve essere economicamente valido per le comunità locali, nonché partecipato. Il turismo sostenibile è essenzialmente una strategia di riconversione del modello tradizionale con altri parametri di gestione. Questa strategia non può essere attuata senza la partecipazione di tutte le parti che intervengono nel 37
processo di cambiamento: imprese, amministrazioni, ONG, popolazione locale; ha bisogno del consenso in base ad un modello di democrazia partecipata. Il progetto Ulixes XX si è proposto di informare, comunicare, educare, stimolare la partecipazione; varie attività hanno riguardato target specifici: il turista, l’abitante del posto, gli operatori locali. La dimensione europea è stata integrata e anche la partecipazione sociale. C’è un poster indirizzato sia al turista che all’abitante che dice: “Il futuro del Mediterraneo dipende anche da te!”. Bisogna promuovere il dialogo tra la popolazione locale ed il turista, e il poster è stato distribuito non solo in tutti i paesi del Nord Europa come Germania, Paesi Bassi, Inghilterra, ma anche in quei luoghi dove si svolge la campagna. In questi ultimi, si è distribuito anche un test, un questionario, lungo le coste marocchine, spagnole, francesi, a Malta e in Tunisia. Obiettivo del test era di influire sul comportamento del turista, ponendo alcune domande come cosa fai, cosa mangi, cosa cerchi nelle mete turistiche, come ti diverti, ecc. Alla fine, chi partecipa e accetta di rispondere alle domande poteva identificarsi con una delle categorie proposte: il turista del futuro, il buon turista, il turista sostenibile o no. Tra le altre azioni per la popolazione locale, vi è stata una mostra sul Mediterraneo, sui valori culturali e naturali, e sui pericoli derivanti da una pressione antropica troppo forte. Vi è poi stato pubblicato un libro, consultabile anche on-line, diretto alle amministrazioni locali, un libro di raccomandazioni, di consigli su come gestire il fenomeno turistico all’interno della municipalità. La prima fase della campagna si è conclusa con un congresso internazionale sul turismo sostenibile, principalmente nell’area mediterranea, con un grande dibattito sulla partecipazione della società civile. Spero che il lavoro di questi giorni possa portare tutti noi ad interagire per lo sviluppo sostenibile e la salvaguardia dell’ambiente nel Mediterraneo. Grazie www.ecomed.org
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MEDPARKS 2001 23/29 Luglio Parco Nazionale d’Aspromonte
3. Il ruolo dei parchi e delle aree protette del Mediterraneo Introduce i lavori Maurizio Frassinet, Presidente Parco del Vesuvio Nicolas Zouros, direttore parco geologico di Lesvos, Grecia Durante il mio intervento illustrerò la situazione nell’isola di Lesvos, dove esiste una zona protetta nella parte occidentale. Io sono il direttore del museo nazionale di storia della foresta pietrificata di Lesvos, un’istituzione fondata nel 1995 con lo scopo principale di studio, ricerca, promozione, preservazione e protezione della foresta pietrificata di Lesvos, dichiarata monumento nazionale e la cui area complessiva misura 30.000 ettari. Una legge del 1985 le ha consegnato uno status di protezione simile ad un parco nazionale. L’isola di Lesvos si trova nella parte occidentale della Grecia. I 2/3 dell’isola sono ricoperti di roccia vulcanica; 20 milioni d’anni fa c’era un vulcano molto attivo proprio al centro del parco, e le isole sono collegate alla formazione di questo monumento, la foresta pietrificata. Vi sono tre zone protette che appartengono a Natura 2000, quella più occidentale fa parte della foresta pietrificata, sebbene le aree protette di Natura 2000 non coincidono con la zona protetta del parco geologico della foresta pietrificata, che misura quasi il doppio in grandezza. Esistono varie strutture vulcaniche all’interno del parco, ma accanto all’aspetto geologico ci sono anche stupendi paesaggi, molti monumenti culturali del periodo classico e di quello bizantino. Tra i paesaggi abbiamo zone paludose, foreste con il Pinus Nigra, presente solo su quest’isola, paesaggi in sostanza senza vegetazione; sono presenti specie endemiche come il Rhododendrum Ileum, abbastanza comune in Asia, ma sconosciuta al di fuori dell’isola in Grecia. Lesvos è anche un punto di riposo per gli uccelli che dal Nord Europa ristanno dirigendo in Africa. Esistono poi elementi culturali oltre ad un importante patrimonio architettonico.Vi sono infine i vari siti geologici, quelli con i fossili e quelli vulcanici con i crateri e ovviamente le sorgenti d’acqua calda. Per avere maggiori informazioni si può visitare il sito internet (www.aegean.gr/petrified_forest/frames/HTML/English/Frames.htm) dove si troveranno la lista dei siti protetti e l’ubicazione, i servizi presenti, il numero dei visitatori nel 2000 (nella foresta pietrificata sono stati 6000), le infrastrutture, le più importanti specie di flora pietrificata, i sentieri presenti nel parco, qualche informazione sulla morfologia geologica, e lo status legale. 39
Il parco contiene diversi tronchi pietrificati, oltre all’albero pietrificato eretto più grande del mondo con i suoi 7,20 MT d’altezza e 8,5 MT di diametro. L’albero ritratto nella foto è l’antenato della moderna sequoia. I più di 200 tronchi d’albero pietrificati eretti rendono questo sito unico al mondo, con gli alberi fossilizzati ancora nel loro posto originale, e quindi la maggiore attrazione turistica dell’isola. Vi sono anche molti alberi coricati, tra cui una sequoia di 22 MT, pini e querce, sono state identificate più di 30 specie diverse, antenati degli alberi moderni. L’afflusso turistico dal 1995 è in sostanza raddoppiata, passando dalle 25.000 unità alle 50.000. La maggiore concentrazione avviene ovviamente durante il periodo estivo, ma si sta cercando di incrementare l’afflusso anche negli altri mesi. All’interno dell’area protetta del gran parco geologico vivono più di 12 piccole comunità, e l’ente gestore è costituito da un consiglio di sette persone. Il sindaco della zona, due della comunità locale, due dal ministero centrale, ministero dell’agricoltura e ministero della cultura, e due dall’università. Questo consiglio gestisce l’area e la persona chiave è il direttore. Oltre agli scavi di ricerca e alla preservazione dei fossili iniziati nel 1995 nell’unico sito protetto di allora (adesso ce ne sono cinque), abbiamo creato infrastrutture per l’ecoturismo, sentieri, centri d’informazione, gazebo informativi agli ingressi dei parchi per attirare la gente. Collaboriamo con i tour operatori che vogliono sviluppare l’ecoturismo nella zona. Tuttavia lo sforzo maggiore avviene nell’educazione, nel cercare di convincere la gente del posto che la protezione dell’area non equivale solo ad una lista di cose proibite, persuaderli, soprattutto i giovani, dell’importanza del patrimonio e della preservazione della natura. Ci sono molte scuole ed università che vengono ad effettuare dei campus all’interno del parco. L’anno scorso abbiamo ospitato il dipartimento di geologia dell’università di Milano per 30 giorni, per la preparazione delle tesi. Nel 2000 più di 300 gruppi di studenti sono arrivati per realizzare i loro progetti; abbiamo creato materiale educativo, diapositive, attrezzi, giochi e materiale per i video in modo da creare programmi educativi migliori. Organizziamo anche programmi educativi per i giovani disoccupati della zona del parco; grazie anche ai finanziamenti dell’Unione Europea riusciamo a formare 20 giovani ogni anno, di cui metà lavora nel parco, e metà è assunta da imprese che vi collaborano. Attraverso diversi programmi abbiamo creato edizioni, cartine guida, libri per i vari livelli di turisti, video, diapositive, organizziamo eventi e incontri scientifici, spesso con una partecipazione internazionale. L’obiettivo principale reste sempre il legame con l’economia locale.
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Interessanti sono i guadagni delle nuove imprese, alloggi ricavati nelle case disposti a cedere qualche stanza ai turisti. Si è partiti con una cooperativa di donne per arrivare alle cinque attuali sparse nelle varie comunità, che forniscono prodotti tradizionali, pasta, formaggio, ecc. ai turisti; l’anno scorso abbiamo organizzato per la seconda volta il festival dell’agriturismo con musica ed eventi culturali, dove cerchiamo di convincere i migliaia di turisti, che vengono a visitare i monumenti, della bontà dei prodotti locali. Ci sono anche artigiani della ceramica. Fino al 1995 i turisti erano soliti portarsi via come “souvenir” pezzi degli alberi fossilizzati. Con la legge sulla protezione, il fenomeno si è arrestato. La gente del posto temeva che i turisti non avrebbero avuto più alcun interesse a visitare il parco; li abbiamo aiutati a produrre dei calchi dei fossili d’ottima qualità che hanno incrementato i loro guadagni, e allo stesso tempo garantito la protezione dei fossili. Organizziamo anche eventi culturali all’interno del parco mirati più alla comunità locale che ai turisti. Vivendo così isolati, è sempre stato difficile assistere a manifestazioni come la presentazione di libri, mostre di foto o di pittura, rappresentazioni teatrali e musicali. A settembre si tiene un festival principalmente per loro, al quale possono partecipare anche i turisti. Abbiamo sempre ritenuto fondamentale il contatto e la collaborazione tra le varie comunità. Sebbene questo sia risultato un compito arduo all’inizio, abbiamo fatto molti progressi, grazie anche alla collaborazione di colleghi provenienti da altri paesi europei e dal Mediterraneo. Siamo convinti che quest’incontro sarà utilissimo al raggiungimento del nostro obiettivo, la preservazione della natura in armonia con lo sviluppo delle zone rurali.
Mohsem Kalbousy, APNEK (Associazione per la protezione della natura Kairouan), Tunisia Sono il rappresentante dell’APNEK, un’associazione per la protezione della natura e dell’ambiente con sede a Kairouan in Tunisia. Il mio intervento sarà sui parchi nazionali e le riserve naturali in Tunisia, con particolare attenzione verso alcuni di questi e le problematiche relative alla conservazione della biodiversità in Tunisia. La Tunisia misura 164.000 km quadrati, con 1.200 km di coste sul Mar Mediterraneo; ad Ovest confina con l’Algeria e a Sud Ovest con la Libia. La popolazione è nell’ordine dei 10 milioni d’abitanti, con la metà sotto i 25 anni e con tutti i problemi correlati – una situazione demografica comune a tutto il Nord Africa. Il prodotto nazionale lordo è di 2000$ l’anno, che equivale a 1/10 dell’entrata media di un abitante della riva nord del Mediterraneo.
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Per quanto riguarda le convenzioni globali sull’ambiente, la Tunisia ha ratificato la Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale naturale e culturale che risale al 1975, la Convenzione di Ramsar per la protezione delle zone umide d’importanza internazionale del 1981, la Convenzione di Barcellona e il primo protocollo per le aree specialmente protette. Riguardo la protezione della biodiversità, vi è la lotta alla desertificazione. Per quanto riguarda il clima, l’estremo Nord è caratterizzato da un clima umido, con un livello di precipitazioni nell’ordine dei 1.500 mm per anno; il resto del paese invece è interessato da un clima arido con precipitazioni che vanno dai 200 ai 600 mm per anno, con due stagioni ben distinte, quell’umida e fredda, e quella secca e calda. Tra i parchi nazionali abbiamo quello insulare delle isole di Zembra e Zembretta (12 600 ettari), che si estende sulle due isole inabitate nelle quali, nel 1964, è stato introdotto il muflone di Corsica e dove viveva la foca monaca del Mediterraneo, specie per la cui scomparsa sono stati accusati gli italiani. Abbiamo poi il parco nazionale di Ichkeul (12 600 ettari), che gode di importanza internazionale essendo inserita nella rete di riserve della biosfera, coperta dalla convenzione di Ramsar per le zone umide d’importanza internazionale, e da quella internazionale per i patrimoni naturali e culturali. L’importanza di Ichkeul è legata anche ai numerosi corsi d’acqua presenti; sono state costruite delle dighe per gestire meglio le buone disponibilità idriche di queste regioni settentrionali. Forniscono acqua alla città di Tunisi, ai campi coltivati, e alle strutture turistiche in continua crescita. Durante l’inverno il continuo afflusso dei corsi d’acqua abbassa notevolmente la salinità del lago di Ichkeul , rendendo l’acqua quasi potabile; d’estate, il lago di Bizerte riceve acqua dal mare insieme a molti pesci che, una volta ingrassati, vengono pescati e venduti nei mercati del Mediterraneo settentrionale. Quindi, pur trovandosi all’interno del parco, il lago viene sfruttato a fini di lucro da privati, non dagli abitanti locali né dallo stato. Esistono delle comunità che vivono nel parco, circa 100 famiglie con un loro ambulatorio, una scuola, e altre comodità; però non partecipano alla gestione quotidiana dell’area. Nel Nord Ovest della Tunisia, accanto alla frontiera algerina c’è il parco di El Feija. Con una superficie di 1632 ettari, presenta un notevole interesse geografico, essendo attraversato dallo Shenzhen; si tratta di una delle zone più belle dell’Africa settentrionale, descritta anche da La Fontaine nel 1731. Notevole interesse è dato anche dal fatto che vi risiede l’unica popolazione berbera della zona, i Serelafs, che una volta popolavano l’Europa. La volontà di proteggere i pochi individui rimasti della fauna e della flora ha spinto alla creazione di una riserva nel 1964, che ha poi dato origine al parco in cui la popolazione si è moltiplicata, e da cui si è poi mossa verso altre regioni della Tunisia e del Maghreb, in particolare il Marocco. 42
Di creazione recente è il parco di Sbjilki, immerso nel deserto, con una superficie di 150.000 ettari, di cui 100.000 sono ricoperti da dune mobili dove vivono le gazzelle delle dune, tra le specie più a rischio nel mondo e che figurano nella lista rossa dell’UICN; esiste anche una specie di volpe dalle orecchie lunghe, tipica del deserto. Le conoscenze su questo parco sono ancora un poco limitate. Anche il parco di Sidi Toui è di recente istituzione. Ha una superficie di 100.000 ettari ed è collocato al confine del Sahara (Médenine). Infine vi sono i parchi di Boukornine e quello di Chaambi. Oltre ai parchi, vi sono 16 riserve naturali di creazione recente, soprattutto per la protezione di paesaggi naturali eccezionali e di habitat per la fauna selvatica. La riserva integrale di Galiton, una piccola isola, è un sito molto importante per la nidificazione di alcune specie d’uccelli e anche per la foca monaca. C’è la proposta di farne un parco marino. L’isola di Schikly è un altro sito importante per la nidificazione. Sul sito di Dar Fatma si trova la torbiera più estesa della Tunisia, situato in altura. Molto interessante a El Haouira è la grotta dei topi calvi, luogo di svernamento per questa specie di topi, con una superficie di 8.000 metri quadrati, creata proprio per proteggere questi animali. Infine si deve segnalare l’esistenza di siti e zone naturali sensibili istituiti per proteggere gli habitat di alcune specie che hanno un certo valore ecologico ed economico ma purtroppo sono anche loro minacciate sia dall’uomo sia dai cambiamenti delle condizioni ecologiche. Http://www.tunisie.com/environnement/index.html
Interviene il direttore del parco nazionale di Boukornine, Tunisia, con filmati e diapositive.
Il parco nazionale di Boukornine si trova nei pressi di Tunisi, con una superficie di 1939 ettari. Situato al centro di una zona popolata, ha un grande valore ecologico e culturale; è un vero santuario della natura che assicura protezione a l’area di Boukornine e al suo paesaggio. Ospita numerose specie rare. Creato nel 1997 grazie ad un decreto presidenziale, si proponeva di salvaguardare il patrimonio naturale di Boukornine, di reintrodurre certe specie scomparse come il muflone a fasce, la gazzella di montagna - grazie alla cooperazione della Spagna ne sono stati introdotti sette esemplari - e il cervo berbero, di offrire alla popolazione della capitale e delle città vicine un luogo dove svagarsi e sviluppare il turismo ecologico. La fauna è molto varia, 25 specie di mammiferi, 20 specie di rettili, 50 di uccelli e rapaci; la flora è costituita da 600 specie, in particolare le tuie della berberia. Vi sono resti archeologici dei romani e dei fenici.Hammam Lif, piccola stazione balneare, si chiamava Naro sotto i Cartaginesi, Aqua Persina sotto i romani, mentre gli arabi la chiamarono prima 43
Hammam El Jazira e poi Hammam Lif. In epoca punica vi era un tempio dedicato a Baal Karnain, poi rinominato Baal Carnisis o Saturnus dai romani, Dio protettore di Cartagine. Per salvaguardare la qualità della natura si è provveduto a recintare alcune zone per impedire il pascolo all’interno del parco. Sono poi stati creati dei sentieri per agevolare i turisti nel raggiungimento dei vari siti. E’ stato costruito un museo ecologico che svolge anche la funzione di amministrazione. Qualche struttura presente all’interno della riserva è stata adibita ad area di accoglienza. Sono stati creati spazi per i bambini, tavoli per i picnic. In una giornata di primavera si arriva fino ai 15.000 visitatori. In questi casi la circolazione all’interno del parco è proibita.
Gianluca Serra, FAO, Siria Lavoro in un progetto della FAO il cui titolo è riabilitazione dei terreni e istituzione di una riserva naturale in Siria, finanziato dal governo italiano cinque anni fa, con la collaborazione del ministero dell’agricoltura siriano e della FAO. Esistono quattro obiettivi principali, il primo dei quali è la riabilitazione della gestione dei terreni nella zona del progetto, circa 3.000 km quadrati, nel mezzo della steppa siriana, nelle vicinanze del famoso sito archeologico di Palmyra, Tadmur in arabo. Il secondo è la gestione della zona protetta, chiamata riserva di Alta Lila, probabilmente il primo spazio protetto in Siria. Ci sono strutture per la formazione del personale siriano del ministero, e l’estensione del programma prevede il coinvolgimento delle comunità locali, i beduini. Si passa dall’ambiente tipico dell’altopiano, con le sue pianure e le sue colline, ad una vegetazione diversa nell’oasi di Palmyra, sito molto antico lungo la via della seta e tappa importante per gli uccelli migratori. A Nord dell’oasi abbiamo una zona montuosa con un terzo tipo di ecosistema, e infine le aree paludose stagionali, che si creano con le piogge invernali e sono importanti per gli uccelli acquatici. La steppa siriana è ad un avanzato stadio di desertificazione. Negli ultimi 50 anni la popolazione è passata da 3.4 milioni a 17.8 milioni, determinando un incremento nella richiesta di carne. Questo ha portato i beduini a trasformare la pastorizia di sussistenza in una pastorizia molto commercializzata. Ciò è stato reso possibile dall’introduzione di camion più grandi, dalla costruzione di pozzi per l’acqua, dalla fornitura di cibo da parte del governo. Le pecore hanno quasi superato gli uomini nella steppa, e anche la popolazione rurale è aumentata, con la necessità di altre risorse naturali come il legno da ardere, e il conseguente sradicamento degli arbusti che contribuisce al degrado della steppa. Bisogna poi aggiungere il problema della caccia, dove le leggi non sono abbastanza severe, c’è una notevole richiesta di falchi da parte degli stati più ricchi. Purtroppo anche le colture delle aree marginali hanno avuto effetti negativi sull’ecosistema. 44
La Siria è più arretrata rispetto a Libano e Giordania per quanto riguarda la conservazione della natura e della biodiversità; manca la consapevolezza della protezione e qualsiasi tipo di esperienza, essendoci un solo parco. Vi è un grande bisogno di sviluppo socio economico, quindi più che in altri posti è necessario che la conservazione della biodiversità vada di pari passo con lo sviluppo socio economico. Lo sviluppo della riserva di Alta Lila mira a creare un tipo di circuito ecoturistico. Nel corso degli ultimi secoli sono scomparse diverse specie. Una delle prime azioni è stata l’introduzione due anni fa di due specie di antilopi estinti, la gazzella, scomparsa 20/30 anni fa, e l’Oryx arabica, sparita da qualche secolo, importantissima per la cultura araba, donata dalla Giordania. Attualmente vivono in zone recintate della riserva, non essendo possibile liberarle in un ambiente dove non esiste una consapevolezza ecologica negli abitanti. Qui sono mostrate alle persone nell’intento di educare, tra 15, 20 anni saranno poi utilizzati per ripopolare la steppa siriana. Un altro punto importante nello sviluppo della riserva è stata l’integrazione delle esigenze della comunità locale, in particolare dei beduini dediti all’allevamento di cammelli. Sono stati organizzati degli incontri, dibattiti mirati al raggiungimento di un compromesso tra la necessità di garantire la sostenibilità dello sfruttamento e il permettere loro di pascolare come hanno sempre fatto. Il compromesso permette ai cammelli di pascolare liberamente nutrendosi di arbusti perenni nei mesi da Novembre a Maggio, per poi migrare verso altre zone permettendo così la ricrescita dell’arbusto. Per adesso procede tutto nel migliore dei modi. Un altro punto importante è la creazione di un inventario della biodiversità, un settore molto trascurato a causa dell’isolazionismo politico in cui ha versato il paese per lungo tempo. Dopo un anno di studi intensi, abbiamo individuato più di 200 specie di uccelli, la maggior parte dei quali migratori. Questo è sicuramente un settore da sfruttare in futuro se si vuole introdurre l’ecoturismo. Sono stati inoltre individuati più di 20 specie mammiferi e lo stesso numero di rettili.E’ stato realizzato un notevole lavoro di documentazione attraverso le foto di tutti gli animali presenti, allo scopo di completare il programma di conservazione e educazione nelle scuole; abbiamo creato molti strumenti per i bambini, libri divertenti e libri più seri per gli insegnanti, diapositive da mostrare alla comunità di Palmyra. Abbiamo mostrato le foto di uccelli ai cacciatori beduini e a quelli di Palmyra. Siamo stati attenti alla qualità delle foto, in modo da poter produrre poster e depliant. Stiamo mettendo su un centro di informazioni, un centro per l’educazione ambientale all’entrata della riserva grazie al pronto intervento del governo siriano, molto attento all’importanza della conservazione, e orgoglioso di questa prima riserva. Stiamo lavorando sodo per attrezzarlo nel miglior modo possibile, con immagini, testi. 45
Il passo finale sarà lo sviluppo dell’ecoturismo, cercando di coinvolgere la comunità locale nel progetto. Ci siamo impegnati a individuare e verificare le esigenze degli abitanti del posto. In particolare abbiamo cercato delle attività che in futuro, con l’avvento dell’ecoturismo, potranno portare dei benefici. Abbiamo organizzato corsi di uncinetto per le donne beduine, abbiamo tentato di recuperare il modo tradizionale di confezionare i vestiti, i loro ornamenti tradizionali. Abbiamo poi intenzione di organizzare un mercato di piante medicinali a scala ridotta, facendo leva sulle grandi tradizioni e conoscenze dei beduini in questo campo, attenti che il tutto non degeneri e resti un’attività sostenibile. L’ultimo punto riguarda la formazione delle guide ecoturistiche, un corso cui parteciperanno quattro beduini inizierà il mese prossimo. . I turisti potranno visitare la riserva con i cammelli o con le mountain bike accompagnati da queste guide locali. Il nostro progetto terminerà tra 18 mesi, ed allora toccherà al governo siriano a gestire la riserva.
Karim Anegay, Agenzia del Nord, Marocco Sono un ecologista e zoologista, direttore di un progetto che si chiama “Introduzione e sviluppo di una cultura alternativa nel Rif”. Oggi ho sentito molte cose su cosa bisogna fare per proteggere l’ambiente e gestire in modo sostenibile il territorio. Io vi parlerò di un caso concreto d’intervento nella zona del Rif, in Marocco. Nel Nord del Marocco, nei pressi di Tétouan, c’è una cordigliera lunga 350 km, una regione dai rilievi molto accidentati, inadatta all’agricoltura, e a qualsiasi cosa. Questa regione ha delle caratteristiche ecologiche uniche al mondo e allo stesso tempo e sottomesso a una forte pressione antropica. Le risorse sono molto scarse. Ci sono tre città, Shef Shaouen di 40.000 abitanti, Akresé Y Mab di 70.000 ab, e un’altra di 200.000. Da questi dati sembrerebbe trattarsi di una zona desertica. Eppure si presenta come un paesaggio vario di monti, colli e pianure non ancora valorizzato, con una zona costiera lungo il Mediterraneo. Ketama è un villaggio, famoso per il movimento IP, al centro del Rif, una zona estrema dove le precipitazioni non raggiungono i 200 mm l’anno, con una foresta di cedri e soprattutto, quello che c’interessa, una foresta di abeti. Ci sono 2.500 ettari di abeti, gli unici in Africa, con una biodiversità molto ricca, ma al centro di una zona molto popolata. I problemi sono tanti, innanzitutto mancano le infrastrutture, vi è una forte erosione degli ambienti salubri, ma la densità è così elevata che la gente costruisce lo stesso. Le donne lavorano nei campi, cosa che sembrerebbe cozzare con il solito cliché arabo; ma quando l’analfabetismo raggiunge il 95%, si assiste anche a questo. Nei campi di grano ci sono solo donne, mai uomini.
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A questo punto ci si chiede il perché, in una zona così povera di risorse, esiste una così alta densità di popolazione. La risposta è la coltivazione di Cannabis. Durante gli anni 70/80, c’è stata una vera e propria esplosione, dovuta in particolare alle richieste provenienti dall’Europa. In Libano c’era la guerra, la produzione si era fermata, e gran parte si è trasferita in Marocco. Le conseguenze sono gravi, dovute soprattutto alla continua ricerca di terreni da dissodare. A farne le spese sono spesso le foreste, come nel caso della più gran foresta di querce da sughero al mondo, la Marmorah, che si è ridotta ad un terzo dei 400.000 ettari di una volta. Si è cercato di intervenire con delle leggi, qualsiasi pianta trovata nelle terre forestali apparterebbe al demanio, ma i risultati sono stati scarsi. All’epoca della dominazione spagnola le foreste sembravano infinite, e già allora erano iniziate le opere di dissodamento, continuate oggi dai coltivatori di Cannabis. Uno dei metodi più efficaci è l’incendio. Nella zona più piovosa del Marocco, si hanno l’80% degli incendi. Un altro modo è l’incisione anulare, che permette di evitare l’abbattimento dell’albero, fonte di possibili guai, causandone la morte naturale. Alla base di tutto c’è la miseria, piccoli contadini che possiedono terreni di 1/3, ¼ di ettaro su pendii a più del 20%, e che tuttavia riescono a ricavare 10 o 15 volte ciò che prenderebbero con le colture di cereali o patate. In realtà, non sono loro a fare i grandi guadagni, bensì gli intermediari, sia in Marocco sia in Spagna o altrove. Il metodo di lavoro è arcaico, con l’asino, e un pochi casi c’è anche chi utilizza il trattore. Il metodo tradizionale ed ecologico permette di arrivare in cima al monte Idirine, a 2.400 metri d’altezza, che ormai si è fatto mangiare quasi per intero dalle terrazze coltivate a Cannabis. C’è colui che nel suo ettaro di terreno alterna piante di Cannabis e alberi di mele; quest’ultime, però non le vende, sono per i bambini. Per quanto ci riguarda, esiste ancora una zona con 2 500 esemplari di Abies Marocana; sono gli ultimi rimasti al mondo. Questa ormai piccola foresta è minacciata oggi dall’espansione delle piantagioni di Cannabis. Storicamente, l’introduzione della Cannabis ha avuto all’inizio un effetto positivo, nel senso che la gente si dedicava di meno alla pastorizia, e in quel modo c’erano meno capre a distruggere l’ambiente. Poi invece, come avviene adesso, si è fatta strada l’esigenza di nuovi spazi, e la gente ha cominciato a toccare la foresta. Anche quando si scende verso la costa, incontriamo nelle valli ricche d’acqua grandi estensioni di Cannabis. Le piantagioni sono dappertutto, sulle spiagge, in collina, nelle valli nascoste. L’area del Rif non ha mai avuto una vocazione agricola, anche se fino a vent’anni fa esisteva un agricoltura di sussistenza. Oramai al mercato di Shab Shaoun si vendono solo i prodotti di seconda qualità provenienti dal mercato di Casablanca, a 400 km di distanza. I prodotti locali sono confinali da qualche rivenditore marginale, simbolo della marginalizzazione dell’agricoltura, causata dai guadagni legati alla Cannabis. 47
Il progetto è dell’Unione Europea del quale mi occupo mira a trovare delle colture alternative alla Cannabis, ponendo maggiore enfasi sulla parola coltura che su alternative. Ci è chiesto di migliorare gli allevamenti caprini, l’apicoltura e l’arboricoltura fruttifera. Siamo solo agli inizi e dunque non vi posso dire molto di più a questo momento. Sicuramente l’istituzione di nuovi parchi nazionali con un approccio partecipato e il coinvolgimento delle popolazioni locali potrebbe dare anche dei risultati. Il mio collega, il Sig. Lalou, vi presenterà il ruolo dell’Agenzia del Nord, che collabora con l’Unione Europea nella realizzazione del progetto. Si tratta di un’agenzia para- governativa dalla struttura abbastanza rivoluzionaria per il Marocco, con una visione un po’ più globale di ciò che si dovrebbe o che si potrebbe fare in una zona sinistrata come questa. O. Lalou, Agenzia del Nord, Marocco Il governo marocchino non resta inattivo davanti al proliferare delle colture di Cannabis. Sono state fatte delle leggi, e ci sono due modi per combattere il fenomeno: reprimerlo con la forza oppure incentivare lo sviluppo. La repressione porta qualche risultato, ma non potrà mai debellare completamente il problema visto che spesso costituisce l’unica forma di sostentamento della popolazione. Resta l’altra strada, favorire lo sviluppo nella regione, lottando così indirettamente contro le colture di Cannabis; è per questo motivo che nel 1996 è stata creata l’Agenzia per la Promozione e lo Sviluppo Sociale ed Economico delle Regioni del Nord. E’ un’organizzazione governativa, gestita in maniera indipendente da un consiglio di amministrazione, formato da una dozzina di ministri del governo, incaricati degli aspetti economici, dai presidenti delle tre province che compongono la regione d’intervento, e delle 12 province che costituiscono l’area di sviluppo. Lo scopo dell’agenzia è dunque procurare lo sviluppo necessario a far uscire questa regione dall’enclave in cui è stata costretta dalla mancanza di infrastrutture, di risorse naturali, dalla povertà, dall’erosione. Tutto questo ha generato tre fenomeni: emigrazione clandestina, contrabbando, favorito anche dalla presenza in territorio marocchino di città spagnole che sono porti franchi, e infine le colture di Cannabis. Bisogna ricordare che la zona corrisponde al 7,5% del territorio nazionale, ma ospita il 25% della popolazione marocchina, con una densità che arriva fino ai 106 abitanti per km quadrato. Le principali caratteristiche della regione sono una diversità di rilievi naturali, attività primarie importanti, una concentrazione di attività industriali divisa in due poli, est e ovest, potenzialità turistiche poco valorizzate; una grande mobilità della popolazione attiva, sia interna che esterna, un settore informale importante, mancanza di infrastrutture, poche vie 48
di comunicazione, che la rendono una zona isolata dal resto del paese e poco sviluppata. Tra gli altri obiettivi, migliorare l’integrazione dell’area nel tessuto economico del paese, in modo da costituire un’interfaccia tra il Mediterraneo del Nord e il resto del paese; ricercare un migliore equilibrio inter-regionale, rinforzare l’apparato produttivo. Esiste un importante programma di valorizzazione della regione che necessita di un finanziamento di sei miliardi di dollari per i prossimi 20 anni, un progetto davvero notevole. All’interno del programma è stata delimitata una prima parte chiamata urgente, i cui fondi dovrebbero provenire dallo stato, dalla cooperazione, dal settore privato e dalla collettività, una somma di investimenti che si dovrebbe aggirare intorno ai 2.700 milioni di dollari per i prossimi sette anni. Siamo già al terzo anno. La strategia principale mira quindi sull’integrazione della regione e sull’incoraggiamento al settore privato. Obiettivi primari dello sviluppo sono stati considerati la lotta contro l’erosione e la protezione dell’ambiente, quindi lo sviluppo dell’agricoltura nelle aree a est e a ovest del Rif. Verrebbero poi lo sviluppo dell’industria e dell’artigianato, e la valorizzazione del potenziale turistico, soprattutto lungo le coste. Infine l’integrazione territoriale, le infrastrutture d’appoggio allo sviluppo del habitat e dell’urbanistica, e le azioni socio-economiche. Per quanto riguarda i finanziamenti, si parte dalle sovvenzioni statali, attualmente con scadenza annuale, e che possono arrivare ai 90 milioni di dollari, tra le sovvenzioni date direttamente all’agenzia e i budget dei ministri delle regioni del nord. Il ruolo dell’agenzia non si limita all’intervento diretto, ma costituisce uno strumento governativo atto a coordinare i diversi dipartimenti ministeriali nella regione. Esistono quindi progetti che sviluppiamo direttamente, altri invece sviluppati dai ministeri sui quali abbiamo un certo controllo. Per esempio, se un progetto richiede l’intervento di diversi ministeri, noi forniamo un coordinatore. Accanto alle sovvenzioni statali, ci sono le donazioni dei paesi amici, e delle istituzioni internazionali dello sviluppo; i prestiti e gli altri aiuti della cooperazione bilaterale o multilaterale, il contributo diretto della popolazione attraverso il lavoro, e indiretto attraverso le attività delle istituzioni locali come i consigli municipali, comunali, regionali. Infine vi sono le ONG nazionali e internazionali, e i contributi dei privati . Di solito cerchiamo di realizzare dei progetti che attirino diversi interventi, siano essi del governo, della società civile, o degli stessi interessati. Tra i progetti realizzati, uno dei più importanti è stato il disinsabbiamento della regione mediterranea che si sviluppa attraverso 550 km, con una strada costiera che collega Tangeri alla frontiera algerina. Sono già stati ultimati due tronconi, uno alla frontiera con l’Algeria, l’altro in prossimità dell’Oceano Atlantico, abbiamo appena finito di chiudere i conti; la fine dei lavori è prevista tra due 49
anni e mezzo. E’ poi nostra intenzione collegare l’autostrada che va da Casablanca a Rabat con Tangeri , in modo da avvicinare questa regione al resto del paese. Vi è stata la costruzione dell’aeroporto di Nador, in funzione da un anno, mentre abbiamo effettuato vari studi sulla linea ferroviaria da Nador a Teourirt attraverso una parte del Rif; speriamo presto di ottenere i fondi per questo collegamento. E’ in previsione la costruzione di un porto appena fuori Tangeri, che si affaccia sull’Atlantico, visto che quello attuale da sul Mediterraneo. Si tratterà di un porto per lo smistamento di container verso altre destinazioni. Sono previsti anche dei porti pescherecci, e delle zone franche a Tangeri, già parzialmente in funzione, e a Nador. Vi sono poi i progetti d’appoggio strutturali come la generalizzazione dell’elettricità. Tre anni dopo la creazione dell’agenzia 700 villaggi sono stati collegati alla rete elettrica nazionale. Stesso discorso per la rete idrica che sarà generalizzata tra cinque anni. Già dall’anno scorso si è iniziato a lavorare per la sistemazione della rete viaria. Questi sono i progetti d’appoggio, le infrastrutture che saranno realizzate. Abbiamo poi cominciato a lavorare per la protezione del suolo e dell’ambiente attraverso la diffusione di piantagioni fruttifere e la realizzazione di terrazze per combattere l’erosione. Ci stiamo interessando inoltre dell’industrializzazione di alcune zone del paese, e dello sviluppo economico in genere. Nei villaggi abbiamo formato degli artigiani e creato delle cooperative per lo sviluppo, ma soprattutto la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti; infine, tra un mese inizieremo gli studi per il rimboschimento di 70.000 ettari sparsi nella regione. Tuttavia abbiamo in mente un progetto più vasto, che non si limiterà alla semplice foresta, ma andrà oltre, studiando dei lavori di sistemazione che la proteggano, che procurino lavoro, che forniscano da mangiare alle popolazioni che solitamente sfruttano la foresta; sarà la prima volta in Marocco che sarà realizzato un progetto integrato sulla superficie di un comune rurale, su 27.000 ettari con la cooperazione di settori economici e infrastrutture. Come direttore del progetto mi sono spesso divertito cercando di quantificare la rendita netta; non è assolutamente impresa facile. Comunque dopo aver detratto i vari costi, sono giunto alla conclusione che un ettaro di terreno dovrebbe rendere all’incirca 2.500 $ l’anno. Se consideriamo che però il contadino medio possiede 1/3 di ettaro, allora si parla di circa 700$ l’anno per una famiglia di 15 persone. Spesso, con questa somma bisogna anche pagare qualcun altro. L’esperienza colombiana è abbastanza emblematica. In origine la coltivazione della marijuana era monopolio messicano. Gli americani hanno distrutto tutto con bombardamenti chimici, cosa che non ha fermato i venditori messicani, finendo con l’intossicare gli stessi consumatori d’oltre frontiera. La produzione è stata quindi spostata in Colombia. Il governo marocchino non ha risposto con le maniere forti, le istituzioni locali hanno reagito in maniera ferma, impedendo, diciamo, che la cancrena uscisse dalla sua produzione. 50
L’idea delle colture alternative è antichissima, viene da un progetto dell’Unione Europea al quale ci si adegua, con esiti talvolta negativi, talvolta positivi. Il problema è un altro, ed ecco perché è stata creata un agenzia apposita, che trovi le soluzioni. Vi sono due modi di vedere il problema: considerare il Cannabis causa di tutti i mali, oppure andare in fondo alla crisi paesana, che Cannabis o non cannabis, manca di regolamentazione. Il problema di queste colture durerà ancora molto, nonostante le iniziative prese, fino a quando la gente avrà bisogno di soldi per vivere. Il problema si pone molto più a livello della domanda che della coltura. Depenalizzando l’uso di droghe leggere, la coltura non sarebbe più illegale. Il Marocco non è insensibile al problema; il governo ha delimitato il territorio interessato, operando dei periodici interventi atti a ribadire la presenza dello stato e a ricordare che certe colture sono vietate. La pressione è forte, sicuramente non si assiste ad un allargamento del problema, vi è il divieto assoluto di esportare Cannabis, vi sono vari processi in corso, molta gente è in carcere, si è provveduto a distruggere molti terreni interessati alla coltura e a bruciare le piantagioni situate intorno alla zona circoscritta. Quest’anno se ne sono bruciati 5000 ettari. Per ciò che riguarda le colture alternative, è praticamente impossibile trovarne che si avvicinino alla rendita di queste piante. Bisogna anche considerare che le altre colture richiedono molto più impegno. Con il Cannabis, in tre mesi si arriva a guadagnare dai 2.500 ai 3.000$ per ettaro senza praticamente fare nulla, mentre negli altri casi si lavora come schiavi per 1.500, 2.000$. Quindi non si può parlare di colture che sostituiscano il Cannabis, ma di colture da sfruttare in concomitanza di altre forme di sviluppo. Cambiando argomento, bisogna ricordare la creazione di due parchi nazionali, il parco di Tael Sultan e quello di le Haiseiba, ai quali l’agenzia darà il suo contributo. Sig. Amhaoun, Ministero delle acque e delle foreste, Marocco Presenterò un progetto per la conservazione delle risorse naturali nel Nord Est del paese che sperimenta un modello di gestione durevole. Il progetto rientra nel quadro della collaborazione tra il governo italiano e quello marocchino. Esso interessa un’area di 78.000 ettari, a sua volta suddivisa in due sotto-zone: un parco nazionale situato in un area caratterizzata da condizioni bioclimatiche d, rilievi molto accidentati ed un suolo reso friabile dall’erosione; la seconda è invece costituita da un perimetro di risanamento pastorale in una pianura molto arida dove le precipitazioni raramente superano i 150 mm. Il progetto è la conseguenza di uno studio nazionale sulle aree protette che ha individuato circa 169 siti d’interesse biologico e ecologico tra i quali 10 parchi 51
nazionali. Lo studio è poi sfociato in una strategia internazionale che ha raggruppato questi siti in tre insiemi di cui 18 necessitano di un intervento urgente che non superi i cinque anni. L’obiettivo principale è l’attenuazione della pressione sulle risorse naturali, e allo stesso tempo il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione attraverso la realizzazione di un approccio partecipato dove la gente sia coinvolta nelle scelte di sviluppo e nelle strategie politiche che la interessano direttamente. A questo proposito sono stati individuati cinque campi d’intervento, il primo dei quali riguarda la riabilitazione e la ricostituzione delle foreste degradate e delle altre zone ugualmente fragili ed eccessivamente sfruttate. Tra le azioni intraprese, degli interventi nelle scuole sull’educazione del popolamento, partendo dall’alleviamento della pressione per permettere l’inizio del popolamento ed il suo sviluppo. Sono stati messi a riposo i sistemi di recinzione, in collaborazione con la popolazione che si è organizzata in associazioni per lo sviluppo dell’ambiente e per il proprio sviluppo. Il secondo punto riguarda la gestione delle acque. Il deficit idrico della parte meridionale del Mediterraneo necessita di una gestione razionale delle acque. Sono state intraprese delle azioni che mirano al miglioramento e all’estensione dei piccoli e medi impianti idraulici, inserito tutto in un quadro partecipato che procede con l’analisi di ciascun agglomerato. Sono problemi portati alla luce dalle stesse popolazioni, che a loro volta propongono delle soluzioni plausibili. Si è proceduto anche al betonaggio della rete esistente per diminuire le infiltrazioni e razionalizzare l’uso dell’acqua attraverso anche la costruzione di bacini di accumulo. Il terzo punto consiste nel sostegno all’agricoltura e all’allevamento attraverso tre grandi interventi: il primo riguarda il risanamento e il rinforzo dell’allevamento del bestiame, soprattutto attraverso l’introduzione di riproduttori che sono della regione per evitare l’inquinamento genetico, e l’organizzazione di campagne di vaccinazione e di profilattici. Per l’agricoltura si cerca di convincere i contadini a gestire meglio i frutteti, sia in rapporto alla taglia sia al letame, con concimi naturali e l’introduzione di semenze per il rinforzo delle colture. Il quarto punto riguarda la conservazione dei suoli, già abbastanza erosi. Occorre la costruzione di dighe lungo i corsi d’acqua, e una lotta biologica attraverso alberi fruttiferi che fissino il terreno e allo stesso tempo migliorino le entrate della popolazione. L’ultimo punto, che avrà un effetto sulle popolazioni, è la diversificazione delle attività economiche, soprattutto i profitti delle donne contadine e dei giovani disoccupati, attraverso l’introduzione di allevamenti di conigli, apicolture, l’installazione di impianti industriali in grado di migliorare e valorizzare l’estrazione dell’olio d’oliva; inoltre sono previsti altri interventi legati direttamente al benessere della popolazione, il miglioramento dell’igiene, la 52
pianificazione famigliare, la lotta contro l’analfabetismo, e azioni che si sforzino di migliorare l’amministrazione della situazione. La gente del posto ha espresso il desiderio di continuare il progetto. Nonostante le difficoltà iniziali, hanno accettato di riunirsi in associazioni, al terzo anno se ne contavano 35.
Discussione Intervento di Sekkal Zohir, presidente del Movimento Ecologico Algerino e di MEDFORUM Sono membro di un’ONG algerina. Vorrei per il momento restare sul problema del Cannabis. Innanzitutto sono d’accordo con chi dice che il problema riguarda più la domanda, e che la legalizzazione, regolamentata, potrebbe essere una soluzione, visto che in fondo è meno pericolosa della cocaina, delle sigarette, del whisky, ecc. Un’altra soluzione sarebbe la libera circolazione delle persone oltre che delle cose. L’emigrazione diventerebbe un’alternativa, visto la necessità di manodopera che c’è in altri paesi. Vorrei inoltre domandare a Maria Antonia di EcoMediterrania i risultati dei questionari distribuiti nel 97, se in effetti sia possibile sperare in un ecoturismo durevole? Chiederei a tutti i partecipanti a questa conferenza, una volta rientrati nei loro paesi, di esercitare pressione sui propri governi affinché venga ratificata la Convenzione di Barcellona. Vorrei domandare al relatore tunisino di illustrare l’impatto del turismo sui parchi nazionali, visto che quando sono andato a vedere gli uccelli della riserva di Ichkeul, ho trovato solo l’acqua. R. (Maria Atonia) Lo scopo primario del questionario non era né scientifico, né di studio, ma quello di far riflettere il turista sul proprio comportamento. Ci interessava il risultato per poter poi dare il via ad una campagna. Abbiamo anche messo un viaggio sostenibile come premio, una formula per coinvolgere anche i tour operatori. Questo ha comportato una montagna di risposte che andremo ad analizzare. Anch’io vorrei chiedere se i tunisini sono a conoscenza di queste aree protette, e se esiste un turismo locale. R. (Relatore tunisino) Tra gli otto parchi presenti in Tunisia, uno solo ha ricevuto un lavoro di zonizzazione, con delle riserve integrali, e zone occupate o con attività tollerabili, le cui risorse sono relativamente conosciute. L’unico parco di cui le risorse sono ben conosciute è quello di 53
Ichkuel, soprattutto grazie alla presenza di una grande comunità di uccelli d’acqua; molti ricercatori ci hanno lavorato, compilando le liste e l’evoluzione delle specie presenti nel parco. In un discorso più generale, la conoscenza delle risorse biologiche dei vari parchi è limitata. Visto che il ruolo principale di una riserva è preservare la biodiversità, sarebbe molto più importante conoscere le risorse biologiche che aprire i parchi ai turisti. Per quanto riguarda le visite, Ichkuel riceve circa 40.000 turisti l’anno. Vi sono più visitatori tunisini che stranieri, perlopiù scolaresche, studenti e gruppi di scout, quindi gruppi relativamente organizzati. Il turismo di cui parlate voi, turismo ecologico o altro, è praticamente inesistente, nel senso che gli stranieri vengono o per motivi di studio o perché la visita era compresa nel pacchetto dell’agenzia di viaggio. Il problema è l’isolamento nel quale vivono le comunità locali nei parchi. In Tunisia l’analfabetismo corrisponde al 37% della popolazione, all’interno delle riserve può arrivare al 100%. Spesso i parchi sono molto lontani dai centri abitati, mancano le infrastrutture o sono state limitate; gli abitanti hanno subito un declassamento, e non vengono mai interpellate su niente. Sicuramente il turismo andrà ad aumentare, ma ancora è presto sapere quale sarà l’impatto, visto che ancora non è stata effettuata una zonizzazione adeguata, per limitare o impedire l’accesso a certe zone. Ci sono molte specie a rischio di estinzione, quindi occorre grande cautela nell’apertura ad un turismo di massa. Bisogna fare pressione sulle amministrazioni perché si acquisiscano le giuste conoscenze di risorse biologiche, perché sia introdotto un sistema di zonizzazione, e che ci sia rispetto delle convenzioni internazionali ratificate dalla Tunisia, come quelle di Barcellona e Ramsar. Bisogna poi prendere provvedimenti per le famiglie che abitano all’interno dei parchi, molte delle quali vivono in uno stato di indigenza estrema, tra l’indifferenza di chi visita il parco o per un motivo o per un altro. Questo conferma quella mancanza di rispetto da parte del turista per le particolarità culturali delle popolazioni presso le quali s’installano. Tutti abbiamo contribuito alla creazione di un patrimonio universale, e tutti abbiamo diritto al rispetto dell’altro. ( Intervento di Serra) La discussione si sta allontanando dal punto da cui eravamo partiti, ovvero parlare delle possibilità di creare parchi nazionali. Dubito sia possibile fare qualcosa del genere in un area così densamente popolata come quella del Rif Marocchino. In Arabia un principe ha deciso di recintare una parte di deserto, il che ovviamente non ha recato alcun danno alla popolazione. Non sempre è così semplice. Tornando all’ecoturismo, non tutti i paesi hanno le possibilità di sviluppare questi circuiti; esistono realtà come la Tunisia su cui dovrebbe vertere la discussione. (Moderatore) In Europa la situazione è diversa; in Italia non esistono parchi in cui è vietato l’accesso, ci sono ricchezze diverse, sono tutti abitati. Così dovrebbe essere.
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(Relatore spagnolo) Il Sig, Zohir Sekkal ha chiesto che vengano avviate le procedure di ratificazione della convenzione di Barcellona. Istituita nel 1975, la convenzione ha subito importanti modifiche nel 1995. In un primo momento l’obiettivo principale era la protezione del Mediterraneo inteso come mare. Ci si è poi accorti che la maggior parte dei problemi venivano dalla terra, l’80% dell’inquinamento era portato dai fiumi. A partire dal 1995 la convenzione è stata allargata alle zone marittime, fino a comprendere aree come l’Aspromonte. Il problema è che le modifiche apportate richiedono altre ratifiche. Dei 20 paesi firmatari insieme all’Unione Europea, solo sette o otto l’hanno ratificata; l’ultima in ordine di tempo è stata l’Italia. Il protocollo che più c’interessa è quello riguardante le aree specialmente protette, che ha ottenuto le sei ratifiche richieste. Ma ce ne sono altri altrettanto importanti che restano in attesa, come quello riguardante i rifiuti tra zone di confine, o l’altro sulla piattaforma marina che interessa molte specie marine. L’unico protocollo in vigore, di cui sopra, non ha valenza legale in quanto non è ancora stata ratificata la convenzione. E’ dunque importantissimo che si ottengono queste ratifiche anche per il nostro lavoro, ed è quindi nostro dovere continuare a fare pressione sui governi, affinché trasformino i loro propositi positivi, sulla carta, in azioni concrete. MEDFORUM i sta mobilitando per la Convenzione di Barcellona, ma per tutti i programmi che riguardano l’area del Mediterraneo. Occorrerebbero delle reti, delle realtà che a livelli nazionali facessero pressione.
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MEDPARKS 2001 23/29 Luglio Parco Nazionale d’Aspromonte
4. Ambiente ed Economia: il contributo del commercio equo e della finanza etica. Giorgio Dal Fiume, presidente CTM-AltroMercato. Non è usuale ritrovare questo filo conduttore in un’area come questa dell’Aspromonte che produce iniziative con continuità, iniziative che sono nel pieno dell’attualità del dibattito politico, economico a livello europeo. Il mio non voleva essere un ringraziamento formale, ma il giusto riconoscimento alla continuità di un lavoro che crediamo sia importante sia da un punto di vista culturale ma anche per gli effetti concreti che può avere questo lavoro del parco, delle associazioni coinvolte, nel costruire reti, nel cercare di mettere insieme chi si occupa d’ambiente, chi si occupa di commercio, chi si occupa di turismo, chi si occupa di sviluppo locale, chi si occupa di finanza, per rafforzare chi si occupa in definitiva di sviluppo sostenibile, di tutela sociale, di tutela ambientale. Vorrei riprendere il titolo di questo seminario internazionale, ’Economia, Etica e Ambiente ’. Questi tre termini così associati non sono una cosa scontata, per noi lo sono e probabilmente per tutti in questa sala lo sono, ma se li osserviamo da un punto di vista storico sono una novità dei tempi abbastanza recenti. Dagli anni ’80 in poi il rapporto economia – ambiente è un’associazione che abbiamo trovato presente in molti convegni, in molti testi, in molte pubblicazioni, da quando l’aspetto ambientale è diventato non soltanto un vincolo ma anche un fattore di sviluppo quindi collochiamolo in Europa negli ultimi venti anni. Sono state numerosissime e continue le iniziative che cercavano di associare la tutela dell’ambiente, come fattore di sviluppo e quindi come criterio orientativo, con le politiche economiche. Mi sono occupato di politiche ambientali e negli ultimi 20 anni l’approfondimento sul rapporto tra economia e ambiente è un fattore che all’interno del mondo dell’associazionismo, ma anche del mondo accademico dell’università, si è sviluppato enormemente. Sono nate anche cattedre universitarie, politiche di sviluppo fondate sul rapporto tra economia e ambiente. Il rapporto tra economia ed etica, almeno dal punto di vista della legittimazione così istituzionale della visibilità esterna è qualcosa di più recente. Si è sviluppato più nel corso degli anni ’90 laddove è divenuto visibile l’impatto 56
negativo spesso che sia per le politiche legate alla cosiddetta globalizzazione, che per il decentramento produttivo dal nord del mondo verso il sud del pianeta, l’impatto sociale, spesso ripeto, negativo legato alle politiche economiche e gli effetti di sfruttamento non soltanto ambientale ma spesso sociale. E’ emersa quindi la necessità forte di valorizzare anche l’aspetto etico come criterio d’orientamento, come vincolo, come fattore da tenere in considerazione anche nell’aspetto per tutto ciò che riguarda l’economia e la produzione. Tutto ciò può sembrare astratto, un po’ generico, ma se pensiamo allo sviluppo su vari livelli, che hanno avuto le certificazioni etiche in questi dieci anni ci rendiamo conto che quello che sto cercando di dire non è soltanto un cogliere un movimento sotterraneo, ma è diventato un aspetto concreto, anche il fattore etico è diventato da una parte un aspetto concreto da parte delle politiche pubbliche per cercare di favorire il cosiddetto sviluppo sostenibile, dall’altro è diventato un fattore competitivo. Oggi l’etica, vale a dire l’aspetto sociale della produzione è diventato un fattore competitivo; se guardiamo allo sviluppo dei cosiddetti codici di condotta, in altre parole aziende multinazionali che cercano di garantirsi nei confronti dei produttori e soprattutto dei consumatori dicendo, “io non uso lavoro minorile”, ”le mie produzioni e gli appalti che eventualmente utilizzo avvengono nel rispetto dei diritti previsti dalle nazioni unite”; ecco se vediamo lo sviluppo di questi cosiddetti codici di condotta cogliamo come il fattore etico appunto sia diventato un elemento, un fattore competitivo e un elemento centrale nella politica d’immagine delle imprese. Ma non solo, l’unione europea alcuni anni fa ha emanato una propria certificazione sociale , in altre parole un codice di criteri la cui sigla è “ SA8000” , che allo stesso modo con cui si cerca di certificare i processi produttivi da un punto di vista della qualità, la certificazione ISO, cosiddetta che si è sviluppata in Europa ma è presente in tutto il mondo, allo stesso modo ha cercato di produrre una certificazione, un sistema di criteri e un processo di controllo di questi criteri, affinché le produzioni possano legittimamente dichiararsi pulite da un punto di vista sociale e quindi che le produzioni sia locali, sia europee sia lavorano nel sud del mondo, avvengano nel rispetto dei diritti dei lavoratori, nel rispetto della non discriminazione di genere, quindi nel rispetto dei diritti delle donne, nel rispetto dei diritti dei minori, nel rispetto di un impatto ambientale verificato e ridotto al minimo, e cercando di collegare tutto ciò ad un marchio visibile che possa valorizzare quei prodotti e quelle aziende che dichiarano formalmente di rispettare questi criteri. Per questo il fattore etico, è diventato oggi un aspetto della competitività tradizionale. Lo vediamo anche nella pubblicità, lo vediamo in quelle catene commerciali che a livello nazionale si occupano per esempio della produzione e della distribuzione di prodotti biologici e che oggi fanno di questo un proprio biglietto da visita dicendo, evidenziando il più possibile l’essere promotori di un’economia pulita e di un modo di produrre eticamente sostenibile.
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Quindi l’incrocio tra economia, etica e ambiente non è più un augurio futuro, è parte a volte anche in modo puramente come politica d’immagine, quello che in inglese si chiama “green wash”, cioè lavarsi un po’ l’immagine verso l’esterno per garantirsi un impatto positivo verso i consumatori ma senza cambiare nulla all’interno. A volte invece in modo concreto, sostanziale, non è più un’aspirazione degli ambientalisti, o che come noi si occupa di giustizia economica perché questo poi è il nostro obiettivo , l’obiettivo generale del commercio equo, ma è in modi diversificati anche parte delle politiche reali o delle istituzioni vedi l’Unione Europea, o d’alcune aziende particolarmente illuminate. Tutto questo e in particolare il rapporto tra etica e ambiente, è patrimonio sostanziale del commercio equo-solidale, m’interessava in quest’introduzione collocare il commercio equo-solidale all’interno dell’attualità del dibattito politico ed economico, non è più il commercio eco-solidale soltanto una buon’azione o una testimonianza di come le cose potrebbero essere, è sempre più un riferimento concreto per chi si occupa di politiche di sviluppo, di politiche tra nord e sud del pianeta, di cooperazione internazionale, di capacity building, di microcredito. Il commercio equo nasce 40 anni fa in Europa , 12 anni fa formalmente anche se con altre avanguardie precedenti negli anni ’80, ma formalmente 12 anni fa in Italia con la nascita di CTM a Bolzano, e nasce proprio con l’obiettivo di dimostrare la possibile coniugazione tra economia, produzione, e criteri etici a salvaguardia del produttore, ma con l’obiettivo più generale di modificare i rapporti economici tra nord e sud del pianeta, in funzione appunto di quella che prima chiamavo giustizia economica. Quindi nasce con obiettivi economici ma anche con obiettivi politici di cambiamento sociale, di riequilibrio tra nord e sud del pianeta,e tra tutti i nord e tutti i sud del mondo, e quindi anche di modifica delle leggi commerciali a livello internazionale. Il commercio equo si sviluppa in questi 40 anni non soltanto attività legate al commercio, ma anche attività legate alla finanza etica, al microcredito; oggi sono proprio questi aspetti legati allo sviluppo locale, al coinvolgimento delle comunità locali, alla valorizzazione della partnership che sono gli elementi riconosciuti dalla banca mondiale , in modo da noi non condiviso, spesso in modo come pura politica d’immagine pubblica ma sta di fatto che questi stessi elementi. Noi spesso come commercio solidale italiano ed europeo mondiale li critichiamo anche radicalmente perché ci poniamo in un’ottica di critica politica anche delle istituzioni, ma cogliamo che i nostri valori e la nostra pratica sono diventati tema del dibattito politico e sociale e per questo cerchiamo di porli; in particolare a chi viene dai paesi del bacino del Mediterraneo quanto le cose che qui raccontiamo sono non solo conosciute ma anche sono un possibile punto di riferimento dal loro punto di vista e anche un possibile partner dal momento che questo convegno è parte di un progetto più complessivo che cercherà di portare i temi del commercio equo- solidale all’interno dei paesi del Mediterraneo per cercare d’insieme dare un contributo a queste tematiche. 58
Stefano Magnoni, Altreconomia Il commercio equo-solidale di fatto è una forma di cooperazione nel commercio che nasce una quarantina d’anni fa, forse anche di più, e nasce in Inghilterra e in Olanda. Nasce non a caso, in Inghilterra e Olanda, i due paesi più mercantili d’Europa, e nasce con l’idea di dare spazio a piccole produzioni d’artigianato, ma poi anche a prodotti alimentari dei paesi che sostanzialmente erano le ex colonie dei paesi europei. I criteri con cui si è poi formalizzata l’azione del commercio equo sono vari, adesso ne cito i principali: il concetto di prezzo giusto e non imposto e quindi il contrario di quello che succede nel commercio normale. Il prezzo non è imposto da chi compra o ha maggior potere contrattuale ma appunto si cerca di soddisfare le esigenze del produttore che fissa il prezzo; il concetto di prefinanziamento, sappiamo che uno dei problemi per i piccoli produttori è proprio quello di non avere risorse monetaria da investire, soprattutto in certi paesi. Il commercio ha come sua azione, suo criterio fondamentale quello di pre-finanziare, pagare in anticipo sostanzialmente il prodotto prima ancora che sia acquistato. Un altro criterio è quello di stabilire un contatto diretto e duraturo, anche questa una pratica non seguita normalmente nel commercio internazionale dove il forte, il commerciante compra dove è più conveniente cambiando fornitore a seconda appunto della convenienza e del mercato. Importante l’appoggio e il supporto, l’incentivazione a produzioni ecocompatibili e biologiche organiche, questo sia per quanto riguarda l’aspetto dei prodotti alimentari sia per quanto riguarda l’aspetto dei prodotti d’artigianato, quindi un artigianato che sia eco-compatibile, che non distrugga l’ambiente. E ovviamente il supporto delle comunità locali: i nostri partner, i nostri produttori sono gruppi di produttori auto-organizzati sotto le varie forme, possono essere associazioni, cooperative, a volte anche gruppi informali. Il concetto fondamentale è che non è un commercio dove l’importante è far profitto, né per quanto riguarda noi attori da questa parte del mondo, neanche per i produttori, ma è quello di sviluppare un rapporto continuativo appunto di supporto alla comunità che possa fare sviluppare autonomamente le comunità locali, cioè sostanzialmente un commercio cosiddetto non profit. Con il tempo, il commercio equo si è spostato dal nord Europa verso il Mediterraneo e attualmente esistono organizzazioni che fanno commercio equo e solidale sostanzialmente in tutti i paesi dell’unione europea. Manca una struttura fissa ancora in Grecia ma c’è in Italia, Spagna e Portogallo che è l’ultimo arrivato l’anno scorso. Ovviamente Germania, Svizzera, Belgio e Irlanda sono i paesi dove è più sviluppato. Per darvi anche qualche dato, il commercio equo dovrebbe avere raggiunto un fatturato, al dettaglio in tutta Europa di circa 300 milioni di €, che non è tantissimo ma dietro ci sono più di 3.000 world shop, “botteghe del mondo” in italiano che sono luoghi dove si vendono questi prodotti in via prioritaria o a volte anche esclusiva. Per lo più, sono delle associazioni anche queste o delle cooperative o gruppi locali, nati spontaneamente da volontari in tutti paesi dell’Unione europea che in questi 59
anni si sino anche professionalizzati e sono diventati delle vere e proprie botteghe. Gli attori del commercio equo sono sostanzialmente i produttori come avevo detto, organizzati in piccole comunità; non necessariamente realtà solo piccole, un esempio che abbiamo e che diciamo sempre è quello di gruppi di contadini nello stato messicano d’Oaxaca che producono caffè, sono più di tremila famiglie organizzate, coordinate e sono produttori organici, sono uno dei gruppi di produttori organici più grosso del mondo e producono caffè per il commercio equo, ma producono anche mais, fagioli, per il loro consumo locale. Questa è un’altra delle caratteristiche del commercio equo; non è una produzione necessariamente ed esclusivamente volta all’esportazione, ma generalmente noi importiamo, e importiamo una parte della produzione; il resto è utilizzato per lo sviluppo del mercato anche locale, proprio per creare una logica diversa di quella della dipendenza del paese della monocultura. Ci sono produttori che sono piccoli, ma che a volte non vendono più esclusivamente al commercio equo, vendono al mercato locale, vendono magari anche all’estero attraverso loro canali; poi abbiamo i cosiddetti importatori, in inglese si chiamano ATOS, organizzazione di commercio alternativo, che sono strutture anche queste non profit, che hanno appunto il compito principale di contattare i produttori, portare le merci e distribuirle, in questo caso parliamo d’Europa; e anche di fare un’informazione, perché parallelamente al discorso commerciale c’è un discorso di conoscenza di avvicinare il produttore al consumatore e quindi svolgere, sanare un po’ quel gap informativo che è forse la causa principale dello sfruttamento - quando non si conoscono gli attori del commercio è più facile imporre prezzi, è più facile imporre le proprie politiche. Quindi un’azione che è commerciale e anche informativa. Poi ci sono i distributori, che sono queste botteghe del mondo che come vi dicevo prima sono delle realtà nate da volontari. Esse si sono sempre più strutturate e organizzate. Sono gruppi piccoli o grandi, ad esempio dove vivo io a Milano, c’è la cooperativa che ha ormai raggiunto otto punti vendita nella città, ha più di 2000 soci e sono persone che oltre a comprare partecipano a corsi di formazione, a serate, ad incontri sulle tematiche del nord e del sud del mondo, sulle tematiche anche di uno sviluppo eco compatibile, sulle tematiche ambientali che intersechiamo nella nostra azione di commercio per un mondo più giusto. Questi sostanzialmente sono i grossi attori del commercio equo. Il caso italiano è un po’ particolare in questo senso, credo che questo sia il bello di questo movimento , che man mano che passano gli anni e che cambia da paese a paese cambia anche un po’ geneticamente, credo che visto che sta arrivando ormai sempre più sulle coste del Mediterraneo ci sarà ancora senz’altro un cambiamento, un arricchimento. Abbiamo portato un legame nuovo, quello con la cooperazione sociale, cioè di quelle cooperative di produzione locali italiane che in ogni regione tengono un discorso innanzi tutto di promozione del prodotto biologico ma anche per fare 60
lavorare persone emarginate. Se si va nelle botteghe del mondo italiane, si vendono i prodotti del commercio equo ed anche i prodotti locali di queste cooperative. Questa è la storia cui siamo arrivati adesso. Volevo darvi un ultimo esempio che ritengo molto interessante dal punto di vista proprio della promozione di prodotti e di tutela ambientale, nato proprio con pochissimo investimento e risorse. Il caso riguarda, la promozione del prodotto del guaranà. Il guaranà è una pianta, un arbusto che cresce nella foresta amazzonica; è originario del Brasile, e particolarmente il popolo che ha selezionato questa bacca con un alto contenuto di caffeina, con proprietà simili al gin -seng per intenderci, è un popolo vero di 6.000 persone, la tribù dei Sateré Maué che si trovano a 400 – 500 km. ad est di Manaus, in un’area indigena protetta. Grazie ad un cooperante che viveva in quella zona siamo riusciti, con un gruppo locale di Milano, ad iniziare una forma di commercializzazione che oramai è diffuso in tutto il Brasile e quindi è diventato la bevanda nazionale brasiliana, è diffusissimo almeno là. Il guaranà che importiamo dalla selva amazzonica e che compriamo da questi Indios è prodotto da loro in modo ecocompatibile, cioè non in maniera intensiva ma sostanzialmente raccolto e piantato ai margini della selva senza distruggere, senza tagliare le piante e così via. Il prodotto ha avuto un così grosso successo - il progetto era partito quattro anni - che adesso questo guaranà di queste persone, con questi criteri pagato ad un prezzo più alto di quello del mercato, con una connessione molto forte al discorso di un turismo culturale, dolce, responsabile. Abbiamo iniziato a fare delle piccole spedizioni di cinque, sei, 10 persone che ogni anno vanno a visitare questa zona. Oggi, il guaranà è venduto in tutte le botteghe d’Italia, e anche in alcune d’Europa, ed è diventato una fonte di reddito importante per lo sviluppo di quest’etnia, di questo popolo di 6.000 persone. Ovviamente non è che ha risolto totalmente i problemi economici e anche sociali di questa tribù dell’Amazzonia, ma ha dato un contributo forte anche dal punto di vista politico a questa comunità. Ad esempio, su quest’area vi erano e ci sono ancora dei grossi progetti da parte delle solite aziende di petrolio; il fatto che la tribù diventa anche un soggetto economico agli occhi anche dello stato brasiliano, che esporta ad una rete di commercio europea, è un’arma in più per fare una lotta di salvaguardia di quest’area, che di fatto è un parco nazionale naturale ancora incontaminato. Bruno Neri, direttore d’Etimos Etimos è un consorzio finanziario non profit che si occupa di micro -finanza nel sud del mondo; è uno dei fondatori della Banca Etica e in questo momento collaboriamo specialmente sull’aspetto che riguarda il microcredito e la micro61
finanza nei sud del mondo. Accenno a qualche dato per spiegare meglio che cos’è il microcredito e che interrelazioni ci sono tra microcredito, finanza etica, micro- finanza e gli aspetti del commercio equo e dell’ambiente. Quando è nato Etimos è nato col nome CTM MAG dall’idea di sostenere il commercio equo attraverso un risparmio solidale e una finanza etica; in 15 anni, l’ex CTM MAG oggi Etimos, ha erogato all’economia sociale sia in Italia sia nei sud del mondo 56 miliardi di prestiti solidali. Da questo volume d’attività si è poi considerata la necessità di fare crescere una banca vera e propria che potesse coniugare l’aspetto etico, solidale dell’economia sociale andando ad incidere maggiormente sulle realtà in Italia e in particolare nel sud del mondo. Oggi, è nata anche una federazione delle banche etiche europee, che nasce con lo spirito di sostenere l’economia sociale e l’economia solidale in Europa. La conoscenza del microcredito in questi ultimi anni è aumentata notevolmente grazie alla figura del professore-economista del Bangladesh conosciuto come ‘Il banchiere dei poveri ’, la cui esperienza è raccolta nell’omonimo libro, in cui si narra le vicissitudini attraverso le quali ha fatto nascere delle banche di villaggio, delle esperienze di microcredito specialmente a supporto delle donne nei piccoli villaggi. Da parte nostra com’Etimos, l’approccio dell’autore di questo libro, Younoss è da un lato interessante, dall’altro però crea dei problemi, e non incide come vorremmo noi all’interno delle comunità; cioè non crea sviluppo comunitario, ma individuale. In questo momento ad esempio com’Etimos lavoriamo molto nel cercare di fare prestiti a comunità di villaggio, a banche di villaggio o a strutture che fanno microcredito rivolte al commercio equo solidale ed alla produzione biologica. Complessivamente il movimento del microcredito oggi ha delle cifre interessanti, se pensiamo che alla fine del 1999 i beneficiari dei programmi di microcredito erano quasi 24 milioni di persone, avevano accesso al microcredito, persone che normalmente risparmiano nella propria realtà, quindi sono persone che hanno un livello molto basso di reddito, ma hanno anche una capacità di risparmio che anche se debole però importante per l’economia. Nel mondo si stima che ci sono un miliardo di persone, cioè il 20% più povero della popolazione mondiale che risparmia per 1% del risparmio mondiale; questo risparmio però è canalizzato normalmente verso le banche commerciali, verso le banche che non fanno un re-investimento sociale. Un’esperienza che ultimamente ho visitato in Palestina è quella dei gruppi di donne, the women clubs, che mensilmente raccolgono una quota a testa, sui 10 euro, e li versano in una cassa comune; a rotazione le donne attingono e ricevono un prestito, dipende dalle necessità della famiglia, se c’è un’emergenza, un matrimonio, oppure anche per attività, piccole attività produttive.
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In questo momento il microcredito ha un ruolo fondamentale nel sostenere l’economia delle famiglie nei territori occupati; attraverso il microcredito si stanno sostenendo piccoli progetti d’economia familiare, si comprano ad esempio dei polli, dei conigli, delle sementi per continuare ad avere una produzione che mantenga la sopravvivenza della famiglia. In questo momento quindi ho detto ci sono 24 milioni di persone che beneficiano del microcredito. Per quanto riguarda i poverissimi, quelli con una soglia di reddito da 1$ al giorno, sono circa 14 milioni di persone, e le donne sono quasi nove milioni quelle che beneficiano a livello mondiale del microcredito. Normalmente sono le donne le beneficiarie principali del microcredito; si stima che c’è un range che va dal 50 al 65%. Ci sono varie ragioni, l’economia familiare è sorretta principalmente dalle donne nei paesi in via di sviluppo, sono loro che mantengono il risparmio e quindi riescono a garantire anche un investimento per la famiglia, sono loro in gran parte che conducono delle piccole attività produttive oppure che svolgono delle attività di commercio nel settore dell’economia informale. Dall’altro lato c’è il microcredito che va alle cooperative, ad esempio di produttori di caffè biologico, in Guatemala, in Ecuador; molto del caffè biologico che viene distribuito dal commercio equo solidale è frutto di progetti che sono stati sostenuti attraverso dei finanziamenti col microcredito. Abbiamo un esempio in Guatemala : c’è una comunità indigena in Guatemala che produce caffè biologico; prima di ottenere un prestito era molto povera, e grazie alla micro-finanza nel giro di 4-5 anni essa ha potuto allargare la sua produzione di caffè biologico che viene importato dal commercio equo. Quest’attività però ha avuto una ricaduta di beneficio all’interno della comunità, sono state migliorate le condizioni sanitarie, è stato creato un piccolo ambulatorio, è stata creata una scuola che ha liberato molti bambini del lavoro. Quindi è aumentato in maniera consistente, del 60%, circa il numero dei bambini che frequentano la scuola. E’ diminuito lo sfruttamento anche all’interno delle famiglia in termini di lavoro dei bambini. Sono state stimolate altre produzioni eco-compatibili, compatibili con l’ambiente. Per quanto riguarda Banca Etica, le sue attività sono più focalizzate nel sostenere le attività dell’economia solidale e dell’economia sociale in Italia; è un grande esperimento di democrazia, di democrazia economica. Pensate solamente che oggi Banca Etica ha 17.000 soci e che tutti i soci possono votare, cioè ogni socio indistintamente dalla quantità di capitale che possiede esprime un voto, cosa che nella finanza normale non esiste. In due anni, Banca Etica ha raccolto circa 170 miliardi di risparmio, e ne ha reinvestiti nell’economia sociali circa 120 miliardi creando e sostenendo l’economia solidale creando 6.000 nuovi posti di lavoro. L’altro aspetto importante, sia della finanza etica sia del microcredito, è che si fa un investimento sul capitale umano, cioè vengono valorizzate le persone principalmente, si punta molto a dare dignità ed un futuro alle persone.
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Oggi si parla molto del tentativo da parte delle banche tradizionali di entrare nella finanza etica; oggi in Italia rispetto a pochi anni fa c’è una forte concentrazione del potere finanziario, ci sono più o meno 35 gruppi bancari contro le 130 banche che esistevano sino a 2-3 anni. Lo stesso vale per l’Europa e a livello planetario. Addirittura lunedì c’era sul Sole 24 Ore un articolo in cui si stimava che nel giro di 5-6 anni ci potrà essere una concentrazione in Europa di sole cinque banche. Quindi questo è un effetto della globalizzazione, la concentrazione e quindi il potere oligopolistico di sole poche multinazionali che detengono il controllo anche della finanza. Quello che sta avvenendo anche oggi è il tentativo d’ingresso nella finanza etica del sistema bancario. Ogni giorno nascono fondi etici, alcuni in Italia come quelli del Monte dei Paschi, che ha creato dei fondi che sono, o meglio che dovrebbero andare in direzioni diverse rispetto ai fondi tradizionali. Una società che fa la valutazione dei fondi etici, una società francese, l’ETIBEL, ha fatto una dura critica a questi fondi in quanto non esistono veri criteri etici su come ad esempio viene selezionato il portafoglio delle azioni, sulla tipologia d’investimento che fanno le imprese che vengono quotate all’interno del fondo. Non esistono veri criteri di valutazione ambientale o sociale. Banca Etica in questo momento sta cercando un percorso, fa uno sforzo per promuovere la creazione di fondi etici in cui però ci sarà un comitato d’esperti a fare la valutazione delle aziende che verranno quotate e dell’impatto socio ambientale dell’investimento. Altri percorsi seguiti anche dal movimento dei Social riguardano le campagne per la cancellazione del debito o per l’introduzione di una tassazione, la famosa Tobin Tax, il tentativo di applicare una tassa dell’1%° sulle transazioni speculative che permetterebbe di quintuplicare il valore delle risorse che potrebbero essere destinate allo sviluppo sostenibile nei paesi del sud del mondo. Per riassumere, quando parliamo di finanza etica ci riferiamo ad un investimento sul capitale umano, sulle risorse sostenibili, un investimento verso il futuro che possa contribuire alla costruzione e promozione di stili di vita e di consumo diversi, più rispettosi dell’ambiente e della gente, alla crescita del commercio equo come strumento fondamentale di solidarietà fra nord e sud del mondo, del turismo responsabile, e anche qui nel nord all’attivazione di processi partecipati di sviluppo e democrazia locale . Vince Caruana, Third World Group, Malta Come gruppo siamo nati 25 anni fa, e ci siamo occupati delle ingiustizie perpetrate nel nostro paese e altrove. Dopo anni di volontariato per le persone in difficoltà, aiutando i poveri, organizzando campi per i bambini, ci siamo accorti che bisognava trovare una soluzione alla base per combattere la povertà. Per caso abbiamo letto qualcosa sul commercio equo e solidale e abbiamo deciso di approfondire la nostra conoscenza di questa nuova pratica sociale. 64
Ci siamo impegnati nell’educazione allo sviluppo a Malta, incontrando spesso la solita domanda, “perché aiutare i poveri in India quando noi viviamo a Malta?”. E’ lì abbiamo capito l’utilità del commercio equo e solidale, uno strumento che permetteva di partecipare al miglioramento della qualità della vita d’alcune popolazioni lontane. All’inizio è stato difficile, l’ambiente cattolico è più abituato ad azioni di beneficenza, raccogliere fondi per una missione, per aiutare un prete a costruire una chiesa. Nonostante gli sforzi fatti di proporre qualcosa basato sul partnership, su principi più giusti, venivamo scambiati per gruppi di missionari. Ci è toccato innanzi tutto chiarirci le idee noi stessi, per poi cercare di trasmettere il messaggio agli altri, in altre parole che era possibile per un piccolo gruppo di gente entusiasta mantenere rapporti con persone che fabbricavano candele in India o in Brasile e aiutarli a vendere i loro prodotti. Il primo problema era come affrontare un progetto così vasto, visto che eravamo un esiguo gruppo di volontari con un budget ridotto. Ci toccava quindi trovare i partner - molti qui presenti, CTM, CRIC, ecc. ci sono stati d’aiuto – e i finanziamenti, visto che a Malta non ci sono leggi che regolino le ONG, e sono tutte gestite su basi di volontariato. Per aprire un negozio nella via principale occorrevano 400.000$ l’anno; noi ne disponevamo di appena 300. Il terzo problema era costituito dalla struttura da adottare: società, associazione o cooperativa? Per quanto riguarda i fondi, siamo riusciti ad ottenere un prestito dalla Banca Etica in Italia, in grado di capire le nostre esigenze. Per i problemi legati alle importazioni di prodotti dai vari paesi, ci siamo rivolti a CTM-AltroMercato, che già comprendeva nella sua rete di distribuzione 270 cooperative. Questo ci ha permesso di limitarci ad un unico carico proveniente dall’Italia, che includeva la merce di 30, 40 paesi diversi. Come struttura abbiamo optato per la cooperativa, quella che più si avvicinava ai principi di partecipazione democratica. Siamo riusciti ad aprire un negozio nel centro di Valletta, con una persona che ha lasciato il suo lavoro per occuparsene le mattine, mentre la sera ci affidiamo ai volontari. Purtroppo le varie tasse da pagare sui prodotti influiscono molto sul nostro bilancio, ma è un problema con il quale siamo ormai abituati a convivere, come fanno tutti gli altri negozi. Uno dei nostri obiettivi a lungo termine è trovare un negozio ancora più centrale. L’iniziativa ha incuriosito molto i maltesi, che hanno trovato i prodotti interessanti, ma la posizione non centralissima ha in qualche modo condizionato l’afflusso di persone.
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Occorreva poi cambiare la nostra mentalità di gruppo, adeguandoci alle nuove esigenze di una cooperativa: tenere dei libri contabili, fare le ordinazioni, pagare le tasse, e tante altre cose. All’inizio è stata dura, ma con l’aiuto d’altre organizzazioni, con le quali discutiamo anche d’altri temi come il capacity building, la transizione è stata completata. Ultimamente si è presentato il problema del plagio e della concorrenza, negozi privati che vendono “prodotti tribali” importati del Sud del Mondo copiando l’idea del commercio equo senza però gli stessi contenuti etici, facendo passare la loro merce per prodotti equo e solidali. Ne sono nati diversi a Malta da quando siamo partiti con la nostra bottega. Significa che c’è una domanda per i prodotti artigianali del sud. Sono queste situazioni che ci spingono ancora di più a portare avanti i nostri programmi d’educazione allo sviluppo nelle scuole, nelle fiere nazionali, spiegando alla gente come partecipare al progetto. A questo proposito è importante la creatività in certe attività; due anni fa abbiamo organizzato una settimana africana in cui la gente maltese è venuta a contatto con le tradizioni di quel continente, attraverso il teatro, la musica, e ovviamente la vendita di prodotti africani con la loro storia, la loro cultura. Abbiamo poi ordinato circa 50 tamburi, dei Djembe, tipici del Ghana, e organizzeremo in futuro dei workshop sia per i bambini sia per gli adulti e gli insegnanti, convinti che attraverso la musica si riesce ad imparare molto delle altre culture, della vita delle persone, e allo stesso tempo si può promuovere il commercio equo e solidale. La possibilità di confrontarci con CTM, di partecipare ai vari convegni ci ha aiutato molto ad uscire dall’isolamento in cui ci trovavamo. E’ sempre stato difficile discutere di certi temi in un contesto come quello maltese, dove i gruppi con la nostra stessa mentalità sono davvero pochi. Abbiamo inoltre aderito alla federazione internazionale del commercio alternativo. Due nostri membri hanno avuto la possibilità di andare in Tanzania per incontrare direttamente i produttori, la gente che ci spediva la merce; è stata un’esperienza molto importante. Cerchiamo di collaborare con l’economia sociale del paese. Uno dei problemi più ricorrenti per i giovani disoccupati è la mancanza d’esperienza lavorativa. Ultimamente il governo maltese ha dato la possibilità alle ONG di assumere persone per un periodo di 13 mesi. Questo permette ai giovani di accumulare esperienza utile poi quando si tratterrà di trovare un altro lavoro. Partecipiamo a questo tipo di programma per l’inserimento lavorativo. Dunque, nonostante i grossi problemi incontrati, continuiamo la nostra strada. Attualmente stiamo partecipando ad un progetto con altri partner chiamato Mediterraneo 2000, di cui uno degli obiettivi è quello di sviluppare la dimensione del commercio equo e solidale nell’area del Mediterraneo. Questo seminario è organizzato nell’ambito del progetto.
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Fino ad ora abbiamo avuto la possibilità di occuparci dei diversi continenti, del lavoro di sviluppo con l’Africa, con l’Asia orientale, di partecipare a conferenze, a workshop, confrontarci con partner diversi, collaborare come sta avvenendo nel progetto Mediterraneo 2000, di trovare un valido appoggio nelle iniziative che possono apparire difficili da realizzare. In questi quattro anni ci siamo messi in piedi e stiamo procedendo bene, desiderosi di lavorare con altri nel Mediterraneo e sviluppare ulteriormente questo concetto.
Discussione: (Intervento di Zohir Sekkal, presidente del MED FORUM) E’ la prima volta che vedo il lato umano di una banca, come anche la prima volta che sento parlare di commercio etico. Sarei proprio curioso di conoscere altri dettagli, come i meccanismi di finanziamento di CTM, come vengono venduti i prodotti del commercio equo e solidale, come si riconoscono, come si fa a distinguere un pomodoro etico da un pomodoro normale, come avviene la promozione di questi prodotti, e soprattutto da dove provengono i fondi che permettono di essere così generosi con tutto il mondo; le banche dovranno pur trarre beneficio da qualche parte. (Intervento di un partecipante algerino) E’ vero che nel mondo musulmano vi è sempre stata la lotta contro gli interessi bancari, ma il commercio e la finanza internazionale si sono imposti dopo un certo tempo al mondo esterno, e queste nozioni sono sempre state difese e superate nel mondo islamico; eppure anch’io sento parlare per la prima volta di commercio equo e solidale, e sono contento di conoscere la sua esistenza. Vorrei chiedere come si aderisce a CTM, a chi è concesso farlo, quali sono le procedure e le condizioni per lavorare con CTM. (Partecipante tunisino) Finora si è parlato di soluzioni alternative al mondo attuale, di una maniera diversa di intendere il mondo, prospettando rapporti più equi e più umani tra gli abitanti del pianeta. Io non sono d’accordo che queste siano alternative su scala globale al sistema attuale. Sono soluzioni parziali a dei problemi più profondi. I popoli emarginati di cui si parla lo sono soprattutto per volere dei loro governi, che a loro volta sono sostenuti dalle potenze occidentali, in particolare dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale. E’ quindi un problema principalmente politico. Ultimamente si parla molto dell’annullamento del debito pubblico per i paesi del terzo mondo. Questo debito pesa sulle spalle della popolazione, ma è stato contratto dai governi per l’acquisto d’armi. Sebbene l’educazione allo sviluppo risolverebbe alcuni problemi, i paesi vengono aiutati per permettere loro di acquistare prodotti provenienti dal mondo occidentale. E’ quindi possibile pensare ad un tipo di sviluppo che permetta di generare beni e ricchezze in questi paesi senza doverli integrare in un economia che dipende dal mercato globale.
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(Intervento di Karim Anegay, Marocco) E’ più corretto parlare di divieto d’usura che d’interesse, nel senso che nel mondo islamico non è permesso alcun tipo di profitto senza lavoro, che poi in fondo è quello che fanno le banche. C’è una bell’espressione francese che riassume molto bene il problema, “si presta solamente ai ricchi”; non si presterà mai a chi non è in grado di fornire qualche garanzia. Nelle Filippine esistono delle piccole botteghe che prestano soldi ai poveri ad interessi più alti delle banche, 12% al mese. Lì ho partecipato ad un progetto di conservazione marina di un’organizzazione tedesca. Sono stati fatti dei prestiti ai pescatori, a condizione però che formassero delle cooperative. Ed è proprio questa la strada da seguire, spingere le persone a identificarsi con qualcosa, a non sentirsi più soli ed emarginati nella loro miseria. Bisogna lavorare più sulle comunità che sull’individuo. (Mohammed, riserva di Dhana, Giordania) E’ importante capire che spesso limitarsi a concedere un prestito non è sufficiente. Il più delle volte equivale a rimandare il problema, senza trovare una soluzione efficace. Ritengo necessario invece che si vada oltre, per accertarsi che i soldi vengano spesi bene, che si collabori al progetto, visto che la soluzione sarà comunque un bene comune. Spesso la gente che gestisce i progetti ha opzioni limitate, e una volta che ne fallisce una, probabilmente fallirà l’intero progetto. E’ indispensabile quindi mettere le organizzazioni nelle condizioni di realizzare i progetti, fornendo le strutture adeguate e gli aiuti necessari, intesi come cooperazione e consulenza, oltre che finanziamenti. Bisogna inoltre essere consapevoli che spesso si tenderà ad agire in relazione alle leggi del mercato; se per esempio in una zona protetta c’è una produzione d’alimenti organici, questa inevitabilmente verrà influenzata dal ciò che avviene nel mercato. (Intervento di Vince Caruana) Si è parlato molto del ruolo importante che spetta al consumatore, nell’ecoturismo, nel commercio equo e solidale, negli spazi protetti. E’ evidente dalle ricerche fatte che più il consumatore è informato, più le sue scelte saranno corrette. Nel caso delle grandi multinazionali come la Nestlè, alla base di tutto resterà sempre il profitto, non cambieranno mai il loro modo di agire perché ritenuto dai più non etico. Per adesso ci si deve accontentare, nel commercio equo e solidale, di non commettere gli stessi errori degli altri, soprattutto per ciò che concerne la trasparenza. Magari anche gli altri, in maniera molto graduale, cominceranno a cambiare qualcosa. Da uno studio effettuato a Malta è risultato che per i temi da più tempo in circolazione, come il problema dell’ozono o dei test sugli animali, la gente è in grado di agire in maniera saggia, mentre c’è meno consapevolezza sul commercio equo e solidale e sugli organismi geneticamente modificati, di conseguenza il consumatore evita di prendere posizione. Ciò conferma l’importanza che riveste l’educazione in qualsiasi campo, sia esso l’ecoturismo o il commercio equo e solidale.
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Nel nostro caso, ciò che più c’interessa è la trasparenza dei prodotti, l’aver spazzato via l’anonimato d’ogni oggetto, fornendo tutte le notizie che generalmente vengono richieste dai clienti.
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MEDPARKS 2001 23/29 Luglio Parco Nazionale d’Aspromonte
5. Il ruolo delle comunità locali Gulai Eskikaia, TEMA, Turchia Lavoro per un’organizzazione che si occupa della protezione del mare e degli habitat naturali dal 1992. La nostra associazione TEMA ha circa 137.000 soci sparsi per la Turchia, e un sistema di volontari che prestano la loro opera in tutto il territorio. Il progetto di cui vi parlerò riguarda la protezione della biodiversità e delle comunità locali, in un angolo della Turchia presso il confine georgiano, vicino al Mar Nero. L’area si chiama Jamilii, ma è più conosciuta con il nome georgiano, Macha. Si tratta di una zona molto difficile da raggiungere, situata a circa 1.800 metri d’altitudine. E’ l’unico distretto forestale dell’area montuosa del Mar Nero, per 70 anni zona militare sovietica, dove non vi è stato alcun tipo di sviluppo. Solo negli ultimi 10 anni la gente ha cominciato a visitarla e a sfruttarla in qualche modo. E’ un’area biologicamente molto importante, con una foresta pluviale temperata intatta, praterie alpine, e con una flora e una fauna davvero uniche. Ci sono sei villaggi con una popolazione complessiva di 1.300 persone. Per i sei mesi invernali la zona resta isolata, e solamente ad aprile e maggio ricominciano i rapporti con il mondo esterno. Gli abitanti, abbastanza chiusi, conducono uno stile di vita molto duro, dediti ad un’agricoltura di sussistenza e ad attività legate al legname. Per dare un’idea della flora, il sottobosco è ricoperto di rododendri. Siamo stati coinvolti nella zona nel 1998 quando la gente del posto ha richiesto al ministero delle foreste il permesso di tagliare gli alberi. Come ONG era nostro interesse cercare fonti alternative di guadagno che non danneggiassero l’ambiente in cui vivevano. Vista la presenza nell’area dell’ape caucasica, abbiamo pensato di introdurre l’apicoltura e l’allevamento d’api regine, cercando allo stesso tempo di organizzare dei corsi di formazione per la gente del posto. Il primo corso è partito nel 1998, coinvolgendo diverse famiglie, che grazie alla presenza di un esperto, hanno avuto modo di imparare tutti i trucchi del mestiere, e soprattutto come allevare le api regine, sicuramente l’elemento più fruttuoso dell’attività, visto che ha un valore di mercato di circa 20$. Nel 2000 si è raggiunto un numero di 1.200, che equivale ad un guadagno che va dai 13.000 ai 15.000$. Inizialmente avevamo incontrato qualche difficoltà a convincere la gente, ad essere accettati. Adesso sono coinvolte anche le donne, che preferiscono un’attività più redditizia e meno impegnativa del lavoro nei campi. Ogni anno
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arrivano degli esperti disposti ad ascoltare i problemi incontrati nel corso della stagione. Vista l’importanza ecologica della zona, abbiamo pensato di introdurre un turismo della natura piuttosto che un ecoturismo. Abbiamo riscontrato un notevole successo nei test effettuati. Un’altra parte del progetto comporta la realizzazione di un documentario che copre le quattro stagioni da presentare sulla tv nazionale, in modo da creare una consapevolezza pubblica sull’importanza ecologica di questa regione. Oltre a dare la possibilità alle famiglie di guadagnare qualcosa, il nostro progetto mira a combattere uno dei fenomeni più diffusi della zona, l’emigrazione verso le città e verso altri paesi. E’ nostro obiettivo far sì che la gente possa rimanere sul posto e condurre uno stile di vita accettabile. www.tema.org.tr Antonia Theodosiu, Friends of Akamas, Cipro Nel mio intervento affronterò il problema incontrato dalle associazioni ambientali a Cipro per l’istituzione di un’area protetta e dunque quello delle comunità locali. In particolare descriverò gli sforzi e i problemi che ha dovuto affrontare un'ONG operante nella zona. L’isola di Cipro misura 9500 km quadrati, ed è caratterizzata dalla presenza di due complessi montuosi, uno a Nord e l’altro a Sud, e da un’unica valle nel mezzo. Il 37% della parte settentrionale dell’isola appartiene al governo turco, e non abbiamo molte informazioni sulla flora e sulla fauna. Il 18% del territorio è ricoperto da foreste sotto la tutela del dipartimento delle foreste di Cipro. La penisola d’Akamas è l’area che c’interessa, situata nella parte nord occidentale. Essa ricopre una superficie di 250 km quadrati, il 3% del territorio insulare. Esistono vari siti archeologici, che vanno dal periodo neolitico, attraverso quelli ellenistico, romano, bizantino fino al periodo medievale. Vi sono varie leggende e toponimi legati ad Afrodite e Adone, vi sono anche toponimi italiani come Fontana Amorosa. Ci sono 12 villaggi tradizionali nell’area con una popolazione complessiva di 2000 abitanti. Per quanto riguarda l’altitudine, partiamo da 450 per arrivare a 670 metri. Sulle spiagge sabbiose si riproducono le tartarughe marine. Tra queste ve ne sono due specie che sono scomparse dal resto del Mediterraneo. Purtroppo su una di queste spiagge, nonostante gli sforzi compiuti dalla nostra associazione, è stato costruito un albergo di proprietà dell’ex ministro degli esteri. Ad Akamas, troviamo 168 delle 376 specie d’uccelli presenti a Cipro, 12 dei 16 mammiferi e anfibi, 20 dei 23 rettili, e 16 delle 54 farfalle. L’area è ricchissima 71
anche di piante e alberi: 530 specie della flora planetaria su 1800, di cui 39 endemiche e 25 rare. Vi sono anche specie endemiche d’uccelli che si riproducono sulla penisola, oltre a tre specie endemiche di molluschi. Dei 12 villaggi alcuni sono turchi ciprioti, altri greci ciprioti e alcuni misti. I problemi da affrontare sono tanti. Innanzi tutto si tratta di una zona altamente sismica, soggetta ad una forte erosione dovuta all’abbandono dei terreni agricoli e alle cattive procedure di costruzione. Il turismo è soprattutto di massa, con tutte le conseguenze negative che ne derivano: abbandono di rifiuti, safari, sviluppo eccessivo della zona costiera, cui vanno aggiunti i problemi causati dal pascolo delle capre. In origine la nostra era l’unica ONG ad occuparsi dell’area, adesso veniamo appoggiati da altre organizzazioni. Un altro grosso problema è costituito dalle esercitazioni militari eseguite dagli inglesi sia a mare che all’interno, un diritto che si sono riservati quando hanno concesso l’indipendenza nel 1960. Dopo tante discussioni, cui hanno partecipato le organizzazioni, gli abitanti del posto e anche rappresentanti della società civile, gli inglesi si sono ritirati dalla terra ferma, e non eseguono più esercitazioni da tre anni. Abbiamo potuto contare sull’aiuto di Greenpeace oltre che delle altre organizzazioni presenti nel Sud dell’isola. Qualche anno fa siamo riusciti ad ottenere finanziamenti dall’Unione Europea per sviluppare attività alternative nei villaggi di Akamas e dimostrare al governo e agli stessi abitanti che esistevano altre strade di sviluppo, oltre al turismo di massa. Il progetto si chiama Lana, ed è ormai terminato. E’ stato creato un centro di formazione ambientale frequentato da studenti di Cipro e dall’estero; in un altro villaggio abbiamo messo su un museo, un negozio di artigianato, abbiamo ristrutturato e trasformato una casa in una struttura macro-turistica con un ristorantino dove gustare piatti tipici, abbiamo creato un giardino di erbe organiche con museo e negozio annessi, abbiamo aperto un centro culturale giovanile, cercando di istituire dei modelli che poi sarebbero stati seguiti dagli abitanti e dal governo stesso. Purtroppo finora è stato fatto poco. Tra le varie organizzazioni che hanno collaborato, abbiamo invitato l’UICN per effettuare uno studio per la preservazione dell’area, in modo da includere i villaggi nella zona protetta, nella riserva naturale. Un progetto varato dal dipartimento per la pianificazione che mirava alla conservazione e allo sviluppo dei villaggi non è mai stato realizzato. La speranza è che con l’ingresso nell’Unione Europea le cose miglioreranno, che Akamas sarà inserita nella rete Natura 2000; attualmente fa parte della rete Esmeraldo del Consiglio d’Europa. Tutti questi sforzi sono al momento risultati inutili, e stiamo ancora combattendo per limitare i danni provocati dal turismo di massa, che presto potrebbe dare il via ad una vera catastrofe ecologica.
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Sedat Kalem, Associazione turca per la protezione della natura Rappresento un’ONG che si chiama Associazione Turca per la Protezione della Natura. Oltre che sul coinvolgimento delle comunità locali, mi soffermerò sulla collaborazione tra governo e ONG attraverso l’esempio della gestione di un’area protetta specifica. La zona interessata si trova al centro della striscia settentrionale della Turchia, vicino alla costa del Mar Nero. Occupa una superficie di 35.000 ettari poco popolata, con una zona cuscinetto che invece comprende villaggi e piccole città di non più di 5.000 abitanti. Il progetto interessa una zona complessiva di 115.000 ettari. La nostra organizzazione, HKD, fondata nel 1975, può contare su 1500 soci, di cui 40 attivisti. E’ stata associata al WWF in Turchia, e attualmente collabora con Bird Life International. Siamo inoltre membri dell’UICN. Siamo Convinti che la creazione di spazi protetti ben gestiti porrà un freno alla perdita di specie e habitat. Abbiamo tre programmi di conservazione: coste marine, foreste e zone umide, terre con acqua dolce e paludi. Io mi occupo del programma per le foreste. In Turchia ci sono tra le 9.000 e le 10.000 specie di piante, vale a dire il 70% delle specie esistenti in Europa, e di queste 3.000 sono endemiche. Ci sono poi importanti specie di legname, di piante aromatiche medicinali, industriali e alimentari. Si trovano 120 tipi diversi di mammiferi, sui 150 in Europa, 15 a rischio di estinzione; 450 tipi d’uccelli di cui 46 a rischio, essendo la Turchia lungo la rotta migratoria; 192 tipi di pesce; 18 tipi di rettili. Il nostro obiettivo principale è difendere la biodiversità in Turchia. Per quanto riguarda il programma forestale, intendiamo creare una rete ecologica rappresentativa di spazi protetti che comprenda almeno il 10% di ogni tipo di foresta, allargando così le aree protette; e allo stesso tempo migliorare i sistemi di gestione. Attualmente stiamo portando avanti uno studio che ci permetta di identificare le zone più meritevoli di conservazione. Partecipiamo inoltre ad un’iniziativa turco-georgiana nell’eco-regione della Caucaso. Il progetto delle montagne del Ker, nato un anno fa, mira a dimostrare come sia possibile gestire in maniera efficace una zona protetta, in collaborazione con il governo, agevolando così un aumento degli spazi protetti in Turchia. Il progetto ha notevole importanza in quanto la regione è stata dichiarata “fast pass” all’interno di un programma sulle foreste promosso dal WWF internazionale. La regione ospita una delle migliori foreste carsiche della Turchia settentrionale. La sua unicità sta nel fatto che è una foresta umida, ricca di habitat diversi: ecosistemi nazionali, sussistemi tradizionali, ecosistemi forestali, fiumi, praterie, pseudo maquis, tipico del Mediterraneo ma presente anche qui, insenatura, canyon e grotte sulla costa. Vi sono più di 1000 piante diverse, 40 dei 132 73
mammiferi presenti in Turchia e 46 delle specie di uccelli a rischio. Il paesaggio è spettacolare, soprattutto nei canyon, il più grande dei quali misura 1.200 metri di profondità e 20 km di lunghezza, tutto molto stretto. Quando si parla del parco di Ker, non bisogna pensare solo alla natura, ma anche al suo patrimonio culturale. La gente conduce ancora uno stile di vita tradizionale, il folclore è molto ricco, ci sono leggende legate ad avvenimenti del passato; l’architettura tradizionale è molto interessante, e c’è ancora molto da scoprire. La minaccia più incombente è costituita dall’eccessivo sfruttamento delle risorse, che occorre da anni per mano del ministero delle foreste. Oltre all’effettiva rimozione degli alberi, si è favorita la caccia, e sono state introdotte specie aliene nei fiumi, come la trota arcobaleno, con conseguenze negative sulle specie indigene. C’è stato poi lo sviluppo delle infrastrutture, soprattutto la costruzione di strade per il trasporto del legname, la speculazione su alcune piante e funghi, oltre all’inquinamento del suolo e dell’acqua provocato dai nuovi insediamenti. Si è quindi deciso di avviare un progetto in collaborazione con il governo. Gli obiettivi sono abbastanza comuni: bisogna rendere sicura la zona, provvedere alle esigenze ricreazionali, promuovere il parco, educare le persone, gli abitanti, i visitatori, e soprattutto trovare attività alternative per le comunità locali, ormai abituatesi al lavoro fornito dal ministero delle foreste. Occorre uno studio approfondito del sito, ricerche dettagliate, e un monitoraggio costante dello sviluppo, socio-economico, ecologico, ecc. In collaborazione con un’ONG locale, abbiamo già intrapreso delle attività, dei corsi di formazione sulla protezione della natura, mirati a stimolare la consapevolezza della gente del posto. La speranza comune è che l’ecoturismo possa diventare un’attività alternativa, e a questo proposito abbiamo realizzato un piccolo progetto in uno dei villaggi, mostrando alla gente come gestire l’ecoturismo, come ristrutturare le case trasformandole in piccole pensioni adatte ad accogliere i turisti. Abbiamo anche creato una pagina web che introduce tutto il patrimonio naturale e culturale, potenziale ecoturistico della zona. Uno dei referenti del progetto è ovviamente il ministero delle foreste, cui il governo ha affidato il compito di gestire tutto ciò che riguarda il patrimonio forestale. Ci saranno poi le autorità locali, e rappresentanti delle comunità. Contiamo anche sull’appoggio delle ONG locali. Importante è il ruolo dagli esperti forniti dalle università.
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Il parco non si limita alle foreste, ma è attraversato da diversi fiumi e sentieri. Notevoli sono anche le grotte, tra le quali la quarta più profonda nel mondo. Lo spazio riservato all’agricoltura è molto limitato, motivo perciò la gente dipende tanto dalle risorse forestali. Sito Internet: www.dhkd.org
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6. Protezione e conservazione della biodiversità: esempi dei Balcani
Introduce Rafael Madueno, MedForum Parlare degli spazi protetti del Mediterraneo e dell’attività di sviluppo sostenibile è una questione molto importante, in quanto ci sono caratteristiche che si assomigliano ed è nostra missione proteggerle con un lavoro d’insieme. Noi questo lavoro d’insieme lo effettuiamo tramite una rete di ONG chiamata MEDFORUM, provenienti da tutto il Mediterraneo. E’ nata nel 1995 con l’obiettivo di lavorare insieme, difendere il Mediterraneo a tutti i livelli, una rete che s’interessa dell’ecologia e di uno sviluppo sostenibile, e soprattutto delle relazioni tra loro. MED FORUM è un’organizzazione internazionale del Mediterraneo formata da ONG nazionali e locali con finalità sociali, culturali, scientifiche e educative. Gli obiettivi principali sono di ottenere un ambiente in equilibrio con le persone e la natura, fomentare la solidarietà tra le popolazioni di oggi e le generazioni future, stimolare una gestione integrata e solidale all’interno di un quadro di sviluppo durevole in tutto il bacino del Mediterraneo. E’ attualmente formata da 115 ONG, di 22 paesi diversi del Mediterraneo, ha fatto tre sedute dalla sua creazione a Barcellona nel 1995 quando le ONG erano nove di cui un’italiana, quindi una crescita importante.La ripartizione geografica è abbastanza equilibrata: il29% provengono da paesi dell’Unione Europea, il 17% da piccoli paesi dei Balcani, Monaco, Malta, ecc, il 25% dai paesi del Maghreb, il 29% da Turchia e Egitto. Per definire il suo lavoro, MEDFORUM ha organizzato una serie di incontri internazionali aperti anche agli altri settori, soprattutto istituzioni, amministrazioni, imprese. Noi pensiamo che il dibattito debba partire dalla società civile, una volta illustrate le posizioni si fanno le domande. Si prendono le posizioni per difendere le proprie idee, ma è importante conoscere le posizioni degli altri per fissare i propri obiettivi. Nel 1998 si è tenuto il quinto forum del Mediterraneo, con un ampio dibattito mirato ad individuare le azioni prioritarie: quali sono le prime cose da affrontare, perché ci sono molti problemi legati al Mediterraneo, ma non possono essere trattati tutti agli stessi tempi. Sono quindi state fissate sei priorità una delle quali è la biodiversità, la sua protezione. 76
Le azioni prioritarie stabilite sono nell’Agenda MED FORUM 2000, disponibile anche on-line su www.medforum.org, un documento molto serio dove troverete tutti i contenuti. Tra le azioni prioritarie c’è la gestione integrata dell’acqua, la gestione integrata durevole del litorale, la lotta contro la desertificazione, la protezione della biodiversità, rapportabile al lavoro svolto durante questi due giorni, il turismo durevole nel bacino del Mediterraneo la questione dei rifiuti. Questi sono i sei punti principali, sebbene non gli unici che MED FORUM si propone di affrontare. La nostra attività principale si basa su tre punti importanti: l’interlocuzione internazionale fatta di azioni di lobbying davanti alle organizzazioni internazionali, ai convegni delle Nazioni Unite, per presentare le nostre missioni, le idee delle ONG mediterranee. Sicuramente MEDFORUM non comprende tutte le ONG, ma le istituzioni internazionali dovranno prendere in considerazione l’opinione di un organismo formato da 115 membri da 22 paesi. Noi continueremo a difendere le nostre idee in tutti gli incontri internazionali. L’altra gran questione su cui lavoriamo è la cooperazione mediterranea, ovvero aiutare le ONG membri a sviluppare progetti nei loro paesi, a sviluppare azioni concrete. E non limitarsi alle riunioni dove si parla molto senza concludere nulla. Queste azioni andranno portate avanti con la collaborazione delle amministrazioni locali, con le istituzioni di protezione concreta, come i parchi naturali, i parchi nazionali, gli spazi protetti. Un altro punto su cui lavoriamo è la realizzazione di campagne nel Mediterraneo sul tema del turismo, sul tema della protezione dei litorali che ci riporta alla protezione della biodiversità. MED FORUM ha organizzato diversi incontri internazionali per fissare la sua posizione, attenta a non privilegiare l’opinione di nessuno, studiosi ecc., ma per fissare l’opinione generale di tutti i suoi membri. Già nel 1996 abbiamo organizzato un forum ambientale del Mediterraneo per discutere la realizzazione di una convenzione sulla biodiversità, una convenzione per la lotta contro la desertificazione e la siccità, un protocollo per le zone specialmente protette e la diversità biologica. A questo proposito prima il presidente parlava di un sistema da adottare in Italia , auspicando un allargamento a tutto il Mediterraneo. Questo è molto importante, ed esiste già la convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo che non è molto conosciuta. Esiste il protocollo sulle zone specialmente protette che ha sede a Tunisi. Questo protocollo mirerebbe alla creazione di un sistema di spazi protetti nel Mediterraneo, e soprattutto l’attivazione di un sistema chiamato Aree Protette Speciali d’Importanza Mediterranea, le ASPIM, grandi spazi con dei chiari sistemi di 77
protezione attraverso mezzi, strumenti, fondi; è importante attuarlo almeno a livello nazionale se non è possibile andare oltre i confini. Ma il paradosso è che il protocollo è stato firmato nel 1995, e fino a oggi è stato ratificato solo un allegato; è lo stesso problema che c’è con il protocollo sul clima, firmato ma non ratificato a causa di Bush. Ovviamente senza la ratifica non può essere realizzato, ne consegue che pur essendo state fissate nel 1995, ancora non esistono aree ASPIM nel Mediterraneo. Noi, insieme alle altre ONG, e agli altri settori, continueremo ad esercitare pressioni affinché la convenzione di Barcellona porti a compimento il sistema delle aree protette nel Mediterraneo. Nel 1998 abbiamo deciso di partire dal quinto forum, dai criteri principali sulla protezione della biodiversità presenti nell’Agenda Forum 2000. Nel 1998 abbiamo indetto una conferenza per fissare le posizioni del MEDFORUM sulla protezione della biodiversità negli spazi protetti e lo sviluppo durevole nel Mediterraneo. Nel 2000, durante il convegno dell’UICN , abbiamo trattato i temi della protezione della natura a livello generale fornendo nuovi elementi all’UICN. Abbiamo poi ottenuto dall’UICN di essere rappresentati al consiglio del Mediterraneo. E infatti il presidente del MEDFORUM, il qui presente M. Sekal, è consigliere dell’UICN. Il Mediterraneo dispone di condizioni ambientali straordinarie che hanno permesso lo sviluppo di una biodiversità importante. Oggi esiste il rischio biodiversità, essendo minacciato dalle azioni antropiche. Vi è un incremento demografico notevole, che secondo le previsioni andrà ad aumentare. Secondo le statistiche, in una piccola fetta di territorio, pari al 17%, vive il 40% della popolazione complessiva (410.000.000.) dei 22 paesi di cui c’interessiamo. Quindi vi è una pressione molto forte su uno spazio ridotto situato perlopiù lungo le coste. Bisogna poi aggiungere i 100 milioni di turisti che vi approdano, in sostanza uno su tre a livello mondiale. Dunque una pressione umana incredibile che genera diversi problemi: consumo delle risorse naturali e creazione di un notevole inquinamento che si aggiunge poi all’occupazione degli spazi da parte di infrastrutture, industrie e servizi vari. Il rischio biodiversità esiste, ecco alcuni dati che lo dimostrano, sicuramente gli scienziati ne possiedono molti altri: 10.000 specie marine, 25.000 specie vegetali e anche più, e come abbiamo visto dagli interventi sui parchi, ci sono 145 razze bovine di cui 115 in via d’estinzione, altre specie domestiche anche vegetali, delle colture che rischiano di sparire, le foreste e il paesaggio in generale sono soggetti all’occupazione del territorio, agli incendi. Le zone costiere con le loro ricchezze sono minacciate, e secondo i dati forniti nel 1999, solo l’1% ha uno statuto di protezione. Nel 1999 abbiamo organizzato un convegno a Malaga per fissare le nostre posizioni sugli spazi protetti, la conservazione della biodiversità e lo sviluppo 78
durevole nel Mediterraneo. Si è discusso di come bisogna partire da un analisi della situazione nel mediterraneo per stabilire delle azioni concrete da realizzare. Innanzitutto bisogna promuovere una gestione integrata e durevole in tutte le zone costiere, e non solamente negli spazi ben protetti; stabilire un limite all’urbanizzazione in queste aree, individuare un minimo di almeno il 20% di zone costiere e terrestri dove applicare severe regole di protezione. Qualcuno pensa sia sufficiente una gestione integrata e durevole solo negli spazi protetti. Noi siamo convinti che la gestione va allargata a tutto il territorio, con restrizioni ancora più severe negli spazi protetti. Intendiamo ridurre la pressione speculativa, attualmente molto presente soprattutto lungo le coste, attraverso la creazione di fondi per la protezione di aree naturali e l’acquisizione di terreni. Ogni paese agirà a secondo delle proprie caratteristiche. In Francia esiste già un organismo per la protezione dei litorali, altrove c’è la volontà di crearlo. Sarebbe opportuno interessare tutti i paesi del Mediterraneo, servendosi dei contributi delle istituzioni, e con una gestione sociale in cui svolgeranno un ruolo importante l’educazione, la protezione, e l’informazione sociale. Prestiamo particolare attenzione alla protezione e conservazione degli ecosistemi delle specie minacciate, adottare delle misure di conservazione per quelle specie domestiche, o addomesticate dalle culture e dalle razze autoctone, minacciate e in via d’estensione negli ecosistemi agricoli mediterranei. Nel Mediterraneo vi è una ricchezza enorme di specie diverse, sia naturali che addomesticate, molto diverse tra loro, che rischiano di scomparire. Tutto ciò deve essere difeso. Qualcuno ha parlato della creazione di spazi isolati dal territorio circostante. Questo contrasta con le nostre idee, lo sviluppo durevole non può limitarsi ad uno spazio isolato. La pressione proveniente dall’esterno renderebbe impossibile la conservazione. Ne consegue che occorre stabilire delle norme che impediscano la frammentazione, l’isolamento degli spazi come con le riserve di caccia, dove accade la distruzione della zona protetta. Rifacendosi al discorso fatto per l’Italia, sulla creazione di una rete di spazi naturali a scala nazionale, lo stesso potrebbe essere fatto a livello regionale, internazionale. Questa rete creerebbe opportunità specifiche di cooperazione, delle scale d’informazione e d’esperienze. Occorre implementare delle politiche di sviluppo durevole che riconciliano la dimensione sociale, economica, politica, culturale ed ecologica. Quindi integrare le popolazioni degli insediamenti all’interno delle aree protette, senza però isolarle dal territorio circostante, prevedendo legami e cooperazione nella gestione, la conservazione e l’utilizzazione degli spazi protetti. 79
Rinforzare i meccanismi di partecipazione della società civile, intesa non solamente come ONG, ma anche organizzazioni di cittadini a tutti i livelli. Se desideriamo che questi spazi siano amati dalla gente, dobbiamo coinvolgerla nella gestione e nelle attività. Questo era già stato ripetuto dal presidente del parco dell’Aspromonte. Il Mediterraneo è un mare che presenta diversi problemi, soprattutto per ciò che riguarda la pesca. E’ necessario produrre delle regole per le attività limitate, come tagli, forme di codici, periodi di pesca. Sono indispensabili delle alternative praticabili ai grossi problemi, il tema delle reti, la pesca a traino, ecc; non si possono fare restrizioni senza proporre alternative. Ci sono tante altre questioni e attività che abbiamo proposto, le troverete in questa dichiarazione che è a vostra disposizione. Tra le altre attività importanti c’è la regolamentazione della caccia, e l’adozione di misure che impediscano la riduzione delle zone umide del Mediterraneo. Poi c’è la questione delle isole, che sono tra le aree più minacciate del Mediterraneo, sottoposte come sono a diversi tipi di pressione, soprattutto quella turistica. Urge quindi una pianificazione per le zone insulari. Un altro tema molto importante legato alla biodiversità è il controllo di specie straniere o geneticamente modificate, che costituiscono una minaccia alla biodiversità. Bisogna lottare contro tutto ciò, proteggere tramite misure concrete il patrimonio culturale e monumentale e tutto ciò che lo circonda, promuovere l’ordine nel Mediterraneo e in ogni paese, valutare l’impatto di tutte le attività sulla biodiversità. Infine chiediamo a tutti i paesi di ratificare la convenzione internazionale per la protezione della biodiversità, in quanto anche se non conterrà la soluzione a tutti i problemi, la sua messa in opera permetterà a tutti i paesi di lavorare per migliorare la situazione nel Mediterraneo. Riteniamo prioritarie soprattutto le convenzioni per la protezione del Mediterraneo, quella per la lotta alla desertificazione e la legge dei mari, dove sono necessari dei programmi concreti. Il messaggio che MEDFORUM vuole trasmettere è che la protezione della biodiversità avverrà attraverso l’implementazione di uno sviluppo durevole, non mirato soltanto agli spazi protetti, ma una gestione integrata che interessi tutto l’area del Mediterraneo. Oltre all’azione dello stato, alle leggi, sarà necessaria la partecipazione di tutta la società civile. www.medforum.org
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Eric E. van Monckhoven, CRIC – Centro regionale d’intervento per la cooperazione, introduce i partecipanti dei Balcani. Questi ultimi anni, abbiamo spesso sentito parlare dei Balcani che per un decennio sono stati il teatro di scontri violenti e di guerra. Il tessuto produttivo tradizionale basato su industria, agricoltura, turismo è stato completamente distrutto, lasciando spazio a nuove forme di economia, per lo più illegale e criminale, che partecipano a creare forte tensioni sociali. Quanto all’ambiente, non solo è anche lui stato direttamente danneggiato dalla guerra, ma è oggetto di forte pressioni antropiche. Fortunatamente, in paesi come il Montenegro, la Macedonia e l’Albania dove il CRIC opera da molti anni, grazie ad una forte coscienza ambientale da parte di alcuni settori delle istituzioni e delle organizzazioni della società civile si sta esplorando percorsi innovativi. Come lo sapete, la diversità biologica dei Balcani, sia in termine di piante e animali, sia in termine di ecosistemi e paesaggi, è una cosa unica in Europa. Vi sono molti parchi nazionali, alcuni istituiti tanti anni fa, altri di nuova istituzione come in Albania. Se fino ad oggi molti di questi parchi hanno avuto quasi esclusivamente una funzione di protezione, si comincia a pensare che potrebbero anche diventare volanti per uno sviluppo sostenibile, in quanto laboratori di sperimentazione, scuole di formazione, ecc. Da due anni, il CRIC sta conducendo studi di fattibilità in due aree transfrontaliere nei distretti lacuali di Prespa/Ohrid tra Albania e Macedonia e di Schutari, tra Albania e Montenegro. L’idea è rafforzare la cooperazione tra i diversi enti parchi e le associazioni e comunità locali appoggiandosi su un approccio territorialista partecipato. Partecipa anche a questo sforzo il parco nazionale d’Aspromonte e la Federazione italiana dei parchi. L’anno scorso fu proprio organizzato qui un seminario sulla cooperazione tra parchi italiani e balcanici. In pratica, c’è bisogno di un grosso investimento per rafforzare le leggi nazionali accordandole con gli standard della Unione europea, per rafforzare le istituzioni e la società civile. La popolazione giovanile è numerosa e bisogna pensare ad interventi educativi e formativi, ma anche creare opportunità lavorative. In Europa, grazie ai nuovi mestieri dell’ambiente, dagli anni 80 sono stati creati molti posti di lavoro, e non solo nell’industria – settori dell’energia, del riciclaggio, della prevenzione, ecc. - ma anche in attività gestite da imprese sociali o famigliari. Tra ecoturismo, agriturismo, escursionismo, agricoltura biologica, educazione ambientale, valorizzazione delle produzione tipiche, energia solare, sicuramente c’è una strada da inventare anche nei Balcani visto la ricchezza del patrimonio naturale e il clima. Devo anche affermare che in questi paesi c’è una grande vivacità. 81
Avevamo invitato a questo seminario rappresentanti di questi tre paesi. Purtroppo dovuto a ragioni indipendenti della nostra volontà, è stato rifiutato il visto a nostri colleghi macedoni del Parco di Galicicia. Dico purtroppo perché hanno veramente una bella esperienza di rigenerazione naturali di boschi e di gestione di parco da condividere. Comunque fra di noi oggi, ci sono i rappresentanti albanesi del Parco di Prespa e di un’associazione ambientalista di Schutari, e un rappresentante della federazione montenegrina dei parchi. E’ chiaro che per loro, come per altri partecipanti, molte delle tematiche che stiamo affrontando sono abbastanza nuove, e se in Italia o Francia il discorso sull’ambiente e lo sviluppo sostenibile ha già tutt’una sua storia, questi sono temi innovativi e ci vuole un po’ di tempo per capire di che cosa si tratta anche nel concreto e la sostanza. Come diceva Goethe “ Le teorie sono grigie e gli alberi sempre verdi”. Le ringrazio di aver accettato di venire. http:://it.geocities.com/cricmed/ Alexander Rasnatovic, parco nazionale di Skadra Jezero, Montenegro Ci sono due parchi nazionali nel Nord del Montenegro, nella zona delle montagne di Durmittor e di Biograska Goran, con qualche piccolo lago e colline ricoperte di foreste. Il parco più importante, anche perché il più bello, è il parco nazionale del lago di Skadar. E’ il lago più grande della penisola balcanica, con una superficie di 400 km quadrati, di cui il 65% è in Montenegro ed il 35% in Albania. Il parco esiste dal 1983, come regione paludosa protetta dal 1995. Il lago è a carattere depressivo, passando dai 7 metri di profondità ai 90. Vi sono circa 50 sorgenti di acqua fredda. Parte importante delle acque arrivano dal fiume Moraca in Montenegro, per poi defluire nel mar Adriatico attraverso il fiume Bojana in Albania. Esistono 270 tipi diversi di uccelli tra i quali i più famosi sono i pellicani, i cormorani e gli aironi. Questi ultimi nidificano su delle piccole isole, sull’alloro, formando delle colonie uniche al mondo. Tra gli uccelli che vi trascorrono l’inverno vi sono diversi tipi di anatre. Tra le 42 specie di pesci sono da ricordare le carpe. Nei boschi intorno al lago vivono volpi e lupi. La flora è quella tipica del Mediterraneo, con delle specie che crescono solo in questa zona, come la quercia di Skadar; altre tipiche delle acque del lago come i gigli bianchi e gialli. Il parco è ricco di monumenti culturali e storici dell’età del bronzo, resti di una necropoli del periodo ellenico e testimonianza della cultura romana; ci sono anche qualche fortificazione e monastero dei secoli XV e XVI. La città di Obot è stata resa famosa dalle prime officine stampanti in questa parte dell’Europa, che risalgono al 1494. Oggi si sta lavorando con il governo albanese per cercare di proteggere meglio il lago che è molto inquinato e ha anche problemi dovuti all’assenza di controlli e monitoraggio. L’idea nostra è che deve diventare un’unica area protetta. C’è una proposta per dare lo statuto di paesaggio protetto sul lato albanese che 82
deve ancora essere approvata dal parlamento. Senza statuto di protezione sarà difficile intervenire per risolvere i numerosi problemi che ci sono e che sono diversi da un paese all’altro. In Montenegro, intorno al lago la zona è poco abitata ma c’è una grande fonte d’inquinamento delle acque dovuto a un impianto industriale per la produzione d’alluminio. In Albania, tutta la zona del Lago è una zona di sviluppo, al gente scende delle montagne e costruisce da per tutto. Speriamo che sia possibile collaborare e trovare delle soluzioni.
Diana Bejko, Rec-Scutari, Albania Purtroppo la zona albanese non gode ancora di alcuna protezione. Comunque, stiamo portando avanti un progetto, iniziato in Ungheria e sostenuto da un’agenzia svizzera per lo sviluppo e la cooperazione, per la promozione di reti e scambi tra i paesi del Sud Est europeo. Il primo obiettivo è la promozione di una gestione e protezione cooperativa tra i paesi; il secondo riguarda la promozione delle organizzazioni locali, e degli scambi tra queste e gli abitanti del posto per una gestione congiunta delle risorse naturali; il terzo la promozione di reti tecniche a livello regionale. Per ciò che concerne il primo punto, abbiamo già avviato delle attività, che interessano sia la parte albanese che quella montenegrina del Lago di Scutari (Skodra in albanese): la creazione di una bibliografia comune, la produzione di rapporti sui rischi e le potenzialità del lago utili alla gestione congiunta e alla strategia di informazioni, la proclamazione della parte albanese come area protetta. Per il secondo punto abbiamo realizzato una strategia di comunicazione che propone un aumento degli aiuti alla gestione delle risorse. Abbiamo ottenuto delle donazioni per le organizzazioni locali, con l’obiettivo di individuare attori locali capaci di svolgere un ruolo importante nel promuovere azioni di sviluppo sostenibile e piccoli interventi. Si lavora molto con le scuole e con le donne. Per il terzo obiettivo abbiamo raccolto dati sulla biodiversità da ambo le parti, riunendoli per facilitare il futuro monitoraggio. E’ stato preparato del materiale da utilizzare nelle discussioni sull’ambiente nelle scuole. Ci vediamo spesso con nostri colleghi montenegrini e lavoriamo insieme con l’Agenzia per l’ambiente, i comuni, le associazioni, l’università. Costruire questi partenariati è molto importante, anche se è una sfida permanente quando ci sono poche risorse. Il primo dei tre anni previsti dal progetto è terminato, e abbiamo programmato dei workshop per il secondo. Intervengono in lingua albanese due rappresentanti del parco nazionale di Prespa per parlare dei primi passi fatti dal governo per istituire nuove aree protette nella regione transfrontaliera di Prespa/Ohrid tra Albania e Macedonia. Esistono buone pre-condizioni per una cooperazione duratura tra i due parchi.
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