S&H Magazine n. 282 • Marzo 2020

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per l’autore per misurarsi con il suo interesse più gran­ de: il fumetto. Libraio da sempre, Emiliano ha coltiva­ to fin da piccolo la sua incli­ nazione per la scrittura delle fanzine riuscendo a pubbli­ care la prima all’età di 19 anni, ha collaborato come sceneggiatore con diversi il­ lustratori e riviste, occupan­ dosi anche di critica e di la­ boratori di sceneggiatura, collaborando inoltre alla di­ rezione artistica del festival Florinas in giallo. L’idea iniziale prevedeva il coinvolgimento di una tren­ tina di disegnatori, diventati col tempo 50 tra le migliori matite italiane, che a titolo gratuito hanno interpretato graficamente le brevi storie che Longobardi costruiva in­ torno al loro stile. Ogni au­ tore ha avuto massima liber­ tà con l’unico obbligo delle quattro tavole di lunghezza

di FRANCA FALCHI

S

caturito da un’intui­ zione del sassarese Emiliano Longobardi, Rusty Dogs ha visto il suo battesimo cartaceo nell’ot­ tobre 2019 ma la sua storia ha avuto origine molto pri­ ma. La partenza ufficiale della raccolta risale infatti al

2009 con la pubblicazione digitale delle quattro tavole di esordio nell’omonima co­ mics che, ancora oggi, conti­ nua a navigare con successo nel web. Erano gli anni in cui i blog erano il mezzo ideale per lo scambio e la condivisione delle proprie passioni e quindi il modo più naturale

e un particola­ re elemento di collegamen­ to tra tutte le mini storie. Si è creato così una sorta di puzzle fatto di 50 tasselli che, pur essendo indipen­ denti, se riuniti svelano un complesso affresco di una New York di altri tempi. Quello che si dipinge è un quartiere violento, disperato e in cerca di riscatto, con po­

liziotti induriti e un’umanità disincantata con il suo codi­ ce d’onore che ruota intorno al boss Tobey Mungher. Tanti frammenti statici che tengono col fiato sospeso e che si svolgono tutti nello stesso ambiente e lasso di tempo, resi dinamici grazie ai dialoghi che delineano ogni personaggio nel suo lato più oscuro. Rusty Dogs appartiene al fi­ lone del crime­noir se pur contaminato dalle passioni dell’autore per la musica, il cinema, la fotografia e i ro­ manzi. Le linee scure che con tratti differenti riempio­ no le pagine, e che già on line avevano una veste edi­ toriale per la stampa, contri­ buiscono a mantenere at­ tento lo sguardo del lettore come fossero testimonianze diverse raccontate ognuna da una sua voce. La tenacia di Emiliano Lon­ gobardi è stata ricompensa­ ta da diversi primi premi e dalle numerose candidature in fi­ nale al Premio Micheluzzi. Portato avanti grazie alla collaborazione dell’editor Andrea Toscani e del grafico Alberto Mura, il progetto si è concluso nel decennale con la pubblicazione del vo­ lume autoprodotto: circa 300 pagine dove ogni fram­ mento ha trovato la sua giu­ sta collocazione mettendo ordine a una sequenza che nel blog era dettata dai tem­ pi di consegna di ogni dise­ gnatore.


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S&H MAGAZINE Anno XXV - N. 282 / Marzo 2020 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

Direttore Responsabile MARCO CAU Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE Hanno collaborato a questo numero: LUIGI CANU, DANIELE DETTORI, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, ERIKA GALLIZZI, ALESSANDRO LIGAS, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, MANUELA PIERRO

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Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

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Stampa Tipografia TAS S.r.l. - Sassari

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Social & Web

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12 03 Rusty Dogs

Un’avventura a fumetti lunga dieci anni

05 The Oratorio

Il docu-film con Martin Scorsese che porta il Teatro Lirico di Cagliari negli USA

06 Il Museo archeologico di Cagliari Uno dei poli museali più belli della Sardegna diventa autonomo

10 VIP Sardegna ODV

Un naso rosso per sorridere alla vita

12 Simone Gungui

La satira che conquista migliaia di fan

24 20 Car Detailing: Marcello Mereu La cura dell’auto diventa seduzione

22 Il Carnevale di Cagliari Vittorio D’Angelo racconta le maschere del tradizionale carnevale cagliaritano Solo l’emergenza coronavirus stoppa la corsa della squadra di coach Passino

25 Dinamo Sassari Altalena di emozioni in casa biancoblù e ora un mese di fuoco

26 HITWEETS

16 I Magnifici 3

28 I distillati Macchia

Viaggio nella natura. L’Italia in tre Parchi

18 Riti della Settimana Santa

L’Arciconfraternita della Vergine della Pietà del Santo Monte di Iglesias

Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2020. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

24 Inarrestabile Raimond Sassari

14 Marco Bazzoni

Una risata ci salverà

issuu.com/esseacca

29 Il dentista risponde Ortodonzia: origine, scopo e curiosità

30 Dillo a foto tue

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in Copertina

MARCO “BAZ” BAZZONI Foto di Claudia Casciani


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THE ORATORIO IL DOCU-FILM CON MARTIN SCORSESE CHE PORTA IL TEATRO LIRICO DI CAGLIARI NEGLI USA di ALBA MARINI

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na singola performan­ ce, nel lontano 1826, che ha cambiato per sempre il panorama musicale americano con l’introduzione dell’opera italiana nel Nuovo Mondo. Si tratta dell’opera unica “Oratorio for the Be­ nefit of the Orphan Asylum”, un concerto che andò in scena quasi 200 anni fa a Little Italy, il quartiere italiano di New York dove passò la sua infanzia il famosissimo Martin Scor­ sese, regista – tra le altre cose – di film ormai cult, come Taxi Driver e The Departed. Ed è proprio grazie a Martin Scorsese e a quest’opera per­ duta che la Sardegna approda negli USA. Il regista americano, infatti, ha ideato ed è stato protagonista del documentario The Oratorio, girato da Jona­ than Mann. Il docu­film rac­

conta la storia dell’opera per­ duta che è stata riportata in scena nel 2018 proprio dal Teatro Lirico di Cagliari. Partendo dallo spartito per­ duto e ritrovato a distanza di 200 anni, il film prova a rico­ struire il contesto originario in cui avvenne quell’unica rap­ presentazione, attraverso gli interventi di musicisti e storici, fino ad arrivare alla prima e unica rappresentazione mo­ derna del concerto storico “Oratorio for the Benefit of the Orphan Asylum”, eseguita, appunto, dal Teatro Lirico di Cagliari, sotto la direzione del Maestro Donato Renzetti. L’opera è stata riportata in scena nel capoluogo sardo perché è stata riconosciuta la sua importanza come “pon­ te tra culture”: la sua prima e unica rappresentazione av­ venuta nel 1826 segnò l’in­ gresso di una delle maggiori

GIOCA D’ANTICIPO

arti italiane ­ l’opera ­ in una cultura, quella nordamericana e in particolare newyorkese, che non la conosceva. The Oratorio è anche un do­ cumentario che vuole fornire uno sguardo completo sulla società nella quale l’opera ita­ liana si inserì come genere musicale “nuovo”. E questo sguardo non può prescindere dal luogo in cui tutto è co­ minciato, una chiesetta di Lit­ tle Italy. Martin Scorsese fre­ quentò proprio quella par­ rocchia durante la sua infanzia, partecipò persino al coro, e anni più tardi ne divenne il principale benefattore. Per questo nel documentario c’è spazio sia per i ricordi del famoso regista, sia per la ri­ costruzione della realtà storica e sociale newyorkese del 1826. Particolare risalto è dato al ruolo degli immigrati (ricordiamo che Little Italy

nacque come quartiere di im­ migrati italiani a New York), capaci di dare forma a un’in­ tera comunità e di influenzare, attraverso la loro arte e la loro cultura, un’intera nazione. Il film include storie sulle in­ credibili personalità coinvolte nella performance originale del 1826 come quella dell’or­ ganizzatore Lorenzo Da Ponte, il librettista di Mozart, op­ presso dal debito, quella della prima diva dell’opera, Maria Malibran, e quella di Pierre Toussaint, uno schiavo libe­ rato che fu il principale be­ nefattore nella costruzione della chiesa. Nel documentario interven­ gono anche i membri del Tea­ tro Lirico di Cagliari che rac­ contano dal loro punto di vista lo sforzo storico fatto per far rivivere un’opera rappresen­ tata per l’ultima volta 200 anni fa.

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IL MUSEO ARCHEOLOGICO DI CAGLIARI DIVENTA AUTONOMO: Mostre, orari e novità di uno dei poli museali più belli della Sardegna di ALBA MARINI

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ome il Colosseo a Roma, come la Galleria degli Uffizi a Firenze. Anche il Museo Archeologico di Cagliari ha ottenuto l’autonomia come gli altri grandi simboli della cultura del Belpaese. L’iniziativa è partita dal ministro Dario Franceschini che ha presentato la riforma dei musei al Consiglio dei ministri lo scorso dicembre. Con questa modifica che è stata, per altro, subito approvata, il Museo archeologico di Cagliari diventa autonomo dal resto del patrimonio sto­ rico e archeologico della Sardegna. Altra importante novità introdotta dalla riforma sarà la guida del museo, che sarà affidata a un direttore scelto tramite un bando internazionale. La ricerca è già partita, infatti il bando si trova online

sull’Economist. Il super direttore del nuovo museo autonomo gestirà, insieme al Museo Archeologico Nazionale, anche l’ex regio Museo Archeologico, la Pina­ coteca Nazionale, lo Spazio museale di San Pancrazio e gli spazi di Porta Cristina. L’intento è quello di dar vita ad una vera e propria Cittadella della Cultura che concentra sotto una sola direzione i principali luoghi di interesse culturale del capoluogo isolano. I nuovi musei autonomi decretati dalla riforma sono stati scelti in base alla rilevanza dei luoghi e delle collezioni, alle potenzialità di crescita, agli elementi storico artistici e al possibile impatto sociale positivo sulle comunità. La speranza è che questa meritata autonomia inneschi un processo di crescita che renda il museo più mo­ derno, contribuendo a farlo diventare

un attrattore turistico conosciuto anche a livello internazionale. Le origini del Museo Archeologico di Cagliari risalgono al 1800, quando il vi­ ceré Carlo Felice decise di allestire nel Palazzo Viceregio, sotto proposta del Cavaliere Ludovico Baylle, il Gabinetto di Archeologia e Storia naturale, affi­ dandolo alle sapienti cure del Cavaliere De Prunner. Baylle e De Prunner si oc­ cuparono da subito di raccogliere oggetti di pregio, manufatti antichi e minerali, senza – però – alcun intento di raccolta scientifica. Due anni dopo il museo venne aperto al pubblico. All’inizio del ‘900 il polo museale venne trasferito nell’edificio che ospitava la Zecca. Dal 1993 il museo, arricchitosi negli anni di numerosi nuovi reperti ritrovati grazie


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© Museo archeologico Cagliari

alle operazioni di scavo, si trova nel­ l’attuale sede, il Complesso museale della Cittadella dei Musei in Piazza Ar­ senale 1, al centro di Cagliari. Attualmente la collezione permanente del museo accoglie reperti di varie epo­ che storiche, dall’età pre­nuragica fino all’età bizantina. Il fulcro del museo è ovviamente la cultura e la storia della Sardegna, in particolare delle zone che appartengono alle province di Cagliari e Oristano. Il Museo si pone come porta di accesso alla comprensione della storia dei popoli mediterranei che, grazie al punto strategico in cui si trova l’isola, in Sardegna si sono conosciuti, scontrati e scambiati manufatti di ogni tipo. Al centro di tutto, ovviamente, il nostro vastissimo patrimonio archeologico. Sono quattro i piani in cui il museo si articola. Il primo introduce i visitatori nella preistoria e storia della Sardegna, presentando la successione delle culture: la civiltà nuragica, quella fenicio­punica, quella romana. Gli altri tre piani sono dedicati all’illustrazione dei diversi settori territoriali, con l’esposizione di oggetti e materiali rinvenuti nelle diverse località. Importanti sono gli spazi dedicati al complesso nuragico di Barumini, al San­ tuario di Antas e alle città fenicie di Sulci e Monte Sirai. Dal 2014 al primo e al terzo piano è possibile trovare una delle principali at­ trattive del Museo archeologico di Ca­

gliari: i Giganti di Mont’e Prama, statue a tutto tondo di 2/2,5 metri di altezza e datate in un periodo tra il IX secolo a.C e il XIII a.C. Queste mastodontiche scul­ ture sono state ritrovate in Località Mont’e Prama, vicino a Cabras (OR) e raffigurano guerrieri ma anche modelli di nuraghi. Oltre all’esposizione fissa, il Museo Ar­ cheologico accoglie anche svariati eventi e laboratori, attività didattiche e ludiche e, soprattutto, mostre temporanee che approfondiscono le tematiche della mostra permanente. Non vengono trascurati nemmeno i bambini. Nel mese di marzo, infatti, sarà disponibile un laboratorio dal titolo “Come nasce il mosaico”, dedi­ cato all’arte del mosaico romano. I pro­ tagonisti saranno bambini e ragazzi delle scuole o piccoli gruppi (dai 5 anni in su) che potranno realizzare su una base di legno, ispirati da quelli esposti, dei piccoli mosaici da portare via con sé. Una nuova iniziativa particolarmente in­ teressante è il Sabato dell’archeologia virtuale, che permette ai visitatori di indossare i visori VR e compiere un viag­ gio straordinario ai confini della storia e della preistoria della Sardegna. Questa opzione consente di “spostarsi” in diversi siti archeologici della Sardegna, come Su Nuraxi di Barumini, Su Mulinu di Vil­ lanovafranca, Sa Sedda ‘e sos Carros di Oliena e molti altri. Il virtual tour è com­ preso nel prezzo del biglietto di ingresso e ha una durata di 15 minuti circa. È di­ sponibile anche in lingua inglese e, es­ sendoci posti limitati, è consigliabile prenotare scrivendo a pm­sar.prenot­ museoarcheo.ca@beniculturali.it. Il Museo Archeologico Nazionale di Ca­ gliari è aperto dal martedì alla domenica, dalle 9:00 alle 20:00. La biglietteria chiude alle 19:15. Il prezzo del biglietto intero (Statue di Mont’e Prama com­ prese) è di 7 euro, mentre il ridotto ha un costo di 3,50 euro. Per essere sempre aggiornati sulle mostre temporanee e gli orari di chiusura è consigliabile con­ sultare le pagine Facebook e Twitter.


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BIG FIVE La soluzione per chi cerca lavoro “Formatore per passione, consulente di orientamento per missione.” Mario Rigoldi Il tempo medio impiegato da un Recruiter per la lettura di un curriculum è 45 se­ condi. Siamo certi di far trasparire chi siamo, in quel breve lasso di tempo? Per fortuna c’è chi ci riesce. E ci insegna anche come farlo. L’Associazione Big Five, nata dall’unione tra il capace e inarrestabile fondatore Mario Rigoldi (consulente del lavoro, Formatore Professionista AIF ­ Asso­ ciazione Italiana Formatori), la consu­ lente del lavoro Maria Antonietta Scanu e le formatrici Maria Grazia Cristaldi e

Angelica Marcianò, fornisce supporto ai giovani nell’ambito lavorativo attra­ verso formazione professionale e orien­ tamento, e alle imprese tramite i servizi di ricerca e selezione del personale e valutazione del clima aziendale, ponen­ dosi come trait d’union tra imprenditore e lavoratore per far sì che entrambi ab­ biano il miglior beneficio dall’incontro lavorativo in perfetta ottica win to win. Come? Oltre ad aiutare il candidato a identificare e valorizzare le proprie ca­ pacità (comprese le tanto discusse e misteriose soft skill) gli viene dato sup­ porto tecnico per costruire e rendere appetibile il proprio curriculum cartaceo o addirittura propendere per l’innovativo video curriculum che permette di rac­ contarsi in prima persona emergendo finalmente fuori dal coro. Ma come restare competitivi e districarsi nella ricerca di un lavoro? I Big Five offrono supporto anche in questo, fa­ cendo in modo che gli strumenti offerti dal web non abbiano più segreti (per es. LinkedIn) soprattutto per gli studenti che domani dovranno conquistare il loro primo impiego: focus principale, questo, delle giornate di formazione che l’Asso­ ciazione sta portando avanti con successo in scuole e università.

Anche chi è già inserito nel contesto la­ vorativo e volesse reinventarsi può av­ valersi dei loro servizi: d’altronde saper sfruttare le opportunità di un mondo costantemente connesso è tra le capacità che accomuna molte persone di suc­ cesso; il fattore che le accomuna tutte è non considerarsi arrivate e non pensare mai di aver finito di imparare. Per questo i Big Five affiancano spesso anche imprenditori open‐minded: fare formazione e analizzare il clima aziendale è l’emblematico “primo passo” fuori dalla zona di comfort verso una strada di va­ lorizzazione e crescita professionale. Noi siamo quattro, il quinto sei tu! recita lo slogan, che ben sintetizza la loro ca­ pacità di creare relazioni: sul sito bigfive.eu si possono trovare informa­ zioni più approfondite sui membri e le loro attività, su come associarsi e su come raggiungerli (di base a Sassari, si spostano in tutta l’Isola), ma è da Face­ book (@BigfiveSS) che si può accedere alla sezione community ed avere co­ stantemente scambi con gli iscritti e fruire appieno delle informazioni che vengono pubblicate free sotto la piace­ vole formula de “L’esperto risponde”. Iscrizione consigliata!



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un naso rosso per sorridere alla vita di FRANCA FALCHI

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na risata ci salverà la vita. Ridere ci rende più belli, 12 diversi muscoli del viso coinvolti nelle contrazioni mantengono ela­ stica la pelle migliorando le espressioni facciali, l’addome si contrae e si rilassa ripetu­ tamente al pari di una seduta di jogging migliorando non solo il tono muscolare ma an­ che le funzioni del fegato e dell’intestino. La respirazione diventa più profonda favoren­ do l’ossigenazione, l’elimina­ zione di anidride carbonica e di acido lattico accelerando così la rigenerazione dei tessuti e limitando l’incidenza delle infezioni, il cuore arriva sino a 120 battiti al minuto e quan­ do la risata cessa inizia un

piacevole e benefico stato di rilassamento. Alla sensazione di benessere che si prova ridendo contri­ buiscono anche le modifica­ zioni chimiche prodotte sul cervello: il riso libera la beta­ endorfina, una sostanza an­ tidolorifica naturale dagli ef­ fetti simili a quelli della mor­ fina e degli oppioidi, il buon umore che ne deriva cura lo stress ed è un tranquillante contro il dolore. Numerose analisi documen­ tano come ridere possa mi­ gliorare l’effetto delle terapie convenzionali in caso di ma­ lattia. Ricerche condotte in alcuni ospedali pediatrici ame­ ricani hanno messo in luce una diminuzione del periodo di degenza del 50% e una ri­

duzione dell’uso degli ane­ stetici del 20% nei pazienti “trattati” regolarmente con la comicoterapia. Il potere curativo del buon umore non è però una sco­ perta dei giorni nostri, già nel 1687 il sacerdote carmelitano Angelo Paoli, beatificato nel 2010, trascorreva il suo tempo libero nell’ospedale San Gio­ vanni in Roma fermandosi a lungo tra i malati più gravi, travestito da buffone, per strappargli un sorriso, ferma­ mente convinto che guarissero più rapidamente. Nel 1986, il clown professio­ nista Michael Christensen fondò a New York la prima unità speciale di Clown­dotto­ ri “The Clown Care Unit” di­ ventando il precursore del­

l’attuale “Terapia del Sorriso” nota a tutti grazie all’attività di Hunter Doherty Adams (alias Patch Adams) che ha fatto conoscere in tutto il mondo la sua tecnica di uma­ nizzazione delle cure grazie ai sorrisi portati in corsia. Già dal periodo della sua spe­ cializzazione Adams aveva in­ tuito l’importanza del buon umore nel processo di guari­ gione, ottenendo maggiori successi nei soggetti che per­ cepivano la malattia in modo positivo. Visitava i pazienti in­ dossando un naso rosso, re­ galando un momento di eva­ sione, dimostrando che ansia e stress nella malattia possano essere penalizzanti. Il ricovero in ospedale è sem­ pre vissuto come un evento traumatico, specialmente per


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un bambino che si ritrova al­ l’improvviso in un ambiente sconosciuto, circondato dai camici bianchi di medici e in­ fermieri. Più il bambino è pic­ colo e più queste figure sono vissute come minacciose e pericolose, ecco perché, sem­ pre più spesso, nelle corsie degli ospedali è possibile tro­ vare i clown dottore, così chia­ mati per il camice colorato che indossano mentre fanno finta di visitare i piccoli pa­ zienti. Non necessariamente infatti sotto questo camice troviamo un vero e proprio medico, il più delle volte sono persone che nella vita di tutti i giorni fanno tutt’altra pro­ fessione.

Travestirsi da clown, ma con la divisa dei dottori e un trucco leggero, ha lo scopo di sdram­ matizzare la figura medica e fa in modo che il bambino riesca a ristabilire un rapporto positivo sia con sé stesso che nei confronti della sua ma­ lattia. Suscitare grasse risate permette ai piccoli pazienti di sfogare la tensione e di sperimentare uno stato di ri­ lassamento, sia mentale che fisico che, a volte, può real­ mente avere l’effetto di atte­ nuare il dolore e permette di effettuare anche gli esami più invasivi. Una delle maggiori associa­ zioni italiane di clownterapia,

con circa 5mila volontari, è VIP Italia, acronimo di Vivere In Positivo, che si prefigge lo scopo di far rinascere la voglia di vivere usando la gioia e il sorriso. Viviamo in positivo è la filosofia di vita di ogni vo­ lontario. Dal 2004 nella nostra regione opera VIP Sardegna, una delle 64 associazioni affiliate alla federazione nazionale. I vo­ lontari delle sedi di Cagliari, Tempio e Sassari (recente­ mente distaccata come VIP Sassari) prestano servizio negli ospedali, prevalentemente nei reparti pediatrici, con cadenza settimanale ma anche in re­ sidenze per anziani, case fa­

miglia, comunità psichiatriche e centri di recupero sociale. L’approccio nelle camere d’ospedale si attiene al codice deontologico infermieri e il turno è effettuato sempre in gruppo. I continui trainer di formazione sono infatti in­ centrati sulla sintonia e com­ plicità, tramite le quali si ga­ rantisce il sostegno anche nel­ le situazioni più difficili. Il nuo­ vo corso base si svolgerà a Sassari dal 6 all’8 marzo e a Tempio dal 3 al 5 aprile. VIP Sardegna sostiene nume­ rosi progetti regionali e na­ zionali nelle scuole e nelle si­ tuazioni svantaggiate, alcuni anche all’estero come le mis­ sioni in Albania, Bolivia, Cam­ bogia e Moldavia, ogni pro­ getto ha l’obbiettivo di con­ tagiare la gioia attraverso l’amore per sé stessi e per i propri difetti, perché chi più di un clown può insegnarci a ridere di noi? Il clown si ama perché più sbaglia più fa ri­ dere, mostrandoci la consa­ pevolezza della nostra libertà. L’associazione vive di autofi­ nanziamento e per questo, durante il mese di maggio, organizza la Giornata del Naso Rosso, un’intera giornata di sensibilizzazione, informazio­ ne, raccolta fondi e soprattut­ to risate nella quale i volontari si radunano esibendosi nelle molteplici performance: gags, micromagia, truccabimbi, scul­ ture di palloncini, giocoleria e laboratori creativi accoglien­ do adulti e bambini nei loro coloratissimi stand e coi loro immancabili nasi rossi.


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SIMONE GUNGUI La satira che conquista migliaia di fan di HELEL FIORI

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avanti al Genio preferisco stare in silenzio. Non spendo più parole di quante siano necessarie per farlo dispiegare, e quando succede si as­ siste al miracolo dell’intelletto che dà prova delle sue migliori potenzialità. È successo con Simone Gungui, 39 anni, sardo, conduttore radio tv e soprattutto autore comico, che vanta la paternità delle pagine satiriche più seguite e con­ divise di questi ultimi anni. Dobbiamo a lui infatti gli unofficial account di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, Giuseppe Conte, Virginia Raggi, Matteo Salvini. Dal suo profilo Facebook (@simonegungui) si arriva a un surreale universo dove le pagine interagiscono ripostando vicen­ devolmente gli status. Il risultato è tra­ scinante, ci si trova in mezzo ad un’ampia rete narrativa in cui possiamo muoverci a nostro piacimento seguendo questa o quella linea comica. Le pagine più composite restano co­ munque le prime nate (purtroppo oscu­ rate dopo aver raggiunto i 30mila follo­ wer), Luigi Di Majo e Alessandro Di Ba­ tista, in cui le due versioni parodiate degli originali davano mostra di creativi approcci risolutivi alle problematiche politiche, per esempio vendere Gratta&Vinci nelle scuole, o rimarcare costantemente la propria umiltà negli atti di volontariato. Ma che visione ha un autore della propria attività? L’abbiamo raggiunto per chie­ derglielo.

Ciao Simone! Gestire delle pagine sati­ riche sembra divertente ma è chiaro che ci voglia un grande impegno. Quanto amore per la narrazione c’è e quanto per la satira? Gestire tutte queste pagine è un espe­ rimento molto interessante. Di sicuro c’è una grande passione da parte mia, e mi fa piacere che si percepisca. Nono­ stante le pagine siano state oscurate, i dialoghi forbiti del figlio treenne di Ales­ sandro di Battista sono piaciuti tanto ­ così come le iniziative del finto Di Maio ­ che ho ricevuto alcune proposte per un libro e non ti nascondo che ci sto pensando. Che rapporto hai con i tuoi personaggi? Un bel rapporto: quando scrivo un post in cui faccio parlare il figlio treenne di Di Battista come Diego Fusaro rido, per­ ché mi diverto sul serio. Il gusto del surreale accompagna un po’ tutti i post dei miei unofficial, ma se ci pensate c’è parecchia surrealtà anche in quelli veri. D’altronde l’idea di parodiarli mi è venuta quando il vero Di Maio scrisse un post

in cui alludeva ad una “manina” che avrebbe manipolato il testo sulla pace fiscale. Era ottobre 2018, e sembrava già quello un post fake. Allora mi son detto: “faccio la pagina su di lui”. Che percorso hai fatto come autore? Ho iniziato 20 anni fa con la mia grande passione per la radio, poi nel 2012 sono approdato in prima serata su Videolina,

Un tweet fake di Selvaggia Lucarelli creato da Gungui


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un’esperienza importante e formativa. Dal 2014 collaboro con Prugna, (pagina Facebook da quasi 600mila fan) che analizza i temi sociali e politici attraverso una lente comico/satirica, e con Musi­ cademmerda, pagina da 300mila seguaci che quotidianamente si divertono con le nostre battute a sfondo musicale. Inoltre ho la soddisfazione di trasmettere tutti i giorni su Radio Super Sound, net­ work regionale seguitissimo. Con Max Loche (che mi affiancava su Videolina) presidiamo la fascia oraria delle 13 e presentiamo un programma frizzante e dinamico, con personaggi, parodie, ru­ briche comiche e tanto altro. I social sono i nuovi teatri d’azione co­ municativa: la tua satira potrebbe fun­ zionare lo stesso fuori dal contesto? A me piace tanto scrivere, più che ap­ parire, infatti ultimamente sto collabo­ rando in veste di ghost writer a diversi progetti. Ad esempio la lite a Sanremo tra Bugo e Morgan è stata una mia idea, ne vado molto fiero. Invece le cose classiche, tipo scrivere il discorso di fine anno di Mattarella inizia un po’ ad annoiarmi. Credo che que­ st’anno lo rivitalizzerò un pochino. Il

problema è che il Presidente è molto formale. Tentare di fargli bere un Bacardi Breezer alla pesca prima della diretta per farlo sciogliere un po’ è sempre estenuante. La satira social può influenzare gli elettori? Non credo, le persone hanno già le loro idee e non sarà un comico a cambiarle. Cosa resta alla politica secondo te? Ben poco, perché la comunicazione si è spostata sui social e alcuni credono di dover rendere conto ai propri follower anziché al Parlamento. In questo mo­ mento storico trovo molto subdola la presenza di Salvini su TikTok, che è un social con un target di riferimento ten­ denzialmente molto basso (15/25 anni), e credo sia un tentativo avanguardistico di intercettare le fasce più giovani in un terreno non propriamente suo. Immaginiamo che da domani saltino tutti i sistemi informatici, niente più social. Cosa accade nelle tue giornate di autore? Chiedo subito ad Alessandro di Battista se posso andare in Sud America con lui, nascondendogli che lo faccio soltanto per poterlo pigliare per il culo su Face­ book appena torna la corrente.

Contatto erede per le tue pagine: chi scegli? Selvaggia Lucarelli, perché con lei ho avuto un flame a causa di una battuta pubblica­ tami da Prugna: “La cosa grave non è che ci siano milioni di disoccupati, ma che Sel­ vaggia Lucarelli abbia un lavoro.” Selvaggia, son passati 4 anni, tu sbloccami e io ti rendo erede delle mie pagine, finché ban non ci separi. Grazie mille Simone! Sappi che se la Lu­ carelli non dovesse accettare, mi candido personalmente per il passaggio di testi­ mone. Alla prossima puntata!


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di DANIELE DETTORI

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MARCO BAZZONI Foto Claudia Casciani

UNA RISATA CI SALVERÀ

ualcuno lo identifica con l’indimenticato lettore multime­ diale 4.0. Per altri è Gianni Cyano, il divo del “CAnto”. Per tutti è BAZ, al secolo Marco Bazzoni, classe 1979, sassarese e un’esperienza in­ vidiabile maturata tra villaggi turistici, scuole di recita­ zione, palcoscenici nazionali e internazionali. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente appena sceso dal treno, di ri­ torno a casa dopo uno dei numerosi viaggi che hanno fatto da sfondo alla tournée del suo ultimo spettacolo, La verità rende single. «È lo show che fino ad ora mi ha dato più soddisfa­ zioni», racconta. «Non parlo tanto dei numeri quanto del risultato che ha sul pubblico, perché è uno spettacolo di­ verso dagli altri e le persone lo percepiscono. A fine se­ rata mi dicono che non si aspettavano assolutamente qualcosa del genere. In senso positivo, natural­ mente (ride, ndr)». Ecco, questo è Marco Baz­ zoni: il sorriso da eterno ra­ gazzo e la battuta sempre dietro l’angolo. Facciamo al­ lora un passo indietro nel tempo e cerchiamo di capire come dovesse essere il BAZ ante­litteram, ai tempi della scuola. «Sono sempre stato un ca… un rompiscatole, questo si può scrivere, dai. Andavo a scuola vicino a casa perché da Latte Dolce allo Scientifico erano due minuti a piedi. In generale sono partito bene fin dalle elementari, ho mantenuto alle medie e, anche se la vo­ glia di studiare non mi ha mai troppo caratterizzato, ho finito regolarmente lo Scientifico. All’Università ho mollato. Quella che volevo fare io non potevo permet­ termela: era il DAMS ma si trattava di andare fuori. Così ho ripiegato su un qualcosa di più vicino e i ripieghi non sono mai la scelta giusta». Poi arriva la svolta: i villaggi turistici. «I villaggi sono stati un inizio, utilissimo per sma­


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liziarmi e anche per capire cosa volessi fare perché, in realtà, lì ricoprivo qualsiasi ruolo di cui ci fosse bisogno. La cosa di cui soprattutto mi sono accorto, però, è che mi piaceva stare sul palcosce­ nico. Successivamente ho capito che fare l’animatore non vuol dire fare il comico. La vera formazione in que­ sto senso è arrivata quando sono fuggito a Milano per studiare recitazione, im­ provvisazione, e mi sono trovato a battere i locali, le bettole anche… sempre sa­ lendo un pochino di livello con il passare degli anni e con la preparazione. Lo stu­ dio è qualcosa che non deve mai terminare. Smet­ tere di prepararsi per stu­ pire il pubblico probabilmente vuol dire anche smettere di farlo ri­ dere». Ci viene una curiosità: pro­ venendo da una famiglia dove non c’erano precedenti in questo senso, come è stata accolta, in casa, l’idea di Marco di voler intrapren­ dere la carriera dello spetta­ colo? «Avevo 19 anni quando sono andato via per iniziare a lavorare nei vil­ laggi. All’inizio i miei genitori non ne volevano sapere. Quando però mi hanno visto sul palco – l’occasione è stata l’ultima mia stagione turistica in Egitto – hanno detto: “Forse stai seguendo la tua strada”. Subito dopo sono andato a Milano e, di nuovo, erano un po’ com­ battuti. Mio padre diceva ri­ dendo a mia madre: “Fallo andare, che tanto fra sei

mesi torna”. Però devo rico­ noscere che, al di là dei comprensibili dubbi e delle ansie che ha ciascun geni­ tore, mi sono stati sempre molto vicino. Ricordo che mio padre non riusciva a vedere i primi dieci minuti dei miei spettacoli. Entrava sempre dopo perché te­ meva, soprattutto i primi tempi, che sbagliassi qual­ cosa nell’attacco. L’inizio di uno spettacolo è il mo­ mento più difficile dell’esibi­ zione. Quando poi vedeva che era tutto a posto, allora entrava in sala». E dopo Milano è la volta dell’America. «Sì, trovo che lì i comici siano molto più valutati e che dietro la loro figura ci sia uno studio mag­ giore. Per contro, gli manca qualcosa che invece ab­ biamo sviluppato di più qua in Italia: noi siamo figli della commedia dell’arte. Loro di­ stinguono molto la famosa stand­up comedy (il mono­ logo, diciamo) dagli sketch con i personaggi, che ven­ gono relegati invece a im­ provvisazione. In Italia, spesso c’è più commistione fra questi due aspetti». Marco confessa che stava per ripartire alla volta degli Stati Uniti quando è arrivata la chiamata, alla quale non ha saputo dire no, di RDS. «Siamo una grande famiglia dove le cose più divertenti succedono a microfoni spenti. Rossella già la cono­ scevo, Ciccio solo un po­ chino ma dal primo giorno c’è stato grande affiata­ mento. Considera che quando sono arrivato a RDS

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erano state programmate due settimane di prove per poter arrivare, diciamo, a un ideale feeling radiofonico. Il Direttore, dopo aver sentito la prima ora del primo giorno, ha detto: “Siamo a posto così”». A proposito di giornate, quando chiediamo a Marco come trascorre di solito le sue scopriamo che ha una tabella di marcia abbastanza fitta. «In buona parte è co­ perta dalla radio perché mi alzo prestissimo, vado in studio e preparo le cose anche per il giorno dopo.

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Ma dipende dai periodi. Adesso, per esempio, con­ clusa la tournée dedicherò gran parte della giornata proprio alla ricerca e alla scrittura per un nuovo spet­ tacolo. Ci vorrà almeno un annetto tra prove e compo­ sizione delle musiche. Poi mi dedico allo sport e sono ma­ lato di tecnologia. Per sva­ garmi, nel tempo libero scelgo solo film e serie tv che mi interessano». E in cucina? «Sono cam­ pione europeo di carbo­ nara. Sia a prepararla che a mangiarla».

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Da sinistra: Il borgo di Gerace, Castel del Monte in Abruzzo e uno stambecco nel Parco Nazionale del Gran Paradiso

I Magnifici 3 Viaggio nella natura: L’Italia in tre Parchi

di DANIELE DETTORI

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on l’arrivo della primavera la na­ tura si risveglia e, con lei, anche gli amanti delle escursioni e di tutte quelle attività che, all’aria aperta, permettono di esplorarla, osservarla, fotografarla e viverla. Per questo il nostro marzo è dedicato a tre Parchi italiani assolutamente da visitare, lungo un iti­ nerario che ci farà viaggiare tra le me­ raviglie della penisola. Cominciamo dal suo estremo sud, in Calabria, dove dal 1994 è istituzional­ mente riconosciuto il Parco Nazionale dell’Aspromonte. Riperimetrato nel 2008, è passato dai circa 76mila ettari iniziali ai poco più dei 64mila odierni, includendo sulla sua superficie 37 comuni. Per avere un’idea in loco circa l’offerta al pubblico, si può fare un salto nei Centri Visita: lo­ calità deputate al rilascio di informazioni e alla proposta di percorsi. Tra queste

Mammola, paesino dalla vocazione con­ tadina e dalla storia antica dove è pos­ sibile visitare il santuario di San Nico­ demo (protagonista della Settimana San­ ta e della festa patronale che ricorre il 12 marzo). Ancora, un’escursione alla Cascata di Salino, al Lago Costantino, lungo il Sentiero del Brigante, o al centro abitato di Gerace sono occasioni da non perdere prima di affrontare il massiccio dell’Aspromonte. Qui potrete immergervi nei boschi tra mirti, lentischi, castagni, ginestre e pini, fino a raggiungere la cima del Montalto, la più alta con i suoi 1956 metri. Per chi preferisse climi e territori del centro Italia, il Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga rappresenta invece la soluzione migliore, sia perché la sua estensione comprende Abruzzo, Lazio e Marche, sia perché si tratta del Parco più grande del nostro Paese, con i suoi oltre 140mila ettari. Gli ambienti mediterranei lasciano qui spazio a un habitat montano che offre agrifogli, faggi, abeti, stelle appenniniche e tante altre specie. Sono innumerevoli, in questo Parco, i borghi medioevali dalle antiche vestigia architettoniche, artistiche e cul­ turali. Ci sembra interessante segnalare

qui il borgo di Castel del Monte presso il quale è in uso, con cadenza annuale il 17 agosto, festeggiare “la notte delle streghe”: si tratta di una processione, per le vecchie vie, che ripercorre antichi rituali guaritori aventi le donne come figure chiave. Recandovi invece ad As­ sergi, presso Fonte Cerreto potrete pren­ dere la funivia che in pochi minuti vi condurrà tra le rade della montagna. Se infine è il nord che cercate, saliamo fino al Parco Nazionale Gran Paradiso: è il più antico, con i suoi 98 anni di storia istituzionale. Esteso tra Valle d’Ao­ sta e Piemonte, nasce per motivi solo in parte ambientalisti: sul finire del­ l’Ottocento, scopo della casa reale era infatti quello di impedire le uccisioni degli stambecchi – a quel tempo sfrenate e devastanti per la specie – garantendo tuttavia per sé una riserva di caccia inac­ cessibile a terzi. Oggi rappresenta un unicum naturale molto importante in termini di offerta e salvaguardia, per esempio per sciare, scalare o distendersi e gustare i piatti tipici presso rifugi e punti ristoro. Consigliamo di provare boudin e mocetta, due insaccati locali, insieme con il caratteristico pane nero e un bicchiere di regale e saporito Pinot Noir.

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LA PAGINA A DEL SORRISO S


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di MANUELA PIERRO

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L’ARCICONFRATERNITA DELLA VERGINE DELLA PIETÀ DEL SANTO MONTE

UNO SCRIGNO DI STORIA E MAGIA

el cuore della Sardegna sud­ occidentale sorge Iglesias, sede di una delle confraternite più antiche e laboriose di tutta l’isola, l’Arciconfraternita della Vergine della Pietà del Santo Monte, che offre da secoli uno spaccato descrittivo e spiri­ tuale che accende l’interesse non solo dei fedeli della zona, ma anche di ap­ passionati e curiosi attratti dall’im­ menso valore culturale. La Confraternita nasce intorno al 1500 ma il 16 novembre 1616 viene aggre­ gata all’Arciconfraternita del Gonfalone a Roma, sigillando l’elevatura al rango attuale di Arciconfraternita. Fino al 1650 circa, i confratelli sovvenziona­ vano l’ospedale di San Michele; suc­ cessivamente, e fino al 1850, essi si dedicarono invece all’assistenza fisica e spirituale dei condannati a morte. Oggi questa assistenza è rivolta ai bisognosi della città mentre tra le opere di mise­ ricordia spirituale, sin dal 1600, l’orga­ nigramma si occupa del coordinamento dei Riti della Setti­ mana Santa. Alle solenni cariche di Conservatore, Vice Conservatore, Sacrista maggiore, Segretario e Tesoriere (che hanno una validità biennale, vengono elette con segretezza e sono regolate da antichis­


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sime costituzioni), si aggiungono le fi­ gure degli Obrieri della pietà, vigilanti scrupolosi delle attività di assistenza ai bisognosi. I confratelli vengono definiti anche Germani (tradotto dallo spa­ gnolo hermano, ossia fratello) e indos­ sano un maestoso abito a gonna di finissima tela bianca inamidata, ornato di fiocchi e guanti neri e con un ampio cappuccio che lascia scoperti solo gli occhi allo scopo di celare l’identità del confratello, come simbolo di umiltà e modestia. La consegna dell’abito avviene attra­ verso l’antichissima cerimonia della Professione, che generalmente ha luogo il venerdì prima della Domenica delle Palme. Durante il rito, il neocon­ fratello legge la formula di professione affidandosi all’Addolorata e viene of­ ferto un cero. Tutti i riti che riguardano la Confrater­ nita avvengono nella Chiesa di San Mi­ chele, sede naturale e proprietà dell’associazione fin dalle sue origini. Si tratta di una costruzione molto sem­ plice, la cui zona centrale è divisa da un arco sostenuto da due pilastri di trachite e sormontato da falde lignee. Dietro l’altare domina la scena uno splendido simulacro di legno risalente al Settecento raffigurante il Cristo che viene condotto in processione il Ve­ nerdì Santo. Sul lato destro sorge la Cappella dei Misteri che è il simbolo della Setti­ mana Santa perché essenza della Pas­ sione di Cristo. Nella parete in fondo all’aula presbiteriale vi è invece la sta­ tua di legno del Santo a cui è intitolata la Chiesa, San Michele, sotto alla quale si può ammirare il piccolo crocifisso che accompagnava i condannati a morte, risalente al XVII secolo. Nono­ stante la semplicità della piccola chiesa, che vuole enfatizzare proprio la modestia tipica dell’Arciconfraternita, vi sono interessanti elementi scultorei di pregio, come la splendida acquasan­ tiera databile addirittura al XII secolo. Come abbiamo già anticipato, tra le opere spirituali dell’Arciconfraternita la più importante riguarda senz’altro l’or­ ganizzazione dei Riti della Settimana Santa, di remote origini, che inizia il Martedì Santo con la prima proces­ sione, chiamata “dei misteri”, che sin­ tetizza i punti salienti della passione di Cristo attraverso sette simulacri: il primo rappresenta Cristo che prega nell’orto degli Ulivi, rappresentato da un grosso ramo d’ulivo a cui vengono aggiunti fiori ed essenze che riprodu­ cono la scena del tempo; segue la cat­ tura da parte delle guardie, la

flagellazione, l’Ecce Homo, il Calvario, la Crocifissione e la processione del­ l’Addolorata, scortata solennemente dai confratelli perfettamente abbigliati. Il Mercoledì Santo nella Chiesa di San Michele viene celebrata la Messa a cui partecipano i confratelli e durante la quale avviene la benedizione e la di­ stribuzione dei fiori e dei rami di ulivo che sono stati raccolti dal primo qua­ dro della Processione dei Misteri. Il Giovedì Santo avviene una suggestiva processione durante la quale il fra­ stuono di mattracconi e tamburi è so­ stituito improvvisamente da un silenzio surreale. Varie associazioni religiose scortano la Vergine Addolorata col cuore trafitto da spade che cerca suo fi­ glio nelle Chiese del centro storico. Il Venerdì Santo è senza dubbio il giorno più intenso per la città e l’Arci­ confraternita: fin dal mattino il quar­ tiere alto “Sa Costera” diventa scenario della processione del Monte, che simboleggia la salita di Gesù al Cal­ vario. In questa occasione, anche i bambini stringono tra le mani delle piccole croci di legno e seguono la pro­ cessione scortando la Vergine. Durante la processione del Descenso, che av­ viene la sera, si consuma il dramma del seppellimento di Gesù, trasportato in processione e con incredibile sfarzo in Sa lettéra dopo essere stato deposto dalla croce. Il Sabato Santo chiude l’intensa setti­ mana dell’Arciconfraternita: la chiesa rimane aperta tutto il giorno per l’ado­ razione del Cristo morto e i fedeli ven­ gono esortati a risorgere con il Cristo. Il giorno di Pasqua avvengono contem­ poraneamente due processioni, quella del Cristo Risorto e della Madonna Gioiosa, che abbandona il lutto e il do­ lore per vestire gli abiti della festa e apre le braccia felice in attesa di ab­ bracciare il proprio figlio. In piazza av­ viene S’Incontru, l’incontro delle due statue che poi procedono insieme tra musica festosa e gioia dei fedeli. Il martedì sera successivo, avviene l’ul­ tima processione che prevede S’In­ serru, ossia la chiusura quando, cioè, i simulacri della Madonna e del Cristo si separano e salutano la folla come buon auspicio. Raccontare della Settimana Santa orga­ nizzata a Iglesias da questa antica Arci­ confraternita rende senz’altro l’idea sull’imponenza dell’evento, ma per es­ sere vissuta fino in fondo occorre an­ darci di persona e prepararsi a fare il pieno di emozioni.


20 S&H MAGAZINE Veemente dio d’una razza d’acciaio, Automobile ebbrrra di spazio!, che scalpiti e frrremi d’angoscia rodendo il morso con striduli denti... Formidabile mostro giapponese, dagli occhi di fucina, nutrito di fiamma e d’olî minerali, avido d’orizzonti e di prede siderali... io scateno il tuo cuore che tonfa diabolicamente, scateno i tuoi giganteschi pneumatici, per la danza che tu sai danzare via per le bianche strade di tutto il mondo!...

“All’Automobile da corsa”, F. T. Marinetti di HELEL FIORI foto LUIGI ORRU

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ei Futuristi si sa, niente li esaltava più dell’aggressiva forza delle mac­ chine. E se fino agli anni ’50 per le auto si è ricercata la perfezione meccanica, con gli anni ’60 si scopre un nuovo concetto di design. Nomi come Sergio Scaglietti (nel 1957 ci regalò la Ferrari Testa Rossa 250 completamente in alluminio battuto a mano) o il genio indiscusso di Giorgetto Giugiaro (laurea honoris causa in Archi­ tettura al Politecnico «Per la competenza nel risolvere l’intuizione formale con tec­ nologie e tecniche efficaci e per la sensibilità nella comprensione e anticipazione della cultura, della economia, della domanda e del mercato»), sono solo alcuni dei designer che hanno fatto davvero la storia della linea. E se i prototipi sono affidati ai fuo­ riclasse, anche la cura delle singole auto può essere terreno per grandi talenti. Il concetto del car detailing è relativamente giovane: si allontana dalla semplice “passata di cera” e consiste nella cura minuziosa dei materiali prima ancora che dell’estetica. È un riportare le superfici (motore, car­ rozzeria, interni pregiati) al loro primigenio

Marcello Mereu e il Car Detailing extra lusso La cura dell’auto diventa seduzione

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splendore attraverso la ricostituzione della struttura superficiale, magari in vista di una mostra o per un semplice ricovero invernale dell’auto, o anche solo per mantenimento. Uno dei migliori esperti al momento è Marcello Mereu, master del suo salone Haute Detaling a Milano (incastonato nella galassia Garage Italia, punto di ri­ ferimento per la consulenza creativa nell’automotive) che pone in atto con sapienza e passione ogni pratica di cura. Vederlo al lavoro è davvero affascinante, e le cere, i balsami per pellami, addirittura i pennelli, da semplici strumenti di re­ stauro divengono sotto le sue mani crea­ tori di bellezza e charme. Ogliastrino, si appassiona alle auto gatto­ nando sulle riviste di Quattroruote con le quali impara a leggere. Destino se­ gnato? Assolutamente no. Il genio di Mereu si è fatto ben attendere. Andiamo con ordine: ventenne parte dalla Sardegna e gira mezza Europa rag­ giungendo l’ambita posizione di direttore commerciale per il mercato asiatico di una grande casa di moda. Finalmente arrivato, Marcello però si rende conto che ha realizzato sì un sogno, ma non il proprio. Così decide di ripartire da zero, ma non da uno zero assoluto: ha dalla sua un’ottima conoscenza delle auto e l’esperienza maturata nell’alta moda gli ha donato competenze tecniche per la cura dei materiali pregiati. Passione, professionalità, coraggio. Il mix

c’è tutto. Dopo essersi formato presso una società svizzera di car detailing, è pronto a pensare da imprenditore. Nel 2016 apre allora il suo Haute Detailing (il richiamo all’Haute Couture non è ca­ suale) conquistando la fiducia di un’im­ portante fetta di top customers che affi­ dano le loro auto alla sua sapienza. Pur dalla top class Marcello è rimasto estre­ mamente alla mano, e risponde con pia­ cere alle nostre curiosità. Ciao Marcello, come descriveresti il tuo lavoro? Sono una sorta di medico estetico per auto, lavoro soprattutto per concorsi e collezionisti privati, in genere lavoro solo su auto d’epoca e di pregio. Il mio lavoro nello specifico va dalla semplice pulizia (accurata e attenta) di un’auto ritrovata in un fienile, alla lucidatura della carrozzeria per un contest. Quanta importanza ha avuto la tua precedente esperienza? Fondamentale: la moda ti insegna la qualità e la velocità nel cambiare sce­ nario, due cose che soprattutto in fase di start‐up mi sono servite molto; poi l’ossessione per la qualità, caratteristica dei miei lavori e naturalmente dell’alta moda. Quale scintilla si accende quando lavori? Quella dello studio e della ricerca: non approccio mai una lucidatura, un restauro su pelle o una semplice pulizia di un motore senza aver prima studiato cosa sto andando ad affrontare.

Immaginiamo: ti ritrovi nel passato. Come passi le tue giornate? Credo proprio che andrei nell’Italia post­ industriale, gli anni d’oro della nostra industria automobilistica. Perché tutto era possibile. E da lì mi piacerebbe man­ dare dei messaggi di ottimismo nel 2020 e dire “siamo ancora bravi ma si deve fare di più. Non mollate!” Com’è invece una tua giornata attuale? Normalmente in studio, tra una riunione e un intervento sull’auto in lavorazione (soprattutto per i concorsi può durare anche una settimana). Altre volte posso essere in viaggio, tra Montecarlo e Sviz­ zera per interventi su auto che non pos­ sono essere spostate visto il loro grande valore. Cosa diresti a qualcuno che volesse se­ guire le tue orme? Di studiare tanto, non fermarsi all’ap­ parenza, di andare alla sostanza delle cose; i materiali che trattiamo per essere riportati all’antico splendore hanno mo­ tivazioni storiche importanti. Quindi an­ che se trattiamo lo splendore delle su­ perfici, non siate superficiali!! Punto di vista condivisibile che dona a Marcello un personale approccio alla professione e che speriamo faccia da base alla nascita di un vero e pro­ prio brand. Con la speranza di vedere presto un salone Haute Detailing nel­ l’Isola, rimandiamo ai profili Instagram @marcello_mereu e @hautedetailing per sognare e restare a bocca aperta.


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Una sfilata nel 1956 e Vittorio D’Angelo (sopra)

Vittorio D’Angelo racconta le maschere del Carnevale di Cagliari di ALESSANDRO LIGAS “Sa panettera è la maschera che rap­ presenta le donne di Cagliari che in abiti dell’epoca lavoravano nelle botte­ ghe dove si faceva il pane ­ racconta Vittorio D’Angelo, sarto, stampacino doc ed ex presidente della GIOC (Gio­ ventù Italiana Operaia Cattolica – che si occupava di organizzare il carnevale cagliaritano –). Erano le addette alla vendita. Vengono ricordate non perché vendevano il pane ma per un’altra loro caratteristica: erano crastule, pette­ gole. Sapevano tutto e soprattutto di tutti”.

Le maschere del carnevale cittadino non sono altro che la riproposizione delle abitudini dei personaggi locali più noti e dei mestieri riportati in modo scherzoso ed enfatizzate di modo da renderle comiche. Era il 1944 quando Pinuccio Schirra e Tonino D’Angelo, fratello di Vittorio, fondarono la GIOC e decisero di riesumare il tradizionale carnevale cagliaritano. Un carnevale inusuale rispetto a quelli del resto dell’isola con le sue tipiche maschere e i suoi riti. “C’erano is piccioccus de crobi – pro­ segue l’ex presidente – ossia quei ra­

gazzi che portavano la spesa ai signo­ rotti della Cagliari bene attraverso le loro ceste, appunto is crobi. Poi c’erano is dirasa. Sarebbero le attuali tate, quelle signore che seguivano i figli delle famiglie più abbienti. C’era su pappa figu, il mangiatore di fichi, generalmente un uomo vestito da campagnolo con una canna che gli ser­ viva per raccogliere, appunto, i fichi dalle piante. Attaccato alla canna c’era anche una lenza e un amo al quale ap­ pendeva i frutti per farli desiderare a chi stava intorno urlando “pappa sa figu, pappa sa figu” (mangia i fichi, mangia i fichi ndr). Ma non tutti pote­ vano partecipare ai festeggiamenti del carnevale specialmente, le famiglie più povere. Per poter permettere anche a loro di poter partecipare Pinuccio e To­ nino avevano riportato alla memoria la maschera de sa gattu. Un costume molto semplice che potevano fare tutti: un lenzuolo matrimoniale bianco legato sulla testa e in vita con un fiocco e con delle piccole orecchie an­ ch’esse realizzate con dei nastri”. “C’era su dotori (il dottore) – prosegue il sarto –, su palliazzu (il pagliaccio), su piscadori (il pescatore), sa viura (la ve­ dova), su diaulu (il diavolo) s’arregat­ teri (il rigattiere) e via via tutti i diversi


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mestieri cittadini. Ognuna di queste maschere enfatizzava un suo aspetto o una caratteristica di modo da poterne fare una burla. Un’altra maschera, che ho introdotto io, è stata quella de is lantioneris che rappresentavano co­ loro che andavano in giro per la città per accendere e spegnere l’illumina­ zione notturna”. Uno degli aspetti più caratteristici della sfilata era, ed è, sa ratantira. “Tonino teneva molto a questo ritmo coi tam­ buri. Un ritmo sordo, senza le corde metalliche degli attuali rullanti, che trainava tutti: sia chi partecipava atti­ vamente sia chi la osservava. Ho avuto una buona esperienza di questo du­ rante una delle nostre uscite a Iglesias, quando passando nei vicoletti storici della cittadina sembrava che venissimo spinti dal suono dei tamburi. Una sen­ sazione che sentivo io e che sentivamo tutti. Le stesse sensazioni le provavo anche quando sfilavamo il giovedì qui a Cagliari specialmente quando entra­ vamo nei vicoletti della città. Ad esem­ pio in Biddanoa (Villanova ndr), nei vicoletti di via San Giovanni, venivamo spinti, incoraggiati e trascinati da que­ sta marcetta. Un aspetto questo che si è perso negli anni perché ogni gruppo fa un ritmo proprio e non c’è più quel traino. Un ritmo che è stato preso dal passato, dalle edizioni precedenti la guerra del carnevale, e che riecheggia ancora nelle strade. “Negli anni Ottanta – prosegue Vittorio D’Angelo – ci fu l’introduzione di ma­ schere più attuali che volevano scim­ miottare le dive del cinema e dello spettacolo. La prima donna, Carmen Miranda alias Giosuè Cogotti, fu una delle maschere più riuscite. Al suo fianco c’erano is dotoris che aprivano la sfilata. Poi l’hanno seguita uomini pelosi e baffuti che invitavano gli spet­ tatori a ballare con loro”. “Non solo maschere – sottolinea l’ex presidente – il carnevale era caratteriz­ zato anche dai carri allegorici. Un tempo erano trainati da cavalli o da asini, erano di legno e più piccoli di quelli degli anni 80/90. Anche questi come i costumi prendevano in giro le usanze dell’epoca, come ad esempio il carro dei Bagni de sa Perdixedda di Giorgino, che era una presa in giro dei primi stabilimenti balneari. Oppure il carro Su vapori de is cappellinas che prendeva in giro la carrozza che por­ tava le signore benestanti cagliaritane, caratterizzate appunto da un cappello, che andavano al mare. Dai carri in

legno si è passati poi alla motorizza­ zione e a temi più di attualità”. Attorno al carnevale ruotavano tantis­ sime persone a tal punto che dal do­ poguerra fino alla fine del secolo scorso la GIOC era un punto di riferi­ mento non solo per gli stampacini ma anche per tutti coloro che collabora­ vano all’organizzazione del carnevale. “Nato un po’ per gioco – prosegue l’ex presidente – e per divertimento per poi diventare una cosa seria che coin­ volgeva tutta la città. Eravamo princi­ palmente un gruppo di amici, ci divertivamo nel cogliere gli aspetti più ridicoli del cagliaritano estremizzan­ doli all’eccesso, ma non mancavano gli scherzi o situazioni comiche. Come quando vestimmo da ballerina un ra­ gazzo del quartiere con una grande e voluminosa gonna che gli impediva di muoversi agevolmente. Ma la cosa di­ vertente fu che, dovendo stare diverse ore con il vestito, gli costruimmo un “gabinetto” sotto la gonna in modo da poter andare in bagno senza togliersi l’abito. Ricordo anche con piacere Bar­ babeccia, alias Efisio Paci, con il co­ stume di Nerone sopra un asinello mentre dava la benedizione a tutti i cittadini”. Nerone e l'asino


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Riccardo Stabellini

Coach Passino

INARRESTABILE RAIMOND SASSARI!

Solo l’emergenza coronavirus stoppa la corsa della squadra di coach Passino di ERIKA GALLIZZI foto CLAUDIO ATZORI “A partire da lunedì 24 febbraio e fino a domenica 1 marzo compresa, vengono sospese tutte le attività agonistiche relative ai campionati nazionali riguardanti le gare interne ed in trasferta delle società appartenenti alle seguenti regioni: Emilia Romagna, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli e Trentino Alto Adige”; è così che la Raimond Handball Sassari ha comunicato il rinvio della propria gara con Trieste, valevole per il sesto turno di ritorno della Serie A1 di pallamano maschile. Le note vicende del virus Covid­19 hanno “investito” anche lo sport e la Raimond recupererà il match alla vigilia di Pasqua, sabato 11 aprile. Il mese di febbraio è stato comunque più che positivo per la squadra di coach Passino, con tre vittorie colte in

altrettante partite disputate: tra le mura amiche del PalaSantoru col Metelli Cologne e l’Alperia Merano, poi in casa dello Sparer Eppan, quest’ultimo successo trovato nonostante l’assenza per infortunio dell’atleta Esteban Taurian, elemento importante dell’economia della squadra. Questo significa essere riusciti ad arrivare a quota 25 punti in classifica, veramente a ridosso delle formazioni più forti e delle primissime posizioni in classifica, sempre in piena zona playoff. Ma febbraio ha portato anche un’altra soddisfazione in casa Raimond, con l’atleta Riccardo Stabellini insignito, dalla FIGH, del titolo di miglior italiano in Serie A1 del 2019. Il giocatore è attualmente il miglior marcatore della squadra sassarese con 86 reti totali segnate nel campionato in corso, dodicesimo nella speciale classifica dell’intero campionato. Stabellini sta

attraversando un ottimo momento di forma e nelle ultime due partite disputate ha messo a segno, rispettivamente, 8 e 7 reti. Nel frattempo è stata assegnata la Coppa Italia, col Bolzano che, in finale, ha piegato la resistenza della Ego Handball Siena, mentre Federazione e club lavorano a prossime novità. Ci sarebbe, infatti, la volontà unanime di dar corpo, già dalla prossima stagione, ad un organismo in grado di valorizzare e migliorare il prodotto pallamano, di elevare l’appeal del massimo campionato, un volano di straordinaria efficacia per l’intero movimento: la Lega Pallamano. Salvo ulteriori, non auspicabili sviluppi negativi, misure di sicurezza e precauzione legate all’emergenza coronavirus, la Raimond dovrebbe ora riprendere regolarmente il proprio campionato e lo farà con un mese di fuoco, fatto di gare ad alto quoziente di difficoltà. Marzo si aprirà con la trasferta a Siena e si chiuderà con la sfida casalinga al Bolzano, rispettivamente terza a seconda forza della Serie A1. Nel mezzo, i rossoblù ospiteranno la Brixen e faranno visita al Pressano. Insomma, un poker di gare molto importanti ai fini della classifica che, nei suoi piani alti, si presenta piuttosto corta e, quindi, suscettibile di cambiamenti.


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Marco Spissu e Michele Vitali

ALTALENA DI EMOZIONI IN CASA DINAMO E ORA UN MESE DI FUOCO I BIANCOBLÙ ARRIVANO DA UN PERIODO NON PARTICOLARMENTE POSITIVO E SONO ATTESI DA GARE OSTICHE di ERIKA GALLIZZI foto LUIGI CANU

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na rapidissima eliminazione dalla Final Four di Coppa Italia, le positive prestazioni in maglia Azzurra di Marco Spissu (per lui si è trattato dell’esordio in Nazionale mag­ giore) e di Michele Vitali, quest’ultimo nel ruolo di capitano. Non si può certo dire che la Dinamo Banco di Sardegna Sassari non abbia vissuto su un’altalena di emozioni in questo scorcio della sta­ gione. Un mix quasi beffardamente ca­ librato, bastone e carota, tra emozioni negative e positive, che è però da sempre l’essenza dello sport, a volte crudele e altre volte portatore di gioie e soddisfa­ zioni enormi. In effetti i biancoblù non sono arrivati all’appuntamento della Coppa Italia in forma smagliante. Già in alcune partite precedenti si era notato un calo, in certi casi anche un pizzico di “presunzione” e il fatto che a Pesaro ci fosse il secondo trofeo stagionale in palio non è bastato per riportare il Banco alla brillantezza. Brindisi ha messo in campo intensità e cattiveria agonistica maggiori, passando meritatamente il turno. Peccato, perché la squadra di coach Gianmarco Pozzecco era partita da Sassari con tutte le inten­ zioni di mettere un’altra coppa in ba­ checa, pur sapendo però che partite del genere e competizioni così “concentrate” non sono mai scontate e possono riser­ vare sorprese, a volte amare. Basti pen­

sare che, in questo caso, già dopo i quarti di finale il tabellone si è ritrovato orfano delle attuali prime due squadre del campionato, Virtus Bologna e, ap­ punto, Dinamo Sassari. Per la Dinamo il campionato si è fermato praticamente per un mese, visto che nel turno precedente alla Coppa Italia riposava, successivamente non si è gio­ cato per gli impegni delle Nazionali e poi c’è stato lo stop per l’emergenza co­ ronavirus, disposto dalla Federazione di concerto con la Lega Basket Serie A, la Lega Nazionale Pallacanestro e la LegA Basket femminile, in seguito ai provve­ dimenti governativi e regionali in tema di salvaguardia della salute pubblica. Si attende di sapere quando verranno re­ cuperate le gare rinviate (il Banco avrebbe dovuto giocare con Cantù). Ora però si torna in campo, prima con la Fiba Basketball Champions League, mer­ coledì 4 marzo, al PalaSerradimigni contro il San Pablo Burgos per il Game 1 del Round of 16 (ritorno in Spagna giovedì 10), poi sabato 7 in Serie A, sul campo della Virtus Roma, che ha recentemente ingaggiato due giocatori (Jaylen Barford da Pesaro ed il play­guardia Corey Web­ ster che sostituisce l’ex biancoblù Jerome Dyson, passato a Bologna, sponda Forti­ tudo). Il mese prevede tre scontri di alta classifica per la “Poz band”: con Venezia, Milano e a Brescia. Insomma, si riprende a pieno regime e con gare che non am­ mettono distrazioni.


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EMILIO ROCCHINO RACCONTA I DISTILLATI MACCHIA di ALESSANDRO LIGAS

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n amore per la Sar­ degna che lo ha por­ tato a sviluppare a Ol­ bia una linea di distillati legati in modo indissolubile all’isola. Lui è Emilio Rocchino, barman professionista con alle spalle un passato legato all’ospitalità negli hotel a 5 stelle, che co­ niugando tradizione, evolu­ zione e storicità ha dato i na­ tali ai distillati Macchia. “L’idea – racconta il bartender – mi è venuta percorrendo e

vivendo la natura selvaggia della Sardegna. Una terra ric­ chissima di tante botaniche quasi sconosciute che mi han­ no dato lo spunto per la crea­ zione dei miei distillati”. Dal­ l’osservare la natura allo stu­ dio e alla ricerca il passo è stato breve. “Ho cominciato a studiare la storia del terri­ torio sardo – prosegue –, le sue piante e il loro uso. Come il tradizionale mirto che gioca un ruolo primario nel Ver­ mouth (vino aromatizzato in­ grediente primario di nume­ rosi cocktail o distillati ndr).

Non solo. Ippocrate, nel 400 a.C., impiegava già il mirto per aggiustare i vini rudimen­ tali dell’epoca. Ho scoperto anche che il moscato sardo viene menzionato in alcuni testi del passato come base per alcune ricette”. La tradizione e la storia si fon­ dono e si mescolano di conti­ nuo tanto che la sorte ha vo­ luto creare altri punti di con­ tatto tra il vermouth e l’isola. “Studiando la storia – prose­ gue il bartender – ho notato che il vermouth, nato in Pie­ monte nel 1786, è stato creato quando la regione ai piedi delle Alpi era sotto il governo del Regno di Sardegna”. Tra i distillati Macchia e l’isola il legame è ancora più forte perché i vini base sono il mo­ scato di Sardegna, il vermen­ tino di Gallura e la vernaccia che uniti ad altri vini piemon­ tesi e a differenti botaniche creano il Macchia Rosso, il Macchia Bianco e il Macchia Dry. “Macchia Rosso è com­ posto da 15 differenti bota­ niche e vede il mirto prota­ gonista – prosegue Emilio Roc­ chino –, Macchia Bianco è composto da 18 botaniche

ed è protagonista la pompía, Macchia Dry invece ha 12 bo­ taniche e l’elicriso è prota­ gonista”. Uno dei suoi ultimi distillati è la vodka aromatizzata al pane carasau nata per gioco circa 5 anni fa. “Ho provato – pro­ segue – a mettere in infusione in alcool di grano del pane carasau. Dopo qualche setti­ mana mi sono reso conto che il risultato era un prodotto dal gusto totalmente nuovo. Da lì sono partiti gli esperi­ menti e dopo 4 anni sono riuscito a perfezionare il pro­ dotto. All’inizio volevo lasciare il pane macerare in alcool e lasciare il distillato legger­ mente “torbido” ma gli amidi del pane rendevano la vodka lattiginosa ed esteticamente non bella quindi ho deciso di distillare tutto per fare il pro­ dotto limpido e cristallino. Gli stessi amidi però, che davano problemi di “estetica”, donano alla vodka un’estrema mor­ bidezza: al naso si colgono le sfumature della crosta di pane appena sfornato e al gusto ha un’eleganza assoluta”.

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Il dentista risponde

Il Dott. Giuseppe Massaiu è un professionista di riferi­ mento e opinion leader in tema di Odontoiatria Naturale e Biologica, insegna in corsi frontali e on­line argomenti clinici ed extra­clinici legati al mondo della Odontoiatria e della Medicina Naturale, Posturale e Olistica oltre che del Management e del Marketing Odontoiatrico.

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Curiosità sul mondo odontoiatrico

Ortodonzia: origine, scopo e curiosità

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na delle specialità più richieste all’interno dello studio dentistico, e su cui sono sempre presenti un gran numero domande e curiosità da parte dei pazienti, è l’Ortodonzia. Quest’ultima è una branca dell’odonto­

iatrica clinica che affonda le sue origini negli studi portati avanti da dentisti americani a cavallo tra metà del XIX e primi decenni del XX secolo. Pionieri di questa materia sono stati i dottori Nor­ man William Kingsley ed Edward Angle, che hanno affrontato per primi i temi della malocclusione, ovvero il contatto scorretto tra i denti, e il loro corretto riallineamento. Le problematiche affrontate da questa disciplina riguardano sia i bambini che gli adulti, in chiave preventiva (nel primo caso) o correttiva (nel secondo). Spesso, però, l’Ortodonzia viene confusa con un mero trattamento volto al solo miglioramento estetico mentre invece è molto, molto di più. Il contatto sbagliato tra i denti può causare problemi alla masticazione, alla respirazione, alla po­ stura e determinare tante patologie, mentre il disallineamento non permette di portare avanti una buona igiene orale domiciliare, con potenziali conseguenze gravi come carie o altre infezioni del cavo orale. Per queste ragioni il campo di applica­ zione della ortodonzia si è sviluppato tantissimo negli ultimi anni, con appa­ recchi fissi, mobili e persino invisibili. Ma quando bisognerebbe affrontare la prima visita ortodontica? Innanzitutto, sarebbe bene iniziare da molto piccoli, con quella che viene de­ finita come Ortopedia Intercettiva. Già dai cinque o sei anni il bambino può es­ sere visitato da uno specialista per veri­ ficare se lo sviluppo della sua bocca procede senza particolari problemi op­

pure se è necessario intervenire in chiave preventiva. Bisogna tenere presente che le nostre ossa sono più “malleabili” quando siamo molto giovani, perciò eventuali interventi correttivi risultano più facili da porre in essere, e richiedono meno tempo ed energie da parte del dentista come per il paziente. Ad ogni modo è possibile intervenire anche con gli adulti, purché si presti la dovuta attenzione, che devono avere pazienza e determinazione rispetto ai tempi del trattamento. Qual è, infatti, la durata media di un percorso di cura ortodontica? Questa si aggira intorno all’anno e mezzo, anche se si può partire da un minimo di sei mesi per piccole correzioni fino ad un massimo di tre anni per riabilitazioni complesse e importanti. Elementi di supporto nella terapia, sia fissa che mobile o invisibile, sono gli espansori palatali (che riducono di mesi i tempi di cura) e le contenzioni, che vengono consegnate alla fine di un trattamento per preservare i risultati ottenuti. L’Ortodonzia è una disciplina affascinante, che si evolve ogni giorno di più per ga­ rantire risultati di eccellenza sempre più performanti al paziente, nell’ottica di migliorare il suo sorriso e al contempo ristabilire la sua salute. Ogni mese il Dott. Massaiu risponderà ad uno di voi. Inviate le vostre domande a: dott.massaiu@shmag.it. www.studiomassaiu.it

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