22 S&H MAGAZINE
Una sfilata nel 1956 e Vittorio D’Angelo (sopra)
Vittorio D’Angelo racconta le maschere del Carnevale di Cagliari di ALESSANDRO LIGAS “Sa panettera è la maschera che rap presenta le donne di Cagliari che in abiti dell’epoca lavoravano nelle botte ghe dove si faceva il pane racconta Vittorio D’Angelo, sarto, stampacino doc ed ex presidente della GIOC (Gio ventù Italiana Operaia Cattolica – che si occupava di organizzare il carnevale cagliaritano –). Erano le addette alla vendita. Vengono ricordate non perché vendevano il pane ma per un’altra loro caratteristica: erano crastule, pette gole. Sapevano tutto e soprattutto di tutti”.
Le maschere del carnevale cittadino non sono altro che la riproposizione delle abitudini dei personaggi locali più noti e dei mestieri riportati in modo scherzoso ed enfatizzate di modo da renderle comiche. Era il 1944 quando Pinuccio Schirra e Tonino D’Angelo, fratello di Vittorio, fondarono la GIOC e decisero di riesumare il tradizionale carnevale cagliaritano. Un carnevale inusuale rispetto a quelli del resto dell’isola con le sue tipiche maschere e i suoi riti. “C’erano is piccioccus de crobi – pro segue l’ex presidente – ossia quei ra
gazzi che portavano la spesa ai signo rotti della Cagliari bene attraverso le loro ceste, appunto is crobi. Poi c’erano is dirasa. Sarebbero le attuali tate, quelle signore che seguivano i figli delle famiglie più abbienti. C’era su pappa figu, il mangiatore di fichi, generalmente un uomo vestito da campagnolo con una canna che gli ser viva per raccogliere, appunto, i fichi dalle piante. Attaccato alla canna c’era anche una lenza e un amo al quale ap pendeva i frutti per farli desiderare a chi stava intorno urlando “pappa sa figu, pappa sa figu” (mangia i fichi, mangia i fichi ndr). Ma non tutti pote vano partecipare ai festeggiamenti del carnevale specialmente, le famiglie più povere. Per poter permettere anche a loro di poter partecipare Pinuccio e To nino avevano riportato alla memoria la maschera de sa gattu. Un costume molto semplice che potevano fare tutti: un lenzuolo matrimoniale bianco legato sulla testa e in vita con un fiocco e con delle piccole orecchie an ch’esse realizzate con dei nastri”. “C’era su dotori (il dottore) – prosegue il sarto –, su palliazzu (il pagliaccio), su piscadori (il pescatore), sa viura (la ve dova), su diaulu (il diavolo) s’arregat teri (il rigattiere) e via via tutti i diversi