Arlecchino delle arti

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L’Arlecchino delle arti Cultura del Varesotto, eventi nazionali e internazionali 21 marzo 2015 • a cura di spm pubblicità • Supplemento al numero odierno de La Provincia di Varese • in collaborazione con Mario Chiodetti

VILLA PANZA

Wim Wenders in America

Pag. II

SPAZIO LAVIT

Marcialis come Caravaggio

Pag. III FORLì

Tutte le donne di Boldini

Pag. IV PUNTO SULL’ARTE

Le sculture di Alex Pinna

Pag. VI


II

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Speciale! La desolata America del fotografo Wenders L’Arlecchino delle arti

In mostra a Villa Panza gli scatti del regista tedesco Nelle immagini la lucida analisi di una realtà inquieta a VARESE - Wim Wenders e Giuseppe Panza di Biumo: in apparenza poli opposti, nella realtà, invece, vicinissimi, grazie alla capacità di osservare, acuta e quasi premonitrice. Non a caso il regista tedesco ha ricordato il mecenate varesino parlando del suo “occhio europeo”, la cultura radicata che si è saputa confrontare con quella più giovane d’America, con il medesimo processo di fusione che lui stesso ha sperimentato in vent’anni di vita negli States. Così la mostra “Wim Wenders – America” (Villa Panza, fino al 29 marzo, tutti i giorni tranne i lunedì non festivi, dalle 10 alle 18) è un viaggio nel viaggio, perché la villa è essa stessa un “continente” e le fotografie pietre miliari in un cammino prima di speranza e poi di lucida constatazione della realtà. Chi le osserva si rende conto di come il loro autore abbia voluto ammantarle di una patina fantastica, quella di una visione sospesa, di un esistere che trapassa in un altro, come se la natura ritornasse padrona, senza distruggere il suo assalitore ma compenetrandolo.

Nell’osservare i grandi “quadri fotografici”, si percepisce che le parole devono essere state parecchie, di certo non tutte d’amore ma molte di dolore e malinconico abbandono, un colloquio intenso e partecipe, sfociato in colte citazioni di lontani maestri e illusioni d’appartenenza, in cui era la passione a dipingere gli orizzonti. Così scatti come “Cowboy bar” (Paris, Texas) o “Wyeth landscape” (Montana) potrebbero essere scenografie abbandonate di film western, mentre le sconcertanti solitudini di Edward

Hopper, le sue sfinenti attese, con il colore a farsi sentimento ed emozione sospesa, arrivano all’osservatore come un uppercut in “Street front in Butte” (Montana) e in “Used book store in Butte”. A volte, come in “Entrance” (Houston) o “Woman in the window” (Los Angeles), il landscape avvolge una piccola figura umana, ma “l’altro”, quello che racconta, rimane il luogo con il suo carico di memoria, architettonica e “morale”, i colori carichi di attese, il cielo così alto e immutabile per chilometri, la

distanza che l’obiettivo tenta di ingannare e la mente si rifiuta di accorciare. Impressiona, oltre all’eccelsa qualità delle stampe, realizzate a Londra e Berlino, l’armonia creata dalle enormi fotografie con le austere stanze della villa, una modernità che invade senza dominare ma anzi favorisce la comunione delle due culture, europea e americana, proprio ciò che Giuseppe Panza avrebbe voluto. L’8 novembre 2001, Wim Wenders era a Ground Zero, «perché soltanto vedendo con i miei occhi quell’orrore avrei potuto contenere la profonda inquietudine», e scattava fotografie panoramiche con la sua Fuji 6x17 nel frastuono degli escavatori, in un enorme cimitero fumante. “Silence”, c’è scritto all’ingresso della Scuderia piccola di villa Panza, dove quegli scatti sono simili a paliotti sugli altari. Come a Hiroshima e Nagasaki, il sole ha baciato di nuovo la terra dopo la ferocia degli uomini e, in un attimo, il tempo di ieri e quello di domani si sono uniti, a mostrare che il lungo viaggio non è ancora terminato.

Massimo Parietti un pittore senza confini a MACCAGNO - Vita di pittore, fatta di viaggi e incontri, di voci e volti, di segni intravisti e fatti propri, di una cultura del colore costruita con lo studio e l’esperienza. Massimo “Antime” Parietti, nato nel 1914 a Montegrino come il Piccio, allievo di Aldo Carpi a Brera, ma libero come il vento e in rotta verso Parigi per vedere da vicino gli Impressionisti, lo ritroviamo al Museo Parisi Valle di Maccagno, in una mostra, “Diario di luce e colori”, realizzata in collabora-

zione con il comune di Montegrino e l’associazione “Amici di Giovanni Carnovali detto il Piccio” (Museo Parisi Valle, via Leopoldo Giampaolo 1, fino al 7 giugno 2015; orari: venerdì, sabato, doAl Parisi Valle menica e festivi, 10e 14-18). di Maccagno 12 La mostra ripercorretrospettiva re la vita di Parietti le sue con le opere attraverso opere, c’è figurativo e di una vita astratto, i suoi fiori e i ritratti, il paesaggio pieno di colore, ma soprattutto l’anima di un pittore che non si scordò mai la passione per il lavoro e la curiosità per il mondo.


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Le luci di Caravaggio in fotografia

Allo Spazio Lavit, in mostra gli scatti di Renato Marcialis ispirati alle nature morte del grande pittore

a VARESE - L’arte dello sguardo è quella che porta un fotografo come Renato Marcialis a ricostruire la luce usata da Caravaggio nelle sue magnifiche tele, e a regalarci immagini stupefacenti di frutta e verdura usate come modelle e capaci di trasmettere energia e buonumore (oltre alla voglia pazza di addentarle). Il veneziano Marcialis, nato nel 1956, da oltre 37 anni è specializzato nelle cosiddette fotografie di “food”, ma l’artista fa sempre capolino dietro il professionista, così ecco la scelta di realizzare una serie di scatti dallo spiritoso titolo di “Caravaggio in cucina”, e ritrarre insalate, melograni e zucche “alla maniera di”, con risultati a dir poco incredibili. Chi osserva, infatti, non capisce immediatamente se si tratti di un quadro a olio o di una fotografia, tanto la luce caravaggesca accarezza i soggetti trasportandoli fuori dal tempo e dallo spazio. Dall’11 aprile al 30 maggio (orari: martedì-sabato, 17-19,30. Ingresso libero) lo Spazio Lavit di via Uberti 42 a Varese accoglierà la mostra “Caravaggio in cucina”, una importante selezione degli scatti di Renato Marcialis, stampati su tela e dedicati alle nature morte

d’ispirazione caravaggesca. «I soggetti ritratti da Marcialis sono frutti e ortaggi, ma anche alimenti come pane e formaggio, che si raccordano al tema conduttore di Expo 2015 “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”», si legge nella presentazione della mostra. «La tecnica di scatto utilizzata prevede immagini - contrassegnate da forti chiaroscuri - come vere e proprie pennellate di luce, con un effetto finale straordinariamente simile a quello ottenuto da Michelangelo Merisi nelle sue tele».

DIPINGERE CON UN CLICK

Renato Marcialis ha al suo attivo cinquanta libri di gastronomia e cocktails, le sue immagini sono rappresentate dalle agenzie fotografiche di tutto il mondo e collabora soltanto con aziende alimentari, realizzando cataloghi, ricettari, le campagne stampa e le affissioni. Scrive Marcialis: «Il tipico pennello del pittore intriso di colori, è sostituito da un ugual pennello dal quale al posto dei colori, scaturisce un raggio di luce con cui illumino, dove ritengo opportuno, i soggetti posizionati in una accurata composizione. Questo è il segreto delle mie fotografie».

Wik, tutto il cinema a portata di pennello a VARESE – Eccoli i manifesti di Wik, colorati, spavaldi, con i volti degli attori più noti degli anni Cinquanta, quando il cinema era il divertimento preferito di milioni di persone. Ludwik Cieślik, esule polacco approdato a fine guerra in Belgio, li disegnò senza sosta per venticinque anni, diventando il più noto illustratore del Paese. Grazie all’interessamento di Antonio

Bandirali, presidente del Comitato culturale del Ccr di Ispra, e del figlio di Cieślik, Stanislaw, una cinquantina di manifesti cinematografici di Wik è in mostra fino a lunedì nella sede di Varesevive (via San Francesco 26. Orari: dalle 15 alle 18,30), un patrimonio d’immagini e di storia che vede la luce per la prima volta dopo anni, perché in vita l’artista aveva allestito poche mostre dei suoi lavori e quasi tutte in Belgio. L’esposizione, dal titolo “Wik, disegnare il cinema – da Charlie Chaplin a Sophia Loren” permette ai visitatori un’esauriente carrellata nei volti e nei titoli di alcune delle più note pellicole degli anni Cinquanta.


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Speciale! Giovanni Boldini l’Art Nouveau in forma di donna Sposi L’Arlecchino delle arti

Chiasso

Personale di Meyer alla “Mosaico” a Prosegue fino al 25 aprile, alla Galleria Mosaico di Chiasso, la mostra personale di Rolf Meyer dal titolo “Nature morte”. L’autore è uno dei più interessanti pittori svizzeri del Novecento, assai attivo a Roma e Firenze dove sentì l’influenza dell’arte antica italiana.

Aperta ai Musei san Domenico di Forlì la più grande mostra del pittore ferrarese che ritrasse i fulgori della Belle époque a FORLì – Donne come grandi fiori viventi, corolle aperte al desiderio, ritratte in sete fruscianti, gli sguardi ammaliatori e le pose sensuali. Franca Florio, Cléo de Merode, Lina Cavalieri, la marchesa Luisa Casati, Consuelo Vanderbilt, il gotha della bellezza muliebre della Belle époque danza davanti al pennello di Giovanni Boldini ferrarese, “lo gnomo italiano”, piccolo e brutto, dal “viso di vecchio rospo” ma dallo straordinario talento e intuito. Un uomo capace di assorbire rapidamente il milieu parigino di fine Ottocento e raccontarlo con sbuffi di colore, lame di luce, sguardi in tralice e invitanti sorrisi, di diventare in pochi anni uno dei ritrattisti mondani più in voga, assieme all’amico

Paul César Helleu, e cambiare rapidamente maniera grazie alla sua “magmatica creatività”. All’arte di Giovanni Boldini, Forlì rende omaggio con la più ampia mostra mai realizzata, oltre 200 capolavori e 40 opere di altri maestri, da Goya a Degas, Modigliani e De Nittis, Zandomeneghi, Corcos e Troubetzkoy, nelle sale dei Musei San Domenico che lo scorso anno accolsero la splendida parata dell’universo Liberty. “Boldini, lo spettacolo della modernità”, a cura di Francesca Dini e Fernando Mazzocca (Musei San Domenico, piazza Guido da Montefeltro 12, Forlì. Fino al 14 giugno. Orari: martedì-venerdì, 9,30-19; sabato, domenica e festivi, 9,30-20. La visita è regolamentata da un sistema di fascia oraria. Biglietti:

intero, 11 euro, ridotto 9. Info e prenotazioni: tel. 199.15.11.34, www.mostraboldini.com) illustra l’intera parabola creativa del maestro - nato a Ferrara nel 1842 da Antonio, buon pittore e restauratore - ottavo di tredici figli, allievo ventenne dell’Accademia di Belle arti di Firenze e frequentatore del Caffè Michelangelo, ritrovo preferito dei Macchiaioli con a capo il mecenate Diego Martelli. La mostra conta, nelle sale di piano terra, sulla ricostruzione della vita di Boldini attraverso gli autoritratti e alla biografia per immagini, con persone, luoghi frequentati e i suoi diversi atelier parigini, per poi presentare la stagione macchiaiola e i primi anni a Parigi, legati allo stretto rapporto con il celebre gallerista e mercante Goupil e caratterizzati dalla produzione di splendidi paesaggi e quadri con scene di genere.

galleria fallaci

Somma Lombardo in fotografia Le sezioni finali sono invece Belle époque, lo stesso di Mardedicate alla grande ritrattisti- cel Proust e Robert de Monteca, quella del Boldini mondano squiou, il dandy discendente da e frequentatore dei salotti pa- d’Artagnan raffigurato da “Jerigini più eleganti ed esclusivi, an” Boldini in un celebre ritratdipinti fascinosi accostati per to, frequentato da aristocratici, la prima volta alle sculture al- banchieri e “grandi orizzontatrettanto voluttuose di Paolo li”, materia privilegiata per un Troubetzkoy. pennello virtuoso capace di Il suo mondo, ogni effetto. infatti, era scomSuo è il più bel riparso con il rug- Talento e intuito tratto di Giuseppe gito della Granne fecero Verdi, realizzato de Guerra, e il nel 1886, suoi soil ritrattista no gli strepitosi maestro, ormai vecchio e quasi del bel mondo omaggi alla selvagcieco, assistito gia bellezza della dalla giovane moglie Emilia marchesa Casati, immortalata Cardona, sposata nel 1929 e poi con un levriero e in mezzo alle sua appassionata biografa, me- piume di pavone, o quello alla ditava di rientrare a Ferrara e diafana Cléo de Merode, amandestinare le sue opere al museo te di re Lepoldo del Belgio che cittadino. la curatrice Francesca Dini, ciUn sopravvissuto, che aveva tando Gérard Bauër, nipote di saputo come nessuno rende- Dumas père, definisce a buon re eterno il mondo frivolo e diritto «la nostra Gioconda del pettegolo dei salotti parigini Novecento».

a Termina domani alla Galleria “Oriana Fallaci” di Somma Lombardo, la mostra del fotografo Maurizio Buratti dal titolo “50 sfumature di Somma”, curata da Lorenzo Schievenin Boff. Esposte immagini del paese in bianco e nero e a colori frutto di una intensa e accurata ricerca nella composizione.

MILANO

Anna Sala espone in Galleria 70 a Alla Galleria 70 di Milano, fino al 4 aprile è allestita la mostra collettiva con opere di Casati, De Biasi, Fiorese, Laugé, Pupovac, Willow e della pittrice varesina Anna Sala. Di lei sono esposti piccoli olî su tela di paesaggi e nature morte di forte impatto espressivo.


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Tosti e compagni nel salotto buono La romanza da camera tra Otto e Novecento riproposta dal Grande Orfeo per l’Endas di Varese a VARESE – Ogni mercoledì, alle tre e mezzo del pomeriggio, Margherita di Savoia faceva musica nel suo salotto con l’ambasciatore prussiano barone Keudell, il maestro Filippo Marchetti e la bella moglie dell’ambasciatore di Danimarca, Lillie de Hegermann-Lindencrone. La regina possedeva una bella voce di soprano, e a volte invitava celebri tenori del tempo, come Mario de Candia o Roberto Stagno, e duettava a lungo con loro. In ogni palazzo aristocratico, il salotto si animava a giorni fissi per il concerto pomeridiano o serale, s’invitavano i musicisti

in voga, da Francesco Paolo Tosti a Luigi Denza, celebri cantanti da camera come Alice Barbi, amica di Brahms, ma spesso erano gli stessi padroni di casa o i loro figli a esibirsi al pianoforte o a intonare l’ultima romanza in voga. La “Hausmusik” ha rappresentato uno dei pilastri della cultura ottocentesca, spazzata via ai primi del Novecento dall’avvento del disco, ma le sue tracce rimangono ben impresse anche oggi, nella quantità di vecchi spartiti trovati nei mercatini d’antiquariato e nei dati di vendita dei pianoforti, allora presenti in quasi tutte le case,

anche della borghesia colta. Questa sera alle ore 21, all’Auditorium del Liceo musicale in via Garibaldi 4 a Varese, Grande Orfeo, gruppo musicale e

teatrale composto da Mario Chiodetti, narratore, Claudia Donadoni, attrice, Sarah Tisba, (nella fotografia) soprano e Francesco Miotti, pianofor-

te, proporrà “Come un sogno al Respighi di Mattinata”, su ted’or…”, viaggio nella romanza sto di d’Annunzio, mentre nella da salotto italiana e francese tra seconda saranno protagonisti Otto e Novecento, ospite della poeti e musicisti francesi. Tra i pezzi più intestagione “Giovani ressanti “Conseils talenti alla ribalune Parisienne” e ta” organizzata da Al liceo à“Couplets de SerpoEndas. Nella prima parmusicale lette”, che erano esenei café chantant te, spazio ai comnote e versi guiti parigini, la splendida positori italiani di un’epoca “L’heure exquise” di come Tosti, il riHahn, amiscoperto Roffredo felice Reynaldo co di Proust e grande Caetani duca di compositore da caSermoneta, piamera, “Le chemin de l’amour” nista e allievo di Liszt, Alfredo Catalani e Leone Sinigaglia, ar- di Francis Poulenc e la dissamonizzatore di quasi 500 canti crante “Diva de l’Empire” di popolari piemontesi, ma anche Erik Satie.

Mazzonetto, il fabbro stregato dall’arte a CASTIGLIONE OLONA – «L’arte deve essere innovazione, scoperta di nuovi mondi. È già stato detto quasi tutto, serve sterzare e inventare linguaggi diversi». Roberto Mazzonetto fa il fabbro a Castiglione Olona, il mestiere glielo ha insegnato suo padre, artigiano del ferro battuto, ma il demone dell’arte l’ha catturato da una decina d’anni, da quando ha incominciato a pensare a un uso creativo dei materiali che lavora quotidianamente. «È qualcosa che ho sentito dentro e non sono riuscito a frenare, così ho incominciato a creare delle sculture e quelli che chiamo quadri, opere in cui mescolo materiali diversi, il ferro forgiato, l’acciaio, l’ottone, il rame. Spesso invento titoli curiosi, mi

piace giocare un po’ anche nel normale lavoro. Per esempio ho costruito un copri caldaia come fosse una piccola scultura, sono idee che arrivano con l’esigenza del momento», spiega Mazzonetto. Che dal 16 al 31 maggio presenterà una mostra personale a Palazzo Branda di Castiglione Olona, una ventina di pezzi tra quadri e sculture, con la curatela di un critico quotato come Rolando Bellini. Non è la prima, visto che il fabbro scultore ha appena partecipato alla Biennale di Palermo, alla Triennale di Roma e, in passato, alla Biennale di Firenze, e ha esposto anche nel Palazzo Ducale di Genova. «Metto le mie conoscenze tecniche al servizio dell’arte, ora spero che i collezionisti si accorgano di me».


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Speciale! Pinna, lo scultore che gioca con le ombre Sposi L’Arlecchino delle arti

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Alla galleria Punto sull’Arte di Varese la personale dell’artista ligure con le opere più recenti in un allestimento raffinato ed essenziale. “Think thin”, a cura di Alessandra Redaelli, (Galleria Punto sull’Arte, viale Sant’Antonio 59/61, Varese. Inaugurazione questa sera dalle 18 alle 21. Da domani al 2 maggio, orari: martedì-venerdì, 15-19; sabato, 10-13 e 15-19. Info: tel. 0332 – 320990) è infatti il modo più diretto per accostarsi all’opera di Pinna, artista schivo, alieno dai mercati e dallo smart set dell’arte, che si definisce “antiscultore” e sperimenta di continuo materiali forme. Corda, bronzo, e«Quello dei fumetvetro, un universo ti è un linguaggio accessibile, creativo chiaro, e voglio che le mie infinito e mutante opere siano comprensibili a tutti. Faccio scultura per alleggerire lo spazio, è come se assorbisse materia», ha dichiarato in un’intervista. Ma nonostante molte delle sue figure siano esili e disperatamente lunghe, possiedono una straordinaria forza espressiva e sanno soggiogare lo spazio, diventando interlocutori privilegiati. « Quello che è certo è che Alex Pinna è un artista potente, capace con un gesto lieve di ribaltare il senso stesso dello spazio intorno a noi e di scompaginare la nostra realtà. Definiti sce-

a VARESE – Figure in piedi, uomini e donne che camminano con le mani in tasca, oppure sostano in contemplazione del vuoto. Hanno il naso di Pinocchio e le loro ombre invadono la pagina bianca di un notebook. Forse chi scrive è un bugiardo, viene da pensare, oppure sono gli stessi “pinocchi” a raccontare frottole, ma le parole non possiamo ascoltarle, perché Alex Pinna le lascia alla nostra immaginazione. Un racconto sospeso, come piace allo scultore ligure, un gioco i n t e l l ett u a l e , ma anche un oggetto/soggetto curioso, di cui parlare in giro. Pinna è attratto da sempre dall’aspetto ludico della vita, e ama comunicare con il resto del mondo attraverso personaggi dell’immaginario collettivo: Topolino, Pinocchio, il gatto Felix, proiezioni del sé, in cui ci specchiamo e rivediamo i nostri difetti, l’ansia del vivere, il tempo che passa. La galleria Punto sull’Arte di Sofia Macchi, inaugura con quella di Alex Pinna la prima mostra personale di un solo artista, e lo fa in grande stile, presentandone i lavori più significativi,

gliendo la massima semplificazione formale, i suoi personaggi ricordano quelli della pittura rupestre. Solo che qui si raccontano storie diverse», scrive la curatrice nella presentazione. «La priorità non è più quella di cacciare per procurarsi il cibo: le ansie sono più subdole, le problematiche contorte. Eppure il racconto si snoda chiarissimo. La figura preme una mano contro il muro, la testa cade abbandonata in avanti, le gambe bi-

lanciano dietro: quasi una linea retta. E tuttavia in quella linea scorre un oceano di dolore». Tra i materiali più amati dallo scultore c’è la corda: «lo sento mio, forse perché sono nato in un posto di mare, andavo a pescare e avevo consuetudine con i nodi, le cime. Annodare è una pratica mentale oltre che fisica», spiega. Con la corda inventa misteriose presenze sospese, o “alias” impegnati a riflettere, in pose meditative,

appoggiati al muro o seduti. La presenza del tempo è uno dei caratteri fondanti la scultura di Pinna, un tempo immobile eppure in movimento attraverso la gestualità delle figure, il loro vissuto interiore. Un’umanità silenziosa in cammino, che a volte cerca aiuto nella natura, come mostrano gli ultimi lavori, quelli del ciclo “Lost, found and lost”, in cui la foglia di “Magnolia grandiflora” diventa quasi una pinna o un abito da se-

ra, mutante sostegno per l’uomo ormai preda delle macchine. «L’artista non ha verità da raccontare al mondo, è soltanto un “malato” che fa cose», sostiene Alex Pinna. Ma nell’osservare le sue meditabonde figure, a volte quasi indistinguibili dalla loro ombra, si comprende come invece una verità ci sia, quella di un maniacale divertimento, la volontà di andare oltre la fisicità della materia per portare la fantasia in altalena.


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Giulio Litta un compositore da riscoprire

Il libro di Massimiliano Broglia racconta la vita e la carriera musicale del conte, patriota e mecenate nella Milano scapigliata

a VARESE – Nel programma del concerto del 27 ottobre 1844 al Teatro Sociale di Varese, nella terza parte della serata spicca il “Gran pezzo concertato, scena e rondò finale” dall’opera “Bianca di Santafiora”, «eseguito dalle signore Marietta Gazzaniga ed Elisa Bontempi e dai signori Santi, du Breul, Strom, Caldarini e coristi». L’autore del lavoro è Giulio Litta Visconti Arese, conte e appartenente a una delle più antiche e facoltose famiglie dell’aristocrazia lombarda. Un “dilettante di musica”, come usava spesso a quell’epoca – lo furono anche Cesare Pompeo Castelbarco e i fratelli Belgiojoso – ma di gran classe, autore di opere, cantate, romanze da camera e sinfonie, che ora possiamo conoscere a fondo grazie al libro “Posto in musica dal conte Giulio Litta Visconti Arese –

musicista, filantropo e patriota nella Milano dell’Ottocento” (Zecchini editore, pp. 228, euro 25) scritto dal musicologo varesino Massimiliano Broglia e prefato da Cesare Fertonani, docente di Storia della musica alla Statale di Milano. «L’idea di scrivere una biografia di Giulio Litta (come si firmava nelle copertine dei suoi spartiti) è nata dalla mia tesi di laurea e dalla scoperta nell’archivio del Liceo musicale di Varese dello spartito di “Bianca di Santafiora” con l’ex-libris del conte. Poi i legami della famiglia con la

La sua famiglia possedette villa Panza e lago di Varese

nostra città – il suo segretario e poeta prediletto, Pietro Rotondi, morì tra l’altro a Velate - e il fascino del periodo storico in cui Giulio visse, pieno di fermenti risorgimentali», spiega Massimiliano Broglia, che è bibliotecario al Liceo musicale di Varese e insegnante di Storia della musica al liceo “Manzoni”. I Litta furono proprietari dell’odierna villa Panza, nonché del lago di Varese, e Giulio saliva al colle di Biumo per trascorrere la villeggiatura estiva, ma il suo regno era la splendida dimora di Vedano al Lambro dove con la bellissima moglie Eugenia Bolognini Attendolo, musa degli Scapigliati, riceveva il jet-set del tempo e componeva le sue opere, con i versi di famosi librettisti come Felice Romani, Emilio Praga o la Marchesa Colombi, rappresentandole poi in celebri teatri con buon successo di pubblico e critica.

Un libro racconta il dramma della grande alluvione in Liguria a «Ho visto il Male schierarsi all’orizzonte, compatto come la morte che celava dentro il suo ventre gonfio. Ho visto le nubi nere dirigere come un’orda sanguinaria e distruggere, inondare, uccidere. La mia Terra ha patito l’onta della profanazione, rimanendo attonita e indifesa di fronte all’incombere della tragedia». Parole dello scrittore Marco Buticchi a introduzione del bel volume, con le immagini di Giuliano

Leone e i testi di Alessandro Fogarollo (Esigere edizioni, Bregano, pp. 88, euro 17,50), che racconta la tragica alluvione del 25 ottobre 2011 alle Cinque Terre attraverso testimonianze dirette di persone coinvolte nel disastro a Vernazza e Monterosso. Un libro di denuncia che costringe a riflettere a fondo sui cambiamenti climatici che l’uomo ha provocato in anni di sfruttamento indiscriminato delle risorse ambientali.


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