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CHI AMA IL VINO E PER CHI VUOLE CONOSCERLO
Anno XIII - n. 80 - Euro 5 - Maggio-Giugno 2014
L A R IVISTA DEL V INO E DEL B UON B ERE
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Tiare
Il miglior Sauvignon Toscana
Tutte le Anteprime Champagne
Napoléon, la forza della tradizione Sparkling Brasiliani - Gianfranco Fino: “Simona Natale 2009” pas dosé Tenuta dei Pianali, la Bolgheri degli Antinori - Le Prisionnier - San Marco, locanda con ristoro a Maderno sul Garda - Birrificio La Cotta - Nuove ricette con la birra - Gorgonzola - Vyta Santa Margherita - Roberta Archetti, la nuova chef di Fattoria del Colle - Barber’s Gin - Cardenal Mendoza Angêlus BIMESTRALE - "Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 NE/VR"
Editoriale
VERIFICHE, E PULIZIE, IN CASA
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Tegole giudiziarie e contabili sul sistema vino italiano che ancora attende un programma vero di quanto accadrà nel 2015. Uno scenario imbarazzante se non si affronteranno con decisione i problemi reali
ue indizi non necessariamente fanno una prova, però qualche dubbio lo seminano. Due notizie non sono automaticamente sinonimo di disastro, però qualche incertezza riescono a farla
nascere. La prima notizia: la Corte dei Conti europea bacchetta l’utilizzo italiano dei fondi OCM, quelli che hanno reso possibile il boom delle esportazioni di casa nostra negli ultimi anni del settore vinicolo. Due, i nodi evidenziati: la gestione ministeriale delle domande, delle procedure; la gestione privata, da parte di qualche Cantina italiana, dei fondi ricevuti. Alla componente pubblica e politica, la Corte dei Conti imputa - sostanzialmente e arrivando brutalmente al nocciolo della questione - una scarsa efficenza condita da poca trasparenza. Ai privati - una parte, almeno, non sappiamo quanto rilevante, speriamo minima - di aver utilizzato i fondi comunitari non per avviare nuovi progetti di penetrazione commerciale nei Paesi esterni all’Unione, ma - molto più banalmente - per “spesare” investimenti già effettuati ottenendo così un illecito aiuto di Stato. Le due cose, evidentemente, si legano: al controllore pubblico tocca il compito di avviare procedure che non siano un ostacolo e di vagliare non soltanto portata ed efficacia dei piani proposti, ma anche il loro effettivo svolgimento ecc ecc. La rendicontazione dei progetti è, non a caso, uno dei capitoli più delicati e controversi. Se le verifiche mancano, banalmente, la moneta cattiva scaccerà dal mercato quella buona e bisognerà chiedersi come e perchè questo è stato reso possibile. La seconda notizia: mentre qualche imputato patteggia la pena - dichiarandosi quindi nei fatti colpevole - l’Expo dei miracoli conferma che questi non appartengono alla sfera terrena: dei 100mila posti di lavoro previsti, al momento ce ne sono di effettivi poco più di 3mila. E per il programma - con specifico riguardo al sistema-vino: quello reale delle Cantine non le sovrastrutture burocratiche pubbliche e private - si brancola ancora abbastanza nel buio. Le uniche notizie che arrivano trattano soltanto di mazzette ed arresti. Potremmo cedere al motto andreottiano e pessimisticamente prevedere una brutta caduta; con più ottimismo, diciamo che è venuto il momento di fare una bella pulizia e di affrontare con decisione entrambe le questioni. Se la Corte dei Conti sbaglia, a reagire non debbono essere le Cantine italiane, almeno non soltanto loro. Se l’Expo non carbura ancora, ci piacerebbe avere un crono-programma vero di quanto accadrà da maggio a ottobre 2015. In fin dei conti, contributi OCM e fondi Expo escono tutti dalle stesse tasche.
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s o m m a r i o
PRIMO PIANO 4
4-5 Vyta L’isola del gusto nelle stazioni FS 14-15
Il N.1 del Sauvignon al mondo Roberto Snidarcig da Dolegna del Collio
DEGUSTAZIONI 18
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Gianfranco Fino Le nuove bollicine del Salento
20-21 Champagne Napoléon L’unico come il Còrso 24 Spumanti brasiliani La nuova generazione che farà strada
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TERRITORI E FOCUS 34-61 Toscana Ecco le “Anteprima”
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62 Montepulciano d’Abruzzo La rinascita
70 Birrificio La Cotta Agricola non artigianale
34 I NOSTRI RIFERIMENTI Tel. - Fax 045 591342 - redazione@euposia.it Per inviare cartelle stampa o materiale informativo: Nicoletta Fattori: fattori@euposia.it Per inviare bottiglie da inserire nelle degustazioni cieche: Redazione Euposia - Via Prati 18 37124 Verona (Vr)
News
D E B U T T A V YTA , L’I SOLA N E L L E S T A Z I O N I FS itrovare nella frenesia di un viaggio, sapori e prodotti autentici dell'agroalimentare italiano: è questa la filosofia che anima VyTA Santa Margherita, la nuova partnership che il Gruppo Vinicolo di Fossalta di Portogruaro ha avviato con Retail Food Srl. Nelle rinnovate stazioni di Roma Termini, Milano Centrale, Torino Porta Nuova e Napoli Centrale un nuovo, prestigioso format di locale boulangerie, caffetteria e ristorazio-
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ne mette a disposizione dei viaggiatori momenti di relax e di alta degustazione. A breve anche Venezia Santa Lucia, Bologna Centrale e Firenze Santa maria Novella. «VyTA - afferma Nicolò Marzotto, a capo di Retail Food - già dal nome indica la precisa scelta compiuta dai partner: unire all'eleganza e alla funzionalità della location, il meglio dell'alimentare italiano in termini di genuinità, di freschezza,
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di sostenibilità puntando al perfetto matching fra proposte culinarie e carta dei vini» . Quest'ultima è il risultato della attenta selezione di alcune fra le più belle e prestigiose etichette provenienti dal mosaico enologico di Santa Margherita che, da ottant'anni, è presente nelle principali regioni vinicole italiane: Trentino-Alto Adige con Kettmeir; Veneto con Santa Margherita; Toscana con Lamole di Lamole e Sassoregale;
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Ettore Nicoletto (a sinistra) con Nicolò Marzotto all’inaugurazione di Vyta (foto grande) alla Stazione centrale di Milano
Sicilia con Terreliade. «Il corretto rapporto del vino con il cibo è sempre stato il caposaldo del progetto Santa Margherita dichiara Ettore Nicoletto, A.d. di Santa Margherita Direi sin dalla fondazione, negli Anni Trenta, e poi, in modo sempre più marcato, dagli anni Sessanta quando si è rivoluzionato l'approccio degli Italiani con l'alimentazione: maggiore attenzione agli aspetti salutistici, al controllo calorico, a sapori più raffinati ed appaganti. Oggi questo rapporto è divenuto ancora più stringente e Santa Margherita propone vini che sanno raccontare l'Italia abbinandosi perfettamente alle più disparate
gastronomie e ne fa una sua mission affermandosi come uno dei principali promotori della cultura enogastronomica italiana. Per noi il vino è il completamento naturale di un'esperienza sensoriale a tutto tondo che riguarda il cibo, certamente, ma anche la nostra cultura, il nostro stile di vita. Valori che il mondo ha imparato a riconoscere e che oggi ritiene elemento indispensabile a tavola». VyTa Santa Margherita sarà inoltre, nell'arco dell'anno, un vero e proprio palcoscenico grazie ad un ricco calendario di iniziative che porteranno il viaggiatore ad un rapporto più completo e consapevole col cibo e col vino. Euposia Maggio-Giugno 2014
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PICENO PEN A OFFIDA ECCO LE TRE ECCELLENZE : P A S S E R I N A E R OSSO P I C E N O PECORINO , P ffida è una città delle Marche in provincia di Ascoli Piceno situata in una zona collinare che permette di godere un bel panorama. Da sempre è ricordata per l'arte del tombolo e del merletto una tradizione che si tramanda da almeno cinque secoli da madre in figlia. E' un territorio, un oasi di verde con boschi e colline che si rincorrono con tanti vigneti che sembrano delle immense macchie di colore che vanno dal verde chiaro a quello intenso. Sparsi un po' ovunque, sembrano arredare tutto il territorio, danno vini, in prevalenza bianchi, di ottima fattura che invitano a farsi bere. La natura è stata magnanima e l'uomo è stato intelligente nell'assecondare e preservare questo grande bene che oggi da i suoi meravigliosi frutti. Infatti la vitivinicoltura è un settori più importanti del Piceno, negli ultimi anni la produzione enologica ha raggiunto traguardi importanti e oggi può contare su una docg-Offida caratterizzata da tre tipologie: Pecorino, Passerina e Offida Rosso e su tre doc. Rosso Piceno, anche nella tipologia
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Superiore, che nel 2008 ha festeggiato il quarantennale, Falerio e Terre di Offida nelle tipologie Passerina Passito, Vin Santo e spumante. Per promuovere tutte queste eccellenze è stata costituita VINEA, presidente Cav. Ido Perozzi, un’associazione di produttori nata nel 1979 e che oggi collabora con circa 1400 aziende vitivinicole fra soci (circa 1000) e non soci, riuniti con l’obiettivo di incrementare la produzione di qualità, incentivare il progresso tecnico salvaguardando l’ambiente e garantendo un livello di vita soddisfacente per i produttori. VINEA, riconosciuta nel 1984 ai sensi del Reg. Cee 1360, rappresenta attualmente oltre il 50% della produzione vitivinicola di Ascoli Piceno ed il 90% del prodotto imbottigliato. Gli associati a Vinea, con una superficie vitata di oltre 3000 ettari, producono più di 350 mila ettolitri di vino. Per far conoscere le potenzialità e le qualità organolettiche delle tre eccellenze Passerina Docg, Pecorino Docg, e Rosso Piceno Docg, Vinea ha organizzato a marzo la “Prima edizione di Picenopen Anteprima”.
LE AZIENDE CHE HANNO PARTECIPATO Az. Agricola Ciù Ciù – Offida Az. Agricola Fiorano – Cossignano Az. Agricola Agrobiologica Aurora – Offida Azienda Velenosi – Ascoli Piceno Az. Agricola Cameli Irene – Castorano Cantina Offida – Offida La Cantina dei Colli Ripani – Ripatransone La Valle del Sole – Offida Az. Agricola Marcelli Clara – Castorano Az. Agricola San Filippo – Offida Agrobiologica San Giovanni – Offida Poderi San Lazzaro – Offida De Angelis & C. Castel di Lama Az. Agricola Panichi Filippo – Castel di Lama Cantina PS – Offida Tenuta La Riserva – Castel di Lama Villa Grifoni – Ripatransone Collevite – Monsampolo del Tronto Terre Cortesi Moncaro – Cantina di Acquaviva Picena Poderi dei Colli – Montalto delle Marche Tenuta Semproni - Ripatransone
News La manifestazione, che ha visto la partecipazione di giornalisti italiani e stranieri e operatori del settore, si è svolta presso l'Enoteca Regionale di Offida, dove i tre “protagonisti”, sono stati al centro dell'attenzione con una degustazione alla ceca. Se pur appena imbottigliati, annata 2013, i vini hanno dato al palato note positive di come si evolveranno col passare dei mesi ma soprattutto di avere un grande futuro. Vediamoli. L’Offida Pecorino si presenta di colore giallo paglierino, riflessi verdolini. I profumi sono tipici della frutta tropicale e di fiori bianchi, ginestra. Vino strutturato, sapido, di buon tenore acido e di lunga persistenza. Si accompagna a crostacei, molluschi, zuppe di pesce, carni bianche e minestre saporite. L’Offida Passerina dal colore giallo paglierino con riflessi dorati, al naso offre un bouquet gradevole con note di frutta, al palato un sapore secco, tipico, caratteristico e fresco. Si abbina a risotti col pesce, insalate di mare e minestre di legumi e cereali. L’Offida Rosso è un vino dal colore rosso rubino che tende al granato con la maturazione; il profumo è complesso, con sentori di frutti rossi e cioccolato, il sapore secco, armonico, morbido e ampio. Ideale per salumi, formaggi a pasta dura, selvaggina e carni rosse in genere, fino a piatti tipici della cucina marchigiana. (Enzo Russo)
NEL CUORE VERDE DELL’ASCOLANO NASCONO I VINI DEI PODERI DEI COLLI oderi dei Colli è un azienda che nasce nel 1960 e affonda le sue radici tra le colline di Montaldo delle Marche, proprio nel cuore verde della provincia di Ascoli Piceno. Con il passare del tempo la famiglia Mannocchi inizia a far decollare l'attività vitivinicola ristrutturando l'azienda rendendola indipendente in tutte le sue attività. I cinquanta ettari coltivati per la maggior parte a vigneto, si distendono lungo i paesaggi piceni, immersi in un particolare microclima d'alta collina. La forte escursione termica notte/giorno, il basso livello di umidità e la freschezza del clima fanno sviluppare nelle uve, specialmente quelle a bacca bianca, un bouquet aromatico straordinario che si riflette nei suoi vini rendendoli freschi, profumati, eleganti ed equilibrati sia come acidità e mineralità, come il Pecorino e la Passerina, due autoctoni sempre più apprezzati. Dalla cantina escono 11 tipologie di vini tra bianchi e rossi, per un totale di 120.000 bottiglie vendute in Italia e all'estero.
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Quest'anno al Vinitaly, Poderi dei Colli ha ricevuto un importante riconoscimento, “La Gran Menzione” per il vino Rosso Marche Rigò Igp, un premio che gratifica e premia gli sforzi che l'azienda ha fatto in questi anni nella continua ricerca della qualità. Nella foto: Giuseppe Mannocchi con la moglie Tiziana. (e.r.) Poderi dei Colli – Contrada Piagge 3 – Porchia di Montaldo delle Marche (AP) www.poderideicolli.it
News GRILLO PARLANTE ED ENOLOGA A CINQUE STELLE: FONDO ANTICO FA L’EN PLEIN uest'anno la guida ai Vini Siciliani 2014 del Giornale di Sicilia ha premiato il Grillo Parlante di Fondo Antico - Rilievo (TP), come vino bianco a “a Cinque stelle” e l'enologa Lorenza Scianna “Enologo dell'anno”, un riconoscimento (nella foto a destra, la consegna del premio da parte dell’assessore Dario Cartabellotta) che ha visto premiare l'enorme sforzo fatto dall'azienda nella continua ricerca della qualità. Ancora una volta Fondo Antico si conferma come una delle più importanti realtà vitivinicole della Provincia di Trapani, dalla cui cantina escono ogni anno oltre 300 mila bottiglie di diverse tipologie che hanno conquistato i più importanti mercati nazionali ed esteri . Abbiamo incontrato il titolare, Giuseppe Polizzotti, apprezzandone la passione che lo ha condotto a dedicare gran parte delle sue energie all'azienda vinicola, affiancando la non facile attività di vignaiolo alla professione di farmacista. «La vitivinicoltura - come l'agricoltura in genere - non è mai semplice: diviene particolarmente difficile quando non solo si ricerca la qualità come valore assoluto, ma si vuol anche mantenere il legame con la cultura di un territorio e la sua storia per farli ritrovare nel bicchiere. La scelta aziendale e' stata quella di lavorare nei propri vigneti, le varietà antiche presenti nel territorio, come il Grillo, il Nero D'Avola, l'Inzolia, cercando di conoscere la relazione che passa tra queste e il contesto pedoclimatico in cui da
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anni sono inserite. L'impatto degustativo con i vini è netto. Al naso gli aromi del vino riconducibili a quelli presenti nella buccia e marcatori di appartenenza varietale, al gusto sapidità, mineralità, acidità legano la varietà al suolo in cui vive. Nasce cosi' il Grillo Parlante. Lorenza Scianna è l'enologa che in azienda cura tutta la produzione dalla vigna alla bottiglia». Non si hanno notizie certe sull'origine del Grillo (secondo alcuni proviene dalle Puglie), ma è certo che nella Sicilia occidentale ha trovato l'habitat ideale divenendone vitigno simbolo, specialmente nel Trapanese dove nell'epoca di massima popolarità giunse a rappresentare circa il 60% dei terreni vitati. Il Grillo produce vini tendenzialmente alcolici e di facile ossidazione (da cui l'utilizzo per il Marsala), leggermente tannici e con una buona acidità che favorisce l'invecchiamento. L'interpretazione in purezza di Fondo Antico - ottenuta in acciaio con pressatura soffice delle uve raccolte a mano e poste in cassette - affascina da subito per il bouquet che esalta le caratteristiche del vitigno sottolineandone le note di pesca bianca e floreali e conquista il palato per la grande
freschezza, l'equilibrio, l'armonia e la gradevole sapidità. Un vino che invita a berne un secondo e un terzo bicchiere provocando solo rimpianti in chi non lo fa. Premesso che può essere bevuto a “tutto pasto”, è particolarmente indicato per carni bianche e pesci, anche se logicamente è esaltato dalla cucina siciliana. (Enzo Russo)
Vino & motori
PEUGEOT 3008 HIBRID4 CROSSOVER 2.0 IL PIACERE DI GUIDARE IN TRANQUILLITÀ ertamente vi sarà capitato di salire in aereo e vedere la cabina di pilotaggio con gli innumerevoli comandi. Ecco, è questa la prima sensazione che si prova appena ci si siede al volante della Peugeot 3008 Hibrid4 Crossover 2.0, un auto che al momento incute soggezione, ma poi in poco tempo si prende confidenza di tutti gli strumenti diventando facili da usare. Con un sedile confortevole, il posto guida permette di stare comodi e di dominare la strada, la strumentazione è ottenuta da una consolle quasi orizzontale in uno spazio dove sono concentrati i principali comandi, il freno di stazionamento elettrico e la leva del cambio robotizzato con le quattro modalità di guida, auto, sport, zev e 4wd. azionabile in modalità automatica o sequenziale tramite le levette dietro al volante che da sicurezza e il piacere della guida. Altro accessorio importante per la guida e la sicurezza è l'Head-up, il display trasparente estraibile davanti al parabrezza che
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consente di visualizzare velocità e indicazioni del cruise control e del navigatore senza distogliere lo sguardo dalla strada. Nell'insieme è un auto dalla linea elegante che ispira fiducia e compattezza. Colpisce l'arredamento interno, elegante in tutti i suoi particolari. Grazie ai suoi potenti motori, al moderno equipaggiamento di serie e all’abitacolo spazioso, la Peugeot 3008 Hybrid4 è l’ideale per la famiglia (cinque comodi posti) e per risparmiare carburante. Chi guida deve solo preoccuparsi di selezionare la modalità giusta: si può scegliere fra Auto (il sistema fa da solo) Sport (c'è sempre il massimo della potenza) 4WD ( trazione integrale) e ZEV (modalità elettrica per circa 4 km). Il cambio robotizzato a 6 marce è ottimo e funzionale su tutti i percorsi. Oramai non se può fare a meno, è comodo perchè aiuta a concentrarsi nella guida. Con un potente motore diesel e un altro elettrico, la Casa francese è riuscita ad ottenere il meglio dalle
due realtà, unendo in matrimonio il conveniente motore diesel e quello elettrico. Altro punto di forza della Peugeot 3008 Hybrid4, sono i consumi. In città consuma molto poco, in autostrada invece ha un’impennata se il piede è pesante. In media sono 5 litri/100 chilometri. Stando attenti, in città il consumo può arrivare a 3,5 litri/100 chilometri. Ottimo il sistema start&stop che spegne il motore già a circa 20 km/h. Anche l'allestimento è super: HeadUp Display e navigatore satellitare con schermo da 7", vivavoce Bluetooth, impianto audio con lettore cd/dvd, presa usb e disco fisso per memorizzare tutta la propria musica preferita, il consumo di carburante, i chilometri da percorrere. Il bagagliaio raddoppia con i sedili ribaltati. L'abbiamo provata in città, autostrada, strade sterrate per visita vigneti e Aziende vinicole. Si è dimostrata all'altezza in tutti i percorsi. (Enzo Russo)
Vino & motori
T O Y O T A Y ARIS HYBRID 1.5 UNA CITY CAR AVARA prezzi del carburante continuano ad aumentare e in futuro chissà dove arriveranno. Per gli automobilisti sono salassi quando fanno il pieno. Cosa fare? La Toyota, la nota casa automobilistica giapponese, ha cercato, e c'è riuscita, di produrre una city car ibrida con due mori, uno a benzina e l'altro elettrico che interagiscono tra loro in modo “intelligente”. Stiamo parlando della nuova Toyota Yaris Hybrid 1.5 Style (sono tre gli allestimenti) a cinque porte, un auto che affascina subito per il look e la linea affusolata che la proietta verso il futuro. L’allestimento è di prim'ordine. Luci diurne a LED, cambio automatico, comandi al volante, climatizzatore automatico bizona, sistema Toyota Touch con schermo da 6.1 che integra il sistema autoradio (compreso di lettore CD ed MP3), navigatore satellitare, ed ovviamente le informazioni su sistema ibrido e consumi, telecamera posteriore per il parcheggio, sistema di avviamento keyless, Bluetooth, porte Usb e Aux, fendinebbia anteriori, cerchi in lega da 16 pollici, sedili rivestiti in pelle e tessuto, tetto panoramico con vetri oscurati. Il comfort sulla Yaris Hybrid è notevole, specialmente per le persone che sono dietro che sfruttano al
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DI CONSUMI
meglio il tetto panoramico che da luce all'abitacolo e un senso di libertà.
massima di 50 km/h. Poi il motore a benzina s'avvia automaticamente. Il sistema ibrido è sempre sotto gli
Il volante è regolabile, il sedile è comodo e non affatica la schiena. Il cambio automatico aumenta di molto il piacere della guida, specialmente in città dove il traffico è caotico e bisogna prestare più attenzione alla guida. La Yaris Hybrid è certamente un'auto pensata per una guida rilassata ed è proprio nei percorsi urbani e nel traffico che il carattere della Yaris Hybrid si fa apprezzare di più. È silenziosa e maneggevole e può anche entrare nelle zone a traffico limitato grazie alla possibilità di muoversi in modalità puramente elettrica. A fianco del tasto Eco Mode, infatti, c'è anche l'EV che permette di muoversi senza accendere il motore termico per circa due chilometri e fino a una velocità
occhi del guidatore grazie alla spia "EV" e allo strumento circolare (posizionato a sinistra del tachimetro), la cui lancetta indica se in quel momento si sta recuperando energia (quando si toglie il piede dall'acceleratore), se si sta viaggiando in modalità “parsimoniosa” o se si sta chiedendo al sistema molta potenza. L'indicatore è intuitivo e permette di gestire acceleratore, rilascio e freno con maggiore consapevolezza, a tutto beneficio dei consumi. Oltre ai bassi consumi, 30 km con un litro e nel ciclo combinato 26, la Yaris Hybrid ha basse emissioni acustiche e inquinanti. E’ questo che hanno anche pensato gli ingegneri della Toyota: una tecnologia diversa che renda l’automobile più pulita. (Enzo Russo)
News
SNIDARCIG SUL TETTO DEL MONDO iare il Sauvignon di Roberto Snidarcig dell'omonima azienda di Dolegna del Collio (Go), a ridosso del confine italo-sloveno, si è aggiudicato la Medaglia d'oro e il Trofeo speciale alla 5° edizione del Concorso Mondiale del Sauvignon, svoltosi a Bordeaux. Si tratta del primo riconoscimento in assoluto di questa portata che viene tributato ad un vino italiano. Tiare si è distinto per la sua
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eleganza e carattere fra i 751 campioni esaminati, presentati al prestigioso concorso da 473 aziende provenienti da 21 Paesi del mondo. Quella di Roberto Snidarcig per il Sauvignon è una passione coltivata fin da ragazzo. Proviene da una famiglia contadina, con animali da allevare e campi da coltivare. In campagna fin dall'adolescenza, Roberto aveva individuato fra le
uve che suo padre acquistava da altri contadini per vinificare, una vigna di Sauvignon dal carattere particolare, che spiccava sulle altre, il cui vino si evolveva e migliorava in modo significativo e sorprendente di anno in anno. E proprio da quella vigna è iniziato il suo amore per il Sauvignon (che rappresenta ora il 45 % della sua produzione, complessivamente di 100.000 bottiglie annue): ne ha preso dei tralci, ne ha fatto delle
News LA SCHEDA Tipologia: Vino Bianco - Doc Collio Zona di produzione: Dolegna del Collio (Go) Vitigno: 100% Sauvignon- Ceppi di diversa età, originati di cloni differenti e adattati alla tipologia dei terreni. Composizione del suolo: limo argilloso Sistema di allevamento: guyot 10 gemme Vendemmia: manuale nella prima e seconda decade di settembre, in funzione della posizione di ciascuna vigna. Vinificazione e affinamento:le uve raccolte precocemente vengono macerate per 24 ore a temperatura di 4°C, pressate a 0,8 atmosfere e poi chiarificate per 3 giorni, quindi inoculate con lieviti indigeni. Le uve raccolte a piena maturazione (gialle) sono macerate per circa 4 ore a temperatura di 8°C e pressate a 1,6 atmosfere e poi chiarificate per 5 giorni, quindi inoculate con lieviti selezionati. Il taglio delle diverse masse di cui il 20% svolge fermentazione malolatica, viene fatto in febbraio con il mantenimento dei lieviti totali fino al giorno dell'imbottigliamento. I terreni dove sono coltivate le viti del Sauvignon Tiare sono formati prevalentemente da un flysch (alternanza di strati di marne e arenarie) “evoluto”, ossia argille fini derivate dal mutamento naturale delle colline del Collio, con una buona dotazione di sostanze organiche. Oggetto di cure attente e scrupolose, vengono arricchiti con l'apporto di sostanze biologiche formate da diversi compost, e costantemente monitorati per ricercare l'equilibrio tra le esigenze delle piante e le potenzialità del terreno. Un ruolo rilevante nel caratterizzare il Sauvignon Tiare campione del mondo è stato l'andamento climatico del 2013, alquanto variabile, con caratteristiche (fresco e temperature basse) che hanno favorito la vita e lo sviluppo dei ceppi, in special modo fino alla fioritura. Verso la maturazione si sono registrate variazioni climatiche al di sotto delle medie (con temperature mediamente intorno ai 16° con picchi di minime anche di 10°), che hanno avvantaggiato l'aromaticità del vino. Le viti allevate a Guyot, con 4/5 mila ceppi per ettaro, sono state selezionate lasciando un maggior numero di gemme su quelle con grappoli più piccoli (R3) e un minor numero di gemme su quelle con grappoli più grossi. Le uve, raccolte a mano, provengono da vari ceppi di diversa età, originati di cloni differenti e disposti alla tipologia dei terreni e propedeutici alla qualità e complessità del vino.
barbatelle, le ha piantate nel suo primo ettaro di vigneto, a Dolegna. Sempre a Dolegna, fra le zone più pregiate del Collio, acquista poi altri terreni e vi impianta nuovi vigneti di Sauvignon e, via via, di altre uve a bacca bianca, che qui trovano terreno e microclima ottimali. Ma è soprattutto sul Sauvignon che si concentra, studiandolo, seguendone con passione e perfezionismo tutte le fasi, dalla campagna alla vinificazione e all'affinamento. Nel 2007 costruisce fra le vigne una modernissima cantina, di medie dimensioni, ma dotata di tecnologia di ultima generazione. La progetta lui stesso in base alle sue esigenze e al suo modo di fare vino e la fa dipingere di un delicato color viola. Sopra la cantina, gli spazi per degustare i vini e per l'agriturismo (per i quali ha scelto un vitale color arancio) si aprono con un grande porticato sul verde delle viti di Sauvignon. Annessa alla cantina, la casa dove vive con il piccolo Alessandro e la moglie Sandra, compagna di vita, avventure e lavoro, dalle cui mani escono i genuini e saporiti piatti della tradizione friulana per i quali è noto il loro agriturismo. L'azienda Tiare si estende su circa 10 ettari vitati e abbraccia due delle zone Doc più interessanti del Friuli Venezia Giulia, il Collio e l'Isonzo. Roberto Snidarcig interpreta il terroir di queste due Doc (il Collio, per il suo terreno marnoso e il microclima straordinariamente vocato alla produzione di Bianchi e l'Isonzo, le cui ghiaie sono habitat ideale per i Rossi) per produrre vini di spiccata personalità, al cui carattere concorrono da una parte la felice esposizione e la particolare composizione geologica dei terreni dove ha impiantato le viti e dall'altra la passione, la cura e la metodologia del suo lavoro, sia in vigna che in cantina. La produzione di circa 100.000 bottiglie annue di media. La gamma dei vini spazia dagli autoctoni agli internazionali. I Bianchi Sauvignon (45% della produzione ), Malvasia, Pinot Grigio, Ribolla Gialla, Friulano. I Rossi Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot a cui si affiancano selezioni di grande carattere, ovvero Ronco del Merlo (un Merlot in purezza), Pinot Nero, Refosco dal penducolo rosso e Schioppettino. Conclude la gamma una piacevole bollicina, Bolle, blend di Ribolla Gialla (70%), Malvasia (25%) e Sauvignon (5%). Euposia maggio-Giugno 2014
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News GAMBELLARA. INAUGURATA LA NUOVA SEDE: LE BARCHESSE DI PALAZZO CERA
ambellara è un bella località in provincia di Vicenza, circondata da colline e tanti vigneti dalle cui uve Garganega vengono prodotti vini bianchi di ottima fattura, dal profumo fresco e delicato. Il pregio di questa uva è che la buccia degli acini sono molto resistenti e questo permette una perfetta maturazione e anche un naturale appassimento che consente di ottenere il famoso Recioto di Gambellara docg, il più nobile dei vini dolci vicentini ma anche uno dei migliori vini da dessert italiani. Altro punto di forza di tutto il comprensorio di Gambellara sono i prodotti tipici che si sposano perfettamente con i vini dal piacevole fondo amarognolo, come gli asparagi, di cui ne va fiera tutta la provincia di Vicenza. Il Baccalà alla vicentina, una pietanza molto delicata che si scioglie in bocca accompagnata con polenta di mais Marano (altra specificità della zona).
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Il Capretto bianco di Gambellara allo spiedo o in casseruola. Ci sono i formaggi come l'Asiago dop e il Provolone Valpadana dop prodotti dal Caseificio Albiero di Montorso Vicentino, la cui arte casearia si distingue per la qualità dei formaggi e l'estrema cura nelle lavorazioni e dalla perfetta stagionatura. Altro vanto è la Sopressa Vicentina dop che va dagli 800 gr. ai 6 chili con una stagionatura di 4-6 mesi. In abbinamento coi grandi vini passiti non può mancare un dolce che li accompagni, il Brasadello, una rustica ciambella da bagnare nel Recioto. Poi c'è la produzione di Miele e quella dell'Olio extravergine di oliva Veneto dop. Per tutte queste eccellenze enogastronomiche e promuovere al meglio tutto il comprensorio in tutte le sue valenze, Gambellara si è dotata di un importante centro di promozione, inaugurando in aprile “Le Barchesse di Palazzo
Cera”, una struttura storica completamente restaurata di cui la comunità gambellarense ne va orgogliosa. La nuova sede della Strada del Recioto e dei vini Gambellara DOC e del Consorzio Tutela Vini Gambellara, inaugurata dal Presidente del Consorzio Tutela Vini Gambellara Giuseppe Zonin e dal Presidente dell’Associazione Strada del Recioto e dei vini Gambellara DOC Luca Framarin, che si sviluppa su due piani, vedrà i due enti impegnati in una più stretta collaborazione mirata alla valorizzazione dell’enogastronomia locale. Al centro della promozione ci saranno i vini nelle loro diverse tipicità: Gambellara doc, Classico, Superiore e Spumante che nascono dal vitigno Garganega; Il Recioto di Gambellara Classico e Spumante docg; Il Gambellara Vin Santo Classico doc. (Enzo Russo)
News GIANFRANCO FINO, SALENTO NEGROAMARO 2009, "SIMONA NATALE" BRUT PAS DOSÉ a passione per i vini spumante è arrivata, come una folgorazione, a metà degli Anni Ottanta quando, giovane studente di enologia a Locorotondo, Gianfranco Fino venne spedito in stage in un posto che da oltre un secolo “emana” bollicine: Sant Sadurnì d'Anoia, la capitale catalana del Cava, in una cantina che ha fatto - letteralmen-
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quello che produce - “normalmente” - lo Jo, uno dei due vini-icona (l'altro è lo “Es”) di questa piccola, ma molto celebrata, cantina salentina premiata come "cantina dell'anno" appena poche stagioni fa. Una produzione limitata - appena 800 magnum («La misura ideale per consentire ad uno spumante di evolvere nel migliore dei modi» sottolinea Gianfranco) - finite
ventiquattr'ore di contatto mostobucce per arrivare a quel colore "buccia di cipolla" che ne rappresenta il tratto distintivo immediato; vinificazione; sette mesi di barrique usate (prese in Friuli dove avevano già accolto alcuni vini bianchi) con fermentazione malolattica. Seconda fermentazione in bottiglia con quaranta mesi sui lieviti».
te - la storia della denominazione, Codorniù. Lì, Gianfranco, apprese l'arte della rifermentazione in bottiglia, preparò una tesina e dopo trent'anni di lavoro, di esperienza e di paziente attesa, colse l'annata giusta per tirare fuori dal cassetto gli studi di gioventù e tentare il “grande passo”: un metodo classico, rosato, da uve negroamaro, coltivato a pochi passi dallo Jonio. Una sfida che vale una vita e, dunque, non poteva che essere dedicata alla moglie, Simona Natale, che per Gianfranco e le sue vigne ha appeso al chiodo la toga ed una brillante carriera in magistratura. L'annata è il 2009, una delle meno felici per il negroamaro, il vigneto (arato col cavallo) è di poco più di un ettaro (sui sette complessivi dell'azienda), vicino al mare: un vigneto ad alberello di circa quarant'anni a Manduria,
anche da Harrod's a Londra che, purtroppo, non avrà eredi sino al 2019 quando entrerà in commercio il secondo millesimo (frutto della vendemmia del 2015). «In realtà - continua Gianfranco volevo aspettare ancora un po' e portarlo a sessanta mesi sui lieviti, poi la curiosità, la voglia di provarlo, mi ha portato a fermarlo ai soli "40" mesi di questo millesimo. Degorgement e nessun liquer d'expedition: un pas dosé, il frutto del negroamaro nella sua purezza». Davanti ad un'annata che non prometteva di raggiungere gli standard qualitativi voluti per lo "Jo", Gianfranco Fino ha deciso nel 2009 che era proprio il momento di provare quella spumantizzazione che era, come detto poc'anzi, nelle sue corde da tre decadi: «Abbiamo vendemmiato con leggero anticipo; poi, spremitura soffice per la sola estrazione del mosto-fiore,
Sembra facile, ma non lo è. Il risultato, infatti, è un rosé con un potenziale enorme. All'olfatto sprigiona già forti connotazioni aromatiche, con piccoli frutti di bosco e sentori di macchia mediterranea; il palato è potente, caldo, senza nessuna concessione a note più dolci, ma è netto, virile, con una grande profondità. Una spalla acida fenomenale ne garantisce una capacità di invecchiamento notevole (produzione permettendo…ovvero, chi avrà la pazienza di salvarne qualche magnum per il futuro?) con sentori di frutta rossa, di spezie, finale sapido, minerale, di una grandissima persistenza. Se questa era la prova generale, figuriamoci cosa saranno i prossimi millesimi che Gianfranco metterà in circolazione. La corsa alle future magnum è incominciata…
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Dalle profondità del Lago d’Iseo
DEGUSTAZIONI
INTRAMONTABILE CÒRSO C’è un solo Napoleone Bonaparte, e c’è un solo Champagne che può portare il suo nome. Questo.
< Nel 1825 Jean-Louis Prieur si trasferì con la moglie Marie-Reine a Vertus,Cote des Blancs, dove avviò la propria attività di negociant. Aveva 26 anni e proveniva da una famiglia di lavoratori a contratto. Vertus è uno dei 42 “premier crus” della Champagne e per il giovane Jean-Louis gli affari iniziarono a filare per il verso giusto tanto da acquisire i primi terreni e ad avviare la propria maison inserendo nella gestione i suoi figli. Arrivata alla quinta generazione, nel 2005, la maison si è unita alla cooperativa “La Goute d'Or” pur mantenendo la gestione dirette dei propri brands: Napoléon, appunto, e Paul Georg. Fra questi, “Napoléon” che venne adottato agli inizi del Novecento per una piccola spedizione di champagne destinata alla città russa di Volvograd. Da allora, la è l'unica maison della champagne autorizzata ad utilizzare in etichetta il nome del “grande Corso”. Euposia ha provato i suoi Champagne, incontrando il suo manager ed enologo Jean-Philippe Moulin (il secondo da destra nella foto a pagina 21) , e queste sono le note di degustazione.
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BLANC DE BLANCS BRUT 2007 Ovviamente, chardonnay in purezza. Lavorazioni classiche, senza nulla inventare se non una estrema attenzione a mantenere nel tempo sempre molto vicine le caratteristiche di questa bollicina. Uno champagne molto equilibrato con profumi di agrumi, nocciole fresche, di frutta candita; palato di bella freschezza ed armonia dove tornano le note di frutta secca ed agrumi canditi. TRADITION BRUT 2007 Il blend vede chardonnay e pinot noir in egual misura che provengono dalle montagne di Reims e dalla Cote des Blancs. È uno champagne molto convincente, profondo, che unisce la freschezza e la delicatezza dello chardonnay con la forza vibrante del pinot noir. Di grande espressività. ROSÈ BRUT N.V. Il pinot noir sale al 55% nel blend con lo chardonnay. Le uve vengono lavorate separatamente e il pinot noir è vinificato in rosso e poi il vino base viene apportato allo chardonnay fino ad ottenere il punto di colore desiderato.
CHAMPAGNE NAPOLÉON
Questo procedimento vuole garantire nel tempo la perfetta scelta di colore, senza mai dover "cedere" alle bizze delle annate. Siamo lontani, insomma, dalla artigianalità e dalla maestria dei vigneron che scelgono i rose de saignee, ma il risultato da ragione allo chef du cave: stiamo infatti parlando di un grandissimo vino, molto convincente, ricco, di corpo, con note di piccoli frutti rossi, di fragola, ed un finale molto minerale. MILLESIMÉ BRUT 2000 Quattordici vendemmie fa, un'annata abbastanza calda che non prometteva una grande capacità di evoluzione e di invecchiamento. Questa considerazione generale sull'annata però non ha impedi-
to a Prieur di creare un millesimato di grandissima classe, che non dimostra nel bicchiere i suoi anni ed è in grado di dare tantissima soddisfazione. Il blend è di chardonnay e pinot nero in egual misura. La lunga permanenza sui lieviti porta ad un'evoluzione complessa, ricca di profumi ed aromi, oltremodo appaganti con note di burro, frutta secca, di brioche. Una gradevole nota ossidativa rende ancora più ricco il bouquet che offre questo grande,
potente, champagne. Lungo, persistente, con un perfetto perlage nel bicchiere. Finale minerale. Tutto quello che si cerca in uno champagne di primissima fascia, qui si trova. >
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News ORA LE BOLLICINE DEL LAMBRUSCO “EMILIA” SONO TUTELATE NEGLI USA
on la registrazione n. 4.545.990 in data 10 giugno 2014 l'United States and Trademark Office ha riconosciuto il marchio "EMILIA" nella classe internazionale 33 riservata ai vini. Ora le Aziende vinicole consorziate lo potranno utilizzare in esclusiva. Insomma, le bollicine più note al mondo… tutelate negli Usa. «Con questo riconoscimento ufficiale da parte del Trademark office americano, il marchio 'Emilia' viene identificato a livello internazionale, ma soprattutto nel mercato interno degli Stati Uniti, come segno distintivo di qualità e origine certificata». E' un Davide Frascari raggiante quello che annuncia un fatto che ha ripercussioni sul mondo produttivo emiliano ma, anche, sui consumatori di tutto il mondo, dato che il Consorzio Tutela vini Emilia Igt, da lui presieduto, rap-
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presenta il 76% dei viticoltori e del 79% delle superfici delle aziende consorziate tra Reggio e Modena: 6.595 ettari di vigenti Igt con una produzione di 1,5 milioni di quintali di uva e 1.200.000 ettolitri di vino Igt esportati nel mondo. «Superfluo dire che l'iniziativa riveste grande importanza - commenta il presidente - soprattutto per salvaguardare il lavoro delle imprese vinicole consorziate che potranno utilizzare in esclusiva la menzione "Emilia" nella presentazione dei vini ottenuti in base al disciplinare di produzione». Il mercato statunitense rappresenta una parte importante dell'export del vino lambrusco, che vede crescere ogni anno la percentuale di vendita all'estero. Per questo il riconoscimento ufficiale da parte dell'organismo americano è un fatto di grande rilevanza per l'economia e la tute-
la del nostro prodotto. «La tutela del marchio - illustra Ermi Bagni, direttore del Consorzio - è sempre stata una nostra priorità. Crediamo fortemente che questo risultato porterà in dote notevoli benefici al nostro export nel mercato statunitense, mercato che offre molte possibilità di crescita e sviluppo». «Con questa certificazione - prosegue Bagni - viene premiato l'impegno del Consorzio Tutela Vini Emilia nel salvaguardare il valore economico della denominazione di origine geografica "Emilia" e gli interessi generali della collettività, del territorio di origine nell'intento di garantire l'immagine del Lambrusco e tutelare le scelte del consumatore». Un ulteriore baluardo quindi, contro nuovi e incredibili casi di contraffazione e frodi nei confronti del Lambrusco, che sempre più spesso si osservano nei mercati internazionali. «Con il marchio registrato - commenta Bagni - si potranno prevenire ulteriori rischi di frode per il mondo del Lambrusco che, comunque, rappresenta uno dei made in Italy per eccellenza imitato in altri Paesi». Prosegue quindi senza sosta, il lavoro del consorzio di tutela per promuovere il proprio prodotto sui mercati di tutto il mondo. L'esito positivo alla richiesta di certificazione del marchio che è stato approvato negli Stati Uniti, accentua la consapevolezza dell'importanza del lavoro del consorzio di tutela a favore delle aziende vitivinicole del territorio.
DEGUSTAZIONI
CARIOCA SPARKLING Una degustazione al Prowein, il “Tasting Ex...press” del Vinitaly, una cena da Eat’s: per le bollicine che arrivano dal Brasile i riflettori sono tutti accesi. E l’export adesso vola < I dati delle esportazioni brasiliane registrano un incredibile segno positivo nel primo trimestre di quest'anno, come leggerete nelle prossime pagine. E, sulla spinta dei mondiali di calcio, è lecito aspettarsi una ulteriore crescita sui principali mercati d'esportazione: Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Germania. Del resto, la cosa non deve stupire più di tanto: da un punto di vista tecnico si tratta di prodotti ineccepibili, realizzati in ottimi terroir, con tecniche di coltivazione e di vinificazione che in nulla differiscono dal know how che il vecchio continente, o gli altri grandi produttori, garantiscono. La tradizione vinicola ha i suoi quattrocento anni di storia, essendo intrinsecamente legata all'epopea della colonizzazione portoghese, per poi svilupparsi con decisione fra Ottocento e Novecento grazie al massiccio arrivo dell'emigrazione italiana, spagnola,
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francese, portoghese e tedesca. In più, e non è cosa da poco, la produzione vinicola - al pari di quella brassicola - è gestita e pianificata secondo una tradizione imprenditoriale e industriale che non è seconda a nessuno: per restare nel settore delle birre, ad esempio, il Brasile è uno dei primi produttori mondiali affiancando ai big industriali anche decine di ottimi birrifici artigianali dove la tradizione tedesca viene rispettata e valorizzata. E caliamo un velo pietoso (per noi) sul prossimo G8... Quindi, aspettiamoci una presenza brasiliana sempre più forte nei mercati internazionali man mano che crescerà anche l'aliquota della produzione che, soddisfatto un mercato interno sempre più in crescita, potrà venire inviata all'estero. E in Italia? Basta guardare il luccichìo negli occhi di qualunque italiano medio al sentire pronunciare
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San Salvador, Rio, Copacabana ecc per capire come non esista una barriera "culturale" all'acquisto quanto piuttosto una ridotta conoscenza. In fondo, larga parte dei vigneron carioca sono italiani di origine e il legame fra i due Paesi è così forte che il “confine” davvero non esiste. Soprattutto, una volta portarti
in degustazione, o a cena, i vini brasiliani fanno la loro bella figura. Euposia, che già li aveva provati nell'ultima edizione del Challenge, li ha presentati al suo stand al Prowein, al "Tasting ex...press" del Vinitaly ed in una cena da Eat's, il luxury food store del gruppo Coin, dove - col brand Miolo -
sono entrati ufficialmente fra le referenze proposte. Queste le note di degustazione, partendo dagli spumanti, la migliore chiave d'ingresso dei Brasiliani sul mercato italiano. VALDUGA 130 chardonnay-pinot noir Nel 1875 la famiglia Valduga lasciò Rovereto per trasferirsi Euposia Giugno 2014
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nel Nuovo Mondo. Meta, il Brasile e lo stato del Rio Grande do Sul dove la presenza italiana era già ben radicata. Oggi è la terza generazione a gestire i vigneti: Erielso, Juarez e Juan. La tenuta è a circa 120 kilometri dall'Oceano Pacifico, da Porto Alegre, ed ha un'altezza media sul livello del mare superiore ai 650 metri. 130 ha ottenuto la medaglia d'oro nel 2009 a "Effervescents du Monde" in Francia e l'anno dopo, a Londra, la Gran Menzione all' "International wine Challenge Competition". Il loro spumante rosé è il primo vino brasiliano kosher, a dimostrazione di una vocazione internazionale assai marcata. 130 nasce da un blend di pinor noir e chardonnay coltivati con estrema attenzione, con vendemmia verde e attenta selezione dei grappoli per avere basse rese. Vigneti a spalliera, cordone speronato, 4mila ceppi/ettari; la vendemmia è manuale, dopo la selezione, vinificazione a temperatura controllata, e dopo il tirage 36 mesi sui lieviti. Il risultato è un metodo classico di grande spessore, dai profumi ampi di frutta matura e spezie, dal palato ampio e corposo, molto coerente con l'olfatto, di grande soddisfazione. Alle note aromatiche si aggiungono quelle di cedro candito, finale minerale con note di frutta secca a chiudere. SALTON Reserva Ouro-Serra Gaùcha Tre anni dopo i Valduga, anche Antonio Domenico Salton (da Cison di Valmarino, nel cuore dei vigneti della Marca trevigiana: e basta guardare la sede attuale della cantina per capire quanto di
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veneto è rimasto nel dna della famiglia!) si imbarca da Genova per il Brasile. Anche per lui, il richiamo di una vita meno difficile, verso un territorio già da leggenda ricco anche di legami storici col nuovo Regno d'Italia, grazie alla Legione Italiana guidata da Giuseppe Garibaldi pochi decenni prima, nella guerra d'indipendenza del Rio Grande dal Brasile. Da Porto Alegre, Domenico viene "smistato" a Vila Isabel, nuova cittadina fatta quasi esclusivamente da immigrati italiani nel distretto di Bento Goncalves. Domenico inizia subito a lavorare e nel 1910 nasce la casa vinicola che oggi è arrivata alla quarta generazione, realizzando un fatturato di 80 milioni di euro! I vigneti Salton sono dislocati nei quattro migliori territori del Rio Grande: Serra Gaùcha e Serra do Sudeste; Campos de Cima de Serra e Campana Gaùcha. Altezza media sui 640 metri sul livello del mare, con lavorazioni certificate "bio" a Serra Gaùcha e a Campos de Cima de Serra. Il blend vede lo chardonnay al 70%, affiancato dal pinot nero e dal riesling (10%). Vendemmia manuale, pressatura soffice. Cambia l'elaborazione: qui siamo in presenza di uno charmat lungo dove, però, si aggiunge forza e complessità attraverso la fermentazione del 20% della massa in barrique nuove, di legno americano di media tostatura. Questo per dieci mesi. Poi le due masse vengono riunificate e messe in autoclave dove in altri due mesi si arriva alla presa di spuma. Dodici mesi sui lieviti, in definitiva. Al naso immediate note di crosta di pane, brioche, frutta secca e mela golden. Il palato è ricco, molto ben impostato, sorretto da una bella acidità, con note aromati-
EXPORT: PRIMO QUADRIMESTRE RECORD SBARCO MASSICCIO
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l Brasile è entrato in campo per disputare la Coppa del Mondo di calcio, e già registra un primo successo: dati sorprendenti nel commercio internazionale del vino. Nel primo trimestre di quest'anno, le esportazioni hanno superato del 375,5 % il controvalore scambiato nello stesso periodo del 2013 . Il totale di US $ 5.75 milioni nei vini imbottigliati e spumanti è pari a 4,5 volte il totale esportato da gennaio ad aprile dell'anno precedente e supera del 6,6 % del totale esportato per l'intero 2013. Per Roberta Baggio Pedreira, direttore dei Vini del Brasile , la Coppa del Mondo FIFA ha contribuito a catalizzare un processo di costruzione dell'immagine e approccio commerciale per i vini brasiliani all'estero: «I grandi eventi sportivi hanno contribuito ad attirare l'attenzione del mondo per prodotti brasiliani». Un altro punto importante è la crescita del prezzo per bottiglia esportata: l'importo medio è passato da da US $ 3,32 a US $ 4,02 , con un incremento del 21 % . «Noi non stiamo posizionando il livello di entrata , in cui paesi come il Cile e l'Argentina hanno grande competitività a causa di grandi volumi e costi di produzione inferiori . La maggior brasiliano interesse vini compratori sono vini di medio livello , con un buon vantaggio di costo» osserva Pedreira . I mercati che si sono distinti in questo primo trimestre sono stati il Regno Unito , che moltiplicato in 29 volte il valore importato dal Brasile ; Belgio , che ha registrato un incremento di 51 volte superiore; la
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Germania , che ha aumentato il risultato di 6,5 volte ; Olanda , con un incremento di 99,5 volte la quantità precedente ; e il Giappone , che moltiplicato le sue prestazioni 14 volte . «Abbiamo negoziato con le principali catene retail in Europa e in Asia, oltre al principale distributore negli Stati Uniti . L'anno scorso , queste aziende hanno visitato il Brasile , hanno dato uno sguardo più da vicino all'uva ed alle cantine brasiliane ed hanno iniziato a firmare contratti» spiega Pedreira. Tra le catene con etichette brasiliane sui loro scaffali sono i supermercati britannici Waitrose e Marks & Spencer, i tedeschi Galleria Kaufhof e Netto , in aggiunta alla catena Isetan Mitsukoshi del Giappone. Cantine brasiliani sono presenti nei portafogli di Mack & Schule, il più grande importatore e distributore di vini in Europa centrale e meridionale ed in Wines & Spirits , il più grande distributore di bevande negli Stati Uniti. Questi i dati in sintesi: Esportazioni brasiliane per i vini in bottiglia Periodo: gennaio-aprile MERCATI DI VENDITA: 26 ( nel 2013 ) contro 33 ( nel 2014 ) con una crescita del 27 % VOLUME ESPORTATO ( LITRI ): 364,8 mila ( 2013) contro 1,4 milioni di euro ( 2014) , più 292,3 % VALORE ESPORTATO ( US $ ): 1,21 milioni ( 2013) contro 5,75 milioni di euro (2014 ) più 375,5 % PREZZO MEDIO ( US $ / LITRO): 3,32 ( 2013) vs 4,02 ( 2014) più 21%
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che marcate. Torna la frutta secca e quella candita. Finale sufficientemente lungo. Complessivamente, dà soddisfazione. CAVE GEISSE Terroir Brut Nature 2009 Nel 1976 Mario Geisse, promettente e giovane enologo cileno viene assunto dalla controllata brasiliana del gruppo Moet Chandon per dirigere la cantina; gli anni non sono facili e a Santiago sono appena arrivati al potere i militari che hanno chiuso l'esperienza di Unidad Popular e Salvador Allende. Per tre anni, Mario lavora ed apprende i segreti della maison francese. Poi decide di mettersi in proprio e di dar vita alla cantina che oggi è, giustamente, una delle più celebrate dell'America Latina. La zona da lui scelta è Pinto Bandeira: una zona di montagna, siamo ad 800 metri sul livello del mare, caratterizzata da un eccellente drenaggio delle acque e da una forte escusione termica con un lungo periodo quotidiano però di esposizione al sole. Nel vigneto non si utilizza la chimica ma un proprio brevetto, il "thermal pest control" che soffia un getto d'aria a 130 gradi sulle
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vigne, annichilendo ogni forma di funghi e parassiti. 17/20 è il voto che questo ottimo metodo classico ha ottenuto da Jancis Robinson. Il blend vede in parti uguali chardonnay e pinot noir; la vendemmia è a gennaio e la rifermentazione in bottiglia dura 36 mesi. Anche in questo caso, siamo im presenza di uno spumante che non sfigura se confrontato con qualunque altro metodo classico europeo (Francia inclusa): sarà stata la formazione appresa in Moet Chandon, ma Mario Geisse ha prodotto uno spumante ricco tanto all'olfatto che al palato, con profumi complessi di frutta matura, di brioche e canditi, con una superba acidità e note profonde minerali sul finale dove torna la frutta secca unita a sensazioni quasi balsamiche. Di grande spessore, unita a una bella ed invitante piacevolezza. MIOLO Brut Millesimé 2009 Nel 1897 Giuseppe Miolo, da Piombino Dese (Padova) si trasferì in Brasile per sfuggire alla miseria del Veneto post-unitario. Giuseppe si stabilì nello Stato del Rio Grande do Sul, a Bento
Goncalves, a 120 kilometri dall'Oceano, cittadina della Serra Gaucha, e quindi in altura con un clima decisamente più adatto all'agricoltura. Bento Goncalves era un po' come essere " a casa": una fortissima comunità italiana, riti e usi praticamente identici. C'era terra a volontà per chi voleva disboscare, dissodare e costruirsi un nuovo futuro. Un invito a nozze per Giuseppe che tirò fuori dallo zaino le marze e provò subito ad impiantarle nel terreno che l'amministrazione cittadina gli aveva concesso: il lotto 43 (lote in portoghese) lungo la strada che porta a sud, verso l'Uruguay. Prima vendemmia? Nel 1900, ed era un merlot. Per tre generazioni successive, i Miolo hanno prodotto uva e mosto che hanno venduto alle cooperative più grandi della zona (in Brasile ci sono mille100 produttori di vino), ma arrivati alla quarta decisero che era ora di entrare direttamente nel mercato. Il risultato? In quasi trent'anni, Miolo è arrivata a possedere mille ettari di vigneto (dal Nordeste vicino a Fortaleza, a tutte le zone più pregiate del Sud specie quelle posizionate sui rilievi montuosi dove, global warming permettendo, quest'anno ha pure ghiaccia-
Nelle foto in queste pagine: alle pagine 25 e 26 “The wine belt” di Wine Folly; da pagina 29 a 30: la terza generazione di Casa Valduga, Erielso, Juarez e Juan; Mario Geisse; sopra un momento della degustazione Euposia-Desa allo scorso Prowein: con Christine Mayr, presidente Ais Alto Adige, a destra Osvaldo Escudero e Fabiano Maciel
to!) ed a controllare il 40% dei consumi brasiliani. Chiave del successo, la teutonica determinazione (l'altra grande emigrazione in Brasile, non a caso, è quella tedesca) nel "progetto qualità" affidandosi a winemaker di successo come Michel Rolland e ad una politica di alleanze in giro per il mondo. Il Millesimé 2009 è il primo ad indicare in etichetta la denominazione di origine "Vale dos vinhedos" ; le uve provengono tutte da vigneti di proprietà nella zona Sao Gabriel, a Garibaldi. Il blend vede pinot noir e chardonnay in pari percentuali; in bottiglia la seconda fermentazione dura diciotto mesi. Questo metodo classico è risultato fra i vincenti dell'edizione 2013 del nostro Challenge e provandolo se ne capisce immediatamente la ragione: perfetto alla vista, con un olfatto molto pulito ma ricco, ed un palato di grande stoffa e classe. Alle note fruttate si aggiungono quelle di lievito, di crema pasticcera che si fondono in un classico agrume candito. Spezie dolci e mineralità nel finale che è lungo e lascia un piacevole ricordo. Molto invitante. Realizzato con grande attenzione e cura, puntando a sparigliare le carte nella competizione fra bollicine d'autore nel Vecchio Continente. VINICOLA AURORA Pinot Noir Cooperativa che nasce da famiglie di italiani, arrivati dalle regioni settentrionali con l’ondata del 1875. Nel 1931 viene fondata da diciassette fami-
glie la cooperativa che raccoglie oggi ben mille100 soci-produttori, la prima per dimensioni del Brasile con oltre 55 milioni di kilogrammi d'uva vendemmiati e 42 milioni di litri di vino, succhi e derivati. La cooperativa si pone in prima fila anche nella sostenibilità delle sue lavorazioni: nella protezione ambientale, in uno sviluppo economico fondato sulla responsabilità sociale. In portafoglio Moscato e Prosecco, oltre a tutta la varietà dei vitigni delle nostre regioni sino ad arrivare al pinotage sudafricano: della serie, qui possiamo sperimentare e …spaziare!. Questo è il primo spumante da pinot nero in purezza del Brasile, è uno Charmat prodotto sulla Serra Gaucha, ha un bell'impatto al palato che risulta essere molto aggraziato. La facilità di beva è infatti uno dei tratti distintivi di Aurora, caratteristica che ha portato anche ad una messe assai importante di riconoscimenti internazionali. Moscatel Altro Charmat, con uve prodotte sempre sulla Serra Gaucha. Medaglia d'oro a "Effervescents du Monde" nel 2003 ed alla "San Francisco International Wine Challenge" nel 2013, è uno dei best-seller Aurora sui mercati anglosassoni. Moscato bianco e moscato giallo nel blend; di bassa gradazione alcolica ha note floreali e di miele all'olfatto; al palato riesce a non essere stucchevole restando in equilibrio fra acidità e dolcezza. > Euposia Giugno 2014
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News
MAISON ANSELMET LIBERA IL “SUO ” PRIGIONIERO VALDOSTANO a terra valdostana è senza eguali, le viti s'innalzano ad altezze proibitive, la fillossera è una sconosciuta e i vigneti a gradoni sono i più alti d'Europa. Petit rouge, vien de nus, neyret, prëmetta, mayolet, neblou, fumin, petite arvine, cornalin e prié blanc danno vita a vini irripetibili, unici al mondo. C'è un vino che più di tutti gli altri si erge a vessillo di questa peculiarità, un vino fuori dagli schemi, prigioniero della sua unicità: Le Prisonnier di Maison Anselmet. Un vino senza eguali, un vino con un passato a garanzia del suo futuro.
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LA STORIA DEL PRIGIONIERO Questa è la storia di una vigna prigioniera, imprigionata dalla natura tra due grandi formazioni rocciose e imprigionata dall'uomo con i suoi disciplinari. Questa vigna dal lungo passato, si parla di due secoli fa, è costituita da sette terrazze situate a 800 m s.l.m., ed è protetta quasi in un
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abbraccio da due angeli custodi, le formazioni rocciose, che le assicurano una doppia escursione termica. Al mattino la vigna è avvolta dalle basse temperature che durante il giorno risalgono e quando poi alla sera la temperatura tende a calare nuovamente, il calore della roccia trattenuto durante il giorno mitiga questa condizione e nella notte il calore viene rilasciato in modo significativo. Questa doppia escursione regala all'uva un bilanciamento tra acidità e zuccheri di raro equilibrio. Il risultato è Le Prisonnier, un vino nato un po' per caso! Essendo situata in piena zona di produzione del VdA Torrette Dop, il destino di questa vigna era abbastanza segnato, ma gli Anselmet hanno riscontrato che la percentuale di uva Petit Rouge non era sufficiente per rispettare le proporzioni di uvaggio necessarie per rientrare nel disciplinare di produzione del VdA Torrette Dop.
Si è fatta quindi strada l'intenzione di espiantare un numero notevole di vitigni per poter rientrare nei criteri della Doc. Il caso o la fortuna hanno voluto che l'espianto fosse rimandato e visto che l'uva c'era tanto valeva vendemmiare. Non per caso o per fortuna, ma grazie ad un'approfondita ricerca, Giorgio Anselmet decide di sperimentare adottando un metodo di vinificazione risalente a documentazioni del 1800 che definivano, il vino prodotto da questa vigna, come il migliore di tutta la penisola. L'intuizione di Giorgio si rivelò vincente. La passione del Vigneron per la sua terra, per le sue vigne, per i suoi vini lo avevano portato alla nascita di Le Prisonnier determinando un risultato talmente sorprendente e inaspettato che la vigna venne lasciata dolcemente imprigionata tra le rocce, ma libera dai disciplinari, libera di dare un vino unico.
ANTEPRIME
A L C UORE DEL B EL PAESE < C’è sempre una prima volta, anche per la campanilistica Toscana. La prima volta che si propone con un'immagine più unitaria dell'enologia regionale. La quarta edizione di Buy Wine e Anteprime Toscane ha riunito per la prima volta nella Fortezza da Basso di Firenze tredici denominazioni, grandi e piccole: dal Chianti e le sottozone Chianti Rufina, Chianti Colli Fiorentini, Chianti Colli Senesi alla Val di Cornia, da Carmignano a Montecucco, dall’Elba a Morellino di Scansano, da Bolgheri a Cortona, da Terratico di Bibbona a Valdarno di Sopra. Toscana Promozione (che ha coordinato tutta
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la settimana delle anteprime, da questa in oggetto, la prima, a Firenze, a quella del Brunello, l’ultima, passando per Vernaccia, Chianti Classico e Nobile di Montepulciano) ha privilegiato i buyer e i giornalisti stranieri lasciando indietro tanti colleghi italiani che si sono visti rifiutare all’ultimo momento l’indispensabile collaborazione per le anteprime del Nobile e del Brunello, creando non poco scompiglio nelle redazioni. Tra l’altro l’organizzazione per i giornalisti è stata carente e lacunosa quest’anno, a parte per l’Anteprima della Vernaccia (Elisabetta Borgonovi, la responsabile dell’uf-
TOSCANA
Col Chianti Docg e la Vernaccia di San Gimignano Docg inizia il viaggio fra le “anteprime” toscane. Finalmente pensate in chiave unitaria di Alessandra Piubello
ficio stampa, è stata l’unico riferimento sicuro e preciso in frangenti decisamente discutibili per logistica e professionalità) e per quella del Chianti Classico. Speriamo che l’anno prossimo vada meglio, altrimenti gli unici giornalisti che scriveranno approfonditamente delle Anteprime Toscane saranno quelli stranieri (allenatevi a praticare le lingue), visto come
oramai vengono trattati quelli del Bel Paese (e le conseguenze ci saranno tutte!). È, infatti, all'estero che guarda il vino toscano, forte di un export che dovrebbe superare i 740 milioni nel 2013 e di un vigneto che vale il 13% del Pil agricolo regionale, con 26 mila aziende, circa 60 mila ettari e 2 milioni di ettolitri annui.
PARLIAMO CHIANTI Una delle novità di questa edizione Anteprime Toscana riguarda la Docg Chianti (2.700 aziende e 540mila ettolitri prodotti), che schiera assieme diverse zone produttive (quelle tracciate dalla Commissione Dalmasso nel lontano 1932): “Per la prima volta siamo riusciti a riunirci”, commenDEL
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ANTEPRIME LE NOSTRE SCELTE: LA QUERCE CHIANTI DOCG 2013 Naso intenso, fruttato di ciliegia, marasca, al palato alterna freschezza, succosità e rotondità di beva. Nella zona di produzione del Chianti Colli Fiorentini, si trova l’azienda di proprietà della famiglia Marchi dal 1962. I primi vini si imbottigliano nel 1964. I vigneti si estendono su 8 ettari e sono stati reimpiantati a partire dal 1999, poi nel 2003 e 2010. I vitigni principali, coltivati su un terreno argilloso ricco di ferro, sono sangiovese, colorino, canaiolo e merlot. L’enologo è Valentino Ciarla. LE SORGENTI CHIANTI DOCG 2013 Sentori di piccoli frutti, fresco frutto e spezie fini, bocca centrata, precisa, di buona persistenza. Sorso vivo e beverino. I Ferrari acquistano la proprietà nel 1959, dal ’74 è Gabriele Ferrari ad occuparsi personalmente dei vigneti, su terreni sabbiosi e calcarei circondati da boschi. Le diverse altitudini ed esposizione degli otto vigneti permettono la coltivazione di vari vitigni della tradizione toscana. In cantina, il figlio Filippo, enologo. CASTELVECCHIO CHIANTI DOCG 2013 Profilo olfattivo avvincente di bel frutto croccante di marasca, con note di violetta e humus. Elegante e ben bilanciato tra morbidezza e vena acida. La superficie aziendale si estende su 73 ettari (di cui 30 ettari di vigneto). La conformità del terreno
TOSCANA CHIANTI DOCG; COLLI ARETINI DOCG; RUFINA DOCG è di origine pliocenica caratterizzato in prevalenza da alberese ciottoloso e da arenarie. Filippo e Stefania con il padre Carlo Rocchi iniziano a dedicarsi a Castelvecchio nel 1993. Da quel giorno fanno una scelta di vita, cominciata per passione e per grande riconoscenza verso il nonno Renzo Rocchi che fondò l’azienda nel 1962. Ad aiutarli in cantina l’enologo Luca D’Attoma. MANNUCCI DROANDI CHIANTI COLLI ARETINI DOCG 2013 Profumi fruttati, profondi e netti. Bicchiere che sorprende, estroverso, gioioso, facile da godere. Un vino di immediata piacevolezza e tutto da bere. Roberto Droandi inizia nel 1975, quando stancatosi del lavoro che faceva, commerciale in un’azienda di fitofarmaci, fa la sua prima vendemmia nella terra di famiglia. Passa definitivamente alla produzione biologica certificata nel 2000. Lo aiuta l’enologo Gianfrancesco Paoletti. Dalla metà degli anni ‘90, l’azienda collabora con l’Istituto Sperimentale per la Viticoltura di Arezzo, con la realizzazione di un vigneto sperimentale nel quale sono stati piantati vecchi vitigni un tempo diffusi nella zona ed ora a rischio di estinzione. FRASCOLE CHIANTI RUFINA DOCG 2012 Il palato rivela una rara consapevolezza nel coniugare polpa fruttata e slancio vivo e continuo. Bocca avvolgente, sapida, con finale succoso di buona scorrevolezza. Enrico Lippi, in vigna e in cantina, lavora su quindici ettari di vigne. Si trovano in due zone con microclima diverso, mediamente hanno quindici anni d’età, ma una parte sfiora i cinquanta anni di esistenza. I diversi appezzamenti, spesso con dislivelli importanti, sono ad alta densità e basse rese. Tutta l’azienda è condotta dal 1998 in regime biologico. TRAVIGNOLI CHIANTI RUFINA DOCG 2012
Trama distesa, succosa, sorretta da un bel tannino. Tanta spinta e una stratificata freschezza fino alla chiusura. Ricordata per la prima volta in una pergamena di Vallombrosa del 28 Novembre 1100, Travignoli si trasforma in fattoria alla fina del ‘400. L’Azienda Agricola Travignoli è costituita da 70 ettari di vigneto, 14 di oliveto e 5 a bosco. Le vigne sono esposte a sud ad un’altezza fra i 250 e i 350 m.s.l.m. su terreni calcarei, marnosi e argillosi, La proprietà, acquistata dai conti Busi nel ‘700, è attualmente nelle mani di Giovanni Busi che si avvale della collaborazione dell’enologo Mauro Orsoni. FATTORIA DI FIANO CHIANTI DOCG 2012 Un vino con un’interpretazione delicata ed elegante, eppur non manca di razza fiera e carattere. Composto e agile; scattante il finale che regala lunghezza. La Fattoria di Fiano, nella zona di produzione Chianti Colli Fiorentini, è di proprietà della famiglia Bing dal 1940. I terreni, medio impasto, tendenti all'argilloso con scheletro, disposti a ventaglio, per oltre 65 ettari, sono orientati a sud. Quattordici ettari si trovano in località Novoli, con una tessitura da argillosa a franco - argillosa. L'attuale conduttore dell'azienda è Ugo Bing, agronomo, coadiuvato dai familiari e dall’enologo Federico Staderini. FATTORIA IL LAGO CHIANTI RUFINA DOCG RISERVA 2011 Note di ciliegie, prugne, sottobosco e grafite. Bocca fresca dalla trama tannica compatta e pulita. Sostanza e piacevolezza in armonioso accordo. La Fattoria Il Lago è in un territorio di grande suggestione paesaggistica, in uno degli ultimi lembi della Rufina. La famiglia Spagnoli acquista la proprietà negli anni Sessanta. I vigneti, piantati in un mosaico di appezzamenti nei migliori versanti a disposizione, sono sui 350 m.s.l.m., il suolo è ricco di argilla. In cantina i fratelli Filippo e Francesco si avvalgono della collaborazione di Fabrizio Moltard.
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ta il presidente del Consorzio del Chianti Docg, Giovanni Busi, “e credo che questo sia stato un valore aggiunto della manifestazione. Sia chiaro: quando andiamo all'estero siamo tutti sotto l'insegna del Chianti e ogni azienda ha il proprio banco di degustazione. Ma esserci finalmente riuniti qui in Italia è senza dubbio un vantaggio. Quando si parla di Chianti, si parla di un vino, certamente, ma ciò che emerge qui è la storia di un territorio enologico immenso e vario, della sua storia e della sua cultura enogastronomica, che ci rende forti e riconoscibili. Quindi, anche se è stata soltanto la prima edizione, credo che il messaggio trasmesso sia di unità e
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di chiarezza al contempo, presentando vini con diverse caratteristiche per ogni singola area però sotto un’unica bandiera, la Toscana. Il nostro Consorzio si sta impegnando a promuovere in maniera massiccia la diffusione della cultura (e la storia) che sta (dentro e fuori) il bicchiere. Un concetto di territorio enologico e di una denominazione che vuole esprimere qualità e al contempo emozioni forti e vere, durature”. Il Consorzio Vino Chianti si è costituito nel 1927, ad opera di un gruppo di viticoltori delle province di Firenze, Siena, Arezzo e Pistoia, allargando successivamente la sua operatività a tutta la zona di produzione, riconosciuta dal
Disciplinare del 1967, poi recepita nella Denominazione di Origine Controllata e Garantita riconosciuta nel 1984 e aggiornata, per ultimo, con decreto del 2009. Oltre duemilacinquecento produttori, che interessano più di 10.500 ettari di vigneto per oltre 600.000 ettolitri di Chianti delle varie zone e tipologie, sono tutelati dal Consorzio che, per la sua rappresentatività, ha ottenuto il riconoscimento e l’incarico per la valorizzazione, promozione e vigilanza sulla denominazione Chianti (l’Erga Omnes) con Decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali del 13 settembre 2012. La zona di produzione del
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Chianti è costituita da territori delimitati per legge, che si trovano nelle province di Arezzo, Firenze, Pisa, Pistoia, Prato e Siena. Questo ambiente è caratterizzato da un sistema collinare a grandi terrazze con vallate attraversate da fiumi. L’origine del vino Chianti si perde nei secoli, ma ha avuto la sua consacrazione nell’800 e la prima delimitazione ufficiale nel 1932. La Denominazione “Chianti” può essere integrata con le menzioni aggiuntive Colli Aretini, Colli Fiorentini, Colli Senesi, Colline Pisane, Montalbano, Rufina e Montespertoli, corrispondenti, le prime, alle sottozone geografiche, contemplate dalla prima delimitazione del territorio, stabilita nel 1932, mentre l’ultima, Montespertoli, è stata riconosciuta con Decreto nel 1997. In tali zone specifiche, sono previste per il vino modalità produttive più restrittive e requisiti particolari. Interessante notare il recupero della tipologia “Superiore”, con più alte caratteristiche e che riguarda potenzialmente tutta la zona dei vini Chianti. Il vino Chianti ha visto inoltre riconoscere il suo particolare pregio con la Denominazione di Origine Controllata e Garantita nel 1984. Da quel momento il vino Chianti, oltre ai controlli già previsti, deve sottostare ad un esame organolettico da parte di Commissioni statali di degustazione presso le Camere di Commercio e a specifiche analisi chimiche. Solo dopo aver superato tali esami il Chianti può essere imbottigliato e viene contraddistinto da un contrassegno che ne attesta la validità. Con decreto ministeriale del 1996, è stata modificata la precedente normativa con la emanazione di due distinti disciplinari per i vini Chianti e per il vino Chianti Classico. I vitigni fondamentali che concorrono alla formazione del vigneto Chianti sono i seguenti: Sangiovese minimo 70%, complementari fino al 30% con un massimo per i vitigni bianchi del 10% e del 15% per i Cabernet. La resa massima di uva per ettaro è di 90 quintali per il Chianti, 80 quintali per Colli Aretini, Colli Fiorentini, Colli Senesi, Colline Pisane, Montalbano, Rufina e Montespertoli, 75 quintali
per il Chianti Superiore. Il Chianti è di colore rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento, di sapore armonico, sapido, leggermente tannico, con odore intenso, vinoso, anche con sentori di mammola. Può essere consumato, per qualche tipologia, come vino giovane, fresco e gradevole al palato, ma è ben nota anche, per alcune zone, la sua vocazione ad un medio e lungo invecchiamento, con cui matura colore, profumo e sapore inconfondibili. All’Anteprima del Chianti 2014 sono stati schierati 82 Chianti DOCG 2013, 40 Chianti DOCG 2012 e 50 Chianti DOCG Riserva 2011 in un’area dedicata, appartata, dagli spazi luminosi, serviti da inappuntabili sommelier.
VERNACCIA S AN G I M I G N A N O
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Quando Mario Soldati, nel corso del suo viaggio nel mondo dei vini italiani compiuto negli anni Sessanta, si fermò a Pietrafitta e ne assaggiò la Vernaccia, così si espresse: “Non esiste in Italia niente di simile, paragonandolo a tutti gli altri bianchi, stupisce… E’ profumato, sapido, liscio, seducente”. A distanza di anni non possiamo che confermare queste parole e sottolineare il valore del vino bianco locale. Pur con tutti i limiti del caso - i soliti campioni da vasca e gli imbottigliamenti comunque troppo recenti, fattori che contraddistinguono tutte le anteprime, purtroppo - gli assaggi hanno evidenziato una freschezza segnata da un carattere agrumato e di erbe aromatiche, con qualche riverbero minerale. La macchia bianca della rossa Toscana accentua il suo carattere di piccola DOCG gioiello, con vini precisi, puntuali e non più vittima (se non in rari casi) di eccessi di concentrazione e legno. Segno di maturità dei produttori, che lavorano sempre più con le idee chiare circa il loro vino, e che hanno messo a frutto anni di confronti con enologi e altre denominazioni bianchiste del mondo. Un percorso che quest’anno, sotto la vigile guida del Euposia Giugno 2014
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presidente Letizia Cesani, ha visto avvicendarsi nel ruolo di direttore Stefano Campatelli (ex direttore del Brunello di Montalcino), ben intenzionato a proiettare la Vernaccia di San Gimignano ancora più in alto nella scala di valore del vigneto bianco italiano. L’annata 2013 passerà alla storia come una delle vendemmie più
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ritardate di sempre, con gradazioni in lenta crescita dopo un agosto e un inizio settembre freschi e miti. La classica annata da vigneron, nella quale si possono esprimere i talentuosi. Trentasei le aziende che presentavano 64 vini. Quarantaquattro per il 2013, 7 della vendemmia
2012 e 2 dell’annata 2011. Per le riserve: 5 del 2012; 8 del 2011 e un solo vino del 2010. Com’è andata l’annata? La vendemmia 2013 ha chiuso bene un’annata che era partita con una certa difficoltà dopo un decorso invernale normale, ma con una primavera fredda e piovosa, che se da una parte ha ripri-
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stinato le falde acquifere sotterranee che necessitavano di essere riequilibrate dopo la siccità del 2012, dall’altra ha rallentato la fase vegetativa delle viti, partita in ritardo, e favorito le condizioni per lo sviluppo delle più comuni malattie della vite che ha costretto i produttori ad un attento monitoraggio delle vigne. Queste condizioni hanno portato ad una vendemmia “tardiva” rispetto al trend degli ultimi anni, ma nella norma rispetto al lungo periodo per il vitigno Vernaccia di San Gimignano, che vede nella seconda metà di settembre la corretta maturazione delle uve. Il sole di agosto e settembre, insieme all’elevata escursione termica tra giorno e notte, hanno alla fine garantito la perfetta maturazione delle uve, sane al momento della raccolta e con una grande complessità aromatica e un’elevata acidità che oggi si riscontra nei vini imbottigliati. Pertanto l’annata 2013 ha confermato le aspettative dell’andamento climatico della primavera e dell’estate da una parte e lo stato sanitario e di maturazione delle uve dall’altra; vini di buon equilibrio, con acidità elevata a garanzia di freschezza e ricchezza di profumi floreali; quasi sempre presenti note agrumate (ananas e pompelmo) e sentori di frutti a polpa bianca (pesca, mela, banana). Una precisazione: da tempo abbiamo capito che la Vernaccia è un rosso vestito da bianco, che ha bisogno di tempo per distendersi in tutta la sua complessità. Quindi, ripeteremo questi assaggi a distanza di mesi, per una miglior valutazione, attualmente siamo di fronte ad un work in progress. VERNACCIA E GRÜNER VELTLINER Un appuntamento irrinunciabile all’interno dell’Anteprima è “Il vino bianco ed i suoi territori”, che vede ogni anno la Vernaccia di San Gimignano incontrare nella splendida Sala Dante un vino bianco straniero. Un momento di riflessione sull’universo dei vini bianchi, un confronto diretto tra produttori provenienti da zone spesso molto diverse tra loro per terri-
torio, tradizione e cultura. Per questa nona edizione il vino ospite scelto da Francesco Falcone, conduttore della degustazione, è stato il Grüner Veltliner austriaco: due verticali, una per ciascuna denominazione, di sette etichette, dal 2012 al 2002 per la Vernaccia di San Gimignano, dal 2012 fino al 1987 per il Grüner Veltliner. “Dall'Elsa al Danubio. La Vernaccia di San Gimignano incontra il Grüner Veltliner” questo l'ironico titolo dell'evento: ma mentre se si parla di acqua ha poco senso mettere a confronto la piccola Elsa con il grande Danubio, parlando di vino la degustazione ha confermato come la Vernaccia di San Gimignano abbia tutti i titoli per incontrarsi con i più grandi vini bianchi del mondo. Durante l’incontro, giunto alla nona edizione, Falcone ha dato il meglio di sé. Ecco come ci ha descritto la Vernaccia: «Ci sono vini che noi addetti ai lavori definiamo “sotterranei”. Oppure silenziosi. Altrimenti chiusi, lenti, complicati. Aggettivi che bene si prestano, quale più, quale meno, alla personalità della Vernaccia di San Gimignano, bianco tra i più interessanti e allo stesso tempo meno esplorati dell’Italia centrale. Un vino che quando è interpretato con sincerità, mai cede alle lusinghe del frutto e dell’aromaticità rassicurante, proponendo invece un repertorio espressivo fatto di ruvidezze terragne e di dissonanze olfattive: vere e proprie insidie per il bevitore alle prime armi o per il degustatore frettoloso. Per questa ragione, se per tutti i vini vale il principio veronelliano secondo cui si deve degustare con amore (ovvero con tutte le attenzioni possibili), per la Vernaccia (la cui etimologia rimanda al "vernacolo" e dunque alla sua terra d’origine) quel precetto si fa ancora più stringente, necessario. A questo punto, l’unica conclusione possibile è forse la più elementare: assaggiare e “ascoltare” con calma questo bianco così particolare, cercando di percepirlo parola per parola, frase per frase, parte per parte. È solo così facendo che, alla fine, si potrà capire - e magari amare - un pò di più». Euposia Giugno 2014
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La batteria proposta vedeva 7 vini: Tenuta Le Calcinaie – Vernaccia di San Gimignano Riserva Vigna ai Sassi 2012; Colombaio di Santa Chiara Vernaccia di San Gimignano Selvabianca 2011; La Lastra – Vernaccia di San Gimignano Riserva 2010; Fattoria San Donato - Vernaccia di San Gimignano Riserva Benedetta 2009; Panizzi - Vernaccia di San Gimignano Riserva 2006; San Quirico - Vernaccia di San Gimignano Riserva Isabella 2004; Cesani - Vernaccia di San Gimignano Sanice 2002. La bravura di Francesco ci ha fatto davvero apprezzare il suo lavoro di selezione. Per il vino “estero”, dell’Austria, il Grüner Veltliner, Francesco Falcone si è così espresso: «Carta geografica alla mano, dai bianchi prodotti a ovest di Vienna un assaggiatore inesperto potrebbe a giusta ragione aspettarsi vini di impostazione estremamente nordica, segnati da durezze di tipo
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germanico, e invece una volta assaggiati non esiterà a ricredersi, scoprendo liquidi che spesso richiamano l’Alsazia e la Borgogna. In particolare sul versante del Grüner Veltliner, la più popolare e diffusa varietà austriaca che nei distretti del Wagram, del Kamptal, del Kremstal e della Wachau ottiene risultati anche superiori (in termini di originalità e di personalità) a quelli del più celebre Riesling. La bassa piovosità dovuta alla protezione delle montagne a nord, l’aria calda proveniente dalla pianura pannonica a est, lo straordinario contributo termico del Danubio, la qualità dei terreni (leggeri e minerali) e una gestione viticola assai consapevole da parte dei più bravi vignaioli locali sono elementi che si traducono in bottiglie di pienezza, generosità e personalità sorprendenti. In gioventù – e nelle versioni meno ambiziose - il Grüner è un bianco “sereno” nei modi e versa-
tile negli abbinamenti, ma nelle migliori condizioni possibili – e dopo qualche anno di affinamento in bottiglia – può raggiungere un profilo fine e profondo a un tempo, di attraente completezza. Al contrario di quanto accade con i Riesling più affermati della Germania, qui non è l’acidità vibrante, né lo zucchero che la fodera, a dettare le regole del gioco, poiché si tratta di vini più paffuti, più fisici, più fibrosi, assai contenuti nel residuo zuccherino e ben proporzionati nei valori acidi. Vini che tuttavia poggiano su quelle doti di purezza, di sapidità e di longevità che sono tipiche dei grandi bianchi nordici, e che per questa ragione sembrano essere stati modellati con un calibrato impasto luce e di terra». Questa la serie proposta: Weingut Nigl- Kremstal Reserve Herzstück vom Kirchenberg Grüner Veltliner 2012; Weingut Knoll Wachau Loibenberg Smaragd Grüner Veltliner 2010; Weingut
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Bernhard Ott- Wagram Rosenberg Erste Lage Grüner Veltliner 2009; Weingut Prager - Wachau Achleiten Stockkultur Smaragd Grüner Veltliner 2008; Weingut Franz Hirtzberger- Wachau Spitzer Rotes Tor Smaragd Grüner Veltliner 2004; Weingut Schloss Gobelsburg - Kamptal Reserve Grub Erste Lage Grüner Veltliner 1999; Weingut Mantlerhof Kremstal Lössterrassen Kabinett Grüner Veltliner 1987. Un confronto serratissimo fra i due vitigni, che nelle loro rispettive ed evidenti diversità, hanno permesso di godere della piacevolezza di vini unici, personali, distinguibili nella loro unicità.
UN BREVE EXCURSUS E QUALCHE NUMERO
Il territorio di produzione delle Denominazioni tutelate ricade interamente all’interno del Comune di San Gimignano, collocato nella parte nord-ovest della provincia di Siena, nel cuore della Toscana. E’ un territorio interamente collinare collocato tra i 200 ed i 500 m s.l.m., i suoli sono di origine pliocenica, risalenti a 6,8- 1,8 milioni di anni fa. La superficie del Comune di San Gimignano è di circa 12.500 ettari, dei quali 5.600 sono destinati a produzioni agricole (vite, olivo, cereali). Quella destinata a vigneto è di 1.900 ha dei quali 720 destiEuposia Giugno 2014
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TENUTE LE CALCINAIE VERNACCIA 2013 Profilo olfattivo di ginestra e sambuco, fruttato di mela e pesca bianca, suadente speziatura. La trama gustativa è splendida, di impressionante finezza, precisa eppure personalissima. Sapido, per certi versi saporito, succoso, gode di una progressione autorevole e di un allungo finale nitido. Riesce ad essere già equilibrato, il tempo non potrà che giocare a suo favore. Questa tenuta, avviata nel 1986 grazie al lavoro di Simone Santini, si estende su 10 ettari vitati con terreni argillosi, ricchi di scheletro e calcio (da cui il nome dell'azienda). Il primo imbottigliamento risale al 1993, dal 1995 Santini produce uva con sistemi biologici, fino ad arrivare alla certificazione biologica nella vinificazione nel 2001. LA LASTRA VERNACCIA 2013 La sapida mineralità, il fruttato e il floreale si inseguono in un lento girotondo aromatico che fornisce un movimento lento ma inesorabile. Il sorso è armonioso tra pienezza e freschezza e mostra una persistenza di tutto rispetto. Il progetto ‘La Lastra’ nasce per volontà di Renato Spanu e della moglie Nadia Betti nel 1994, aiutati dall'enologo
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Enrico Paternoster. I terreni si trovano sulle colline di San Gimignano, sono ricchi di scheletro, argilla e sedimenti marini. I vigneti si estendono per cinque ettari. PANIZZI VERNACCIA 2013 Vino solare che si distingue per la sua pienezza e profondità. La ricchezza del dettaglio è già intuibile nonostante la gioventù, mentre struttura, purezza complessiva e lo sguardo fermo al futuro sono caratteristiche che ritroviamo nella firma Panizzi. Giovanni Panizzi fondò l'azienda nel 1978. Dopo anni di ricerca la prima uscita dei vini è datata 1989. Da allora l’azienda è diventata un punto di riferimento per tutta la denominazione. Le vigne dello storico appezzamento del podere Santa Margherita sorgono su di un terreno argillo-sabbioso e hanno un'età di trent'anni, mentre il resto delle vigne, poste in cinque zone del comune di San Gimignano, sono su suoli differenti e a diverse altitudini ed esposizioni. CESANI VERNACCIA 2013 Intenso piglio floreale risolto in un’amalgama equilibrato di sapidità e acidità, per una piacevole beva. Dal 1950 la famiglia Cesani
si occupa delle sue vigne con dedizione. Letizia con il padre Vincenzo praticano l'agricoltura biologica nei vigneti che si estendono per 24 ettari e si trovano su terreni sabbiosi ricchi di conchiglie. SAN QUIRICO VERNACCIA 2013 Un saggio di personalità in un vino che svela un forte anelito alla distinzione. Lo spessore non manca, la sua articolazione poggia su una dinamica severa, mai concessiva, sapida ed intensa. L'azienda è di proprietà della famiglia Vecchione dal 1860. Situata in località Pancole, ha iniziato a commercializzare nel 1974. I trenta ettari di viti sono disposti su terreni di origine pliocenica con una sensibile componente fossile.
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I Vecchione hanno scelto il regime biologico per le loro vigne.
ziosa consulenza dell’enologo Paolo Caciorgna, di oltre 150mila bottiglie annue.
PODERI DEL PARADISO VERNACCIA 2013 Veste impida, elegante olfatto dal carattere minerale, floreale, di erbe aromatiche, con un agrume seducente, fresco e levigato. Conferma in una bocca fresca, di bella ampiezza e grande bevibilità, con persistenti note di agrumi. Nel 1973 la famiglia Cetti acquisisce il Podere Paradiso, nucleo dal quale, nel tempo, si struttura l’intera Azienda. Attualmente i Poderi del Paradiso si estendono in un anfiteatro di vigneti ai piedi di San Gimignano con circa trenta ettari vitati realizzando una produzione, con la pre-
FORNACELLE VERNACCIA 2013 Naso accattivante, di susina ed agrumi, pesca bianca e spezie. Un brivido salino lungo e continuo ravviva l’assaggio fondendosi alle persistenze gusto-olfattive. Immediato, godibile nella sua schietta semplicità. L’azienda agricola Fornacelle, fondata negli anni Sessanta, si estende su sette ettari (di cui quattro a Vernaccia) esposti a sud sulle colline di San Benedetto. Marco Giusti, subentrato al timone dagli anni Novanta, ha deciso di entrare in conversione biologica da quest’anno.
Coadiuvato dall’enotecnico e agronomo Fernando Sovali, Giusti ha attestato la sua produzione totale in appena seimila bottiglie. CASA ALLE VACCHE VERNACCIA 2013 Il temperamento dinamico e vivace di delineata acidità sottolinea una struttura succulenta. Il percorso è in divenire, col tempo si definirà compiutamente. La proprietà dell’azienda si compone di 30 ettari di terreno di cui 20 coltivati a vigneto. Il nome è stato scelto per evocare i connotati produttivi della genealogia e per caratterizzare la naturale disposizione alla semplicità della famiglia Ciappi. Euposia Giugno 2014
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nati alla produzione di Vernaccia di San Gimignano e circa 100 destinati alla produzione di San Gimignano Rosso e San Gimignano Vin Santo. E’ un’area caratterizzata da un clima mediterraneo con estati piuttosto siccitose, inverni non particolarmente rigidi e piovosità concentrate in due periodi: aprile-maggio e novembre. La zona beneficia in tutti i periodi dell’anno di una buona ventilazione. Rari gli episodi di nebbia. I terreni destinati alla produzione viticola sono collocati ad una altitudine compresa fra i 200 ed i 500 m s.l.m. I terreni destinati alla produzione della Vernaccia di San Gimignano sono quelli formatisi sui depositi pliocenici marini e costituiti da sabbie gialle (tufo) ed argille gialle che risultano, a loro volta, spesso stratificate su argille più compatte e presenti in profondità. Inoltre sono terreni fortemente caratterizzati dalla presenza di sabbia e quasi privi di scheletro, favorevoli quindi alla penetrazione delle radici delle piante. Sono generalmente poveri di sostanza organica e grazie alla sabbia risultano ben drenati. Proprio la sabbia, il tufo, è l’elemento pedologico caratterizzante dal punto di vista viticolo-enologico per la sapidità che conferisce ai vini che ne derivano. Gli stessi terreni risultano idonei anche alla produzione dei vini San Gimignano Vin Santo e Vin Santo Occhio di Pernice, mentre i terreni con una maggior presenza di argilla sono quelli più idonei alla produzione dei Vini San Gimignano Rosso. Le colline di San Gimignano, pur nella loro comune origine geologica e vocazione viticola, presentano esposizioni, altitudini, composizioni del suolo e disponibilità idriche variabili. Le molteplici, ed a volte uniche, combinazioni di
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questi singoli fattori determinano, anche su un’area così ristretta, un’incidenza significativa sui caratteri dei vini che vi si producono, accentuandone a seconda dei casi i caratteri fruttati oppure quelli minerali, la sapidità del gusto o il sapore di mandorla tipica della Vernaccia nel retrogusto. Tanto che degustando e comparando attentamente i vini si possono individuare delle correlazioni con le condizione pedologiche di alcune aree omogenee. Possiamo indicare a grandi linee: l’area di Pancole posta a nord-ovest e che si sviluppa attorno all’abitato di Pancole; Poggio del Comune posta ad ovest sulle pendici del Poggio del Comune e che si estende verso nord sino a Pancole; Santa Lucia/Montauto posta a sud-est tra le due località e che si estende sino a Ranza; Pietrafitta verso est e che si estende ai lati della vecchia strada che da San Gimignano portava a Poggibonsi; San Benedetto posta a nord-est. La realtà vitivinicola di San Gimignano è caratterizzata da una forte integrazione con il territorio, con i suoi valori ambientali e culturali: i produttori a ragione si sentono i maggiori custodi di uno dei paesaggi più belli del mondo. Vitigno autoctono per eccellenza, la Vernaccia è uno dei vini più antichi d'Italia, la cui storia si fonde con quella della città di San Gimignano: produzione importante nel periodo medioevale, ha condiviso con la città un lungo periodo di declino fino alla seconda metà del ventesimo secolo, momento in cui ha saputo rinnovarsi e incontrare un nuovo successo. Sembra che il vitigno sia stato introdotto dalla Liguria intorno al 1.200 da un certo Vieri de’ Bardi, ma l’origine è incerta, per altri il nome deriva dal latino vernaculum, traducibile con locale, che quindi stava ad indicare i prodotti tipici di un territorio,
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cosa che spiegherebbe l’utilizzo del nome Vernaccia anche per vitigni totalmente diversi, come quelli di Oristano e di Serrapetrona. Della Vernaccia si hanno documentazioni storiche a partire dagli inizi del 1.200: nel 1276 negli 'ordinamenti delle gabelle' del Comune di San Gimignano si riporta l’imposizione di una tassa di tre soldi per ogni soma di Vernaccia venduta fuori del territorio comunale, dal che si evince che la sua fama aveva già valicato le mura della città, come dimostrano anche le numerosissime citazioni letterarie di cui gode tra il XIII e il XVI secolo. La più famosa forse quella di Dante Alighieri, che nella Divina Commedia manda il Papa Martino IV nel Purgatorio a scontare i peccati di gola, in particolare le anguille di Bolsena affogate nella Vernaccia: “…ebbe la Santa Chiesa e le sue braccia: dal Torso fu, e purga per digiuno le anguille di Bolsena e la Vernaccia…”, Purgatorio, Canto XXIV. Di che vino si trattasse, ce lo lascia capire Michelangelo Buonarroti “il giovane”, che lo descrive come il vino che “bacia, lecca, morde, picca, punge” ...
dolce, quindi, ma tannico ed astringente, molto diverso da quello attuale! Ma dopo la grande fortuna dell’epoca medioevale e rinascimentale, della Vernaccia si perdono le tracce fino al secondo dopoguerra dello scorso secolo, quando i viticoltori di San Gimignano riscoprono il valore dell’antico vitigno e iniziano l’avventura che li porterà ad ottenere nel 1966 la Denominazione di Origine Controllata: altro primato della Vernaccia di San Gimignano è quello di essere stato il primo vino in Italia a fregiarsi di tale titolo, a cui è seguita la DOCG nel 1993. Il Consorzio della Denominazione di San Gimignano nasce con il nome di Consorzio della Vernaccia di San Gimignano nel 1972 per volontà di un piccolo gruppo produttori (nove) di Vernaccia, consapevoli dell’utilità e della necessità dell’ aggregazione per una corretta gestione della denominazione. Un’avventura a carattere privato, ma i cui effetti positivi si riversarono poi a più livelli su tutto il territorio del Comune di San Gimignano. Nel corso del 2013 sono stati
imbottigliati 34.382 ettolitri di Vernaccia di San Gimignano dell'annata 2012, per un giro di affari di 27 milioni di Euro, pari alla metà di quello globale legato alla produzione del vino del territorio di San Gimignano, dove vengono prodotte anche la doc San Gimignano Rosso e le docg Chianti e Chianti Colli Senesi, oltre agli IGT e al Vin Santo, per un valore complessivo di 54 milioni di Euro. Anche per quanto riguarda la produzione, si confermano le prime stime, con un aumento della produzione rispetto alla vendemmia 2012 di circa il 10%. La certificazione delle partite di Vernaccia di San Gimignano 2013 è iniziata già nel mese di novembre, con 6.520 ettolitri certificati a fine gennaio (in linea con l'annata 2012), a dimostrazione del buon andamento del mercato della Vernaccia di San Gimignano registrato nel corso del 2013 e negli anni precedenti, con giacenze minime o nulle a fine anno dei prodotti delle annate precedenti. I produttori e i conferitori di uve, sono 162, di cui 130 imbottigliatori, le aziende associate al Consorzio sono 115, dei quali 70 imbottigliano. > Euposia Giugno 2014
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V ERTICE D ’E CCELLENZA Chianti Classico Docg e Nobile di Montepulciano sono ai vertici qualitativi della produzione toscana. Ecco la cronaca del loro “vernissage” di Alessandra Piubello
< Esiste da tempo una confusione idiomatico-geografica tra due diverse DOCG: Chianti Classico e Chianti. Se, infatti, in campo enologico convivono i due termini “Chianti Classico” e “Chianti”, da un punto di vista storico-geografico esiste invece solo il termine “Chianti”. Nel consumatore, ma anche negli addetti ai lavori, il confine tra questi due ambiti si perde e il risultato è che troppo spesso il suffisso “Classico” viene tralasciato riferendosi a un Chianti Classico. In realtà, quel suffisso è veramente importante, perché distingue il vino Chianti
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Classico dal vino Chianti: due DOCG differenti tra loro, con un disciplinare, una zona di produzione e un Consorzio di tutela diversi. Era il 1716 quando il Granduca di Toscana Cosimo III fissò in un bando i confini della zona di produzione del Chianti, area compresa tra le città di Firenze e Siena in cui nasceva l’omonimo vino, che già allora riscuoteva grande successo. Allora nel territorio chiamato “Chianti” si produceva il vino “Chianti”. All’inizio del XX secolo, quando la notorietà del vino Chianti aumentava di anno in anno e il territorio di produzione
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non riusciva più a soddisfare la crescente richiesta nazionale e internazionale, si iniziò a produrre vino al di fuori della zona del Chianti delimitata nel 1716, chiamandolo ugualmente “Chianti” o “vino prodotto all’uso del Chianti”. Fu così che nel 1924, i suoi produttori fondarono il “Consorzio per la difesa del vino tipico del Chianti e della sua marca d’origi-
ne” per tutelarne la produzione. Il simbolo scelto fin da subito fu il Gallo Nero, storico emblema dell’antica Lega Militare del Chianti, riprodotto fra l’altro dal pittore Giorgio Vasari nella sua “Allegoria del Chianti” sul soffitto del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze. Nel 1932, attraverso uno specifico decreto ministeriale, fu aggiunto il suffisso
“Classico” per distinguere il Chianti prodotto nella zona di origine. Da allora il vino Chianti è quello prodotto al di fuori dell’area geografica chiamata “Chianti” (in diverse zone che si aggiungono spesso al nome: Chianti Rufina, Chianti Colli Senesi, Chianti Colli Aretini, Chianti Colli Pisani), mentre il Chianti Classico è il vino prodotto nella zona di origine Euposia Giugno 2014
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LE NOSTRE SCELTE: CHIANTI CLASSICO DOCG CASTELLO DI MONSANTO CHIANTI CLASSICO 2012 Bocca viva e ritmica con una progressiva e avvincente modulazione di sapori. Freschezza di beva ed energia di carattere. Dei 72 ettari impiantati a vigneto, tra i 260 e 310 metri s.l.m., 56 sono a Sangiovese, il vitigno in cui l’azienda (acquistata negli anni ’60 da Aldo Bianchi) ha profondamente creduto fin dall’inizio. I cloni di Sangiovese presenti nei vigneti provengono da selezioni massali delle viti trovate nella vigna Il Poggio, “la madre” di tutte le vigne di Monsanto. Le terre di Monsanto si dividono in due tipologie: il versante nord è costituito da galestri, mentre quello sud da galestri intervallati a tufi. CINCIANO CHIANTI CLASSICO 2012 L’armonia sfila con passo elegante, senza briose impuntature. Calibrato nitore per una trama raffinata. I trentatre ettari di vigna, posta tra i 200 e i 350 metri, in leggera pendenza, sono disposti a sud ovest, circondati da oliveti e da boschi. I terreni sono di medio impasto, con arenarie e rocce di albarese. Alcune vigne raggiungono i 40 anni d’età. L’azienda, di proprietà della famiglia Garrè dal 1983, si avvale della collaborazione di Valerio Marconi, in cantina e in vigna, con la consulenza di Stefano Porcinai. ROCCA DI MONTEGROSSI CHIANTI CLASSICO 2012 Balsamico, con rimandi affumicati. Austero, territoriale. Buono l’allungo e la persistenza con una volumetria davvero ampia. I vigneti, tutti su terreni collinari con dolci
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declivi, di origine calcarea, di medio impasto e con esposizione a sud e sud est, si trovano ad un’altitudine fra 340 e 510 metri s.l.m. L’azienda, con certificazione biologica dal 2006, si estende su venti ettari con vigne che spaziano dai 12 ai 45 anni d’età. Marco Ricasoli Firidolfi, il proprietario, si avvale della consulenza di Attilio Pagli. MONTERAPONI CHIANTI CLASSICO 2012 Un sogno nel bicchiere, un ‘piccolo’ capolavoro di armoniosa timbrica e di cadenzati equilibri, con una viva succosità che si protrae nel tempo. Dieci gli ettari di proprietà della famiglia Braganti, acquistati negli anni Settanta. Michele interviene a fine anni Novanta e da allora (prima bottiglia nel 2003) porta Monteraponi ai vertici qualitativi della denominazione. I vigneti sono distribuiti ad anfiteatro, strappati al bosco che circonda la suggestiva zona, su terreni di matrice marnoso-calcarea con pendenza fino al 25%. QUERCIABELLA CHIANTI CLASSICO 2012 Ricco di sfumature interpretative e di sfacettature cangianti. Consistente la trama tannica che si esprime con una sapida grinta e un allungo notevole. La tenuta, acquistata da Pepito Castiglioni negli anni Settanta per produrre vino per gli amici, con il tempo diventa un punto di riferimento per l’immagine del Chianti Classico nel mondo. Nel 1988 viene convertita al biologico e nel 2000 alla biodinamica. Attualmente
Sebastiano Castiglioni è supportato dall’enologo Guido De Santi. ISOLE E OLENA CHIANTI CLASSICO 2012 Forza alcolica decisa, supportata da un frutto netto e vivo. Giovinezza in un grande fuoriclasse che troverà un ulteriore sviluppo. La famiglia De Marchi acquistò le due fattorie di Isole e di Olena nel 1956. Dal 1976 Paolo, enologo con esperienze in California, si occupa con rigore dell’azienda, privilegiando fra i vitigni il sangiovese senza trascurare gli internazionali. I terreni sono ricchi di galestro. FELSINA CHIANTI CLASSICO 2012 Integrità fruttata e precisione esecutiva. Portamento e droiture notevoli nella sua scorrevole linearità. Acquistata nel 1966 da Domenico Poggiali, l’azienda è condotta da Giuseppe Mazzocolin, ex professore di latino che greco che lasciò l’insegnamento per dedicarsi al vino, coadiuvato dall’enologo Franco Bernabei e, ultimamente, dai nipoti. La proprietà, in zona Castelnuovo Berardenga, è condotta secondo i criteri biodinamici, su terreni molto eterogenei, da calcareo-petrosi ad argillosi. BADIA A COLTIBUONO CHIANTI CLASSICO 2012 Forza caratteriale e nitidezza di frutto manifestano una struttura solida. Buona l’acidità che
conferisce tensione, il sorso è fresco e piacevole nell’allungo finale ritmato. Questa storica azienda di Gaiole che imbottiglia da oltre 50 anni, è di proprietà degli Stucchi Prinetti dal lontano 1846. I vigneti sono gestiti in biologico dal 2000, con un’età media fra i 15 e i 20 anni, su terreni ricchi di scheletro. Maurizio Castelli è il loro enologo. CASTELLARE DI CASTELLINA CHIANTI CLASSICO 2012 Espressività e morbidezza contrastate da giusta acidità e trama tannica. Buona fattura e dignità esecutiva per questo Chianti blasonato. L’imprenditore Paolo Panerai si avvale della collaborazione dell’enologo Alessandro Cellai. Le vigne hanno un’età compresa fra i sei e i quarant’anni e crescono su un terreno ricco di marne calcaree, galestro e poca argilla. SAN GIUSTO A RENTENNANO CHIANTI CLASSICO 2012 Ermetico nel suo carattere, nasconde una profondità compressa di grande finezza che si esprimerà nel tempo. Storica azienda del Chianti Classico, è di proprietà della famiglia Martini di Cigala dagli inizi del Novecento. I terreni sono tufacei, con forte presenza di sabbia, limo e zone calcaree con fossili. L’azienda è condotta in regime biologico, con la consulenza agronomica di Ruggero Mazzilli ed enologica di Attilio Pagli. I vigneti più vecchi sono del 1959, i più giovani del 2012.
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chiamata “Chianti”. Il marchio che da sempre distingue le bottiglie di Chianti Classico è il Gallo Nero, storico simbolo dell’antica Lega Militare del Chianti, riprodotto fra l’altro dal pittore Giorgio Vasari sul soffitto del Salone dei Cinquecento, nel fiorentino Palazzo Vecchio. La storiografia di questo simbolo comprende anche una singolare leggenda ambientata nel periodo medievale. La sua vicenda segnò in pratica la definizione dei confini politici dell’intero territorio chiantigiano, perché fu proprio il comportamento di un gallo nero a deciderne il destino. La leggenda narra che nel periodo medievale, quando le Repubbliche di Firenze e Siena si combattevano aspramente per prevalere l’una sull’altra, il territorio del Chianti, proprio perché intermedio alle due città, fosse oggetto di dispute pressoché continue. Per porre fine alle contese e stabilire un confine definitivo, venne adottato un bizzarro quanto singolare sistema. Si convenne di far partire dai rispettivi capoluoghi due cavalieri e di fissare il confine nel loro punto d’incontro. La partenza doveva avvenire all’alba e il segnale d’avvio sarebbe stato il canto di un gallo. Nei preparativi dell’evento doveva pertanto essere decisiva la scelta del gallo, più che quella del destriero e del cavaliere. I senesi ne scelsero uno bianco, mentre i fiorentini optarono per uno nero, che tennero chiuso in una piccola e buia stia pressoché digiuno per così tanti giorni da indurlo in un forte stato di esasperazione. Il giorno fatidico della partenza, non appena fu tolto dalla stia, il gallo nero cominciò a cantare fortemente anche se l’alba era ancora lontana. Il suo canto consentì quindi al cavaliere di Firenze di partire immediatamente e con grande vantaggio su quello senese, che dovette attendere le prime luci del giorno, quando il suo gallo, cantando regolarmente, gli permise di partire. Ma dato il notevole ritardo che aveva accumulato nei confronti dell’antagonista, il cavaliere senese percorse solo dodici chilometri in solitudine, poiché a Fonterutoli incontrò l’altro cava-
liere. Fu così che quasi tutto il Chianti passò sotto il controllo della Repubblica Fiorentina, molto tempo prima della caduta di Siena stessa. QUALCHE NUMERO Nel 2013 le vendite complessive del Gallo Nero salgono dello 0,5% sul 2012 con l’export ancora a farla da padrone con oltre l’80% del Chianti Classico che esce dai confini nazionali per approdare sui mercati enoici più importanti del mondo. Ma il dato più rilevante è quello del prezzo dello sfuso: nel 2013 un ettolitro di Chianti Classico vale in media 185 euro, con ulteriore tendenza al rialzo, ovvero oltre il 27% in più di quanto valeva nel 2012 (145 euro all’ettolitro). L’export rappresenta l’80% dello sbocco commerciale del Chianti Classico, mentre il mercato interno assorbe stabilmente il 20% delle vendite. Gli Stati Uniti si confermano al primo posto, al 31%, seguiti da Canada e Germania al 10%, Regno Unito con il 6%, Svizzera 5%, Giappone e Paesi Scandinavi al 4%, Benelux, Cina e Hong Kong al 3%, Russia e altri Paesi al 2%. Dal quadro emerge un dato in linea con le tendenze complessive del settore enologico italiano in cui a tirare la volata sono essenzialmente i mercati esteri, con gli Usa che si confermano un mercato strategico per le vendite del Gallo NeroLa produzione di vino Chianti Classico ha raggiunto nel 2013 i 242.000 ettolitri, registrando un incremento del 5% sul 2012 (che stava a 230.000 ettolitri). I soci del Consorzio Vino Chianti Classico sono 560, di cui 365 imbottigliatori. Il Chianti Classico, quello che nel mondo del vino può essere a ragione definito come un vero e proprio “distretto”, può contare su numeri da “grande impresa”: fatturato stimabile in oltre 600 milioni di euro, valore della produzione vinicola imbottigliata di 360 milioni di euro, valore complessivo della produzione olivicola pari a 10 milioni di euro. LA GRAN SELEZIONE La conferenza stampa di presentazione in anteprima mondiale della Gran Selezione del Chianti Classico è avvenuta in un luogo da sogno, nella sala dei 500 di Euposia Giugno 2014
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Palazzo Vecchio a Firenze. Il Presidente del Consorzio Sergio Zingarelli, il direttore Giuseppe Liberatore e l’enologo Franco Bernabei hanno spiegato il nuovo apice della piramide qualitativa del Chianti Classico, la Gran Selezione. «Il Consorzio – ha affermato il presidente Zingarelli con la presentazione della “Gran Selezione” sta dando un segnale forte dal lato qualitativo. Certo questa nuova tipologia, come da prime stime del Consorzio, per ora si attesta sull’8-9% della pro-
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duzione complessiva della denominazione, ma darà un impulso fondamentale. Si tratta di una tipologia che abbiamo voluto fortemente e che “stratifica” ulteriormente e meglio la nostra offerta verso l’alto. Per la prima volta in Italia una denominazione crea una nuova tipologia di fascia alta. È una vera e propria inversione di tendenza una scommessa importante con la quale un vino va a posizionarsi in uno spazio ben definito del mercato». Dai discorsi è emerso che la Gran
Selezione non è una categoria nata dal nulla, per la quale vanno inventati vini nuovi ma, al contrario, nasce come cosa pensata per vini già esistenti. Il Chianti Classico Gran Selezione si colloca dunque al vertice qualitativo della DOCG e sottostà a nuovi parametri chimico/fisici ed organolettici, tanto che prima di ricevere tale classificazione il campione deve superare il test della commissione d'assaggio. Deve essere prodotto dalla stessa azienda che imbottiglia.
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Un vino che non può uscire sullo scaffale prima dei 30 mesi dopo la vendemmia (di cui almeno tre di affinamento in bottiglia). Pur sottolineando le buone intenzioni degli autori di questo progetto, pensato e realizzato per ovviare alle difficoltà della denominazione (in realtà c’è anche il tentativo di riportare dentro la denominazione i Supertuscan a base sangiovese) siamo di fronte ad una scelta discutibile. Il vero salto di qualità e di responsabilità avrebbe dovuto riguardare le tipologie già esistenti, senza inventarne una ulteriore, che produrrà solo maggiore confusione fra i consumatori (ricordo che c'è già grande difficoltà a far capire la differenza fra Chianti e Chianti Classico, non a caso la vera differenza almeno dal punto di vista commerciale la fa il Gallo Nero, che è il marchio che identifica univocamente il Chianti Classico). Quando in tutte le altre denominazioni la Riserva rappresenta il vino di punta, come si fa a giustificare l’ulteriore gradino di una “Gran Selezione”? E poi questo significa che con la Riserva non si è fatto il meglio che si poteva fare, non a caso molte
aziende tendono a farla quasi tutti gli anni, abbandonando la motivazione iniziale che prevedeva l’uscita solo nelle annate effettivamente migliori. Comunque, anche per la Riserva sono state introdotte nuove regole al fine di blindare ancora di più la qualità. Con l'obbligo di presentare il vino alle commissioni di assaggio per l'idoneità che deve rispondere ad ulteriori criteri introdotti relativi all'aspetto organolettico e chimico. Nuova procedura, poiché prima bastava che il produttore dichiarasse l'intenzione di fare del suo vino vecchio di due anni una Riserva. Però quello che ci aspettavamo era un primo passo verso la definizione in etichetta dei vari territori e di cru aziendali che sarebbero poi convogliati in una mappatura di vigne dei vari comuni del Chianti Classico, creando una carta dei cru del Chianti Classico e di conseguenza una maggiore comprensione da parte del consumatore della diversità e delle potenzialità di questa storica zona piena di sfaccettature meravigliose. All’assaggio sembra un vino molto compattamente orientato verso il mercato estero, come ammettono Euposia Giugno 2014
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gli stessi vertici consortili, visto che l’80% della produzione va oltre frontiera. Purtroppo l’affinamento in legno prolungato ha penalizzato molti campioni, unitamente a svianti assemblaggi con vitigni internazionali, che pur ammessi nel disciplinare, non fanno emergere il Sangiovese per unicità e riconoscibilità. Ma diamo tempo al tempo e stiamo a vedere. Trentadue le aziende che hanno presentato trentaquattro riserve, fra le quali le migliori sono state: Fattoria di Lamole Vigna Grospoli 2011 e Lama della Villa 2010, Bibbiano 2010, I Fabbri 2011, Fontodi Vigna del Sorbo 2010, Tenuta di Lilliano 2010, Montemaggio 2010, Sergio Zingarelli 2010. LA DEGUSTAZIONE E veniamo agli assaggi: alla stazione Leopolda di Firenze ci siamo concentrati sull’annata del Chianti 2012, pur essendo presenti anche la 2011, 2012, 2009,
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2008 e le Riserve 2012, 2011, 2012, 2009, 2008 e 2007. In generale, l’annata ha confermato il progressivo riavvicinamento degli aspetti organolettici dei vini ai canoni chiantigiani più tradizionali, con i vitigni internazionali più discreti e con un più sapiente uso delle temperature e dei contenitori (i profili aromatici non sono stati soverchiati dall’uso del legno). Il 2012 si rivela un’annata calda ma piacevole, magari non longeva ma dalla facile sorbevolezza, nella quale si esprimono al meglio i territori più magri con vini fini e asciutti. Quindi vini sempre un po’ carenti di corpo ma giustamente snelli, in generale già abbastanza aperti al naso e senza quei segnali di “cottura” che ci si poteva aspettare. Diciamo una vendemmia da sufficienza, con alcune punte interessanti, in attesa di annate migliori. Purtroppo le prove di botte sul totale dei vini presentati erano tante, poco più della metà. Noi
abbiamo scelto dieci vini, di cui sei sono campioni di botte ma rappresentativi di una qualità annunciata, che andrebbe comunque ripresa in esame. MONTEPULCIANO E IL NOBILE La storia di Montepulciano è da sempre profondamente legata alla fama delle sue vigne e del suo vino, come testimonia la presenza nel centro storico di cantine secolari, ancora oggi in piena attività. Tale legame è confermato anche dai documenti che nel 790 d.C. attestano la donazione di un vigneto alla chiesa e dalla testimonianza del Repetti (“Dizionario storico e geografico della Toscana”) che cita un documento del 1350 in cui sono stabilite le clausole per il commercio e l’esportazione del Vino di Montepulciano. Sante Lancerio (1530), bottigliere di Papa Paolo III, definisce il vino di Montepulciano “vino perfectissimo” mentre celebre è il ditirambo di Francesco Redi che nella sua
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opera “Bacco in Toscana” (1685) scrive “Montepulciano d’ogni vino è Re”. Voltaire, nel “Candido” (1759), accenna ai “maccheroni, pernici di Lombardia e vino di Montepulciano”. Una recente ricerca ha consentito di far risalire al 1787 la denominazione ufficiale di Vino Nobile di Montepulciano utilizzata in una “nota spese” da Giovan Filippo Neri, Governatore del Regio Ritiro di S. Girolamo, storica istituzione di Montepulciano, per un viaggio a Siena. Il vino, DOCG dal 1980, si produce in una zona di dimensioni ridotte, con una superificie di 1.300
ettari, in cui solo le aree orientali e sud orientali hanno la denominazione di Nobile. Non è chiaro se la denominazione Nobile derivi dalla constatazione che fosse una bevanda amata dai nobili e dai signori o che gli stessi fossero implicati nel commercio vinicolo, o, ancora, dal fatto che venisse vendemmiata solo l’uva migliore. In questa zona il sangiovese viene chiamato prugnolo gentile e concorre alla composizione del Nobile per il 70%, al quale si aggiunge un 30% di vitigni complementari a bacca rossa idonei (per esempio mammolo, canaiolo nero fra gli autocotoni, o gli internazionali merlot Euposia Giugno 2014
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ANTEPRIME LE NOSTRE SCELTE: NOBILE
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MONTEPULCIANO DOCG
MONTEMERCURIO NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 L’energia cristallina unita ad una materia polposa trasmettono una potenza vellutata e un’anima verace di nobile finezza. Alle pendici del Tempio di San Biagio, si estendono le vigne, per un totale di dieci ettari. Ad un'altitudine di circa 450 metri s.l.m. con un esposizione favorevole a sud ovest, questo vigneto beneficia di una fertile composizione terrena a base argillosa. L’azienda nata grazie alla volontà e all'impegno della famiglia Anselmi, si avvale della collaborazione dell’enologo Emiliano Falsini. GRACCIANO DELLA SETA NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 Tocco tannico felpato in un palato polposo e di composta tenuta, venato da una flessuosa scia sapida. Profondo e succoso a chiudere. L’azienda, di circa 70 ettari, appartiene alla famiglia Seta Ferrari Corbelli dalla metà del Novecento. Dal 1988 vi collabora l'enologoagronomo Giuseppe Rigoli. I vigneti, su terreni limosi argillosi, sono suddivisi in quattro zone a Gracciano: Toraia, Casale, Rovisci e Maramai. Tre degli ettari hanno quarant'anni mentre gli altri sono stati reimpiantati ciclicamente dal 1991 al 2010. LUNADORO TRADIZIONALE NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 Souplesse gustativa temprata da una caratterizzante forza strutturale. Complesso, profondo, convince per sapidità e succosità, precise anche nell’allungo. La tenuta si estende sul crinale di Valiano per un'estensione di sessanta ettari di cui dodici a vigneto. Le vigne, alcune di quarant’anni, sono ad un’altitudine di 400 metri. Alla cultura “contadina” ereditata dalle proprie famiglie, i proprietari Dario Cappelli e Gigliola Cardinali hanno aggiunto la preziosa collaborazione del-
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l'enologo Maurizio Saettini. IL CONVENTINO NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 Tessitura di spessore, dotata di rimarchevole intensità, si sviluppa in un sorso dalla progressione dinamica che si protrae sensibilmente fino alla fine. L’azienda dei fratelli Brini si estende per ventitre ettari nelle zone vocate di Bossona e Ciarlana, ad un’altezza fra i 400 e i 600 metri, su terreni ricchi di sabbia e argilla. Fondata nel 2003, fu tra le prime del comprensorio ad ottenere la certificazione biologica. La scelta del giovane direttore, Alberto, è stata anche quella di non piantare vitigni internazionali. Attilio Pagli è il consulente enologo. BOSCARELLI NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 Profilo netto e di vibrante intensità, con tocchi speziati che avvolgono le note fruttate. Intrigante, ma senza perdere di vista definizione e chiarezza espressiva. Da seguire nell’evoluzione in bottiglia. Il podere di circa quattordici ettari vitati, acquistato nel 1962, si trova a Cervognano ed è condotto dalla famiglia de Ferrari, con la consulenza dell'enologo Maurizio Castelli. L'età delle vigne è di venticinque anni, con punte di oltre quaranta. I terreni sono in prevalenza alluvionali con presenza di sedimenti, ma si rinvengono anche terre rosse e sabbia. LE BERNE NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 Modulazione di sapori in un’espansione ritmica, cadenzata dalla sicurezza di un’eleganza ben definita. Sensazioni tattili di polposa scorrevolezza si chiudono con coerenza lineare in un finale equilibrato. Giuliano Natalini, attuale proprietario dell'azienda, lavora insieme al figlio Andrea che segue tutta la parte viticola affiancato dall’e-
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nologo Paolo Vagaggini. La prima etichetta risale al 1997. I vigneti, su terreni di origine pliocenica con presenza di conchiglie fossili e sassi, si trovano nella zona di Cervognano su un’estensione di 10 ettari. POLIZIANO NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 Il profilo sensoriale concede un’opulenza misurata, struttura solida e tannini registrati con maestria. Definizione stilistica e prova autoriale a tutto tondo. L’azienda fu fondata cinquant’anni fa dal padre dell’attuale proprietario Federico Carletti. I vigneti risalgono al 1961 (a questa data risale anche la magnifica vigna Asinone), con ampliamenti successivi. I 120 ettari di proprietà sono dislocati in vari punti del comprensorio. Carletti si avvale della consulenza esterna di Carlo Ferrini e dell’enologo aziendale Fabio Marchi. DEI NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 Registro tannico ben calibrato in una trama vitale che si rivela con immediatezza: manifesterà i tratti più complessi e profondi del suo carattere con il tempo. Caterina Dei dagli anni Novanta gestisce que-
sta cantina fondata dal nonno Alibrando. I vigneti si estendono per 55 ettari a Martiena (sede dell’azienda), Piaggia, La Ciarliana e Bossona. Consulente esterno è Nicolò D'Aflitto che opera insieme al tecnico interno Valerio Martelloni. ICARIO NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 Note boisé in un tessuto stratificato ricco di sfumature. Identità stilistica nel timbro di marca sapida che rivela una verve acida prolungata nel finale, denso e saporito. Il titolare Giancarlo Cecchetti fonda l’azienda nel 1998, attualmente è affiancato dai figli Alessandra ed Andrea. L'azienda consta di 22 ettari vitati, tutti intorno al nucleo originale, su terreni a medio impasto argilloso. VALDIPIATTA NOBILE DI MONTEPULCIANO 2011 Buona integrità fruttata, vitalità e precisione esecutiva. La progressione armoniosa della forza gustativa dona una piacevole sorbevolezza con un’intensa persistenza. L'azienda appartiene dagli anni Ottanta alla famiglia Caporali. Miriam la dirige dal 2003, avvalendosi in cantina della consulenza esterna di Eric Boissenot e dell’enologo aziendale Mauro Monicchi. Gli appezzamenti si trovano a Sanguineto, Ciarliana e Poggio alla Sala. La vigna più importante è la Vigna d'Alfiero: 3 ettari piantati trent’anni fa. Euposia Giugno 2014
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e cabernet). Il disciplinare dà quindi ai produttori ampia libertà quanto a stili ed interpretazioni, e a volte questo significa perdere in tipicità e in valorizzazione delle qualità locali. L’affinamento deve essere di due anni, e anche qui, sempre a discrezione dei produttori, possono essere o ventiquattro mesi tutti in legno, o 18 mesi in legno con i restanti mesi in altro recipiente, o ancora, 12 mesi in legno, 6 mesi in un altro recipiente e 6 mesi in bottiglia. I vigneti sono esposti prevalentemente a est ad altitudini che variano dai 250 ai 600 metri, su terreni composti di sabbie, argille sabbiose poco cementate, intercalate da ciottoli e dalla presenza di fossili del Pliocene medio inferiore. Il Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano nasce nel 1965 con l’obiettivo di tutelare e promuovere l’immagine del Vino Nobile di Montepulciano in Italia e nel mondo e, successivamente, anche quella del Rosso e del Vin Santo. Ecco le parole di apertura dell’anteprima da parte del presidente del Consorzio, Andrea Natalini: «Quest’anno siamo particolarmente orgogliosi di aver raggiunto, oltre al traguardo delle venti edizioni, anche il record di partecipazione con ben 41 aziende. Ma non è l’unica notizia importante. Montepulciano infatti ha iniziato un progetto che ha come presupposto la riduzione delle emissioni dei gas-serra e la promozione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica e che si pone come obietti-
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vo la riduzione o la compensazione delle emissioni di CO2 derivanti dalle tre fasi (agricola, aziendale e di trasporto) su cui si articola la produzione della DOCG Vino Nobile. Al termine dell’iter Montepulciano, con la DOCG Vino Nobile, sarà il primo distretto vitivinicolo in Italia a poter certificare l’impatto zero sull’atmosfera della propria produzione vinicola. Il fine è giungere entro il 2020 (scadenza indicata anche dal Patto europeo dei Sindaci, a cui Montepulciano aderisce) alla neutralità delle emissioni di gas clima alteranti grazie all’utilizzo da parte degli Enti pubblici o di privati di buone pratiche quali per esempio rimboschimenti, impiego di pannelli fotovoltaici, produzione di energia da centrali alimentate a biomasse». QUALCHE NUMERO Interessante la crescita del mercato dei vini di Montepulciano che già nel 2013 hanno fatto segnare dei record di vendite con l’export che si è chiuso con un +8% rispetto al 2012 toccando quota 76 per cento di prodotto mentre il restante 24% viene commercializzato in Italia. Per quanto riguarda il mercato nazionale le destinazioni di Vino Nobile sono dirette al Nord (40 per cento), in Toscana si attestano al 19 per cento mentre resta invariata rispetto allo scorso anno la percentuale della vendita diretta in azienda, pari al 19%. Per quanto riguarda l’estero la Germania è passata ad assorbire il 48 per cento della quota esportazioni,
TOSCANA
crescendo del 4 per cento rispetto al 2012 e tornando ad essere il mercato di riferimento per il Nobile. Gli Usa confermano l’ottimo andamento segnando nel 2013 con il 17,5% (+1,5% rispetto al 2012), così come i mercati asiatici che nel 2013 hanno fatto segnare un vero e proprio exploit di vendite passando dall’8,1 al 12 per cento. Secondo i dati elaborati dal Consorzio che riunisce i produttori del territorio. il “valore” del Vino Nobile di Montepulciano tra patrimonio, fatturato e produzione ammonta a cinquecento milioni di euro. Nello specifico in oltre 200 milioni di euro è stimato il valore patrimoniale delle aziende agricole che producono Vino Nobile, a circa 150 milioni ammonta invece il valore patrimoniale dei vigneti (in media un ettaro vitato costa sui 150 mila euro) e di 65 milioni di euro è il valore medio annuo della produzione vitivinicola. Una cifra importante per un territorio nel quale su 16.500 ettari di superficie comunale, 2.200 ettari
sono vitati, il che vuol dire che circa il 16% del paesaggio comunale è caratterizzato dalla vite. A coltivare questi vigneti oltre 250 viticoltori (sono circa 90, in totale, gli imbottigliatori dei quali 78 associati al Consorzio dei produttori) che nel 2013 hanno prodotto 56 mila ettolitri di Vino Nobile e circa 17 mila destinati a divenire Rosso di Montepulciano. Nel 2013 sono state immesse nel mercato circa 7,4 milioni di bottiglie di Vino Nobile e circa 2,5 milioni di Rosso di Montepulciano Doc. LA DEGUSTAZIONE Un’anteprima che conferma la crescita stilistica della denominazione, nonostante l’annata calda. Nel 2011 si sono ottenuti vini con un elevato grado alcolico (tenuto però bene sotto controllo dai produttori), acidità mediobasse accompagnate da pH leggermente elevati, che hanno dato vita a campioni di livello qualitativo con buone intensità coloranti, tannini abbastanza morbidi ed aromi varietali ben sviluppati
anche se sembrano preannunciare un non lunghissimo potere di invecchiamento. Un tempo i vini erano giocati sulla potenza più che sul dettaglio e apparivano spesso in debito di finezza: in generale invece abbiamo riscontrato un dosaggio del legno più mirato e una presenza del Sangiovese più marcata. I produttori stanno piano piano andando verso una maggior espressione territoriale, allontanandosi dall’incertezza caratteriale e dallo stile prono al modello dei Supertuscan. Confortante la presenza di aziende giovani, indice di una realtà viva e dinamica. Per quello che riguarda il 2010, il millesimo della Riserva, l’annata austera e dalle acidità spiccate è stata interpretata con vini eleganti, piuttosto che troppo potenti, con tannini di buona maturità. Ci sono piaciuti Tenuta di Gracciano della Seta, Bossona di Dei, Il Conventino, Le Berne, Valdipiatta. Per la top ten ci siamo però concentrati sul Nobile di Montepulciano 2011.>> Euposia Giugno 2014
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ANTEPRIME
MONTEPULCIANO
A L IETO F INE A Chieti 600 vini abruzzesi in assaggio per riscoprire uno degli autoctoni dalla maggior finezza e longevità. E finita l’epoca dei “tagli” oggi il mercato cresce a due cifre
< AMA! Un imperativo per esortare all’amore? Forse. In realtà è l’acronimo di Anteprima Montepulciano d’Abruzzo, sottotitolata “dedicata a chi AMA il Montepulciano”. Secondo anno d’età per questa giovane manifestazione che ha delle ottime chance di crescere bene. A seguire in breve la sua carta d’identità. Genitori: Gaudenzio D’Angelo, appassionato e vulcanico presidente di Abruzzo AIS e Silvio Di Lorenzo, presidente del Centro Regionale delle Camere di Commercio dell’Abruzzo nonché presidente della Camera di Commercio di Chieti. Padrino: Luca Gardini, testimonial d’eccezione. Residenza: Centro Espositivo della Camera di
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Commercio di Chieti (questa città, con la sua provincia, detiene i due terzi dell’intera superficie vitata dell’Abruzzo). Connotati e contrassegni salienti: 53 stand con 49 aziende partecipanti, 600 etichette di vini abruzzesi in assaggio, per oltre 2.000 bottiglie stappate, tre giorni intensi che vanno qui descritti. Un programma ben articolato, con una prima giornata completamente dedicata ai buyer e alla stampa di settore, con spazio agli incontri d’affari e alla comunicazione. Secondo giorno con apertura al pubblico e varie proposte alternative ai banchi d’assaggio con i produttori, come la degustazione “Con gli occhi delle Donne” condotta con l’estro che lo contraddistingue da Luca
Gardini, che ha presentato undici vini dell’Associazione Donne del Vino della delegazione Abruzzo, capeggiata da Valentina Di Camillo. Ma la denominazione Montepulciano, che con i suoi 900.000 ettolitri rappresenta il 75% del totale regionale, come sta andando sul mercato? Le vendite relative alla prima parte dello scorso anno hanno segnato una crescita del 12% (i dati di fine anno non sono ancora disponibili), con le esportazioni che arrivano ad assorbire il 60% della produzione, (punte fino all’85%). La produzione biologica (oltre l’80% delle aziende viticole della zona si sono convertite), sta diventando un punto di forza, soprattutto nei mercati nordeuropei. D’altronde l’Abruzzo è conosciuto come la Regione Verde d’Europa, grazie ai suoi tre Parchi nazionali (il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e
Molise, il Parco Nazionale della Majella e il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga), al Parco Regionale Naturale SirenteVelino e alle trentotto aree protette che rappresentano il 36,3% della sua superficie totale, la più alta in Europa. Questa regione, così unica, divisa fra il mare e le montagne, offre una varietà incredibile di microclimi ai quali il Montepulciano risponde molto bene. Gli imponenti massicci del Gran Sasso e della Majella generano forti escursioni termiche che, associate ad una buona ventilazione, garantiscono alla vite un microclima ideale, con i vantaggi di una buona piovosità, di un’elevata insolazione e di un’atmosfera mite. Il terreno è caratterizzato da una naturale alcalinità, unita alla presenza di molteplici microelementi. Numerosi documenti storici dimostrano che il vitigno
Montepulciano è presente nella regione sin dalla metà del ‘700 e che ha trovato in questa terra il suo posto d’elezione. Coltivato in passato nella Valle Peligna, in provincia de L’Aquila e nelle colline interne della provincia di Pescara, a partire dagli anni ‘50 del secolo scorso la coltivazione si è estesa a tutta la fascia collinare litoranea e oggi costituisce il principale vitigno rosso d’Abruzzo. Il Montepulciano d’Abruzzo DOC viene ottenuto unicamente da vigneti ubicati in terreni collinari o di altopiano, la cui altitudine non deve essere superiore ai 500 metri s.l.m. ed eccezionalmente ai 600 metri per quelli esposti a mezzogiorno. Viene ottenuto quasi esclusivamente dalle uve del vitigno omonimo, con l’eventuale piccola aggiunta (massimo 15%) di altre uve provenienti da vitigni a bacca rossa idonei alla coltivazione nel territorio Euposia Giugno 2014
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ANTEPRIME
abruzzese. Il Montepulciano d’Abruzzo negli ultimi anni, grazie anche agli sforzi e agli ottimi risultati ottenuti dai produttori, è riuscito ad affermarsi fra i vini più importanti d’Italia, conosciuto ovunque nel mondo. Eppure fino a qualche decina di anni fa il Montepulciano era considerato, e non solo in Abruzzo, un’uva capace di produrre vini “ordinari” e privi di qualità interessanti dal punto di vista organolettico ed enologico. Esattamente com’è accaduto per altre uve, la tenacia dei produttori, convinti che con le uve della propria terra si potessero creare grandi vini, unitamente all’impiego di pratiche enologiche di qualità, anche per il Montepulciano si è verificato il miracolo e in pochi anni ha raggiunto la vetta dell’Olimpo. Famoso per le sue ottime capacità coloranti e per la quantità di estratti, il Montepulciano è stato per anni impiegato come uva da taglio, destinato a dare colore e struttura ai vini, grazie anche alle sue ottime capacità di produzione. Per questo motivo e per molti anni, il Montepulciano è stato coltivato con pochi principi di qualità, poiché il suo impiego era prevalentemente destinato all’assemblaggio con altre uve, considerate un tempo più nobili. In realtà, quando si applicano concetti viticolturali di qualità, il Montepulciano è capace di pro-
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MONTEPULCIANO D’ABRUZZO
durre grandi vini, ricchi, densi e concentrati, ricchi di aromi che con il tempo sanno regalare complessità al naso del degustatore attento. Grazie alla quantità di polifenoli e di alcol, i vini di qualità prodotti con Montepulciano possono infatti maturare in bottiglia per diversi anni, oltre dieci nei migliori esemplari. La storia del Montepulciano d’Abruzzo, che certamente ha ancora infinite e importanti pagine da scrivere, si può definire come una favola a “lieto fine”. Sentiamo cosa ne pensa il professor Attilio Scienza: «I valori fondanti del Montepulciano?? Li riassumo in una frase: pochi vitigni al mondo possono attingere alle sue caratteristiche potenziali di finezza nel tempo e di longevità. Merito di polifenoli e tannini di grande interesse, perché evolutivi negli anni, capaci di ammorbidirsi e fondersi. Naturalmente a patto che alla base ci sia stato un lavoro serio, selettivo, fatto bene. Non troppa uva, ben matura, e lavoro giusto in pianta. Non c’è troppo bisogno, ad esempio, del supporto di legni nuovi per arricchire il patrimonio già cospicuo dell’uva. E questo è un vantaggio doppio, sul piano della percezione profonda del vino, e anche della spesa». Il profilo olfattivo del Montepulciano è prevalentemen-
te caratterizzato dal mondo dei frutti a bacca nera e rossa, oltre a quello dei fiori, specialmente nei vini giovani. L’amarena e la prugna sono gli aromi di frutta più tipici e frequenti, mentre il principale rappresentante del mondo floreale è la violetta. Fra gli altri frutti si riconoscono inoltre mirtillo, mora e lampone, mentre, per quanto concerne gli aromi floreali, è talvolta possibile trovare il ciclamino. L’affinamento in botte regala una sequenza di aromi terziari di vaniglia, cacao, tabacco, liquirizia, cannella, macis e pepe nero. *** Ora, tornando alla nostra Anteprima, i vini del 2013 (campioni da botte) difficilmente potevano garantire i sentori descritti sopra, anche se alcuni erano sulla strada giusta per esprimersi. In particolare ci sono piaciuti Pasetti, Valori, La Valentina, Orsogna Winery, Chiusa Grande, Agriverde Piane di Maggio, Collefrisio, Tenuta Arabona Mia Natura. Ma la grande possibilità offerta da AMA è stata quella di avere una prospettiva più ampia, dato che i vari produttori erano presenti con annate più vecchie. E, fra quelli che non hanno presentato il 2013, vanno citati i vini di Cataldi Madonna e di Torre dei Beati, di grande spessore e godibilità. (Alessandra Piubello) >
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News ARRIVA BARBER'S LONDON DRY GIN, IL GIN DEL BARBIERE! rriva anche in Italia “Barber's London Dry Gin”, il Gin…del barbiere! Questo London Dry Gin trae il suo nome dai tempi lontani in cui i barbieri londinesi potevano ancora esercitare l'arte chirurgica. Nel 1745 il sovrano di Gran Bretagna, Giorgio II, separò con un suo decreto reale le due professioni; ai barbieri del Regno fu comunque consentito di continuare a utilizzare il prodotto alcolico più diffuso dell'epoca, il Gin, che oltre a essere bevuto poteva essere impiegato nelle botteghe come disinfettante e come lozione dopobarba. L'azienda produttrice del “Barber's London Dry Gin”, la “Thames Distillers”, è oggi una piccola distilleria della zona sud - orientale di Londra, in attività da oltre due secoli e appartenente a una famiglia di antiche tradizioni produttive; il Master Distiller è fra l'altro il Presidente dell'Associazione dei Distillatori Inglesi. “Barber's London Dry Gin” è ottenuto partendo dalla base neutra di un'acquavite di cereali,
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distillata tre volte in alambicchi tradizionali; a questa base vengono aggiunti gli ingredienti vegetali, i cosiddetti botanical, che contribuiscono a creare il carattere così spiccato e personale di questo distillato. La produzione di “Barber's London Dry Gin” avviene secondo il metodo più antico, per piccoli lotti, e ogni bottiglia riporta il numero di partita produttiva. Gli ingredienti vegetali sono bacche di ginepro della Croazia, semi di coriandolo del Marocco, timo di Spagna e radici di angelica di Francia. La gradazione è fissata a 40% vol., perfetta per bere il distillato liscio o miscelato. Per le sue peculiari caratteristiche aromatiche, Barber's London Dry Gin può essere degustato liscio, con l'aggiunta di qualche cubetto di ghiaccio, oppure nei classici Gin & Tonic e Martini.
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JRE & PILSNER URQUELL
S DOGANATE B IONDA !
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Sempre più birra nella cucina d’autore. Così quattro giovani chef - Marco Parizzi, Marcello Trentini, Daniele Usai e Filippo Saporito - interpretano Pilsner Urquell
< La cucina d'autore si sta avvicinando sempre di più a nuove tecniche e nuovi accostamenti, talvolta all'orecchio inusuali. Pilsner Urquell, la birra che da sempre è in prima linea sul fronte dell'enogastronomia di qualità, anche grazie alla partnership con i JRE Jeunes Restaurateurs d'Europe, coglie l'occasione per affrontare la sfida e si mette in gioco grazie ad alcuni importanti chef, appartenenti proprio alla "compagine" italiana dei JRE, che la utilizzano per creare accattivanti ricette. Tra questi Marco Parizzi del ristorante Parizzi di Parma, Marcello Trentini del Magorabin di Torino, Daniele Usai del ristorante Il Tino di Ostia e Filippo Saporito de La Leggenda dei Frati di Castellina in Chianti hanno trovato in Pilsner Urquell un buon partner per la loro cucina. MARCO E CRISTINA PARIZZI A Parma, al ristorante Parizzi, Pilsner Urquell diventa ingrediente cardine nella preparazione dello Stinco di maiale in crosta di kamut cotto nella birra con anice stellato, accompagnato da marmellata di cipolle,
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mostarda e chips di patate viola. Lo chef Marco Parizzi utilizza la birra ceca per la cottura a bassa temperatura dello stinco che ha bisogno di cuocere a 62 gradi per 32 ore per poi essere avvolto nella pasta di kamut e nuovamente infornato prima di essere servito. Rigorosamente accompagnato da un bicchiere di Pilsner Urquell, spillata alla perfezione dalla moglie Cristina, in sala. MARCELLO E SIMONA TRENTINI Spostandoci a Torino, al Magorabin, la birra ricopre un ruolo fondamentale sia nella carta delle bevande sia in cucina. Marcello e Simona Trentini propongono subito Pilsner Urquell come aperitivo, in abbinamento ad una entrée di Rape & Salsiccia. La prima birra chiara al mondo, poi, diventa ingrediente indispensabile nella preparazione del Petto d'oca glassato con zabaglione alla Pilsner Urquell e luppolo fresco. Qui, il petto d'oca viene cotto a bassa temperatura e, con i ritagli, si crea un fondo bagnato con la birra che, in seguito, verrà utilizzato per glassare. In una padella si
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BIRRA
LE RICETTE
DEL
JRE
INFO
RISTORANTE PARIZZI Strada della Repubblica, 71 43100 Parma www.ristoranteparizzi.it MAGORABIN Corso San Maurizio, 61 10124 Torino www.magorabin.com IL TINO Via dei Lucilii, 17 00122 Roma www.ristoranteiltino.it LA LEGGENDA DEI FRATI Località Casina Dei Ponti 53011 Castellina In Chianti (SI) www.laleggendadeifrati.it
fa saltare il luppolo e, con la Pilsner Urquell, si prepara uno zabaglione d'accompagnamento. DANIELE USAI A pochi passi dalla capitale invece, al ristorante Il Tino, lo chef Daniele Usai, insieme al sommelier Claudio Bronzi, impiega la Pilsner per eccellenza realizzando un piatto che coniuga due aspetti del territorio: il mare e i campi coltivati a orzo e frumento di Ostia Antica. Nasce qui l'idea di creare un risotto interamente cotto nella birra abbinato a triglie, crema di mais, fiori di luppolo essicati, salicornia e lattuga marina. Una ricetta che impiega la birra in tutte le sue forme e risulta interessante anche a livello nutrizionale grazie all'utilizzo del germe del frumento a crudo. FILIPPO SAPORITO Risalendo verso nord, in Toscana per l'esattezza, troviamo un bravo
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chef che con la Pilsner Urquell dà vita a un dessert originale. Filippo Saporito, del ristorante La Leggenda dei Frati, che lavora con la moglie Ombretta, con la birra ha un rapporto d'amore viste le sue esperienze in Germania e Stati Uniti. Ama berla e per questo motivo ha pensato ad un gelato che ha la caratteristica principale di lasciare il sapore della birra sostanzialmente intatto, mantenendo l'effetto spuma, che ti arriva direttamente al primo assaggio, e le note amare. Con Pilsner Urquell ha creato un gelato cremoso e davvero goloso. Il procedimento è semplice: basta bollire la panna e aggiungervi la Pilsner Urquell, sbattere i tuorli d'uovo con lo zucchero fino a ottenere una crema spumosa e unire i due composti aggiungendo una buccia di limone e un pizzico di sale. Riportare a 80 gradi, far raffreddare e mettere nella sorbettiera. >
News
ROBERTA ARCHETTI, NUOVA CHEF DELLA FATTORIA DEL COLLE e non è una full immersion nel vino poco ci manca! Donatella Cinelli Colombini ha chiesto alla nuova chef della Fattoria del Colle, Roberta Archetti (nella foto in alto a sinistra) di creare piatti in perfetta armonia con tre vini DOCG per offrire ai clienti un'esperienza nuova ed emozionante della sua cantina. Armonie di sapori in un ambiente armonioso con un nuovo arredamento toscanissimo e un panorama che sembra un presepio con le vigne a due passi e il paese medioevale di Trequanda in lontananza. La Chef Roberta Archetti è una bresciana che ha scelto la Toscana e la cucina come pilastri della sua vita, nel suo curriculum spicca il periodo trascorso Al Pescatore di Canneto sull'Oglio della mitica Nadia Santini. A questa donna minuta, seria ma creativa il compito di trovare armonie inedite partendo dalla tradizione locale. E lei c'è riuscita!
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Piatti apparentemente antichi ma rinnovati nelle cotture e negli ingredienti : pinci alle briciole con gotino di Cinta senese su crema di lenticchie di Castelluccio con il Chianti Superiore DOCG 2011. Medaglione di manzo in salsa al Brunello per il Brunello 2009. Braciole di cinghiale al profumo di maggiorana con fagioli di Sorana accompagnati dal Brunello Riserva 2008. I vini in abbinamento arrivano al
bicchiere ed è Florjan Canaj (nella foto qui a lato) che li serve e li spiega. Anche Florjan è una new entry della squadra di Donatella Cinelli Colombini: trent'anni appena compiuti, una simpatia contagiosa ma anche un bel curriculum negli alberghi 5 stelle toscani. L'abbinamento dei piatti e dei vini è costruito sulle assonanze e non sulle complementarietà per cui le intensità dei vini e la loro complessità vengono rispecchiate dalle ricette con una corrispondenza che li esalta. Per chi vuol continuare l'esperienza "di vino" c'è la visita guidata della cantina del Chianti e della Doc Orcia sotto la villa cinquecentesca e forse l'assaggio del Cenerentola 2010. Oppure qualcosa di più sportivo smaltendo le calorie del pranzo con il trekking nei vigneti. Panorami mozzafiato nella campagna più bella del mondo e un piccolo mondo antico dove ritrovare una serena armonia del vivere. Euposia Maggio-Giugno 2014
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BIRRE
B IRRA A RTIGIANALE ? N O, AGRICOLA Dall’acqua di sorgente all’orzo autoctono coltivato in azienda il birrificio La Cotta produce birre naturali di alta qualità nel cuore del Montefeltro di Francesca Lucchese
< Si fa presto a dire birra agricola. Per fregiarsi di questo titolo l’agricoltore deve produrre autonomamente almeno il 51% della materia prima, percentuale che sale al 70% per il marchio Agribirra rilasciato dal COBI di Ancona, il consorzio italiano di produttori dell’orzo e della birra. Dunque l’agricoltore produce in
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azienda il suo orzo e il suo malto oppure può conferire i suoi cereali alla malteria consortile. E questa è la caratteristica sostanziale che differenzia una birra agricola da una artigianale. Poi però c’è chi si spinge ancora oltre, con l’ambizione e il progetto concreto di arrivare presto a produrre autonomamente anche
un luppolo autoctono e realizzare così un’etichetta agricola autoctona al 100%. È il caso del birrificio marchigiano La Cotta che da sempre segue quasi completamente tutta la filiera produttiva fatta eccezione, al momento, solo per i luppoli selezionati dai migliori fornitori di tutto il mondo. Tutto nasce dieci anni fa a
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Sassocorvaro (PU) in pieno Montefeltro, quando l’azienda agricola del nonno diventa contemporaneamente agriturismo e birrificio di alta qualità sotto la guida di Francesco Tontini e Luigi Rengucci. Il ciclo di produzione a km zero è interamente controllato e garantisce l’utilizzo di ingredienti primari naturali e locali. Un ciclo che inizia dall’acqua di sorgente del Monte Carpegna e prosegue nei 60 ettari aziendali coltivati e certificati a orzo distico, con un basso rendimento ma una qualità superiore. La trasformazione in malto avviene nella malteria consortile del COBI di cui La Cotta è socia e da cui riceve la certificazione. Un antico casale ristrutturato custodisce il laboratorio di produzione. Nessun processo di aromatizzazione artificiale viene utilizza-
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to, ogni tipo di additivo è bandito per lasciare che siano i luppoli a lasciare l’impronta aromatica e gustativa nel prodotto finale. L’impianto di produzione è altamente tecnologico e consente di ottenere massima precisione nel processo di birrificazione da cui escono circa 1000 litri di birra al giorno. Anche i due mastro birrai Francesco Tontini e Massimiliano Filippini sono autoctoni. Il clima e il territorio del Montefeltro fanno il resto. Da bere a casa o direttamente nella brasserie dell’azienda, le birre La Cotta sono queste: CHIARA Una bionda strutturata, ad alta fermentazione, i luppoli sono di origine bavarese. Di grado alcolico leggero e dal sapore molto naturale. La più venduta delle
birre La Cotta. ROSSA Grande personalità, brillante e vivace. Agrumata e di grande bevibilità, nel boccale ha un intenso colore rosso aranciato. La schiuma ha un bel corpo e una buona persistenza. Fresca e mediamente amara, il gusto è deciso, ma fresco e particolare. AMBRATA Doppio malto, ma scarsamente corposa e poco persistente. La più alcolica delle etichette con i suoi 6,5% vol. Ciò nonostante è una birra di facile beva, indicata anche in abbinamento a formaggi molto stagionati e confetture. NERA La Cotta non produce volutamente birre cosiddette da medita-
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INFO
La Cotta Società Agricola Colleverde S.s. Sassocorvaro (PU) | Montefeltro Tel. e Fax 0722 76257 info@lacotta.it www.lacotta.it
zione, ma la Nera è sicuramente un prodotto da dopo pasto, magari da accompagnare con dessert a base di cioccolato. Scura e compatta, di grado alcolico contenuto. LA COTTINA Stessa ricetta della Chiara, ma rifermentata in bottiglia nel formato 33 cc. Il volume di spazio ridotto della fermentazione favorisce una maggiore bevibilità. Da bere rigorosamente fredda e direttamente dalla bottiglia. Una piccola miniatura che rende piacevole la bevuta e allo stesso tempo è un accattivante prodotto di marketing. MARINÉRA Uscita agli inizi di marzo di quest’anno Marinéra è una novità assoluta in fatto di birre perché contiene sale estratto dalle saline di Cervia. Intrigante e originale anche nel packaging che evoca piacevolmente i colori del mare. Pensata per il consumo di piatti a base di pesce, è rifermentata in bottiglia e caratterizzata da grande freschezza e bevibilità. La prima birra al sale in Italia. >
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A PPETIZER S ALVA M UNDIAL Quattro ricette col Gorgonzola Dop per affrontare con energia, ma anche tanto sapore, gli “sforzi” del Campionato del Mondo di Calcio. Senza spostarsi dal divano ...
< Arrivano i Mondiali di calcio e, dunque, una domanda s’impone: come ci attrezziamo per le partite? Vuvuzela? Panini? Birra? Patatine ed altri junk-food? Perchè non puntare, invece, ad una prelibata Dop italiana? Il prossimo 12 giugno cominceranno ufficialmente i Mondiali 2014 di calcio che ci terranno inchiodati davanti alla TV. L'Italia scenderà in campo il 14 contro l'Inghilterra. Per accompagnare il cammino della nazionale italiana il Consorzio per la tutela del formaggio gorgonzola ha selezionato una serie di ricette "sfiziose" e
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divertenti. A chi, invece, il calcio oltre a guardarlo in TV lo pratica in prima persona farà piacere sapere che dal punto di vista dietetico-alimentare il Gorgonzola è un alimento sano e completo indispensabile per un equilibrato apporto di quotidiana energia. Di seguito alcune ricette che ben si prestano ad essere gustate sul divano di casa in compagnia di parenti e amici. MINISANDWICH CON PESCE AFFUMICATO
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E GORGONZOLA
Ingredienti per 4 persone: 2 confezioni di pane bianco per tramezzini 300 gr. di gorgonzola piccante - 100 gr. di formaggio fresco 35 gr. di yogurt - 200 gr. di salmone affumicato e affettato 200 gr. di pesce spada affumicato e affettato - 2 zucchine fresche prezzemolo tritato - germogli misti Ponete in una bacinella il gorgonzola a tocchetti, lo yogurt, il prezzemolo, un pizzico di sale e il formaggio fresco, con l'aiuto di una frusta elettrica amalgamate bene il tutto rendendo il composto omogeneo, riponete in fresco. Affettate le zucchine finemente. Passate il pane bianco sulla griglia preriscaldata da ambedue i lati. Assemblate i tramezzini alternando la crema di gorgonzola,le zucchine, il salmone e il pane, ricominciate con la crema di gorgonzola,le zucchine e lo spada affumicato, tagliate i sandwich in diagonale ottenendo due tramezzini per ogni commensale. Servite i sandwich accompagnandoli con freschi germogli misti. - Vino consigliato Vermentino Colli di Luni - Difficoltà facile - Preparazione 20 minuti - Cottura 0 minuti FICHI CON CREMA DI GORGONZOLA Ingredienti per quattro persone: Fichi 4, Gorgonzola dolce 130 g,
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Mascarpone 120 g, Aceto balsamico trad. di Modena 6 cucchiai, Aglio 2 spicchi, Burro 10 g, Erba cipollina 1 cucchiaio, Olio di oliva extravergine Terra di Bari quanto basta, Pane casereccio 4 fette, Zucchero 10 g, Pepe quanto basta o Mettete nella ciotola il gorgonzola e il mascarpone. Lavorateli amalgamando erba cipollina e pepe. o Mettete il burro nella padella, unite lo zucchero, l'aceto balsamico, portate ad ebollizione mescolando finché la salsa si sarà ristretta, aggiungete quindi i fichi tagliati a spicchi nella padella con la salsa e continuate la cottura (circa 1/2 minuto per lato). Sgocciolate i fichi e teneteli da parte, conservando anche la salsa. o Spennellate le fette di pane con pochissimo olio e mettetele nel forno, fino a quando diventano dorate. Strofinate su entrambi i lati con l'aglio, solo se piace. Suddividete il composto di formaggio a cucchiaiate sulle fette di pane.
o Disponete quindi gli spicchi di fichi, irrorate ciascuna fetta con 1 cucchiaino di salsa e servite le bruschette, dopo averle scaldate al grill. Completate, a piacere, con steli di erba cipollina. - Difficoltà media - Preparazione: 25 minuti - Vino consigliato: Chianti classico CROSTATINE CON UVA E GORGONZOLA
Ingredienti per quattro persone: Gorgonzola dolce 150 g Burro 100 g Farina 200 g Panna fresca da cucina 1 dl Sedano n. 1 cuore Uova n. 1 Uva Rosata n. 20 acini Zucchero 40 g Sale quanto basta o Versate nel mixer la farina, il burro a dadini, una presa di sale e 1/2 dl di acqua fredda. Quando ottenete una palla di pasta omogenea, avvolgetela
FOOD
in un foglio di pellicola e lasciatela riposare in frigorifero per 30 minuti. o Stendete la pasta su un piano infarinato e tagliatela per rivestire 8 stampini da tartelletta del diametro di circa 7 centimetri. o Amalgamate nel mixer il gorgonzola, la panna, l'uovo, un pizzico di sale e il sedano tagliato a fette sottili. o Suddividete il composto nelle tartellette e cuocetele nella parte bassa del forno per 25 minuti. o Sciogliete lo zucchero in un padellino con un cucchiaio di acqua e cuocetelo a fiamma media fino a quando si caramella. Unite gli acini d'uva e rigirateli rapidamente nel caramello. Spegnete subito il fuoco e mettete un acino su ogni tartelletta. o Servite quando tutto è ormai freddo. - Difficoltà media Preparazione, 50 minuti Vino consigliato: Moscato di Sardegna FROLLINI AL GORGONZOLA Ingredienti per 70-75 biscotti: Gorgonzola piccante 80 g Burro 110 g Farina tipo 00 130 g Lievito in polvere 1 cucchiaino Noci 50 g
Panna fresca liquida da cucina 30 g Parmigiano Reggiano 50 g Semi di sesamo nero 10g Sale quanto basta o Tagliate il gorgonzola a cubetti e ponetelo in una ciotola unendo il parmigiano grattugiato. Tritate finemente le noci e mettetele da parte. o Mettete su una spianatoia la farina setacciata, il burro, il lievito, il sale e il pepe, quindi impastate fino ad ottenere una pasta liscia. Unite all'impasto il gorgonzola e il parmigiano grattugiato e impastate, formando un panetto, ricopritelo con la pellicola e ponetelo in frigorifero per circa mezz'ora. o Trascorso il tempo di riposo stendetelo su una spianatoia infarinata formando una sfoglia di circa 1 cm di spessore. Ora con l'aiuto di uno stampino rotondo di circa 3 cm di diametro ritagliate i biscotti e disponeteli su una teglia foderata con della carta da forno. Spennellate i biscotti con la panna e ricopriteli con noci tritate e semi di sesamo. o Cuocete in forno preriscaldato a 180° per circa 20 minuti. Estraete i frollini dal forno e lasciateli raffreddare su una griglia. --Difficoltà media - Preparazione, 20 min Vino consigliato: Malvasia dolce > Euposia Giugno 2014
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News
LA LOCANDA AL CASTELLO DI CIVIDALE ENTRA NEI RISTORANTI DEL BUON RICORDO a Locanda Al Castello di Cividale del Friuli di Franca e Albino Balloch è entrata a far parte dell'Unione Ristoranti del Buon Ricordo. Con il Caffè Arti e Mestieri di Reggio Emilia, il Ristorante Chalons d'Orange di Alvito (FR), il Ristorante Lo Stuzzichino di S. Agata sui due Golfi (NA), è una delle 4 new entry 2014 del prestigioso sodalizio, la prima associazione selettiva di imprenditori italiani della ristorazione e ancor oggi è la più nota tra i consumatori. Giungono così a 109 le insegne associate al sodalizio, fondato nel 1964 per salvaguardare le tante tradizioni e culture gastronomiche del Bel Paese, che rischiavano di scomparire davanti alla moda allora in auge della cucina internazionale. Cucina del territorio era allora, e lo è ancor oggi, la loro. Una cucina dove vengono privilegiati i prodotti a km zero e la tradizione culinaria regionale viene valorizzata, coltivata, interpretata al passo con i tempi.
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Euposia Maggio-Giugno 2014
La specialità della Locanda Al Castello è la Bavarese alla ricotta caprina con misticanze, crema di fragole e lardo nostrano, che sarà tenuta in carta tutto l'anno. Nell'idearla, lo chef Albino Balloch si è ispirato alla tradizione mitteleuropea, dando però al piatto una sorprendente chiave salata. La nota di fondo è data dalla ricotta caprina, delicata ma inconfondibile, portata a consistenza spumosa. Poi è un contrappunto di sapori, consistenze e forme, che coinvolge la crema di fragola e il lardo nostrano, avvolto attorno a due grossi grissini artigianali, che completano il piatto nella presentazione in tavola. In abbinamento nel calice viene proposto un Friulano dei Colli Orientali. La Locanda al Castello, annesso all'omonimo hotel di charme, è fra i ristoranti più noti ed apprezzati di Cividale. In una splendida posizione panoramica su un colle in prossimità del centro storico, ha sede in un castello dei primi anni '800 che, da originaria residenza estiva di Gesuiti, divenne
nel 1960 locanda con cucina. Le sale del ristorante sono al pian terreno : la più ampia, panoramicissima, consente di ammirare oltre le grandi vetrate un panorama di grande fascino, dai Colli Orientali del Friuli alle cime delle Alpi che li proteggono. Quelle che un tempo erano le antiche porte d'ingresso alle celle dei Gesuiti, la collegano alla terrazza panoramica dove si pranza nella bella stagione. D'inverno, invece , il cuore del ristorante è il grande, tradizionale, “fogolar”. La cucina ha un'impronta prettamente stagionale. Il menù à la carte è molto ampio e i suoi sapori e le sue proposte, marinare o di terra, spaziano da preparazioni di cucina tradizionale friulana a pietanze nate dalla creatività dello Chef, che interpreta e rielabora ricette tradizionali della cucina nazionale e locale. La fornitissima carta dei vini è improntata essenzialmente su etichette delle più importanti cantine friulane. www.alcastello.net
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Degustazioni: Brunello di Montalcino Verticale Primo Franco Tenuta dei Pianali San Marco Locanda con Ristoro 1727 Gavi Doc
Impaginazione: ConTesto editore scarl grafici@euposia.it Si ringrazia per il materiale fotografico Cristina Fattori, Archivio Consorzio Chianti Classicvo Docg - Consorzio Vernaccia Docg - Chianti Docg Consorzio Montepulciano d’Abruzzo Archivio Pilsner Urquell - Francesca Lucchese, Alessandra Pezzutti - Giulio Bendfeldt
Bollicine autoctone Jefferson, Nebiule Rosato 1787
Copertina: Archivio Roberto Snidaric Concessionaria per la pubblicità: Contesto Editore Scarl Per i siti www.euposia.it e www.italianwinejournal.com info@vinoclic.it Stampa: Tieffe Sansepolcro - Italy Distribuzione per le edicole Sodip Spa, via Bettola, 18 20092 Cinisello Balsamo Prezzo della rivista: 5 euro Arretrati: 8 euro + spese di spedizione Per informazioni: tel. 045.591342 Editore: Contesto Editore Scarl Via Frattini, 3 - 37121 Verona Iscr. Roc n. 12207 del 02/XI/2004 Registrazione Tribunale di Verona n. 1597 del 14/05/2004
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