Euposia # 88 - April 2017

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Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo Anno XV - n. 88 - Euro 5 - aprile 2017

La Rivista del Vino e del Buon Bere

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Durello, un altro territorio da premio California, il winetrip più affascinante

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Vinexpo, largo al mercato - Amarone, ecco la magnifica annata - Fabio Mecca, il ritratto - Pinot Grigio, parla Albino Armani - Tenuta Sant’Antonio - Marina Danieli - Sandro De Bruno - Pepi Mongiardino - Cantina Sedilesu - Marco Valeriani, birraio dell’anno - Acetaia La Secchia - Il Gin che nasce sul Lago di Como - 1077, la nuova linea di Emilia Wine

una passione che dura da 60 anni, abbiamo pensato che il suo nome potesse essere uno solo: 52.

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s o m m a r i o 6

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Primo Piano 12

Vinexpo Conto alla rovescia per la fiera dei record

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Lessini Durello Un territorio candidato all’eccellenza

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Reportage La California che merita un wine-tour

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Pinot grigio Nasce la grande DOC

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Degustazioni Amarone, la grande annata

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Degustazioni I vini di Fabio Mecca

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Personaggi Marina Danieli

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Personaggi Pepi Mongiardino

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Personaggi Marco Valeriani, birraio dell’anno

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Cantine Giuseppe Sedilesu

101 Distillati Un Gin dal lago di Como

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Tel. - Fax 045 591342 - redazione@euposia.it Per inviare cartelle stampa o materiale informativo: Nicoletta Fattori: fattori@euposia.it Per inviare bottiglie da inserire nelle degustazioni cieche: Redazione Euposia - Via Prati 18 - 37124 Verona (Vr)


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N e w s

Cesarini Sforza, debutta la Riserva 1673

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a debuttato la nuova Riserva Di Cesarini Sforza, una delle maison storiche del Trentodoc: si tratta della “ Riserva 1673” prodotta con sole uve Chardonnay maturate nei vigneti della Val di Cembra dislocati nella fascia altimetrica compresa tra i 550 e i 670 m s.l.m dove l’importante escursione termica tra il giorno e la notte e la corretta insolazione contribuiscono a concentrare nei grappoli i tipici e ricercati aromi fruttati e dove il terreno sabbioso, profondo, di porfido dona ai vini un’invidiabile sapidità e una mineralità di lunga persistenza La nuova Riserva 1673, premiata già al debutto anche con i Tre Bicchieri della guida vini del Gambero Rosso 2017, rende omaggio all’anno di nascita ufficiale del casato Cesarini Sforza, cui si giunge in seguito a rocamboleschi avvenimenti grazie al matrimonio tra la duchessa Livia Teresa Cesarini, ultima discendente della omonima nobile famiglia romana e il fascinoso e raffinato Federico Sforza di Santa Fiora, ramo toscano del grande casato degli Sforza. Un matrimonio tanto desiderato da Livia e Federico quanto fortemente osteggiato da entrambi i casati, che solo grazie alla determinazione dei due futuri sposi riuscì finalmente a essere celebrato proprio nel 1673 – dapprima segretamente il 27 febbraio, poi ufficialmente riconosciuto nel giugno dello stesso anno – e segnò l’inizio di una vita coniugale felice, prospera e feconda. L’azienda Cesarini Sforza nasce nel 1974 grazie alla volontà di alcuni Imprenditori del settore vitivinicolo trentino, tra cui spiccano il Conte Lamberto Cesarini Sforza, che diede il nome all’azienda, e Giuseppe Andreaus personaggio di rilievo nella produzione di spumante metodo classico. Sotto la sua guida, nei primi anni Settanta la Cesarini Sforza inizia un ambizioso programma di selezione delle migliori zone del Trentino per la produzione di uve chardonnay base spumante, che sfocerà a fine

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anni Novanta nel “progetto viticolo Trentodoc”. Una sapiente ricerca enologica ed una forte passione danno vita nel 1976 al primo spumante Cesarini Sforza elaborato secondo il metodo classico che permetterà all’azienda di farsi conoscere nel mondo delle etichette trentine e nazionali. Nel 1985 verrà lanciato sul mercato un temerario Rosé metodo classico prodotto unicamente con uve di Pinot Nero coltivate sulle colline della Valle di Cembra. La continua ricerca viticola ed enologica a fine anni Ottanta porta alla nascita della prima riserva Aquila Reale prodotta utilizzando solo uve Chardonnay coltivate sopra i 500 m. Nel 2001 grazie all’entrata nel Gruppo La Vis, l’Aquila Reale diviene un Cru, creato solo con le uve di Maso Settefontane nel comune di Giovo in Valle di Cembra. La Cantina La Vis forte dei suoi 800 soci per 800 ettari di vigneti permette alla Cesarini Sforza di poter attingere alle migliori uve Chardonnay e Pinot Nero. La selezione dei vigneti viene fatta in base agli studi di zonazione che la cantina ha effettuato a fine anni Novanta. Questo ha concesso agli enologi di potenziare le proprie linee di produzione dando vita al progetto Tridentvm che lega in maniera inscindibile la Cesarini Sforza alla propria città, Trento, ed alla Trentodoc, la doc che racchiude tutti gli spumanti metodo classico. Tridentvm è un progetto viticolo ambizioso dove solo i vigneti di Chardonnay e Pinot nero posti sopra i 450 m e lavorati secondo una viticoltura ecosostenibile possono farne parte. Le zone migliori per la produzione delle uve sono state individuate nella Valle di Cembra, nelle alte colline di Pressano e Sorni, nelle colline sopra la città di Trento, nella zona di Meano Cortesano, nella Valsugana ed infine sulle colline di Besagno. Terreni e microclimi diversi garantiscono quella eterogeneità necessaria alla preparazione delle cuvée di tiraggio che daranno vita a dei grandi millesimi.


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N e w s

Uncorking the past

Stappando il passato con le emozioni delle vigne cinquantenni di Lugana doc

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ncilla 2015 Lugana doc e La Ghidina 2015 Lugana doc “due bianchi da paura”. Per la prima volta, ed in anteprima per Euposia, l’azienda Agricola La Ghidina – Ancilla Lugana di Luisella Benedetti, propone due vini bianchi da uva Turbiana, vinificati in purezza, vendemmiata da vigneti cinquatenni. Il primo e’ Ancilla, affinato in acciaio per 9 mesi e poi perfezionatosi in bottiglia per 5 mesi, il secondo La Ghidina, fermentato in barriques di rovere francese non tostato, di secondo, terzo passaggio e poi con medesimo affinamento in bottiglia. Il vigneto di 6 ettari si trova in località Ghidina. Si tratta di un fortunatissimo fazzoletto di terra baciato dal sole ai confini del piu’ grande lago italiano, il Garda, nell’antico lucus tiane il bosco di Diana per i Romani, oggi Lugana di Sirmione. Risultato: una sensazione pressoché’ unica. Per chi non la conoscesse ancora è interessante la vicenda di Luisella, laureata alla Bocconi nella metà degli anni novanta, a pieni voti e con una tesi rarissima all’epoca sugli strumenti finanziari a servizio della crescita d’impresa. Eredita dalla nonna Ancilla, brand name aziendale, le due tenute in località Lugana e Villafranca di Verona. Di qui la decisione di lasciare il lavoro nella finanza, che vedeva poche donne ai vertici e Luisella era tra queste, per rivolgersi alla terra. Un cambiamento radicale di prospettiva, anche tenuto conto della pazienza e dell’umiltà necessarie per arrivare a grandi risultati. Ma ora veniamo all’assaggio, effettuato alla cieca, fatto nella sede dell’azienda che sempre più ospita eventi di livello dedicati al mondo del vino e della cultura. I due vini sono stati aperti in contemporanea ed assaggiati a temperatura ambiente dopo un paio di minuti, circostanza che ha consentito ai lieviti presenti di riequilibrarsi. Questi i risultati Ancilla Lugana doc 2015 Al momento del versamento nel bicchiere emerge immediatamente

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un intenso profumo di minerali, di calcaree, di potassio e note floreali e di fieno tagliato. Il colore giallo paglierino scarico, profumo perfetto, risultato anche di una attenta scelta di sugheri. Al naso prima della nota alcolica vibrante ma non invadente, si percepisce anche un profumo di biancospino e di rosa canina e di pisacani, tipici fiori gialli di campagna. D’altronde non potrebbe essere diversamente data l’assenza di diserbo e l’adesione ai protocolli della lotta integrata. In bocca, sulla punta della lingua, ancora risalta la mineralità che lascia poi però il campo ad una piacevole e delicata nota balsamica di rabarbaro e carciofo. La nota alcolica, pur sensibile, un bianco di 13 gradi, è gradevole e mai scalciante. 92/100 La Ghidina Lugana doc 2015 Se il vino, come sostiene Mario Soldati è “poesia della terra”, questo secondo figlio di Turbiana si presenta regale come un vino d’altri tempi. Giallo paglierino intenso come il sole, minerale anch’esso come il precedente, con in più una nota di maturità risultato di un blend sapiente di legni che nulla toglie ai profumi ma anzi arricchisce l’eleganza. In bocca quindi arriva il sapore di brioches all’albicocca e pane tostato, sempre caratteristica comune una bella nota balsamica, ed in lontananza la freschezza garantita da una spalla agrumale che conferisce al vino una capacità di invecchiare serenamente a lungo. Anche qui aderenza al protocollo di lotta integrata. Grado alcolico di 14 gradi, equilibrato e di bella stoffa. Un vino da re. 94/100 Nota vendemmiale Periodo di vendemmia: attorno alla terza settimana di Settembre, con la possibilità di raccogliere dai vigneti a gouyot posti al sole, uve sanissime grazie anche al diradamento naturale e all’assenza di eventi temporaleschi rilevanti. Una splendida annata. Gli abbinamenti? Fate voi, si tratta di due suggestioni molto versatili.


Santa Margherita: crescita record del Gruppo nel 2016, più 33%

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avvio della nuova controllata a Miami, con l’inizio della commercializzazione diretta di tutti i brand sul mercato americano, fa “bene” ai conti di Santa Margherita Gruppo Vinicolo che chiude l’esercizio 2016 con un fatturato netto di 157,0 milioni di euro ed un EBITDA di 54,6 milioni di euro. In termini percentuali la crescita è stata del 32,9% - nel 2015 le vendite si erano attestate a 118,2 milioni di euro. Alla crescita importante del mercato a stelle e strisce, più 69,5%, hanno fatto riscontro anche importanti affermazioni in tutti gli altri mercati: in Italia l’incremento è stato dell’8,9% (il tasso di sviluppo della ricchezza prodotta nel nostro Paese non ha superato lo 0,9%); in Europa si sono registrati risultati significativi in Germania (più 7,8%), Svizzera (più 13,2%) e in Russia, dove gli acquisiti dei vini del Gruppo sono più che raddoppiati. Importante anche lo sviluppo nell’area Asia-Pacifico con un’Australia che cresce ancora a doppia cifra (più 14,4%) a fronte di un tasso d’incremento medio dell’area del 9,0%: un risultato ancora più eclatante se si considera il ruolo di Paese produttore dell’Australia e dei nuovi accordi commerciali fra i produttori australiani e la Cina, il mercato di riferimento dei prossimi anni. Gli USA si confermano la prima area di sbocco per i vini di Santa Margherita Gruppo Vinicolo col 52,0% delle vendite a valore; l’Italia, col 29,6%, è il secondo mercato; seguono Canada, 5,7%, EMEA al 4,8% e Asia-Pacifico al 4,1%. Complessivamente sono 90 i Paesi raggiunti e ogni giorno oltre 51mila bottiglie di Santa Margherita Gruppo Vinicolo vengono stappate nel mondo. Questi risultati hanno ulteriormente rafforzato la spinta agli investimenti che ha caratterizzato tutta l’ultima decade: nel 2016 sono stati investiti altri 27,5 milioni di euro finalizzati al potenziamento della Cantina “centrale” di Fossalta di Portogruaro, con un moderno impianto di imbottigliamento che verrà inaugurato quest’anno, ed all’acquisto di nuovi terreni e vigneti in diverse realtà vinicole italiane fra le quali Refrontolo, nel cuore della DOCG Conegliano Valdob-

biadene. «Il 2016 – commenta il Presidente di Santa Margherita Gruppo Vinicolo, Gaetano Marzotto – ha confermato la validità della scelta di agire direttamente, con la nostra Società, nel mercato statunitense e di operare coinvolgendo tutti i brand che fanno parte del Gruppo. Si è trattato di un investimento molto importante, 14 milioni di euro soltanto in questa prima fase, che è strategico e getta basi ulteriori per la nostra crescita e per il consolidamento della leadership che ha il vino italiano. Personalmente, mi piace sottolineare anche la crescita in Italia nel 2016 che ha confermato i buoni dati già raggiunti dal nostro mercato interno negli anni scorsi, quando ancora più pesanti erano gli effetti della crisi economica: un segnale importante, positivo per tutti». «Il 2017 vedrà Santa Margherita Gruppo Vinicolo impegnato ancora su molti versanti. – aggiunge Ettore Nicoletto, Amministratore Delegato del Gruppo – Proseguirà l’azione negli USA, facendo conoscere sempre di più tutti i vini del nostro mosaico enologico. Soprattutto avremo ulteriori novità sul versante produttivo. In particolare, l’avvio definitivo della nuova linea di imbottigliamento nella Cantina di Fossalta di Portogruaro permetterà a Santa Margherita Gruppo Vinicolo di proseguire in questo trend espansivo nei mercati di riferimento, a supporto di una domanda molto vivace».

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N e w s

Silvano Nicolato è il nuovo presidente del Consorzio Tutela Vini Gambellara

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ilvano Nicolato è il nuovo presidente del Consorzio Tutela Vini Gambellara e guiderà per i prossimi tre anni l’attività di promozione e valorizzazione della Doc vulcanica vicentina che riunisce i viticoltori dei Comuni di Gambellara, Montebello, Montorso e Zermeghedo. Al suo fianco sono stati nominati vice presidenti Luca Framarin e Giuseppe Zonin. Continuare l’importante azione di rilancio del Gambellara Classico Doc nei confronti dei wine lover italiani e stranieri, tutelare la produzione di Recioto di Gambellara Docg e di Vin Santo, due eccellenze qualitative con una forte tipicità territoriale, e valorizzare il legame tra vini e prodotti agricoli della zono sono gli obiettivi principali del neoeletto presidente. “La zona vulcanica della Doc Gambellara – sottolinea Silvano Nicolato – è un’area dalla lunga tradizione e dalla consolidata vocazione enologica, in cui negli ultimi anni sono stati compiuti passi importanti sul profilo della qualità e della tipicità dei vini. La direzione tracciata è quella giusta: sarà intensificato l’impegno per conquistare sempre più l’attenzione dei consumatori più giovani in cerca di prodotti con una spiccata personalità territoriale e promuovere la grande versatilità dei nostri vini, capaci di abbinarsi perfettamente a tavola sia con le ricette della tradizione locale sia con i piatti di nuova tendenza”. Viticoltore quarantatreenne, sposato con tre figli, Silvano Nicolato è anche vicepresidente di Cantine Vitevis e vicepresidente di Confcooperative Vicenza.

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A completare il nuovo consiglio di amministrazione del Consorzio eletto sono Mattia Cavazza, Silvano Conte, Luca Framarin, Marco Guarda, Gessica Maule, Nicola Menti, Gian Paolo Stanzial, Davide Vignato, Giuseppe Zonin e Michele Zonin.



N e w s

Sempre più “green” per Giusti Wine

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rosegue e si consolida la scelta green di Giusti Wine che adesso investe con decisione nei nuovi vitigni “resistenti”, frutto della ricerca italiana e realizzati dai Vivai di Rauscedo: ad oggi sono già 5 gli ettari (su un complessivo di 75 che diventeranno 100 alla fine del 2018) coltivati con questi vitigni: un ettaro, su due distinti vigneti, è di sauvignon blanc. I due appezzamenti sono ubicati sul Montello, sulla base di due differenti profili sensoriali: «Nelle tenute rivolte a sud, Abazia e Aria Valentina – spiega Mirco Pozzobon, enologo di Giusti Wine – abbiamo piantato un clone che garantisce al vino una maggior struttura e note più fruttate; nei vigneto di più alta collina, in Tenuta Maria Vittoria, abbiamo optato per un clone che garantisce note più vegetali e floreali unite a quelle più “tradizionali” di un sauvignon blanc. Il blend di queste uve dovrebbe darci un vino molto ricco, in aromi e sapori». Questi vigneti sono stati impiantati nel 2016. Con loro, però sui terreni della piana alluvionale del Piave, anche merlot e cabernet sauvignon, di due cloni diversi, per 4 ettari complessivi. «I vitigni naturalmente resistenti a iodio e peronospera rappresentano il futuro della viticoltura: dobbiamo ridurre assolutamente le quantità di prodotti chimici irrorati nelle nostre campagne e attrezzare i nostri vigneti a resistere ai cambiamenti climatici – aggiunge Ermenegildo Giusti, titolare di Giusti Wine -: sempre più spesso assistiamo a fenomeni estremi anche nella nostra zona e questo rappresenta la vera sfida per i prossimi anni. Il mio ricordo va alle vigne di mio padre e di mio nonno: non potevamo aggiungere nulla che non fosse naturale, eppure di grappoli così ricchi e grossi io non ne vedo più. Abbiamo “spinto” troppo; abbiamo sfruttato troppo il suolo. Ora dobbiamo ripensare la nostra agricoltura. E questi primi cinque ettari, i nuovi vini che qui nasceranno nel volgere di pochi anni, sono la nostra “scelta di campo” che si accompagna a lavorazioni più attente: abbiamo appena introdotto, ad esempio, un atomizzatore a recupero per

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non disperdere nell’ambiente i trattamenti, focalizzando il lavoro dove serve, riutilizzando ogni singola goccia. Stiamo già riducendo il fabbisogno di anidride solforosa; producendo energia da fonti rinnovabili e tutelando la biodiversità: nei miei vigneti sono così tornati i migratori e la fauna selvatica». Nel frattempo il Consorzio Asolo Montello DOCG ha deciso di adottare lo stesso protocollo sulle lavorazioni di campagna recentemente attuato dal “cugino” Consorzio Prosecco Conegliano-Valdobbiadene DOCg da cui è separato dal solo fiume Piave. Questo Protocollo diventa così la linea guida in 34 comuni delle due Denominazioni: i viticoltori di 15 comuni della sinistra (Conegliano-Valdobbiadene) ed i 19 della destra Piave (Asolo-Montello) sono orientati a seguire le medesime virtuose indicazioni nella gestione sostenibile dei vigneti. Nel Protocollo Viticolo, per ora, viene fortemente sconsigliata la pratica del diserbo chimico che entro breve sarà vietata. In ogni aspetto della difesa del vigneto sono anche dettagliate le direttive da seguire per realizzare la linea biologica. Nella Foto: i nuovi vigneti di Sauvignon blanc, in Tenuta Maria Vittoria, sorgono a fianco di una vigna centenaria che era stata assorbita dal bosco ed è stata recuperata e mantenuta nei recenti lavori di sistemazione della proprietà.



V i n e x p o

Vinexpo a Bordeaux converge il vino del mondo La rassegna francese si candida a guidare le prossime evoluzioni del settore

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già conto alla rovescia per l’edizione 2017 di Vinexpo, il salone biennale (si svolge soltanto negli anni dispari) di Bordeaux chiamato a fare il punto della situazione di un mercato, quello del vino, ancora in espansione ma contraddistinto da non poche linee d’ombra. Come tradizione, Vinexpo si è fatto precedere da un report – commissionato alla Wine and Spirit Research (IWSR) – che ha analizzato i trend del settore e individuato i trend commerciali dei prossimi cinque anni. Euposia ha intervistato il CEO di Vinexpo, Guillaume Deglise. Quali sono le e novità principali dell’edizione 2017? ««Il salone si svolgerà durante 4 giorni, un formato decisamente più intenso. Oggi bisogna andare dritti all’essenziale. Ed è in questa prospettiva che abbiamo rafforzato le nostre iniziative a favore della filiera. Gli «

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One to Wine Meetings », la cui efficacia è stata plebiscitata dagli espositori di Vinexpo Bordeaux 2015 e di Vinexpo Hong Kong 2016, saranno riproposti. Questo servizio organizza degli appuntamenti business mirati tra espositori e visitatori registrati, direttamente sugli stand. E’ un servizio rapido, efficace e gratuito. In parallelo Vinexpo propone un programma di « Hosted Buyers » di grande levatura, invitando a Bordeaux 200 nuovi compratori internazionali, rappresentativi di una distribuzione in piena evoluzione. L’obiettivo è quello di assicurare la presenza degli attori chiave dell’ecommerce, del travel retail, della grande distribuzione o del settore alberghiero. Questi compratori saranno accompagnati a partecipare agli « One to Wine Meetings » e avranno assicurati 4/6 appuntamenti al giorno, in funzione del loro target. Vinexpo resta l’unico salone indipendente, dedicato al settore dei vini e distillati,


che opera da oltre 30 anni nell’ambito del B2B. Questo primato gli conferisce un’ottima conoscenza dei mercati e lo rende l’appuntamento della filiera». Quali sono le tendenze del mercato e dei consumi che sentite emergere ? «Su numerosi mercati si registra la tendenza a consumare meno ma meglio. La parola chiave è Premiumisation. La crescita di vini spumanti non rallenta nell’insieme dei mercati, Cina inclusa dove rappresenta un’autentica novità. E nella stessa tendenza si nota che i consumatori desiderano consumare prodotti autentici, il bio non è più una tendenza ma una realtà del mercato. I vini a basso tenore alcolico seducono anche una popolazione sempre più attenta alla propria salute, specialmente tra i giovani…»

Quali saranno i momenti forti del salone? «Vinexpo proporrà per la prima volta uno spazio interamente dedicato ai vini biologici e biodinamici. Questa nuova entità, battezzata WOW! (World of Organic Wines!), accoglierà 200 produttori. Lo spazio WOW! Permetterà ai compratori alla ricerca di vini bio di trovare i produttori di loro interesse. Oltre alle degustazioni, questo spazio consentirà momenti di scambio e riflessione etici, autentici, umani e conviviali. WOW! è un appuntamento creato per gli artigiani vignaioli ed i loro clienti. Due conferenze saranno organizzate direttamente da Vinexpo. La prima sul Cambiamento Climatico sarà realizzata in partnership con Wine Spectator. La seconda si concentrerà sul « Mercato del vino e dei distillati post Brexit » La serata ufficiale di Vinexpo, The Blend, si svolgerà Euposia aprile 2017

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quest’anno presso il Palazzo della Borsa, nel centro storico della città, dalle ore 19.30 alle ore 1.00 di martedì 20 giugno. Occasione ideale per sviluppare la propria rete professionale in un contesto rilassato e conviviale. The Blend è riservato ai partecipanti del salone che potranno ritrovarsi intorno ad una selezione originale di vini, champagne, cognac e distillati». Il report di Vinexpo ha dato dei primi segnali molto interessanti. Spinta dalla ricca borghesia, la Cina si appresta a guidare il consumo globale di vini fermi e di vini spumanti entro il 2020, con un tasso di crescita del 4,5%. La Cina inoltre spodesterà entro il 2020 il Regno Unito dalla posizione di secondo mercato dei vini fermi per importanza. La regione dell’Asia-Pacific diventerà, secondo le previsioni, la regione più importante per la crescita in termini assoluti per volume, davanti al continente americano, leader storico. Lo studio 2017 mostra come il continente americano guiderà la crescita per valore (da $44 miliardi nel 2016 a una previsione di $49 miliardi nel 2020), con l’aspettativa di un ampio guadagno nel breve termine per il segmento premium. Il miglior posizionamento sul mercato si è spostato dagli acquisti corporate di fascia alta ad una maggior attenzione al rapporto qualità-prezzo. Gli esportatori francesi, australiani e cileni dovrebbero

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progredire nella loro quota di mercato in questo tipo di segmento. Qualche ulteriore risultato:


• I vini premium nel 2017 registreranno la miglior crescita in tutto il mondo. I vini degli Stati Uniti guideranno la crescita sul loro mercato. Le esportazioni globali di vini premium australiani, francesi ed italiani registreranno un aumento dell’ordine di 1 milione di casse. La Svizzera, il Regno Unito e la Germania realizzeranno le loro migliori performance nell’Europa Nord Occidentale ed i vini della Nuova Zelanda avranno dei buoni risultati in queste ultime regioni. • Il vino rosé continuerà ad aumentare la sua quota di mercato, guidato da Sud Africa, Stati Uniti e dai Paesi dell’Europa Meridionale. Le previsioni per questa categoria mettono in evidenza una crescita del 15% tra il 2016 ed il 2020, e la sua crescita in Sud Africa ne costituirà

un fattore fondamentale a livello mondiale. Le marche come Four Cousins, 4th Street e Robertson attirano il settore delle giovani bevitrici. Le cantine spagnole si sono convertite al rosé come strategia per attirare i giovani consumatori locali. • La crescita del Prosecco è destinata a continuare. Ulteriori 19 milioni di casse di vini spumanti saranno consumate a livello mondiale nel 2020, la metà delle quali sarà rappresentata dal prosecco. I mercati principali saranno rappresentati da Italia, Regno Unito e Stati Uniti, tutti mercati destinati a registrare una crescita di un ulteriore milione di casse entro il 2020. Allo stesso tempo, la “Cava” spagnola registrerà un modesto incremento di ulteriori 300.000 casse entro il 2020 – una crescita rispetto al periodo 2011/ 2015, durante il quale la categoria si era ridotta dell’0,8%. • Rivincita dei raccolti, con l’Italia che riconquista il ruolo di produttore principale. Dopo il picco del 2013, nel 2015 si è registrata una netta ripresa della produzione globale di vino. I migliori contributi alla crescita sono arrivati dall’Italia – che ancora una volta è diventata il più grande produttore mondiale – e dal Cile. Gli Stati Uniti e la Francia hanno registrato raccolti decisamente più importanti della media degli ultimi cinque anni. Al contrario, Argentina e Spagna hanno registrato una decrescita significativa della loro produzione. Euposia aprile 2017

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Durello:

quando il consumatore moderno sceglie lo “spumante alternativo� di

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Carlo Rossi


Momento felice per le bollicine della Doc Lessini-Durello: crescono produttori, bottiglie prodotte e riconoscimenti. Ed anche il suo terroir oggi viene candidato a patrimonio dell’Unesco

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L e s s i n i

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l consumatore moderno sceglie lo “spumante alternativo”. Nove consumatori su dieci sono disposti ad acquistare uno spumante “alternativo” e c’è anche chi è disponibile a pagarlo di più rispetto alle altre bollicine. Zona di produzione circoscritta, appartenenza ad una doc, vitigno autoctono sono i tre requisiti richiesti. A confermarlo l’ultima indagine Wine Monitor (Nomisma) commissionata dal Consorzio di Tutela del Lessini Durello. Del resto, basta solo una visita al territorio di produzione per rendersi conto, de visu, delle potenzialità di questo vitigno dai caratteri particolari, l’uva durella, che riesce a svilupparsi solo qui, sulle colline vulcaniche a cavallo tra Verona e Vicenza. L’indagine di Wine Monitor, svolta su un campione di circa 1.000 consumatori di vino in età compresa tra 18 e 65 anni attraverso la somministrazione di un questionario, ha confermato che ancora pochi italiani

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conoscono il Durello, che però gode di spazi di mercato e prospettive di crescita assolutamente uniche in quanto spumante alternativo. Tre secondo i consumatori intervistati sono le caratteristiche che uno spumante deve avere per definirsi “alternativo”, ovvero zona di produzione circoscritta, appartenenza ad una Denominazione e produzione da vitigni autoctoni. La diffusione limitata e la scarsa riconoscibilità del marchio non risultano, invece, discriminanti e possono trasformarsi in un valore aggiunto. Alla luce di quanto emerso dall’indagine di Wine Monitor, si può dunque affermare che il Lessini Durello gode oggi di uno scenario di mercato favorevole, a cui contribuisce certamente anche lo “sdoganamento” dello spumante, che da vino delle occasioni particolari sta assumendo sempre più i connotati di un vino adatto a tutte le stagioni e ai diversi momenti della giornata, dall’aperiti-


Altre quattro Cantine entrano nel Consorzio di tutela, un segnale di forza

vo a tutto pasto. Una tendenza, quest’ultima, che si sta consolidando sia in Italia che all’estero e che ha permesso al nostro paese di diventare il primo esportatore mondiale di vini sparkling, arrivando oggi a pesare per il 40% nei volumi di tutti gli spumanti commercializzati nel mondo. In base all’analisi dei trend produttivi e di consumo per il 2016, si evince che la doc del Lessini Durello è proiettata verso le 900.000 bottiglie, con una crescita netta rispetto all’anno precedente di oltre il 9%. “Si tratta di un dato molto significativo che testimonia l’impegno dei produttori sulla via del perfezionamento qualitativo”, dice Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio e prosegue “è uno spumante giovane per freschezza e dinamicità, ma figlio o meglio frutto di una storia, di una tradizione, di un’evoluzione lungo i secoli che lo rendono unico. Questo è il Lessini Durello Doc lo spu-

La zona di produzione del Lessini Durello si trova sulle colline tra Verona e Vicenza. Sono coltivati a Durella – il vitigno autoctono dei Monti Lessini, che produce un’uva dalla buccia spessa e dal sapore acidulo – 366 ettari sulle colline veronesi e 107 ettari su quelle vicentine. Sono 428 i viticoltori che coltivano quest’uva autoctona e 23 le aziende che producono Durello. Cantina Valpantena, Cantina Cavazza, Cantina Masari, Cantina Dal Cero, sono le quattro aziende che hanno fatto recentemente il loro ingresso all’interno del Consorzio di Tutela del Lessini Durello, portando a 26 il numero totale degli associati affiancandosi a Az. Agr. Bellaguardia, Ca ntina di Monteforte d’Alpone, Ca’ Rugate, Cantina di Soave, Casa Cecchin, Az. Agricola Casarotto, Cavaggioni Lino, Cavazza, Collis Veneto Wine Group, Az. Agr. Corte Moschina, Dal Maso, Cantina Fattori, Franchetto, Az. Agr. Fongaro, Az. Agr. Marcato, Soc. Agr. Menmade, Az. Agr. Montecrocetta, Az. Agr. Sacramundi, Az. Agr. Sandro De Bruno, Az. Agr. Tamaduoli, Az. Vitivinicola Tirapelle, Cantina Tonello, Cantine Vitevis, Cantine Riondo, Az. Agr. Maltraversi. «L’ingresso di nuove realtà all’interno del Consorzio non può che essere per noi motivo di orgoglio e di soddisfazione – sottolinea Alberto Marchisio, presidente del Consorzio del Lessini Durello – perché significa che la nostra attività ispira fiducia e credibilità tra i produttori, oltre a riscuotere grande successo tra i consumatori. Alla luce di questi quattro nuovi ingressi, siamo chiamati ad intensificare ulteriormente i nostri sforzi, ampliando il raggio d’azione della nostra attività promozionale, soprattutto verso l’estero, sempre consapevoli delle responsabilità che abbiamo in tema di valorizzazione della doc».

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D u r e l l o Alberto Marchisio, presidente del Consorzio Tutela Lessini Durello

mante sempre più ricercato dai consumatori che non si accontentano della bollicina convenzionale, ma che nel calice vogliono assaporare la personalità di un vino, la tipicità di un territorio, la filosofia dei viticoltori.”

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E proprio il 2016 si può considerare un anno straordinario per la produzione dell’area; le piogge avvenute in fioritura ed una vendemmia assolutamente soleggiata hanno infatti determinato una raccolta più scarsa da un punto di vista quantitativo ma qualitativamente eccezionale. L’elevata qualità delle produzioni è stata determinata dall’assoluta sanità delle uve, dalla pigmentazione della buccia gialla-dorata e dai parametri compositivi in cui, oltre alla componente “acida” essenziale ai fini della produzione degli spumanti, è stata evidenziata una gradazione zuccherina al di sopra della media storica. La durella, uva autoctona, ha un valore inestimabile perché si è adattata al territorio attraverso secoli di selezione umana e naturale e, per questo motivo, riesce ad interpretare al meglio il proprio ambiente donando al vino una personalità spiccata e definita. La qualità di questo vino è frutto del lavoro dei suoi


Durello nel mondo, un 2017 all’insegna dei mercati internazionali Il Durello sarà protagonista di due azioni promozionali oltre confine: in Giappone e negli Stati Uniti. Le campagne, coordinate dal Consorzio di Tutela, sono il frutto naturale di un percorso di promozionale e valorizzazione che, dopo Prowein, passerà per Vinitaly e proseguirà a Vinexpo. In America il Durello sarà protagonista di una serie di seminari di approfondimento, dedicati ai vini di origine vulcanica, curati da Jhon Tzabo, autore del libro “Volcanic Wines”. Infatti dopo il successo del Lessini Durello al Volcanic Wine Trade Masterclasses in Los Angeles lo scorso 10 febbraio, TZabo torna a parlare delle “bollicine vulcaniche” a New York il 24 e il 26 marzo. Nel corso del seminario, dedicato a stampa ed operatori, Tzabo analizzerà come nel caso del Lessini Durello il suolo di origine vulcanica lasci un’impronta determinate nel vino grazie ad esempio all’abbondanza di ferro e magnesio presenti nel terreno. A questo si aggiunge il fatto che la porosità dei terreni vulcanici contribuisce ad accumulare acqua e calore solare, che vengono poi rilasciati gradualmente, consentendo alla vite di proteggersi dagli sbalzi climatici. Più articolato sarà invece il progetto in Giappone. Qui le attività si svilupperanno su un doppio binario: una missione promozionale dal 25 al 28 giugno a Tokyo, dedicata a importatori, operatori di settore e stampa specializzata; e una campagna per avvicinare i consumatori, coinvolgendo trattorie di tendenza e ristoranti di fascia medio/alta, nei mesi estivi. In particolare, martedì 27 giugno, l’hotel Meguro Gajoen di Tokyo ospiterà un walk around tasting, in cui ogni azienda partecipante potrà proporre un assaggio di Lessini Durello in abbinamento ad alcuni piatti della tradizione giapponese; a seguire si svolgerà un seminario informativo per illustrare caratteristiche e peculiarità delle bollicine berico-scaligere. Il giorno successivo, mercoledì 28 giugno, nella sede dell’ufficio ICE di Tokyo, le aziende non ancora presenti sul mercato giapponese avranno la possibilità di incontrare privatamente gli importatori interessati ad inserire il Lessini Durello nel proprio portfolio. La campagna di avvicinamento dei consumatori invece prenderà il via, invece, il 1° luglio, quando in numerosi ristoranti di cucina italiana e in trattorie tipiche giapponesi di livello medio/alto sarà proposto il Lessini Durello “by the glass”, con iniziative pensate direttamente dai ristoratori. Gli esercizi che al termine della campagna, il 16 di agosto, avranno venduto un numero maggiore di bottiglie di Lessini Durello riceveranno un riconoscimento da parte del Consorzio. «Questa doppia missione promozionale è senza dubbio per il Lessini Durello un’occasione di forte crescita – sottolinea Alberto Marchisio, presidente del Consorzio del Lessini Durello – perché rappresenta il naturale risultato di un percorso di perfezionamento produttivo e qualitativo iniziato da anni e giunto oggi alla sua piena maturità. Dobbiamo lavorare ancora molto sul fronte della promozione ma ci sentiamo pronti per avere un nostro spazio tra bollicine dal mondo».

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viticoltori che, come un tempo, praticano viticoltura eroica, chiamata così proprio per le condizioni ambientali montane o di forte pendenza in cui è praticata, che complicano indiscutibilmente il lavoro, ma allo stesso tempo valorizzano la tipicità delle uve. Uno spumante giovane e alternativo: stuzzicante, dinamico, mai scontato, con un carattere vulcanico che lo rende unico al mondo. Il Lessini Durello DOC, è un vino che fa sempre la differenza: unico per natura. Comprendere la naturale unicità dei nostri spumanti significa scoprire un vitigno autoctono con caratteristiche molto speciali, un territorio che racchiude in sé l’antica energia della creazione e una mentalità produttiva in cui l’innovazione non è contrapposta alla tradizione: ne è l’energia. “Il Lessini Durello non è un semplice spumante: è certamente un vino moderno, vista soprattutto la crescente richiesta dell’ultimo periodo, ma è anche il simbolo di una viticoltura eroica, perché svolta spesso in maniera difficile. Quando raccontiamo il nostro Lessini Durello” sottolinea Alberto Marchisio Presidente dei Consorzio “assieme alla convivialità vorremmo raccontare la storia che lo contraddistingue, fatta di uomini e di donne che da generazioni operano sui

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Monti Lessini.” In questa direzione va il progetto di candidatura fa leva sul punto 8 dei criteri Unesco per la definizione dell’Unicità, e parte dal presupposto che i giacimenti fossiliferi della Val d’Alpone, una parte della denominazione berico - euganea, nell’est veronese, costituiscono “una testimonianza straordinaria dei principali periodi dell’evoluzione della terra,comprese testimonianze di vita, di processi geologici in atto nello sviluppo delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre o di caratteristiche geomorfiche o fisiografiche significative”. Infatti sotto il profilo scientifico, la Valle d’Alpone è sede di rocce vulcaniche e sedimentarie marine che racchiudono numerosi giacimenti paleontologici dell’Eocene, tra cui quelli di Bolca. “Sotto il profilo culturale invece -sottolinea Giamberto Bocchese, presidente della Strada del Vino Lessini Durello - l’obiettivo è quello di disseminare il valore di questo patrimonio relazionandolo con il paesaggio attuale e con quello costituitosi nelle varie epoche storiche. E’ necessario infatti costruire una consapevolezza diffusa dei valori naturali e culturali, nonché proporre un uso sostenibile e partecipato del territorio, valorizzando Musei, sedi di iniziative culturali, promuovendo la costituzione di reti e percorsi unitari integrati di sviluppo secondo le linee già promosse dall’Unesco nel corso degli anni”.



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wine trail Ăˆ uno dei primissimi Stati produttori di vino al mondo, ma la West Coast è un capolavoro della natura e del lavoro dell’uomo: vigneti meravigliosi che meritano un viaggio

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ra il 1976 quando i giudici, di quello che è conosciuto con il nome mitologico de “le Jugement de Paris”, turbarono il mondo del vino e se stessi con la più nota e contestata degustazione alla cieca della storia. Novelli Paride, i prestigiosi rappresentanti del mondo del vino d’Oltralpe concessero la mela della discordia all’unanimità a due vini californiani, lo Chardonnay Chateau Montelena del 1973 e il Cabernet Sauvignon Stag’s Leap 1973, lasciando indietro le ben più blasonate etichette francesi. Il loro giudizio scatenò accese critiche e imbarazzanti tentate marce indietro, ma di fatto diede il via a una nuova tappa dorata della storia del vino della California, costringendo enologi e sommelier di tutto il mondo a guardare con occhi diversi questa regione vitivinicola.

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Oggi, a distanza di oltre 40 anni, il Golden State produce da solo circa l’85% dei 24 milioni di ettolitri di vino degli USA*, quarto Paese vitivinicolo più importante al mondo, e continua a vincere le competizioni internazionali: è californiano il miglior vino 2016 secondo Wine Spectator, che nello scorso dicembre ha messo in testa alla sua classifica dei Top 100 a livello globale il Cabernet Sauvignon Napa Valley 2013 della cantina Lewis. La Wine Country di Napa e Sonoma è senza dubbio la più famosa e prestigiosa zona di produzione, ma lungo tutta la California ci sono ben 88 AVA (American Vitucultural Area, simile alla nostra Indicazione Geografica Tipica) nelle quali 4.800 cantine, molte a conduzione familiare, producono vini di qualità sempre maggiore. Vini destinati a essere consumati per la maggior parte all’interno


degli Stati Uniti, esportati solo per un 18% e solo nel caso di poche cantine. Insomma, per conoscere davvero i vini californiani bisogna andarci in California. A Nord di San Francisco Attraversare il Golden Gate è un’emozione difficile da dimenticare. Alle proprie spalle si lascia la città più elegante e autentica della West Coast, con le sue pittoresche e colorate case vittoriane, il profilo moderno dei grattacieli della Downtown, gli antichi Cable Car per andare su e giù dalle scenografiche pendenze delle sue strade, i moli turistici dove mangiare enormi e deliziosi Dungeness Crab (ottimi nel ristorante Fog Harbour Fish House al Pier 39) e salpare per romantiche crociere nella baia a bordo della lussuosa Hornblower. Davanti, agli occhi mentre si guida, le imponenti e iconiche campate rosse

del ponte lasciano spazio alla natura ancora intatta, alle colline verdi e agli sconfinati panorami sulle acque della Frisko Bay. A pochi chilometri da qui, la fresca e umida nebbia che viene dalla vicina baia di San Pablo fa dei terreni argillosi de Los Carneros, a cavallo tra le contee di Sonoma e Napa, un luogo ideale per i vitigni Chardonnay e Pinot Noir. Proprio qui Taittinger ha voluto esportare il metodo champenoise per creare sorprendenti bollicine californiane. Lo Château Domaine Carneros è una spettacolare cantina, aperta alle visite e a raffinate degustazioni, ispirata alla casa di famiglia, lo Château de la Marquetterie, nella regione francese della Champagne. Nei suoi 56 ettari di vigneti si producono eleganti Blanc de Blanc, Blanc de Noir e Brut Rosé, oltre a un eccellente Late Disgorged Brut Cuvée (sboccatura tardiva). Poco a Nord della città di Sonoma, a Glen Ellen, cambiano rapidamente i microclimi, ora influenzati dall’Oceano, ora riparati dalle montagne. Ai vitigni Chardonnay Euposia aprile 2017

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e Pinot Noir si affiancano i filari di uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Sauvignon Blanc, ma anche Zinfandel e Syrah. Qui è di rigore una visita alla cantina della Benzinger Family, non solo per provarne gli eccellenti vini (dagli esclusivi blend di taglio bordolese, ai Merlot, ai Cabernet Sauvignon e ai Pinot Noir, con una particolare raccomandazione per il sorprendente Pinot Noir “La Reyna”), ma anche per ammirare la bellezza e il fascino delle sue magnifiche colline vitate, coltivate con successo, rispetto ed equilibrio, secondo il metodo biodinamico. La visita alla proprietà avviene a bordo di un curioso veicolo, tram lo chiamano, trainato da un trattore. Autista e guida è proprio un membro della famiglia Benzinger o del team che lavora nella produzione o nei vigneti e il tour trasmette tutto l’entusiasmo e la passione di questa azienda. Se Sonoma mantiene un profilo più sobrio, la Napa Valley è una vera Disneyland del vino. Qui tutto è spettacolare: dai vigneti di rara bellezza ai vini che sanno coinvolgere gli appassionati e scardinare i preconcetti (se ancora ce ne sono); dalle cantine di design alle riproduzioni di antiche fortezze rinascimentali; dalle visite multisensoriali, all’eleganza delle antiche carrozze restaurate del Euposia aprile 2017

treno-ristorante Wine Train Tour; dai ristoranti stellati alle boutique vinocentriche della main street di Napa. Le estati calde e secche, le forti escursioni termiche e i terreni rocciosi e argillosi rendono la valle ideale per le varietà bordolesi, ma anche per vitigni nostrani, dal Barbera al Sangiovese, dal Nebbiolo al Primitivo (o più spesso al cugino Zinfandel). Scegliere quali cantine visitare tra le oltre 400 di questa prestigiosa regione vitivinicola non è facile. Nomi noti - dalla Opus One, fondata dal Barone Philippe di Rothschild, alla Robert Mondavi, del pioniere assoluto del vino nella valle; dalla Charles Krug, la prima cantina rilevata nel 1943 dalla famiglia Mondavi, all’appena premiata Lewis Cellar – e aziende di più piccole dimensioni, praticamente tutte offrono esclusive visite e degustazioni, perlopiù su appuntamento. Appena fuori Napa, per gli amanti del design e dell’ottimo vino, c’è la Covert Estate Winery: una caverna segreta nella collina, quasi invisibile all’esterno, ideata dallo studio Signum Architecture per custodire, una delle più affascinanti cantine della Napa Valley, fatta di suggestivi corridoi, grandi spazi produttivi sotterranei sapientemente illuminati dalla luce naturale e una impressionante tasting room dove provare gli eccellenti Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e le altre etichette, Azur ed Empreinte,


sempre opera del winemaker e proprietario, francese di nascita e formazione, Julien Fayard. Da Monterey a Santa Barbara La maggior parte del vino californiano è prodotto nella Central Valley e nella spettacolare Central Coast. In generale a dire il vero, si tratta di una produzione di modesta qualità, ricavata da grappoli succosi e “annacquati” che crescono su terreni troppo fertili per dare vini di alto livello. Ma anche qui ci sono AVA di tutto rispetto e produttori che si stanno facendo apprezzare internazionalmente e che vale la pena conoscere da vicino. Monterey è la prima tappa scendendo dalla Costa Nord lungo la spettacolare Highway One. La tranquilla cittadina costiera è famosa per il suo Monterey Bay Aquarium, per la vicina e affascinante missione di Carmel-by-the-Sea del 1797 e per l’esclusivo campo da golf di Pebble Beach. Nel suo entroterra si coltiva la vite e si produce vino fin dal XVIII secolo, dal tempo delle missioni spagnole. Ma è solo negli ultimi anni che un numero sempre più nutrito di produttori sta puntando sull’alta qualità e sull’enoturismo, con risultati che hanno portato la contea all’attenzione dei più importanti magazine di settore, da Wine Enthusiast a Wine Spectator. Le caratteristiche uniche di questa regione sono dovute a un fenomeno climatico chiamato Thermal Rainbow: le acque fredde del Blue Grand Canyon, un enorme canyon sottomarino lungo sessanta miglia e profondo due, nella Monterey Bay, portano nebbia, vento e scarse precipitazioni lungo

Italian style Benché lo stile californiano di fare il vino, si ispiri alla tradizione e al gusto francesi, gli italiani hanno avuto un’importante influenza nella sua storia. Nel 1933, giusto alla fine del proibizionismo, Ernest e Julio Gallo, nati in California ma originari del Piemonte, avviarono come pionieri la produzione di vino nella Central Valley, vicino alla cittadina di Modesto, con un investimento di 6.000 dollari. Oggi, con 90 diversi brand, quindici cantine in California e nello stato di Washington, oltre 9.300 ettari di vigneti solo in California, la E & J Gallo Winery è l’azienda vitivinicola a conduzione familiare più grande al mondo e il primo esportatore di vino californiano a livello globale. Tra gli altri illustri cognomi italiani ci sono Seghesio, Mondavi, Coppola (proprio quel Francis Ford, regista del Padrino e di origine lucana) e… Jaccuzzi. Famosa soprattutto per le vasche idromassaggio che dagli anni Sessanta a oggi hanno dettato legge nel settore del benessere, questa ingegnosa e fortunata famiglia friulana di emigranti ha deciso di dedicarsi anche al vino e possiede due interessanti cantine di medie dimensioni nella contea di Sonoma, Cline Cellar e Jacuzzi Family Vineyards, ben attrezzate per le visite e per piacevoli degustazioni. Dove Dormire: Fairmont Sonoma Mission & Spa 100 Boyes Blvd., Sonoma TEL + 1 707 9389000 www.fairmont.com/sonoma L’hotel più elegante e raffinato della contea di Sonoma è il bellissimo Fairmont Sonoma Mission & Spa, immerso nella cultura edonistica della regione e perfetto come punto di partenza per scoprire sia Sonoma sia Napa. Executive Hotel Vintage Court 650 Bush Street, San Francisco Tel. +1 415 3924666 www.executivehotels.net Per soggiornare nel cuore della metropoli, a due passi da Union Square, contenendo però le spese, questo hotel di Bush Street, in stile Old San Francisco, è essenziale, ma decisamente comodo, con un bel camino intorno al quale approfittare del wine tasting gratuito pomeridiano.

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California

Plaza, e sempre più apprezzata nel contesto californiano; la piacevole tasting room della piccola Pierce Ranch Vineyards, per provare il gusto d’ispirazione portoghese e spagnola dei vini della San Antonio Valley AVA.

la valle del Salinas River. Questo sistema di aria condizionata naturale determina una variabilità notevole nelle temperature estive, rappresentata appunto dai colori dell’arcobaleno, e fa sì che nella regione possano essere coltivate ben 42 varietà diverse, dal Pinot Noir e lo Chardonnay nel mite Nord, fino al Cabernet Sauvignon, allo Zinfandel, al Syrah, al Grenache e al Viognier nel più torrido Sud. Tra le cantine più note e apprezzate c’è la Morgan Winery, una cantina di produzione biologica con vigneti nella AVA di Santa Lucia Highlands, e una tasting room a Carmel dove provare interessanti Chardonnay, Pinot Noir e Syrah. Una delle cantine più belle è la Folktale Winery, nella Carmel Valley, nominata nel 2016 California Winery of the Year (la prima volta per una cantina fuori Napa) per l’originale mix di ottimi vini, belle etichette, concerti e lezioni di yoga tra le vigne. Per una degustazione direttamente in città gli indirizzi sono tre: A Taste of Monterey, wine bar e negozio di vini con etichette di oltre 95 cantine locali, sulla scenografica Cannery Row; la bella tasting room della piccola Carmel Ridge Winery, affacciata sulla Steinbeck Euposia aprile 2017

Procedendo verso Sud, oltre le indimenticabili e spettacolari scogliere di Big Sur e l’incredibile e imperdibile Hearst Castle – eclettica magione del milionario editore protagonista di Quarto Potere di Orson Welles –, nell’entroterra di San Luis Obispo si trova un’altra interessante regione vitivinicola, di antica tradizione ma di recente sviluppo: Paso Robles. In questi bellissimi panorami, tra valli e montagne, si coltivano per la maggior parte varietà a bacca rossa, tra le altre Zinfandel, Cabernet Sauvignon, Syrah e Grenache. Inerpicata su suggestive colline calcaree, si trova la bella e virtuosa cantina Daou Vineyards & Winery. I vigneti e il ranch sono stati pionieri della viticoltura di qualità nella Central Coast negli anni 60 quando la proprietà era di Stanley Hoffman, an-


cora oggi considerato una leggenda del vino californiano. Oggi i due fratelli Daou producono ottimi vini da varietà bordolesi (davvero eccellente il Daou Estate Soul of a Lion 2013) e hanno capito perfettamente, tra eventi, visite, wine tasting e culinary wine paring, come sfruttare il trend dell’enoturismo. Le spiagge e il lungomare di Santa Barbara sono la quintessenza del sogno californiano: surf, relax, divertimento e palme stagliate nel cielo più blu che si possa immaginare. Alle spalle di questa spettacolare costa, un lungo e strano fronte longitudinale di montagne, che al tramonto si tingono di rosa, separa la tranquilla cittadina da una regione vitivinicola che sta conquistando il favore degli esperti. Le montagne in direzione Est-Ovest frenano da Sud la brezza dell’Oceano, mantenendo temperature elevate nella stagione calda, ma questa stessa morfologia consente un flusso di aria fresca e umida che, proveniente dalla costa occidentale, determina una varietà di microclimi e una forte escursione termica tra il giorno e la

notte. Questo vale in particolare per la Santa Ynez AVA, dove l’influenza dell’Oceano si fa sentire e vedere fino alle 9 del mattino con una nebbia fresca che copre i filari. La Gainey Vineyards è una interessante cantina della regione, con vigneti sia nell’area di Santa Ynez, varietà bordolesi, sia nella vicina Santa Rita Hills AVA, Pinot Noir e Chardonnay. Enologo da qualche anno è John Falcone, con alle spalle una lunga esperienza nella Napa Valley e chiaro in mente che il buon vino si fa innanzi tutto in vigna. L’attenzione e la cura in tutte le fasi produttive è condivisa e spiegata piacevolmente durante la visita in cantina, ma si percepisce anche al gusto nelle degustazioni degli ottimi Pinot Noir (Limited Selection 2014), nei cuvée di varietà bordolesi (Patrick’s Vineyard Selection 2013), e un po’ meno nei bianchi, Chardonnay e Sauvignon Blanc, comunque niente male. In città a Santa Barbara è possibile degustare vini di 27 piccole cantine della regione che hanno le proprie tasting room nelle vie del centro e che formano il divertente Urban Wine Trail. Tra le più interessanti Kunin, sulla Anacapa Street. Dove Dormire Hotel Milo Santa Barbara 202 W Cabrillo Blvd, Santa Barbara Tel. +1 866-547-3126 www.hotelmilosantabarbara.com Affacciato direttamente sullo spettacolare lungo mare di Santa Barbara, offre ai suoi ospiti lo Urban Wine Trail package, che include 4 degustazioni per due persone in 4 tasting room della città (inclusa Kunin), oltre a eventi di degustazione guidata nella propria lobby.

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Verso il confine Le prime viti furono portate dai missionari spagnoli nel 1769 e furono impiantate nella missione di San Diego di Alcalà. La storia del vino della California nasce dunque all’estremo Sud dello stato USA, dove oggi si trovano la bella e dinamica città di San Diego e la “famigerata” frontiera con il Messico (nel prossimo numero scopriremo che attraversandola si può conoscere un’altra grande wine destination). Queste terre granitiche, fresche di notte, calde e secche di giorno, hanno un grande potenziale per la produzione di vino di alta qualità. Eppure la San Diego County è ancora indietro rispetto ad altre regioni californiane e i suoi vini in generale stentano a convincere. Ci sono, a dire il vero, diverse virtuose eccezioni – notevoli sono il Bonsall Cabernet Sauvignon Euposia aprile 2017

2014 della cantina 2plank, a Nord di Escondido, il Grenache 2013 della Palumbo Family Vineyards, nella Temecula Valley, e il 33° North Gracie Hill Vineyard “Dalla Collina” della Fallbrook Winery, a Fallbrook – che rendono evidente come la situazione sia in piena evoluzione e che, con tutta probabilità, nei prossimi anni, anche i


vini di questi vigneti del Sud potranno ottenere ottimi riscontri internazionali. Intanto ai giovani imprenditori del vino di San Diego e della South Coast non mancano certo iniziativa e inventiva, e così la regione dà i punti alla Napa Valley per numero di winery restaurant. Sono davvero molte, infatti, le cantine che propongono, oltre alle visite e alle degustazioni dei vini, anche un’eccellente ed esclusiva offerta gastronomica, in particolare nella bellissima e affascinante Temecula Valley: dalla Leoness Cellar alla Callaway Vineyards & Winery, dalla Falkner Winery alla Ponte Winery, e ancora dalla Thornton alla Baily, dalla Wilson Creek alla South Coast Winery (che è anche resort e Spa), per segnalare gli indirizzi più apprezzati dai gourmet. Se però si vuole puntare al top, l’indirizzo giusto è quello del ristorante Addison, all’interno del magnifico e lussuoso Fairmont Grand Del Mar. Una mezz’ora a Nord di San Diego, pochi chilometri dalle lunghe spiagge di Del Mar, frequentate dai surfisti in cerca di spettacolari onde da cavalcare, questo tempio della gastronomia è il regno dello chef William Bradley, il cui originale tocco dà agli ingredienti locali un’ispirazione contemporanea, raffinata e internazionale. Affidarsi nelle sue mani e provare le undici indimenticabili portate

dello Chef ’s Tasting Menu – tra cui pesce carbonaro dell’Alaska con bouillon japonaise; gabero e capasanta con zafferano e sfoglia d’oro; foie gras al frutto della passione accompagnato da un waffle belga; anatra arrosto con cavolo caramellato e pistacchio – accompagnate da altrettanti assaggi di eccellenti vini californiani, magistralmente abbinati dal Wine Director Rafael Sanchez, è un’esperienza unica. Perfetta per chiudere in bellezza questo lungo viaggio nel Golden State USA. Dove Dormire Fairmont Grand Del Mar 5300 Grand Del Mar Ct, San Diego Tel. +1-506-863-6310 www.fairmont.com/san-diego Il più esclusivo e lussuoso resort del Sud della California, in perfetto stile coloniale, offre 249 eleganti ed esclusive stanze, una magnifica Spa, un campo da golf a firma di Tom Fazio e un servizio Five Diamond Awarded, oltre all’imperdibile ristorante Addison. Informazioni: www.visitcalifornia.com

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Doc delle Venezie

cosĂŹ si rafforza una leadership mondiale di

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i nostri giorni, nel mondo del vino tutti parlano del successo del Prosecco, della bollicine-mania (rosate e non), della fortuna dell’Amarone della Valpolicella, o dell’interesse suscitato dai vini dell’Etna. Ma c’è un altro gigante che continua a tener banco, anzi tavolo, soprattutto in America: il Pinot grigio, considerato il vino bianco italiano per eccellenza. Il Pinot grigio in Italia Nel nostro paese rappresenta la quarta varietà più coltivata, con un aumento del 144 % negli ultimi 5 anni: se nel 2011 gli ettari a Pinot grigio erano 16.760, nel 2015 erano già 24.501 (dati UIV). Nel solo Nordest sono oltre 20 mila e 200 gli ettari dedicati a quest’uva, di cui 11.500 in Veneto, 6 mila in Friuli e 2800 in Trentino; praticamente l’85% della produzione nazionale. E italiano è anche il primato di fronte al resto del mondo: con i suoi 24 mila ettari e rotti totali, rappresenta in valore la somma di USA, Germania, Austria, Francia e Nuova Zelanda (in tutto il mondo sono 60 mila gli ettari coltivati con questa varietà). Di fronte ad una sete di Pinot grigio che sui mercati esteri, in particolare quello statunitense, non accenna a placarsi, e ad un’ esuberanza produttiva italiana, diciamo così, altrettanto elevata, con il tempo si è fatta sempre più pressante l’esigenza di mettere ordine in un panorama

che stava cominciando a diventare non solo caotico, ma che di fronte ai concorrenti esteri si presentava senza un’identità territoriale forte e precisa. E così, dopo un iter di lavori durato circa un anno e mezzo, negli scorsi mesi è arrivato l’ok alla nascita di questa nuova DOC Delle Venezie, che ingloberà la produzione a IGT dei Pinot grigio delle tre regioni coinvolte (Friuli, Veneto, Trentino). Ovviamente, resteranno in vigore tutte le altre DOC monovitigno, come il Pinot grigio Venezia DOC, il Pinot grigio Collio DOC e il Trentino Pinot grigio DOC. “Non è stato un percorso semplice. Tutti abbiamo altre DOC importanti, basti pensare a quella del Prosecco o dell’Amarone, ma questa è una nuova opportunità per i viticoltori del Nordest, perchè questa è la DOC più importante d’Italia per numeri ed ettari” aveva detto nel corso della pubblica audizione l’assessore all’agricoltura della regione Veneto Giuseppe Pan. Mettere d’accordo tre regioni in tempi, tutto sommato, molto stretti per gli usuali standard della burocrazia italiana è la dimostrazione che quella di darsi uno strumento normativo efficace era una necessità condivisa. Di fronte ad una produzione di bottiglie che nel solo 2015 ha superato in Italia la soglia dei 300 milioni di bottiglie, la regolamentazione e la tutela offerte dalla sola IGT cominciavano ad apparire troppo deboli e inefficaci. Euposia aprile 2017

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Il “Pinot Grigio Delle Venezie DOC” “La nuova DOC permette un controllo perfetto della tracciabilità, contiene strumenti di gestione delle produzioni, obbliga la filiera a dotarsi di uno strumento democratico come il Consorzio di tutela, e grazie al contrassegno di Stato tutela il consumatore molto più che la vecchia IGT” spiega il produttore Albino Armani, capofila dell’ATS (Associazione Temporanea di Scopo) che ha promosso l’intera operazione. “E’ vero che la qualità di un vino non si fa con una DOC, ma questa contribuisce a migliorarla. Tutto il Pinot grigio del Nordest sarà degustato prima di essere imbottigliato dalle commissioni di degustazione: un lavoro certosino di cernita e di selezione che avverrà su migliaia di campioni in degustazione. Le commissioni d’assaggio sul territorio avranno dei parametri da rispettare e saranno inflessibili, bocciando i vini non idonei all’esame organolettico e chimico ed accompagnando tutti i produttori verso standard qualitativi sempre più elevati. Risultato, attraverso la fascetta di Stato il consumatore avrà a disposizione uno strumento di controllo che traccerà il vino che sta bevendo sin dal vigneto”. L’intera filiera produttiva dal vigneto alla bottiglia sarà inserita in un’unica banca dati, nata dalla sinergia di 4 diversi enti di controllo (Camera di Commercio di Trento, Siquria, Valoritalia e Ceviq): “Un lavoro complesso per un risultato semplice: tracciare tutto il nostro Pinot grigio per garantirne la qualità e la provenienza” conclude Armani. Effetti collaterali Riunire attorno ad un tavolo 3 diverse regioni, con interessi, sensibilità, perfino strumenti gestionali diversi non è stato facile: ma l’obiettivo era trovare una sintesi su cui costruire il consenso dei produttori, perciò incontri e colloqui si sono susseguiti senza tregua, fino ad arrivare ad una base comune. Persino il fatto che certe istanze regionali - friulane e trentine in particolare - abbiano dilatato i tempi del confronto alla fine non si è rivelato infruttuoso, perchè ha portato alla luce altre problematiche a cui si dovrà velocemente trovare soluzione. Per esempio, è emersa la necessità di tutelare le DOC più piccole a rischio di abbandono, o gli autoctoni regionali: è il caso, per esempio, della Ribolla

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gialla friulana, (ma anche della Nosiola trentina o della Corvina veronese) che presto verrà ricondotta nell’alveo della sola DOC regionale. Quanto ai numeri di produzione della nuova DOC, stando ai dati degli ex-vini Pinot grigio IGT, l’importo totale previsto sarà di circa 202 milioni di bottiglie. E il prezzo della bottiglia finale? La nuova DOC avrà un impatto anche sul consumatore? “ Penso che il costo cambierà poco - risponde ancora Albino Armani - Avremo a disposizione circa 25 hl per ettaro in meno, ma molti ettari coltivati in più, messi a dimora in questi ultimi anni, a causa del mancato blocco degli impianti”. Dello stesso avviso anche il presidente dell’Unione Italiana Vini, Antonio Rallo, secondo il quale la nuova DOC porterà “migliore qualità e maggiore controllo in favore del consumatore e del mercato” Ma c’è chi dice “no” Il nuovo disciplinare di produzione rivede al ribasso alcuni dati significativi: la resa massima rivendicabile è di 18 tonnellate a ettaro per la DOC contro le 19 della contestuale IGT “Trevenezie” (nella quale è vietato citare in etichetta la presenza del Pinot grigio), con una resa vino che scende al 70% al posto dell’80%. Inoltre le tipologie ammesse sono solo Pinot grigio (nelle versioni fermo, frizzante e spumante, o come generico “vino bianco”), mentre nell’IGT sono ammesse anche altre uve varietali locali (come il Marzemino, per dirne uno), e si possono produrre vini sia bianchi che rossi che rosè. Ma tutto questo non basta, per esempio, al Consorzio dei Vignaioli del Trentino: “Il Vignaiolo è il primo garante del suo prodotto, al di sopra delle Denominazioni - si legge nel loro Manifesto - I Vignaioli rivendicano la DOP Trentino e Sottozone, soprattutto nella categoria Superiore, o in alternativa le IGP Vallagarina e Vigneti delle Dolomiti. Non è ammessa la rivendicazione della IGP Delle Venezie, salvo per le varietà escluse dalla DOP Trentino e dalle IGP Vallagarina e Vigneti delle Dolomiti. Non è mai ammessa la rivendicazione della DOP interregionale Delle Venezie”. Essendosi dati valori di resa/ha di almeno il 20% inferiori rispetto ai valori di produzione delle DOP in vigore nella Provincia Autonoma di Trento, e non accettando alcun “supero di campagna” anche se previsto dal disciplinare di produzione, per questi Vignaioli le asticelle della DOC Delle


Albino Armani, leader della nuova denominazione

Venezie e dell’IGT Trevenezie restano comunque troppo basse, per poter parlare di vera qualità. Pur meno rigidi dei Vignaioli Trentini, anche altri produttori hanno brontolato di fronte alla resa dei 216 quintali ad ettaro come produzione massima del Pinot grigio in campo, considerata eccessiva. In realtà, il 20% del “supero di campagna” oltre i 180 quintali, qualora venisse prodotto, non potrebbe essere rivendicato come Pinot grigio, ma solo come generico “vino bianco”: si spera, in tal modo, di scoraggiarne la produzione. I punti di forza Aver messo al sicuro da speculazioni e tentativi vari di contraffazioni una produzione di vino così importante nei numeri può sicuramente essere considerato un primo importante risultato dell’operazione: il secondo

si avrà quando si constaterà che i margini della vendita delle bottiglie della nuova DOC saranno più alti degli attuali, e quindi che la nuova impostazione potrà dirsi più remunerativa della precedente situazione. Un altro risultato immediato si ha poi nella creazione del Consorzio di Tutela, cui toccherà non solo il compito di promuovere una DOC tra le più grandi d’Europa, ma soprattutto di gestirla, cominciando dal coordinamento di quella che si presenta come una super commissione d’assaggio trans-regionale, caso finora unico in Italia. Ma il risultato forse più interessante è l’essere riusciti a portare avanti, pur tra mille difficoltà (e spesso molte polemiche) un dialogo tra culture, interessi e sensibilità molto diversi in nome di un obiettivo comune; nell’Italia dei mille e uno campanili (del vino e non solo), già questo può definirsi un successo. Euposia aprile 2017

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Amarone

La magnifica dozzina di

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Giulio Bendfeldt

cco la magnifica dozzina: gli Amarone DOCG 2013 che più hanno impressionato alla degustazione cieca svolta da Euposia all’Anteprima Amarone. Presenti all’Anteprima 78 Cantine; ben 83 gli Amarone degustati e di questi ben 49 sono campioni prelevati da botte. Una prima nota generale registra un livello qualitativo molto omogeneo, dalla media non indifferente e senza strappi né verso un’eccellenza marcata né verso una mediocrità pericolosa. Prosegue il lavoro verso un’eleganza di fondo che celi la forza e la vigoria tipiche di questo super-venetian. A maggior ragione – visto il numero considerevole di prove di botte – tutti questi vini debbono godere del beneficio del dubbio: sono ancora molto giovani, hanno un enorme potenziale da sviluppare proseguendo l’affinamento in botte prima ed in bottiglia poi. Quando andranno sul mercato potranno assumere tratti differenti, certamente più marcati e personalizzati. Ma la base

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di partenza per l’annata 2013 comunque c’è ed è molto interessante: si tratta di un’annata che garantirà longevità ai vini che quindi vanno considerati in prospettiva. Ed ecco la “awesome dozen”. Albino Armani, Cuslanus Campione di botte. Vigneti nella zona di Marano di valpolicella, antichi terrazzamenti fra 350 e 550 metri slm. Appassimento in alta collina. Questo Amarone sarà sul mercato dalla primavera del prossimo anno. Note marcate di frutta rossa, prugna cpon un interessante erbaceo con note di the nero e rabarbaro. Montezovo-Cottini Campione di botte. I vigneti sono al margine più occidentale della Valpolicella, 140 ettari a Caprino, con vigneti sino a 850 metri slm in località Spiazzi. C’è stato un profondo lavoro, in profondità, in questa cantina


verso l’eccellenza. E questo è il risultato: Amarone disponibile dal prossimo autunno, dal palato ricco e lungo, con note di ciliegia, spezie dolci, camomilla e fiori di campo. Molto gradevole. Suscita una grande aspettativa per come evolverà nei prossimi mesi.

Farina- Classico La zona di produzione è San Pietro in cariano. Questo Amarone sarà sul mercato già dal prossimo aprile. I profumi sono ben marcati, ricchi e complessi. Palato pieno, coerente col naso, ricco di frutta e molto godibile.

Novaia, Corte Vaona Campione di botte. Marano di Valpolicella, Un Amarone disponibile dal maggio del prossimo anno. Un vigneto coltivato con pratiche biologiche: il vino è già molto in equilibrio, dai profumi intensi e ben marcati, una spalla acida che lascia intravvedere una buona longevità.

Cà Rugate, Punta Tolotti Amarone già disponibile in commercio. I vigneti sono in zona Monteforte d’Alpone. Profumi complessi con note di ciliegia durone, mora e prugna. Note di tabacco e cacao amaro. Un Amarone già interessante, con un bella spalla acida che promette longevità.

Pasqua-Famiglia Pasqua Campione di botte. Famiglia Pasqua è una delle linee top della storica cantina scaligera; questo Amarone sarà disponibile dal prossimo anno. Un vino pieno, ricco e complesso. Ottimi profumi al bicchiere.

Domini Veneti, Classico Vino già disponibile. Il brand è della Cantina della Valpolicella di Negrar cui va il merito storico di aver dato “vita” alla riscoperta dell’Amarone. 230 i soci della cantina sociale che da diversi anni si sta impegnando nella Euposia aprile 2017

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Amarone

valorizzazione di diversi cru e di autoctoni che affiancano i vitigni tradizionali dell’Amarone. Un Amarone classico, dai tratti sin scolastici, dai profumi immediati e potenti; un palato molto coerente e pieno. Flatio, Classico Campione di botte. Siamo in zona di san Pietro in Cariano; una famiglia di agricoltori da diverse generazioni con 18 ettari di proprietà Questo Amarone sarà in vendita dal 2019. Ci si attenderebbe quindi un campione ancora in larga parte acerbo. Ciò nonostante è molto interessante e promette un gran risultato alla fine dell’affinamento. Roccolo Grassi Ci spostiamo a Mezzane di Sotto, parte orientale della denominazione, dalle temperature mediamente più estreme rispetto alla Valpolicella classica che beneficia dell’effetto mitigatore del lago di Garda. Marco sartori ha rivoluzionato l’azienda di famiglia e si è imposto come un produttore oramai non più emergente, ma

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una certezza per il futuro della denominazione. Questo Amarone – con note di the nero e prugna – sarà in vendita dal febbraio del 2018 San Cassiano Campione di botte. Restiamo a Mezzane di Sotto. 14 gli ettari vitati. Questo Amarone sarà disponibile già alla fine di quest’anno. Un’ottima base; un vino dai profumi netti, con note di frutta rossa e di bosco. Sentori di terra arata. Al palato note fruttate con nuance floreali molto interessanti. Santi, Classico Campione di botte. Questa cantina è stata fondata nel 1843 a Illasi, e restiamo nella zona più orientale della denominazione, e oggi fa parte del Gruppo Giv. Questo Amarone che conosce soltanto la botte grande sarà disponibile già a dicembre. Promette bene, acidità che garantisce longevità e freschezza. Ben equilibrato con una chiusura morbida , ma molto godibile. Tenuta Chiccheri, Vigneto di Campo delle Strie


Campione di botte. Un Amarone disponibile però soltanto nel 2019 e rappresenta uno dei migliori assaggiati oggi da Euposia. Tenuta Chiccheri lavora in zona di Tregnago, si tratta di una decina appena di ettari, messi in produzione nel 2003. Una Cantina che mette assieme il top dei rossi italiani con una qualificata produzione di spumanti metodo classico molto interessanti. Anche questo Amarone non sarà disponibile che nel 2019. Un segno di rispetto tanto del vino che dei consumatori. Monte del Frà, Classico Disponibile dal prossimo autunno. 18 ettari sulle colline di Fumane, nella zona classica della denominazione. Uno degli Amarone più intriganti di questa degustazione, un vino semepre ai vertici di classe anno dopo anno. La famiglia Bonomo mette grande attenzione in ogni aspetto delle lavorazioni, dal vigneto all’affinamento, e il risultato è un vino molto elegante, ricco sia nelle sue caratteristiche olfattive che al palato. Da segnarsi in agenda… Vigna 800, Classico Torniamo a Negrar. Un Amarone disponibile dal 2018. La cantina è stata avviata nel 2001 e sono appena 4 ettari in produzione. Profumi classici, ciliegia durona, lampone e more, note di viola. Palato ricco ed elegante, molto coerente con l’olfatto e note finali, molto lunghe e persistenti, di spezie dolci con the nero e caffe. Le caratteristiche dell’annata Profilo viticolo 2013. Si ricorderà per l’assoluta divergenza climatica tra la prima fase del ciclo vegetativo e la seconda coincidente con la maturazione. Nel primo periodo, infatti, la vite è stata sottoposta a un clima avverso caratterizzato da precipitazioni frequenti e basse temperature; al contrario, da giugno alla maturazione, la pianta ha fronteggiato un andamento meteorologico esattamente opposto. Tutto ciò ha determinato un netto percorso di arricchimento in metaboliti dell’acino e un netto timbro nei vini. Il 2013 è un’annata che ben rappresenta il cambiamento climatico, dove variabilità e incostanza meteo sono

fenomeni sempre più frequenti, che sottopongono la vite a regimi metabolici opposti ed estremi (proteici e zuccherini), portando a risultati finali a volte inaspettati, ma di grande interesse. Lo stress idrico in pre-invaiatura ha stimolato una intensa attività di sintesi antocianica, polifenolica e tannica. Gli alti valori termici e la carenza di precipitazioni nella fase di maturazione hanno permesso di ottenere uve più sane, mature e ricche di zuccheri. Il periodo autunnale dell’appassimento, inoltre, si è giovato di umidità relativa ridotta (mediamente al di sotto del 60%).

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Amarone Profilo dei vini. In questo contesto climatico i vini del 2013 sono risultati di elevato livello qualitativo con una evidente espressione territoriale e stilistica in un’annata comunque non semplice. Nel dettaglio la commissione di degustazione del Consorzio ha riscontrato una grande eleganza fruttata nei vini di Mezzane, Illasi e Cazzano e una prepotente eleganza e potenza in quelli di Negrar. I vini della vallata di Fumane sono risultati contraddistinti da delicatezza olfattiva ed equilibrio gustativo, mentre quelli di San Pietro in Cariano da note di confettura. Nei vini della vallata di Marano è stata trovata una grande omogeneità territoriale con vini dall’ottima struttura. E’ stata riscontrata nei vini della Valpantena una sempre maggiore identità caratterizzata da morbidezza e grande piacevolezza. Amarone della Valpolicella: le ragioni della sua unicità. L’Amarone della Valpolicella è un vino, oltre che di pregio, assolutamente unico a livello mondiale perché nasce dalla combinazione di elementi peculiari: i vitigni autoctoni, una tradizione viticola ed enologica unica, un ambiente pedoclimatico irripetibile (terroir) e un paesaggio ben conservato e ricco di biodiversità. Pochi vini italiani hanno come l’Amarone una forte impronta territoriale, intesa come insieme di pratiche viticole impiegate su un insieme di vitigni locali, come Corvina, Corvinone, Rondinella (ma anche altri, antichi e storicamente presenti in Valpolicella, recuperati e in via di diffusione come l’Oseleta e lo Spigamonti) a cui si applicano tecniche idonee a valorizzare i loro caratteri qualitativi. La scelta delle migliori uve, per usarne al massimo il 65% del totale (o spesso percentuali inferiori), la loro messa a riposo in fruttaio e l’attesa per almeno 80-90 giorni prima della vinificazione, sono alcuni dei punti di unicità di questo grande rosso. Ciò che ancor più arricchisce di fascino e attese questo vino, è ciò che la ricerca scientifica ha evidenziato negli ultimi anni, ma che era già stato colto dalla gente del Valpolicella e che aveva travasato nella tecnica di appassimento. Le uve Corvina e Corvinone infatti, molto più delle varietà internazionali, nel corso dell’appassimento si arricchiscono di molecole dal grande valore salutistico e

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nutraceutico, tra le quali la più nota è il resveratrolo. Un esempio? Nella vendemmia 2015 la quantità di trans-resveratrolo nell’uva fresca di Corvina era di circa 140 microg/L, che dopo circa 80 giorni di appassimento, ai primi di dicembre, sono diventati oltre 1.200. Non solo. Nel corso della messa a riposo nelle uve avviene anche la sintesi di composti aromatici (come norisoprenoidi e terpeni) alcuni dei quali non presenti nelle uve fresche (es. germacrene).

La filiera nel 2005 2646 aziende agricole produttrici di uva Valpolicella 209 aziende imbottigliatrici Uva raccolta nel 2005 (5.719* Ha vitati) 439.829,37 q.li di uva Valpolicella DOC 158.772,36 q.li di uva per Amarone e Recioto della Valpolicella DOCG Totale 598.601 q.li

La filiera nel 2016 2286 aziende agricole produttrici di uva Valpolicella 286 aziende imbottigliatrici di cui 229 aziende che trasformano (verticali) 478 fruttai per l’appassimento dell’uva Uva raccolta nel 2016 (7.844* Ha vitati) 599.694 q.li di uva Valpolicella DOC 327.218 q.li di uva per Amarone e Recioto della Valpolicella DOCG Totale 926.420 q.li

La produzione nel 2016 18.342.133 bottiglie di Valpolicella DOC (137.566 hl) 27.754.266 bottiglie di Valpolicella Ripasso DOC (208.157 hl) 14.944.266* bottiglie di Amarone e Recioto della Valpolicella DOCG (112.082 hl)


Ph Francesca Balasso

#Durello la #bollicinadelfuturo che nasce dal vulcano Ottenuto dal vitigno autoctono “durellaâ€? coltivata nei terreni vulcanici dei Monti Lessini ad altitudini che sfiorano 600 m. alla stregua dei grandi spumanti, che riposano almeno 36 mesi in bottiglia a contatto con i propri lieviti. Ricco di profumi floreali, sprigiona gradevoli sensazioni di freschezza e sapiditĂ dati dal suolo vulcanico da dove le vigne affondono le proprie radici. Esperienza che non si dimentica facilmente.

A Vinitaly saremo al Pad. 5 Stand G5.


L’intervista

Ritratto del giovane enologo, e dei suoi vini, indicato come uno degli emergenti d’Italia e che lavora per riaffermare la grande tradizione vinicola meridionale

Fabio Mecca, il Sud che non scappa di

F

Beppe Giuliano

abio Mecca è un giovane enologo. Entrò un pomeriggio d’inverno nella redazione di Euposia per presentarsi, lui che a Verona seguiva un corso universitario. In dieci anni di carriera ha analizzato più cantine; ha collaborato con più maestri; ha visto cantine piccole che si arrabattano per arrivare a fine mese e pagare le fatture ed altre, invece, che questi problemi nemmeno sanno che esistono. Ha lavorato al Nord, nel cuore delle regioni vinicole più in voga, e nel Sud degli autoctoni da valorizzare e del territorio da salvaguardare. Ha visto realtà tenacemente familiari; ha visto il

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closing di merger importanti che lo hanno messo a contatto con problematiche del tutto nuove per un mondo scarsamente dinamico (a livello societario) come quello del vino. Ha visto all’opera i grandi enologi, ha valutato i loro pregi e soprattutto i loro difetti. Si è guadagnato il diritto di essere definito “uno dei quattro enologi emergenti di Italia” ma non si è montato la testa. Ha messo su famiglia, da bravo guaglione, e si è fatto la sua strada puntando sul lavoro, soltanto sul lavoro. Zero raccomandazioni, anzi una giusta distanza da una parte della famiglia ingombrante per nome e peso della


vitivinicoltura che, magari, gli avrebbe garantito un avvio più sereno, ma che lo avrebbe etichettato per sempre come “parente di..” Insomma, il perfetto, tipico, esempio di ragazzo del Sud che, per dirla alla Jeroen Dijsselbloem, spende tutti i suoi soldi in donne e alcol! Un ragazzo così – sia detto - farebbe tanto bene anche nell’Olanda di questo incredibile personaggio che guida l’Eurogruppo (cioè il club dei ministri delle finanze dell’area Euro) e, quindi, ahinoi, pure i nostri bilanci. Fabio Mecca ha voluto festeggiare i suoi primi dieci anni di carriera – davanti a sé ne avrà almeno una quarantina da scontare ancora se vorrà salvarsi la pensione… - con una grande degustazione dei suoi vini, soprattutto quelli che gli hanno dato più gioia per la sfida che hanno comportato e per i risultati che hanno ottenuto. Noi, ovviamente, li abbiamo provati per voi. Vigna Villae “I ricordi” Taurasi DOCG 2009 La cantina ha sede poco fuori l’abitato di Taurasi, utilizza esclusivamente uve Aglianico da vigneti di proprietà immersi nel tipico panorama agreste dell’Irpinia. Un lungo affinamento in barrique, 24 mesi, e in bottiglia, ben 18 mesi, porta ad un vino potente, caldo, molto salino al palato, con note di prugna, frutta nera matura, tabacco, cuoio, marasca. Una leggera nota di terreno appena scosso. Un vino dal sapore quasi antico, rude, maschio che non cerca compromessi né di piacere facilmente. Devi sapertelo conquistare. «Questa – racconta Fabio ad Euposia – è una bella azienda nel cuore di Taurasi, la sua peculiarità sta nei vigneti ubicati nei tre cru più importanti del Comune. Riusciamo così ad avere la massima qualità oggettiva del vino. Questa cantina deve ancora esprimere appieno tutto il suo potenziale. Per scelta, facciamo affinare molto il vino in cantina, oggi infatti è in commercio il 2009. Arrivato nel 2012, ho cercato di vinificare in purezza parcella per parcella, vigneto x vigneto, e per i bianchi ho introdotto

la sublimazione dell’ossigeno grazie al ghiaccio secco». Cantina Il Passo Aglianico del Vulture DOC 2013 “Alberi in Piano” Diciotto mesi in legno grande – malolattica inclusa - per questo vino ottenuto da Aglianico in purezza, figlio di un vigneto di 35 anni. Forte impronta alcolica al naso, con immediati profumi di viola, frutta rossa, ciliegia. Palato ampio, caldo eppure vibrante, ricco di note fruttate e balsamiche. Bella acidità a supporto di una attesa longevità, finale minerale dove torna la frutta rossa e le spezie. Molto vitale. «Il Passo è una scelta professionale di una famiglia di imprenditori di Barile che si sono trasferiti a Napoli da tre generazioni, ma che hanno sempre mantenuto il rapporto col loro territorio e man mano hanno ampliato il loro storico podere di famiglia arrivando sino a 35 ettari di proprietà, di cui sinora 2 a vigneto. Ne abbiamo presi in affitto, quindi, altri quattro, sempre a Barile, di vecchie vigne ed iniziato il percorso, per noi di qualità assoluta, puntando su un mono-prodotto, frutto della vinificazione delle sole migliori uve, lavorando prima in vigneto con vendemmie verdi, diradamento, e in cantina usando legni sempre nuovi, puntando su tempi lunghi di affinamento. Prima vendemmia di questo progetto è questa annata 2013» conferma il giovane enologo.

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L’intervista

Fattoria Montereggi Chianti classico Riserva DOCG 2010 Ha incassato l’Oscar BereBene 2017 del Gambero Rosso che va a premiare il miglior rapporto qualità/prezzo e quindi rappresenta un’indicazione precisa per un winelover. Montereggi sta a Fiesole, su colline baciate dal sole, dal 1926. Questa Riserva viene prodotta soltanto nelle annate migliori ed è un blend di 90 % Sangiovese, 5 % Canaiolo Nero, 5 % Cabernet Sauvignon e Franc; proviene da un’agricoltura sostenibile e fa da uno a tre anni in botte di rovere. Non fatevi ingannare dal packaging datato e in verità un po’ triste…questo è un Chianti “classico” per definizione, scolastico, da prendere come benchmark nelle degustazioni. Perfetto per far capire ad un neofita cosa è un Chianti. Ha una bellissima impronta olfattiva, confermata al palato con note di frutta rossa, molto fresco, bella spalla acida. Note speziate al palato; sul finale, gradevoli sensazioni mentolate. Tenuta Santa Lucia “Morrone” Syrah IGT Lazio 2012 A Poggio Mirteto, su un terreno sabbioso, nasce questo Syrah che si fa nove mesi di vinificazione in acciaio, altri 18 in barrique ed altri due in bottiglia prima di prendere la strada dei mercati. La tenuta è stata avviata

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quarant’anni fa dalla famiglia Colantuono e si poggia su 40 ettari vitati su 45 di estensione complessiva. Un vino molto intrigante al palato, con tutta la forza che questo varietale può esprimere: profumi potenti al naso dove si possono nascondere mille nuance. Palato di grande profondità ed ampiezza dove tornano le note fruttate, perfettamente fuse con sentori di tabacco, cuoio, pepe bianco. Spiega Fabio: «Il progetto di questa azienda risale a più di dodici anni fa e subito la proprietà si è affidata ad alcuni luminari dell’enologia italiana, come Attilio Scienza e Franco Bernabei, per individuare in un territorio pressoché vergine per la viticoltura come la Sabina le varietà migliori, le tecniche di allevamento più funzionali, per arrivare a vini di assoluta qualità. L’azienda dispone di una bellissima cantina, molto tecnologica, posizionata su un poggio fantastico. Arrivo con la vendemmia 2013 ed ho cercato da subito di far emergere le realtà più interessanti, di valutare le potenzialità di sogni singolo vitigno e di ogni singolo vigneto vinificando parcella per parcella. Uno dei risultati è questo Syrah – un vino di nicchia, appena 3mila500 bottiglie – che riesce a raccontare benissimo questo territorio, attraverso una vinificazione lenta e lineare, senza forzature, senza estremismi, con affinamento sia in barrique che in tonneaux».


Decanto Irinus IGT Puglia Nero di Troia 2014 Naso compatto di frutta rossa sotto spirito, palato non troppo potente, ricco di sfumature, torna la frutta rossa, la prugna, una leggera nota di rabarbaro. «La leggerezza, la finezza e l’eleganza sono infatti i tratti distintivi che vogliamo dare a questo Nero di Troia, prodotto in una delle sole tre Cantine ubicate nel Comune di Troia – sottolinea Fabio Mecca -. L’idea che tutti abbiamo del vino pugliese è ancora quella di un vino potente, caldo…non pensiamo mai che la Puglia è un mosaico di territori diversi, che si tratta di una Regione lunghissima e che dall’altopiano del Foggiano sino ad Andria e Barletta ci sono ettari ed ettari di Nero di Troia. Non può essere tutto uguale! Irinus nasce a Troia, nell’altopiano Foggiano, a 400 metri di altezza sul livello del mare. Una posizione molto ventilata, che permette un’ottima gestione delle fasi vegetative della vite, e dato che non abbiamo il caldo estremo di Manduria, ad esempio, questo è un vino con “meno sole” e meno potenza. Così non “giochiamo” sulla struttura, ma sulla finezza, sulla eleganza. E’ un vero e proprio alfiere, un segnale di cambiamento della Puglia. Se vogliamo fare un paragone potremmo dire che è come il Perricone della Sicilia, per la sua tipicità, piacevolezza, morbidezza. Il 2014 è la prima vendemmia, l’inizio del percorso, da vigne vecchie. Una sintesi? Non quantità ma qualità». Alte Vigne della Val Camastra Siri, IGT Basilicata La cantina nasce nel 2012 grazie al lavoro di Andrea Buchicchio (geometra nella vita) e di Teresa, sua moglie (professoressa di economia aziendale a Modena dopo alcuni anni all’ufficio entrate della Provincia autonoma di Bolzano), che hanno deciso di “tornare a casa” dopo aver girato l’Italia per lavoro. Qualcosa del Nord è però rimasto nel cuore della coppia che in Basilicata, fra gli altri, ha piantato anche del Mueller Thurgau e del Traminer aromatico. Certo, quei mille chilometri dalla Val di Cembra alla Val Camastra, al Monte Siri, si sentono, ma i vitigni sudtirolesi a 750 metri sul livello del mare non si sono trovati poi così male. In fondo, la montagna è montagna e non è che l’inverno attorno a Potenza sia meno freddo di quello che si registra in Alto

Adige. La scelta di far arrivare vitigni altoatesini ha fatto storcere un po’ il naso a qualcuno: ma come, parliamo tanto di autoctoni, e voi piantate altro? Questo un po’ il leit-motiv (dimenticando che, storicamente, gli Asburgo erano imparentati coi Borboni e che il tedesco era di casa tanto quanto lo spagnolo e la lingua napoletana). Essendo però “Alte Vigne” a tracciare la strada della viticoltura in questa zona, la volontà era quella di avere un percorso autonomo ed originale, sparigliando anche le carte, ed essendo i pionieri reclamare anche il diritto a fare una propria scelta autonoma, a tracciare una rotta. Poi, si vedrà. Le vigne le ha piantate Andrea. Poi le hanno curate Simonit & Sirch e già questo testimonia della voglia di far bene a qualunque costo. Prima vendemmia a metà settembre del 2015, rigorosamente manuale. Breve macerazione pellicolare, per mantenere il contenuto terpenico, con sublimazione d’ossigeno con ghiaccio secco, fermentazione a 12° per quindici giorni. Il risultato è un gran bel vino, che magari risente ancora un po’ della giovinezza dell’impianto, ma che ha già tutto quello che serve per piacere: freschezza, ricchezza di profumi con note agrumate tropicali, palato molto fresco di bella beva. «Qui siamo noi a tracciare il primo solco – aggiunge Fabio – ma questo è un progetto di estrema importanza. Siamo appena partiti: facciamo 6mila bottiglie di bianco quest’anno, ma le prime 3200 bottiglie della precedente vendemmia in tre mesi erano finite: sarà stata la novità…ma ora l’importante è riconfermarsi».

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Lambrusco Reggio - Emilia Wine

1077, Sempre più bollicine

Emilia Wine lancia al Vinitaly una nuova linea di spumanti a base Spergola, Lambrusco e Malvasia di

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Enzo Russo

milia Wine dista da Milano 170 km. E’ bello percorrere gli ultimi 16 km uscendo al casello di Reggio E. Si attraversando paesi molto caratteristici dove spiccano campanili con le loro campane. Il viaggio in auto non è noioso, la strada passa in mezzo a vigneti e campi coltivati. Si sentono tutti i profumi della campagna, da sempre l’agricoltura in generale è stata sempre l’attività principale della gente che vi abita. Quando arriviamo ad Arceto di Scandiano si nota subito la sede del “colosso del Lambrusco”, una struttura moderna con ampie vetrate che sembra proiettata nel futuro attrezzata con le più moderne tecnologie. L’ampia entrata sorprende, ci si trova davanti ad un moderno wine shop per la vendita al dettaglio dove il cliente può scegliere tra vini sfusi tipici del territorio pedecollinare e

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un’ampia gamma di bottiglie. Subito dietro c’è il cuore battente dell’azienda, importanti silos in acciaio inox e tutti i macchinari per la lavorazione del vino, rigorosamente nel rispetto della tradizione , come la moderna barricaia per l’affinamento di alcune tipologie di vino. Incontriamo il Presidente di Emilia Wine, Davide Frascari, appena rieletto a pieni voti, mentre è intento a scegliere alcuni bozzetti per la nuova linea di vino. E’ molto contento e soddisfatto dei risultati ottenuti, sia in Italia sia all’estero, con il suo Lambrusco, un vino che rappresenta una realtà molto importante in tutta la Provincia di Reggio E., che fa lavorare migliaia di persone. “Rappresenta la seconda cooperativa del distretto del Lambrusco, nata dalla fusione di tre cantine sociali di


base che sono quella di Arceto situata nella zona collinare, di Prato e di Correggio. Assieme abbiamo dato vita a questo nuovo Gruppo Emilia Wine, che significa, Emilia perché da il senso del radicamento al territorio e alla tradizione e Wine per proiettare l’azienda verso il futuro. Ne fanno parte 726 soci viticoltori e alla fine 2016 c’è stato un forte rinnovamento del Consiglio di Amministrazione del 50%, confermando alla presidenza il sottoscritto. Oggi abbiamo un Consiglio più giovane che sta dando un forte contributo allo sviluppo dell’azienda”. Le tipologie di vino che escono dalla cantina: “Come volumi c’è il Lambrusco, è il più importante, rappresentato nelle varie versioni dal rosato al rosso al rosso intenso perché quando si parla del Lambrusco, si parla della famiglia dei vitigni lambruschi. Invece a livello di

nicchia, ma sempre importante, soprattutto in questo periodo, è la Spergola che rappresenta un vitigno autoctono a bacca bianca coltivato prevalentemente nella zona collinare. Ne produciamo circa 13 mila ettolitri ed è ottimo per essere lavorato come base spumante ma anche come vino frizzante”. Quanti ettolitri di vino viene lavorato in cantina: “complessivamente produciamo 366 mila quintali di uva che viene raccolta su 1.800 ettari di vigneti”. Ci sono delle novità in cantina: “Si, in occasione del Vinitaly presenteremo la nuova linea di spumanti Emilia Wine perché in questo segmento di mercato c’è un segnale positivo dei consumi di circa il 17% e noi vogliamo esserci perché abbiamo delle ottime basi di spumanti che hanno tutte le qualità per affermarsi tra i consumatori. La linea si chiama “1077”, perché ricor-

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Lambrusco Reggio - Emilia Wine

da l’anno in cui Enrico IV si inginocchiò difronte alla contessa Matilde di Canossa per chiedere il perdono per la scomunica di Papa Gregorio. Questa donna è stata importantissima per la storia del nostro territorio in cui Emilia Wine è insediata, perché è stata l’unica donna che ha potuto dire messa in Vaticano. Per la storia è stata anche nominata la Papessa, è di origini longobarde, è conosciuta in Germania e nei Paesi Nord europei. Noi pensiamo che sia anche importante come momento di promozione e comunicazione del nostro territorio e delle nostre origini”. Ci vuol parlare di queste bollicine: “Per adesso sono tre tipologie: “Una è fatta con la Spergola, con il nuovo logo sulla bottiglia, cioè spumante fatto con il metodo Charmat lungo brut, poi abbiamo uno spumante dal colore rosso intenso prodotto con uve Lambrusco e infine uno spumante ottenuto con le uve Malvasia dal sapore tendenzialmente dolce. Questi tre prodotti rappresentano un po’ la punta di diamante dei nostri prodotti in versione spumantizzata.” E il quarto vino, lo spumante rosè: “Siamo ancora in fase di studio, ci mancano ancora dei risultati ma dovremmo farcela al più presto. Una cosa fondamentale ci teniamo a comunicare, nell’etichetta della bottiglia, con un

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packaging elegante e moderno, sarà dominante la rosa Papaverata, un fiore oramai estinto, che rappresenta la storia della cantina di Arceto, ottanta vendemmie alle spalle, una delle fondatrici di Emilia Wine, dove produrremo questa tipologia di vini spumanti”. Come nasce questa nuova linea di bollicine: “Per l’esigenza di un consumatore che mira sempre più alla qualità, questi vini sono indirizzati ad un segmento medio alto, e poi perché vogliamo dimostrare che il nostro territorio è in grado di produrre non soltanto Lambrusco ma anche spumanti di alta qualità. Saranno vendute esclusivamente nel canale horeca, ristorazione e spacci aziendali perché noi godiamo di una fidelizzazione di 12 mila clienti che vengono tutti i giorni nel nostro spaccio ad acquistare i nostri vini. Questo è motivo d’orgoglio per noi perché vuol dire che dalla nostra cantina sociale escono vini buoni e di qualità. Sarà evidente nel retro etichetta che le uve che danno vita a questi spumanti sono rigorosamente raccolte a mano”. Presidente, come giudica il mercato del vino, sia in Italia sia all’estero. “A livello mondiale ci sono dei segnali di incremento dei consumi nei prossimi anni che fanno sperare. Credo che ci sia un mercato, soprattutto


quello italiano, “stanco” nel senso che è un mercato dove i volumi dei consumi pro capite non aumentano e non aumenteranno, però ci sarà una tendenza del consumatore a bere sempre meglio ed è anche per questo che con la linea 1077 ci orientiamo verso quel consumatore che desidera migliorare la qualità del bere e quindi noi vogliamo rispondere a questa domanda, per essere al passo con i tempi che cambiano velocemente di generazione in generazione. Nel contempo sui mercati internazionali ci sono tanti nuovi Paesi dove si stanno avvicinando al consumo del vino e che saranno i prossimi consumatori. Lo stiamo verificando in questo periodo, ci sono interlocutori commerciali che stanno venendo a chiedere e acquistare vino, come per esempio l’Albania che in tre anni ha avuto un incremento del 27% e poi ci sono anche alcuni Paesi africani con

cui stiamo iniziando, che alcuni anni fa nessuno se lo sarebbe mai immaginato. Questi nuovi consumatori saranno il futuro del Lambrusco perché è un vino facile da bere, facile da abbinare ai cibi con un relativo basso tenore alcoolico e per il consumatore che si avvicina per la prima volta al vino, è l’ideale”. Terminiamo l’intervista con l’impegno di vederci al Vinitaly nel padiglione dell’Emilia per degustare le nuove bollicine “linea 1077”. Il tempo dei convenevoli sul piazzale di Emilia Wine, che il Presidente Frascari è già in macchina per altri appuntamenti a Reggio Emilia. Con il braccio fuori dal finestrino saluta ancora, dicendo: “degustare il vino è passione, cultura, un gioco che mette alla prova i nostri sensi e quindi impariamo ad ascoltarli e a lasciarci andare alle sensazioni che nascono dentro di noi”.

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Lambrusco di Modena

Lotta al Lambrusco-sounding di

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I Ecco il grande impegno per la difesa della Denominazione svolto dal Consorzio

n questi anni il Consorzio ha svolto una importante azione di promozione di tutto il distretto del Lambrusco difendendo questo grande patrimonio, che fa parte della storia di del nostro Paese, in ogni dove, dalle imitazioni che in questi anni sono sorte come funghi. Un danno per la nostra economia e per i nostri produttori che devono combattere tutti i giorni sui mercati esteri per contrastare questa “sleale concorrenza� da parte di alcuni Paesi che, che sfruttando il nome dello storico Lambrusco, immettono sul mercato dei vini che non hanno niente a che vedere con il Vero Lambrusco. Ne parliamo con Ermi Bagni, direttore del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi. Finora siete riusciti a fatica a contrastare questo fenomeno, ma come lei ben sa i tempi corrono e sui mercati si presentano sempre nuovi “imitatori�. Cosa pensate di fare, quali strategie pensate di mettere in campo? Euposia aprile 2017

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Lambrusco di Modena “Bisogna farsi una domanda, che cosa si vuol fare del Lambrusco per prossimi 5-10 anni. Noi come Consorzio stiamo programmando una serie di iniziative, partecipazione alla fiere in Italia e all’estero, degustazioni mirate con buyer, opinion leader e giornalisti. Saranno azioni mirate e specifiche negli Stati Uniti e Canada e poi di informazione e comunicazione nell’area comunitaria, in particolare la Germania . Per quanto riguarda l’Italia, stiamo perfezionando un progetto con il Gambero Rosso, per fare il Giro d’Italia a tappe incontrando alcuni ristoranti coinvolgendo anche la stampa. Ci stiamo attivando per la realizzazione di un video per comunicare il legame tra Lambrusco e territorio, Lambrusco è cultura per far sì che il consumatore possa capire, che nella quotidianità del consumo del Lambrusco, oltre al piacere del berlo, fa anche una degustazione culturale di questo vino che ha dietro una storia, un territorio e le persone che lo fanno con amore a passione. Infatti il film “Lambrusco behind the glass” vuole fare scoprire a tutti cosa c’è dietro il calice.” In questo momento, il Lambrusco come sta andando? “Lo scorso hanno non è stato molto positivo, ha avuto una flessione contenuta. Quest’anno, invece, c’è stata una partenza molto significativa, direi importante perché le bollicine sono richieste, non solo quelle bianche ma anche rosse e rosate. Bisogna dire che alcuni mercati storici quali la Gran Bretagna, negli anni ‘70 – ‘80 consumava il Lambrusco bianco, oggi sta riscoprendo il Lambrusco Doc nelle sue varie tipologie. E questo lo si deve anche alla comunicazione che abbiamo fatto sulle riviste inglesi dedicate al vino, coinvolgendo anche i giornalisti in molteplici degustazioni, molto importanti, i quali si sono resi conto dell’enorme differenza tra quel Lambrusco base e quello Doc. Tutta un altra storia”. Ci sono dei problemi con gli inglesi per la Brexit? “Per adesso ci sono degli indicatori positivi, lo sono anche con il mercato del Nord Europa Germania, Francia e Spagna, perché il Lambrusco rosato amabile o semi secco piace moltissimo alle donne spagnole. Quindi

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noi dobbiamo scegliere cosa proporre. O i soliti vini di primo prezzo oppure spingere per un vino doc, dove il consumatore ha la certezza dell’origine del vino che viene fatto nell’area di produzione, vendemmiato e imbottigliato. Rimango convinto che se viene proposto sul mercato un Lambrusco doc fatto come si deve, anche se costa un euro in più, viene comprato, perché piace. Chiaro che le aziende debbono condividere questa scelta, perché soltanto uniti, parlo per quelle consorziate, diventa più facile la vendita, poi ognuna fa la propria corsa, ma l’importante è offrire un vino di qualità ben definito e riconoscibile al palato che “parli” del nostro territorio”. Dal suo osservatorio, qual’è la tipologia di Lambrusco più richiesta?


“Oggi come oggi è ancora il Lambrusco Emilia igt nella versione amabile, soprattutto nei Paesi extracomunitari Stati Uniti, Centro America e nei Paesi dell’Est. Mentre in Europa Germania, Gran Bretagna e Francia chiedono la doc perché dà più garanzie. Questo è un punto di svolta perché qualificare il Lambrusco doc, significa dargli un valore aggiunto importante su tutti i mercati. Un esempio ci viene da moltissimi ristoranti sulla costa degli Stati Uniti, da New York fino a Miami preferisco il Lambrusco doc”. Quanto può venire a costare una bottiglia di Lambrusco doc al ristorante: “non meno di 25 dollari ma sin alcuni ristoranti si arriva anche a 50”. Parliamo del Lambrusco bianco. “E’ una tipologia prevista dal disciplinare igt Emilia. E’ un Lambrusco vinificato in bianco, la sua produzione è

iniziata quando l’IGT era classificato come vino da tavola, adesso che anche l’IGT è una denominazione di origine è giusto fare una riflessione sulla opportunità di continuare a produrre questa tipologia richiesta soprattutto nel Sud America e nei Paesi dell’Est europeo. La vinificazione in bianco, viene fatta con uve a bacca rossa e quindi vengono a mancare le fragranze e i profumi perché non c’è la macerazione con le bucce”. Direttore, ci può parlare della Certificazione del territorio viticolo sostenibile? “Si tratta di un progetto che il Consorzio di Modena e di Reggio Emilia, quest’anno inizieranno a fare questo primo approfondimento coinvolgendo per ogni Provincia 30 Aziende vinicole, tre aziende cantine sociali cooperative di trasformazione, sei aziende vitivinicole e due aziende d’imbottigliamento, perché si vuole certificare il territorio viticolo nel rispetto degli standard di sostenibilità ambientale. Questo porterebbe non solo il viticoltore a rispettare i parametri e i protocolli di produzione previsti per la sostenibilità ambientale, ma anche tutte le imprese coinvolte nella filiera, dalla cantina di trasformazione alla cantina d’imbottigliamento fino alle aziende vitivinicole che lavorano e trasformano direttamente la loro produzione”. Quali sono le caratteristiche del progetto? “Ci sono due parametri importanti, a parte il fatto che nella nostra Regione l’85% dei nostri viticoltori rispetta il protocollo della lotta guidata integrata che per certi aspetti è ancora più severo”. Cosa intende per lotta integrata? “Significa che occorre fare i trattamenti secondo le indicazioni che vengono date dal Consorzio Fitosanitario Provinciale, debbono essere usati solamente alcuni prodotti tecnici, pochi insetticidi perché questi vengono surrogati da altre azioni a carattere biologico. Questo significa trovare altre alternative naturali per contrastare le avversità alla coltivazione del vigneto. I due standard principali a livello viticolo, sono il risparmio delle risorse naturali: impronta carbonica e impronta idrica”. In vigna quali trattamenti non si possono più fare? “di sicuro non possono più essere usati i diserbanti, gli interventi sono soltanto meccanici, i trattamenti fitoEuposia aprile 2017

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Lambrusco di Modena sanitari sono regolati in coordinamento col Consorzio fitosanitario. E quindi arrivare ad avere la Certificazione di sostenibilità ambientale è un obiettivo importante che va nell’ottica di informare e comunicare al consumatore sul prodotto che ha ha origine in quel territorio”. Anche la concimazione dei terreni viene fatta in modo naturale? “Assolutamente si, con concimi organici. Anche la vigna ne ha bisogno, perché quando finisce la raccolta dell’uva, la vite ha bisogno di ricostituire le riserve e quindi bisogna intervenire in modo consapevole tramite le analisi del terreno per capire le necessità e intervenire per i bisogni effettivi”. In questo contesto, come vede il futuro del Lambrusco sui mercati mondiali? “Personalmente penso che il Lambrusco sarà ancora uno dei principali protagonisti delle tavole, perché il consumatore lo apprezza per le caratteristiche organolettiche, è vino fresco, profumato e spumeggiante, che ha

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saputo interpretare alla perfezione le nuove tendenze di consumo fuori casa, anche i gusti della nuova generazione, ma penso anche che sia giunto il momento per i produttori di fare delle scelte sulle tipologie di Lambrusco cui puntare per continuare ad essere i veri protagonisti di un mercato che si sta sempre più affollando. Perché la qualità del Lambrusco è un capitale che ci siamo costruiti nel tempo. Non per niente dai vigneti della Provincia di Modena vengono prodotte oltre 34 milioni di bottiglie DOP nelle quattro denominazioni presenti sul nostro territorio e poi 70 milioni di igp”. Da questo incontro, si evince quanta “strada” ha fatto il secolare vino per arrivare sulle nostre tavole e farsi apprezzare nella quotidianità, perché dal punto di vista delle caratteristiche sensoriali è un vino moderno, poco alcolico con elevata acidità, il colore è accattivante, è facile da bere ed è generoso negli abbinamenti. E’ un prodotto popolare, che esprime tutte le principali caratteristiche del territorio ove nasce e della gente che lo produce: schietto, sincero, semplice ma mordente.


Volvo

La nuova Volvo XC90 D5 AWD di

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Enzo Russo

ella foto il Direttore del Consorzio del Lambrusco di Modena, Ermi Bagni, accanto alla Volvo XC90 D5, una delle auto più ammirate del Salone di Ginevra per la sua imponenza, eleganza e tecnologia innovativa. E’ un suv moderno con enormi ruote con cerchi in lega 9 x 21” a 8 razze argento lucido. L’abbiamo provata in città e in autostrada per andare a Modena tra i vigneti di Lambrusco su strade sterrate. La prima impressione che si ha mettendosi al volante della Volvo XC90 D5 AWD Inscription 7P, cambio automatico a 8 rapporti, di entrare in un salotto lussuoso, dove l’arredamento è stato curato fin nei più piccoli particolari, come la pelle di nappa che riveste i sedili o la morbida e spessa moquette che riveste anche tutto il bagagliaio. I posti sono cinque, più due due sedili supplementari estraibili dal baule. Lusso e tecnologia si coniugano alla perfezione. Gli ingegneri sono stati molto bravi nel progettarla, visto la concorrenza delle altre Case automobilistiche. Mettersi al volante è come essere in una cabina d’aereo con tutti i comandi a portata di mano e ben visibili, sembra di dominare la strada. Completo e ben leggibile il cruscotto interamente digitale, che si affianca al display di 9” al centro della plancia, un centro comandi di facile intuizione: dal navigatore, con la possibilità di collegarsi a internet e sfruttare un programma di navigazione, all’hi-fi al climatizzatore bi-zona. I grandi vetri garantiscono una buona visuale in tutte le direzioni. Il parcheggio è assistito a 360°. Altro comfort non trascurabile quando si viaggia, è il tettuccio panoramico che si apre, sembra di toccare il celo, da una gradevole sensazione di ariosità e luminosità all’abitacolo, specialmente per chi viaggia dietro. I porta oggetti, molto funzionali, sono sistemati nel tunnel centrale, vicino al pomello che ruota per avviare e spegnere il motore e alla rotella

cilindrica che serve per selezionare le varie modalità di guida che cambiano la risposta di motore, sterzo, cambio automatico, trazione integrale e sospensioni ad aria, sono: Comfort, la Eco (per limitare al massimo i consumi di gasolio), la più sportiva Dynamic, la Off-Road (per le escursioni fuori strada) e la Individual (in cui si può impostare separatamente ogni singolo parametro). Poi c’è lo Stop&Start e il cruise control che consente la regolazione della velocità mantenendola, ma anche rallentandola se trova ostacoli sulla sua corsia. Molto ampio il bagagliaio, l’accesso è facilitato dal portellone ad azionamento elettrico. La Volvo XC90 D5 è un concentrato di tecnologia che stupisce quando la si guida, con i suoi 230 cv si viaggia in sicurezza con una tenuta di strada formidabile in qualsiasi condizione meteo e i sorpassi sono sicuri. Ottimo l’impianto frenante. I consumi? E’ sempre una questione di “piede”, nei percorsi misti, città e provinciale circa 11,5 Km/l, in autostrada a 120 km/orari si possono fare 15 Km/l, oltre gli 11 km/litro. E’ certamente un auto da lunghi percorsi che invoglia a farsi guidare, non stancante.

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Tenuta Sant’Antonio: così valorizzo l’Amarone di

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Zeno Sorus

a Tenuta Sant’Antonio, località San Briccio-Lavagno (Vr), situata in cima alla collina dei Monti Garbi, sembra voler dominare la Val di Mezzane, è una cantina moderna costruita nel 1995 dai fratelli Castagnedi che nasce con un progetto molto ambizioso. In primis la produzione di vini di qualità come l’Amarone coni vini bianchi e rossi e poi quello di far diventare la Cantina sede per discutere e promuovere la cultura del vino partendo dal territorio con le sue diverse realtà produttive, la valorizzazione dei prodotti agroalimentari, promuovere l’Amarone, un vino che fa parte della storia del territorio, coinvolgendo giornalisti, operatori del settore, sommeliers, enologi, opinion leaders e tante altre persone provenienti anche dall’estero. L’occasione della visita alla cantina è il convegno organizzato dai Castagnedi, “La Vitienologia soft”, l’impatto del lavoro in campo, in vigna e in cantina. Relatore il prof. Diego Tommasi, direttore del Centro di Ricerca

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per la Viticoltura di Conegliano, Un tema che sta molto a cuore all’azienda che da anni è impegnata sul fronte della vitienologia non solo a “basso impatto ambientale”, ma capace di garantire la massima esaltazione dell’identità più autentica dei propri vini. Come per esempio la nuova linea Télos senza solfiti. “ Fin dall’inizio del nostro percorso produttivo – spiega Armando Castagnedi – abbiamo voluto investire in una viticoltura rispettosa dell’ambiente e dei consumatori. Ma è indubbio che la nostra esperienza con la linea Télos ci ha spinti verso una vitienologia che noi definiamo soft, dove le pratiche, sia in vigna sia in cantina, vengono ridotte al minimo al fine non solo di garantire l’assenza dei solfiti ma anche di esaltare le peculiarità più autentiche dei nostri vitigni, Corvina e Garganega”. A margine del seminario, incontriamo Tiziano Castagnedi a cui chiediamo di parlarci della Tenuta Sant’Antonio. Prima di iniziare la chiacchierata, ci offre un


bicchiere di Télos, un vino bianco molto buono con un delicato e avvolgente profumo di agrumi, in bocca risulta fresco e persistente soddisfacendo il palato. “Noi siamo nati come viticoltori di vini rossi, anche se la nostra infanzia è trascorsa nella zona del Soave, ci siamo innamorati di quello che non avevamo: l’Amarone. Era vicino alla Valpolicella, tant’è che abbiamo acquistato l’azienda situata sulla collina dei Monti Garbi a Mezzane di Sotto. E da lì è iniziata l’avventura”. “Per me l’ Amarone era un qualcosa di straordinario, di “unico” e quindi tanta voglia di farlo ma non avevamo nessuna esperienza specifica di come lo si faceva”. In quanti siete ad occuparvi dell’azienda : “Siamo quattro fratelli: Armando il più grande si occupa dell’export, ci sono io, in ordine di età, che mi occupo del logistico in Italia e all’estero, poi Paolo si occupa della cantina che segue tutto l’aspetto enologico e il più giovane Massimo agronomo che segue la campagna”. “Il primo vino che è uscito dalla cantina”, ci dice Tiziano con un sorriso che esprime soddisfazione e contentezza, “è l’ Amarone, un vino unico che ci sta dando

grande soddisfazione per qualità, profumi e corpo”. Nel venire alla Tenuta Sant’Antonio, abbiamo percorso l’ultimo tratto della strada sterrata tra i vigneti, sono vostri. “Quelli attorno alla cantina sono nostri, gli altri sono in gestione”. Quanti ettari: “quelli che ha visto sono circa 60 ettari e 40 sono nella vicina Valle d’ Illasi. Una parte dei vigneti sono stati piantati da papà, hanno circa 50/55 anni e quelli che abbiamo fatto noi ne hanno 30/35”. Le varietà quali sono: “Corvina, Corvinone, Rondinella, Croatina e Oseleta, queste sono le cinque varietà per i vini rossi. Per i bianchi c’è la Garganega, Chardonnay e il Trebbiano di Soave”. Con queste uve quale tipologie di vino fate, “esattamente, in cantina c’è mio fratello Paolo, molto bravo e anche un creativo che fa ricerca e sperimentazione per ottenere il meglio dalle uve. A fine settimana arrivano spesso ospiti, turisti che vengono a trovarci in cantina per degustare i nostri vini e quando li assaggiano, si parla, si commenta le caratteristiche, si coglie quale potrebbero essere le esigenze e i gusti del consumatore. Questo ci permette di aggiustare il “tiro” per soddisfare

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le loro aspettative. Quante volte ci siamo sentiti dire non voglio bere il vino perché mi disturba, mi provoca il mal di testa e queste persone sono sempre più numerose ma sono anche quelle più preparate. Sono questi i consumatori che vogliamo “educare”, nel senso che c’è vino e vino. I negozi che vendono i prodotti biologici, biodinamici una volta occupavano pochi scaffali, oggi il loro consumo è aumentato di molto, lo si vede nei supermercati dove i comparti si sono moltiplicati. E questo lo si deve soprattutto a quei consumatori che hanno capito l’importanza di comprare prodotti non trattati che fanno bene alla salute”. La vostra produzione: “Oggi produciamo 50% vini bianchi e l’altra metà di rossi. Siamo partiti con l’Amarone, Valpolicella Superiore, Recioto e tutti prodotti della Valpolicella. Poi in questi ultimi tempi è aumentata fortemente la richiesta di vini bianchi. Noi abbiamo la fortuna di avere due aziende, una nella Valpolicella e l’altra nella vicina Soave. E’ stata un avventura abbastanza difficile per i vini bianchi, paradossalmente nascendo nella zona del soavese, siamo riusciti a fare un vino bianco nel 2005, anziché nel ‘95, perché eravamo convinti che fosse facile farlo, invece è più difficile perché ha bisogno di molta attenzione e cure.” Quante tipologie:” Due, il Soave Superiore in purezza e l’altro che ha un leggero passaggio in botte quando l’annata

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è buona. Poi abbiamo una linea di vini senza solfiti, il bianco TƐLOS fatto con l’80% di Garganega e 20% di Chardonnay, aromatico e complesso, ricco di profumi e ben strutturato e una linea fantasia Scaia che si riconosce per il tappo a vetro”. Torniamo a parlare dell’Amarone, un grande vino che da lustro all’enologia veneta, è conosciuto in tutto il mondo per le sue caratteristiche uniche, ma da un po di tempo riuscirne a bere uno buono è un impresa difficile. Perché, cosa sta succedendo a questo vino. “Molto spesso, come succede in altri settori, quando un prodotto sul mercato inizia ad aver successo, parecchie persone iniziano a farlo con la convinzione di poter fare soldi nell’immediato, proponendo sul mercato un vino con lo stesso nome bai passando tutte le rigide regole, fondamentali per fare un vero Amarone. E’ un fenomeno che ci sta creando problemi sul mercato. Oggi come oggi, un buon Amarone lo si compra non meno di 20/25 euro, perché è un prodotto che viene raccolto a mano, fatto appassire, ha bisogno di spazi e tempi, la resa è del 40% e un affinamento in botte da 1 a 4 anni e poi in bottiglia. Sono questi i passaggi per ottenere un buon vino. Ma in quanti le rispettano?” Voi cosa fate per difendere e garantire al consumatore il vero Amarone: “A noi rimane soltanto fare degli educational portando in azienda le persone per farlo degustare ma anche far


vedere tutta la filiera produttiva dell’Amarone”. Un impresa ardua e molto circoscritta che non risolve il problema alla fonte. Il Consorzio cosa fa: “detta delle regole su come farlo ma ci sono sempre delle scappatoie”. Un Amarone di nome ma no di fatto, “per certi versi si”. E il vostro come va, “bene, all’estero l’Amarone lo conoscono bene, lo apprezzano per le caratteristiche organolettiche: si presenta di colore rosso granato, in bocca è pieno, vellutato e caldo, si sentono i profumi di frutta matura, confettura di amarena e di lamponi. Ha un buon corpo di 16°. Tiziano, quante bottiglie escono dalla cantina, “considerando tutte le varie tipologie siamo oltre 1 milione, di cui 65% bianco e 35% rosso, vendute in maggioranza all’estero, Stati Uniti e Nord Europa. Stiamo acquisendo il mercato della Cina, il Giappone con i vini bianchi. In Italia vendiamo circa il 10%, fino a Roma”.

Prima di ritornare a Milano, Tiziano ci invita a visitare l’Antica Bottega del Vino a Verona, proprio vicini all’Arena. E’ una vera sorpresa vedere il caratteristico locale che sa di antico, dal bancone ai tavoli, le sedie e i profumi che si mescolano con la gastronomia e i vini, tanti vini. “E’ anche ristorante tra i più antichi di Verona, ma anche a livello nazionale”. Mentre parliamo, scendiamo le scale che ci porta sotto il ristorante, dove scopriamo una “miniera” di bottiglie, “è una cantina con 4.500 referenze tra vini bianchi, rossi, bollicine, passiti e distillati che vanno dai 100 ai 5.000 euro. La è delle Famiglie dell’Amarone d’Arte, siamo 12 produttori che qualche anno fa ha deciso di mettersi assieme per rilevarla e mantenerla come il Tempio del vino per dare al turista l’opportunità di assaggiare non soltanto i nostri vini ma anche quelli fatti all’estero”.

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Una storia tutta al femminile per più di 100 anni e una delle più importanti tenute del Friuli Colli Orientali. Con i tre figli Tommaso, Letizia e Francesco in azienda, Marina rilancia con una nuova linea di vini.

Danieli, il vino senza frontiere di

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Zeno Sorus

uttrio è un piccola città della provincia di Udine, con poco più di 4 mila abitanti, è nota per i suoi celebri colli e poi perchè qui ha sede la multinazionale italiana Gruppo Danieli. Siamo andati a trovare Marina Danieli nella seicentesca Villa Dragoni che sorge proprio sulle alture di Buttrio, non per parlare di siderurgia ma dei suoi vini. Varcato il cancello, percorriamo con lentezza il lungo viale costeggiato da platani che conduce alla villa situata nel bel parco per ammirare nel suo insieme l’architettonica struttura comprata nel 1985 assieme a molti ettari di vigneto. Completamente Euposia aprile 2017

restaurata nel 2000, è oggi un complesso multifunzionale. Marina Danieli ci aspetta sulla soglia dell’ampio salone dove primeggiano salumi, formaggi, focacce, vini e tante altre ghiottonerie che fanno parte della tradizione enogastronomica del Friuli. E’ un aperitivo ben rinforzato che anticipa le cena. E’ vestita con un abito lungo con una fusciacca colorata attorno alla vita, molto elegante e contenta, ci accoglie con un ampio sorriso come se fossimo vecchi amici. A fare gli onori di casa, naturalmente, ci sono i suoi tre figli, due appena rientrati dall’estero . Insomma la famiglia al completo


per festeggiare i 30 anni dell’Azienda Agricola Marina Danieli ma anche per annunciare un nuovo “ciclo di vita” dell’azienda. Un evento che vede la presenza di molte persone. Amici, collaboratori, giornalisti, autorità locali e regionale rappresentata dall’assessore alle Risorse Agrarie e Forestali del Friuli Venezia Giulia, Cristiano Shaurli, che ha detto “I Danieli sono una famiglia che ha segnato la storia di questa regione e che riflette le qualità della nostra gente: la caparbietà, la forza di volontà, la voglia di innovare e di cercare nuovi sbocchi di mercato”. Tra le molteplici novità annunciate da Marina Danieli e dai figli, ci sono i vini, una nuova linea che nasce in collaborazione con Jean Claude Mas, un vignaiolo francese, titolare dei Domaines Paul Mas, 600 ettari di vigneti. Fusionissimo, sono due vini europei, due prodotti enologici innovativi e di contaminazione, frutto della fusione di due tradizioni enoiche importanti. Un uvaggio bianco ed uno rosso, creati utilizzando sia vitigni

autoctoni friulani sia francesi, quali Tocai Friulano e Viognier per il bianco, e Refosco del peduncolo rosso e Carignan per il rosso. Il rilancio di un Merlot Rosé, un prodotto senza tempo che veniva fatto dall’azienda nel 1983. La prima linea di Marina Danieli a zero solfiti. Quattro vini tipici friulani nati dalle vigne più vecchie della tenuta, vendemmiati a mano e manipolati il meno possibile in cantina. In questo articolato percorso, a cavallo tra la proposta della tradizione e la ricerca innovativa, non vengono meno il legame e l’attaccamento al territorio che la famiglia Danieli dimostra da sempre di voler mantenere, perseguendo un modello di sviluppo sostenibile, soprattutto sotto il profilo ambientale. Marina Danieli la rivediamo il mattino successivo nell’ampia cucina della Villa, sta facendo colazione seduta attorno un tavolo rotondo circondata dai figli e alcuni amici. E’ l’occasione per parlarle con tranquillità e conoscerla. Chi è Marina Danieli? E’ la quarta figlia dell’ingegner Danieli che ha creato la Danieli Officine Meccaniche, un’ azienda quotata in borsa e che adesso è presente in tutto il mondo con 10 mila dipendenti. “Sono l’ultima di quattro sorelle. Nell’80 mio padre mi chiede di occuparmi dell’azienda agricola di famiglia e in particolar modo dei vigneti, perchè a casa voleva bere del buon vino.” “E’ in quel periodo che inizia la mia avventura nel mondo del vino” dice Marina mentre ci offre un caffè con una fetta di crostata di marmellata appena fatta. “Questa scelta non mi trova impreparata, perchè sono cresciuta con mia nonna, che si occupava della campagna, sono sempre stata a contatto con i contadini e i mezzadri che mi hanno fatto conoscere tutti i segreti del mondo agricolo. Una importante esperienza che mi ha permesso di affinare con gli anni tutte le tecniche della Euposia aprile 2017

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coltivazione della vite per produrre un buon vino”. Quanti ettari di terreno: “Abbiamo cento ettari, di cui 40 a vigneto sulle colline di Buttrio, due ettari vicino a Orto, dieci ettari seminati e tutto il resto è bosco”. I vigneti quale tipo di vino danno? “In prevalenza sono vini friulani: Ribolla, Friulano, Schioppettino, Refosco. Nel 1970 sono arrivati altri vigneti come lo Chardonnay, Souvignon e Cabernet ma noi oggi puntiamo principalmente sui nostri vitigni friulani”. Dalla cantina quante bottiglie escono: “Sono circa 200 mila bottiglie di cui il 50% vendute nella Grande Distribuzione. Come Marina Danieli, le tipologie di vino sono Ribolla, Friulano, Pinot grigio, Refosco, Scioppettino, Merlot e Cabernet e due Faralta che sono due uvaggi in bianco e rosso. Ogni anno dovrebbe uscire una nuova etichetta, soltanto se il vino risulta secondo le nostre aspettative. Quest’anno mio figlio Francesco pensa di fare anche un passito. Siamo in attesa che l’uva appassisca per vedere i risultati”. Euposia aprile 2017

Lei ha tre figli, ce li presenta? “Tommaso, il più grande ha 36 anni, vive e lavora a Londra, segue l’Azienda con ricerche, strategie e nuovi mercati; Letizia ne ha 33, si occupa di tutta la parte marketing e commerciale, ha fatto esperienza all’estero; poi c’è Francesco di 31 che si occupa della campagna”. La vostra è un’ azienda a conduzione familiare, ben radicata nel territorio e nella tradizione: “Si è totalmente familiare che si allarga ai dipendenti che lavorano con me da moltissimi anni, sia in campagna sia in ufficio, dove si è creato uno spirito di corpo, di appartenenza molto solidale”. Complimenti per la serata e la cena servita nei locali della villa, con gli affreschi di Francesco Chiarottini, mobili antichi, sembrava di respirare un aria antica e poetica, rilassante dove si è potuto degustare dei buonissimi vini accostati a piatti gustosi e raffinati. A chi era dedicata? E’ la primo festa che facciamo, magari ce ne saranno


altre, per annunciare che abbiamo cambiato politica aziendale. Sono entrati i figli, è uscito Giorgio Grai e andiamo avanti con i giovani. E’ stato soprattutto per questo che è stata organizzata la serata, dare spazio ai giovani con le loro idee innovative, con un futuro tutto da scoprire e per dare vitalità e nuova linfa all’azienda vitivinicola”. Il futuro dell’azienda Marina Danieli: “Abbiamo degli obbiettivi, come per esempio quello di ritornare sui tavoli dei ristoranti e delle enoteche, perchè da circa dieci anni che sono uscita da questo mondo puntando soprattutto sulla GDO. Da oggi cambiamo strategia commerciale e la nostra azione sarà rivolta anche all’estero che in questi anni è stato trascurato. Ho gestito l’azienda per 30 anni da sola e con qualche collaboratore, ma non riuscivo a fare tutto avendo anche tre figli”. E’ più importante il mercato estero o quello italiano? “Quello estero, perchè sul mercato italiano ci sono troppi produttori. Puntiamo su mercati piccoli/medi, perchè per esempio, in Cina chiedono quantità di vino che noi non abbiamo. Siamo presenti in Germania, Austria, Finlandia e altri, tutti mercati che ci danno soddisfazione e che corrispondono, per ora, alle nostre esigenze produttive”. Con tutti questi cambiamenti, il futuro come lo vede’ “Bello e roseo a fianco dei miei tre figli che hanno una grande voglia di fare. Il mondo è loro, sotto tutti i punti vista”.

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Durello

Ritorno alle origini di

Carlo Rossi

ProfonditĂ e gentilezza nei Lessini Durello Metodo classico di Sandro De Bruno, poeta del territorio tra i vulcani e il mare.

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a presenza di una punta di freccia triangolare, sul modello di quelle conservate al Museo Naturalistico Francescano Menin di Chiampo, attribuita al paleolitico Medio, fa bella mostra di se sulle graziose etichette dei metodo classico che Sandro Tasoniero, in arte De Bruno, coltiva con appassionata dedizione sul Monte Calvarina. Non è una scelta casuale. Ci troviamo tra vigneti su terreni scoscesi, con irti pendii, pressoché impossibili da coltivare meccanicamente, a quota 600 metri circa. Un ambiente particolare, che eccita ricordi ed immagini ancestrali, e che ci porta attorno a 40 milioni d’anni fa, quando v’erano atolli, scogliere, isole e in fermento in questa parte di territorio veronese posta ad est, al confine con l’attuale provincia di Vicenza. Il Calvarina era un grande vulcano, come l’Etna, che, assieme al Crocetta poco distante , contribuì alla formazione delle attuali rocce di fondo, basaltiche e di colore nero

fumo. Un territorio magnifico, quello della denominazione Monti Lessini Durello Doc, candidato naturale a diventare patrimonio Unesco, antropizzato dall’uomo sin da epoche remotissime, dove il benchmark oltre alla passione ed alla dedizione degli agricoltori locali, è l’uva di una tra le piu’ promettenti denominazioni per la produzione di metodo classico italiano: stiamo parlando della maestosa e tenace Durella. Il nome pare derivare dalla buccia, spessa e dura, particolare per un’uva bianca, ricchissima di antociani e polifenoli. Potremmo quasi definirla la versione uva bianca del pinot nero. L’allevamento sui suoli basaltici conferisce poi la spiccata acidità che si manifesta pienamente all’assaggio come nota calcarea ed agrumale. Il mix con l’agricoltura attenta alla salvaguardia dell’ambiente, testimoniata nel profumo spiccato di pisacani ed erba tagliata nell’assaggio in punta del 2013, e la forte aderenza ad un progetto che vuole anche essere di matrice culturale, fanno dei “figli” di Sandro De Bruno dei parametri di riferimento importanti per la denominazione che sta attraversando un’ottima fase di sviluppo. Gli altri assaggi hanno riguardato il 2008, il 2010 e il 2015, un superbo pinot nero 2010 ed un intrigante passito bianco 2010. Nei terreni di Sandro i Euposia aprile 2017

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Durello basalti si incontrano già sin da un metro di profondità, quindi molto vicino alla superficie e preda degli apparati radicali della pianta nella sua corsa alla ricerca di sostanze minerali nutritive, mentre rocce spezzettate sono presenti ovunque. Era l’uva Durasena, Plinio e Columella ne scrissero e nel 1259 venne annotato che “la duracina si raccoglie non prima di San Michele” (29 settembre). Si tratta, dunque, di un’uva rustica a maturazione tardiva, caratterizzata da una buccia dura e da una notevole e naturale acidità, quasi pervicace. Fino agli anni Ottanta se ne ricavava un vino bianco fermo, talmente acido e acerbo da essere spesso imbevibile; un prodotto che veniva venduto soprattutto per la produzione di basi spumante o come vino da taglio. “Massima espressione dell’uva Durella vinificata ferma e in purezza, questo vino bianco da vitigno autoctono ha carattere ambizioso e personalità decisa. Mineralità quasi prepotente ma raffinata, personale bouquet intenso ed elegante. Questo vino lascia percepire sentori di pera matura, pompelmo, note balsamiche e vegetali. Il Durello Superiore è un vino di grande equilibrio e spessore, si sposa perfettamente con un piatto tipico del territorio, il baccalà alla vicentina” racconta Sandro che ha “vestito” invece la prima annata di metodo classico nel 2008 e che all’assaggio in punta, senza dosaggio, evidenzia ancora una bellissima freschezza combinata ad evoluzione, che si manifesta in bellissimi ed ampi archetti. Applichiamo nelle nostre vigne, in cantina e in tutti i processi che ci permettono di ottenere il nostro vino, i principi dell’Agricoltura Integrata e Sostenibile. Questo prevede l’impiego di tecniche agricole ecologicamente sostenibili e compatibili con la tutela dell’ambiente naturale per preservare la risorsa ambiente. Gli interventi quindi sono ridotti al minimo indispensabile, mirati solo alla necessità e finalizzati alla ricerca di un equilibrio naturale e stabile senza interferenze con la natura. Le concimazioni sono solo di tipo organico e certificato, senza alcun prodotto di sintesi chimica come anche la rimozione delle malerbe in vigneto, che viene operata senza l’uso di diserbanti di sintesi. “ L’esperienza infatti ci ha insegnato che, così facendo, oltre a non ostacolare i bioritmi naturali delle piante e degli esseri viventi, nel tempo si ottengono risultati migliori in termini di qualità e salute per il consumatore, oltre che socialmente ed eticamente giusti, integrando il benessere delle persone con quello della Terra. Quello che sta alla

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base di questo metodo di lavoro è la volontà di seguire la naturale evoluzione degli elementi al fine di consentire alle specie animali e vegetali di portare a compimento i loro processi naturali, che hanno trovano il loro punto di equilibrio grazie al lavoro di millenni.” Dice Sandro. Un tiraggio non forzato per seguire la richiesta del mercato conferisce leggiadria e finezza alle bollicine che salgono dal bicchiere con fantasmagorica espressione di gaziezza, financo dalla versione quasi decennale del 2008. La spuma se ne va pressoché immediatamente, quasi seguendo l’effetto della placida onda del mare che accarrezza la spiaggia con la sua bianchezza. Un candore simile a quello di una fresca nevicata sui monti Lessini. Già perchè anche le notevoli escursioni termiche sono un ulteriore elemento caratteristico per la maturazione di questa uva singolare, la Durella, per l’appunto. Gli zuccheri subiscono la fermentazione per merito dei lieviti inoculati al momento del tiraggio e si trasformano in alcol etilico e anidride carbonica, che si discioglie nel vino, arricchendolo di aromi e sapori. A questo punto, il vino è pronto per maturare sui lieviti, fase della durata di ben 36 mesi, durante la quale i residui di lieviti si depositano sul fondo della bottiglia: è necessaria, nel mentre, un’operazione chiamata di sbancamento, con la quale si scuotono periodicamente le bottiglie. Verranno poi poste in rastrelliere crivellate da fori ovali e, periodicamente, girate e variate di inclinazione fino al raggiungimento della posizione verticale, con il tappo rivolto verso il basso. Attraverso a questa opera-


zione, eseguita anche più volte al giorno, le fecce dei lieviti esausti si depositeranno nella parte finale del collo a contatto con il tappo, da dove verranno eliminate in maniera definitiva attraverso la sboccatura. Nel mondo del vino non si e’ grandi per caso. Accanto all’intuizione di un visionario spesso c’è l’aderenza al progetto di una famiglia. E quella di Sandro è una bella storia che, cresciuta anch’essa superando difficoltà ed ostacoli, ha saputo affermarsi in “patria” genuinamente ed onestamente. Oggi lo spumante Durello e’ sempre piu’ alfiere di quel lembo di territorio che unisce Verona e Vicenza,

e racconta anche nei piu’ remoti angoli del pianeta, dal Giappone all’America Latina, agli Stati Uniti ed al Nord Europa, dell’antica Tetide, dei fossili di Bolca, dei vulcani che hanno modellato ed originato i suoli, di una vitis vinifera che alligna in questo terroir da quasi cinquanta milioni di anni. Ma la pur intensa ed intelligente attività di proposizione di Consorzio di tutela e Strada del Vino, non sarebbe possibile senza l’unione degli agricoltori che hanno avuto in “concessione” una terra fortunata e preziosa, da tramandare intatta a chi verrà dopo.

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Pepi Mongiardino, Champagne guru di Moon Import di

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Zeno Sorus

ignorilità, trasparenza, savoir faire, e, ovviamente, classe da vendere caratterizzano pepi Mongiardino, founder and owner di Moon Import di Genova, che nel 2015 ha oltrepassato il significativo traguardo dei trentacinque anni di attività, che è stata la concretizzazione di un grande sogno di un apparente visionario. Erano gli anni nei quali sono il Presidente repubblicano Ronald Reagan e la tory Margaret Thatcher, che governano rispettivamente gli USA e il Regno Unito Euposia aprile 2017

per quasi l’intero decennio. Anni della Reaganomics e del ritorno all’American dream mentre in Europa Italia e Francia erano governati dai socialisti e l’Urss vedeva al potere Gorbaciov. L’Italia vedeva nella moda il trionfo dei colori ,anche nel make up. Abbinamenti al limite, colori sgargianti; gli occhi si vestivano di blu acceso,fucsia vivo,giallo fluo e di verde prato e l’ombretto sconfinava oltre le sopracciglia. Il rossetto,definito sempre con la matita,era solitamente rosa caprifoglio o rosso fuoco.


Anche per le unghie le donne prediligevano smalti coloratissimi. E i capelli?Cotonare era la parola d’ordine,le donne erano tutte coi capelli ricci,con una chioma leonina tenuta appunto dai cerchietti. E’ il periodo nel quale la moda diventò definitivamente internazionale. Ridotta l’importanza dell’haute couture francese ogni nazione sviluppò uno stile differente. Il successo del Made in Italy derivò anche da abili strategie di marketing. Milano strappò il ruolo di capitale della moda a Torino,Firenze e Roma. Diventarono famosi stilisti come Giorgio Armani,Missoni,Gianfranco Ferrè,Gianni Versace,Dolce & Gabbana e Krizia. In particolar modo il successo di D&G fu dovuto proprio alla pop star Madonna,entusiasta dei loro abiti dall’erotismo chic e trasandato,con calze nere e biancheria intima da

portare in vista. Nell’ottantadue vinciamo i mitici mondiali di Spagna e in tutto questo clima di entusiasmo c’è voglia di bere bene e lo champagne allora era il massimo tra le bollicine . Pepi, e’ sbagliato affermare che gli anni ’80, anche per la pressoché mancanza di competitors di qualità, la Franciacorta muoveva i primi passi e non c’era tutta la qualità del movimento del metodo classico da uve autoctone italiano come invece è adesso sono stati anni eccezionali, d’oro, per lo champagne? Puoi raccontare qualche aneddoto d’epoca? Ma io non credo che negli anni “’80” anche se lo spumante italiano non era arrivato alla qualità di oggi lasciasse poi cosi libero il campo agli Champagne. C’era un movimento più nazionalista nel consumatore che

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oggi non esiste più. Lo Champagne iniziò a fare i grandi numeri più verso la fine degli anni ’80 ed il pieno degli anni ’90. Io mi ricordo che quando andai per la prima volta da Philipponnat il buonanima di Michel Philipponnat mi disse: “purtroppo sono annate piccole e non abbiamo prodotto per allargare i mercati”. Ed era vero a quei tempi i proprietari di vigna preferivano vendere le uve ai negozi e non imbottigliare il loro vino. C’erano quindi molte meno marche sul mercato e quindi i grandi nomi la facevano da padroni senza competitors. Quali erano i cibi che maggiormente si abbinavano con i grandi champagne? Mi dispiace deludere chi la pensa cosi ma questi piatti in certi locali non sono mai andati via, ed ancora oggi Euposia aprile 2017

in certe famiglie senti che alla domenica sono ancora in auge. A quei tempi si poteva pasteggiare a caviale e Champagne senza svenarsi con prezzi folli. E poi i grandi ristoranti iniziavano i primi esperimenti della nuova cucina seguendo i maestri italiani Marchesi, Santin, ecc. con piatti che si sposavano benissimo ai grandi Champagne. Pizza e champagne forse è l’abbinamento estremo. A prescindere che sono un po’ contrario agli abbinamenti, (salvo matrimoni tragici) direi che ad ogni piatto puoi abbinare facilmente uno Champagne vista la varietà di territori, uomini, microclimi, uso di legno, dosaggi di liqueuri, non dosati, più maturi da differenti date di dégorgement, ecc. Quindi una buona pizza sta


bene con una buona birra, un buon calice di vino italiano ed una coppa di buon champagne Poi termina l’euforia ed arrivano la crisi. Come va oggi il mercato dello champagne in Italia? Il mercato è un po’ tornato alle origini, si beve champagne per farsi vedere (nelle discoteche ed affini) con uno spreco assurdo usandolo come doccia ma soprattutto si beve con coscienza ed amore degli appassionati del re dei vini. Re perché in effetti hai sempre un vino differente per ogni piatto. Sul piano delle vendite direi stabile con una notevole ed aggressiva concorrenza alle grandi marche dai recoltant, purtroppo non tutti all’altezza del grande nome che portano. Come è mutato in questi anni il gusto degli champa-

gne e come vedi , se c’è, il “duello” con l’emergente Inghilterra? Più che mutato il gusto direi che si è evoluto ha preso coscienza del prodotto, ricerca vini del territorio che abbiamo una grande tipicità.Il gusto è tendenzialmente nel secco o poco dosato, ma attenzione solo un grande vino fatto da un grande uomo in una grande annata può permettersi di fare un “nature”. Non ho ancora sentito un tintinnio di cristalli tra Francia ed Inghilterra è come caviale iraniano e quello della Siberia: non c’è storia.

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Un viaggio nel mondo meraviglioso del balsamico con Lorenzo Righi e la sua creazione La Secchia Antica Acetaia

L’0ro nero di Modena di

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Carlo Rossi

ella terra del grande Luciano Pavarotti il prodotto più rappresentativo è sicuramente l’Aceto Balsamico Tradizionale DOP. Prodotto prezioso, quasi mistico, i cui processi produttivi sono stati avvolti per anni nel mistero e nel buio delle soffitte familiari. Le acetaie un tempo erano collocate nei “tasèl”, che nel dialetto emiliano identificano le soffitte. Questa collocazione era l’ideale grazie alle escursioni termiche, tra le stagioni e tra le ore notturne e diurne, Euposia aprile 2017

che in esse avvenivano, indispensabili per il corretto sviluppo delle caratteristiche del prodotto. L’aceto balsamico Tradizionale DOP di Modena non ha nulla a che fare con quello che si trova al supermercato denominato Aceto Balsamico di Modena IGP, e questo ormai lo sanno anche i meno accorti. Infatti il fratello “industriale” del Tradizionale DOP vanta numero che nulla hanno a che vedere con la piccola e preziosa produzione del Tradizionale DOP: 90 milioni di litri prodotti!!


Ma che la produzione di aceto Balsamico Tradizionale DOP sia una vera e propria arte, che le acetaie (un insieme di botti di vari legni pregiati di diversa grandezza che servono ad affinare il mosto anche per 25 anni) si tramandino di padre in figlio, non è detto che sia cosa nota. Non era difficile ritrovarle nei palazzi cittadini o nelle ville di campagna di famiglie aristocratiche e borghesi particolarmente agiate, le uniche a potersi permettere questo lusso. A partire dal XIX° secolo sono andate diffondendosi anche negli strati sociali meno abbienti e se ne trovano ovunque nei territori tradizionalmente vocati alla produzione. Per far fronte alla sempre maggiore diffusione del Balsamico e custodirne la tradizione è sorta la Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, che si trova a Spilamberto, e che custodisce la tradizione Balsamica, oltre a formare gli appassionati dal punto di vista tecnico. L’Antica Acetaia La Secchia di Modena produce Aceto balsamico Tradizionale DOP e Aceto Balsamico di Modena igp per tradizione e vocazione familiare seguendo scrupolosamente l’antica ricetta, ufficializzata nel Disciplinare di produzione della Denominazione di Origine Protetta (maggio 2000), e che ci deriva dalla storia secolare dal prodotto, quando infatti già nell’800 l’Avvocato Agazzotti stilò il primo disciplinare di produzione, tutt’ora rimasto immutato. Sono rari i prodotti che si possono permettere di riposare anni prima di essere consumati: l’aceto balsamico tradizionale è uno di questi. Un tempo così lungo gli è necessario per raggiungere la perfezione, per riportare fedelmente il gusto dei vari legni dove, anno dopo anno, riposa. Questo antico metodo produttivo viene ancora oggi utilizzato dagli artigiani locali che “rincalzano” con il mosto cotto di uve della provincia le botti di legno pregiato poste nei sottotetti delle loro abitazioni. L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, dopo un severo esame della Commissione di Esperti Degustatori del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, è imbottigliato nella inconfondibile bottiglia da 100 ml progettata da Giugiaro design ed è disponibile in due sole tipologie, invecchiato almeno 12 anni ed invecchiato almeno 25 anni. L’aceto balsamico tradizio-

nale di Modena DOP costituisce pertanto una realta’ unica al mondo. Euposia ha intervistato Lorenzo Righi, “owner” di questa bellissima realtà che ha sede proprio a Modena. Un lavoro impensabile senza passione, impegno e dedizione profonda per l’eccellenza. Infatti raccontare l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena significa parlare soprattutto di passione, pazienza e duro lavoro. Perché non ci racconti la storia della vostra azienda? Ci puoi parlare di come nasce la vostra vocazione familiare e raccontare i segreti e le emozioni della tua attività? L’azienda nasce negli anni 50, quando mio padre Francesco, che era un giovanotto, cominciò a raccogliere alcune botticelle di alcuni parenti ormai anziani, e da lì fece partire la sua piccolissima produzione, ottenuta Euposia aprile 2017

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da una quindicina di botticelle. Ricordo ad esempio che da Bimbetto , amavo “pucciare” (cioè intingere) le dita dentro le diverse botti per gustarne il sapore dei balsamici, che anno dopo anni si affinavano sempre più, cambiando gusto in continuazione. Essendo nato pertanto in mezzo ai profumi del balsamico, è stato facile e naturale per me seguire e implementare le orme paterne, fino ad arrivare oggi a oltre 500 botti per la produzione di Balsamico Tradizionale DOP. Quali sono le principali differenze tra l’Aceto Balsamico di Modena e quello Tradizionale? L’aceto Balsamico Tradizionale DOP, è il vero prodotto della tradizione, il cui procedimento produttivo segue un’altica ricetta che prevede l’utilizzo di solo mosto cotto invecchiato in botti di piccole dimensioni per un minimo di 12 anni, fino a oltre 25. L’aceto balsamico di modena IGP, è il fratello “meno nobile” (se mi è concesso), che si basa su una miscela di aceto di vino e mosto cotto, invecchiato per un minimo di 60 giorni. E’ ovvio che considerate le differenze produttive, il risultato qualitativo sia assolutamente incomparabile, seppur i due prodotti possano coesistere commercialmente parlando, in quanto occupano settori diversi del mercato. Questa tradizione com’è nata? La tradizione nasce nel medio evo: c’era un grande uso Euposia aprile 2017

di aceto di vino, che veniva aromatizzato in veri modo per ingentilirlo. A un certo punto nasce un prodotto chiamato aceto alla modenese, il quale si differenziava da tutti gli altri per la gentilezza, l’eleganza, e la complessità, era appunto il progenitore dell’aceto balsamico tradizionale dop. A Modena vanno in scena le Acetaie Aperte...di che si tratta? Si tratta di una manifestazione simile a Cantine Aperte del mondo del vino. Cioè la possibilità per i consumatori di visitare le acetaie, carpirne i segreti, e possibilmente appassionarsi al prodotto. Nel commercio globalizzato, qual è lo stato di salute del balsamico DOP e dove esporti? Il mercato del DOP è modesto, in quanto noi produttori ancora non siamo riusciti a renderlo un prodotto globale, come invece è accaduto per il tartufo, o il caviale, o i grandi champagne. Questo implica che la comunicazione dello stesso risenta sempre in modo grave della concorrenza di prodotti industriali che vengono confusi, nonostante l’evidente differenza qualitativa, con il Tradizionale DOP. Personalmente esporto in Svizzera, Germania, Canada, Taiwan, Austria, Francia, ma la complessità delle vendite del tradizionale è evidente, e va sempre supportata con una attività di comunicazione sul territorio molto impegnativa e costosa, che pochissimi produttori fanno


Che comunicazione risulta piu’ efficace per la promozione di questa eccellenza? Degustazioni, Masterclass, Tasting, lezioni, attività di formazione….negli ultimi anni ne ho fatte tante in giro per il mondo, ho avuto alcuni risultati. La comunica-

zione dovrebbe partire da Modena, dagli enti, e dai consorzi, ma su questi temi, sonnecchiamo. Aceto Balsamico significa da tempo immemorabile cultura e storia di Modena. Infatti la sua esistenza é dovuta alle particolari caratteristiche pedoclimatiche del territorio alle quali si sono aggiunte i saperi, le conoscenze e le competenze del fattore umano che in una mirabile sintesi hanno dato vita a un prodotto esclusivo e distintivo dei territori delle attuali province di Modena e Reggio Emilia (cioè dell’antico Ducato Estense). Una passione per l’eccellenza anima da sempre Lorenzo Righi, la cui attività si è sempre divisa tra quella di produttore di Balsamico Tradizionale DOP, e direttore commerciale nel mondo dei vini d’eccellenza. Esperienza che si è concretizzata recentemente con la nomina a coordinatore per le attività del Club Excellence, il Club dei Distributori ed Importatori Nazionali di vini e distillati d’eccellenza. Oggi il Club vede riunite 14 primarie realtà italiane che operano nel campo della distribuzione e importazione vitivinicola della massima qualità, quali: Meregalli Distribuzione, Sagna spa, Pellegrini distribuzione, Cuzziol Grandi Vini, Vino & Design, Balan Distribuzione, Bolis Distribuzione, Sarzi e Amadè, Proposta Vini, Premium Wine Selection, Cavalli Distribuzione, Teatro del Vino, Les Caves de Pyrene. “ma uno dei miei primi obiettivi – svela Righi – sarà quello di coinvolgere nuovi soci nel Club”. Lorenzo Righi vanta una lunga e importante esperienza nel mondo del vino, dove negli anni precedenti ha ricoperto la carica di direttore commerciale per primarie aziende vitivinicole italiane. Euposia aprile 2017

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Parmigiano Reggiano

parmigiano Reggiano Armonia di Sapori Unici Il Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggianocontrolla tutta la filiera: dall’alimentazione delle bovine fino alla marchiatura a fuoco della forma. Un formaggio di classe che si abbina perfettamente con le bollicine d’autore Franciacorta Le Marchesine di

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Enzo Russo

a storia del parmigiano-reggiano inizia più di sette secoli fa, tra Parma, Modena e Reggio ad opera dei monaci Benedettini che impararono a trasformare ciò che la natura gli metteva a disposizione, in modo da raggiungere forme nuove e complete di nutrimento e ad assicurarsi scorte alimentari nel tempo: il latte, un alimento ricco di una incredibile varietà di elementi nutrizionali, come le vitamine e le proteine

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che sono la base fondamentale per una sana e robusta crescita della persona. I monaci scoprirono che, stagionato, il formaggio non solo manteneva inalterate nel tempo tutte le proprietà nutrizionali del latte, ma si arricchiva di nuovi elementi come il sapore che, a seconda le fasi di differente stagionatura, cambiava passando dal delicato tendente al dolce a quello più saporito.


Nel 1348 dopo Cristo, il novelliere Boccaccio parla del parmigiano-reggiano e cosi ne descrive una scena nel suo Decamerone : “Eravi una montagna di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra alla quale stavano genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e ravioli, e cuocerli in brodo di capponi e poi gli gettavan quindi giù, e chi più ne pigliava più ne haveva Già allora, come si vede, era molto apprezzato in cucina per il suo sapore unico che andava a magnificare i primi piatti e le pietanze. Grazie ai monaci inizia la diffusione e l’esportazione in Toscana e verso gli altri porti del Mediterraneo. In seguito il Parmigiano trova ammiratori in Europa con i migliori cuochi del tempo nella preparazione di piatti raffinati. Poi con il passare dei secoli, lo “storico” formaggio si fa conoscere ed apprezzare in tutto il mondo perché, oggi come allora, solo sale, caglio e il migliore latte fresco, parzialmente scremato, vengono utilizzati per produrre il parmigiano-reggiano. La cura della materia prima, l’accurata lavorazione e la lunga stagionatura, da uno a tre anni e oltre, ne fanno un formaggio unico che va dal sapore delicato, al leggermente piccante/saporito e ricco di personalità Durante la stagionatura, poi, ogni singola forma viene scrupolosamente controllata da esperti del Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano e solo se risponde a tutte quelle regole severe, viene marchiata a fuoco in tutte le sue parti con la scritta Parmigiano-Reggiano punteggiata, che ne garanti-

sce la qualità e la genuinità. Con la sua secolare tradizione, ricca di storia e cultura, oggi il parmigiano-reggiano per tutte le sue peculiarità si colloca nel panorama dell’alimentazione moderna, come uno degli alimenti più completi e sani, sia sotto l’aspetto nutrizionale che quello salutistico Si presta a “mille usi” a tavola e in cucina. E’ un alimento che può essere definito il “Re della tavola” perché è un formaggio a tutto-pasto: può essere servito con l’aperitivo, gustato in contemplazione con l’Aceto Tradizionale Balsamico di Modena, grattugiato o a scaglie, a fine pasto, che pulisce la bocca dalle vivande che lo hanno preceduto, accompagnato da un buon vino rosso di pregio, un passito od un porto. Ma il parmigiano-reggiano è anche un sano e leggero snack per la tarda mattinata e per il pomeriggio che ci permette di arrivare agli appuntamenti del mezzogiorno e della sera in forma smagliante. Oppure per le gite in campagna o in montagna, per chi scia o per chi fa sport in generale. Per la merenda dei bambini che corrono, sudano e giocano tutto il giorno è l’ideale, perché è un alimento ricco di tantissimi valori nutritivi come il calcio, il ferro, il fosforo e il sodio. Un felice matrimonio Vino e formaggio sono un ottimo abbinamento perché riescono a esaltarsi l’un l’altro. Sono entrambi sottoposti a un processo di trasformazione: la fermentazione alcolica per il vino e la cagliatura per il formaggio. Poi c’è la maturazione, la stagionatura per il formaggio e Euposia aprile 2017

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l’invecchiamento per il vino. Per gustare nel modo migliore il Parmigiano-reggiano bisogna scegliere con molta attenzione il vino da abbinare. In questo caso vi proponiamo delle bollicine che nascono in Franciacorta, dell’Azienda Agricola Le Marchesine – Passirano (Bs). E’ una delle più importanti del territorio, ricca di vigneti che ogni anno donano milioni di bollicine agli appassionati del buon bere. Dalla Cantina escono ogni anno circa circa 500.000 bottiglie doc e docg, fatte riposare sui lieviti per oltre 30 mesi. Con gli amici, in compagnia quale migliore occasione

Nuove garanzie per il consumatore Il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha approvato nel 2003 il nuovo Regolamento di marchiatura che fa parte del Disciplinare di produzione del Parmigiano-Reggiano DOP. Le novità sono due e consentono una più precisa distinzione tra i vari prodotti. La prima novità consiste nell’aggiunta di una “placca di caseina” (proteina del formaggio) appena la pasta è estratta dalle caldaie, che si fonde direttamente sulla superficie della pasta riportando un codice identificativo e l’anno di produzione, poi il formaggio viene avvolto, per una notte, in una fascera di plastica che imprime sullo scalzo mese, anno di produzione, numero del caseificio e la scritta Parmigiano-Reggiano puntinata.

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per offrire una coppa di Franciacorta che sa donare anche, assieme all’allegria, una perdurante gradevolezza al palato e al cibo, perché le fantastiche bollicine che sollecitano la vista, sollecitano il naso e puliscono la bocca preparandola al boccone successivo. Il Parmigiano-Reggiano di 12-15 mesi è ideale abbinarlo al Franciacorta docg Brut Blanc de Blancs, un millesimato di ottima fattura, elegante e prezioso per il gusto frizzante che scioglie in bocca la leggera patina lasciata dal formaggio. Fatto con uve Chardonnay, si presenta con colore giallo di buona carica e riflessi

Dopo un anno le forme vengono esaminate e selezionate: quelle che presentano le necessarie caratteristiche vengono marchiate a fuoco con bollo ovale, per affrontare la lunga stagionatura, le altre che presentano piccoli difetti, vengono invece avviate ad un pronto consumo. La seconda novità è per quest’ultime: le forme vengono rigate su tutta la crosta e classificate come “parmigiano-reggiano prima stagionatura” che le identifica come un formaggio giovane, dal sapore meno deciso adatto al consumo immediato. Per quanto riguarda le forme avviate alla stagionatura, queste sono contraddistinte dalla dicitura “Classico”. Pertanto il consumatore ha la possibilità di scegliere tre tipi di parmigiano-reggiano: quello giovane 12-18 mesi, lo stagionato 24-28 mesi e lo stravecchio oltre i 30 mesi.


Loris e Andrea Biatta, il ticket che guida oggi Le Marchesine

verdolini, perlage finissimo e persistente. Aroma fine e complesso, sapore asciutto, secco con vena acidula. Con il Parmigiano-Reggiano 24-28 mesi e lo stravecchio, un sicuro abbinamento ed esaltante per il palato, è il Franciacorta docg Secolo Novo Brut Millesimato, un vino importante che sa donare sapori unici incontrando il saporito formaggio. Nasce da selezioni clonali di uve Chardonnay con vendemmia a mano. Le bottiglie vengono accatastate in locali di affinamento per almeno 36 mesi che lo portano ad assumere un particolare profumo e sapore con un lungo e finissimo perlage. Si presenta di colore giallo paglierino brillante con riflessi oro-verde. Al naso si percepisce la nocciolina tostata, note mentolate e di cedro candido. Avvolgente e rotondo al gusto e un grande equilibrio tra acidità e sapidità. E’ un vino elegante e dalle grandi occasioni. Per informazioni: Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano Via Kennedy 18 42100 Reggio Emilia www.parmigiano-reggiano.it Ringraziamenti: Si ringrazia per la degustazione dei vini: Azienda Agricola Le Marchesine Via Vallosa 31 25050 Passirano (Bs)

Prodotto naturale Il parmigiano-reggiano è un prodotto naturale che non contiene nessun tipo di additivo sia chimico che naturale. Il processo di fermentazione e la conservazione avvengono grazie all’attività della flora batterica contenuta nel latte delle mucche che vivono nel territorio. Le bovine vengono alimentate prevalentemente con foraggi provenienti dalla zona di origine secondo le percentuali espresse dal disciplinare per l’alimentazione delle bovine. Per fare un chilo di parmigiano-reggiano servono ben 16 litri di latte.

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Birraio dell’anno

Assegnato il titolo che premia il miglior produttore italiano di birra: vince Marco Valeriani del birrificio Hammer di Villa d’Adda (BG) Nella categoria Emergenti premiato Conor Gallagher Deeks del birrificio laziale Hilltop

Birraio dell’anno 2016 I vincitori di

I

Giulio Bendfeldt

l Birraio dell’Anno 2016 è Marco Valeriani del birrificio Hammer. Il suo nome è stato pronunciato domenica 22 gennaio sul palco del teatro ObiHall di Firenze durante la cerimonia di premiazione che da otto anni assegna il titolo al miglior produttore italiano di birra. I cento giudici interpellati dal network Fermento Birra non hanno avuto dubbi in questa ottava edizione, conquistati dalle birre di Marco Valeriani che ha dimostrato costanza e abilità produttiva sia con stili tradizionali che, soprattutto, con tipologie più moderne animate da generose luppolature. Armonia è la parola d’ordine di questo giovane birraio,

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che riesce, anche quando la birra diventa più strutturata e caratterizzata, a smussare gli angoli e a non affaticare mai la bevuta. Una mano produttiva precisa, che lavora di cesello e che regala spesso birre dalla bevuta spensierata come la Wave Runner, un riferimento per chi ama il genere delle luppolate alla maniera statunitense delle West Coast IPA, o come la tanto acclamata Killer Queen (Double IPA), o ancora la kölsch Westfalia, interpretazione di uno stile tedesco molto amato dal birraio. Una creatività che in birrificio trova sfogo anche in prodotti dall’anima dark come la Daarbulah (Imperial Stout), la Black Queen (Black IPA) e la Bulk


(Porter). Una passione nata come molti altri birrai da un hobby, l’homebrewing, e poi sbocciata definitivamente con l’incontro di Enrico Dosoli di Menaresta, il birrificio brianzolo con il quale ha lavorato a lungo portando in dote ricette che sono diventate un must nel mondo artigianale. Il salto arriva nel gennaio 2015, quando, sempre come dipendente, entra a far parte del nascente team di Hammer: con attrezzature e tecnologia all’avanguardia riesce ad esprimersi al meglio e a spingere il birrificio bergamasco in brevissimo tempo tra i produttori di riferimento nel panorama artigianale italiano. Se l’ambito premio vola nel bergamasco anche gli altri piazzamenti d’onore non fanno che incoronare il nord e in particolare la Lombardia come la regione con la più alta concentrazione di birre di qualità. Riconosciuti infatti anche Emanuele Longo del Birrificio Lariano di Dolzago (LC), giunto al secondo posto; Alessio Gatti del birrificio Canediguerra di Alessandria, terzo; Agostino Arioli del Birrificio Italiano di Limido Comasco (CO), quarto; e Luigi D’Amelio del birrificio Extraomnes di Marnate (VA) quinto. Nella categoria

Birraio Emergente conquista il titolo Conor Gallagher Deeks del birrificio Hilltop (Bassano Romano, Viterbo). Un giovanissimo che si è distinto nei due anni di attività con birre molto inquadrate nei canoni della tradizione, ma sempre connotate da elementi di originalità. Un esempio famoso di una gamma che viaggia tra Belgio e Inghilterra, è la Gallagher Stout, dove le radici con l’Irlanda (che ha dato i natali alla madre) emergono grazie ad una interpretazione magistrale arricchita da una calibrata quanto inconsueta infusione di alghe affumicate proveniente dalla costa a sud di Belfast. Se il premio Birraio dell’Anno è appannaggio del settentrione, la classifica dedicata ai birrai con meno di due anni di attività vede protagonista le il centro-sud: oltre al vincitore, viterbese, il terzo posto va a Luciano Landolfi del birrificio Eastside di Latina; il quarto a Flaviano Brandi del birrificio Bibibir di Castellalto (TE); il quinto a Michele Solimando del birrificio Ebers di Foggia. Unica eccezione il secondo posto di Marco Ruffa del birrificio CR/AK di Campodarsego (PD) giunto secondo. Euposia Euposia dicembre aprile 2016 2017

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Birraio dell’anno Classifica Birraio dell’Anno 2016

1° Marco Valeriani del birrificio Hammer di Villa D’Adda (BG) 2° Emanuele Longo del Birrificio Lariano di Dolzago (LC) 3° Alessio Gatti del birrificio Canediguerra di Alessandria 4° Agostino Arioli del Birrificio Italiano di Limido Comasco (CO) 5° Luigi D’Amelio del birrificio Extraomnes di Marnate (VA) 6° Pietro Fontana del birrificio Birra del Carrobiolo (MB) 7° Luana Meola e Luca Maestrini del birrificio Birra Perugia di Perugia 8° Alessio Selvaggio del birrificio Croce di Malto di Trecate (NO) 9° Josif Vezzoli del birrificio Birra Elvo di Graglia (BI) 10° Bruno Carilli del Birrificio Toccalmatto di Fidenza (PR) 11° Valter Loverier del birrificio Loverbeer di Marentino (TO) 12° Nicola Perra del birrificio Barley di Maracalagonis (CA) 13° Matteo Pomposini e Cecilia Scisciani del birrificio MC77 di Serrapetrona (MC) 14° Riccardo Franzosi del Birrificio Montegioco di Montegioco (AL) 15° Luigi Recchiuti del birrificio Opperbacco di Notaresco (TE) 16° Fabio Brocca del Birrificio Lambrate di Milano 17° Pietro Di Pilato del birrificio Brewfist di Codogno (LO) 18° Lorenzo Guarino del Birrificio Rurale di Desio (MB) 19° Andrea Dell’Olmo del birrificio Vento Forte di Bracciano (RM) 20° Mauro e Oreste Salaorni del birrificio Mastino di San Martino Buon Albergo (VR)

Classifica Birraio Emergente 2016

1° Conor Gallagher Deeks del birrificio Hilltop di Bassano Romano (VT) 2° Marco Ruffa del birrificio CR/AK di Campodarsego (PD) 3° Luciano Landolfi del birrificio Eastside di Latina 4° Flaviano Brandi del birrificio Bibibir di Castellalto (TE) 5° Michele Solimando del birrificio Ebers di Foggia

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Vino & Motori

Fiat Tipo Lounge 1.6 diesel Vivace e Moderna di

L

Enzo Russo

a Fiat Tipo Lounge 1.6 diesel 120cv ha un aspetto sobrio, gradevole all’occhio per le sue linee morbide ma molto definite. E poi è molto interessante il rapporto prezzo e dotazione, con i tempi che corrono è un dettaglio non da poco perchè è una familiare a tutto campo che soddisfa le persone che amano guidare in tutta tranquillità e sicurezza con la famiglia con 2/3 figli. L’abbiamo provata in città dove i consumi hanno sorpreso, 18 km/l e in autostrada siamo arrivati ad un consumo di 23 km/l. Con i tanti comfort in dotazione, la Tipo è un piacere guidarla in tutto relax. Vediamoli. L’abitacolo è spazioso: quattro adulti stanno comodi e una quinta persona al centro del divano può contare su una seduta piatta, non ha intralci fra i piedi. Ottima la posizione di guida, con i comandi disposti come si deve: lo schermo del navigatore, in alto alla stessa altezza del cruscotto, è ben visibile, e le “manopolone” del climatizzatore si indivi-

duano subito. Il volante si regola anche in profondità e il sedile prevede pure la registrazione lombare, a comando elettrico. I portaoggetti sono numerosi e capienti Il bagagliaio è facilmente accessibile (la bocca è larga fino a 1 metro e alta 50 cm) e capiente. Ha di serie sei airbag, i cerchi in lega di 16”, il climatizzatore automatico, i fendinebbia, la radio mp3/Bluetooth con le prese Aux e Usb, i retrovisori a regolazione elettrica e il sedile di guida registrabile in altezza. Poi c’è il cruise control, il navigatore (che mostra le sue indicazioni anche nel monitor del cruscotto), la retrocamera e le ruote di 17”. Nella guida, la Fiat Tipo 1.6 è intuitiva e per nulla affaticante. Lo sterzo è preciso e della giusta consistenza, mentre il cambio si manovra agevolmente. approfittando della vivacità dei 120 cavalli del poco rumoroso “1600” e dell’agilità dell’auto, con il cambio a 6 rapporti, più retromarcia, ci si più anche divertire.

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Millenials

I vini dei Millenials di

S

Giulio Bendfeldt

ono due miliardi di abitanti nel mondo, sono la generazione più popolosa, sono i Millenials, ovvero la generazione dei ragazzi (oramai belli adulti e già introdotti nel mondo del lavoro, almeno in larga parte) nati fra gli Anni Ottanta e l’inizio degli anni Duemila. Saranno loro a decidere le sorti del mondo del vino nei prossimi anni quando subentreranno ai loro genitori ed ai loro nonni, quei baby-boomers nati dopo il Secondo Dopoguerra che hanno fatto del vino un prodotto di successo in tutto il mondo, soprattutto in quei Paesi non produttori (o piccoli produttori) che sono così determinanti nel business odierno. I Millenials sono da tutti guardati come produttori di tendenze e quindi strategici da comprendere. Per non pochi osservatori, però, si tratta di una generazione con pochi soldi in tasca, che quindi beve con costanza soltanto quello che papà porta in tavola, e che prima di cambiare il mondo del vino, e dei consumi più in generale, dovrà cambiare le proprie aspettative professionali e di reddito. Per capirci di più Pasqua Vigneti e Cantine ha commissionato a Episteme una ricerca su tre Paesi strategici: Italia, USA e Giappone. Una ricerca molto curata, ben fatta, che riportiamo per sommi capi. Questi mercati sono, al contempo, particolarmente significativi per Pasqua e rappresentativi di tre aree geografiche: America del Nord, Europa e Far East (il Giappone è da sempre considerato un trend setter dagli altri Paesi dell’area asiatica). Si stima che i giovani Millennial siano 80 milioni negli

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Stati Uniti (rappresentano un terzo dei bevitori adulti americani), 11 milioni in Italia e 21,8 milioni in Giappone. In termini di spesa, nel 2015, i Millennial avrebbero investito più in prodotti legati al vino rispetto alle altre categorie. Nel complesso hanno superato i genitori nel consumo di vino, sviluppando al contempo una cultura enologica più matura e raffinata. Un altro dato significativo è il Fattore D: il vino, da sempre considerato un prodotto tipicamente maschile, vede il genere femminile diventare protagonista nel consumo di alcolici in tutti i mercati analizzati. Tra i Millennial le donne hanno sorpassato gli uomini nel consumo di prodotti vinicoli: l’indagine le descrive proattive, determinate, intenditrici e decisori d’acquisto. I macro trend rinvenuti a livello globale fotografano i Millennial come: • digitali e sempre connessi, desiderano quindi con il produttore, anche attraverso la tecnologia, un dialogo diretto e trasparente; • globali e mobili, ma cercano bottiglie di qualità con provenienza certificata e legata al territorio; • sono sensibili ai temi di sostenibilità, guardano quindi con favore ai brand attenti ai temi di responsabilità sociale e biologico; • Sono collaborativi, vogliono poter co-creare, da cui l’esigenza di avere oltre alla degustazione delle vere e proprie esperienze del brand e dei valori di cui è portatore. Andando più in profondità sulle diverse aree geografiche, cominciano ad emergere alcune difformità che


possono essere trasversali a più mercati. Il trait d’union è la condizione lavorativa, che caratterizza notevolmente i Millennial, suddividendoli in: #tradizionalista (soprattutto USA): è il giovane adulto inserito in un percorso lineare sicuro ma non soddisfatto #self-branded (USA e Italia) costruisce da sé, dalle proprie competenze, il proprio lavoro #equilibrista (Italia e Giappone) colma l’incertezza incastrando diversi percorsi professionali #messo-in-pausa (Italia e Giappone) rimanda all’infinito il confronto con la propria autonomia #social-worker (Italia e USA) attento alle ricadute sociali del proprio lavoro « L’insicurezza verso il futuro, o piuttosto una situazione sociale più fluida, incidono in modo determinante sullo stile di consumo del vino. In particolare in Italia il vino per i Millennial è un modo per appropriarsi dell’ “adultità” che le condizioni economiche precarie, a volte tengono lontana. Sono ambasciatori di un consumo intelligente, si beve nazionale o meglio locale. – ha commentato Monica Fabris, Presidente di Episteme - Negli Stati Uniti un consumatore di vino su due è donna. Alla ricerca di un work-life balance, considerano il vino un’espressione culturale, un alimento sano e moderno. In Giappone, i Millennial hanno ereditato il culto della qualità, ma vivono con poco e devono scegliere attraverso il rapporto qualità e prezzo. Qui il vino è al centro di progetti educativi sul bere di qualità e moderatamente rispetto, ad esempio, ai superalcolici». L’indagine, dopo aver tracciato le specificità dello stato

I WINE TREND EMERGENTI TRA I MILLENNIAL: Italia, Giappone, USA a confronto

attuale nelle diverse aeree geografiche, ha esplorato alcune tendenze che stanno prendendo forza sui mercati. Tra queste ad esempio la crescita delle vendite del rosè. «E’ stato stimato che il 10% del vino venduto a livello mondiale è pink mode - ha commentato Riccardo Pasqua, Amministratore Delegato di Pasqua – questo stile di consumo risponde al desiderio dei Millennial di sperimentare, di abbinare il vino ad una situazione di convivialità non necessariamente legata ad un pasto». In generale – ha aggiunto l’AD - “il vino è considerato un prodotto naturale e quindi sano, rispondendo quindi perfettamente a quell’esigenza di naturalità e salute specifica dei Millennial. In Pasqua seguiamo con grande attenzione i diversi stili di consumo emergenti, perché riteniamo che alcuni di questi possano diventare dei fenomeni estremamente interessanti”. Un’altra tendenza sono i cool climate wine, aumentano cioè i produttori di vino estremo, graditi ai Millennial che, avendo un livello di preparazione sul vino tendenzialmente superiore a quello dei loro padri, e possono apprezzare le caratteristiche del “vino estremo”. “Quello che come produttori di vino di qualità vediamo con grande soddisfazione – ha concluso Umberto Pasqua, presidente di Pasqua Vigneti & cantine – è la sempre maggiore cultura del vino che si sta diffondendo sui mercati. Questo è un fenomeno molto importante perché consente a chi degusta i nostri vini, di apprezzarne pienamente le caratteristiche e la personalità”.

R.16.129 Presentazione 07.03.2017

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Whiskey

L’oro di Dublino Diageo lancia Roe&Co, il nuovo blend premium di whiskey irlandese e investe 25 milioni di euro per una distilleria a St. James’s Gate

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iageo annuncia il lancio di Roe & Co, un nuovo blend premium di whiskey irlandese. L’avvicinamento di Diageo alla categoria dei whiskey irlandesi premium arriva in concomitanza con l’annuncio dell’azienda stessa di un piano di investimento da 25 milioni di euro per la costruzione di una distilleria in St. James’s Gate, la storica area della zona 8 di Dublino considerata il triangolo d’oro della produzione di whiskey. Nel 2015 l’export di cibo e drink ha raggiunto quota 10.9 miliardi di euro, con una crescita continua di anno in anno. Il whisky irlandese ha sperimentato una crescita a doppia cifra e un record nell’export di 400 milioni di euro. Le vendite globali di whiskey irlandese sono aumentate di più del 300% negli ultimi dieci anni e stanno continuando a crescere dalla metà degli anni ‘90. Roe & Co è prodotto dagli stock selezionati a mano dei più pregiati whiskey irlandesi di malto e grano invecchiati in botti di bourbon. Ha la morbidezza tipica del whiskey irlandese e una notevole profondità di sapore – una prestigiosa e morbida miscela, con una perfetta

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armonia tra l’intenso sentore fruttato del malto e la dolce cremosità dei whiskey single grain. Il nome di questo whiskey irlandese è stato scelto in onore di George Roe, il produttore di whiskey più celebre della sua epoca, emblema dell’età d’oro del whiskey irlandese nel XIX secolo. La sua distilleria, George Roe & Co, si estendeva per più di 17 acri su Thomas Street a Dublino ed era una delle più grandi esportatrici di whiskey in Irlanda. Costruita nelle vicinanze della Guinness nel cuore dello storico quartiere epicentro della produzione di birra e di distillati, le due fabbriche rappresentavano due brand di punta per la città. Oggi, a una manciata di metri da dove sorgeva la distilleria di George Roe, Diageo annuncia il piano di investimento per la costruzione della distilleria del suo nuovo Roe & Co convertendo la vecchia power house della Guinness di Thomas Street con il progetto di renderla sede produttiva nella prima metà del 2019.


Sfruttando i suoi 30 anni di esperienza, Caroline Martin, Master Blender di Diageo e il suo team, hanno iniziato da dicembre 2014 una ricerca meticolosa ed una selezione degli stock dei più pregiati whiskey irlandesi. Dopo più di 100 prototipi di blend, Caroline ha creato una straordinaria espressione del whiskey irlandese. L’alta percentuale di botti di primo riempimento dona note di cremosa vaniglia bilanciate dai sentori di frutta e spezie e da una notevole profondità degna di un whiskey così elegante e raffinato. Roe & Co – non viene filtrato a freddo ed è imbottigliato con un volume alcolico del 45%. La prima miscela di Roe & Co sarà disponibile nelle città chiave europee dal primo marzo 2017 come parte del crescente portfolio Reserve dell’azienda. Parlando del lancio, Michael Creed TD, il ministro dell’agricoltura dice: “Il whiskey irlandese sta sperimentando una rinascita ed è davvero una storia irlandese di successo. Sta vivendo un ritorno alla popolarità pari a quella della sua età dell’oro nel XIX secolo. Attualmente è il distillato con la più rapida crescita mondiale con un aumento delle vendite globali del 300% e un record nelle esportazioni di più di 400 milioni di euro* negli ultimi 10 anni. L’impegno e l’investimento di Diageo arrivano al momento giusto per un settore che sta vivendo una domanda globale senza precedenti. L’investimento supporterà l’economia locale, creando lavoro e offrendo una nuova meta per il turismo locale. Il mercato del whiskey irlandese ha una grande storia da raccontare e l’annuncio di oggi segna un entusiasmante nuovo capitolo nel suo sviluppo.” Tanya Clarke, General Manager of Reserve Europe, commenta il lancio cosi: “Questo è uno splendido progetto per noi di Diageo, evidenziando l’opportunità che abbiamo visto di sviluppare il segmento premium del whiskey irlandese e di contribuire alla crescita della categoria, visti i nuovi investimenti e l’interesse imprenditoriale nei suoi confronti. Nel creare Roe & Co

abbiamo studiato la domanda dei consumatori di oggi, che richiedono esperienze beverage sempre più premium e il desiderio dei bartender di poter disporre di un whiskey saporito e versatile che si adatti sia ai cocktail tradizionali che a quelli più innovativi.” Colin O’ Brien, Operations Director di Diageo, afferma che: “La distilleria progettata offrirà posti di lavoro nei prossimi anni sia nei suoi stadi di costruzione che in quelli operativi. Completerà la Guinness Storehouse che già oggi costituisce la più popolare attrazione turistica. Questo investimento dimostra pienamente l’impegno di Diageo nella vibrante crescita di The Liberties, uno dei più dinamici distretti della città e patria del whiskey irlandese durante l’età d’oro della distillazione irlandese. Siamo entusiasti del fatto che la distilleria farà rivivere l’orgogliosa tradizione della distillazione nel distretto.”

Note di gusto All’olfatto Roe & Co è cremoso, deliziosamente fragrante e notevolmente rotondo con note leggermente speziate e di zucchero filato assieme ai caldi sentori legnosi di vaniglia. La qualità e il perfetto bilanciamento della miscela si percepiscono immediatamente al palato grazie alla sua texture vellutata e alla dolcezza dei sapori che includono pere speziate e vaniglia. Il finale è persistente e delicato, con un finale leggermente cremoso. Il gusto dolce delle note di pera che sono presenti in Roe & Co sono uno splendido tributo agli antichi fasti della distilleria di George Roe & Co. Tra i resti della distilleria di George Roe è rimasta la torre del mulino detto di St. Patrick, e un magnifico albero di pere datato 1850.

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Piceno

Passerina e Pecorino di

Carlo Rossi

Tra passato e presente si consolida lo sviluppo di uno dei piu’ dinamici ed innovativi Consorzi italiani: l’Offida DOCG del neopresidente Giorgio Savini

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l Piceno già nel nome ha il destino di un mito che ritorna. Quello della valorizzazione di un territorio dai cromatismi e dal fascino intenso, che, riferito al vino, si manifesta immediatamente sin dall’apertura, con sempre maggiori consensi per due denominazioni particolari: Passerina e Pecorino stanno diventando portabandiera del Consorzio Offida Docg creato nel 2011. La DOCG Offida prende il nome dalla cittadina di Offida, un insediamento risalente all’età della pietra e uno dei cuori della civiltà picena. Parliamo di una DOCG nuovissima ma forse, tra le ultime nate, quella più ricca di curiosità e peculiarità. Comprende tre tipologie di vini: Offida Rosso, Offida Passerina e Offida Pecorino. Recentemente numerosi produttori sono stati menzionati dalle guide con valutazioni ottime. Due sono le direzioni rintracciabili per l’assegnazione dei riconoscimenti: da un lato l’elevata qualità dei vini, dall’altro l’importanza storica della case vitivinicole insignite, aderenti piu’ di ogni altra al territorio e alle sue eccellenze enologiche. Da sempre must degli abitanti della Regione Marche è

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il carattere indomito, erede dell’antica popolazione italica, ma che nelle giuste occasioni sa dare allegria e manifestare tutta la propria gioia di vivere ancorchè, come in quest’ultimo periodo a causa del terremoto, toccata da una natura ancor piu’ indomita. Si potrebbe dire che anche per i marchigiani è vero il detto nec recisa recedit, ovvero neanche se spezzata si ferma, per questo lembo di terroir ai confini del Lazio, e da sempre ad esso legato strettamente. Dall’Alto Lazio, narra infatti la leggenda, i Sabini si mossero per dirigersi verso il mare. Il nome Piceno deriva da picchio. Nel passaggio verso il mare un picchio si poso’ sul vessillo dei Sabini, andando ad identificare così successivamente un intero popolo abitante nell’area dell’odierna Ascoli, per poi diffondersi in tutta la regione Marche: « Picena regio, in qua est Asculum, dicta, quod Sabini cum Ausculum proficiscerentur, in vexillo eorum picus consederat » « La regione picena, nella quale si trova Ascoli, è detta così perché, quando i Sabini si misero in viaggio verso Ascoli, un picchio si posò sul loro vessillo » (Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 235 L.).


E nella terra marchigiana anch’essa di Francesco Scacchi, fabrianese, non potevo non essere incuriosito soprattutto dalle versioni spumanti dalle notevoli potenzialità come la Passerina spumante brut nella versione elaborata dall’azienda La Canosa, Casta Marche con Casta spumante passerina brut. Francesco Scacchi (1577-1656), di professione medico, ebbe un revival negli anni ’90 a motivo dell’attribuzione di aver descritto nel libro De salubri potu dissertatio (Dissertazione sulla bevanda salutare) metodi con cui si rendevano frizzanti i vini a quel tempo. In realtà, uno dei primi a citare questo fatto fu il celebre storico enologo e gastronomico, André Louis Simon (1877-1970), nel suo classico libro Bibliotheca vinaria pubblicato per la prima volta a Londra nel 1913 in una edizione limitata di 180 copie. Il Simon infatti riportava nella prima parte della sua suo pubblicazione che il libro di Francesco Scacchi conteneva una descrizione di come fare il vino frizzante… “This work contains a description of making sparkling wine” . Ma è tutta l’Offida DOCG grazie attento lavoro di squadra messo a punto dalle 35 Cantine che aderiscono

al Consorzio di tutela di cui è neopresidente Giorgio Savini, erede della bellissima attività di sviluppo e promozione del past President Angela Velenosi, che ci dice come “ L’Offida Passerina DOCG nasce principalmente da uve Passerina, che possono essere eventualmente vinificate anche in purezza, a cui viene aggiunta una minima percentuale di altri vitigni a bacca bianca. È un vino ricco di sfaccettature che si presenta fermo, spumante o passito. Nella sua versione ferma si apprezza tutto il patrimonio acidico tipico di quest’uva e la delicatezza dei profumi. Nella versione spumantizzata, la piacevolezza delle bollicine rende ancora più gradevole la freschezza del vino”. Ma è probabilmente il vino passito che riserva le sorprese più grandi: le tecniche di vinificazione e il periodo di affinamento in legno ne modificano visibilmente le caratteristiche sensoriali, rendendo evidenti i tratti di dolcezza e di setosità che nelle altre tipologie restavano in secondo piano. Il disciplinare prevede la presenza di uve Passerina per almeno l’85%. Possono concorrere alla produzione altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, raccomandati e/o autorizzati per la provincia di Ascoli Piceno e Fermo fino a un massimo del 15%. L’Offida Pecorino DOCG è il fiore all’occhiello di questa DOC: la riscoperta di questo vitigno, avvenuta solo in anni recenti, ha permesso di esaltare e far conoscere le peculiarità di questo vino che in passato non veniva vinificato in purezza. Si è rivelato un bianco di carattere, con tratti distintivi così intesi da farlo associare facilmente ai vini rossi: un alto tenore zuccherino che ne eleva la gradazione alcoolica, sempre al di sopra dei 13°, un buon corpo e un elevato tenore acidico. Ne nasce un vino sorprendentemente longevo, potente e piacevolmente sapido. Il disciplinare prevede che venga prodotto con uve Pecorino per almeno l’85%. Euposia aprile 2017

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Possono concorrere alla produzione altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, raccomandati e/o autorizzati per la provincia di Ascoli Piceno e Fermo fino a un massimo del 15% . Le aziende le cui referenze sono state degustate da Euposia erano CARMINUCCI VINI con il Belato offida pecorino docg 2015 Casta Marche passerina igt 2015

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Casta spumante passerina brut, CIU’ CIU’ con Evoè Marche passerina igp 2015, Merlettaie offida pecorino docg 2015 e Oris falerio dop 2015 , poi CAMELI IRENE con Milia Offida passerina Docg 2015 e Gaico Offida pecorino docg 2015, CLARA MARCELLI che ha presentato due cavalli di battaglia Irata offida Pecorino docg 2014 e Raffa offida Passerina docg 2014,


dimostrando anche la sorprendente freschezza, piacevolezza e persistenza aromatica dopo due anni, LA CANOSA con il Pekò offida pecorino docg 2015, Servator offida passerina docg 2015 e Spumate passerina brut, LA CANTINA DEI COLLI RIPANI ha offerto Ninfa ripana gold Offida Passerina Docg 2015, Rugaro Gold offida pecorino dog 2015, Falerio pecorino doc 2015 e Falerio doc 2015. Poi LE CANIETTE con le splendide Lucrezia marche passerina igp 2015 e Veronica offida pecorino docg 2015 ma anche la bella storia di Gaia offida pecorino docg 2014. Le CANTINE DI FIGARO si sono presentate con un intrigante Letix Pecorino Doc 2015. SANGIOVANNI impareggiabile con Marta marche passerina igp 2015, Kiara offida pecorino docg 2015 e Gyo falerio pecorino dop 2015. Quindi SANTA LIBERATA con tradizionali Offida pecorino docg 2015 e Offida passerina docg 2015. Dulcis in fundo due splendidi vini di VELENOSI (mi piacerebbe provare il Rose metodo classico) Villa Angela offida pecorino docg 2015 Villa Angela Falerio Pecorino Doc 2015 . E’ stato un viaggio che è partito dal mare a suoli collinari e in poche decine di chilometri si sono alternati terroir splendidi da Grottammare, Castorano (280mt slm) , Offida (293 mt slm), Fermo (320 mt slm), Rotella (400 mt slm ) per concludersi a Ripatransone (500 mt slm) . Ripassando l’assaggio,

per quel poco che ne è rimasto nel bicchiere, dei vini incontrati, cerco di carpire il segreto (se così si può definire) di queste belle realtà, saldamente affermatesi ormai a livello nazionale ed internazionale. Mi colpisce la semplicità e la facilità con cui questi prodotti comunicano il territorio ed i vitigni impiegati. Si tratta di vini schietti, comunicativi, fruibili: è assai facile divenirne rapidamente “amici”, esperienza che potrete vivere con maggior forza visitando le terre e le persone che fanno grandi le famiglie marchigiane. ” Il mio mondo è la vigna , i filari, l’aria aperta e purtroppo anche i pensieri e problematiche che affliggono ogni persona che si trova a lottare e credere in un sogno a lungo termine. Non so se esiste qualcosa in cui si può credere di più a lungo termine della vigna e del vino” racconta Savini “ quando gli appassionati di vino mi chiedono una degustazione, io li porto in vigna. perchè solo li si rendono conto realmente che il vino non è un prodotto industriale e replicabile all’infinito, ma legato e condizionato dalla stagionalità e annualità. ogni anno è una cosa a se. Ed allora racconto loro della storia del pecorino e passerina. Vitigni storici e legati al nostro territorio. Pecorino, grappolo piccolo serrato, acino piccolo dove il rapporto tra polpa e buccia è palesemente per la buccia , quindi vini strutturati, importanti, ricchi di profumi e di evoluzioni. La leggenda racconta che nella transumanza di fine estate le greggi che scendevano dalla montagna si fermavano a “spiluccare” questa uva già matura e dolce. Non solo, osservando il profilo di un grappolo di pecorino esso assomiglia molto ad una pecora con tutto il suo vello. Passerina, la varietà bianca tardiva della nostra zona, grappolo lungo ,spargolo, dove l’aria circola liberamente per asciugare le prime rugiade dell’autunno. Un autunno alle porte e dove per il passero, sempre in cerca di cibo, resta poco da mangiare se non “beccare” questi acini dorati. “ Se ce del vero in queste leggende non si sa. Ma sicuramente uva e natura, natura e vino sono saldamente legati con un filo che non si può spezzare, non si può tagliare. Ma solo capire che c’è e un viaggio nell’antica terra dei Piceni val davvero la pena di farlo.

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Sardegna

Giuseppe Sedilesu biologico per vocazione di

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Daniela Scaccabarozzi

ardegna, terra di natura selvaggia, da sempre rinomata per il suo splendido mare e per le sue spiagge, ma non in particolar modo per i suoi vini, di cui non si parla molto spesso. Eppure la vite è presente sull’isola da tempi antichissimi, risalendo addirittura all’epoca dei Fenici. Nel territorio della Barbagia, aspro ed isolato, in provincia di Nuoro, troviamo la zona più vocata per la coltivazione del suo vino rosso più conosciuto e coltivato, il Cannonau. La cantina Giuseppe Sedilesu a Mamoiada (NU) ha deciso di puntare la sua produzione proprio su questo

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vitigno che dà vita ad un vino rosso importante, tannico e strutturato, da abbinare ai piatti tipici locali. L’azienda, a conduzione famigliare, è stata fondata verso la fine degli anni 50 da Giuseppe Sedilesu che pensò di prendere in affitto un ettaro di terra per poter coltivare e vinificare delle uve per suo uso personale. Tra la fine degli anni 60 e l’inizio del 70 acquista poi quell’ettaro, cominciando a vendere il vino come prodotto sfuso nei paesi limitrofi. Già in quegli anni Giuseppe Sedilesu coltiva il suo vigneto in maniera tradizionale e semplice, rispettando il più possibile la terra e le uve, senza usare concimi.


Nel frattempo comincia ad avvicinare i tre figli Antonietta, Francesco e Salvatore alla vite e, cercando di attirarli con uno stratagemma (che era quello di fare guidare loro l’automobile) si fa aiutare nei fine settimana. I bambini crescono così in mezzo ai filari e col tempo, piano piano si appassionano fino a quando, nel 1999, il padre decide di lasciare a loro alcuni vigneti sparsi che nel mentre erano stati acquisiti. Anziché dividersi i terreni, i fratelli decidono invece di unire le loro forze per lavorarli insieme con un obiettivo ambizioso: imbottigliare direttamente in cantina il loro vino, lanciando sul mercato una loro etichetta. Si volta quindi pagina ed i figli lavorano alacremente con coraggio e spirito di conquista. Ciò che però non vogliono cambiare, ma anzi migliorare, è il metodo di coltivazione e vinificazione portato avanti dal padre Giuseppe. Le vigne continuano infatti ad essere allevate con il metodo tradizionale, senza concimi e senza innaffiare i terreni. “Fare il vino, essere bravi a farlo, vuol dire per prima cosa avere rispetto della qualità dell’uva” dice Salvatore

Sedilesu, direttore commerciale.”Nelle annate difficili, usiamo al massimo il 30% delle cariche dei medicinali consentite dal disciplinare. Questo è possibile grazie al territorio in cui ci troviamo, che è soleggiato e ventilato e che quindi è in grado di evitare le infezioni più gravi” aggiunge. Mamoiada è infatti un paese posto in alta collina dove i vigneti della cantina si trovano ad una altitudine compresa tra i 600 e gli 850 metri. Il microclima è quindi temperato e le escursioni termiche tra il giorno e la notte nel periodo pre-vendemmia sono alte e favoriscono un buon corredo polifenolico delle uve. Oltre all’approccio biologico, si dedica anche ad un approfondimento delle tecniche biodinamiche. “La potatura viene fatta interamente a mano. Non usiamo lieviti selezionati per le fermentazioni, ma aspettiamo la fermentazione spontanea naturale. Eseguiamo la follatura ed il montaggio dei mosti. Non facciamo la chiarificazione del vino, ma la sfecciatura statica. No anche alla filtrazione pesante, ma solo a quella leggera. Infine non Euposia aprile 2017

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intensifichiamo la gradazione. Alcuni vigneti, quelli con più pendenze, sono arati ancora con i buoi perché non insaccano il terreno, al contrario del trattore. Purtroppo però è sempre più difficile poterlo fare perché sono sempre meno, mentre noi auspichiamo che si possano allevare più buoi per poterli utilizzare anche per questi scopi” continua Salvatore. Oggi la cantina si estende su circa 15 ettari, tutti allevati ad alberello e quasi tutti coltivati a Cannonau. I terreni sono di origine granitica e si trovano in una conca attorniata da alte colline. Qui troviamo vecchi impianti di oltre 50 anni (uno in particolare ne ha addirittura 100!) con rese di 30 quintali per ettaro per un terzo della superficie, mentre per i restanti due terzi sono nuovi impianti tra i 3 ed i 15 anni, con rese dai 60 agli 80 quintali per ettaro. Dal 2002 l’azienda comincia ad imbottigliare il suo vino e nel giro di pochi anni le sue etichette si guadagnano importanti riconoscimenti dalle varie guide nazionali (L’Espresso, Gambero rosso, AIS, ecc.). Il Cannonau, espressione tipica del territorio è l’uva

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principalmente coltivata dall’azienda giunta ormai alla terza generazione. I loro vini, come abbiamo visto, nascono da una storia fatta di tappe importanti e sempre in crescita. La ricerca della naturalità, la passione ed il forte legame con una terra dura ed affascinante hanno permesso alla famiglia Sedilesu di produrre dei vini interessanti, molto espressivi e mai banali. Nonostante questi siano di corpo e complessi, risultano freschi e bevibili all’assaggio, spesso accompagnati da una nota balsamica. La cantina Sedilesu è ormai riconosciuta come la realtà più importante e più seria della zona di Mamoiada, a cui molti altri vignaioli della zona fanno riferimento. Il “Mamuthone”, è il loro vino simbolo ed anche il più presente sulle guide, ottenuto da vigneti tra i 16 ed i 60 anni di età, matura per 12 mesi in botti grandi e 6 mesi in vasche di cemento. Anche il “Ballu Tundu”, un cannonau DOC riserva ottenuto dal 100% da uve di piccole partizioni di vigneti antichi (fino a 100 anni) è rappresentativo. Dopo una


macerazione di 30/40 giorni n tini di rovere di Slavonia, matura per 12 mesi negli stessi contenitori e 12 mesi in vasche di cemento, prima di affinare per almeno 9 mesi in bottiglia. Il “Carnevale” ed il “Giuseppe Sedilesu Riserva” sono invece le due etichette dall’affinamento più lungo e dalla produzione più contenuta. Accanto ai Cannonau, produce però anche dei vini bianchi ottenuti dalla riscoperta di un vitigno autoctono chiamato volgarmente Granazza, vinificato in purezza. Questi ceppi ricoprono circa il 5/7% della produzione totale ed è la sola cantina a vinificarlo. Da queste uve nascono due vere chicche, il “Perda Pintà”, il cui mosto, separato dubito dalle bucce, fermenta ed affina in barriques per 8 mesi ed il particolarissimo “Perda Pintà sulle bucce” che fermenta appunto sulle

bucce per 7 giorni, prima di essere affinato in barriques per un anno e successivamente in bottiglia dove rimane per altri 12 mesi. Il filo conduttore della naturalità continua anche nella moderna cantina che la famiglia Sedilesu ha voluto costruire. I materiali utilizzati sono certificati come edilizia biologica: cemento cellulare, pietra e legno. Possiede inoltre un impianto fotovoltaico per produrre nel rispetto dell’ambiente l’energia necessaria alla loro attività. Esternamente poi è stata data vita ad una vela di pietra che ricorda gli antichi nuraghi e che dà il benvenuto ai visitatori, che vengono accolti su prenotazione per poter degustare i vini che possiedono profumi e gusto della tradizione sarda.

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Parigi premia l’azienda Terre del Sole Zerilli Grillo: un vitigno a bacca bianca da sempre presente in Sicilia occidentale e nel marsalese è tra i più antichi della terra del Sole: la Sicilia. Nel degustarlo è come fare un’escursione sensoriale nella trinacria. Si consiglia di berlo fresco ma non troppo. Zona di Produzione: Petrosino – Marsala - Trascorre 6 mesi in acciaio e 2 in bottiglia. Si può gustare al meglio con piatti di pesce, carni bianche e formaggi non stagionati.

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l Nero d’Avola e il Grillo sono stati grandi protagonisti della manifestazione che si è svolta a Parigi in occasione del Gran Prix Paris Saint Germain de Pres. L’azienda Terre del Sole Zerilli è stata premiata per la qualità dei due vini autoctoni, fiore all’occhiello dell’azienda vitivinicola, che dal 2016 produce solo vini biologici. ma anche delle viticultura siciliana. Leonardo Zerilli, titolare dell azienda, è stato premiato dal nuovo Console italiano a Parigi, dott.ssa Emilia Gatto. “Per me e la mia famiglia, è un onore ricevere questo premio. Un grazie va a tutte le persone che ci sono vicine in questa nostra piccola ma grande realtà. – ha commentato Leonardo Zerilli, emozionato del riconoscimento ricevuto, in un Paese, che di vino se ne intende. La cantina Terre del Sole nasce nel 1918 nel comune di Petrosino (Tp), territorio particolarmente vocato alla viticoltura. Oggi nei vigneti di proprietà viene coltivato Grillo, Chardonnay, Catarratto per i vini bianchi e Pinot Grigio; Nero d’Avola, Syrah, Petit Verdot per i rossi. Attualmente dalla cantina escono solo due vini.

Nero d’Avola: è un vitigno autoctono che rispecchia la Sicilia di tutti i tempi: Terre del Sole lo produce al meglio. Potente ed elegante, emerge con una vasta gamma di profumi su sfondo speziato. Notevole struttura e buon equilibrio fra tannicità e morbidezza che sfuma in una rispondenza perfetta ai profumi. Zona di Produzione: Sicilia occidentale Trascorre sei mesi in acciaio e tre in bottiglia Si sposa felicemente con le carni rosse, selvaggina e formaggi stagionati

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Gancia presenta Galliano L’Aperitivo, lo spirit che racchiude la storia e l’innovazione della distilleria italiana

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radizione, tipicità e innovazione: tre fattori che nel settore beverage sono divenuti tra i più decisivi per un’adeguata offerta nel mercato italiano e internazionale. Le cinque declinazioni del brand Galliano, Autentico, Vanilla, Amaretto, Ristretto e L’Aperitivo incarnano ed esaltano questi caratteri distintivi. Decine di infusi di erbe e spezie e la profonda esperienza degli artigiani distillatori sono i principali ingredienti di Galliano, ancora oggi prodotto in due piccoli alambicchi di rame tradizionale, riservati unicamente a questo liquore. Tutto questo avviene da sempre presso la distilleria Maraschi & Quirici di Chieri (Torino) a cui, già nel 1888, Vaccari si rivolse per creare il suo innovativo elisir. Oggi, il marchio è distribuito da Gancia che segue ancora scrupolosamente la storica ricetta di Arturo Vaccari datata 1896, con lo scopo di preservare il suo profondo Spirito italiano. Tra i botanical utilizzati per la preparazione di Galliano L’Aperitivo spiccano estratti e infusi di agrumi mediterranei come arance, bergamotti, arance amare, chinotto, mandarini e pompelmi. Le sue note sono arricchite dal classico sapore di Galliano l’Autentico, che conferisce all’Aperitivo una grande ricchezza di sfumature e un sottile aroma erbaceo di fondo, rendendolo un amaro unico nel suo genere. Questo nuovo prodotto, ha gusto fresco, con chiare note di agrumi mediterranei che si legano a sfumature delicatamente erbacee, è un amaro unico la cui ricetta comprende estratti e infusi di agrumi mediterranei. Un signature drink è stato creato ad hoc per la manifestazione Aperitivi & Co. di Milano l’Aperitivo presentato all’evento amplia la gamma del brand Galliano, denominato Spirito Italiano dallo stesso spirito che ha accomunato due grandi personaggi della storia italiana di fine ‘800: Arturo Vaccari e Giuseppe Galliano. Il primo come creatore di un prodotto che ha contribuito alla storia della distilleria italiana, il secondo come uomo d’armi dalla spiccata personalità e carisma a cui fu dedicato il prodotto. Pur non incontrandosi mai, i

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due fanno parte di un’importante tradizione e cultura produttiva, che durante l’evento di Aperitivi&Co è stata degustata e anche rivissuta attraverso il coinvolgimento emotivo intrinseco del Galliano che unisce il fascino della storia alla contemporaneità del carattere.


Rivo, nasce il Gin del Lago di Como

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i deve camminare per molti chilometri lungo le pendenze delle montagne del Lago di Como per arrivare nel posto giusto. Una volta lì, si può iniziare la ricerca. Richiede tempo ed abilità, ma la gioia de l raccolto appaga la fatica. ‘Foraging’ è l’arte di cercare le botanicals direttamente in natura. “ Tra le specie botaniche raccolte abbiamo Timo serpillo, Melissa, Santoreggia e Pimpinella ed altre, che insieme a Ginepro, Coriandolo, Cardamomo e Angelica costituiscono il bouquet di gusto di Rivo Gin, il nuovo Gin italiano. Per secoli, donne locali hanno cercato nei prati attorno al Lago di Como erbe e fiori per preparare medicine e rimedi. La storia le chiamerebbe streghe. Noi le consideriamo pioniere di pozioni uniche. Ed è proprio l’elemento delle streghe e della magia che ha ispirato il

packaging. Linee geometriche si inseguono per creare figure astratte, che nei dettagli riprendono due elementi de l territorio: le montagne e le onde del lago. Rivo Gin viene distillato utilizzando 12 specie botaniche, che includono rari ingredienti raccolti a mano direttamente nei prati attorno al Lago d i Como. Esperte etno-botaniche eseguono la raccolta e certificano la provenienza delle erbe, in modo che vengano scelti gli ingredienti migliori e garantita la qualità necessaria. L’idea era creare un design che richiamasse l’artigianalitá italiana, ma che al contempo fosse moderno e capace di presentarsi a livello internazionale. Rivo Gin è un distillato orgogliosamente prodotto in Italia. «La distillazione avviene in alambicco discontinuo in rame a bagnomaria. Una volta raccolta, ciascuna erba fresca viene direttamente immessa in soluzione idroalcolica separata a 50°per 48 ore. Successivamente, ciascuna botanica viene pressata e ciascun infuso ottenuto distillato. Ciascuna specie botanica è gestita separatamente, distillata individualmente e poi assemblata gradualmente con le altre». La distillazione avviene in piccoli batches per garantire la migliore qualità in ogni bottiglia.” RIVO Gin ha un volume alcolico di 43%.L ‘alcol utilizzato è di cereali (grano) e ovviamente Italiano. Note di degustazione: Rivo Gin si presenta con una aroma balsamica caratterizzata da note floreali e fruttate accompagnate da leggeri sentori di sottobosco. Il sapore è complesso ma morbido, ricco di sentori fruttati, speziati e d i erbe, con un finale lungo e caratterizzato da note botaniche. La Melissa, insieme al timo danno la connotazione di gusto principale a RIVO Gin.

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Gorgonzola

La produzione di Gorgonzola continua a crescere nel 2016 e si attesta su un trend di crescita quadriennale.

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el 2016 la produzione di formaggio Gorgonzola cresce dell’1,78 % rispetto all’anno precedente confermando un trend in salita dal

2013. Nell’anno che si è appena concluso i 37 caseifici, collocati tra Piemonte e Lombardia, che rappresentano la totalità della produzione globale di Gorgonzola, hanno prodotto 4.581.155 forme, 79.918 in più rispetto al 2015, circa 138mila più del 2014 (+3,10 %) e con un aumento ancora più consistente, di oltre 400mila forme (+10% circa), rispetto al 2013. La tipologia “Piccante” continua a rappresentare una nicchia con 516.363 forme prodotte nel 2016 (11,27% sul totale), ma anch’essa è in costante crescita. Dal 2013, infatti, quando ha raggiunto il 9% del totale, la produzione di Gorgonzola Piccante è cresciuta all’incirca di un punto percentuale ogni anno. Il Presidente del Consorzio Gorgonzola Renato Invernizzi commenta con entusiasmo i dati sulla produzione: “Siamo in presenza di una tendenza positiva che va consolidandosi. Questo vuol dire che investire nella qualità paga perché consumatori e operatori la richiedono sempre più. Anche l’attività di promozione messa in atto con continuità dal Consorzio in questi ultimi anni ha sicuramente contribuito a questo successo: dalla riconferma per altri 3 anni del testimonial Cannavacciuolo, alla costante presenza all’estero nelle molteplici attività di valorizzazione (il prossimo appuntamento sarà a Milano per TuttoFood dall’8 all’11 maggio, n.d.r.) fino al rafforzamento della nostra presenza sul web in Italia e all’estero: tutti questi aspetti concorrono a far conoscere le qualità del Gorgonzola ad un pubblico sempre più numeroso e interessato”.

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Questo trend positivo trova conferma anche dal Rapporto Istat annuale suoi prodotti agroalimentari di qualità (DOP e IGP) che da 10 anni vede aumentare costantemente produttori e trasformatori, segno evidente dell’ormai consolidata fiducia che questi ultimi ripongono nel sistema delle denominazioni d’origine (Fonte: Sole 24ore). L’attività promozionale fieristica del 2017 parte a Milano con Tuttofood (8-11 maggio), come di consueto con cadenza biennale, a cui il Consorzio Gorgonzola parteciperà con un proprio stand interamente rinnovato per valorizzare al meglio gli showcooking del testimonial Antonino Cannavacciuolo, capace di catalizzare l’attenzione di centinaia di appassionati e curiosi italiani. Durante la manifestazione sarà presente anche un altro importante chef, Gianpiero Cravero, che mostrerà come il formaggio Gorgonzola Dop si presti agli abbinamenti più insoliti. Altro appuntamento fieristico internazionale di primaria


importanza per il food&beverage a cui il Consorzio Gorgonzola rinnova la sua puntuale presenza è Anuga, a Colonia in programma dal 7 all’11 ottobre. Anche qui gli incontri tra produttori e operatori del settore si alterneranno ad attività di degustazione per far conoscere le peculiarità del formaggio Gorgonzola DOP. L’alleanza con gli altri Consorzi di Tutela non si limita alle partecipazioni fieristiche, ma prevede anche piani di comunicazione di lunga durata volti a promuovere i prodotti a denominazione d’origine nei mercati esteri. Con questo spirito prosegue “Cheese! It’s Europe”, la campagna europea di promozione triennale dei formaggi italiani DOP Gorgonzola, Parmigiano Reggiano e Asiago che si propongono insieme in Polonia, Austria, Repubblica Ceca e Ungheria. Dopo un primo anno ricco di showcooking, degustazioni e incontri nelle quattro capitali, nel 2017 proseguiranno le attività promozionali in loco e gli incoming della stampa e degli operatori stranieri nei luoghi d’origine del prodotto per diffonderne

la conoscenza tecnica insieme agli importanti valori che una DOP come il Gorgonzola rappresenta per il tessuto economico, storico e sociale della zona consortile. I numeri del Gorgonzola • Il gorgonzola è il 3° formaggio di latte vaccino per importanza nel panorama dei formaggi DOP italiani, dopo i due grana • 4.501.237 forme è stata la produzione globale di gorgonzola nel 2015 da parte delle circa 3000 aziende agricole e 37 aziende associate dislocate nel territorio consortile. • 720 milioni di euro circa è il giro d’affari del gorgonzola al consumo oggi. • In Italia le vendite si suddividono per il 65% al nord-ovest, 19% nel nord-est, 9% nel sud e nelle isole e il 7% al centro. • Il 34 % della produzione è destinato all’esportazione, prevalentemente nell’Unione Europea (con la Germania e la Francia che assorbono più del 50% dell’esportazione totale), ma anche negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone, paese in cui il consumo di formaggi italiani è in forte crescita. Euposia aprile 2017

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Il Chiaretto del garda

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resentato a Milano in Galleria Vittorio Emanuele, nel locale storico Savini, il rosè della riviera bresciana del Garda il “deblocage della nuova vendemmia”, con un testimonial d’eccezione, il cuoco stellato gardesano Riccardo Camanini. “Questo annuale appuntamento preannuncia una stagione di grandi eventi in rosa che vedranno il Chiaretto 2016 protagonista di primo piano” a detto il presidente del Consorzio Valtènesi Alessandro Luzzago, “saremo presenti al Prowein di Dusseldorf e al Vinitaly, mentre dal 2 al 4 giugno si svolgerà la decima edizione di “Italia in Rosa”, la più importante vetrina nazionale dedicata ai rosé in programma nel castello di Moniga del Garda, città del Chiaretto”. Ha poi aggiunto: “Il Valtènesi Chiaretto è un vino che deve la sua unicità alla presenza del vitigno autoctono Groppello, coltivato solo in Valtènesi, cui nella cuvée fanno da supporto anche Marzemino, Barbera e Sangiovese. Il risultato è un rosé estremamente tipico e personale, protagonista negli ultimi anni di un successo sempre crescente sull’onda di quel “rinascimento rosa” che sta caratterizzando i consumi europei soprattutto in Francia, dove ormai il consumo di rosati ha superato quello dei bianchi fermi”. “Quest’anno”, ha annunciato il direttore del Consorzio Carlo Alberto Panonont, “la denominazione si presenta sul mercato con un quantitativo di 2 milioni di bottiglie in crescita del 10% sull’annata precedente. La domanda è in crescita, ma l’incremento produttivo viene ogni anno contenuto proprio per mantenere alta l’attenzione sulla qualità finale oltre che sul valore della singola bottiglia, che trova oggi il suo mercato di riferimento nella ristorazione di fascia medio alta oltre che nelle enoteche”. “Il Valtènesi Chiaretto rappresenta la tipologia di riferimento di un territorio di lunghe tradizioni e di grande pregio ambientale, caratterizzato da un microclima unico di carattere mediterraneo regolato dall’influsso del più grande lago italiano. Nella zona controllata dal

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Consorzio Valtènesi è a dimora un patrimonio vitato che supera ormai i 1000 ettari per un totale di 50 mila quintali di uva prodotta ogni anno. Dalle 96 cantine associate escono ogni anno circa 3,5 milioni di bottiglie. Di colore suggestivo, vagamente affine al petalo di rosa, aroma fragrante e floreale, ed un gusto che anticipa nel bicchiere la freschezza della primavera, il Valtènesi Chiaretto è una vera e propria esclusiva enologica della riviera bresciana del Lago di Garda. E’ tornato sul mercato con la nuova annata (2016) nel giorno di San Valentino, proponendosi come ideale brindisi alla festa degli innamorati. Questo rosé ha una vocazione antica, la cui genesi si intreccia non a caso ad una lontana storia d’amore, quella tra la nobildonna gardesana Amalia Brunati ed il Senatore veneziano Pompeo Molmenti, grande appassionato di enologia. Nel 1885 il matrimonio tra i due portò Il Senatore Molmenti nei possedimenti dei Brunati a Moniga, in Valtènesi, dove nel 1896 codificò per la prima volta il procedimento produttivo del Chiaretto, la cui produzione era diffusa sul territorio fin dal ‘500 con la denominazione “claretto”, stando ai testi dell’illustre agronomo bresciano Agostino Gallo (1499-1570). Nel primo ‘900, il “rosè di riviera” ha un grande successo, diventa il vino più richiesto.


Ristoranti del buon ricordo

La prima associazione fra ristoratori nata in Italia, nel 1964

Sette nuovi Ristoranti nel Buon Ricordo

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istorante Al Sole di Forni Avoltri (Udine), Ristorante Osteria La Pergola di San Daniele del Friuli (Udine), Storico Ristorante Al Ponte di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Ristorante Hotel Camino a Livigno (Sondrio), Osteria di Fornio di Fidenza (Parma), Trattoria Il Francescano di Firenze, Hostaria di Bacco di Furore (Salerno): dal Friuli Venezia Giulia alla Campania, sono questi i 7 nuovi ristoranti che entrano a far parte nel 2017 dell’Unione Ristoranti del Buon Ricordo. Sono 100 dunque i ristoranti associati al sodalizio, fondato nel 1964 per salvaguardare le tante tradizioni e culture gastronomiche del Bel Paese, che rischiavano di scomparire davanti alla moda allora in auge della cucina internazionale. Cucina del territorio era allora, e lo è ancor oggi, la loro. Una cucina dove venivano privilegiati i prodotti a km zero ben prima che diventassero di moda e la tradizione culinaria regionale, ora come un tempo, viene valorizzata, coltivata, interpretata al passo con i tempi. A caratterizzare ciascun ristorante, e a creare fra loro un trait d’union, è il piatto-simbolo dipinto a mano dagli artigiani della Ceramica artistica Solimene di Vietri sul Mare su cui è effigiata la specialità del locale (che deve essere tenuta in carta tutto l’anno), che viene donato agli ospiti perché si ricordino della piacevole esperienza culinaria provata. Quella dell’Unione dei Ristoranti del Buon Ricordo è una storia lunga, consolidata e gloriosa. A una felice e puntuale idea di Dino Villani, uomo di cultura e maestro di comunicazione, si associò un gruppo di ristoranti di qualità con l’obiettivo di ridare notorietà e prestigio alle tante espressioni locali della tradizione gastronomica italiana, a quell’epoca poco valorizzata. Era la primavera del 1964. Chi si associava assumeva l’impe-

gno di praticare una linea di cucina tipica del territorio, di tenere sempre in carta “una specialità” che ne doveva essere la rappresentazione più rigorosa ed esemplare. A chi consumava quella specialità veniva donato un piatto decorato a mano dagli artigiani di una “città della ceramica” (Vietri sul Mare) che doveva appunto costituire il “buon ricordo” di una degustazione che, per qualità e rigore, doveva essere veramente difficile dimenticare. Piatti divenuti oggetto di collezionismo, ancor oggi decorati a mano dagli artigiani delle Ceramiche Solimene di Vietri sul Mare. Ristorante Al Sole Forni Avoltri (Udine) - Via Belluno, 14 Tel. 043372012 - Fax 043372008 www.alsoleromanin.it forniavoltrialsole@libero.it L’Albergo Ristorante Al Sole, di proprietà della famiglia Romanin da ben quattro generazioni, continua con passione e successo la strada che non ha mai abbandonato, ovvero quella della valorizzazione della cucina tradizionale carnica (fra le più gustose e originali del Friuli) e i prodotti del territorio. Dall’orto di casa provengono, per lo più, le verdure di stagione, funghi, erbe, piccoli frutti vengono raccolti - oggi come un tempo - nei boschi. Le ricette storiche della cultura locale (fra cui i cjarsons, sorta di ravioli dal ripieno dolce piatto simbolo della Carnia), gli gnocchi di pane, l’orzo e fagioli, il frico con la polenta, la selvaggina, lo stinco al forno…), gustosissime e sorprendenti per chi arriva da fuori nell’incantevole località alpina di Forni Avoltri, Euposia aprile 2017

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Ristoranti del buon ricordo si integrano con proposte adatte alle esigenze di oggi, sempre rigorosamente costruite su ingredienti locali. Calda e familiare l’accoglienza, bella e luminosissima la sala da pranzo con grandi vetrate, riscaldata dalla tradizionale stufa in maiolica. Piatto del Buon Ricordo: Gnocchi di pane con cavolo cappuccio e salsiccia Ristorante Osteria La Pergola San Daniele del Friuli (Udine) - Via Venezia, 57/A Tel. 0432954909 www.lapergolasandaniele.it info@lapergolasandaniele.it Situato ai piedi del Colle di San Daniele (nota in Italia e nel mondo per il delizioso prosciutto Dop a cui dà il nome) il Ristorante Osteria La Pergola è un locale tipico d’atmosfera, che d’inverno riceve gli ospiti con il calore della sua accogliente sala riscaldata dal caratteristico fogolar (grande camino centrale, tradizionale delle case friulane) e nella bella stagione li ospita in un fresco sottoportico. Data la sua collocazione geografica, non sorprende che l’atmosfera genuina sia completata e arricchita da una esposizione di cosce di prosciutto che, prendendosi tutto il tempo necessario, stagionano adeguatamente all’aria di San Daniele. La cucina è di tradizione, gestita con creatività, con sfiziosi antipasti e piatti a base di materie prime stagionali. Si gustano i sapori tipici di una cucina tipica friulana, rivisitata in chiave moderna e creativa con piatti creati con maestria e passione, sempre accompagnati da una scelta accurata di vini locali e di grandi etichette. Piatto del Buon Ricordo: Bocconcini di vitello in crosta di sesamo vestito di San Daniele e salsa Montasio Storico Ristorante Al Ponte Gradisca d’Isonzo (Gorizia) - Viale Trieste, 122 Tel. 048199213 - Fax 048193795 www.albergoalponte.it info@albergoalponte.it

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Al Ponte sorge nell’incantevole cittadina di Gradisca d’Isonzo, nel cuore del Friuli, tra prestigiosi vigneti e note località di rilevanza storica e artistica. L’edificio che ospita il ristorante, di oltre cent’anni e situato vicino al ponte sul fiume Isonzo da cui prende il nome, è stato recentemente rinnovato dalla famiglia Rizzotti: è un elegante salone, due piccole salette di cui una con caminetto in cui si è voluta mantenere l’atmosfera di un tempo. Dalla vecchia terrazza è stata ricavata una sala con caminetto per la griglia sempre acceso d’inverno, che si affaccia con le sue vetrate sul verde del parco dove si trova l’Hotel. In cucina, lo chef Luca Rizzotti Plet – che adora sperimentare - arricchisce con innumerevoli contaminazioni la cucina friulana con echi di terre lontane e spezie, bagaglio dei suoi viaggi e lavori in Estremo Oriente. Con uguale capacità declina sia la cucina creativa di pesce, che quella tradizionale del territorio. Grandiosa la lista dei dolci. Piatto del Buon Ricordo: Seppioline “in tecia” e sedano rapa Ristorante Camino Livigno (Sondrio) - Via Compart, 445 Tel. 0342979262 www.hotelcamino.it info@hotelcamino.it Il Ristorante Camino, alle porte di Livigno in zona Forcola, tra il verde dei prati e la quiete dei boschi (e d’inverno immerso in una candida coltre di neve), offre un’atmosfera di calorosa accoglienza d’altri tempi. Nella sala principale, avvolti dal caloroso profumo del legno di larice che riveste interamente le pareti, ci si lascia coinvolgere dai sapori della tradizione culinaria di Livigno. Molta cura viene dedicata, dallo chef e proprietario Luca Galli, alla scelta delle materie prime più genuine: ogni piatto, ogni ingrediente ed ogni sapore sono frutto di una continua ricerca, volta a valorizzare l’aspetto culinario e a tutelare ed attualizzare prodotti e tecniche che rischiano di scomparire dalla memoria.


Piatto del Buon Ricordo: Arancini di Taroz Osteria di Fornio Fidenza (Parma) - Via Fornio, 78 Tel. 0524.60118 - Cell. 340.2204530 www.osteriafornio.it info@osteriafornio.it L’Osteria di Fornio si trova a pochi chilometri da Fidenza, nell’entroterra della via Emilia, da dove proviene la Famiglia Caraffini, da 3 generazioni impegnata con successo nella ristorazione e approdata nel 2006 in questo raccolto e caratteristico locale dall’antica storia, aperto negli Anni ’20. La Famiglia Caraffini ha voluto mantenere la caratteristica atmosfera e l’accoglienza tipica dell’osteria, che rende il locale molto caldo, informale, accogliente. La cucina offre piatti tradizionali stagionali, andando anche alla ricerca di ricette ormai dimenticate: nelle pietanze si sente dell’influenza di diverse culture gastronomiche, dato che l’Osteria si trova nelle campagne a cavallo fra le province di Parma e Piacenza. Vi si possono degustare anche ottimi salumi stagionati nell’antica cantina di sassi, rimasta intatta, e una buona selezione di vini regionali e nazionali. Piatto del Buon Ricordo: Guancialetti di maiale al forno con cipolle rosse di Parma caramellate Trattoria Il Francescano Firenze - Largo Bargellini, 16 Tel/Fax 055241605 www.trattoriailfrancescano.it franscescano@foodinflorence.com Il Francescano si trova nel cuore di Firenze, a pochi passi da Piazza Santa Croce. È una trattoria tipica toscana dai sapori tradizionali, vini di qualità e profumi d’altri tempi. La storia de “Il Francescano” affonda le sue solide radici nella Firenze popolare di fine ‘800: barrocciai, artigiani e popolane di quartiere. È uno storico e tipico locale di quartiere, pilastro di vita quotidiana della Firenze che fu, prezioso per la sua autenticità. Un luogo in cui assaporare i più tipici piatti della cucina fiorentina e toscana, cucinati ad arte, con materie prime

d’eccellenza, selezionate con cura, stagione per stagione. L’antica insegna – Pizzicheria e Canova di vini – ne testimonia l’origine di vinaio, storica tipologia di locale di un tempo, ed ancor oggi eccellente è la sua cantina. La sua atmosfera calda e genuina e la sua ottima e sincera cucina, hanno attratto celebrità dello spettacolo, abituali frequentatori di Santa Croce per via del vicinissimo e importante Teatro Verdi (quali – negli Anni Ottanta- Vittorio Gassman o un’ancor giovanissimo Roberto Benigni) e gli sportivi dal pallone d’oro 2006 da Fabio Cannavaro al “Re Leone” Gabriel Omar Batistuta. Piatto del Buon Ricordo: Fritto del Convento Hostaria di Bacco Furore (Salerno) - Via G. B. Lama, 9 Tel. 089.830360 Fax 089.830352 www.baccofurore.it info@baccofurore.it L’Hostaria di Bacco si trova su una panoramica altura della Costa Amalfitana, dove la terra precipita a dirupo. Il paesaggio è stupendo e il mare, di notte, sembra un “cielo stellato” dalle luci delle lampare. Fondato dal nonno agli inizi degli anni 30, il ristorante è cresciuto in qualità e notorietà attraverso le generazioni, conservando tutta la sua autenticità e rispettando sempre due obiettivi irrinunciabili: il territorio e la stagionalità. Donna Erminia ai fornelli, custode della continuità in cucina, affiancata dai figli, che accolgono e conducono la sala con cura e passione, anche offrendo una confortevole ospitalità alberghiera. Uno scenario meraviglioso, con ampie terrazze sul mare, lontano dal frastuono, che porta tracce della frequentazione abituale di illustri personaggi come Anna Magnani, Roberto Rossellini e Raffaelle Viviani, che hanno trovato qui il loro angolo di paradiso, e tante celebrities contemporanee, attratte dall’unicità del luogo e da una cucina che rappresenta al meglio la tradizione gastronomica partenopea e campana. Piatto del Buon Ricordo: Linguine alla colatura di alici secondo Erminia

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Carni UK

Ahdb Beef&Lamb: nuovo sito e nuovi canali social per il mercato italiano

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e carni inglesi promosse in Italia dall’Ente AHDB Beef&Lamb sono online con un sito tutto nuovo (: www.carneperfetta.it ). Realizzato in modalità responsive per adattarsi a tutti i dispositivi di navigazione, dai tablet agli smartphone, la nuova piattaforma dedicata alle carni bovine e ovine d’oltremanica è stata rinnovata nel look e nei contenuti. La nuova veste grafica, più moderna e accattivante, ha l’obiettivo di migliorare la navigazione dell’utente: il menu nella fascia alta del sito composto di sole 5 voci permette di muoversi rapidamente fra le diverse sezioni senza dover ritornare alla pagina principale: l’utente scoprirà così le caratteristiche del prodotto, tante ricette, le

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modalità di cottura, i tagli bovini e ovini, l’importanza di una corretta alimentazione e la qualità dei prodotti. Sono disponibili diversi contenuti multimediali, mentre le immagini suggestive di pascoli e paesaggi trasmettono l’atmosfera tipica delle vedute inglesi. A guidare l’utente all’interno del sito troviamo un personaggio simpatico e bizzarro: Betty Bistecca, una giovane Milady che racconta aneddoti stravaganti sulla sua vita, famiglia e amori, legandoli di volta in volta a una ricetta del cuore. Betty Bistecca si trasforma poi in una intrigante ammiratrice quando incontra virtualmente Simone Rugiati - nel sito sono presenti alcune ricette e un video realizzati dallo Chef - e infine in sapiente


professoressa quando racconta di qualità, provenienza e filiera dei prodotti. Una sorta di ‘viaggio’, dunque, a metà fra la fiaba e la realtà, che lascerà ai visitatori un ricco patrimonio di informazioni e conoscenze sul mondo della carne. “Il mondo della carne inglese ha una lunga storia da raccontare, fatta di conoscenze tramandate, abilità contadine, storie di famiglia” spiega Jeff Martin, rappresentante Italia di AHDB Beef&Lamb. “Per questo motivo abbiamo deciso di puntare sulla narrazione, lo storytelling, con l’obiettivo di trasmettere i nostri valori, il nostro mondo e le nostre emozioni. Uno strumento, dunque, che offrirà informazioni, ma che vuole essere al contempo ludico e coinvolgente: questo sarà il nostro modo di presentarci al consumatore italiano”. Oltre al sito, AHDB Beef&Lamb ha aperto anche tre canali social: Facebook, Twitter e Instagram con il nome Betty Bistecca. Conclude Martin: “Betty Bistecca è il personaggio che accompagnerà gli utenti anche nel mondo dei social media: proporrà ricette, racconterà le ultime novità e terrà aggiornate tutte le persone che avranno il piacere di seguirci”. AHDB Beef&Lamb è una divisione di Agriculture and Horticulture Development Board (AHDB), ente britannico non governativo per il sostengo e lo sviluppo dell’industria agroalimentare. Il ruolo dell’Ente è di sostenere l’industria inglese delle carni bovine e ovine in tutta la filiera: dall’allevamento all’esportazione. I suoi obiettivi sono: promuovere l’industria delle carni, contribuire in modo diretto al miglioramento dell’efficienza nei settori bovino e ovino e stimolare la domanda in Inghilterra e all’estero attraverso attività di comunicazione e marketing. AHDB si finanzia attraverso un prelievo parafiscale e il suo lavoro è moto importante poiché mette a disposizione risorse per investire nella ricerca, nel marketing e nella promozione con conseguenti miglioramenti di business.

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N e w s

Fratelli Branca Distillerie lancia a Chicago “Fernetic” la prima birra ispirata a Fernet-Branca

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ebutta sul mercato americano “Fernetic”, la birra che Fratelli Branca Distillerie ha realizzato in Limited Edition in collaborazione con Forbidden Root, un birrificio artigianale di Chicago. Una Imperial Black Ale ispirata nel gusto e nella lavorazione a Fernet-Branca, l’amaro dal sapore inconfondibile a base di 27 erbe, nato 172 anni fa a Milano per mano di Bernardino Branca. Una novità assoluta per il settore degli amari e per quello della birra. Il progetto è in collaborazione con Forbidden Root, il primo birrificio artigianale botanico di Chicago, che ha abbracciato questa particolare tradizione birraia portandola avanti nel segno della creatività e dell’esplorazione. “Fernetic” nasce proprio nel segno dell’innovazione. I due team hanno lavorato fianco a fianco per realizzare una formula in cui sono riusciti a tradurre tutta l’esperienza di Fernet-Branca, tenendo fede alla sua raffinata miscela di erbe e spezie, con in più tutta la corposità e il carattere di una birra. Una birra scura, dal sapore robusto, che risulta al

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palato come un’esplosione di aromi: si sentono subito la menta, lo zafferano e, sul finale, una nota di caffè. Un gusto amaro, ma non troppo. “Fernetic” assicura una nuova esperienza di autenticità, com’è nello stile di Fernet-Branca, a tutti gli appassionati di birra e a quelli di amari. La Fratelli Branca Distillerie opera nel settore spirits. Fondata 172 anni fa a Milano, l’azienda è da sempre controllata e guidata dalla famiglia Branca, oggi giunta alla quinta generazione sotto la guida del Presidente e Ad Niccolò Branca. L’evoluzione dell’azienda ha inizio con la creazione nel 1845, da parte di Bernardino Branca, dell’amaro diventato famoso in tutto il mondo: il Fernet-Branca, la cui formula unica e segreta è rimasta immutata nel tempo.

Birra Raffo, al referendum vince il cambiamento: la nuova bottiglia è realtà La birra dei tarantini si rifà il look. A scegliere la nuova bottiglia e la nuova etichetta della “Birra dei Due Mari” sono stati 3 mila cittadini che hanno partecipato al referendum “Io Voto Raffo”. Una consultazione popolare - da venerdì 20 a domenica 22 - attraverso cui la città ha dovuto scegliere se confermare l’attuale bottiglia o puntare a un suo restyling. E il popolo tarantino si è espresso, in modo inequivocabile. Il 94% dei votanti ha scelto infatti una nuova bottiglia a collo lungo, più slanciata rispetto alla precedente e con una grafica del tutto rinnovata. In che modo? Anzitutto, con una versione più “decisa” del Taras, figlio di Poseidone, a cavallo di un delfino; con il nome della città riportato con orgoglio sul collarino, dove entra una novità assoluta: il Castello Aragonese, simbolo nonché attrazione indiscussa di Taranto. Cambia anche la retro


etichetta, dove una celebre frase di Orazio “quell’angolo di mondo (che) più di ogni altro sorride” - sottolinea il profondo legame tra la birra dei due mari e il territorio tarantino. Oltre a scegliere la nuova immagine della birra, i cittadini hanno anche espresso il loro parere sulle modifiche introdotte: l’85% dei votanti vede nella nuova Raffo una rappresentazione più moderna di Taranto, mentre l’80% vi riconosce un’espressione dell’orgoglio tarantino, anche oltre i confini della città. “Stavolta - spiega Vittoria Carroccia, Marketing Manager Birra Raffo - a recarsi al voto non sono stati i cittadini, ma le schede elettorali sono arrivate direttamente nelle mani dei tarantini. Durante i tre giorni di voto due speciali rider, con biciclette brandizzate e dotate di apposite urne, hanno raccolto le preferenze e i commenti degli elettori lungo le strade del centro e del borgo vecchio. E dalla grande partecipazione al Referendum è emerso un forte segnale di rinnovamento, pur nel segno della tradizione, dell’identità e dei principali simboli della città.” Birra Raffo è stata fondata nel 1919 a Taranto dall’imprenditore Vitantonio Raffo. La storia della Birra Raffo e quella della Birra Peroni si incontrarono nel 1961, in un periodo di brillante crescita del mercato e dei consumi birrari, trainati dal boom economico italiano. Il marchio Raffo fu fortemente voluto e mantenuto indipendente nel Gruppo Peroni, nel rispetto della storia e della tradizione locale del marchio.

Nuovo look, ecco le nuove Peroni Gran Riserva

Nuovo look e l’alta qualità di sempre. Le birre speciali della famiglia Peroni, pensate per accompagnare tutti i momenti importanti della nostra vita, arrivano sulla tavola degli italiani con una veste grafica del tutto rinnovata. A cambiare è anzitutto l’etichetta, con un’originale forma a pentagono che andrà a vestire la Peroni Gran Riserva Doppio Malto, la Rossa e la Puro Malto. All’interno, maggiore rilievo

va al nome di gamma, “Gran Riserva”, e resta saldamente al suo posto - seppur con una diversa impostazione grafica - il celebre “biscotto Peroni”, più che mai simbolo e garanzia di qualità ed esperienza birraria. Per quanto riguarda i colori associati alle tre referenze, si confermano il nero per la Peroni Gran Riserva Doppio Malto e il rosso per la Peroni Gran Riserva Rossa. Cambia invece il colore della Peroni Gran Riserva Puro Malto che da blu diventa oro, lo stesso individuato per il logo dell’intera gamma: un omaggio all’orzo utilizzato e al malto 100% italiano, base della qualità Gran Riserva e di tutte le birre della famiglia Peroni. Per le Gran Riserva, inoltre, si utilizza la decozione: la miscela di malto macinato e acqua viene riscaldata e portata ad ebollizione più di una volta. Viene ripetuta due volte per la Doppio Malto e la Puro Malto e tre volte per la Rossa. Solo così - con il tempo necessario - tutte le grandi potenzialità dei malti selezionati vengono sviluppate e impiegate per ottenere il massimo del rendimento, conferendo al prodotto finale le sue caratteristiche uniche e distintive. “Le Peroni Gran Riserva - spiega Cristiano Marroni Darena, Marketing Manager della Famiglia Peroni rappresentano il meglio della qualità Peroni, grazie alla produzione tutta italiana e al pregio delle materie prime utilizzate, come il migliore orzo dei nostri campi e il malto 100% italiano. Senza dimenticare - sottolinea - il processo di extra maturazione più lungo e raffinato che richiede competenza e tempo. Ma come accade nella vita di tutti i giorni le cose importanti e migliori richiedono proprio questo, tempo. Lo sanno bene i nostri consumatori che scelgono le Peroni Gran Riserva per i momenti importanti della vita, degustandole insieme ad un piatto della tradizione italiana”. Birra Peroni fa parte di Asahi Europe LTD. Nel nostro Paese la produzione annua di Birra Peroni ammonta a circa 5 mln di ettolitri - prodotti negli stabilimenti di Roma, Bari e Padova - di cui oltre 1 mln esportati. Euposia aprile 2017

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Nel prossimo numero

Direttore responsabile Beppe Giuliano boss@euposia.it telefono +39 045 591342 Vice direttore Nicoletta Fattori fattori@euposia.it redazione e degustazioni via Luigi Negrelli, 28 37138 Verona Telefono +39 045 591342 Grafica & Impaginazione: Emanuele Delmiglio redazione@delmiglio.it telefono +39 045 6932457 Caporedattore Enogastronomia Enzo Russo enzorusso_007@fastwebnet.it Hanno collaborato a questo numero: Carlo Rossi, Giulio Bendfeldt, Daniela Scaccabarozzi, Leonard Spessari, Zeno Sorus, Patrizia Salvaterra, Josè Carlos Palacios, Barbara Ainis Si ringrazia per il materiale fotografico: Barbara Ainis, Jean Bernard, archivio Arvid Rosengren Copertina: Barbara Ainis Concessionariaperlapubblicità: ContestoEditoreScarl Perisitiwww.euposia.it ewww.italianwinejournal.com info@vinoclic.it Stampa:Tieffe Emmeprint-Italy Distribuzioneperle edicole SodipSpa,viaBettola,18 20092CiniselloBalsamo Prezzodellarivista:5euro Arretrati:8euro+spesedi spedizione Perinformazioni: tel.045.591342 Editore: ContestoEditoreScarl ViaFrattini,3-37121Verona Iscr.Rocn.12207del02/XI/2004 RegistrazioneTribunalediVerona n.1597del14/05/2004

Messico, la nuova frontiera del vino Pinot Nero: dall’Alto Adige al Friuli Chianti Classico Gran Selezione: abbiamo scelto questi per voi Kettmeir, la nuova Riserva metodo Classico Prosecco Superiore DOCG Asolo E tanti altro approfondimenti sul numero di

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