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Attualità

Gustavo Fring - Pexels

VISTI I PERICOLI CHE LA DISINFORMAZIONE COMPORTA, È BENE TORNARE A FARE CHIAREZZA SU UN TEMA ESTREMAMENTE DELICATO: IL RAPPORTO TRA COVID-19 E ANIMALI DA COMPAGNIA

PET E PANDEMIA: LO STATO DELL’ARTE

Alessio Arbuatti Medico Veterinario Tra gli innumerevoli aspetti relativi alla pandemia scatenata dal Covid-19, il tema del possibile rapporto del virus con i pet ha visto il fiorire di numerose fake news potenzialmente dannose per l’intero settore pet. Oggi più che mai è bene quindi essere informati correttamente sullo stato dell’arte della questione e mantenersi aggiornati affidandosi solo ai canali scientifici. La parola alla scienza

Il sito dell’OIE (Organizzazione Mondiale della Sanità Animale) è il riferimento ufficiale e garantisce la massima trasparenza circa lo status sanitario degli animali nei paesi membri al fine della prevenzione della diffusione delle malattie infettive degli animali. Il sito è sempre aggiornato e dedica una sezione di libera consulta-

zione sul rapporto animali e SARSCoV-2. Secondo l’OIE sebbene diverse specie possano infettarsi, non c’è alcuna evidenza che gli animali possano trasmettere il Covid-19 all’uomo. Analizzando i dati relativi ai gatti di proprietà, ed escludendo dunque i test sperimentali in laboratorio, emerge un quadro che evidenzia un numero esiguo di gatti domestici nel mondo risultati a oggi positivi in relazione ai milioni di esemplari domestici al mondo. Gli esemplari risultati positivi sono così geograficamente suddivisi. Cinque in Asia, uno in Russia e cinque in Europa, dei quali due in Francia, uno in Belgio, uno in Spagna, uno in Germania e uno in UK. In riferimento ai casi registrati negli USA tra quelli presenti sul sito OIE e quelli presenti sulla lista del CDC (Centro per il controllo e prevenzione delle malattie) di Atlanta, si contano 24 esemplari positivi. I gatti domestici accertati positivi non hanno per lo più mostrato sintomi e, laddove presenti, questi sono stati lievi e transitori. Analizzando il report pubblico dei singoli casi descritti si evidenzia come questi esemplari siano vissuti con proprietari/curatori colpiti da Covid-19. Una simile trasmissione attraverso gli operatori ha riguardato i leoni e le tigri risultati positivi nello Zoo del Bronx a New York. Siccome la scienza fa tesoro anche dei dati pubblicati nel passato, è bene ricordare

Governor Tom Wolf

I TAMPONI E GLI ANTICORPI

Si fa spesso ancora confusione sul concetto di positività. Essere positivi al tampone vuole dire che è stata riconosciuta la presenza del virus (tramite metodica RT-qPCR) laddove il tampone stesso è stato strisciato. Ritrovare gli anticorpi nel sangue vuole dire invece che l’organismo ha reagito contro il virus producendo anticorpi. Questi però vengono prodotti dopo del tempo, dunque ritrovare questi elementi significa che il paziente è venuto in precedenza a contatto con il virus. Diverso ancora è il concetto di diffusore come visto in molti casi in umana. Trovare una piccola quantità di virus anche minima, con un test estremamente sensibile non significa che l’animale possa essere diffusore perché per poter svolgere tale ruolo è necessaria un’attiva replicazione del virus nell’ospite, divenendo quindi un pericolo per altri ospiti suscettibili. La variabilità genetica dei Coronavirus, dettata da errori replicativi del virus stesso, non deve far pensare però che questi possano saltare e adattarsi a proprio piacimento tra specie e specie, poiché specie animali diverse hanno recettori differenti e caratteristiche fisiologiche proprie. I coronavirus hanno in generale elevata specie-specificità, a dimostrazione di ciò vi sono infatti coronavirus specifici per le singole specie animali e il “salto di specie” è un evento possibile ma più raro di quello che si possa pensare.

che quanto osservato richiama molto da vicino un evento già evidenziato nel lontano 2003 quando nel contesto di un cluster epidemico di SARS (sempre un coronavirus) che coinvolse più di 300 persone infette in un condominio, furono riscontrati gatti a loro volta infettati. Analizzando lo stato sanitario nei cani emergono due casi positivi a Hong Kong nello scorso marzo, due in Giappone e 22 negli USA (fonte CDC da US Department of Agriculture). Tutti gli esemplari non hanno mostrato segni clinici e nei casi OIE ben si evidenza come abbiano avuto contatti con proprietari ammalati. Una sottosezione dedicata alla casistica negli animali, aggiornata e dettagliata, è disponibile in libera consultazione nelle sottosezioni aggiornate quotidianamente del sito OIE.

La veterinaria italiana al vertice della ricerca internazionale

Lo scorso 5 agosto si è tenuto un importante incontro online organizzato da EV con gli autori di un lavoro scientifico, ora in pre-print, dal titolo “Evidence of exposure to SARS-CoV2 in cats and dogs from households in Italy”. Uno studio italiano che ha visto coinvolti 24 ricercatori tra l’Università di Bari, di Milano, laboratori di ricerca diagnostica nazionali e di Liverpool. Una collaborazione a tutto tondo nel settore veterinario tra pubblico e privato, grazie al lavoro svolto anche dai liberi professionisti nel fornire i campioni. Il fine è stato quello di rilevare l’eventuale positività al SARS-CoV-2 di 540 cani e 277 gatti provenienti da quelle regioni dove il virus ha circolato maggiormente. I cani e i gatti campionati provenivano sia da nuclei familiari dove è stata registrata positività al Covid-19, sia da contesti familiari nei quali questa non è stata registrata o risultava assente. I tamponi orofaringei (306 cani, 175 gatti), nasali (185 cani, 77 gatti) e rettali (66 cani e 30 gatti) sono stati analizzati per ricercare dunque l’eventuale presenza dell’RNA (genoma) del virus. Tutti gli 839 tamponi analizzati per la ricerca del virus sono risultati negativi per SARS-Covid-19, inclusi quelli provenienti da pet che mostravano sintomi respiratori, suggerendo l’assenza di un’infezione attiva in questi esemplari. 64 di questi cani e 57 di questi gatti negativi provenivano da nuclei familiari nei quali era circolato il Covid-19. I

sieri per la ricerca degli anticorpi neutralizzanti sono stati invece prelevati da 188 cani e 63 gatti dei quali era nota l’anamnesi, oltre che da 200 cani e 89 gatti per i quali non si conosceva la storia pregressa. Gli anticorpi neutralizzanti sono stati individuati in 13 cani (3,35%) e in 6 gatti (3,95%). Su 47 cani provenienti da case nelle quali era circolato il Covid-19, 6 esemplari avevano anticorpi, mentre tra i gatti solo 1 tra i 22 provenienti da abitazioni nelle quali erano già stati individuati nuclei familiari positivi. Dalle abitazioni nelle quali si sospettava avesse circolato il virus sono risultati positivi per la ricerca degli anticorpi 1 cane su 7 e 0 gatti su 3. Analizzando i sieri provenienti dai pet che vivevano nelle case nelle quali non era stato segnalato alcun caso di positività dell’uomo, sono risultati positivi agli anticorpi 1 gatto su 38 e 2 cani su 133. Nessuno degli esemplari nei quali sono stati riscontrati gli anticorpi ha mostrato alcun sintomo respiratorio al momento del prelievo del siero. Su un totale di 423 animali testati durante tutto lo screening per i quali era nota l’età, non sono risultati mai positivi esemplari al di sotto di un anno di età. Questo lavoro molto ampio e complesso, consultabile anche online, fa seguito a indagini condotte in Cina (anticorpi nei gatti) e in Francia (19 pet risultati tutti negativi appartenenti a proprietari Covid-19 positivi). I ricercatori, confermando quanto già comunicato dagli enti internazionali predisposti ai controlli sanitari, hanno rilevato che l’infezione negli animali da compagnia (cane e gatto) non è inusuale, ma che è improbabile che un pet infetto possa trasmettere il patogeno. Analizzando la bibliografia scientifica a oggi, inoltre, non è stato registrato alcun caso di trasmissione dai pet all’uomo, dunque non esistono evidenze che gli animali da compagnia abbiano un ruolo epidemiologico nella diffusione del virus. Differente è invece la condizione opposta, poiché esiste la possibilità che gli animali da compagnia possano contrarre l’infezione attraverso il contatto con persone affette da Covid-19 e sviluppino occasionalmente malattia. A oggi non sono però stati descritti casi di pet morti a causa del SARS-CoV-2. Altre specie come i mustelidi (visoni e furetti) e roditori sono sensibili e al centro di ulteriori indagini. L’ISS comunica che “non esistono evidenze che gli animali da compagnia svolgano un ruolo epidemiologico nella diffusione all’uomo di SARS-CoV-2”. Anzi, il rapporto con gli animali è importante per il nostro benessere in questo periodo nel quale si trascorre più tempo in casa. Al fine di avere informazioni sui comportamenti e le buone pratiche da seguire in relazione al Covid-19proprietario-pet, lo stesso ISS ha messo a disposizione in free download sul proprio sito il rapporto ISS Covid-19 animali da compagnia.

I cani e gatti hanno i propri Coronavirus

Coronavirus specifici sono stati isolati in numerose specie animali sia selvatiche sia d’interesse zootecnico. Anche gatti e cani hanno i propri coronavirus, differenti da quello coinvolto nella pandemia umana SARS-CoV-2. I proprietari di gatti avranno di certo sentito parlare infatti della peritonite infettiva felina (FIP), patologia che riconosce proprio come agente eziologico un coronavirus felino (FCoV). Nei cani si riconoscono due Coronavirus, un alfa coronavirus enterico e un beta coronavirus respiratorio. I coronavirus del cane e del gatto si manifestano con forme cliniche varie anche all’interno della stessa specie e talune possono mettere a rischio la sopravvivenza del pet. Nessuno di questi agenti è trasmissibile all’uomo ma è importante che i proprietari si informino solo presso i propri medici veterinari di fiducia sui rischi che queste patologie possono rappresentare per il proprio cane e il proprio gatto.

Come fare informazione corretta

Medici veterinari, pet shopper e toelettatori devono dunque mettere

IAEA Imagebank

in atto una comunicazione efficace sulla tematica per fare arrivare ai propri clienti informazioni corrette e chiare, basate solo sui dati della ricerca scientifica. Volantini, social network, cartellonistica indoor e newsletter sono sistemi di comunicazione rapidi e veloci ma ogni messaggio sul tema dovrà essere sempre accompagnato quanto meno dal link del lavoro scientifico di riferimento. Essere operatori del settore, sebbene con ruoli ben diversi, vuol dire agire in maniera professionale e sapere anche divulgare solo le giuste informazioni. Durante questi mesi, così come in medicina umana, è inoltre emerso un ulteriore problema. Non di rado si è infatti assistito a una diminuzione di quelle visite mediche fondamentali per garantire la salute dei pet che ricadono nelle fasce a rischio come gli esemplari giovani, gli anziani e i malati cronici. Una riduzione che non ha riguardato solo le visite specialistiche per pazienti già affetti da patologie, ma persino quelle atte a pianificare le ben più comuni profilassi stagionali. Ricordate che la comparsa del SARS-CoV-2 non deve far passare in secondo piano tutte le altre patologie dei pet, così come osservato tra le persone, ed è dunque importante che i proprietari comprendano l’importanza della salute del pet ripartendo da ciò che prima era considerato routinario. A tal proposito è bene ricordare che le attività veterinarie e i pet shop sono rimasti aperti anche durante il lockdown. Ambulatori, cliniche e negozi del settore sono stati tra i primi luoghi che hanno da subito messo in atto tutte norme di protezione individuali per assicurare sicurezza sanitaria ai pet, ai proprietari e agli operatori del settore. ●

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