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Questioni legali
LA PRINCIPALE PORTA D’ACCESSO AL MONDO DEL LAVORO È OGGI COSTITUITA DAL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO. UNO STRUMENTO UTILE PER FAR FRONTE A DETERMINATE SITUAZIONI, COME TEMPORANEI PICCHI DI LAVORO O ALTRE ESIGENZE PARTICOLARI. VEDIAMO I LIMITI STABILITI DALLA LEGGE
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IL CONTRATTO DI LAVORO A TERMINE
Chi deve allargare il proprio staff si trova spesso di fronte al non facile dilemma circa la tipologia di contratto di lavoro da formalizzare con il nuovo collaboratore. Stando alla solenne enunciazione di principio posta dalla legge, “la forma comune di rapporto di lavoro” (art. 1 decreto legislativo 81/2015, c.d. “Jobs act”) dovrebbe in ANDREA FERRARIO teoria essere quella del tempo inde-Avvocato civilista del foro di Milano, esperto in materia di diritto del lavoro terminato - ovvero non soggetto ad e di responsabilità professionale un termine di scadenza finale. Il tanto andrea.ferrario@studiolegaleferrario.com celebrato “posto fisso” - insomma agognato dai più. Vediamo però che, almeno in base ai dati diffusi nel corso degli ultimi anni dai principali osservatori dell’occupazione, le cose non stanno proprio così. Risulta infatti che la principale porta d’accesso al mondo del lavoro è il contratto di lavoro a tempo determinato - nel quale cioè, diversamente dal primo, viene stabilita in partenza una specifica durata attraverso l’indicazione di un termine di conclusione del rapporto. Statistiche alla mano, in barba all’auspicio
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del legislatore, quasi il 70% delle attivazioni di nuovi posti di lavoro subordinato avviene secondo questa, meno impegnativa, formula “a tempo”. Come mai?
Il contratto di lavoro a tempo determinato
Le esigenze pratiche più evidenti in presenza delle quali più o meno due datori di lavoro su tre prediligono, laddove possibile, il contratto di lavoro a tempo determinato sono facilmente intuibili: temporanei picchi di lavoro o esigenze impreviste estranee all’attività ordinaria, imprese che avviano l’attività e devono “tarare” l’effettivo fabbisogno di manodopera, sostituzioni di altri lavoratori temporaneamente assenti, etc. La figura è particolarmente versatile perché la durata iniziale del rapporto può poi essere anche modificata in corsa, mediante successive proroghe o, decorso un breve intervallo di tempo, mediante rinnovi veri e propri del contratto. Tutto ciò, ovviamente, all’interno di un tetto massimo (oggi pari, come vedremo, a 24 mesi). Ma il ricorso al termine, oltre che come strumento di flessibilità, può avvenire anche allo scopo di verificare, durante un lasso di tempo sufficientemente lungo, efficienza e affidabilità dei singoli lavoratori in vista di una possibile stabilizzazione futura del rapporto. Soprattutto in determinate realtà, il periodo di prova vero e proprio (che varia a seconda del settore e delle mansioni, ma non può comunque superare i sei mesi), potrebbe talora non essere sufficiente a valutare il nuovo assunto. Può dunque tornare molto utile la possibilità di disporre di una “finestra” più ampia ed evitare così, nel caso di un andamento che si rivelasse non soddisfacente del rapporto, di avviarsi lungo la strada, in Italia ancora alquanto impervia, della procedura di licenziamento.
Lavoro temporaneo: eccezione rispetto alla regola
Come già accennato, pur essendo molto popolare nella prassi, il contratto di lavoro a tempo determinato diverge però dal modello che il nostro ordinamento ritiene “comune”, vale a dire quello a tempo indeterminato, privo dunque di una data di scadenza. Per questo motivo la legge è sempre stata piuttosto guardinga e restrittiva nel disciplinare il lavoro a termine, circondandolo di numerose cautele e complesse condizioni, spesso di non agevole assimilazione al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. A complicare il quadro, una certa propensione dei governi a intervenire con frequenza in materia, aggiungendo o togliendo regole e vincoli a seconda delle politiche del lavoro del momento. O, come è avvenuto di recente in occasione dell’emergenza sanitaria da Covid-19, aggiustando temporaneamente il “pacchetto” normativo in funzione di particolari situazioni contingenti. Pur nella varietà delle declinazioni normative di dettaglio, il contratto di lavoro a tempo determinato ha comunque conservato nel tempo alcune caratteristiche più o meno costanti che consentono di descriverlo come un fenomeno essenzialmente unitario.
Proviamo a scoprire quali sono le più rilevanti, attualizzandole poi nel contesto normativo più recente. In linea generale, come detto poc’anzi, se il posto fisso (“a tempo indeterminato”) è la regola, quello temporaneo deve essere l’eccezione e, in quanto tale, deve essere circoscritta e rispondere a interessi davvero meritevoli di tutela. La prima e più rilevante peculiarità del lavoro a termine risiede nella necessità, disciplinata in modo più o meno stringente a seconda del quadro normativo di riferimento, che la costituzione o, più spesso, la prosecuzione del rapporto “a tempo” oltre una certa durata minima, siano sostenute da una dichiarata e contingente esigenza organizzativa dell’imprenditore. La logica sottostante è evidentemente quella di dare spazio a una de-
limitata flessibilità occupazionale, purché questa non si converta nei fatti in un vettore di indiscriminata precarietà. Più in concreto, all’atto dell’assunzione, o da un certo punto in avanti, il datore deve pertanto rendere formalmente note le ragioni (la c.d. “causale”) in vista delle quali intende avvalersi di questo modello; che resta - appunto atipico.
Il lavoro a termine nel Decreto Dignità
Allo stato attuale, dopo una parentesi di forte liberalizzazione dell’istituto nel corso del quale era possibile assumere a termine fino a trentasei mesi e senza “causale”, il Legislatore è ritornato all’antico reintroducendo criteri improntati alla tradizionale severità. La nuova disciplina del lavoro a termine è oggi in questo senso essenzialmente dettata dal c.d. Decreto Dignità (D.L. 87/2018, convertito nella Legge 96/2018), oltre che dalle specifiche disposizioni dei singoli contratti collettivi alle quali, pure, andrà dedicata molta attenzione. Il provvedimento del 2018, peraltro accolto da giudizi piuttosto contrastanti degli esperti, ha nuovamente limitato la possibilità di ricorrere al lavoro “a scadenza”, fissandogli anche un più basso tetto massimo di ventiquattro mesi di durata complessiva (derogabile in senso riduttivo dalla contrattazione collettiva). Se nel corso del primo anno il rapporto può ancora oggi essere avviato su basi “acausali”, ovvero senza alcuna particolare motivazione, questa diventa di nuovo necessaria nei dodici mesi successivi di eventuale durata del rapporto. In tal caso, il ricorso al lavoratore a tempo determinato può essere prorogato (fino a un massimo di quattro volte nell’arco di tutto il rapporto) o rinnovato e dunque proseguire solo in presenza di una determinata “causale” stabilita dalla legge: esigenze temporanee e oggettive estranee all’ordinaria attività, esigenze sostitutive di altri lavoratori, esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria e simili.
Misure temporanee per il rilancio dell’economia
Come prima accennato, la recente emergenza sanitaria (ma anche i numeri poco incoraggianti dell’occupazione) ha indotto il governo (con il c.d. Decreto agosto, D.L. 104/2020) a consentire una temporanea mitigazione delle rigidità del meccanismo,
SUPERAMENTO DEL TERMINE FISSATO NEL CONTRATTO DI LAVORO TEMPORANEO
Cosa succede se si supera il termine stabilito all’atto della stipulazione del contratto? Niente di particolarmente grave se non si eccedono i trenta (in caso di contratti fino a sei mesi) o i cinquanta giorni (in caso di contratti con durata superiore). Al lavoratore dovrà però essere riconosciuta una maggiorazione della retribuzione pari al 20% fino ai dieci giorni in supero e del 40% per ciascun giorno ulteriore. Oltre questa soglia, il rapporto diventa viceversa, in automatico, a tempo indeterminato. Un’ultima accortezza allorché il rapporto si concluda invece regolarmente allo scadere del termine: occorre infatti ricordarsi che il lavoratore cessato conserva per i dodici mesi successivi un diritto di precedenza sui nuovi contratti a tempo indeterminato eventualmente stipulati dall’azienda.
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sospendendo per i contratti a termine sottoscritti fino al 31 dicembre 2020 l’obbligo di causale. Si badi che questa agevolazione potrà tuttavia essere fruita solo per una volta. Sicché - per esempio - prorogato il contratto una prima volta (ipotizziamo per una prima tranche di sei mesi, successiva ai primi dodici), l’eventuale successiva proroga tornerà invece a dover essere fondata su una “causale”. Il contratto a tempo determinato oltre a soggiacere, quanto meno dopo il decorso di un certo lasso di tempo, a un obbligo di motivazione, sopporta - in ogni caso alcune ulteriori limitazioni formali e sostanziali. In primo luogo, l’apposizione del termine deve tassativamente risultare da atto scritto. In mancanza, il lavoratore verrà considerato assunto a tempo indeterminato. Inoltre la formula “a tempo” non può essere utilizzata a piacimento, ma solo fino a una percentuale massima del 20% dei lavoratori complessivamente occupati in azienda con posto fisso alla data del 1° gennaio dello stesso anno. Questa limitazione non vale tuttavia per la fase di avvio di nuove attività (per il periodo determinato dalla contrattazione collettiva di settore), per la sostituzione di personale assente e per i contratti conclusi con soggetti ultracinquantenni.
Eventuali superamenti dei contingenti, diversamente da altre violazioni più gravi della disciplina del contratto a termine, non comportano a ogni buon conto la trasformazione del rapporto, ma una semplice sanzione amministrativa. ●