Kaufman

Page 1

kau_cop_spila 15/06/20 11:25 Pagina 1

SINEDDOCHE, CHARLIE

KAUFMAN

davide romagnoli

davide romagnoli

davide romagnoli

SINEDDOCHE, CHARLIE

Introduzione di Anton Giulio Mancino

Davide Romagnoli (Milano, 1988) insegna letteratura italiana. Redattore e critico, scrive su riviste e portali. Poeta, sceneggiatore e musicista vive e lavora a Milano.

€ 20,00

SINEDDOCHE, CHARLIE KAUFMAN

“Sineddoche, Charlie Kaufman non è un libro per spiegare ai profani chi è Charlie Kaufman, magari scritto per raccontare dov’è nato e che cosa ha fatto. E non è neppure un compendio definitivo delle sue opere né un’esegesi completa di queste ultime. Sineddoche, Charlie Kaufman è un invito appassionato a conoscere uno degli scrittori più interessanti e talentuosi del Ventunesimo secolo, l’autore di film come Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee, Se mi lasci ti cancello, Synecdoche, New York e Anomalisa. Un libro che rivela i retroscena e le curiosità più significative sui film e sulla carriera di questo artista inimitabile. Forse per conoscerlo meglio, magari per scoprirlo. Sicuramente per penetrare più in profondità i suoi eccentrici, virtuosi e preziosi ricami”.

KAUFMAN

www.falsopiano.com/kaufman.htm

FALSOPIANO

FALSOPIANO


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 1

FALSOPIANO

CINEMA


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 4


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 5

EDIZIONI

FALSOPIANO

davide romagnoli

SINEDDOCHE, CHARLIE

KAUFMAN


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 7

INDICE

Citizen Kaufman di Anton Giulio Mancino

p. 9

Introduzione

p. 13

I. Essere o non essere... John Malkovich La tragedia cartesiana di Being John Malkovich

p. 14

II. Lo stato di natura Amore, comunicazione ed esistenza in Human Nature

p. 38

III. Essere Charlie Kaufman I fiori e l’adattamento di sé in Adaptation

p. 56

IV. Confessioni di menti pericolose Barris, Kaufman, Clooney in Confessions Of A Dangerous Mind

p. 81

V. Meet me in Montauk L’eterno ritorno di memoria e oblio in Eternal Sunshine of The Spotless Mind

p. 92


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 8

VI. La parte e il tutto Il monumento crepato di Synecdoche, New York

p. 113

VII. Di uomini e pupazzi Anomalisa: Da un nuovo teatro a un nuovo cinema

p. 139

VIII. La lezione di Charlie Kaufman La poetica di uno sceneggiatore contemporaneo

p. 155

Filmografia

p. 173

Bibliografia

p. 174

Videografia

p. 182


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 9

Citizen Kaufman di Anton Giulio Mancino C’è una scena di Midnight in Paris di Woody Allen in cui lo sceneggiatore Gil, in trasferta vacanziera parigina, esausto di Hollywood, non solo non si capacita di trovarsi dopo mezzanotte trasportato indietro nel tempo di novant’anni, ma di avere come interlocutori artisti e scrittori straordinari, irripetibili, che solo in quella cornice trovarono un’oasi per la comune genialità incondizionata. Egli vorrebbe dunque cercare di comprendere, spiegare la situazione in cui si trova. Ma sono proprio i surrealisti, come Salvator Dalì e Luis Buñuel a trovare assolutamente “normale” una simile circostanza. E Gil è tanto più imbarazzato poiché fanno presto, loro, a non trovarci nulla di strano, essendo “surrealisti” e vivendo lì e in quel singolare momento storico per l’arte e la cultura. Ma come fa ad accettare una così stravagante situazione di corto circuito spazio-temporale uno sceneggiatore statunitense odierno, per giunta di successo, pur avendola vagheggiata e ottenuta al di là delle sue più spinte fantasie retrospettive? Una cosa simile, quasi un secolo dopo, sarebbe inammissibile se il suddetto personaggio alleniano, frutto di un capriccio immaginario, non fosse in buona compagnia nella realtà grazie all’esemplare eccezione di Charlie Kaufman. Il che spiega come mai un libro sull’arte e l’incompatibilità incredibilmente sostenibile di Kaufman con il sistema hollywoodiano, di cui pure è un’eminente esponente, sarebbe di per sé un’operazione importante. E lo diventa a maggior ragione quando si tratta non solo del primo in assoluto ma anche di un libro oltremodo sistematico, serio e appassionato in Italia pubblicato in Italia come questo cui si è con entusiasmo certosino dedicato Davide Romagnoli. Un testo neppure riservato ai soli addetti ai lavori, né che tantomeno soccombe al tentativo impossibile di esaurire il campo di analisi dell’universo di Kaufman fisiologicamente sterminato, incontenibile, inesauribile. Cosicché Romagnoli, dal principio, chiarisce le intenzioni programmatiche in negativo, spiegando piuttosto ciò che il suo libro non è, legittimamente. Già, chi è Charlie Kaufman? E come si fa a circoscriverne il raggio d’azione, tra film sceneggiati e di fatto diretti o eterodiretti come accade con le marionette o il personaggio e attore di se stesso di Being John Malkovich, gli attori simulacri di Syneddoche, New York o i pupazzi di Anomalisa? Ciò rende il volume che ho il piacere di introdurre e che state quindi per leggere, in concomitanza con l’opera alla quale è dedicato, un viaggio assai intrigante nell’impossibile. Poiché è pressoché impossibile capacitarsi di come sia riuscito a farsi strada e anche solo ad esistere dentro un contesto quale quello dell’industria cinematografica in via 9


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 10

di omologazione, di serialità e di scomparsa progressiva della concezione medesima di autore, un autore come lui, un autore così dichiaratamente anomalo, per il quale purtroppo non è dato neppure elaborare un neologismo adatto e pertinente come quello che sin dal titolo trova compiuta enunciazione in Anomalisa. Ed è impossibile stabilire dove termina il contributo visionario di un autore visionario come Kaufman a opere visionarie come quelle sceneggiate per conto degli altrettanto visionari Spike Jonze (Being John Malkovich e Adaptation) e Michel Gondry (Human Nature ed Eternal Sunshine of the Spotless Mind) e comincia invece il controllo pieno, mancato forse nell’unico caso di Confession of a Dangerous Mind diretto con obiettivi più realistici da George Clooney, che sopraggiunge con i film successivi stavolta direttamente scritti, prodotti e diretti (Syneddoche, New York e Anomalisa). Esistono alcune tracce per comprendere un percorso così sui generis, inusitato, dapprincipio illuminato e spianato da cineasti hollywoodiani ugualmente anomali come Francis Ford Coppola e Jonathan Demme, entrambi provenienti dalla leggendaria scuderia cormaniana. Tracce preziose per tentare all’occorrenza di addentrarsi nei meandri di una “mente” ripetutamente rappresentata, con la complicità almeno due volte dei titoli individuati (Eternal Sunshine of the Spotless e Mind Confession of a Dangerous Mind). L’indizio fondamentale è insomma la decisione di Kaufman sempre e comunque di offrire tracciati “mentali” in cui si sovrappongono, si equivalgono, si gemellano, in tutti i sensi la trama tradizionale che strada facendo implode e il protagonista che al contrario esplode, fino in Adaptation a varcare la soglia dell’auto-rappresentazione con lo sdoppiamento di Nicolas Cage nei due sceneggiatori gemelli, complementari e osmotici: l’omonimo Charlie Kaufman, appunto, e il fratello sosia Donald. In estrema sintesi, prima di passare la parola e la palla di questa impegnativa partita all’ultimo paradosso a Romagnoli, che si è accollato un’impresa impressionante e gravosa, va ricordato che ogni qualvolta Kaufman mette mano a una tecnica, ad esempio l’animazione, o a una questione legata al processo creativo, relazionale e amoroso, senza soluzioni di continuità, compresa quella della trasposizione filmica di un ‘opera letteraria, scatta in automatico lo sconvolgimento dell’assetto esistente. In altre parole Kaufman non riesce a fare a meno di riscrivere con frenesia compulsiva le regole del gioco al quale ha deciso di giocare o di premurarsi di mandare all’aria il gioco, prendendo in contropiede lo spettatore, il critico, lo studioso, chiunque voglia affrontare la sfida dei film suoi, non suoi, tutto sommato suoi. Donde il duplice e atteggiamento che ne consegue di ammirazione e detrazione, attrazione e repulsione radicali. Non è affatto semplice, e va dato atto a Romagnoli di essersi sottoposto a questo test ermeneutico muovendosi in un territorio tra surrealismo, esistenzialismo e via esplorando, in estrema sintesi ai confini della realtà: affrontare la filmografia tentacolare e per tante magnifiche (s)ragioni di Kaufman è un gesto coraggioso e sconsiderato, specialmente quando si adotta un procedimento saggistico libero, non vincolato ad esigenze né strettamente informative, né ricon10


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 11

ducibili alla sola critica cinematografica, né tantomeno accademiche. Si tratta appunto di procedere a un conguaglio continuo con l’insieme di tutte queste istanze e perciò di renderle interattive, il tutto dentro un ulteriore e devastante conguaglio con una filmografia spregiudicata di cui sono inimmaginabili gli sviluppi, dal momento che in ogni suo esemplare ultimo si coglie un traguardo definitivo, un punto di non ritorno, il raggiungimento di uno stadio terminale che è anche l’ennesima soglia pericolosa e spericolata. Una filmografia che è persino riduttivo chiamarla tale, e che in assenza di un termine più appropriato si espande a vista d’occhio come il progetto teatrale del protagonista autoreferenziale di Syneddoche, New York. Non è un caso, o meglio lo è: un corollario del “caso” Kaufman, che la scelta di Romagnoli sin dal titolo dell’intensa monografia fitta di riferimenti incrociati, cada su un’opera portante dell’intero corpus, che è anche a livello di costruzione e decostruzione una sorta di 8½ contemporaneo o una versione tragicamente aggiornata al malessere odierno di Citizen Kane, cui peraltro le iniziali dello stesso Charlie Kaufman corrispondono per una bizzarra circostanza onomastica. Charlie Kaufman come Charles Foster Kane. O come il kafkiano Josef K., che nella prospettiva dell’alter ego Charlie K. diviene imputato e giudice a un tempo di un processo assurdo e senza tregua. Film dopo film.

11


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 12

Being John Malcovich (1999)

12


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 13

Introduzione Con questo lavoro non ho cercato di contenere quello che potesse essere un entusiasmo inevitabilmente soggettivo, nè una certa ricerca per la parte più distaccatamente critica ed analitica, ma ho tentato fondamentalmente di costruire un testo che fosse non solo un compendio, seppure non del tutto didascalico e certamente omnicomprensivo, alle opere di un autore, ma anche un invito ad immergersi in queste e ad evidenziarne quelli che potrebbero essere alcuni aspetti significativi per apprezzare la scrittura e la conseguente realizzazione cinematografica e artistica tout court. Per far questo ho deciso di organizzare una struttura che presentasse alcune delle opere ritenute più significative a questi fini e tralasciare una forma più biografico-descrittiva, anche se forse più propria a fornire una presentazione appropriata a un personaggio in merito al quale - in Italia - non sono (ad oggi) presenti studi monografici e/o biblografici pubblicati. Aprire una strada, dunque, un’interpretazione, una prospettiva che possa però contenerne molte altre. Un invito, si spera, ad addentrarsi ancora di più nel suo mondo. Un tentativo, altresì, di comprendere parte del nostro. Le traduzioni sono quelle effettuate direttamente dalle sceneggiature originali, dagli articoli e dai testi di riferimento in lingua originale, perché ritenute più funzionali a questi fini e meno soggette ad altre ottiche di riferimento. I titoli dei film e dei lavori sono riportati in originale, sia quelli di Kaufman sia quelli di altri autori. Una delle fonti principali di materiali è il portale dedicato all’autore, www.beingcharliekaufman.com e il suo direttore Mick Spadaro, che ringrazio profondamente per il supporto. Un ringraziamento, infine, a Maurizio Porro ed Elio Franzini.

13


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 14

I. ESSERE O NON ESSERE... JOHN MALKOVICH La tragedia cartesiana di Being John Malkovich

Il pittore “si dà con il suo corpo”, dice Valery. E in effetti non si capisce come uno spirito potrebbe dipingere1 (M. Merleau-Ponty)

“Non ho soluzioni e non mi piacciono i film che ne hanno. Voglio creare situazioni che diano alla gente qualcosa su cui riflettere. Odio i film che finiscono col dirti che per prima cosa devi amare te stesso. È così ingiurioso e accondiscendente, e inutile. I miei personaggi non imparano ad amare gli altri o se stessi.” Questo è quello che Charlie Kaufman dice a Micheal Sragow in un’intervista relativa al suo primo lavoro da sceneggiatore cinematografico2. Una dichiarazione di intenti molto determinata per uno sconosciuto scrittore per la TV made in Usa. La carriera cinematografica di Kaufman inizia, più o meno, da qui. “Tutto è cominciato con Being John Malkovich, cha ha lanciato Kaufman da lavori televisivi come The Dana Carvey Show (1996) all’uomo le cui parole vogliono essere recitate da tutti gli attori. La creatività di Kaufman è paragonabile solo alla sua affilata arguzia. La premessa è basata su una di quelle idee di quelle-che-possono-essere-talmente-folli-da-funzionare, che si hanno solo se si è geni o folli. Un mezzo-sognatore improduttivo che lavora in un surrealistico settimo piano e mezzo che scopre ed esplora un portale che gli permette di entrare nella mente di Malkovich per circa 15 minuti, per poi trovarsi gettato a lato del New Jersey Turnpike”. Perfetta l’introduzione alla recensione di Phil Villareal3, che illustra bene quello che il primo film di Kaufman ha rappresentato per il panorama del cinema hollywoodiano dell’epoca. Un soggetto strampalato, bizzarro, surreale. Talmente stravagante da funzionare. Come confesserà nel 2008 proprio Spike Jonze al Festival di Cannes: “Fu qualcosa che non avevo mai letto prima. Solo successivamente Charlie mi disse che la sceneggiatura era stata letta e apprezzata da molti ma tutti dicevano che sarebbe stato impossibile farne un film”4. Lo script suscitò l’interesse di Francis Ford Coppola che apprezzò notevolmente la sceneggiatura e decise di darla all’allora compagno di sua figlia Sophia, Adam Spiegel, ovvero Richard Coufey (o Koufey, o Couffe), cioè Spike Jonze, 14


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 15

il visionario videoclipper di MTV, ben noto per i suoi lavori con Beastie Boys, Björk, Daft Punk e Fatboy Slim. Molto prima che Jonze leggesse la sceneggiatura, però, Kaufman era stato invitato a un meeting proprio con l’agente di quel John Malkovich nominato così precisamente nel titolo. Charlie Kaufman poteva essere scambiato per stalker perché in quella sua storia nella quale nominava non si sapeva bene per quale motivo - il noto attore hollywoodiano, aveva deciso di inserire anche l’idea di un settimo piano e mezzo e, consapevolmente o no, casualità o meno, Malkovich stava proprio al settimo piano e mezzo di un appartamento a New York City. O almeno, questo è quello che racconta la leggenda. Leggende che si infittiscono sempre intorno al sottobosco di qualunque cult movie e che diventano per questo sinonimo di autenticità, peculiarità e originalità. Un marchio. Uno stemma. Indelebili. Poco importa la loro veridicità. A Malkovich la sceneggiatura era comunque piaciuta molto e voleva esserne il produttore, o addirittura il regista, ma era molto lontano dal volerne far parte nel modo in cui il suo nome figurasse il quel titolo. Ci volle del tempo, molte idee e numerose altre proposte su altri attori (William Hurt, Willem Dafoe, Christopher Walken, Tom Cruise), prima di convincerlo a interpretare se stesso. Produttori furono invece Steve Golin, Vincent Landay, Sandy Stern e il leader dei R.E.M. Michael Stipe. Racconta Malkovich: “Quando finii di leggerlo chiamai Ross (il suo agente n.d.r.) e gli dissi di telefonare a questa persona... questo Charlie Kaufman... prima di tutto per chiedergli quale fosse la mia relazione con sua moglie”. Se, dunque, avesse in qualche modo fatto qualche torto allo sceneggiatore, per poi continuare dicendo che non avrebbe mai pensato che ci fosse qualcuno talmente sciocco ed eccentrico da poter fare quel film. “Non conoscevo ancora Spike Jonze”, conclude sardonicamente l’attore5. In un’intervista del 1999, anno in cui il film uscì, l’attore disse: “Lessi subito il copione, perché non avevo nient’altro per le mani quel giorno e trovai fosse semplicemente un modo grandioso di scrivere, ma era così bizzarro e stravagante che non pensai nemmeno per un attimo che potesse essere realizzato”6. Anche John Cusack racconta che in quel periodo aveva chiesto a William Morris di recuperare “lo script più folle, più impossibile da produrre che si potesse trovare”. “Ok, ci sarebbe Charlie Kaufman”, rispose, “ti posso dare quello. È un grande”. E dopo averlo letto Cusack volle partecipare a tutti i costi, perfino minacciando di abbandonare la sua agenzia in caso non fossero riusciti a inserirlo nel cast7. Charlie Kaufman non era ancora nessuno per Hollywood. Eppure tutti questi nomi che giravano intorno al suo lo avvicinavano al sogno hollywoodiano o, se non altro, a un territorio cinematografico comunque di ampio respiro e gittata. “Come mai questo mi odia?” era risuonato dunque nella mente di Malkovich, avendo letto la sceneggiatura8. Jonze, reduce dal successo critico per Her (2013), influenzato in larga misura dallo sceneggiatore, parla del suo primo lavoro cinematografico con Kaufman riprendendo l’esperienza di Being John Malkovich in questo senso: 15


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 16

“Non ci fu mai nessun altro. Anche se ricevemmo un sacco di pressioni dai nostri produttori e finanziatori per cambiare [..] È divertente. Ci volle molto tempo e quando riuscii ad incontrarlo (Malkovich, n.d.r.) la sua prima domanda fu ‘perché proprio John Malkovich? Perché non Tom Cruise?’. Fu la stessa domanda che ci fecero i nostri finanziatori. In verità la sua prima reazione quando lesse la sceneggiatura fu quella di pensare di avere in qualche modo fatto uno sgarbo a Charlie nel passato, tipo dormire con sua moglie, o qualcosa del genere”9. Eppure John Gavin Malkovich era l’uomo giusto per Kaufman: un attore noto e schivo nei confronti dell’ambiente di Hollywood, eclettico, fondatore dello Steppenwolf, grande carriera teatrale, rifugiatosi a Parigi per sfuggire al gossip e alla notorietà da “Variety”. E poi quel suo nome così evocativo, “perfetto per essere pronunciato ripetutamente”10, come in quella che sarà una scena magistrale del film in cui Malkovich si ritrova al ristorante, dove tutti hanno il suo volto e non dicono nulla se non il suo cognome. Malkovich, Malkovich. Mal-ko-vich. Walken, Dafoe, Hurt o Cruise non avrebbero decisamente funzionato. E quando uno studente di sceneggiatura domanda a Kaufman al Göteborg International Film Festival 2011: “Perché John Malkovich?” Lo sceneggiatore si limita a rispondere “Perché lo trovavo divertente. Tutto qui. Non avrei mai immaginato che il film venisse prodotto [...] e quando tentai con Spike di trovare un sostituto allora il mio istinto fu confermato: John Malkovich era l’unica scelta”11. Il regista puntualizza: “Non penso che in quel momento realizzai quanto quella cosa fosse coraggiosa. Eravamo in mezzo alle riprese e un giorno lui (Malkovich) aveva addosso solo un lenzuolo e stava spiegando a un amico qual era la trama del film. Capii quanto fosse folle l’idea di fare un film del genere”12. Jonze aveva capito che quella sarebbe stata la sua opera prima, quella che avrebbe dovuto lasciare un segno e farlo conoscere come regista cinematografico. Impossibile non cogliere l’occasione. Ma per farlo bisognava che l’uomo del titolo fosse presente nel film. Nessuna scusa. Dopo numerose pressioni, alla fine Malkovich non solo accetto ma risultò fondamentale. “Ero in una posizione più che bizzarra nella quale lui (Jonze) mi diceva: ‘No. Non ti muovere così. John Malkovich non si muoverebbe così’. Ma io non dissi mai niente del tipo: ‘Ascolta. SONO John Malkovich. Lo dovrei sapere...’ Ho lavorato nel modo che voleva. Lo vedo come un personaggio. Non come me stesso”13. 16


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 17

Malkovich non ha mai avuto dubbi a proposito della spiccata autenticità del film: “Non e un film che si poggia su altri film. [...] E davvero originale. Veramente divertente. Veramente disturbante”. E continua dicendo che in tanti anni e molti film, di successo e non, non ha mai parlato (e non ha mai letto, complice anche una certa riluttanza, peraltro dichiarata, verso le critica) di uno di questi con così tanti critici e i giornalisti che all’unanimità l’hanno accolto con così tanto entusiasmo. “Hanno sicuramente capito la sua originalità” dice sicuro14. La sua attività sul set nel convincere Kaufman e Jonze a non limitarsi nel prendersi gioco del suo status di celebrità, ben conscio delle difficoltà che una prova come questa avrebbe comportato, ha contribuito alla grande resa del film. La performance di Cusack e Cameron Diaz, ma soprattutto di Catherine Keener, è stata resa del tutto naturale proprio dall’estro dell’attore dell’Illinois, dimostratosi personaggio di enorme spessore creativo e aplomb encomiabile, oltre che attore di altissimo livello. La chimica era di quelle rare. Attori e situazioni capaci di plasmare e di trasformare il contorno in una dimensione di perfetto bilanciamento tra mondo della fiction e mondo reale. La variazione di sé che interpreta, il suo essere personaggio, la rappresentazione della sua figura è resa esplicita dal cambio del suo nome: John Horatio Malkovic (e non Gavin). John Gavin Malkovich interpreta così John Horatio Malkovich. La meta-rappresentazione, intesa come mise en abîme cinematografica, era il canale essenziale per Kaufman e per i suoi scopi. L’unica in grado di identificarsi come la colonna portante sul quale fondare l’assetto surreale, fantastico, divertente, onirico di cui le sue sceneggiature risulteranno essere inevitabilmente permeate. Quello che potrebbe essere identificato come il postmodernismo di Kaufman - inteso nella sua accezione e nel suo background di forme e contenuti e non in quella, certamente, di delimitazione - parte da questo assunto fondamentale. Per indagare ciò che può essere considerata autenticità, verità, o realtà, e costruirne sopra un mondo intero. Un mondo di problematiche, di tensioni, di rivelazioni. E narrazioni, soprattutto. “Penso che si possa essere bizzarri quanto si vuole, o surreali quanto si vuole, fino a quando i propri personaggi sono basati su qualcosa di vero. Li si può mettere in qualunque situazione o in qualunque realtà fino a che le loro reazioni abbiano qualcosa a che fare con l’essere umano e si sia pienamente concentrati su questo. Non sono interessato a fare necessariamente cose realistiche, è ovvio. Mi piacciono le cose fantasiose. Ma non ci può essere qualcosa di fantasioso senza persone. Sarebbe qualcosa di ben poco interessante. Se dovessi decidere di trasformare delle persone in carote o in qualcosa d’altro per una storia, allora penso che dovrei capire perché questo è importante per me come persona e perché quella storia possa avere un senso. Altrimenti non c’è storia. Solo un espediente, un trucco”15.

17


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 18

Reale e surreale. Parole chiave per il lavoro di Kaufman. Bilanciamenti e tensioni per definire quello che è Being John Malkovich. E non è un caso che questa chiave di lettura sia stata proprio quella sulla quale molta della critica si è soffermata. Jamie Saxon lo ha definito un grande risultato di “Surrealismo pop”16 e dello stesso avviso è anche Maurizio Porro che lo ha apostrofato come “vaudeville metafisico [...] con un fascinoso apparato visivo che sta tra l’iconografia pop e un’aria metafisica da Magritte”17. Sintomatica la critica di provenienza geografica lontana ma di contenuto limitrofo. Being John Malkovich è certamente un film surreale, ma dove il surreale appartiene solo come manifestazione di uno stato conoscitivo oltre-la-realtà (in questo caso oltre la rappresentazione cimatografica, quindi meta-cinematografica) di quella tendenza umana “al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”, e non prettamente come “automatismo psichico puro”18. Ci sono persone dentro, come ha detto Kaufman. E questa manifestazionerappresentazione fenomenologica non può prescindere dal mostrare l’aspetto ontologico e antropologico che ne deriva. Questa si può collocare solo sopra l’impianto realistico in cui l’uomo o la marionetta si muovono (o sono mossi). Personaggi e marionette agiscono inevitabilmente e obbligatoriamente solo in questo territorio. Funzionano come persone, uomini. Sono uomini. Vivono in un mondo di uomini. E non è un caso che inizialmente l’idea di base di Kaufman, che arrivava dalla sit-com e da un mondo prettamente televisivo, era di fare un film basato sulla storia di un uomo che si innamora di qualcuno che non è sua moglie. Questo era il tema portante della sua sceneggiatura. Come di molte altre storie, dopotutto. Il settimo piano e mezzo è venuto dopo. E dopo il portale per John Malkovich: un soggetto assolutamente reale, vero, umano. E su di esso, appunto, il surreale. Il simbolico. Una delle caratteristiche comuni a tutte le principali manifestazioni surrealiste - si potrebbe affermare con una certa genericità e, se vogliamo, astrazione - è la critica radicale alla razionalità cosciente e la liberazione delle potenzialità immaginative dell’inconscio per il raggiungimento di uno stato conoscitivo “oltre” la realtà (sur-realtà) in cui veglia e sogno sono entrambe presenti e si conciliano in modo armonico e profondo. Il Surrealismo è certamente la più “onirica” delle manifestazioni artistiche, proprio perché dà accesso a ciò che sta oltre il visibile. Inoltre comprende immagini nitide e reali ma accostandole talvolta tra di loro, come si è visto nel primo movimento Surrealista. Tutto questo, talvolta, senza alcun apparente nesso logico. Orologi sciolti, mele enormi in una stanza, uomini con la bombetta che cadono dal cielo, amanti incappucciati che si baciano, manichini e rinoceronti, personaggi bloccati in un salotto. In Kaufman siamo molto lontani dal sogno esplicito e molto vicini alla realtà implicita. Man Ray, Buñuel et similia ci sono ma sono distanti, e così le parti più proriamente oniriche (e rivelatorie) di Lynch o di Gillam. Come ha più volte ammesso lo stesso sceneggiatore19 si è molto più vicini a Kafka e Pirandello, se vogliamo rintracciare delle coordinate di influenza determinate. Il Surrealismo di 18


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 19

Kaufman è proprio atto a smascherare la realtà, quella intima dell’inconscio umano, ma senza esplicitare direttamente la sua parte onirica. Eppure siamo sempre nella testa di qualcuno. Di qualcuno che racconta. Che parla. Che comunica. Extradiegesi e diegesi si fondono nell’ontologia del narratore, del personaggio e dell’attore, come nelle recenti teorie di narratologia20. Marionette, pupazzi, personaggi e attori veri si mischiano in un teatrino meta-rappresentativo di gusto intellettualoide eppure piacevolmente ammaliante, catchy e immediato. E la commedia surreale non può che comunicare tutto ciò nella maniera più appropriata. Malkovich e gli attori riescono a recitare come se questi fatti stessero veramente accadendo, creando un mondo umoristicamente bizzarro e grottescamente credibile. Being John Malkovich e la scrittura del suo ideatore possono essere considerati figli di quella corrente ascritta al termine postmoderno proprio nel suo giocare con il mondo della realtà e della finzione, incastrandoli in maniera del tutto umoristica, smascherandone le meta-rappresentazioni e contrapponendone una critica alla razionalità, come affermava lo stesso Lyotard21. Kaufman ha esteso questo modo di operare agli altri lavori, in particolare Adaptation (2001) e al debutto alla regia con Synecdoche, New York (2008), fino ad arrivare alla trasposizione dell’umanità di pupazzi di Anomalisa (2015). Ma mentre in questi film viene mostrato l’assetto più filosofico e introspettivo di Kaufman incrementandone il lato malinconico, macrocosmico ed esistenziale, Being John Malkovich contiene queste medesime tendenze, tinte con una attitudine più divertita che già pienamente consapevole e matura. Dissacratoria, divertita, quasi adolescenziale. Certamente la profondità delle tematiche c’è tutta - si può ponderare su queste se si vuole e su come possano diventare vere e proprie forme portanti - ma il film non obbliga a questa lettura. Surrealismo pop, vaudeville metafisico, meta-rappresentazione surreale. Poco importa se l’appellativo postmoderno possa categorizzarlo in una prospettiva ulteriore. Kaufman non è mai andato a braccetto con le etichette. Dice Jonze: “Charlie l’aveva scritto per divertimento. Non avrebbe mai pensato venisse realizzato. Lo scrisse per fare in modo di avere qualche speranza nel film business”22. Il protagonista di Adaptation è lo sceneggiatore Charlie Kaufman, quello di Synecdoche, New York è il drammaturgo Caden Cotard, quello di Confessions of a Dangerous Mind è l’autore stesso della biografia, Michael Stone di Anomalisa è un affermato scrittore di libri sul customer service, quello di Being John Malkovich è il burattinaio Craig Shwarz. Quello del prossimo - e primo - romanzo di Kaufman, in uscita nel 2020, sarà B. Rosenberger Rosenberg, nevrotico critico cinematografico23. La manifestazione del creatore come personaggio è l’emblema della tendenza meta-rappresentativa di Kaufman. Creatore e personaggio, personaggio e attore, maestro, critico e burattino. Introduce il film proprio una marionetta di legno, perfettamente intagliata tanto da sembrare proprio il burattinaio che la muove, il depresso Craig Shwarz (John Cusack), di cui è fedele rappresentazione. Il gioco della meta-rappresenta19


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 20

zione ha qui il suo inizio simbolico, come espresso dalla prima sceneggiatura. Craig posa il suo personaggio e si stappa una birra: deve cercare un vero lavoro, come vuole la sua compagna Lotte, un’imbruttita e sciatta Cameron Diaz (amica di Catherine Keener in quel periodo e da lei proposta a Jonze per una parte sicuramente così lontana dai suoi canoni). Particolarmente significativa per l’aspetto surreale la parte della sceneggiatura originale, poi esclusa dal film, nella quale Craig tenta di lavorare come professoressa per una scuola femminile. Si rasa, si depila, si scioglie i capelli, si trucca e fa anche bella impressione, tanto da diventare una professoressa decisamente credibile, fino a quando una studentessa scopre che guida una bicicletta da uomo. Dopo essere uscito di prigione, Lotte chiede sconfortata al marito: “Perché lo fai?”. “Sono un burattinaio” risponde lui. Ed è con questa decisione che Craig risponde alla domanda di lavoro per un burattinaio donna, lesbica, afro-americana e separatista per scopi comunitari e per un altro lavoro come burattinaio femmina per una colonia nudista che avrebbe dovuto mettere in scena Oh Calcutta! a teatro. Inutile dire che entrambe le esperienze finiscono male. “Sai... Dovresti parlare a qualcuno a proposito di questo...” suggerisce Lotte. Ma Craig è un personaggio che vive il suo dramma dentro di sé e difficilmente riesce a trovare fiducia nella comunicazione relazionale, a meno che non sia con le sue marionette. Il mondo fuori è troppo complesso. Craig si strugge per trovare il suo posto nel mondo, ma come ogni eroe deve avere sempre bene in mente la sua nemesi, Il Grande Mantini, burattinaio diventato famoso proprio per il fatto di essersi svenduto al mercato commerciale. Craig non può che vedere in lui il suo antagonista. Il Grande Mantini non è un artista puro e vero come lui. Quello a cui, però, portano le sue rappresentazioni (come la scena erotica di Abelardo ed Eloisa fatta nel teatrino per strada) sono solo incomprensione, irriconoscenze e disinteresse, fino ad arrivare a schiaffi da padri particolarmente attenti alla moralità, che “difendono” il proprio figlio dalla “pericolosità etica” delle rappresentazioni di Mr. Shwarz. Craig esprime tutta la sua frustrazione ad Elijah, lo scimpanzè che vive in casa sua, insieme ad altri animali di cui Lotte si occupa, e si dice abbia dei problemi allo stomaco dovuti, secondo la moglie del burattinaio, a un trauma infantile. Craig comprende che Elijah non ha una coscienza, fonte primaria di enormi problemi esistenziali, e così si confida allo scimpanzè: “Se fossi una scimmia, sarei l’uomo più felice di questa terra. Nessuno si aspetterebbe nulla da me. Starei sul divano a sbadigliare per tutto il giorno. Questa sì che è vita”. In realtà Jonze ci mostrerà successivamente che Elijah soffre di ulcera allo stomaco proprio per ciò che è avvenuto nel suo passato: un trauma dovuto al fallimento nel liberare la sua famiglia dalla cattura dei bracconieri. Elijah soffre enormemente, e il senso di colpa gli ha provocato l’ulcera allo stomaco, proprio come credeva Lotte. Come ogni essere umano - e come molti personaggi di una storia - il suo percorso è un percorso di redenzione dalla colpa, per liberarsi dalla sofferenza e trovare pace. Elijah libererà Lotte quando Craig la imprigionerà 20


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 21

nella gabbia dell’animale, e la coscienza dell’animale verrà mostrata adottando il suo punto di vista durante il flashback del suo trauma passato. Giochi di prospettive e rivelazioni etiche conseguenti, come in una architettura in cui poco è lasciato al caso. Del tutto il linea con quello che emergerà come il pensiero kaufmaniano, pian piano il rapporto dei due coniugi inizia a sfaldarsi e a rivelarsi per quello che è. La relazione coniugale che lega il pupazzaio Craig e Lotte è solo apparentemente manifestazione esplicita di buoni propositi, baci, parole dolci, passione per arte e natura, comprensione reciproca. Questi sono solo una facciata di un rapporto che nasconde, imprigionate dietro la maschera dell’atteggiamento new age, quelle che sono le pulsioni più egoistiche dell’essere umano. Un catalizzatore mette infatti a nudo le personalità di Craig e Lotte: Maxine. La collega di Craig è centro propulsore e bersaglio degli amori sia del burattinaio che della sua consorte, esplicita meta per quanto riguarda l’anelito alla realizzazione, anche (e soprattutto) sessuale. Craig incontra Maxine proprio durante il briefing per il nuovo lavoro per il quale è stato assunto alla LesterCorp., i cui uffici sono situati al settimo piano e mezzo dell’edificio fatto costruire tempo addietro da un capitano irlandese, James Mertin. Maxine è l’emblema della sessualità prorompente che investe il depresso e irrealizzato burattinaio, totalmente immerso nei pensieri per lei; Keener-Maxine rappresenta la femme fatale per eccellenza: spudorata, schietta, provocante, un uragano di personalità che non ha il minimo problema a confrontarsi con le attrazioni sessuali di Craig addirittura deridendolo come omosessuale. Nello script originale Craig risponde con parole molto importanti per il film, nonostante questa parte sia stata tagliata nella versione definitiva: “Non sono omosessuale. È solo che mi piacciono le donne per qualcosa di più che i loro corpi. Hai presente, l’eterno ying/yang. Le eterne forze maschili e femminili che si completano vicendevolmente. Una non è mai completa senza l’altra. E per questo ho assoluto rispetto per ciò che è femminile”. Ed è proprio il carattere da Lady Macbeth che attrae il burattinaio: quel suo essere irriverente, spigliata, aggressiva, sensuale, crudele. Craig ne è intossicato e ripete il suo nome continuamente. Un nome diretto, inequivocabile, regale, di massima autorità. E non a caso il nome di Craig Shwarz è invece storpiato più volte in Mr. Juarez o Miss Warts (addirittura cambiato di sesso) dalla segretaria Floris alla LesterCorp. Maxine - d’altronde - non vuole avere nulla a che fare con uno che gioca con “le bambole”. Craig, tornato a casa, afflitto dalla noncuranza della partner, si rinchiude così nel teatrino dei burattini inscenando un dialogo tra il burattino che lo rappresenta e uno che invece rappresenta Maxine, cercando di dimostrarle quanto l’arte del burattinaio sia affascinante, in quell’unica comunicazione che gli è possibile 21


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 22

esternare e comprendere appieno. Durante il dialogo tra le marionette afferma: “L’idea di diventare qualcun altro per un momento, è la prima cosa. Essere dentro un’altra pelle. Muoversi diversamente, sentire diversamente”. L’idea della fuga da sé per la realizzazione della propria persona è uno dei motori scatenanti che muovono Craig e Lotte. Ma sia la passione per i burattini di Craig quanto l’amore per gli animali di Lotte vengono dimenticati, o messi da parte, quando incontrano Maxime. Lotte infatti tende tanto quanto Craig verso il lato fatale della collega del marito, proprio per il medesimo motivo: trovare in un’altra persona ciò di cui sentono la mancanza in loro stessi, come lo ying e lo yang. Ed è proprio per questo che Lotte, avendo provato l’esperienza metafisica entrando nel portale segreto e avendone potuto provare l’attrazione con gli occhi di un uomo, si innamora della femminilità prorompente di Maxime. Lotte oltrepassa i confini di genere quando entra dentro Malkovich e prova familiarità con il suo lato mascolino. E da qui la sua decisione di cambiare sesso che esplica a Craig proprio di fronte a Maxime nel suo ufficio, in una delle scene più divertenti ed eccentriche del film. Il portale per John Malkovich diventa lo snodo perfetto nel quale le tensioni e le pulsioni dell’essere umano kaufmaniano vengono portate a compimento e non c’è necessariamente qualcosa di vero o di non vero nel film, di realistico o di surreale, ma è tutto una combinazione di opposti, come nel filmato introduttivo per i dipendenti della LesterCorp. Durante la presentazione, infatti, Maxine dice proprio che tutto ciò che è stato mostrato nel video sono solo “cazzate”. E nella sceneggiatura originale va ancora oltre: “La vera storia del settimo piano e mezzo è così malvagia che non potrebbe mai essere rivelata agli americani cresciuti fra sit-com e sorridenti anchorman da telegiornale”. E quando Craig le chiede se è tutto vero ciò che ha appena affermato, lei si limita a rispondere semplicemente: “La verità è per i falliti, no?”. Peculiare come anche Charlie Sheen (che nel film recita nella parte di sé stesso come migliore amico di Malkovich) dice all’amico preoccupato per la sua relazione con la stessa Maxine: “La verità è per i falliti, Jonny-boy”. Questione di mondi. Prospettive. Ancora una volta. Nessuna verità da catechetica per Kaufman. Niente dogmatismi. Niente moralità. Solo persone e rappresentazioni. La verità, o la realtà, deve sembrare essersi fatta da sé, come diceva Verga, anche se questa visione verista rimane ben lontana dal cappotto surreale con il quale questa si riveste nell’estetica kaufmaniana del Malkovich. E se il soggetto iniziale della storia è l’amore di un uomo verso una donna che non è sua moglie, conosciuta sul posto di lavoro, il motore della storia è inequivocabilmente alimentato dal carburante essenziale che non può che ritrovarsi nella situazione surreale e metafisica in cui Kaufman ha voluto rappresentare il tutto. Il settimo piano e mezzo. Il portale per Malkovich dietro lo schedario del suo ufficio. Il canale tra prospettive, generi e mondi diversi. Quando infatti Craig trova il portale, rappresentato simbolicamente come un 22


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 23

lungo tunnel “membranoso” nel quale si viene risucchiati per poi ri-nascere, si ritrova direttamente nella mente di John Malkovich-attore. Si legge nella sceneggiatura che Craig si ritrova con “il punto di vista di qualcuno che legge un giornale. La persona porta la tazza di caffè alla bocca. C’è un suono gutturale di ingoio. La persona abbassa la tazza e il giornale e si alza”. Solo quando la persona si specchia Craig (e il pubblico) capisce che si tratta di John Malkovichattore. Come in un gioco barocco. Come l’autoritratto seicentesco di Gumpp, come la famiglia ritratta da Velasquez. La cosiddetta messa in abisso. La prospettiva di Malkovich dopo circa quindici minuti svanisce e Craig si ritrova catapultato in una tangenziale del New Jersey. Enormi sono le implicazioni e i dubbi che lo assalgono. Così, infatti, comunica tutto a Maxine: CRAIG: C’è una piccola porta in quell’ufficio vuoto. È un portale, Maxine. Ti porta dentro John Malkovich. Tu vedi il mondo con gli occhi di John Malkovich e poi, dopo quindici minuti, sei sputato sul fianco del New Jersey Turnpike. MAXINE: Fantastico. Ma chi cazzo è John Malkovich? CRAIG: È un attore. Uno dei più grandi attori americani del ventesimo secolo. MAXINE: Che film ha fatto? CRAIG: Un sacco. È molto rispettato. È stato in quel film in cui interpretava un ladro di gioielli. Ma il punto è che è una cosa straordinaria, soprannaturale, la mancanza di un mondo migliore. Porta con sé tutte le domande filosofiche sulla natura dell’essere, sull’esistenza dell’anima. Sono io me stesso? È Malkovich Malkovich? Aveva ragione il Buddha, la dualità è un’illusione? Capisci che cosa questo portale può significare? Non penso di poter più vivere la mia vita come prima. L’umorismo kaufmaniano sul tema della celebrità raggiunge qui la sua massima espressione. Il tassista che aveva preso Malkovich sotto casa, durante l’esperienza extra-corporea di Craig, lo aveva chiamato “Mapplethorpe”, riconoscendo in lui qualcuno di già visto ma non ricordandosi esattamente il nome. Solo quando l’attore rivela il suo vero nome il taxista controbatte dicendo che era stato grande in quel film dove interpretava il ladro di gioielli, ma, nonostante Malkovich risponda di non aver mai interpretato un ruolo simile, questo non ferma il taxista dal chiedergli un autografo, proclamandosi come uno dei suoi più grandi fan. Craig, in questo dialogo con Maxine, ripropone il ruolo di Malkovich come ladro di gioielli, ma poco importa chi sia o che film abbia fatto. L’importante è che sia celebre, no? MAXIME: Questo Malkovich è affascinante? CRAIG: Certo. È una celebrità. MAXINE: Bene. Vendiamo i biglietti. 23


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 24

CRAIG: Biglietti per Malkovich? MAXINE: Esatto. Duecento dollari a giro. CRAIG: Ma c’è qualcosa di profondo qui, non possiamo esplorarlo. MAXINE: Bene, lo faccio da sola. Volevo offriti un accordo di partnership, ma questo vuol dire più soldi per me. CRAIG: Vuoi veramente essere la mia partner? MAXINE (annoiata): Certo. Sarà divertente. CRAIG (compiaciuto): Veramente? Ma Maxine, scatola cinese! Fine del mondo! L’illusoria natura dell’esistenza! MAXINE: Ti proteggo io, faccia da bambola. I quindici minuti di celebrità di Andy Warhol. E Baudrillard, Debord. Lo spettacolo, le simulazioni e i simulacra. Determinazioni nervose di un contenuto e una storia che non possono rifarsi a questi retroterra culturali così essenziali per il pensiero di un autore di questo tipo. Maxine capisce immediatamente le possibilità economiche che questa scoperta può comportare, emblematizzando la sua personalità pragmatica, mentre Craig è invece enormemente preoccupato da problemi più ontologici. Come viene aggiunto nella sceneggiatura finale del film: “Avevo un pezzo di legno in mano, Maxine. E ora non ce l’ho più. Dove è finito? È scomparso? È ancora nella testa di Malkovich? Non ne ho idea”. Craig è strabiliato e allo stesso tempo enormemente preoccupato per quanto questa esperienza metafisica possa comunicare. I dubbi del burattinaio non rappresentano meramente astratti interrogativi filosofici ma esprimono perfettamente quella che è l’immanente crisi esistenziale del personaggio, così come l’aspetto pragmatico di Maxine ne evidenzia perfettamente i limiti in quanto essere umano e personaggio e così come quello di Lotte nel trovarvi una nuova pulsione erotico-sentimentale, oltrepassandone significativamente i confini di genere. Come ha sottolineato Murray Smith, Being John Malkovich è un film che “esplora alcune delle assurdità implicite nelle nostre idee confuse e talvolta paradossali riguardo alla coscienza”24. In particolare Murray si riferisce alle situazioni nelle quali i personaggi sono persuasi dalla concezione di sé come soggetti consci, distinti dal proprio corpo. Craig si domanda subito, infatti, quali possano essere le implicazioni alla teoria del dualismo cartesiano anima-corpo. Un dualismo che ha sempre avuto radici profonde in Occidente, da Platone, che aveva parlato di idea e sostanza materiale, e soprattutto con la diffusione moderna del pensiero di Cartesio e dell’ottica cristiana. E l’asse centrale del film è giocato proprio sull’implicazione bizzarra della concezione dell’Essere cristiano-cartesiano: il fatto che la parte interiore (che sia anima, Essere, mente, Io) possa liberarsi del corpo e trasferirsi in un altro. Falzon definisce infatti il film come una “commedia cartesiana”, proprio per le implicazioni che esso ha con la teoria del filosofo francese, così come altri film a cui si può ascrivere questa caratteristica: Switch (Blake Edwards, 1991), Big (Penny Marshall, 1988), All of Me (Carl 24


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 25

Reiner, 1984)25. In questi film è presente la visione secondo la quale l’Io è colto nel suo essere soggetto esistente in un tempo determinato, che è conscio e ha esperienze, memorie, pensieri e dubbi, sui quali svetta per importanza l’unico assunto fondamentale del cogito. La mente è più importante del corpo in questa visione, tanto da configurarsi come unica parte essenziale all’identità individuale. L’anima (l’Io, la mente) può in qualche modo staccarsi dal corpo e migrare in un altro, risultando essere slegata necessariamente a una sola corporeità. Walter Ott dice che la concezione cartesiana nel film si basa sull’assunto che ogni corpo umano possa avere un homunculus26, un altro piccolo essere umano da qualche parte dentro la propria mente, riprendendo la terminologia usata da Paracelso, medico e alchimista del XVI secolo. Craig continua a essere Craig anche quando entra in Malkovich. Craig-in-Malkovich non è il Craig corporeo, ma è mente, coscienza, anima che si configura quindi, cartesianamente, come l’unico Io di Craig. L’identità di Craig è trasposta cinematograficamente da Jonze attraverso l’uso di bordi oscurati ai lati dello schermo e suoni ovattati, proprio come se ci si trovasse a guardare le cose da qualche parte dentro la testa di qualcun altro. Craig infatti non agisce (inizialmente) in maniera diretta sul corpo di Malkovich, ma si limita a partecipare alla percezione di Malkovich, come un homunculus che vede quello che vede Malkovich. Il Craig-homunculus è quindi una entità non corporea. La sua identità, il suo Essere, la sua coscienza sono sdoganati dal corpo precedente. Scompare. E con lui anche il pezzo di legno che aveva portato con sé una volta introdottosi nel tunnel del portale. Anche quando Craig inizia a capire come controllare il corpo di Malkovich, l’Io cartesiano rimane sempre distinto dal corpo. Craig non agisce direttamente sul mondo, agisce sul corpo di Malkovitch, trasponendo quanto aveva detto a proposito del mestiere del burattinaio: “essere in un’altra pelle”. Craig è una entità aliena nel corpo di Malkovich e ne prende possesso proprio come uno dei suoi burattini. Dietro le scene, tirandone le corde. In questo modo l’ottica dell’individualità cartesiana viene presentata come una mente che controlla un corpo, come un burattinaio controlla le sue marionette. Quando Craig impara a muovere i fili di Malkovich l’esperienza trans-corporea diventa così possibilità di realizzare gli scopi dell’Io che abita (e che tiene le corde di) un nuovo corpo. Nel film questo viaggio trans-corporeo e meta-fisico viene espresso soprattutto in relazione a quanto possa comportare per il soggetto che esperisce questa migrazione, configurandosi come una via di fuga, un nuovo inizio, una trasposizione, un superamento, una possibilità di realizzazione, una possibilità per far soldi, un modo per vivere per sempre. È stato però opportunamente sottolineato come il film mostra, al pari di queste configurazioni, quella che è la tendenza alla trascendenza27. La fuga dal proprio è vista come desiderio di trascendenza e la metafora del burattinaio assurge a simbolo di questo desiderio: “Essere in un’altra pelle. Pensare diversamente, muoversi diversamente, sentire diversamente.” Ma è una trascendenza che vuole superare la propria situazione non solo in otti25


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 26

ca cartesiana, ma inevitabilmente a tutto quanto è presente a contatto con essa: le pratiche, l’ambiente, la posizione, il mondo. Craig è distante da sua moglie, è irrealizzato poiché non è in comunicazione con nessuno, nemmeno con il mondo. Lo stesso mondo che non riconosce la sua arte. È un desiderio di comunicazione che spinge Craig a interagire con le sue marionette, per fuggire dall’ambientazione claustrofobica nella quale si trova. Craig è piegato dalla vita, e anche l’angusto tetto del settimo piano e mezzo non può che renderlo ancora più piegato sui fascicoli degli schedari della LesterCorp. Il desiderio di trascendenza-da-sé è di pari passo un desiderio di essere in comunicazione con gli altri. Craig vuole essere riconosciuto come artista dagli altri, vuole essere chiamato col suo vero nome da Floris, vuole essere famoso perché come burattinaio è assolutamente geniale, e vuole anche essere desiderabile per Maxine. E questi desideri irrefrenabili sono presenti in tutti i personaggi che popolano il mondo kaufmaniano di Being John Malkovich e che entrano in contatto con il portale metafisico. Maxine, da persona che si muove bene in questo tipo di mondo, ne coglie subito, infatti, l’opportunità per un business e subito si forma una coda lunghissima in orari notturni alla LesterCorp. per usufruire di questi 15 minuti, non solo warholiani (poco importa che nessuno sappia chi sia o in quali film Malkovich abbia effettivamente recitato) ma di vera e propria esperienza trascendente. Per costoro il tutto è basato sulla fuga dalle barriere claustrofobiche non solo del proprio corpo, ma della forma di vita in cui sono collocati. Peculiare, in questo senso, la scena in cui il primo cliente chiede se è possibile scegliere il personaggio nel quale passare quei quindici minuti di trascendenza. Una volta che gli viene detto che può essere Malkovich risponde: “Sarebbe stato la mia seconda scelta. Non la prima. Ma forse la seconda”. Lester (un simpatico Orson Bean), capo della LesterCorp., sfrutta il corpo di Malkovich, insieme a una cerchia di anziani amici (i malkoviciani), per sfuggire dalla dimensione della mortalità e dalla mancanza di vigore sessuale che arriva con l’età avanzata. Solo in seguito, infatti, si scopre che Lester è proprio il capitano che aveva fondato l’edificio, come mostrato nel filmato introduttivo per i nuovi dipendenti della LesterCorp. ed era stato il primo a trovare il portale e a passare da un corpo a un altro e - come spiegherà poi a Lotte - capire che il corpo di John Malkovich avrebbe potuto essere utilizzato come nuovo contenitore solo fino al compimento del suo quarantaquattresimo anno d’età. Dopodiché il portale avrebbe condotto a un nuovo corpo-contenitore, ancora troppo giovane per essere controllato. Lester e i suoi compagni viaggiano così attraverso corpi diversi, nei quali si introducono attraverso il portale, e possono in questo modo superare le barriere imposte dalla mortalità, come una grande compagnia di immortali che passano da corpo a corpo, ma con determinate scadenze. Di certo una bella fantasia... Kaufman presenta qui una visione della trascendenza che esula completamente dalla dimensione religiosa. Il portale è una sorta di tecnologia e non un passaggio per un altro mondo o per una dimensione ultraterrena di liberazione. 26


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 27

Lester rappresenta, proseguendo le connessioni indicate da certa parte di critica, un Io cartesiano, non corporeo, “quasi spirituale, anche se secolarizzato”28, un modo attraverso il quale vivere per sempre. Il dualismo cartesiano non può che venire implicato in questa forma di trascendenza. Come Cartesio dice nelle Meditazioni l’Io arriva a essere consapevole di sé solo attraverso un processo di distacco dalla propria dimensione fisica. In questo caso non era un processo tecnologico (come il portale) ma più un’esperienza spirituale e critico-filosofica, quella del dubbio sistematico, rigettando ogni credenza sul mondo che avrebbe potuto essere messa in discussione, e quindi soggetta a errore. Cartesio poteva dubitare di tutto - anche del proprio corpo - in quanto tutte le cose potevano non esistere. E nonostante Cartesio abbia anche aggiunto che “Io non sono presente nel mio corpo semplicemente come un marinaio è presente sulla sua barca”29, l’unica cosa su cui non si poteva dubitare era proprio il fatto di riconoscersi come coscienza pensante, identificando la propria identità con la dimensione mentale e spirituale. Quando però Craig riesce a prendere effettivamente il controllo di Malkovich, superandone i confini temporali (i famosi quindici minuti warholiani) che legano l’esperienza trans-corporea comune al portale, l’essere cartesiano diventa un ibrido, quasi come se venisse implicato un supporto alle tesi di coloro che si sono mossi contro il dualismo cartesiano come John Dewey, Meleau-Ponty e Michel Foucault, tra i molti. Li citiamo poichè è probabilmente in questo retroterra che la scrittura kaufmaniana attinge le sue intuizioni più profonde e - forse - provocatorie. Merleau-Ponty, per esempio, non credeva che la nostra identità potesse venire compresa né come coscienza privata della corporeità, né come mera corporeità, e neanche una combinazione delle due cose. L’approccio fenomenologico al mondo non può prescindere dal vivere il proprio corpo, dall’essere corpo, e per corpo il filosofo intendeva proprio l’unica apertura che si ha verso il mondo, una apertura percettiva, superando l’ontologia anima-corpo cartesiana30. Anche Dewey sottolinea come il procedimento individuale possa venire effettuato inizialmente solo grazie all’apprendimento percettivo, in azione e reazione con l’ambiente31. Oltre al divertissement concettuale, Being John Malkovich offre inizialmente una rappresentazione effettivamente cartesiana dell’essere come mente che abita un corpo diverso dal proprio, rimanendo distinto dal corpo ma successivamente avviene una ibridazione: Craig non solo inizia ad avere controllo del corpo di Malkovich ma diventa Malkovich, imparando a superare anche i limiti di tempo che l’esperienza del portale sembrava presupporre. Malkovich non solo è controllato da Craig nella “Danza della Disperazione e della Disillusione” dove è ancora burattino in mano ad un burattinaio, corpo controllato da una mente, per il divertimento di Maxine, ma diventa Craig Shwarz, acquisendone il portamento, il look della pettinatura, le movenze e, soprattutto, l’abilità. Malkovich non è più influenzato da Craig Shwarz. È Craig Schwarz. E Jonze è abile nel mostrare 27


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 28

questo cambiamento abbandonando il punto di vista interno utilizzato precedentemente, sancendo in pieno l’unicità corporea che lega i due personaggi. Quando Craig-in-Malkovich acquisisce prestigio e celebrità nella nuova carriera di burattinaio e guarda il suo spot in televisione, dice: “Sembro molto affascinante. Mi scoperei”. Non ci sono più differenze tra l’Io dei due personaggi. Come suggerisce Scott Repass: “Una volta che Craig prende il controllo del corpo di Malkovich, non abbiamo più accesso alla ripresa con il punto di vista interno. Craig non sta più semplicemente agendo su Malkovich; è alla fine diventato Malkovich”32. Allontanandosi dalla concezione cartesiana, superandola, non si può non fare riferimento a concezioni di autori di Merleau-Ponty e Dewey, una volta che si vuole porre il problema della visione qui espressa sulla trascendenza. Quando Craig impressiona Maxine facendo danzare Malkovich le spiega che ha trovato il modo di rimanere per sempre nel corpo dell’attore avendo fatto “amicizia con il suo corpo” come se fosse un “vestito costoso”. Falzon procede oltre, facendo notare come le marionette stesse orchestrate da Craig sembrino avere dei propri sentimenti, evidenziati ampiamente sotto l’occhio attento di Jonze che dimostra di avere colto in pieno quanto Kaufman voleva rappresentare. Solo quando Malkovich viene fatto danzare ci si accorge che all’inizio del film la marionetta di Craig aveva interpretato lo stesso balletto, la “Danza della Disperazione e della Disillusione”. E i burattini sono quasi sempre inquadrati come se fossero mossi da un qualcosa di interno, di incorporato, e non da un agente esterno. Kaufman - ma anche Jonze - è chiaro nel voler prendere questa direzione. Particolarmente significative a questo proposito le scene in cui Craig-in-Malkovich viene presentato alla televisione come un attore che ha lasciato da parte la recitazione e si è ricostruito una grandiosa celebrità sull’arte dei burattini, diventando un genio burattinaio, che ha cambiato il mondo del teatro delle marionette. Importantissima la scena mostrata dalla televisione in cui redarguisce uno studente burattinaio mostrando il perfetto abbinamento tra la verità della rappresentazione e l’ontologia del personaggio, implicitamente relativa alla visione della scrittura che Kaufman ha da sempre sostenuto: MALKOVICH: Cosa stai facendo? STUDENTE: Lo sto facendo piangere, John. MALKOVICH: Lo stai facendo piangere. Non stai piangendo tu! Non fottere mai la tua audience. Tu stesso non stai piangendo. Fino a quando il burattino non sarà un’estensione di te, sarà tutto un qualcosa di costruito. Un Topo Gigio, lo capisci? L’oggetto come estensione di sé, come diceva Merleau-Ponty, incorporando in esso le capacità dell’uomo. Questo non risulta essenziale solamente intorno ad un discorso che possa vertere su quanto il pensiero di un filosofo implichi il supe28


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 29

ramento della concezione cartesiana nel film in questione, ma risulta significativo per quanto riguarda l’intero pensiero di Kaufman: lo sceneggiatore non può fare a meno di soffrire con i personaggi ed essere partecipe delle loro vicende, inquadrandoli come - fondamentalmente - persone. Il resto sarebbe “solo un espediente, un trucco”, come diceva nell’intervista con Jeff Otto a IGN. Sarebbe finto. Non reale. Esattamente come Topo Gigio. Esattamente come la maggior parte dei prodotti hollywodiani. Questo tipo di rappresentazione sarà esemplificato in maniera esponenziale in Adatpation e Synecdoche, New York contraendosi in una spirale più drammatica e malinconica, pur non abbandonando mai la prospettiva di ironia fenomenologica. Being John Malkovich si situa più nella collocazione più propria di commedia, come indicato nell’IMDB, (o commedia cartesiana, come è stato argomentato), anche se Christopher Falzon suggerisce però che quanto comunicato da Kaufman attraverso il personaggio di Craig è che muoversi da un corpo all’altro non è un modo per scappare, ma un’altra possibilità di essere intrappolati in un corpo di qualcun altro. E questo è “il cuore del destino tragico di Craig”33. Nella medesima intervista con Michael Sragow citata all’inizio del capitolo, Kaufman continuava dicendo: “Non penso che i miei personaggi siano uno scherzo. Io li prendo sul serio. E non importa quanto stravagante o bizzarra possa essere la loro situazione, questa situazione è reale e un po’ tragica”. L’esperienza di trascendenza da sé diventa una situazione tragica per Craig poiché si ritrova comunque ad aver trasformato Malkovich in un’altra versione di sé, facendo allontanare ancora una volta Maxine. David S. Ulin del “Los Angeles Times” dice: “Craig vuole abitare Malkovich perché pensa che questo possa renderlo più simile all’attore - sicuro di sé, desiderabile, cool. La beffa che accade invece è che accade l’opposto: Malkovich diventa come Craig”34. David Smith ha identificato il problema della trascendenza proprio come motore chiave dei film di Kaufman: possiamo fuggire da noi stessi, cambiare radicalmente, modificare la persona che noi siamo? Come possiamo cambiare se noi stessi siamo nell’atto stesso di cambiare?35. In questo senso si potrebbe fare attenzione su cosa invece è diventato Malkovich, cioè sull’oggetto controllato, sul corpo, sul pupazzo, sul’ontologia di ciò che è stato soppresso. Questo qualcosa è sotto un controllo, un potere che viene esercitato. Jesse Mayshark nota come nel film questa ricerca di trascendenza diventa una ricerca di controllo36. E non è un caso che Kaufman, inizialmente, aveva pensato a un titolo come Using John Malkovich37. Ma se Craig diviene Malkovich e Malkovich diviene Craig allora questo processo non può più essere ritenuto un processo di oggettificazione, ma, al contrario, di soggettificazione. Solo un soggetto con determinate caratteristiche come Malkovich avrebbe potuto essere utile a Craig. E Malkovich diviene Craig imparandone le tecniche. Tutto questo non può semplicemente avvenire con la mentalità dualistica cartesiana ma ne implica una diversa, come quella di MerleauPonty (o Dewey) o di Foucault. 29


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 30

Quest’ultimo aveva infatti parlato di potere e soggettivazione, allontanandosi, come Merleau-Ponty, dal dualismo cartesiano ma superando il filosofo francese nel sottolineare le caratteristiche contingenti che agiscono sull’Io come l’ambiente, le pratiche sociali, la formazione. Nel processo di soggetivazione di Malkovich, Craig impartisce ordini e trasmette, insegnandolo, il suo sapere, le sue abilità, la sua arte, le sue impressioni. In una scena, poi esclusa dal progetto finale, appare il dottor Lester e Flemmer, un personaggio solo nominato nel film finale ma mai presentato. In questa scena appare come il “boss” di Lester. LESTER: Sono io, boss. Ho portato dei croissant [...] Il ragazzo ha talento. Non hai mai visto Malkovich in questo modo. Shwarz gli ha insegnato a cantare e ballare. Impressioni. FLEMMER: Impressioni? Quelle sì che sono difficili. LESTER: “Dannato figlio di puttana di talento. Peccato che non possiamo ucciderlo. FLEMMER: Suppongo potrei apparirgli in sogno. Non so. È la cosa migliore che potrei fare ora. LESTER: Un sogno spaventoso? FLEMMER: No, un sogno sexy... Ovviamente un sogno spaventoso!! In questo senso ci si può riappropriare del percorso fornito dalla televisione su quanto era accaduto a Malkovich, rappresentandolo durante le scene sull’insegnamento dell’arte del burattinaio. In questo potere di soggettivazione, Foucault aveva parlato di stato di dominazione, dove gli individui sono ridotti a funzione di esigenze sociali e aveva invertito la formula cartesiana trasformandola in “l’anima è la prigione del corpo”: Malkovich è ridotto all’imposizione di Craig e scompare come identità distinta. L’imposizione o la semplice trasmissione di input plasma le identità, ma senza prescinderne la volontà di rifiuto e di rigetto. Inequivocabile come tutto ciò possa essere ricondotto sia alla situazione di Malkovich sia al bisogno di trascendenza (in quanto bisogno di fuggire da sé, e quindi dall’ambiente in cui l’Io si sviluppa) di ognuno dei personaggi del film. In particolare Craig prova il fallimento di essere ricondotto in un’altra dimensione di sé, avendo trasformato Malkovich in un’altra modalità di se stesso. Ma la tragedia non finisce qui. Dopo essere stato obbligato ad uscire dal corpo di Malkovich da Lester, Lotte e i malkoviciani, che avevano inscenato un finto rapimento di Maxine, Craig si ritrova di nuovo nel suo corpo, magicamente con il pezzo di legno dell’inizio. Accortosi del tranello, il burattinaio tenta di ritornare nel corpo dell’attore ma, entrato troppo tardi nel portale per Malkovich, dopo il suo compleanno, il corpo in cui si trova risulta essere quello di Emily, figlia di Maxine e di Lotte (il cui rapporto sessuale avviene quando Lotte era in Malkovich), inevitabilmente incapace di controllarne il corpo, come Lester aveva spiegato alla moglie del burattinaio. Il nuovo corpo a cui il portale avrebbe condotto sarebbe infatti stato ancora troppo giovane per poter essere control30


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 31

lato, e chiunque fosse entrato in lui - nonostante l’abilità - sarebbe stato inevitabilmente inghiottito dall’inconscio ancora acerbo della nuova persona. Lester e i malkoviciani riescono a imbrogliare Craig ed entrare nel corpo di Malkovich prima della mezzanotte, momento in cui il portale avrebbe appunto condotto ad un altro corpo, non più a quello dell’attore, bensì della piccola Emily, non ancora nata e quindi impossibile da manovrare, anche per l’abilità di Craig. Lester e i malkovichiani riescono a eludere la morte e trovarsi quindi in un Malkovich ormai posseduto da un gruppo di indomiti vecchietti. Non c’è fuga dall’Io, da qualunque Io, in particolare quello cartesiano, che ritorna imprescindibilmente in questo finale. In questa accezione la commedia cartesiana diventa tragedia cartesiana. Il corpo di Emily diventa la prigione dell’anima di Craig esprimendo complessivamente quello che può essere considerato il fallimento della trascendenza e delle radici del dualismo cartesiano e il fallimento del tentativo di soggetivazione di Foucault operato dal burattinaio. Oltretutto, il fallimento della trascendenza da sè: diviene dunque impossibile essere felici altrove, se non in e con se stessi. Craig diventa dunque un fantasma immateriale, tagliato fuori dal mondo. Il burattinaio rimane Craig in Malkovich e rimane Craig in Emily. Ma inevitabilmente (e tragicamente) rimane confinato se stesso e in un corpo incontrollabile, non avendo accesso diretto al mondo ma solo alla sua identità, al suo cogito, nascosto da qualche parte nel subconscio della nuovo corpo alla fine del portale. La trascendenza da sé diventa infine la prigionia in sé. La sua anima, la sua mente, la sua coscienza di identità rimane confinata dentro un piccolo scorcio nella mente della piccola Emily opportunamente segnalato da Jonze con l’ulteriore oscuramento dei bordi dello schermo, significativamente amplificato per sancirne il maggiore distacco e la maggiore profondità di prigionia, mentre Lotte e Maxine guardano la loro bambina, felici, sette anni dopo. La circolarità riporta Craig a ritrovarsi ancora una volta trappola di un sistema, di un ambiente, di un mondo claustrofobico di cui non poter essere altro che pupazzo. Questa volta incontrollabile. Purtroppo o per fortuna, con complessità o solo sfiorandole, numerosissime sono le tematiche presentate e le implicazioni di quello che è fondamentalmente rappresentato come una commedia: la trascendenza, la transessualità, la sessualità, l’amore, la realizzazione, l’arte, il lavoro, la celebrità, la solitudine. Roger Ebert si è detto entusiasta del film proprio per questo motivo: “Il film ha idee per almeno una mezza dozzina di film, ma Jonze e il suo cast le gestiscono in maniera tale da non farcele pesare; siamo incantati da uno sviluppo di queste dopo l’altro”38. Quando a Charlie Kaufman è stato chiesto cosa questa storia potesse, dovesse o volesse significare, lo sceneggiatore ha sempre glissato replicando che l’unica cosa importante fosse quella di aver dato l’opportunità a ogni spettatore di poter crearsi la sua interpretazione, senza che questa potesse venire sporcata dal colore di una verità imposta. Poco importa che il film inizialmente avrebbe dovu31


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 32

to finire con uno scontro titanico tra il Grande Mantini e Craig Shwarz sotto le vesti dei più grandi pupazzi mai realizzati, il presidente Harry S. Truman per Mantini e l’attore John Malkovich per Craig, il tutto per il titolo di “Più Grande Burattinaio del Mondo”. Anche Jonze è stato sempre schivo per quanto riguarda la spiegazione del film. Malkovich, invece, sembra essersi lasciato maggiormente andare alla sua interpretazione generale, ben lontana dalla lezione della commedia: “Il film verte su qualcosa di più sinistro. L’idea che noi viviamo vite virtuali. Viviamo le nostre gioie, i nostri dolori, i nostri errori attraverso le vite dei personaggi pubblici. È la fine dell’arte. Perché è l’arte che deve prendere il suo senso dalla vita”39. Nel finale del film vediamo il dottor Lester e i malkoviciani nel corpo di Malkovich, ormai simile per movenze e vestiti a Lester/Mertin, sposato con Floris (da sempre nelle mire amorose del dottor Lester), che parla con l’amico Charlie Sheen, tentando di convincerlo a unirsi al loro piano per eludere la morte. “Potremmo starci tutti. Io, te, Floris... Gary Sinise, forse”. C’è - insomma - dentro tutto. E tutti. Da un certo punto di vista, Kaufman ha sempre voluto puntare alla meta-narrazione e al gioco rappresentativo di più piani, come rappresentazione della coscienza (e delle coscienze), come smascheramento di modelli prestabiliti e dogmatici, attraverso la fiction. Questo è stato, fin dall’inizio, il suo mondo principale. Come di chi guarda al di fuori del processo produttivo e meccanico del film, con uno sguardo partecipe emotivamente e staccato criticamente, divertito e compiaciuto ma allo stesso tempo profondamente tormentato dallo stesso terreno, come si vedrà nel Charlie Kaufman personaggio di Adaptation. Jonze ha voluto fortemente che Kaufman cambiasse il terzo atto, perché ritenuto troppo cervellotico e complicato, ma ne ha voluto mantenere la caratterizzazione post-moderna e metarappresentativa di mise en abîme. Nella bozza della sceneggiatura, infatti, possiamo trovare la scena in cui il dottor Lester entra nel tunnel per Malkovich che sta crollando, ritrovandosi in una scena in bianco e nero degli anni ’40, credendo di essere Hitler nel bunker durante il bombardamento. Dopo un urlo di spavento si sente una voce, quella del regista, che dice “Taglia!”, per far comprendere al dottor Lester di non essere Hitler, ma “solo quell’attore in quella puntata di Twilight Zone”40. Ancora più stratificazioni di rappresentazioni sono presenti nel finale della sceneggiatura iniziale, dove vediamo Il Grande Mantini che pilota i filamenti di Craig, e a sua volta è manovrato da Flemming che abbassa la testa, presupponendo, data la canzone Put Your Hand Inside The Puppet Head dei They Might Be Giants, che egli sia a sua volta controllato da qualcun altro, presupponendo un’infinita catena di creatori, manovratori, prospettive e diegesi narratologiche. Da un’iniziale istanza di realismo fino a una colorazione surreale e di 32


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 33

approfondimento filosofico, il film riflette sull’antropologia, anche quella solamente narrativa, sullo studio di quanto i personaggi (le persone citate da Kaufman nel suo intento iniziale) percepiscono, provano, sentono e di come questi agiscono di conseguenza. Non come essi dovrebbero agire. Dice infatti lo stesso sceneggiatore: “Molto del film viene dall’idea di non voler essere se stessi ed essere invidiosi delle altre persone. C’è sicuramente l’idea di guardare il mondo e di sentire che tu non meriti di appartenergli. Come puoi sentirti quando ti senti di aver diritto tanto quanto gli altri di essere su questo pianeta, quando hai uno sbarramento di informazioni che ti dicono che invece non ne hai il diritto, o che devi cambiare te stesso per poter rimanere qui? Io ho preso ogni personaggio e su ogni livello istintivo ho esplorato come essi avrebbero potuto reagire a questa ansia”41. Non c’è motivo per cui una commedia non dovrebbe esprimere profondità filosofiche e concettuali specialmente perché le conseguenze - anche ridicole - di queste situazioni possono valere come potente motore e forma di critica se non come spinta a un ulteriore studio e riflessione. Non c’è neanche motivo di etichettare lo stesso film come commedia poiché il film stesso non finisce bene per il protagonista, e nemmeno motivo di definirne una morale o un significato unico e determinato, poiché non è questo l’intento dello sceneggiatore, né del regista, com’è noto. Attraverso il percorso filosofico a cui il film fa riferimento si potrebbe asserire che questa in realtà è una “tragedia cartesiana”, proprio per quanto espresso dalla trama e dal contenuto ideologico. Ma in questo modo si rischierebbe di ricadere in una catalogazione da scaffale di film a noleggio, solo un po’ più sofisticata. Being John Malkovich potrebbe trovarsi dappertutto. In ognuno di questi scaffali. E ne avrebbe tutti i diritti, nonché i meriti. Il film è diventato un cult movie e numerosi sono i motivi per cui lo si può trovare in numerose liste consigliate. L’ensamble degli attori lo ha fatto diventare un prodotto eccelso dal punto di vista performativo. La scrittura dei personaggi e della storia è sicuramente quello che ha permesso al film di diventare così entusiasmante e affascinante. Le tonalità di commedia divertente e di thriller tragicomico ne hanno amplificato la portata. I disegni dei personaggi, in cui sembra difficile trovare una vera e propria star di punta, sono assolutamente riusciti. Le tonalità, che diventeranno poi legate al fenomeno dei cosiddetti hipster-movie, di Craig Shwarz lo rendono un film precursore di certe mode, oltre che dei successi di Kaufman e Jonze, indissolubilmente legati alla loro prima opera cinematografica. Le musiche, a cura di Carter Burnwell, collaboratore e partner creativo di Kaufman anche in futuro, Bjork e le trasposizioni di Bela Bartok danno ulteriore profondità anche al comparto sonoro del film. La miriade di tematiche affrontate approndiscono ulteriormente il suo status. A fine del 1999, “Esquire Magazine” ha definito il film “l’ultimo grande film 33


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 34

del secolo”. Come sottolinea il recensore “Come A bout de souffle di Godard, che aveva preso proprio dalla monotonia della realtà basata sui film capendo che proprio ciò era quello che poteva renderli interessanti, Being John Malkovich è quel punto di svolta che lascia che ogni altro film di fianco sembri senza motivo; riguarda tutte le cose che questi film non sanno di star dicendo” 42. Nel 2000 Charlie Kaufman fu nominato agli Oscar nella miglior sceneggiatura originale, Spike Jonze come miglior regista e Catherine Keener come miglior attrice non protagonista. Kaufman vinse il Writers Guild Award, il BAFTA e il film vinse numerosi altri premi. Being John Malkovich è indicato come uno dei film post-moderni per eccellenza da M. Keith Booker in Postmodern Hollywood: What’s New in Film and why it Makes Us Feel So Strange43. Il Morandini lo ha invece definito: “Troppo intelligente e sofisticato per avere successo”44. Sinceramente non comprendo cosa questo significhi alla luce dei riconoscimenti ottenuti dalla pellicola. Oltre che a alimentare il suo status di film culto ha guadagnato più di 32 milioni di dollari, 20 in più del budget originario e ha lanciato uno sceneggiatore semi-sconosciuto nella bolgia dei più significativi scrittori di cinema contemporaneo, oltre ad aver iniziato la carriera cinematografica di Spike Jonze, vincitore di un Oscar con Her. Senza scossoni di mercato al botteghino o unilaterali consensi di critica, certamente, ma diventando una tappa significativa non solo per la carriera di Kaufman e di Jonze ma per quanto ha rappresentato per il cinema post-moderno e la riflessione su di esso, punto d’inizio delle carriere cinematografiche di Kaufman e Jonze, punto fondamentale per le carriere di Malkovich, Cusack, Diaz, Keener e i personaggi coinvolti in questa straordinaria impresa.

Note 1

M. Merleau-Ponty, L’Occhio e lo Spirito, SE, Milano, 1989.

M. Sragow, “Being Charlie Kaufman”, Salon, 11 Novembre 1999, da http://www.salon.com/ent/col/srag/1999/11/11/kaufman/ 2

P. Villarreal, “Being John Malkovich’ a quirky wonder”, “Arizona Daily Star”, 7 Gennaio, 2007. Anche su http://tucson.com/entertainment/movies/article_ee68118448ef-558a-956f-8f431ab4dc0c.html 3

Jason Tanz, “Charlie Kaufman: Hollywood’s Brainiest Screenwriter Pleases Crowds by Refusiong to Please”, “Wired Magazine”, Ottobre, 2008. 4

34


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 35

John Malkovich “On Being John Malkovich”, Sydney Festival 2011, [file video] https://www.youtube.com/watch?v=qMYPPnyNYzc 5

“John Malkovich interview on Being John Malkovich” (1999), [file video] https://www.youtube.com/watch?v=VywAJULOQIw

6

T. Robinson, “Interview with John Cusack”, , AVClub, 23 Novembre 2007, [file di testo] http://www.avclub.com/article/john-cusack-14181 7

8

M. Sager, “The Screenwriter”, “Esquire”, 1 Dicembre, 2002.

9 C. Michael, “Spike Jonze on letting Her rip and Being John Malkovich”. theguardian.com, 9 Settembre 2013. [file di testo] http://www.theguardian.com/film/filmblog/2013/sep/09/spike-jonze-her-scarlett-johansson

D. A. Child, Charlie Kaufman: Confessions of an original mind, Praeger, Santa Barbara, 2010. 10

11 Come nell’intervista per il master degli sceneggiatori durante il Göteborg International Film Festival 2011 (interamente disponibile su youtube sotto la voce “GIFF 2011: Charlie Kaufman master class” https://www.youtube.com/watch?v=xpjgjJqayxI) 12

C. Michael, “Spike Jonze on letting Her rip and Being John Malkovich”, cit.

M. Vincent, “Being Me! Actor John Malkovich Plays Along with The Idea That Other Characters in Film Can Get Inside His Head”, The Virgininan-Pilot (Norfolk,VA), 12 Novembre 1999. 13

“John Malkovich interview on Being John Malkovich”, (1999), [file video] https://www.youtube.com/watch?v=VywAJULOQIw

14

J. Otto, “IGN Interviews Charlie Kaufman”, “IGN Movies”, 16 Marzo, 2004, [file di testo] www.movies.ign.com 15

16 J. Sexton, “Review: Being John Malkovich”, worldcinemadirectory.co.uk, [file di testo] http://worldcinemadirectory.co.uk/component/film/?task=view&id=354

M. Porro, “Tutti insieme clonati e contenti”, in “Corriere della sera”, 11 dicembre 1999. 17

Andrè Breton nel Manifesto del Surrealismo del 1924 aveva definito il Surrealismo come “Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del 18

35


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 36

pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”. A. Breton, Manifesti del Surrealismo, Einaudi, Milano, 2003. “GIFF 2011: Charlie Kaufman https://www.youtube.com/watch?v=xpjgjJqayxI 19

20

master

class”,

[file

video]

R. Walsh, The Rhetoric Of Fictionality, Ohio University Press, 2008.

F. Lyotard, La Condition postmoderne: rapport sur le savoir, 1979; trad. di Carlo Formenti, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 1981.

21

Spike Jonze on Being John https://www.youtube.com/watch?v=HsZ-6TSzA64 22

Malkovich,

[file

video]

Hey, look, it’s a book cover! And a plot outline, 20 Novembre 2019, www.beingcharliekaufman.com. https://www.beingcharliekaufman.com/index.php/88-news/untitlednovel/1692-hey-look-it-s-a-book-cover-and-a-plot-outline 23

M. Smith, “Consiousness”, in The Routledge Companion to Film and Philopsophy, ed. Paisley Lingston e Carl Platinga (London, Routledge, 2009), p. 46.

24

C. Falzon, “On Being John Malkovich and Not Being Yourself”, in D. LaRocca, The Philosophy of Charlie Kaufman, p. 48. 25

W. Ott, “It’s my Heeeeaaaaad! Sex and Death in Being John Malkovich”, in K. Blessing - P. A. Tudico, Movies and the Meaning of Life: Philosophers Take on Hollywood, Chicago: Open Court, 2005, p.63. 26

J.F. Mayshark, Post-pop Cinema: The Search of Meaning in New American Film, Wesport CT: Praeger, 2007, p.142. 27

28

C. Falzon, “On Being John Malkovitch and Not Being Yourself”, p. 51.

29 R. Descartes, Meditations on First Philosophy: with Selections from the Objections and Replies, 2nd ed., John Vottingham, Cambridge: Cambridge University Press, 1996, p. 56.

Nelle opere di Merleau-Ponty come La fenomenologia della percezione, Bompiani, Milano, 2003. 30

I riferimenti sono all’opera di Dewey Experience and Nature del 1925. La terminologia è tratta da J. Dewey, Esperienza e natura, Torino, Paravia, 1948; Milano, Mursia, 1990. 31

36


kaufam testo_salò 15/06/20 11:41 Pagina 37

S. Repass, recensione senza titolo di Being John Malkovich, “Film Quarterly” 56, n.1, 2002, p. 35. 32

33 C. Falzon, “On Being John Malkovich and Not Being Yourself”, in D. LaRocca,The Philosophy of Charlie Kaufman, p. 47. 34

D.S. Ulin, Why Charlie Kaufman Is Us, “Los Angeles Times”, 14 Maggio 2006.

Per approfondire vedere D. Smith, “Eternal Sunshine of the Spotless Mind and the Question of Transcendence”, “Journal of Religion and Film” 9, no.1, 2005. [file di testo] www.unomaha.edu/jrf 35

36

Mayshark, Post-Pop Cinema, p. 143.

Ciò si può notare nell’intervista su BeingCharlieKaufman.com ma anche in Shaw, On Being Philosophical, p.115. 37

R. Ebert, “Being John Malkovich”; 29 Ottobre 1999, [file di testo] http://www.rogerebert.com/reviews/being-john-malkovich-1999

38

P. Kobel, “The fun and games of living virtual life”, New York Times, 24 Ottobre 1999. [file di testo] http://www.nytimes.com/1999/10/24/arts/film-the-fun-and-games-ofliving-a-virtual-life.html?pagewanted=2 39

40

Kaufman, Being John Malkovich [early draft], Daily Script.

41

M. Sragow, “Being Charlie Kaufman”, “Salon”, November 11, 1999.

42

T. Carson, “The Last Great Movie of the Century”, “Esquire”, Ottobre 1999.

M. Keith Brooker, Postmodern Hollywood: What’s New in Film and why it Makes Us Feel So Strange, Praeger Pub, 2007. 43

L. Morandini, L. Morandini e M. Morandini, Il Morandini 2013. Dizionario dei film, a cura di, Zanichelli 2012. 44

37


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.