Richard Linklater. L'età inquieta

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Fabio Migneco

Fabio Migneco

RichardLinklater

L’età inquieta

RichardLinklater L’età inquieta

Richard Linklater è senza dubbio uno dei registi più originali e personali tra i cineasti indipendenti contemporanei. I suoi film vanno dal cult Dazed and Confused all’amato dittico Prima dell’alba e relativo seguito Before Sunset Prima del tramonto, passando per il successo internazionale di School of Rock fino alle tematiche controverse di Fast Food Nation. Il suo cinema, così vicino alla sensibilità europea, ritrae personaggi che vivono in un’età incerta e inquieta, sempre colti al bivio delle loro contrastate esistenze. Immagini delicate e dense di significati che restano nella memoria degli spettatori, soggetti attivi chiamati a guardare la realtà con occhi diversi, più curiosi ed appassionati. L’analisi dell'esistenza, del tempo che passa, dei sogni, dell’amore, delle aspirazioni di ognuno, è senza dubbio tra le più coerenti e compiute del cinema americano degli ultimi vent’anni. Questa è la prima monografia in Italia dedicata al regista e al suo cinema, ancora poco seguito dal grande pubblico.

Fabio Migneco

RichardLinklater

L’età inquieta

Fabio Migneco (Roma, 1982), si è laureato al Dams di Roma Tre in Studi storici, critici e teorici sul cinema e gli audiovisivi con una tesi su John Carpenter. Ha scritto Il cinema di Robert Rodriguez, la prima monografia dedicata al regista texano, per le edizioni Il Foglio Letterario. Ha collaborato al volume collettivo La scrittura dello sguardo - Il cinema di Brian De Palma, a cura di Massimiliano Spanu e Fabio Zanello. È autore di recensioni cinematografiche e musicali, sceneggiatore e regista dei cortometraggi DiGiTiAmo, Twentysomething, Crimewave e Cane mangia Cane.

ISBN 978-88-89782-38-5

€ 19,00

€ 17,00 EDIZIONI EDIZIONI

FALSOPIANO

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CINEMA


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Dedicato ad Ari - perchÊ sei ciò che non pensavo possibile e per mille altre cose che sappiamo solo noi


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Fabio Migneco

RichardLinklater L’età inquieta


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Ringraziamenti Questo libro è stato pensato e scritto in un anno, il 2010, che è stato piuttosto importante per il sottoscritto. Non sarebbe stato possibile realizzarlo senza l’aiuto, spesso inconsapevole, delle persone che seguono: Dario - è sempre stato bello avere gli stessi interessi e gusti, ti auguro di saperli far fruttare; Fabio e Daniele - ci si vede meno, ma con voi è sempre come ai vecchi tempi; Giovanni e Giovanna - per avermi sempre detto di continuare a coltivare le mie passioni; Emiliano - ragazzo mio, per ora siamo noi i Clerks, “ma la storia cambierà!”; Gli amici della Linea A - rendete più leggero e vivibile un lavoro che altrimenti sarebbe ancora più insopportabile; Kirsten McMurray - per la disponibilità, peccato per l’intervista, sarà per un’altra volta; Richard Linklater - grazie per l’ispirazione (a più livelli, non solo letteraria) e se mai farai un terzo Before, ti suggerisco Roma come location; tutti gli esclusi dall’elenco - ci sarà il tempo e il modo di dirvelo a voce, ve lo prometto; e per finire grazie a te, lettore, che hai scelto di sottrarre questo libro agli scaffali di qualche libreria per aggiungerlo alla tua, buona lettura.

In copertina: Prima dell’alba (1995) In quarta di copertina: Me & Orson Welles (2009)

© Edizioni Falsopiano - 2011 via Bobbio, 14/b 15100 - ALESSANDRIA www.falsopiano.com Per le immagini, copyright dei relativi detentori Progetto grafico e impaginazione: Daniele Allegri e Roberto Dagostini Stampa: Arti Grafiche Atena - Vicenza Prima edizione - Settembre 2011


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INDICE

Introduzione

p. 11

1) Biografia

p. 13

2) I primi Passi - Il cinema in super-8 del giovane Linklater (1985-1989)

p. 23

3) “Magari vivo male, ma almeno non devo lavorare per farlo”. Slacker (1991)

p. 35

4) “Gli anni ’70 fanno schifo!”. Dazed and Confused (1993)

p. 45

5) “Tutto quello che facciamo nella vita non è un modo per essere amati un po’ di più?”. Prima dell’alba (1995)

p. 55

6) “Avete tutto e lo buttate via!”. SubUrbia (1996)

p. 67

7) “È un gran bel modo di vivere, no?”. The Newton Boys (1998)

p. 75


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8) “Dicono che i sogni sono veri solo finché durano. Non si può dire la stessa cosa della vita?”. Waking Life (2001)

p. 83

9) “Certe cose non si cancellano”. Tape (2001)

p. 93

10) “Io servo la società con il mio rock, ok?!”. School of Rock (2003)

p. 103

11) “Bè, non è autobiografica ogni cosa?”. Before Sunset - Prima del Tramonto (2004)

p. 113

12) “Il baseball è duro ragazzi… potete amarlo, ma credetemi lui non sempre vi riama”. Bad News Bears (2005)

p. 123

13) “Non riesco più a vedere dentro di me. Io vedo solo tenebre”. A Scanner Darkly (2006)

p. 127

14) “C’è della merda nella carne!”. Fast Food Nation (2006)

p. 139

15) “A volte ti ricordi una settimana per il resto della tua vita”. Me & Orson Welles (2009)

p. 149

16) Link(later) correlati: corti, documentari e varie. Gli altri lavori del regista

p. 159


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17) Le colonne sonore

p. 164

18) (Link)Later On‌ I progetti futuri

p. 171

Conclusioni

p. 174

Bibliografia

p. 177

Filmografia

p. 179


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Introduzione

Tra i registi più o meno affermati scaturiti dall’ondata di nuovi cineasti di inizio anni ’90 (gli alfieri della rinascita del cinema “indie”) Richard Linklater era, e ha continuato ad essere, sicuramente il più personale e sperimentatore, il meno prevedibile e classificabile. In particolare, rispetto ai colleghi statunitensi, Linklater dimostra una sensibilità, un’idea di cinema e una profondità di intenti e contenuti che non ha eguali. Il suo cinema, se proprio si vuole trovare un elemento che lo caratterizzi nella sua totalità, è il cinema dell’attimo. Linklater usa il mezzo cinema per riuscire a cogliere e rappresentare quel particolare attimo che ti cambia la vita, o anche semplicemente ti fa prendere coscienza del tuo essere. I protagonisti dei suoi film sono tutti o quasi rappresentati mentre il loro vissuto è a un punto cruciale e Linklater li fotografa per noi in quel particolare istante che spesso è il momento prima o dopo la maturità anagrafica del personaggio in questione. Il cinema di Linklater nasce così, con quest’ansia di cogliere parti di realtà e rappresentarle in maniera più reale, veritiera e coinvolgente possibile. Nel corso del tempo la sua carriera seguirà anche molte altre direzioni ma l’idea di fondo rimarrà quella che lui stesso ha illustrato: “Le mie prime idee riguardo i film erano volte a catturare un certo realismo di una qualche porzione di tempo. È una cosa che il cinema può fare, a differenza delle altre forme d’arte, i film possono catturare la realtà in un dato momento. E quale miglior attimo da rappresentare di qualche momento cruciale della tua vita? E credo mi abbia sempre affascinato l’idea di persone che sono nel pieno del processo volto alla scoperta di sé stesse” 1. È anche per questo che i protagonisti dei suoi film, salvo rare eccezioni (e per lo più si tratta di personaggi 11


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secondari) come ad esempio in Fast Food Nation, non hanno mai superato, almeno finora, i quarant’anni. Dai diciotto-ventenni dei primi lavori fino ai trentenni di Before Sunset, passando per i bambini di School of Rock e del remake di Che botte se incontri gli orsi, il cinema di Linklater è sempre volto a raccontare per quanto possibile quell’età inquieta che tra mutamenti e turbamenti porta, o dovrebbe portare, alla piena maturità. E lo fa, come vedremo, con uno stile misurato e classico, capace di fondersi comunque a meraviglia con tecniche moderne e coesistere con il cinema post-moderno dei suoi contemporanei e con i blockbuster degli studios. La sua filmografia, che consta ormai di oltre una dozzina di titoli, è senz’altro un’oasi felice nel sempre più desertificato e piatto panorama del cinema americano, sia indipendente che mainstream, contemporaneo.

Note Michael Koresky, Jeff Reichert, A Conversation with Richard Linklater, su Reverse Shot Online, summer 2004. 1

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1) Biografia Nato il 30 luglio del 1960 a Houston, in Texas, Richard Linklater è un filmmaker indipendente e autodidatta fra i più importanti e noti in America, tra i primi ad emergere con successo agli inizi degli anni ’90. Nei film da lui diretti è riuscito a catturare in maniera vera, con rara capacità di comprensione e, a volte, compassione, la cultura dei ventenni del nostro tempo ma non solo, con una serie di pellicole che hanno introdotto un gran numero di giovani attori di talento nel firmamento delle star hollywoodiane. Il suo nome è sconosciuto ai più qui in Italia, ma in molti apprezzano il suo cinema raffinato e mai banale. I nomi da lui scoperti, valorizzati o lanciati, invece ormai li conoscono tutti: Ethan Hawke, Jason London, Parker Posey, Ben Affleck, Matthew McConaughey, Milla Jovovich, Julie Delpy, Skeet Ulrich e molti altri, fino ai grandi nomi con cui ha lavorato negli ultimi anni, da Jack Black a Billy Bob Thornton, a Keanu Reeves. Linklater, che studia letteratura alla Sam Houston State University di Huntsville e segue i corsi di filosofia alla University of Texas di Austin (la città dove tuttora vive e lavora, come gli amici Robert Rodriguez e Mike Judge; nella stessa città abita Terrence Malick, spesso vi soggiorna e recentemente lavora anche Quentin Tarantino e persino Ethan Hawke è nato lì), interrompe la sua carriera di studente nel 1982 per lavorare su una piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico. In quel periodo continua a leggere molti grandi classici della letteratura, conoscendo Philip K. Dick, del quale amerà l’opera omnia e dal quale sarà profondamente affascinato e influenzato. Qualche tempo dopo ritorna ad Austin, la capitale texana, dove con i soldi messi da parte compra una macchina da presa super-8, un proiettore, una centralina di montaggio e fonda una casa di produzione, la tuttora attiva Detour Film Production, in omaggio al film noir a basso budget girato nel 1945 da Edgar G. Ulmer, e 13


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inizia a lavorare ai suoi primi progetti in super-8. Il primo, Woodshock, è un cortometraggio di sette minuti del 1985, al quale fa seguito il suo primo lungometraggio completo, dal titolo It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books. Il film è realizzato già in quello che sarà il suo stile: movimenti di macchina minimi e mancanza (apparente) di una trama solida in stile classico, tratta del tema del viaggiare senza avere in mente una meta in particolare. Tutti i primi lavori, con l’eccezione del video Heads You Win/Tails You Lose, sono raccolti insieme agli extra nel secondo disco dell’edizione dvd da collezione del suo primo vero film, quello che lo ha lanciato e fatto diventare a tutti gli effetti regista, ancora inedito qui da noi. Slacker, questo il titolo, è girato nel 1989 ma distribuito solo nel 1991, un anno dopo che John Pierson (studioso, guru e mecenate del cinema indipendente americano, ha contribuito a far distribuire anche le opere prime di Spike Lee, Steven Soderbergh, Michael Moore e Kevin Smith, che proprio guardando Slacker sentì di poter provare a fare un film e girò Clerks) lo segnala ai responsabili della Orion Classic. Il film, che è uno sguardo potente alla cultura giovanile del periodo, racconta la giornata di una serie di personaggi, ben un centinaio, con la macchina da presa che passa da uno all’altro, seguendone discorsi e azioni fino alla fine della giornata e della pellicola. Essenzialmente il film non ha plot, e di certo non ha nessun nome né grande né piccolo da mettere in cartellone. Eppure diventa uno dei favoriti nel circuito dei festival, guadagnandosi lodi, fama, distribuzione e soprattutto grandi consensi al Sundance Film Festival di quell’anno. Il film costa meno di 23.000 dollari e riceve grande attenzione dai media (successivamente Rodriguez col suo strepitoso El Mariachi costato appena 7000 dollari guadagnò fama immediata), al punto che il termine che dà il titolo, traducibile con “fannullone”, diventa una sorta di etichetta per tutti quei giovani, più o meno disadattati, incapaci di integrarsi in una società che non sentono loro. Il vocabolo in realtà era stato usato al 14


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cinema poco tempo prima: era il preside Strickland ad apostrofare così gli studenti poco meritevoli, Marty McFly in testa, nei primi due Ritorno al Futuro. Già con questo suo esordio, comunque, Linklater mostra molte di quelle che saranno le sue caratteristiche peculiari nei film a venire. I giovani protagonisti, la vicenda che si svolge nell’arco di una giornata o in un lasso di tempo breve, l’ambientazione texana, i riferimenti al baseball (del quale in gioventù era stato una promessa), il budget contenuto, la predilezione per i dialoghi. “Il mio piano b è sempre stato quello di fare film su persone che parlano un sacco” 2 ha detto scherzando, ma effettivamente, se sbrigativamente ridotti all’osso, almeno otto su quattordici dei lungometraggi da lui finora girati possono essere descritti proprio in quel modo. Il bello è che Linklater ha avuto sin dagli esordi la capacità di scrivere ad arte i suoi dialoghi, di renderli affascinanti e utilizzarli per approfondire la psiche e il carattere dei suoi personaggi. Ciò che colpisce, soprattutto, è la pregnanza e la valenza filosofica delle discussioni, il confine tra il reale e l’irreale, il sogno e la realtà, tra i problemi della percezione e quelli dei rapporti interpersonali. Linklater tratta grandi temi di importanza universale con leggerezza, ma senza superficialità, riuscendo a rimanere nell’ambito dell’intrattenimento, sempre realizzato con grande classe e professionalità. Stiamo parlando di un autore raffinato, come pochi tra i suoi colleghi e coetanei degli Stati Uniti, cresciuto apprezzando registi quali Bresson, Ozu, Oshima e Von Sternberg. Prima ancora di sperimentare con i suoi lavori Linklater ha fondato nel 1985 la Austin Film Society, tuttora attivissima, insieme al collaboratore Lee Daniel. È una società no-profit nata per mostrare tutti quei film indipendenti, sperimentali, stranieri o comunque non mainstream che erano e sono di difficile reperibilità, nonché per incentivare lo sviluppo del cinema indipendente texano. In vent’anni la società è cresciuta al punto da possedere gli Austin Studios, ricavati dal vecchio aeroporto cittadino, il Mueller. Linklater ne è attualmente direttore artistico e tra 15


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i membri ci sono Rodriguez, Tarantino, Del Toro, Demme, Judge, Sayles, Soderbergh e diverse altre personalità del mondo del cinema. Negli studios si girano molti film di varie major, così come show tv, spot e videoclip. Dall’inizio della sua attività la Austin Film Society ha mostrato più di duemila film e ospita da qualche anno, sia pure con periodicità variabile, il Quentin Tarantino Film Festival, una kermesse di una decina di giorni che ripropone pellicole della collezione personale del regista: si tratta spesso di introvabili b-movie italiani. Non mancano le premiere mondiali, di solito proprio quelle dei film di Linklater e di Rodriguez (School of Rock e Sin City ad esempio), ma soprattutto ha un fondo per giovani filmmaker texani creato in risposta alla mancanza di fondi statali. Ad oggi la società ha donato oltre 500.000 dollari a più di 190 registi, finanziando progetti che sono stati mostrati in festival come Cannes, Sundance e il South by Southwest. Dopo il successo di Slacker Linklater viene contattato da Jim Jacks della Gramercy Pictures, compagnia sussidiaria della Universal, per scrivere e dirigere quello che diventerà un vero e proprio manifesto generazionale: Dazed and Confused. Conosciuto in Italia come La vita è un sogno, il film prende in prestito il titolo di una famosa canzone dei Led Zeppelin ed è un ritratto autentico e disincantato dei teenager degli anni ’70, fotografati nel loro ultimo giorno di scuola, tra crudeltà, amori e nuove esperienze di vita. Il film diventa un cult, in particolare una volta uscito in vhs. Ma è il terzo film a regalare a Linklater la vera notorietà internazionale, nonché l’etichetta di autore a tutto tondo. Prodotto con la Castlerock e distribuito dalla Warner, scritto insieme a Kim Krizan, Before Sunrise, Prima dell’alba, è forse il suo film più famoso e senza dubbio uno dei più belli. Una premessa semplice premessa, due ragazzi estranei, lui americano lei francese, si incontrano su un treno, passano insieme l’intera giornata a Vienna e il mattino dopo si salutano dandosi appuntamento in quello stesso luogo sei mesi dopo. Illuminato dalle stupende loca16


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tion viennesi, arricchito da conversazioni infinite e affascinanti su ogni argomento possibile, il film riesce a rappresentare con assoluta precisione la bellezza dell’incontrarsi, dell’aprirsi all’altro, dell’innamorarsi. Retto da due protagonisti carismatici e convincenti, Ethan Hawke nei panni di Jesse e Julie Delpy in quelli di Celine, Prima dell’alba è fatto all’apparenza di poco ma in realtà comunica moltissimo ed è indiscutibilmente uno dei film romantici e più intelligenti mai realizzati. Due anni dopo, nel 1997, il regista gira SubUrbia, da una sceneggiatura di Eric Bogosian tratta dalla sua commedia teatrale. Linklater passa a esaminare il lato più oscuro e drammatico della generazione di nullafacenti da lui immortalata altre volte, con una vicenda che mette a confronto un gruppo di amici dell’immaginaria cittadina di provincia di Burnfield, tra vecchi rancori, invidie, speranze infrante, conseguenze della Guerra del Golfo, un contesto che li vede fare i conti con la noia, la rabbia, il razzismo, la linea d’ombra, non manca il vecchio amico divenuto rockstar di successo e il ventaglio delle paure legate a un futuro sempre più incerto. Cambia registro l’anno successivo con The Newton Boys, che sempre di giovani tratta, ma è al tempo stesso il suo primo film basato su una storia vera e in costume. È un western infatti, sia pure atipico, prodotto dalla Fox e scritto dal regista insieme a Clark Lee Walker e Claude Stanush, tratto dal libro di quest’ultimo. È la vicenda autentica dei fratelli Newton, rapinatori di banche dal Texas al Canada negli anni ’20, a cavallo tra gli ultimi fuochi del far west e gli inizi del gangsterismo. È interessante notare come anche all’interno del genere e in anni differenti, per Linklater non c’è differenza nell’essere giovani. Negli occhi dei quattro fratelli ritroviamo infatti le stesse emozioni degli altri protagonisti del suo cinema. Il film è intrigante, anche se forse gli sviluppi, nonostante l’intreccio fatto anche di humour, romance e qualche brivido, nonché ricostruzioni d’ambiente e scene d’azione, non giustificano totalmente le due ore di durata. Sempre personale e sperimentatore il regista, un po’ scotta17


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to dal parziale insuccesso del film, si prende tre anni di pausa e torna sulle scene nel 2001 con ben due film, presentati in contemporanea prima al Sundance e poi a Venezia. Il primo è Waking Life, un progetto al quale ha tenuto molto, lungometraggio animato, realizzato con la tecnica del rotoscoping, che consiste nell’animare fotogramma per fotogramma, digitalmente, il girato filmato in precedenza con attori in carne ed ossa. Il film è il viaggio di Wailey Wiggins (che in Dazed and Cofused era Mitch) in una dimensione tra realtà, sogno e fantasia. I temi affrontati vanno dal sogno al destino, dal tempo onirico al libero arbitrio, dalla società alle leggi fisiche all’età fino alle teorie sui sogni continui, illustrate al giovane protagonista dallo stesso regista, memore della lezione di Philip K. Dick. L’altro film, ancora inedito in Italia, è Tape, scritto da Stephen Belber che lo ha tratto dalla sua versione teatrale, un dramma girato tutto all’interno di una camera d’albergo con tre protagonisti: Robert Sean Leonard, Ethan Hawke, a tutti gli effetti attore-feticcio del regista, e l’allora ancora sua moglie Uma Thurman. I tre sono ex compagni di scuola impegnati in un acceso confronto sul loro passato che nasconde un segreto. Un progetto sperimentale, che nulla ha a che vedere col primo film mainstream di Linklater. Prodotto dalla Paramount, cucito dallo sceneggiatore Mike White (che vi recita anche) addosso all’esplosivo Jack Black, School of Rock è il primo grande successo della carriera di Richard Linklater, basti pensare che ha avuto un week-end di apertura al botteghino tale da superare gli incassi di tutti i precedenti film del regista messi insieme. La pellicola è un successo planetario, merito certo anche del suo protagonista, che è davvero sorprendente nei panni del rocker fallito ed espulso dalla band che trova riscatto insegnando e trasmettendo la passione per il rock a una classe di bambini, con i quali si finge docente (sostituendo con un trucco un suo amico e coinquilino, ovvero l’autentico insegnante). Ma il merito è soprattutto di Linklater, regista capace di far funzionare al meglio ogni elemento 18


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della messa in scena. Con una metafora musicale non è fuori luogo affermare che nel film non c’è traccia di note stonate. Si tratta di un film adatto ad ogni età e tipo di pubblico, una pellicola che non ci si stancherebbe mai di vedere. In particolare proprio per l’uso intelligente dei piccoli protagonisti, trattati come adulti e non alla stregua di stupidi comprimari come in altre pellicole, per la gestione dell’elemento “anarchico” Jack Black, nonché per l’interpretazione di altri ottimi attori come Joan Cusack, Sarah Silverman e dello stesso sceneggiatore White. Forte del successo commerciale, Linklater si è subito dopo dedicato a un progetto che gli stava molto a cuore e che accarezzava da anni, il seguito di Prima dell’alba. Before Sunset Prima del tramonto esce con successo nel 2004, preceduto da una serie di voci preoccupate sull’effettiva riuscita del film, sul rischio di rovinare la poesia e l’equilibrio del primo. Ma Linklater non è uno sprovveduto, né un cineasta abituato a lavorare solo per gli incassi: nei nove anni tra un film e l’altro, ha raccolto e selezionato le idee per il sequel, le ha sviluppate insieme ai suoi due attori protagonisti, che firmano con lui la sceneggiatura del film, che non a caso riceverà la nomination agli Oscar. Il risultato finale è una vera è propria gemma che riesce ad arricchire la storia e i personaggi (qui protagonisti assoluti e unici in scena), con una serie di riflessioni sull’oggi fino a rimettere di nuovo tutto in gioco con una geniale dissolvenza finale in nero. È bello vedere e constatare che i personaggi del primo film hanno continuato a crescere e ad esistere. Contattato nel 2005 per un remake del classico anni ’70 con Walter Matthau, Che botte se incontri gli orsi, apprende che lo script è opera degli stessi autori di Babbo bastardo e che, proprio come in quel film, il protagonista sarebbe stato Billy Bob Thornton (tra l’altro anche lui in gioventù giocatore di baseball) e accetta senza remore. Il risultato è solo di poco sotto l’irripetibile School of Rock, comunque molto buono. Al tempo stesso fedele al film originale e attualizzato per essere al passo coi tempi, Bad News Bears (che era 19


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anche il titolo originale del film con Matthau), uscito in Italia direttamente in dvd, ha gli stessi pregi del film con Jack Black, dal casting all’uso perfetto di ragazzi e adulti (Thornton ma anche Greg Kinnear e Marcia Gay Harden) fino alle belle scene più tecniche, (il rock, le scene sul campo, l’insieme di commedia alta e bassa, il ritmo complessivo) ha un solo difetto, essere un rifacimento e non una storia originale come School of Rock. Comunque è un buon successo al botteghino in patria. Nel 2006 Linklater si presenta al Festival di Cannes con due film pronti a uscire nelle sale entro la fine di quell’anno: il più volte annunciato A Scanner Darkly e l’altrettanto atteso Fast Food Nation. Il primo tratto dall’omonimo romanzo di Philip K. Dick, è stato per molti motivi una scommessa vinta, il secondo, una rielaborazione del noto e omonimo saggio di Eric Schlosser, sceneggiata con lo stesso autore, prometteva di essere per l’industria dei fast food ciò che Insider è stato per quella del tabacco e Traffic per quella della droga. Un film corale, con un grande cast che serve bene l’intenzione del regista di fare del film “un dramma umano, che con pungente sarcasmo riflette su quanto quella cultura definisca il modo in cui viviamo” 3. Nel 2009 Linklater firma un film molto apprezzato dalla critica internazionale, Me and Orson Welles, riuscita sintesi di romanzo di formazione e ricostruzione storica, che getta una luce diversa e appassionata su un periodo poco noto della carriera del giovane Welles, senza per questo rinunciare alle licenze narrative, essendo tratto da un romanzo poco conosciuto che ha saputo conquistare l’attenzione del regista. Alla base di tutto restano comunque le origini e le radici di autodidatta e indipendente, ben conscio del fatto che “niente mi può sottrarre dal mio gioco, perché ho alcuni bei film a basso budget che voglio fare” 4. Ed è proprio il budget ristretto che gli consente di continuare a fare film in libertà, perché se anche questi incassano poco (cosa che comunque non accade, in particolare di recente) non faticano ad andare in pareggio o rendere qualche utile. Oltre all’aspetto più 20


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pragmatico resta il fatto, come notava Mauro Gervasini su Film Tv, che “della generazione dei cineasti indipendenti più o meno quarantenni Richard Linklater è quello che mette d’accordo tutti. Nessuno lo ha mai sopravvalutato e non è platealmente di culto, perciò non si sono create, tra critici e appassionati, le solite partigianerie. D’altro canto il carattere intellettuale del suo cinema, l’intelligenza manifesta anche in titoli meno personali e più alimentari gli hanno assicurato la stima generale” 5. La chiave del suo cinema, meno spettacolare di quello di altri, ma anche più vero, meno scontato e meno sempre uguale a sé stesso, in fondo sta tutta nelle parole che fa pronunciare a Ethan Hawke nei panni di Jesse, ormai scrittore, all’inizio di Before Sunset: “quando ripenso alla mia vita devo ammettere che non ho mai avuto a che fare con le armi da fuoco, la violenza, che io ricordi. Mai frequentato la politica, gli intrighi, mai stato su elicotteri che si schiantano o cose del genere, no. La mia vita però, dal mio punto di vista, è stata ricca di emozioni (full of drama in originale)”. Le stesse che mette nei suoi film e che trasmette a noi spettatori. Note 2

www.imdb.com personal quotes del regista.

Peter Travers, recensione a Fast Food Nation su Rolling Stone, maggio 2006. 3

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www.imdb.com personal quotes del regista.

Mauro Gervasini, Dall’alba al Tramonto, su Film Tv, novembre 2004. 5

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Woodshock (1985)

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2) I primi Passi - Il cinema in super-8 del giovane Linklater (1985-1989) La biografia di Linklater da ragazzo somiglia molto alle trame dei suoi film, in particolar modo il suo approdo al cinema, la sua passione per la settima arte e come con gli anni sia diventato un filmmaker. Refrattario a regole e imposizioni sin dalla più tenera età Richard Linklater è un regista che si è fatto da sé per una semplice ragione: non avrebbe mai sopportato che qualcuno gli dicesse come filmare o, peggio, cosa. Così ha preferito imparare da solo sporcandosi le mani, ma per farlo ci sono voluti diversi anni. Doveva prima capire quale fosse la vera passione della sua vita. Da ragazzino c’era stato il baseball del quale fu una giovane promessa, ma un’aritmia che gli impediva di correre come si doveva stoppò quella possibile carriera. La cosa non gli cambiò più di tanto la vita, come lui stesso ha rivelato in qualche intervista e prese così a dedicarsi al teatro e alla letteratura, pensando di fare il giornalista, magari sportivo, ma al college non aveva la stessa spinta, la stessa passione che trovava in sé nel leggere, nello scoprire autori o nello scrivere per conto suo. Un’esperienza lavorativa anomala lo formerà definitivamente: dopo tutta una serie di lavoretti che non pagavano mai così bene, di quelli che più o meno tutti fanno almeno una volta nella vita, trova un posto in una piattaforma petrolifera e decide di non tornare al college per tenersi il lavoro. Oltre la paga non male c’era spazio per una serie di attività che lo esaltavano, come ricorda lui stesso: “era come stare nell’esercito, ma meglio. Volavi con gli elicotteri, lavoravi sodo, non era poi così pericoloso in fondo. Era qualcosa di buono da fare a quell’età, così inaspettato, era ciò che nessuno voleva che facessi. Ma ha in qualche modo indicato la via per il resto dei miei vent’anni. Probabilmente per il resto della mia vita. Restare all’università era il consiglio di tutti. Ma ho impa23


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Woodshock (1985)

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rato presto ad ascoltare tutti, farsi una propria idea e poi fare quasi l’opposto di ciò che mi veniva detto, o almeno di andare secondo il mio istinto” 6. Ed è con questa stessa forma mentis che il giovane Linklater scopre il cinema, o meglio, scopre di essersene innamorato. Inizialmente non ci pensa, come molti ha visto una serie di film che lo hanno colpito ma ritiene che tutto finisca lì. Poi si accorge che gran parte dei momenti liberi trascorrono al cinema, quando a Houston sono molte le sale d’essai e le rassegne universitarie. Dopo ogni visione Linklater studia e legge i materiali più disparati riguardo i film che vede o i registi che più lo colpiscono: tutto è una scoperta. Dai grandi classici che hanno fatto la storia ai film americani indipendenti e a basso costo degli anni ’70 e ’80 che sono fonte di grande ispirazione e che lo portano a credere di poter non solo scrivere film, come realizza una volta presa coscienza della sua passione, ma anche di poterli girare in prima persona. Dopo quasi tre anni di lavoro alla piattaforma petrolifera ha da parte un buon gruzzolo e così si trasferisce ad Austin dopo aver acquistato una cinepresa super-8, un proiettore, una piccola macchina per il montaggio e un po’ di pellicola. Inizia così la sua personale scuola di cinema: per qualche anno realizza alcuni cortometraggi e sperimenta con le varie tecniche del mezzo, cosa questa che consiglia di fare (non senza un po’ di autoironia, lui che non sempre ha ascoltato i consigli altrui) a tutti gli aspiranti filmmaker con un copione per le mani pronti a girare da subito un lungometraggio. “Con i corti si impara molto, ci si guarda in giro, si assorbono un sacco di cose fuori dal tuo mondo. Persino Orson Welles, il ragazzo prodigio per eccellenza, il giovane genio del cinema, fece dei cortometraggi e alcuni non erano neanche tanto buoni” 7. Tra i tanti (più o meno trascurabili), il suo cortometraggio più noto, senz’altro il più facilmente reperibile, è Woodshock del 1985. Si tratta di un corto di sette minuti, molto interessante come testimonianza, anche perché 25


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Woodshock (1985)

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abbastanza distante dai suoi futuri lavori. Omaggio più o meno indiretto al mitico festival di Woodstock e alla pellicola psichedelica che ne fu tratta, è girato in super-8 con molta macchina da presa a mano, inquadrature mosse e sporche che vanno a rappresentare una tre giorni di musica tenutasi a fine anni ’80 ad Austin. Molte le dissolvenze incrociate, le sperimentazioni linguistiche e quelle tecniche, evidente la volontà di giocare con la macchina da presa. Nonostante qualche breve intervista ad alcuni partecipanti al festival Woodshock non è certo narrativo e dialogato, anzi, col suo stile da documentario “sotto acido” è semplicemente uno spaccato di realtà e forse l’unica regia di Linklater (sia pure in ambito minore) che non ci dica nulla di importante. Di tutt’altro rilievo è l’esperimento successivo girato dal regista nel 1988 sempre in super-8: It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books è infatti il suo primo lungometraggio. Costato tremila dollari, dieci ore di girato e un anno di montaggio, vede Linklater come protagonista assoluto, davanti (come attore, per la prima ed ultima volta in un ruolo da protagonista, seguiranno solo piccole parti) e dietro la macchina da presa (dove cura tutto, dalla pre alla postproduzione). Nonostante questo, come fa notare David Schwartz in uno dei rari scritti critici sul film, è una pellicola “sorprendentemente libera dall’ego” 8, cosa questa che denota sin dagli esordi l’intelligenza con cui Richard Linklater approccia il (suo) cinema. Il suo primo film può anche essere considerato un film di genere, è infatti un roadmovie, anche se atipico, pur riguardando una serie di spostamenti da un luogo all’altro come è prassi del genere in questione. È la non-storia di uno studente di college, un giovane texano, interpretato dallo stesso regista, che intraprende un viaggio su uno dei treni Amtrak dal Texas al Montana, dove fa visita a un amico. Poi, dopo un breve ritorno a casa, si reca ad Huntsville a trovare la madre per poi fare ritorno a casa. Apparentemente tutto qui. In realtà (oltre a una serie di incontri e di scene di vita quotidiana) balza subito agli 27


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Woodshock (1985)

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occhi l’intenzione del regista di rappresentare l’America rurale e scarsamente popolata, fatta di paesaggi deserti e di silenzi. Quella di Linklater è qui una narrativa obliqua che ci parla di alienazione e comunicazione, della banalità della vita e del viaggio. Sin da subito, ed è emblematico che sia lui stesso a incarnarlo, il suo cinema esprime empatia nei riguardi dei ventenni in cerca di qualcosa di più, di diverso, di significativo. Come autore/attore ci comunica qualcosa che sente dentro di sé, un comune malessere, forse universale, che va oltre ogni singola esperienza personale (la sua come abbiamo visto era molto diversa da quella del suo personaggio). Tecnicamente il film è composto da una serie di inquadrature fisse che sono quasi sempre sul protagonista, la macchina da presa sembra lasciata accesa a riprendere senza nessuno a fare da operatore, ma la riuscita è funzionale al tono che si intende ricreare. L’immagine ha un po’ di grana, gli interni sono poco illuminati, quello di Plow è filmmaking grezzo e senza compromessi, capace comunque di parlare per immagini allo spettatore. La composizione delle inquadrature porta lo spettatore stesso a sentirsi alienato, come disconnesso da ciò che vede. Qualcuno ha parlato dell’influenza di Jim Jarmusch e del suo celebre Stranger than Paradise, che senza dubbio è una fonte di ispirazione ben presente, ma a un occhio più attento non sfugge un parallelo con altre influenze più europee e non americane, come ad esempio Chantal Akerman e il suo Je, Tu, Ils, Elle. Il primo film di Linklater è tutto volto a rivelare la propria voce, in una sorta di opposizione, a livello di messa in scena, con l’allora ancora nascente estetica di Mtv. “Era un’altra epoca, non si conoscevano i registi come ora, non c’era la competizione di adesso, oggi è tutto molto più orientato sui e dai media, in più tutti hanno una videocamera. Allora anche un esperimento come il mio primo film poteva servire per dimostrare cosa si era capaci di fare. Ci misi quasi due anni, era un banco di prova e di sicuro era il meglio che potessi fare allora” ricorda oggi il regista 9. A livello tecnico Linklater dimostra da subito un’attenzione 29


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It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books (1988)

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per la fotografia e il montaggio interno dell’inquadratura: si veda, ad esempio, quella che si svolge presso una cabina telefonica. È perfettamente calibrata, il personaggio e la cabina alla sinistra del fotogramma, mentre sulla destra i grattacieli in verticale fanno da cornice e, sullo sfondo, un ascensore tra due palazzi ci mostra il suo ripetitivo andare su e giù. Il film è quasi tutto risolto in una serie di soluzioni interessanti che dimostrano che i vari corti realizzati in precedenza hanno avuto un ruolo fondamentale: “c’è tutto un grande lavoro dietro i primi successi che alla fine serve. Di me la gente pensa che ho fatto il botto con Slacker, ma c’era tanto lavoro dietro. Fai finta che sia successo dal giorno alla notte, ma non è così” 10. Al suo primo film Linklater sperimenta anche le reazioni del pubblico, quello di nicchia dei piccoli festival, o i primi intoppi di carattere burocratico. Una scena per lui onirica e simbolica, come quella in cui imbraccia il fucile puntandolo fuori dalla finestra, per alcuni diventa reale, in tanti si chiedono se il personaggio è in procinto di sparare o meno, se è per caso un serial-killer o qualcosa del genere. Il suo non curarsi più di tanto del copyright (pensava che nessuno avrebbe mai visto il film), lo porta a scontrarsi con le leggi della distribuzione e a scoprire che ogni cosa inquadrata, persino la più piccola sullo sfondo è soggetta a diritti e restrizioni. È comunque interessante notare come Plow contenga in nuce alcuni elementi che saranno poi ripresi in futuro, come l’interesse per il sogno e i sogni, ai quali il regista dedicherà in seguito Waking Life, o alcuni dei vezzi che lo accompagneranno nei film a venire, come il riprendere qualcuno dei suoi personaggi mentre gioca a flipper. Le scene di vita quotidiana anticipano diversi temi del suo cinema, fatto di personaggi che rimangono in sospeso, a contemplare le varie possibilità della loro vita. Plow mette in scena anche questo “la libertà di viaggiare senza meta, di esistere semplicemente, di stare al mondo senza responsabilità quotidiane, ciò che per i suoi personaggi è 31


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It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books (1988)

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il più grande tesoro” 11. Il titolo del film, una curiosità, è tratto da un antico proverbio russo ed è la scritta sulla maglietta dello stesso Linklater in una scena. Altro interessante spunto di analisi è la volontà di mostrare l’esagerata, moderna meccanizzazione della vita di tutti i giorni, la nostra quotidiana interazione con le macchine o comunque con elementi esterni non umani: la macchina da presa del regista infatti qui indugia spesso su bancomat, distributori automatici, treni, telefoni, auto, e altri macchinari. Curiosamente molto poco parlato rispetto a tutti i film successivi del regista, Plow è stato per anni un film quasi invisibile, se non per la sua presenza in sporadici festival minori. Dal 2004 insieme a Woodshock è contenuto tra gli extra dell’edizione dvd del secondo lungometraggio di Linklater, quello che in molti ancora oggi considerano il suo primo vero film, e del quale per certi versi questo primo esperimento è una sorta di preludio: quel piccolo manifesto che è stato Slacker. Note Michael Koresky, Jeff Reichert, A Conversation with Richard Linklater, su Reverse Shot Online, summer 2004. 6

Michael Koresky, Jeff Reichert, A Conversation with Richard Linklater, su Reverse Shot Online, summer 2004. 7

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David Schwartz, The Daily Show, Reverse Shot Online, summer 2004.

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Commento audio al film.

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Commento audio al film.

David Schwartz, The Daily Show, Reverse Shot Online, summer 2004. 11

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It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books (1988)

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Fabio Migneco

Fabio Migneco

RichardLinklater

L’età inquieta

RichardLinklater L’età inquieta

Richard Linklater è senza dubbio uno dei registi più originali e personali tra i cineasti indipendenti contemporanei. I suoi film vanno dal cult Dazed and Confused all’amato dittico Prima dell’alba e relativo seguito Before Sunset Prima del tramonto, passando per il successo internazionale di School of Rock fino alle tematiche controverse di Fast Food Nation. Il suo cinema, così vicino alla sensibilità europea, ritrae personaggi che vivono in un’età incerta e inquieta, sempre colti al bivio delle loro contrastate esistenze. Immagini delicate e dense di significati che restano nella memoria degli spettatori, soggetti attivi chiamati a guardare la realtà con occhi diversi, più curiosi ed appassionati. L’analisi dell'esistenza, del tempo che passa, dei sogni, dell’amore, delle aspirazioni di ognuno, è senza dubbio tra le più coerenti e compiute del cinema americano degli ultimi vent’anni. Questa è la prima monografia in Italia dedicata al regista e al suo cinema, ancora poco seguito dal grande pubblico.

Fabio Migneco

RichardLinklater

L’età inquieta

Fabio Migneco (Roma, 1982), si è laureato al Dams di Roma Tre in Studi storici, critici e teorici sul cinema e gli audiovisivi con una tesi su John Carpenter. Ha scritto Il cinema di Robert Rodriguez, la prima monografia dedicata al regista texano, per le edizioni Il Foglio Letterario. Ha collaborato al volume collettivo La scrittura dello sguardo - Il cinema di Brian De Palma, a cura di Massimiliano Spanu e Fabio Zanello. È autore di recensioni cinematografiche e musicali, sceneggiatore e regista dei cortometraggi DiGiTiAmo, Twentysomething, Crimewave e Cane mangia Cane.

ISBN 978-88-89782-38-5

€ 19,00

€ 17,00 EDIZIONI EDIZIONI

FALSOPIANO

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