quaderno di storia contemporanea 49

Page 1

FALSOPIANO

QUADERNO DI STORIA CONTEMPORANEA 49

Laurana Lajolo, Questo numero Carla Nespolo, Discorso per il 25 Aprile STUDI E RICERCHE Cesare Manganelli, I rischi della propaganda. L’ispirazione mazziniana della Repubblica sociale italiana in Alessandria. Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino. Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio. Un’introduzione a Ur-Partigiano Johnny. Luciana Castellina, Rivoluzione femminile. INSERTO FOTOGRAFICO a cura di Massimo Carcione e Cesare Manganelli, La Cittadella della Libertà, tra Risorgimento eResistenza NOTE E DISCUSSIONI Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare? Delmo Maestri, I ragazzi del Fronte della Gioventù di Alessandria. Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica. PROBLEMI E MATERIALI DIDATTICI Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la Shoah? Dall’esperienza acquese un bilancio della Giornata della Memoria. Patrizia Nosengo, Accorciare la scuola. Effetti collaterali della riforma Gelmini.

RECENSIONI - JUDAICA

QSC_49

QSC

QUADERNO DI STORIA CONTEMPORANEA 2011

EDIZIONI

QSC 49 2011

QUADERNO DI STORIA CONTEMPORANEA

Brancaccio, Carcione, Castellina, Ferrari, Fornaro, Maestri, Manganelli, Nespolo, Nosengo, Rapetti, Zanetti

49 Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria “Carlo Gilardenghi” EDIZIONI FALSOPIANO

EDIZIONI

FALSOPIANO


Redazione Giorgio Barberis, Giorgio canestri, Franco castelli, Graziella Gaballo, cesare manganelli, Fabrizio meni, Daniela muraca, Vittorio Rapetti,  Renzo Ronconi, Federico Trocini, Luciana Ziruolo Quaderno di storia contemporanea semestrale dell’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria Direttore Laurana Lajolo Direttore responsabile maurilio Guasco Segretario di redazione cesare panizza Anno XXXIV, numero 49 della nuova serie Registrazione del Tribunale di Alessandria Via dei Guasco 49, 15100 Alessandria tel. 0131.44.38.61, fax 0131.44.46.07 e-mail: isral@isral.it Abbonamento a due numeri € 18,00 ccp: 26200998 intestato a Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria “carlo Gilardenghi” per informazioni ISRAL: tel. 0131.44.38.61, e-mail: isral@isral.it

Realizzato con il contributo della Fondazione cassa di Risparmio di Alessandria

© Edizioni Falsopiano - 2011 via Bobbio, 14/b  15100 - ALESSANDRIA http://www.falsopiano.com/isral/qsc.htm


Quaderno di storia contemporanea/49/Sommario

Laurana Lajolo, Questo numero

5

Carla Nespolo, Discorso per il 25 Aprile

9

studi e riCerChe

15

Cesare Manganelli, I rischi della propaganda. L’ispirazione mazziniana della Repubblica sociale italiana in Alessandria

15

Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino

25

Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio. Un’introduzione a ur-Partigiano Johnny

41

Luciana Castellina, Rivoluzione femminile

57

iNserto FotograFiCo

a cura di Massimo Carcione e Cesare Manganelli, La Cittadella della Libertà, tra Risorgimento e Resistenza

66

Note e disCussioNi

81

Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare?

81

delmo Maestri, I ragazzi del Fronte della Gioventù di Alessandria

96

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

101


Sommario

Quaderno di storia contemporanea/49

ProBLeMi e MateriaLi didattiCi

118

Vittorio rapetti, Ricordare ancora la Shoah? Dall’esperienza acquese un bilancio della Giornata della Memoria

118

Patrizia Nosengo, Accorciare la scuola. Effetti collaterali della riforma Gelmini

144

reCeNsioNi - JudaiCa

155


Questo numero

Questo numero Laurana Lajolo

Nella sezione studi e riCerChe Cesare Manganelli in I rischi della propaganda ricostruisce un episodio interessante riguardo all’ideologia messa in campo dagli esponenti alessandrini della repubblica sociale italiana, che diventa esemplificativo dell’uso politico della storia. il fascismo repubblichino, attraverso le edizioni de “il Popolo di alessandria”, pubblica in un opuscolo dal titolo Mazzini perseguitato dai Savoja alcuni scritti del patriota genovese, per appropriarsi della figura e del martirio del cospiratore mazziniano andrea Vochieri. Mazzini viene presentato come padre nobile delle nuove istituzioni repubblichine in opposizione alla monarchia sabauda, accusata di aver impedito prima il pieno dispiegarsi della rivoluzione fascista e, durante la guerra, di aver tradito il fascismo e la patria con il cambio delle alleanze. Le pubblicazioni vengono interrotte dagli intensi bombardamenti inglesi sulla città e dall’azione dei partigiani che nella notte fra il 4 e il 5 maggio 1944 fanno saltare la tipografia del giornale repubblichino. Nel suo saggio Le radici riformiste del socialismo alessandrino Federico Fornaro pone in rilievo la matrice riformista del socialismo alessandrino, ricostruendo i primi anni di vita del partito socialista locale inserendoli nel conflitto tra rivoluzionari e riformisti che connota il partito anche a livello nazionale e nei più rilevanti avvenimenti storici del tempo. Fornaro prende come fonte della sua analisi il dibattito sviluppato sul periodico “L’idea nuova” e mette in evidenza che con Paolo sacco nel 1894 alessandria è il primo capoluogo di provincia nella storia italiana ad avere un sindaco socialista

5

Laurana Lajolo, Questo numero

apriamo il “Quaderno di storia contemporanea” con il discorso che la Presidente dell’iraL, sen. Carla Nespolo, ha tenuto ad alessandria per l’anniversario del 25 aprile. Nespolo sottolinea il legame tra risorgimento, resistenza e Costituzione come nesso inscindibile per la nostra democrazia, che sta attualmente attraversando una delle sue crisi più gravi.


Questo numero

Quaderno di storia contemporanea/49

Luca Zanetti in Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio propone un’originale e stimolante lettura dell’Ur-partigiano Johnny di Fenoglio, scritto prima della stesura di Il partigiano Johnny, pubblicato nel 1968 a cinque anni dalla morte dell’autore. il racconto, rimasto per lungo tempo inedito, narra gli ultimi mesi di guerra trascorsi da Johnny in Monferrato come ufficiale di collegamento tra la divisione autonoma di Piero Balbo “Poli” e la missione inglese e inizia dove termina il romanzo più noto con la battaglia di Valdivilla del 24 febbraio 1945, in cui ne Il partigiano Johnny si allude alla morte del protagonista. Fenglio ha definito quella battaglia “l’ultima sconfitta partigiana, l’ultima vittoria fascista”. Nel rivisitare quelle pagine con fine senso critico Zanetti si interroga sulle motivazioni che indussero Fenoglio a espungere dal romanzo più noto l’epilogo della guerra partigiana, vedendovi un riflesso delle motivazioni di cui si fece interprete sulla scelta resistenziale e sui significati che egli vi attribuiva. Chiude questa sezione una riflessione anche autobiografica di Luciana Castellina sulla rivoluzione femminile degli anni settanta. il pensiero dei movimenti femministi ha portato, infatti, l’esponente politica prima del PCi e poi del Manifesto a modificare la sua concezione di uguaglianza e di emancipazione in quella di differenza di genere. Castellina sottolinea come le nuove culture femministe siano state caratterizzate dalla presa di parola delle donne, mentre la crisi della politica a partire dagli anni Novanta abbia fortemente penalizzato la presenza pubblica delle donne. oggi si è ricaduti nel silenzio, ma per Castellina il silenzio è dei maschi e non delle donne, poiché si è venuto affermando una specie di postpatriarcato, in cui le donne sono state emarginate dalla politica, proprio mentre sono accresciute le loro competenze e una nuova soggettività. in Note e doCuMeNti Massimo Carcione, basandosi sugli studi che sta attualmente conducendo in sede universitaria, solleva un tema di indubbia rilevanza, quello della verifica delle competenze dei politici e degli amministratori interrogandosi circa la legittimità di introdurre nei regimi democratici criteri di valutazione su chi sia chiamato a ricoprire incarichi pubblici, politici o amministrativi. rilevando come tali criteri siano assolutamente assenti nell’ambito politico, Carcione fa sua la tesi recentemente sostenuta da ainis, secondo la quale un provvedimento di quel tipo diventi

6


una necessità per conservare la natura democratica delle istituzioni. delmo Maestri ricostruisce analiticamente la storia del Fronte della gioventù alessandrino nel periodo partigiano, ricordando i nomi di coloro che vi facevano parte e sottolineando l’apporto di quei ragazzi alla resistenza. Nella sezione viene affrontato anche un tema preminentemente economico e attuale, cioè il futuro dell’interporto alessandrino, programmato come promotore di uno sviluppo alternativo alla crisi industriale. Fabrizio Ferrari e Mario Brancaccio nel contributo dal titolo Alessandria città logistica ripercorrono la storia recente della logistica alessandrina e mettono in luce le problematiche dello sviluppo del polo alessandrino all’interno del mutamento di scenario geopolitico internazionale. da un lato la crescita esponenziale negli ultimi due decenni dei trasporti marittimi e, dall’altro, la crisi mondiale hanno evidenziato l’incapacità dei porti italiani di intercettare quote significative di tale traffico, rimanendo ai margini dello sviluppo. La situazione attuale e le probabili future evoluzioni non autorizzano, quindi, a prevedere grandi prospettive di crescita per la portualità genovese, così come è stato ipotizzato pensando all’area alessandrina come retroporto di genova, semmai gli interventi infrastrutturali in via di realizzazione possono essere rivolti al sistema logistico nord-europeo. Nella sezione ProBLeMi e MateriaLi didattiCi proponiamo due riflessioni molto interessanti su questioni non esclusivamente didattiche, ma con una forte impronta di un dibattito culturale complessivo. Con Ricordare ancora la Shoah? Vittorio rapetti propone un bilancio della giornata della Memoria a dieci anni dalla sua istituzione, facendo riferimento ai significativi risultati dell’esperienza acquese, dove le istituzioni locali, la scuola e il vasto tessuto associativo laico e cattolico hanno saputo efficacemente fare memoria, coinvolgendo non solo gli studenti, ma l’intera cittadinanza. Nonostante tali dati positivi, rapetti apre con un ragionamento stringente e approfondito una serie di questioni importanti sul significato della memoria, rilevando la paura e la stanchezza che pesano sulla coscienza collettiva riguardo alla celebrazione della giornata che ha assunto caratteri formali e ripetitivi e non ha evitato il diffondersi di idee razziste e nazionaliste. Mentre l’autore ribadisce la necessità di continuare la trasmissione di memoria, auspica una verifica critica per evitare il rischio della banaliz-

7

Laurana Lajolo, Questo numero

Questo numero


Quaderno di storia contemporanea/49

Questo numero

zazione di temi, che hanno bisogno non solo dell’emotività del ricordo, ma di un serio approccio di conoscenza così da operare attraverso la memoria la selezione dei valori di riferimento di valenza storica e universale. Accorciare la scuola titola Patrizia Nosenghi la sua riflessione sugli effetti trituranti della riforma gelmini. Parte dai dati sul tracollo del diritto allo studio, sulla chiusura delle scuole con grave danno per le fasce più deboli, sul taglio drastico al numero dei docenti e del personale amministrativo per proporre osservazioni precise sull’organizzazione scolastica, evidenziando in particolare la problematicità degli organici con il grande esercito dei precari e la mancanza di risorse per la formazione. Quei “frutti avvelenati” vanno a colpire particolarmente la scuola superiore, che viene nuovamente ad assumere la divisione classista tra licei destinati alla formazione critica degli allievi e gli istituti tecnici e professionali vincolati al binomio istruzione-lavoro, prevedendo una società fortemente disuguale, culturalmente livellata verso il basso, e guidata da un modello leaderistico. Come si sa, quell’impostazione tecnicista della scuola è funzionale alla creazione del consenso sociale e va a vanificare il processo di democratizzazione della scuola che fino a qualche anno fa era considerato irreversibile.

8


discorso per il 25 aprile Carla Nespolo*

Quest’anno la Festa della Liberazione ha un carattere particolare, perché il 2011 è anche l’anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Il primo Risorgimento, quello del nostro Andrea Vochieri, di Garibaldi, di Cavour, Mazzini, Cattaneo e tanti altri, realizzò l’unità d’Italia. E giustamente lo ricordiamo e lo onoriamo. Con l’occasione ripercorrendo e a volte scoprendo, tante pagine fondamentali della nostra storia patria, che spesso i giovani non conoscono. La Resistenza è stata il “ Secondo Risorgimento”. Come scrissero nel 1935, con straordinaria e anticipatrice lucidità, Rosselli, Venturi, Caffi e altri, su “Giustizia e Libertà”, giornale parigino degli esuli antifascisti. Secondo Risorgimento, perché la Resistenza ha salvato l’Italia, dal baratro e dalla sconfitta a cui il fascismo l’aveva condotta. Ricordiamo, come ogni anno, i 20 mesi dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, della lotta armata, sapendo che quella lotta ha le sue radici nella Resistenza al fascismo durata – nel nostro Paese e anche nella nostra provincia – per tutto il ventennio. * testo del discorso tenuto in alessandria dalla senatrice Carla Nespolo, presidente dell’istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di alessandria “Carlo gilardenghi”, in occasione del 25 aprile 2011.

9

Carla Nespolo, Discorso per il 25 Aprile

Rivolgo un saluto a tutti voi, cari amici presenti a questa cerimonia di commemorazione del 25 Aprile 2011. Un saluto a Lei, signor Prefetto e a tutte le autorità civili, militari e religiose. Un saluto affettuoso e grato alle partigiane e ai partigiani presenti. Essi sono, oggi come allora, garanzia, sostegno e sentinelle della nostra democrazia.


Quaderno di storia contemporanea/49

La Resistenza degli antifascisti, processati e imprigionati dai tribunali speciali. Il sacrificio degli ebrei, degli oppositori politici, degli handicappati e degli omosessuali, deportati e sterminati nei lager nazisti, con la fattiva complicità dei fascisti italiani. Gli oltre duecento uccisi nei campi di stermino, della sola provincia di Alessandria. I Partigiani caduti. Le vittime civili dei bombardamenti. Resistere a tutto questo, lottare per un mondo diverso e libero, questo è stato il secondo Risorgimento Italiano, la solida base della nostra unità nazionale. È vero che la Liberazione del nostro Paese avvenne con l’importante contributo degli Alleati, ma è altrettanto vero che, senza la Resistenza, anche dopo la caduta del nazifascismo, il nostro Paese sarebbe rimasto un Paese diviso, sconfitto ed umiliato. Un Paese che non avrebbe potuto sedersi al tavolo dei vincitori della Seconda guerra mondiale (come invece fece l’allora Presidente del Consiglio De Gasperi ) Egli, nella conferenza di Pace di Parigi del 1946, rivendicò proprio questo: che l’onore dell’Italia, la sua libertà e il suo diritto a restare un Paese unito, erano stati conquistati, sui monti e nelle pianure, dal popolo italiano. Dai partigiani e dalle popolazioni che li avevano sostenuti, rischiando ogni giorno la terribile rappresaglia fascista e nazista. Erano stati conquistati dai militari che non avevano tradito e avevano anche saputo morire, come i soldati e gli ufficiali della divisione Acqui a Cefalonia, pur di non diventare complici del nazismo. Erano frutto della lotta delle donne, quelle straordinarie donne partigiane e patriote, che la stessa storiografia ha per troppo tempo dimenticato e che ora sta seriamente riscoprendo. Anche di questo parliamo, quando celebriamo i 150 anni dell’Unità d’Italia. Accanto a Vochieri, Luciano Scassi e i fucilati della Cittadella che oggi abbiamo finalmente e giustamente onorato. Accanto a Pisacane e ai suoi uomini, i caduti della Benedicta. E la Banda Tom e la Banda Lenti. I nostri eroi. A tutti loro dobbiamo l’Unità d’Italia. La Resistenza italiana è stata lotta contro il nazifascismo di un Paese che era stato fascista e alleato del nazismo, per 4 dei 6 anni di guerra. È stata lotta per la libertà e per una nuova moralità pubblica.

10


Oggi c’è qualcuno che, per far dimenticare la portata storica e intrinsecamente rivoluzionaria della Resistenza Italiana, sfida la cultura antifascista a sostituire la parola Liberazione con la parola “ Libertà”. Intendiamoci, senza la Liberazione non vi sarebbero state le fondamentali libertà democratiche, civili, sociali e politiche del nostro Paese. Questo è noto, a qualunque persona di buon senso. Ma non si usi questo abbinamento fonetico per far dimenticare il fatto che il 25 Aprile è Festa Nazionale, regolata da leggi nazionali e come tale va celebrata e rispettata. Giornata identificativa del nostro Paese.

Non meraviglia, perciò, se, dopo il 25 aprile primo compito che si diede il CLN fu quello di realizzare la Costituzione Italiana. Come è ben noto, il 2 giugno 1946 furono contemporaneamente effettuati il referendum istituzionale e l’elezione dei membri della Costituente. Per la prima volta votarono le donne e fu un grande fatto di democrazia compiuta. Da questa eredità della Resistenza, nacque la Costituzione italiana. Voler ridurre la Costituzione, come oggi fanno molti, ad un compromesso tra le idee dei vari partiti del CLN, non è corretto e completo. Quello che vollero i Costituenti fu prima di tutto rifondare la convivenza politica e civile del Paese, con valori opposti a quelli del fascismo. Di questo furono grandi assertori uomini come Giuseppe Dossetti e Umberto Terracini. Dunque la base della nostra Costituzione è antifascista, non è neutra e bene lo ha compreso il popolo italiano che ha saputo respingere in questi anni più di un tentativo di stravolgerla e cancellarla. Ma dobbiamo stare in guardia anche oggi, che nel Parlamento italiano siedono dei senatori che vogliono cancellare la dodicesima disposizione transitoria della Costituzione

11

Carla Nespolo, Discorso per il 25 Aprile

La Resistenza Italiana è stata non solo e non tanto, come negli altri Paesi europei, la continuazione di una guerra provvisoriamente perduta, quanto la rivolta di un Paese contro il proprio passato più oscuro e negativo.


Quaderno di storia contemporanea/49

Italiana, che vieta la ricostituzione del disciolto partito fascista. È lo squallido tentativo di un disegno più grande, quello di mettere sullo stesso piano fascismo e antifascismo, chi lottò per la libertà e chi agì a fianco del nazismo, attuando ogni sorta di crimine, come dimostrano, anche nella nostra provincia, vicende quali quella della Benedicta o le deportazioni di nostri concittadini. Atti nei quali, sempre, i tedeschi, furono guidati da militi della RSI. È quel revisionismo storico deteriore che è rivolto soprattutto ai giovani, affinché pensino che fascismo e antifascismo sono come le guerre puniche, fatti lontani. E invece sono vicini, vicinissimi, perché l’antifascismo è alla base della Costituzione Italiana. Purtroppo, visto che le ore di storia a scuola sono ridotte a pochissimo, spesso la Costituzione non è ben conosciuta e spiegata ai giovani Ed è compito anche di occasioni come queste, ribadire che l’essenza della Costituzione sta nelle speranze, nell’esperienza collettiva di fratellanza e solidarietà che animò la lotta antifascista e di essa rappresenta l’eredità più persuasiva. In particolare la prima parte della Costituzione, quella costituita dai 12 articoli dei Principi Fondamentali e dagli articoli dal 13 al 54 dei diritti e dei doveri dei cittadini, va letta sullo sfondo della grande tragedia che fu la Seconda guerra mondiale, vale a dire dell’invasione dell’Europa, della guerra di sterminio e della riduzione in schiavitù d’interi popoli, di un mondo percorso dai vagoni piombati della deportazione politica e razziale, dei campi di sterminio, dei bombardamenti delle città: ecco perché sono così importanti gli articoli della Costituzione Italiana sui diritti inviolabili della persona, sui doveri di solidarietà economica, politica e sociale. Sulla pari dignità delle persone, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di convinzioni politiche e infine il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Se pensiamo al presente, sentiamo la terribile attualità di queste norme. Oggi che si chiamano missioni di pace l’invio di militari nei territori che più interessano il capitalismo mondiale. Oggi dobbiamo dire forte che il giusto anelito dei popoli alla democrazia (come l’insur-

12


rezione di tanti Paesi del Mediterraneo) non può essere risolto con l’invio di soldati, ma deve essere affrontato con una maggiore giustizia planetaria, tra paesi ricchi e paesi poveri.

Il nostro tempo è un tempo difficile e, per certi aspetti, anche pericoloso. Gustavo Zagrebelski, inaugurando il recente congresso dell’ANPI a Torino ha ricordato che la democrazia, secondo alcuni studiosi, rischia di durare solo tre generazioni: la prima che la conquista, la seconda che la realizza e la amplia, la terza che la perde. Dobbiamo lottare perché non sia così. Dobbiamo lottare per difendere la nostra democrazia. Certo il mondo che i partigiani sognavano, non si è realizzato. Quella libertà per cui in tanti lottarono e morirono, non è compiuta e oggi è anche in pericolo. Non si è liberi se una intera generazione di giovani ha solo un lavoro precario, instabile e sfruttato. Non si è liberi, se chi dovrebbe dare pubblico esempio di moralità e di disinteresse personale, fa invece tutto il contrario. Non si è liberi se vogliono persino privatizzare l’acqua pubblica e se c’è chi ancora oggi, dopo la terribile tragedia del Giappone, sogna le centrali nucleari. Non si è liberi se si offre alla pubblica opinione un’immagine della donna offensiva e svilente. Corrotta e corruttrice. Non è per questo che noi donne abbiamo lottato in tutti questi anni! Non si è liberi se per costruire la pace si organizza la guerra. Ma si è liberi se non si smette di pensare con la propria testa, se si difendono i propri diritti e i propri principi in piazza, come hanno fatto le donne e i giovani con le grandi manifestazioni dei mesi scorsi. E come fanno ogni giorno i lavoratori, dentro e fuori i luoghi di lavoro. E come faranno anche il prossimo 6 maggio.

13

Carla Nespolo, Discorso per il 25 Aprile

E dedichiamo questo nostro 25 Aprile a Vittorio Arrigoni. Uomo di pace e per la Pace caduto, come Rachel Corrie, come i tanti pacifisti che lottano in ogni parte del mondo e sono loro i veri protagonisti e costruttori di un mondo migliore e più giusto.


Quaderno di storia contemporanea/49

Si è liberi se si rispettano l’ambiente e gli animali. E si è liberi se non si dimentica. Trasmettere la memoria. È questo il nostro dovere di oggi. Per costruire il futuro ancora abbiamo bisogno dei Partigiani. Perché ancora, come ci ha ricordato il novantaquattrenne Stephen Hessel, è necessario indignarsi... Viva il 25 aprile, viva la Resistenza, viva l’Unità d’Italia.

14


Studi e ricerche

i rischi della propaganda. L’ispirazione mazziniana della repubblica sociale italiana in alessandria

La recente uscita di una nuova biografia di Mazzini, frutto del lavoro di riflessione di giovanni Belardelli, ci consente di riprendere un tema particolarmente rilevante nella vicenda del “secondo fascismo alessandrino” 1. in particolare l’ultimo capitolo del volume, intitolato Mazzini dopo Mazzini, ripercorre sinteticamente, ma con notevole chiarezza, le diverse letture di Mazzini operate dagli attori politici dopo la fine del risorgimento con una particolare attenzione a quella compiuta dal fascismo: “Certo, nelle citazioni di parte fascista venivano espunti aspetti non secondari del pensiero mazziniano, a cominciare dalla sua impronta umanitaria e, almeno in senso lato, liberale; tuttavia è stato osservato, si trattava di una lettura unilaterale, ma non del tutto arbitraria” 2. Nella ricostruzione non poteva mancare la prospettiva dispiegata dall’ispirazione nazionalistica e imperiale della “terza roma” e, soprattutto, alla disponibilità al martirio quale fonte primigenia dell’agire politico. si tratta di una lettura della figura di Mazzini parziale, ma non totalmente infedele e che ebbe come il suo momento culminate nella elaborazione delle retoriche argomentative elaborate dai giornalisti della rsi. Per l’ultimo fascismo sono ovvie le tematizzazioni del fascismo originario e la riscoperta del “volontarismo” squadrista. alle rievocazioni si aggiunse e sovrappose la necessità di riavvicinarsi ai sentimenti e alle indicazioni storiche ostili alla dinastia dei savoia che la tradizione politica ispirata a Mazzini aveva inoculato in ampi settori del corpo politico nazionale. Nella storia d’italia era urgente individuare i caratteri di fondo della casa regnante per poter anticipare e ricollocare in un quadro coerente le motivazioni del suo

15

Cesare Manganelli, I rischi della propaganda

Cesare Manganelli


Quaderno di storia contemporanea/49

Studi e ricerche

“tradimento”. era conseguente la ripresa dei temi repubblicani da parte dei fascisti: alla monarchia si addebitava di aver, per una ennesima volta, tradito la spinta rivoluzionaria del fascismo con gli stessi strumenti che i savoia avevano utilizzato per immiserire le prospettive rivoluzionarie del risorgimento. Lo stesso schema applicato alla normalizzazione del fascismo sarebbe stato astutamente utilizzato dai sovrani sabaudi dopo che la conquista regia aveva raggiunto il suo obiettivo strategico: lo sbocco in Lombardia e il dominio sulla Penisola. Polemica politica e morale, retoriche dell’intransigenza, ma pure rievocazione e rivalutazione dello spirito dei vari volontarismi del periodo risorgimentale con il complemento inevitabile del corteggiamento della “bella morte” 3. in questo quadro di riscoperta spontanea e immediata 4 delle ascendenze repubblicane, nei primi mesi del 1944 il fascismo repubblicano alessandrino si attrezza, durante la sua prima fase di riorganizzazione, per lanciare una campagna di stampa che ripercorra fedelmente la riscoperta delle sue radici repubblicane. era quasi naturale che la nuova ondata repubblicana in Piemonte si concentrasse su alessandria. Luogo geografico che coincideva con il simbolico martirio di Vochieri, fucilato, in malo modo, nel 1833 dai savoia per avere organizzato una importante Congrega della giovine italia e tentato un’insorgenza armata con base nella Cittadella. una riedizione meno “nobile” e incruenta del colpo del 1821. La condanna a morte, eseguita con la fucilazione alla schiena, dopo una tormentata detenzione nella Cittadella, aveva immediatamente dato vita a una leggenda “nera” intorno alla crudeltà di galateri e alla ferocia di Carlo alberto 5. una polemica politica e storiografica che attraversa tutto il tardo risorgimento e si inscrive successivamente nella evoluzione sabaudista della storiografia risorgimentale durante il fascismo, con una precisa svolta nel 1932. […] da quel giorno fummo presi tutti da un diavolo che ci portò, e senza avvedercene siamo arrivati a questo che io mi trovo qui con loro, io che adorai galateri […]. sanno chi fu galateri? uomo da far fucilare tutti loro! […] in Piemonte egli fu tutto. Lo temeva fin Carlo alberto; ed egli governatore di alessandria teneva Carlo alberto come un suo pupillo […]. Poi, improvvisamente, non fu

16


Studi e ricerche

il fascismo repubblicano alessandrino nella sua prima fase di ricostruzione avvertì quindi immediatamente di dovere costruire una base programmatica che lo allontanasse in modo traumatico ed irrevocabile dalla dinastia e dai suoi generali. una cesura storica che consentiva, fra l’altro, di attribuire gli errori del fascismo-regime a un lunga e guardinga coabitazione con i traditori. a parte la solita revisione toponomastica, lo strumento palese della polemica politica antisavoiarda fu principalmente il giornale del neo costituito fascio repubblicano di alessandria, “il Popolo di alessandria”; organo di stampa che conquistò una sinistra notorietà anche fuori dai confini della provincia per la sua virulenza e per i contenuti fortemente antisemiti che lo caratterizzarono fin dalla sua fondazione 7. Mazzini è sicuramente il riferimento maggiormente richiamato sul giornale tra i grandi italiani che vennero prescelti per legittimare la svolta repubblicana e sociale, con citazioni, parafrasi e attualizzazioni che si affastellano nella prima pagina del bisettimanale. È il Mazzini della Lettera a Carlo Alberto, l’organizzatore sfortunato e indomito delle insurrezioni di Milano e di genova, ma soprattutto è il Mazzini ispiratore di Vochieri. il martire repubblicano Vochieri, fucilato dagli sgherri di Carlo alberto, viene collocato nel Pantheon dei precursori e accostato nella morte al nuovo martire del piombo badogliano, ettore Muti 8. La prima iniziativa del Fascio repubblicano, nel senso indicato di una ripresa dello spirito repubblicano, fu una raccolta di fondi iniziata il 9 dicembre 1943, il cui scopo era fornire alla nascente gNr “Mille Mitra”. La sottoscrizione ripercorreva la raccolta di fondi che Norberto rosa aveva lanciato sulle colonne della “gazzetta del Popolo” nel 1856 per munire la Cittadella di “100 Cannoni”. La sottoscrizione per i “Mille Mitra” raggiunse il suo obiettivo in pochi mesi, ma resta da sottolineare che la sottoscrizione dei 100 Cannoni era frutto delle scelte patriottiche del centro-sinistro piemontese, una iniziativa che faceva da sponda alle ipotesi di guerra regia. raccolta di fondi totalmente avversata da Mazzini che infatti

17

Cesare Manganelli, I rischi della propaganda

più nulla. e venne un dì che il popolo di alessandria, che gli stava sotto come un pulcino, distrusse per ira l’isolotto nel tanaro che si chiamava galateri. eccoci, dunque, dove siamo. eppure a roma non ci verrei 6.


Quaderno di storia contemporanea/49

aveva lanciato nell’agosto del 1856 su “italia e Popolo”, in concorrenza con la sottoscrizione alessandrina e in coerenza con la sua immutata prospettiva insurrezionale, la sottoscrizione per l’acquisto di 10.000 fucili da distribuire ai patrioti nelle varie parti d’italia 9. La proposta politica che però più ci interessa ricostruire nelle sue implicazioni storiografiche e propagandistiche venne annunciata il 16 marzo 1944 sempre sulle colonne del “il Popolo di alessandria”.

Studi e ricerche

atteNZioNe atteNZioNe . uscirà prossimamente un prezioso ed interessante opuscolo “Mazzini perseguitato dai savoja [sic].” È una importante lettera inedita dell’apostolo scritta cento anni fa. L’istituto di studi Mazziniani ha commesso al “il Popolo di alessandria”questa pubblicazione, prima di una lunga serie.

L’opuscolo venne pubblicato il 16 aprile del 1944, secondo il giornale in 100.000 copie la prima edizione, e presto esaurita, in altre 100.000 copie con la seconda. Le cifre ci sembrano esagerate anche in considerazione del lasso di tempo molto breve, appena 15 giorni 10. il 30 aprile infatti si celebrò in Cittadella il martirio di Vochieri e, dopo la rievocazione al teatro Comunale, dell’opuscolo si perse ogni traccia. il volumetto è composto da una prima parte che raccoglie nelle prime pagine brevi citazioni di Mazzini, Metternich, una cartina dell’italia pre-unitaria e una famosa epigrafe di giosuè Carducci intitolata Mazzini. il titolo dell’epigrafe, del 1872, in realtà è Per il passaggio della salma di Giuseppe Mazzini; uno di testi carducciani più spiccatamente repubblicani che noi vediamo nella raccolta Prose di Giosuè Carducci 1869-1903, Zanichelli, Bologna, 1906 a pagina 1468. La parte più importante e corposa dell’opuscolo è comunque una lettera di Mazzini alla “Westminster review” di Londra nel 1844. Nella lettera, chiaramente non destinata alla pubblicazione, si fornisce al direttore della rivista hickson alcuni ragguagli biografici della carriera politica del fondatore della giovine italia. il testo della lettera può essere inteso come una delle prime narrazioni autobiografiche di Mazzini, al di là degli immediati interessi di polemica politica, un primo tassello delle Note autobiografiche stese nel 1861 come introdu-

18


zione alla edizione daelliana dei suoi scritti. Lo scopo immediato della lettera era legato allo scandalo politico che aveva investito il governo inglese, accusato, a ragione, dall’opposizione e da alcuni deputati radicali di aver intercettato la posta di Mazzini e di averla trasmessa alla polizia austriaca. L’eco dello scandalo politico in inghilterra fu enorme – furono istituite due Commissioni di inchiesta per ramo del Parlamento e il Ministro graham fu costretto a negare l’evidenza – tanto che è da quel momento che Mazzini divenne un importante punto di riferimento italiano nella vita politica e culturale inglese, dopo molti anni di isolamento e di marginalità 11. La lettera di Mazzini del 1844 alla rivista inglese – il cui nome esatto era “London and Westmister review” ed era ispirata da John stuart Mill – apriva una nuova fase del suo esilio londinese, periodo nel quale i suoi articoli e opuscoli ricevettero una buona accoglienza presso gli intellettuali e l’opinione pubblica inglese, consentendogli inoltre di raccogliere quel gruppo di sostenitrici che tanta importanza ebbero nella sua vita politica successiva. Ma la base del successo inglese di Mazzini fu dovuta alla indignazione che suscitò la violazione della libertà postale anche di un rifugiato politico straniero e l’appoggio a una polizia di uno stato assolutista come l’austria-ungheria. Joseph hume, deputato inglese ai Comuni, riassunse tale sentimento diffuso nel suo discorso: “dal momento che uno schiavo tocca il nostro suolo, egli è libero” 12. Com’era presumibile il testo della lettera non era inedito, ma era già stato pubblicato in inghilterra da Bolton King, nel volume Mazzini nel 1902; volume immediatamente tradotto da Pezzè Pascolato nello steso 1902 13. in ogni caso un’altra e definitiva edizione della lettera – to Mr.W.e. hickson, London, July 1844 – sta nel XXVi volume degli Scritti editi ed inediti di giuseppe Mazzini del 1917 nella versione in originale e cioè quella stesa direttamente in inglese da Mazzini 14. La lettera è corredata di un apparato di note e della traduzione in italiano, identica a quella della edizione italiana del 1903 ad opera della Pezzè Pescolato. Nelle note è inoltre descritta la causale della lettera ed il suo contesto: “ W.e.hickson era il direttore della ‘Westminster review’ ed aveva chiesto al Mazzini notizie sue autobiografiche […], le quali poi dalla lett. qui riprodotta, furono in

19

Cesare Manganelli, I rischi della propaganda

Studi e ricerche


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

parte inserite nell’art. Mazzini and the Ethics of Politicians, pubbl. nella cit. rivista inglese (fasc. del settembre 1844, pp. 244-246)” 15. ora possiamo rivedere con più cognizione di causa la genealogia storica dell’opuscolo di propaganda repubblicana, Mazzini perseguitato dai savoja. L’inclinazione repubblicana dell’opuscolo si era posta il compito di rovesciare il canone monarco-sabaudista imposto da de Vecchi al risorgimento italiano e trasformare la tradizionale indifferenza degli alessandrini verso la Casa savoia in un’avversione che desse sostanza politica e legittimazione istituzionale al nuovo regime. La strategia discorsiva e l’impianto scientifico che sorreggeva l’opuscolo, e la propaganda che gli ruotava intorno, però dovette misurarsi con i dati politici e biografici di Mazzini e della giovane italia; dati che confliggevano inesorabilmente con i postulati politici e costituzionali della rsi e, per di più, propagandavano, anche se in modo indiretto, le virtù della libertà inglese nella sua secolare storia. anche se l’impatto di queste contraddizioni emerse da un uso disinvolto della storia devono aver avuto allora un impatto alquanto modesto nei confronti della pubblica opinione e dei lettori più attenti, questa modesta iniziativa di propaganda culturale è importante perché ci dimostra quanto sia difficoltoso ed irto di problemi piegare la storia risorgimentale a usi squisitamente politici in presenza di un libero dibattito storiografico 16. Purtroppo la storia ammaestra duramente i suoi protagonisti ed è una severa maestra; dietro ogni ideologia politica che governa e propone deve esserci un plotone di soldati, come brutalmente ricordava spengler. La fase di legittimazione del Fascio repubblicano alessandrino si interruppe bruscamente il 30 aprile del 1944 – lo stesso giorno della rievocazione di Vochieri in Cittadella e della conferenza in teatro – per non riprendere più oltre. in quel giorno, e in quello successivo, alessandria subì il più duro bombardamento della sua storia. si contarono quasi 250 morti e furono distrutti molti edifici tra i quali proprio il Palazzo trotti Bentivoglio, sede della deputazione di storia Patria, e il teatro Comunale. Nella notte fra il 4 ed il 5 maggio 1944, un gruppo di gappisti di alessandria, rientrati in città per incontrare i parenti dopo il terribile bombardamento, si riorganizzarono per una ultima azione nella loro

20


Studi e ricerche

città: dopo aver recuperato alcuni chili di tritolo, nottetempo, fecero saltare la tipografia dove di stampava “il Popolo di alessandria”, a pochi metri dalla sede del fascio di alessandria 17. La rievocazione storico simbolica di Vochieri fascista repubblicano fu praticamente messa in sordina dal tough face della realtà storica e non certo dalle contraddizione delle fonti storiografiche o dalle incertezze filologiche 18.

1. Bologna, il Mulino, 2010, 2. giovanni Belardelli, Mazzini, cit., pag. 246; l’opinione richiamata è di roberto Pertici nel suo Il Mazzini di Giovanni Gentile in id., Storici italiani del Novecento, Pisa-roma, istituti edit. e poligr internazionali, 2000. Cfr. inoltre simon Levis sullan, L’apostolo a brandelli. L’eredità di Mazzini tra Risorgimento e fascismo, roma-Bari, Laterza, 2010. 3. giovanni Belardelli, Mazzini, cit, pagg. 244-245. La ricostruzione biografica e la ricostruzione del pensiero di Mazzini sono inclinate sull’asse della riflessione politologica. dal punto di vista storico il volume si appoggia robustamente sui lavori di della Peruta e sul recente libro di sarti. un approfondito scavo sulla sinistra fascista e sulle sue ascendenze repubblicane sta in giuseppe Parlato, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna, il Mulino, 2000; alla traccia analitica di Parlato sono debitore del quadro generale e anche della riscoperta dell’opuscolo Mazzini perseguitato dai savoja, istituto di studi mazziniani e del risorgimento, alessandria, alessandria 1944 (a pag. 64). 4. ricordiamo che a molti dirigenti del fascismo si poteva attribuire una formazione politica ed ideologica di stampo repubblicano o si richiamavano esplicitamente alla lezione di Mazzini, da Bottai a rocco o allo stesso gentile. 5. in questo caso si deve richiamare il testo di adolfo omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia, torino, einaudi, 1940, saggio ripreso nel volume Difesa del Risorgimento, torino, einaudi, 1955, pagg. 155-235. Per una ricostruzione generale della storiografia risorgimentale nel periodo fascista cfr. Massimo Baioni, Risorgimento in camicia nera. Studi, istituzioni, musei nell’Italia fascista, torino, Comitato di torino dell’istituto per la storia del risorgimento italiano, 2006. Non è senza interesse che pur essendo, e forse per quello, concentrato sul Comitato di torino e sul ruolo di de Vecchi nel volume non vi sia traccia delle vicende risorgimentali e del lavoro di scavo storico sulle vicende provinciali alessandrine. 6. La rievocazione della vicenda di galateri e del suo ruolo di governo in alessandria è affidata in questo caso ad un discorso di un ufficiale di artiglieria piemontese durante la guerra del 1866. L’uditorio è composto da ufficiali garibaldini che riescono, con il loro valoroso comportamento sul campo di battaglia, a fargli mutare l’opinione sul valore militare e politico dei volontari. da notare l’ovvio errore che imputa agli alessandrini: la distruzione di un isolotto. i patrioti alessandrini guidati dagli amici di Vochieri sradicarono a colpi di martello la lapide posta nel 1833 durante una fiaccolata notturna nel 1848. Nei giorni seguenti il Con-

21

Cesare Manganelli, I rischi della propaganda

NOTE


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

siglio del Comune abrogò definitivamente l’intitolazione dell’isolotto a galateri. L’aneddoto è in giuseppe Cesare abba, Cose garibaldine, torino 1907, pag. 249. L’episodio viene rievocato, con personaggi ed esiti diversi, anche nella raccolta di racconti edita dopo la morte di abba, Ricordi garibaldini, torino, 1913, pagg. 335-345, nel bozzetto dal titolo Aristocrazia e Camicia Rossa. (Echi del 1866). Non si può concordare anche sul ruolo di pulcino del popolo di alessandria durante il periodo successivo alle fucilazioni del 1833. tra i tanti episodi di insofferenza e di dissenso che sarebbe opportuno raccogliere e ordinare, riportiamo solo il testo di un foglio volante distribuito in molte copie subito dopo l’intitolazione dell’isolotto a galateri. Nel testo abbastanza chiaramente emerge la prima esplicita torsione interpretativa tesa a separare le responsabilità di Carlo albero da quelle di galateri. una interpretazione che avrà una lunga e tormentata storia fino quasi a nostri giorni. “Con ossequioso dolore/si ha da rammentar sempre/il volere sovrano/ingannato – rimuneratore /delle pazze azioni e delle stravaganti prepotenze /Come che il Conte galateri /governatore di alessandria/onde sopprimere i popoli/ed infievolire la benevolenza de’ sudditi/Verso il governo/La pubblica opinione /Contrapponeva questa lapida /a eterno scorno/della mendace e forzata adulazione della Civica amministrazione/ed a speranza /di superiore ravvedimento/e di lui che l’ha mendicata” in Pietro Civalieri, Memorie storiche di Alessandria. Parte III. 1829 – 1836, a cura di roberto Livraghi, gianfranco ivaldi, gian Maria Panizza, alessandria, 2009; pagg. 96-97. 7. cfr giampaolo Pansa, La guerra partigiana tra Genova e il Po. La Resistenza in Provincia di Alessandria, roma-Bari, Laterza, 1998; pagg. 46 e sgg.; vedi inoltre u. alfassio grimaldi, La stampa di Salò, Milano, Bompiani, 1979; pag. 42 e giorgio Fabre, L’elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei, torino, Zamorani, 1998; pag. 423. 8. giampaolo Pansa, la guerra partigiana cit.; pag. 49. sulla tormentata storia del ricordo di Vochieri cfr. donato d’urso, Ricordi di Andrea Vochieri in Alessandria, in “Bollettino delle domus Mazziniana”, 1998, n.2 ora in Vochieri e Galateri, l’eroica scelta e il tetragono dovere, a cura di ugo Boccassi e anna Cavalli, alessandria, igrafismi, 2005; pp.136-147 e Cesare Manganelli, Andrea Vochieri e la religione laica in Alessandria, in “Quaderno di storia contemporanea”, n.38, 2005. 9. sulla concomitante concorrenziale duplice sottoscrizione – 100 cannoni o 10.000 fucili – vedi Vincenzo Pacifici, La sottoscrizione per i Cento Cannoni di Alessandria: motivazioni, polemiche e svolgimento, in “rassegna storica del risorgimento”, a. LXXi, fasc. ii, aprile-giugno 1984; pagg. 184-188. 10. Certo 200.000 era una tiratura irrealistica in tempi di carenza di carta, ma l’opuscolo ebbe certamente una diffusione non trascurabile. da una prima ricerca bibliografica nelle biblioteche italiane ne sono state rintracciate 9 copie in 5 diverse biblioteche; una delle copie tra le 4 presenti nella biblioteca del Museo Nazionale del risorgimento proviene da una collezione privata (Fondo Marianetti). 11. sullo scandalo della posta intercettata cfr. emilia Morelli, L’Inghilterra di Mazzini, roma, istituto per la storia del risorgimento italiano, 1965; pagg. 55 e 73 e da roland sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, Laterza, roma-Bari, 2005; pagg. 147-149. 12. in e. Morelli, L’Inghilterra di Mazzini, cit.; pag. 55. 13. sull’orientamento storiografico di Bolton King e sulla sua fortuna in italia cfr. Walter Maturi, Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni di Storia della storiografia, torino, einaudi, 1962, pagg. 413-431. sulla monografia su Mazzini in particolare si veda pagg. 425-431. L’inter-

22


pretazione di Mazzini da parte di Bolton King era stata criticata da giovanni gentile in una recensione richiesta direttamente da Croce apparsa sulla “Critica” nel 1903. recensione ripubblicata nel 1923 nel volume Albori della nuova Italia. Varietà e documenti. La biografia scritta da Bolton King ebbe cinque edizioni da Barbera entro il 1925 e era conosciuto dagli intellettuali italiani; ad esempio Prezzolini e Papini nel 1905 lo conoscevano e scambiavano valutazioni lusinghiere nella loro corrispondenza. Cfr. simon Levis sullan, L’apostolo a brandelli, cit.; pag 121. 14. epistolario, voll. Xiii, imola, 1917; pagg. 259-271. Com’è noto Mazzini fu costretto ad assimilare rapidamente l’inglese scritto e parlato per non rimanere isolato nell’ambiente londinese e per non dover dividere i suoi magri guadagni di pubblicista con i traduttori dei suoi articoli e saggi. Per uno sguardo realistico, e impietoso, sulla situazione degli esuli italiani in inghilterra da Foscolo, santorre di santarosa a Mazzini si veda in emilia Morelli Glii esuli italiani e la società inglese nella prima metà dell’Ottocento, in “rassegna storica del risorgimento”, a. LXVi, fasc. 1 , gennaio-marzo 1979; pagg. 6-8. sullo stesso argomento si veda il recente lavoro di enrico Verdecchia, Londra dei cospiratori, Milano, tropea, 2010; pagg. 218-315; sullo scandalo delle lettere e l’articolo sulla “Westemister review” si veda in particolare pag. 262. Verdecchia non riconduce l’articolo alla traccia autobiografica preparata da Mazzini nella lettera del luglio 1844 per la rivista di stuart Mill. La statura di Mazzini come esponente di primo piano nella cultura politica inglese in salvo Mastellone, Mazzini scrittore politico europeo, in “rassegna storica del risorgimento”, a. XC, fasc. iii, luglio-settembre 2003; pagg. 339-346. Mastellone ha ritrovato l’opuscolo dal titolo Mazzini and the Etics of politicians che era stato tratto dall’articolo su Mazzini sulla “Westminster review” e considerato perduto. 15. epistolario, voll. Xiii, imola, 1917; pag. 259. 16. Nella sterminata letteratura sull’argomento ricordo solo la recente raccolta di saggi di Massimo Baioni, Risorgimento conteso. Memorie e usi pubblici nell’Italia contemporanea, reggio emilia, diabasis, 2009 e alberto M. Banti, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, torino, einaudi, 2000. La profonda impronta mazziniana nella cultura politica alessandrina è testimoniata anche dalla attività pubblicistica di Livio Pivano noto antifascista e leader del combattentismo democratico nell’immediato dopoguerra, che nel 1934 aveva pubblicato un libro dal titolo Episodi mazziniani. L’affare di Rhodez. Nel volumetto si rievocava la difesa di Mazzini del proprio, e di quello della giovane italia, onore politico in relazione all’accusa di omicidio nella Francia del 1832. La parte che ci interessa è l’ampio dibattito alla Camera dei Comuni sulla libertà politica e culturale che gli esuli da paesi tirannici devono avere in un paese libero come l’inghilterra. Cioè lo scontro sulla libertà postale che diede origine alla lettera di Mazzini che viene ripubblicata nell’opuscolo Mazzini perseguitato dai savoja. Pivano riporta ampi brani del dibattito parlamentare direttamente dagli Hansard’s Parlamentary Debates e si sofferma con particolare attenzione sulle dichiarazioni e sulle accuse dell’opposizione al Ministro graham. 17. Un’esperienza di antifascismo giovanile nei primi mesi della RSI: i gap in Alessandria, Conversazione con amaele abbiati raccolta da Cesare Manganelli in Alessandria dal fascismo alla Repubblica, a cura di roberto Botta e giorgio Canestri, alessandria, Boccassi editore, 1995; pag. 97. 18. La subitanea messa in sordina delle celebrazioni di Vochieri risponde ad un caso classico di irruzione della storia nel teatro della politica che si è sviluppato nell’europa continentale dal

23

Cesare Manganelli, I rischi della propaganda

Studi e ricerche


Quaderno di storia contemporanea/49

Studi e ricerche

XVi secolo; un esempio ormai classico è il tabù della madre assassina ( Maria stuarda e giacomo i ) e della mancata vendetta di amleto nella tragedia di shakespeare analizzati da Carl schmitt in Amleto ed Ecuba. L’irrompere del tempo nel gioco del dramma (Bologna, il Mulino, 1983). “una tremenda realtà storica balena dunque attraverso le maschere e i costumi dello spettacolo teatrale; e su questo punto nulla possono fare le interpretazioni filologiche, filosofiche o estetiche per acute che siano”; ivi; pagg. 55-56.

24


Studi e ricerche

Le radici riformiste del socialismo alessandrino

Nella storia d’italia alessandria detiene un primato forse non tra i più conosciuti. È stato, infatti, il primo comune capoluogo di provincia ad avere come sindaco un esponente del Partito socialista italiano: un evento di straordinaria importanza nella storia della sinistra italiana, per le sue implicazioni nel dibattito interno al movimento socialista e operaio in merito all’atteggiamento da tenere nei confronti delle istituzioni dello stato liberale. il 25 luglio 1899, i socialisti alessandrini issarono la bandiera rossa sul balcone del palazzo comunale in onore dell’orologiaio Paolo sacco 1, eletto sindaco della città dal consiglio comunale con i voti di dodici consiglieri socialisti, quindici democratici e due liberali. La conquista della guida dell’amministrazione comunale rappresenta certamente uno dei primi, significativi traguardi raggiunti dalla cultura e dalla tattica riformista, largamente maggioritaria nella locale sezione del Psi negli anni immediatamente seguenti la fondazione del partito nel 1892 2. Per comprendere meglio le origini del socialismo alessandrino è, però, necessario ricordare un’altra data fondativa: il 3 gennaio 1897, giorno in cui uscì il primo numero dell’“idea Nuova”, “giornale settimanale socialista di alessandria” 3. un periodo di informazione e di educazione della “plebe socialista”, destinato a incidere profondamente nell’evoluzione del nascente movimento del capoluogo e dell’intera provincia, oltre a essere un fedele testimone del dibattito, a volte aspro, e dei travagli del partito socialista alessandrino e più in generale del movimento operaio in italia. Forte di una diffusa rete mutualistica composta dalle società operaie di mutuo soccorso (le soMs) e da alcune iniziative di cooperazione nel settore del consumo e dopo la breve esperienza del Partito operaio, che trasferì nel 1887 la sua sede nazionale ad alessandria a causa della repressione go-

25

Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino

Federico Fornaro


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

vernativa, il primo circolo socialista fu fondato nel 1894 su iniziativa del calzolaio giovanni Battista Casorati, dell’impiegato Vincenzo griggi, dei fratelli cappellai Pollarolo e del già ricordato orologiaio Paolo sacco. Per il movimento socialista italiano sono anni molto difficili. dopo la rottura con l’anarchismo, sancita a genova il 15 agosto del 1892 con la fondazione del Partito dei lavoratori italiani (congresso a cui partecipa come delegato il futuro sindaco di alessandria, Paolo sacco) e riconfermata l’anno seguente a reggio emilia (congresso in cui viene decisa l’aggiunta nel nome del partito dell’aggettivo socialista), il governo guidato da Francesco Crispi decise di rispondere con durezza alle rivolte dei contadini riuniti nei fasci siciliani e degli anarchici in Lunigiana. il 22 ottobre 1894 il Partito socialista fu così sciolto d’autorità e nel congresso clandestino di Parma (1895) i delegati scelsero il nome definitivo del partito (Partito socialista italiano). un assise che, per ragioni di sicurezza, sancì il passaggio da un modello organizzativo fondato sulle adesioni collettive (leghe sindacali, circoli ricreativi, soMs, ecc.) a quello basato sulle adesioni individuali, con una struttura piramidale tipica dei partiti d’integrazione di massa: sezione, federazione, direzione nazionale (organismi periodicamente eletti in congressi) e il gruppo parlamentare 4. L’emergere di una esigenza diffusa di poter disporre di uno strumento di circolazione di informazione e di un luogo di dibattito culturale e politico, che fosse in grado di rendere omogenea e unitaria l’azione di rivendicazione del sindacato e del partito, portò, quindi, alla decisione di dar vita, agli inizi del 1897, a “L’idea Nuova”. il settimanale andava ad aggiungersi nel panorama della pubblicista di partito al quotidiano nazionale “L’avanti !”, uscito, per la prima volta, pochi giorni prima, il 25 dicembre 1896, sotto la direzione di Leonida Bissolati. in una fase complessa e contraddittoria della storia nazionale, segnata da uno straordinario sviluppo dell’industria, il socialismo italiano (e quello alessandrino) si trovarono, da subito, al centro di un confronto serrato tra l’opzione rivoluzionaria (intransigente verso compromessi con le istituzioni della democrazia borghese) e la tendenza gradualista, più disponibile a ricercare soluzioni pragmatiche per migliorare nell’immediato (senza rimandare alla futura società socialista senza classi) la vita quotidiana delle

26


fasce più deboli della società. in vista delle elezioni politiche del 1897, la direzione nazionale del Psi, decise di inviare come candidato nel collegio di alessandria (all’epoca composto dalle sezioni elettorali del capoluogo più quelle dei sobborghi), il “professore pareggiato di diritto e Procedura Penale” dell’università di Pisa, adolfo Zerboglio 5, grande amico di Filippo turati e apertamente schierato contro gli eccessi dei rivoluzionari: esempio di quell’“andata al popolo” degli intellettuali, a suo tempo efficacemente descritta da Paolo spriano 6. attraverso i suoi articoli su “L’idea Nuova”, Zerboglio orientò fortemente il gruppo dirigente e i militanti socialisti di alessandria, senza peraltro mai dissimulare la sua convinta adesione alla cultura gradualista e riformista 7. esemplare,a riguardo, è il suo primo contributo di approfondimento teorico, apparso il 14 febbraio 1897 sul periodico socialista alessandrino. Bisogna fare la rivoluzione, sbraitano dei sognatori dei forsennati, degli ignoranti e dei criminali, ed impiccare i borghesi, dare fuoco ai palagi [sic], distruggere abbattere, e poi sulle fumanti rovine, come se si trattasse di far saltare da una scatola un diavolino di Cartesio, inaugurare una beata società dove non vi saranno più mendichi, né prostitute, né viziosi, né prepotenti, e in una uguaglianza spettacolosa, le genti risorte preliberanno sulla terra i gaudii del paradiso dei cieli. di questo mostruoso concetto della rivoluzione il socialismo, che se è sentimento, è più che altro scienza, e scienza positiva, non sa e non vuol sapere nulla. […] La vera rivoluzione socialista non è quella che si combatterà per le vie per domare la spasmodica agonia di una società morente, ma è quella incruenta che si fa, ora per ora, giorno per giorno colla conquista degli individui e delle masse alla fede che oggi non è tanto lontana dal meriggio. La rivoluzione socialista è quella che si fa coi libri, coi giornali, coi discorsi pubblici, domestici, famigliari, con denudamento assiduo della putredine onde è guasta la società moderna, ed è una rivoluzione calma, dignitosa, sicura, che, quando sarà compiuta, costituirà l’effettuazione incrollabile degli ideali che la mossero e la fecondarono senza temere (conforme avviene invece per le rivoluzioni precipitose ed impulsive) di reazioni vittoriose 8.

27

Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino

Studi e ricerche


Quaderno di storia contemporanea/49

Per Zerboglio, infine, non ci sono dubbi sulla tattica da adottare: “La rivoluzione socialista ha per arma principale le schede. Che i socialisti entrino nei municipi e nei parlamenti, sfrattandovi i rappresentanti della borghesia e la rivoluzione socialista è come fatta”. altrettanto netto è il giudizio conclusivo di chiusura rispetto agli estremisti: “gridare, maledire ai dominatori e voler scendere impreparati per le strade, e sgozzare od appiccare alla lanterna dei borghesi, molto di frequente anche assai migliori dei loro carnefici, è roba da menti traviate, è stupida e ripugnante coreografia sociale e non la rivoluzione di umanità superiore, ma di una masnada briaca [sic] di donchisciotti”. un approccio apertamente gradualista alla rivoluzione socialista, quello proposto da Zerboglio, che anticipa la famosa immagine dei “fiocchi di neve” che formeranno alla fine “una valanga”, proposta sulla “Critica sociale” da Filippo turati e anna Kuliscioff nel giugno del 1900 9. Non è un caso, quindi, che nel programma predisposto dalla sezione alessandrina per la campagna elettorale in vista delle consultazioni per il rinnovo della Camera dei deputati ( 21 marzo 1897), si ritrovi l’impronta di una “rivoluzione calma e rassicurante”, in perfetta sintonia con l’impostazione indicata dal candidato Zerboglio.

Studi e ricerche

Vi dicono che i socialisti insegnano a odiare i ricchi: non è vero. anche fra i ricchi c’è della brava gente. Ma finché manderete alla Camera soltanto cavalieri, commendatori, nobili, generali, banchieri, padroni di fabbrica, grossi proprietari di terreno, costoro continueranno a far leggi in favore di sé medesimi, e appena nominati dimenticheranno i poveri diavoli che han dato loro il voto. Voi non dovete odiare i signori, anzi li dovete rispettare ed amare come vostro prossimo, ma non eleggerli a deputati 10.

L’esistenza di una “programma massimo” e di un “programma minimo” non è, dunque, nascosto agli elettori. L’obiettivo finale dei socialisti rimane quello della proprietà collettiva dei terreni e dei beni produzione, il benessere dei lavoratori e l’istruzione pubblica per tutti, ma ampio spazio nella propaganda è riservato a leggi di “minor importanza”, ma non per questo meno efficaci per migliorare la condizione dei lavoratori, a comin-

28


ciare dalle otto ore di lavoro quotidiano, dalla lotta al lavoro minorile, dal diritto alla pensione, da una tassazione progressiva, dalla scuola obbligatoria fino alla quinta elementare e anche dall’introduzione dello strumento del referendum, con un diretto richiamo all’esperienza della svizzera, per finire con il suffragio universale e l’indennità ai deputati. sebbene il responso delle urne li veda sconfitti, i socialisti ottengono un significativo risultato in termini di consenso, costringendo il deputato uscente giuseppe Frascara al ballottaggio (il 28 marzo 1897) 11, un confronto perso di misura (2.030 voti contro 2.134 dell’esponente liberale). Zerboglio ottiene più consensi del suo avversario in quattro seggi della città (su nove) e in sei seggi dei sobborghi (su quattordici). determinante per la riconferma di Frascara risultò essere il seggio di Castelferro, Portanova, ritorto (148 voti a 27), zona d’origine del parlamentare rieletto. Nella primavera dell’anno successivo, il 1898, il gruppo dirigente lombardo del Psi, in particolare, si ritrovò, suo malgrado, nuovamente al centro della repressione governativa, con la proclamazione dello stato d’assedio e le cannonate sparate sulla folla per ordine del generale Bava Beccaris. seguirono gli arresti di turati (condannato a dodici anni quale organizzatore del complotto), di anna Kuliscioff, di Costantino Lazzari e di altri militanti e pubblicisti socialisti, mentre venivano sciolte d’autorità numerose leghe, cooperative e circoli. il dispiegarsi di un disegno autoritario e antipopolare, costrinse anche la sezione socialista alessandrina a mettere da parte i propositi di intransigenza rivoluzionaria, per ricercare un’alleanza con radicali, repubblicani e democratici per la difesa delle libertà civili e dei poteri del Parlamento. in vista delle elezioni amministrative del giugno 1899, il circolo elettorale socialista di alessandria si interrogò sulla tattica da adottare 12, giungendo, con l’autorizzazione della Commissione esecutiva nazionale (segretario del partito andrea Costa), a dichiararsi “non alieno dall’appoggiare la lista dei candidati della democratica, che accettassero il programma amministrativo del Partito e dessero affidamento sicuro di opporsi all’attuale reazione politica e fiscale” 13. essendo elezioni parziali, le liste erano limitate a dodici candidati. Per i socialisti si presentarono rocco arancio (albergatore), ambrogio Belloni (avvocato), Luigi Cellerino (fer-

29

Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino

Studi e ricerche


Quaderno di storia contemporanea/49

roviere), antonio Lometti (ombrellaio), Luigi Moralis (sarto), ernesto Pistoia (negoziante), Lorenzo Pollarolo (calzolaio), giuseppe roveta (muratore), Paolo sacco (orologiaio), Michele salio (dottore), ernesto torre (industriale) e Leopoldo Vitale (negoziante). interessante osservare anche la composizione sociale della lista dell’associazione democratica, alleata dei socialisti e sostenitrice due anni prima di Zerboglio al ballottaggio, che candidò giovanni Caliogna (commesso), emilio de antonio (dottore), giovanni dossena (avvocato), Pietro denicolai (Presidente della società Cappellai), Moisè Foa (ingegnere), Carlo garrino (farmacista), giovanni Maino (presidente società operai uniti), giovanni guassardi (proprietario), Vittorio Peola (avvocato), Francesco Piccinini (geometra) e Luigi stradella (geometra). L’assemblea del circolo elettorale socialista nel dispositivo in cui si approva il reciproco sostegno elettorale, precisa con forza come “non trattasi, dunque, di connubio né di bastarde alleanze in base a compromessi non confessabili d’interessi faziosi o d’ambizioni. si tratta unicamente di mandare all’amministrazione del Comune – accanto ai clienti di altre classi – una rappresentanza delle classe popolari che hanno bisogni collettivi da far valere immediatamente ed aspirazioni che non si possono conculcare. È lotta civile di principii non rissa barbarica di persone” 14. Nell’appello ai cittadini elettori, la sezione socialista di alessandria “pur non derogando dalle norme prestabilite dai Congressi del Partito socialista italiano”, ribadisce comunque la necessità di non rimanere “spettatori impassibili” e di opporsi “con tutti i modi che la legge consente” contro la repressione:

Studi e ricerche

Questa è la battaglia che a noi socialisti e ai partiti sinceramente democratici e liberali impone l’ora presente a difesa delle più preziose conquiste della civiltà. Persuasi, come socialisti (corsivo in originale), che l’attuazione completa del nostro programma (la collettivizzazione e la gestione sociale dei mezzi di lavoro e di scambio) non può determinarsi per improvvisa lacerazione dell’attuale sistema economico, con un fortunato colpo di piazza o un decreto dittatoriale, ma sarà il portato dell’evoluzione sociale attraverso la granitica della legislazione, noi sentiamo per intanto il debito

30


Studi e ricerche

in questa fase, perciò, non vi possono essere dubbi sulla prevalenza nella sezione socialista di alessandria di una cultura legalitaria, gradualista e evoluzionista, riconducibile al filone politico-culturale del riformismo turatiano. anche nel merito del programma amministrativo si possono osservare temi cari alla propaganda e alle linee guida gradualiste: l’abolizione dei dazi di consumo, la municipalizzazione dei servizi pubblici, la pubblica istruzione gratuita (comprensiva del corredo e della refezione degli alunni più poveri), l’igiene pubblica (l’ospedale di alessandria risulta, infatti, carente di un padiglione per le malattie infettive), il controllo del comune sulla pubblica assistenza, allora prerogativa delle istituzioni religiose, i controlli sulla sicurezza del lavoro, fino a schierarsi a favore della “piena autonomia, e all’uso dé proprii fondi integralmente, senza versare canoni al governo, che ne fa così indegno sperpero in onta ai bisogni veri della nazione”. Le coalizioni di radicali, repubblicani e socialisti vinsero nelle principali città del Centro-Nord nel turno parziale amministrativo del giugno 1899, segnando una svolta nella politica nazionale e in una certa misura la sconfitta della deriva repressiva imposta dal governo 16. È in questo contesto che toccherà in sorte ad alessandria il primato di diventare, come già ricordato, il primo capoluogo di provincia italiano guidato da un sindaco socialista 17. Nel suo primo discorso di fronte al Consiglio comunale che lo ha eletto, Paolo sacco, esprime la sua soddisfazione per L’aver voluto un modesto operaio all’insigne ufficio di primo magistrato del Comune significa, o amici, o signori, atto solenne di riconoscimento del valore sociale di quella classe che tenuta fino ad oggi in condizioni di minorità economica e politica va faticosamente conquistando, con l’armi della civiltà, il posto che le compete nell’amministrazione della cosa pubblica. […] Conscio della grande responsabilità che nel nome del mio partito mi viene imposta, con sicuro animo so di poter attestare che io e gli amici miei

31

Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino

primo di opporci alla sopraffazione della violenza e del parassitismo governativo. Non vogliamo lasciarci uccidere politicamente. tentiamo di far breccia nelle amministrazioni comunali per resistere fino all’ultimo e per difendere, a beneficio comune, i diritti acquisiti 15.


Quaderno di storia contemporanea/49

Studi e ricerche

non fummo qui mandati a far opera di setta e di vendetta ma, per quanto è possibile, a por mano ad una serie di riforme pratiche, volute dalla maggioranza dei nostri concittadini e richieste dalla necessità dei tempi 18.

La conquista del Comune rispetta, dunque, appieno i canoni dell’approccio riformista alla questione dei municipi e appare perfettamente coerente con la visione di quella “rivoluzione calma, dignitosa e sicura” annunciata da Zerboglio nel 1897 sull’“idea Nuova”. un obiettivo raggiunto in tempi rapidi e in un contesto ambientale assai difficile e ostile. di qui l’esigenza di rassicurare l’elettorato, che traspare dallo stesso discorso di sacco, perché deve essere chiaro all’opinione pubblica che non è arrivata ad amministrare il bene comune un’orda di barbari, vendicatori, ma un gruppo di uomini che intende allargare i diritti e più generale diffondere il benessere a tutti, senza rivoluzioni e spargimento di sangue. La prima esperienza di governo socialista della città è destinata, però a durare pochi mesi, a causa della debolezza numerica (e politica) della coalizione con radicali e democratici. La mancanza di una maggioranza consiliare stabile (ventisette seggi su sessanta), infatti, determinerà, il 13 settembre 1899, la caduta della giunta guidata da Paolo sacco (il casus belli sarà la mancata approvazione di una delibera per la riduzione dell’orario delle guardie daziarie da sedici a dodici ore) e l’indizione di nuove elezioni, il 10 dicembre dello stesso anno. una consultazione che farà registrare una netta vittoria dei conservatori, uniti sotto il simbolo del Partito costituzionale 19. all’appuntamento elettorale, questa volta i socialisti si presentarono da soli e la sconfitta risultò sonora: solamente quattro consiglieri eletti 20. La risposta data alla bocciatura amministrativa fu quella di un rinnovato impegno nell’organizzazione del partito e del sindacato (il 20 gennaio 1901 viene fondata la Camera del Lavoro di alessandria) 21 e il radicamento raggiunto dal Psi è testimoniato dalla vittoria (poi sovvertita) di Zerboglio nelle elezioni politiche del 3 giugno 1900 22. sull’onda di un ottimo risultato nazionale dei candidati socialisti,infatti, il candidato del Psi si prese la rivincita della sconfitta del 1897 e al primo turno riuscì a superare il deputato liberale uscente Frascara con 2.370 voti contro 2.306. La procla-

32


mazione del risultato da parte dei presidenti di seggio, fu, però, contestata dallo sconfitto. La legge dell’epoca, infatti, prevedeva che al primo turno, per essere eletto, il candidato più votato doveva superare il quorum del 50% + 1 dei voti espressi. Così, per soli diciotto voti e al termine di un lungo contenzioso, Frascara vinse la sua battaglia per l’annullamento dell’elezione di Zerboglio e fu indetta un’elezione straordinaria di ballottaggio per il 23 dicembre 1900. Nel frattempo gli aventi diritto aumentarono (da 8.081 a 8.635) e, alla fine, risultarono in crescita anche i votanti, che passarono da 4.796 a 5.662 (con un incremento di 866 unità). a prevalere al ballottaggio fu Frascara: 2.932 voti ( + 626 rispetto a giugno) contro i 2.661 di Zerboglio ( + 291 sul primo turno). È una sconfitta bruciante, sebbene il trend dei consensi al Psi continui a essere in ascesa. Nel suo ringraziamento agli elettori, Zerboglio osserverà, infatti, come i 1.225 voti del marzo 1897 fossero saliti a 2.661 del dicembre 1900, ben oltre il raddoppio del numero di consensi 23. sul piano nazionale, il Congresso di roma (8-10 settembre 1900) aveva visto l’affermazione della corrente riformista guidata da turati e treves e l’anno seguente il gruppo parlamentare socialista diede il suo voto favorevole ai bilanci del ministero degli esteri e dell’interno del governo Zanardelli-giolitti. una svolta destinata a rinfocolare il dibattito all’interno del Partito socialista. arturo Labriola, l’enfant terribile del socialismo italiano, non ancora trentenne, seguace di sorel, e il milanese Costantino Lazzari si posero alla guida dell’ala “intransigente”, contraria alla collaborazione con i governi borghesi e favorevole, invece, alla lotta di classe e agli scioperi come strumento per preparare la rivoluzione. Le tensioni tra le correnti finirono, inevitabilmente, per ripercuotersi anche in periferia. Nelle amministrative parziali del 15 giugno 1902, i socialisti, in piena sintonia con le direttive nazionali, si presentarono nuovamente da soli su di una piattaforma programmatica che accanto al “fine ultimo” (“i mezzi di produzione e di scambio, cessino di essere monopolio di una sola frazione della cittadinanza e siano fatti patrimonio collettivo indivisibile, sì che ciascuno possa ottenere il frutto delle sue fatiche”), confermava i principali obiettivi amministrativi del riformismo municipale 24. Questa volta la sconfitta patita fu tutto sommato onorevole 25 (43% e

33

Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino

Studi e ricerche


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

otto eletti contro il 45% dei liberali vincitori e il 7,5% dei democratici), ma si acuirono i contrasti interni al partito tra riformisti e massimalisti. Paolo sacco lasciò alessandria per andare a dirigere la Federazione Nazionale dei Lavoratori del Mare, salvo poi essere richiamato in tutta fretta, all’inizio di gennaio 1904, per rilanciare la locale Camera del Lavoro, dopo la defenestrazione di Mario Mombello dalla segreteria del sindacato alessandrino 26. intanto, con la sostituzione alla direzione dell’ “avanti !” di Bissolati con Ferri, la linea intransigente conquistò un importante tribuna per diffondere le sue tesi e alimentare la propaganda antigiolittiana. Le contraddizioni e limiti della politica collaborazionista emersero in tutta la loro evidenza in occasione della crisi del governo Zanardelli (ottobre 1903) e del successivo incarico a giolitti per la formazione di un nuovo esecutivo. turati declinò l’invito ad allargare la maggioranza governativa ai socialisti, consapevole che il partito non lo avrebbe seguito. si arrivò così alla resa dei conti nel congresso di Bologna (aprile 1904), in cui, confermando le previsioni della vigilia, si registrò la vittoria dell’ala rivoluzionaria, grazie a una alleanza tra le correnti di Labriola e di Ferri. Nella fase pre-congressuale, il circolo socialista, a maggioranza, si schierò a favore dell’ordine del giorno nazionale firmato da agnini, Cabrini, Leone, Lollini, Morgari, rigola, rondani, sichel, in cui dopo aver dato atto che “l’appoggio dato dal gruppo parlamentare socialista al Ministero Zanardelli-giolitti fu imposto dalla transitoria necessità di superare la fase reazionaria e assicurare al proletariato italiano le condizioni del suo normale sviluppo”, si auspicava che “il gruppo parlamentare debba negare il suo appoggio a qualsiasi combinazione ministeriale, salvo riesaminare la questione quando nuove e più gagliarde correnti democratiche si manifestassero nella vita politica del paese” 27. rappresentante della sezione al congresso fu nominato Paolo sacco. tra i sostenitori delle posizioni intransigenti del direttore dell’“avanti !”, enrico Ferri, ritroviamo, invece, l’avvocato ambrogio Belloni 28, che nel suo contributo alla discussione congressuale auspica una maggiore unità del partito, nel solco della lotta di classe e non esclude riforme immediate, a condizione che esse siano “altrettante tappe dell’indebolimento definitivo della classe capitalistica” 29. il portavoce dei sindacalisti rivoluzionari di La-

34


Studi e ricerche

il nostro partito ha una debolezza costituzionale, inevitabile e collegata alla sua forza ed alla sua natura, ma che non meno una debolezza immensa, e questo è, che, nel suo seno il più ignorante degli aderenti può discutere dei più delicati problemi sociali colla stessa autorità di Carlo Marx redivivo e l’incompetenza maggiore, all’ombra della tessera socialista è, astrattamente quotata alla pari della più solida competenza radicata nell’impegno e formatasi nell’assiduità dello studio continuo e coscienzioso 32.

in conseguenza dei modificati equilibri tra le correnti, si verifica un cambio della guardia anche nella redazione de “L’idea Nuova”, dove ernesto Pistoia 33, Paolo sacco e il direttore giulio Pugliese, rassegnano le dimissioni a causa della loro contrarietà all’indirizzo “voluto dalla maggioranza della nostra sezione e dalle deliberazioni del Congresso di Bologna” 34. a prendere le redini del settimanale arrivarono così ambrogio Belloni, ernesto torre, annibale reposi e Pietro Balbiano 35. il dibattito sulle “tendenze” – così erano definite all’epoca le correnti – proseguirà nell’estate 1904 sulle colonne de “L’idea Nuova” con un confronto tra enrico Leone 36, uno degli esponenti di punta della nuova maggioranza Ferri-Labriola e il deputato locale adolfo Zerboglio. Quest’ultimo, in un lungo e appassionato articolo dal titolo Perché sono riformista difende le ragioni di quella che definisce la collaborazione di classe e la coerente appartenenza all’“orbita e alla direttiva del socialismo” delle riforme: “concludendo, io sono riformista perché sono... socialista” 37. dal canto suo, Leone ribadisce la differenza tra le due tendenze: i riformisti anche senza volerlo mettono a capo della loro attività le riforme e su di esse limitano la loro azione, per cangiarla e allargarla dopo che sia conquistata. i rivoluzionari non ammettono niuna limitazione (corsivo in originale) all’azione integrale del par-

35

Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino

briola è, invece, ernesto Pozzi, nettamente schierato su posizioni contrarie a qualsivoglia cedimento collaborazionista 30. L’esito del Congresso nazionale, con la vittoria della nuova maggioranza guidata da Ferri 31 è amaramente commentato da adolfo Zerboglio sull’“L’idea Nuova”:


Quaderno di storia contemporanea/49

Studi e ricerche

tito, che come rappresentanza della classe oppressa resta all’opposizione politica e sociale in modo continuativo. e invece i compromessi, e le collaborazioni infrenano (sic) in un mutuo impegno con le classi che hanno il potere, l’azione del partito, ne fiaccano l’elasticità e le energie. ebbene la disputa delle due tendenze, non è che la ribellione del socialismo nella lotta di classe che si è definito rivoluzionario contro questo neo-socialismo democratico, che soltanto ora a malincuore si va rassegnando a chiamarsi riformista 38.

Lo sciopero generale del settembre 1904 non soltanto acuì le divisioni interne al Psi (turati parlò esplicitamente di “movimento anarchico), ma spinse giolitti a indire elezioni anticipate pensando di trarre vantaggio dalla paura borghese della rivoluzione 39. in effetti dalle urne, il 6 novembre 1904 uscì una maggioranza moderata rafforzata, mentre i socialisti persero alcuni seggi rispetto alle precedenti elezioni. ancora una volta, però, la grande maggioranza dei nuovi deputati del Psi era schierato su posizioni riformiste, mentre tra i sindacalisti rivoluzionari fu eletto il solo dugoni e lo stesso Labriola fu sconfitto al ballottaggio 40. si riproponeva così un dualismo politicamente e organizzativamente devastante per il Psi tra la direzione nazionale, schierata in maggioranza su posizioni intransigenti-rivoluzionaria e il gruppo parlamentare, fedele all’impostazione gradualista e riformista. Nel collegio di alessandria, fu nuovamente candidato il riformista adolfo Zerboglio che, questa volta, riuscì a superare, senza contestazioni, il deputato uscente Frascara. su 10.374 aventi diritto, si recarono ai seggi 6.780 elettori. il candidato socialista stravinse con 3.675 voti contro i 2.985 del suo avversario: un affermazione elettorale ampia, che testimonia la bontà del lavoro organizzativo e politico del circolo socialista e la capacità di Zerboglio di andare, come tutti i parlamentari riformisti, oltre i ristretti bacini tradizionali di consenso del partito. a dieci anni di distanza dalla fondazione del suo primo circolo e a cinque dalla nomina di Paolo sacco a sindaco della città, il Partito socialista alessandrino è, così, ora in grado di festeggiare l’elezione di Zerboglio a deputato. un risultato ottenuto mantenendo ferma la barra di una coerente strategia e tattica riformista, nonostante i contrasti tra le tendenze nazionali: un ulteriore conferma di come le radici riformiste del socialismo e

36


della sinistra alessandrina affondino in quella stagione di lotte per le riforme e nel municipalismo socialista. in vista del rinnovo del consiglio comunale, il 28 gennaio 1905, il circolo socialista di alessandria indisse un referendum tra gli iscritti. il quesito proposto era molto semplice e lineare: “deve il Partito socialista nelle imminenti elezioni amministrative allearsi ai partiti popolari?”. La risposta fu largamente positiva e provocò l’abbandono della redazione de “L’idea Nuova” da parte di ambrogio Belloni e degli altri esponenti della tendenza intransigente: “i sottoscritti dopo l’esito del referendum che avviava il partito nostro verso un indirizzo contrario alle loro vedute, di buon grado cedono la penna ai compagni più adatti alle attuali circostanze e ossequienti al principio di disciplina, senza il quale non può esistere partito, si inchinano al volere della grande maggioranza” 41. sarà proprio il prevalere della tendenza riformista in seno al Psi, a favorire l’apertura di una nuovo ciclo di collaborazione con le altre forze repubblicane e democratiche, che culminerà con la riconquista della maggioranza nel Consiglio comunale di alessandria nelle elezioni amministrative del 26 febbraio 1905. La coalizione dell’“unione partiti popolari”ottenne, infatti, quarantotto seggi (32 socialisti, 8 democratici e 8 repubblicani) 42, lasciando solamente dodici eletti a clericali e liberali. il 4 marzo 1905 il riformista Paolo sacco è nuovamente eletto, dal Consiglio comunale, sindaco di alessandria 43. “abbiamo vinto, perché dovevamo vincere, perché non potevamo non vincere” – scriverà “L’idea Nuova” – “il proletariato, il popolo è sempre stato considerato un bambinone irrequieto ma ingenuo al quale si possono far scordare le bruciature con un zuccherino. Le elezioni di domenica hanno detto che il bambinone si è fatto uomo e forte e capace di dirigere da sé e per sé stesso la barca del Comune” 44.

37

Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino

Studi e ricerche


Quaderno di storia contemporanea/49

Studi e ricerche

NOTE 1. su Paolo sacco (1861-1942) vedi F. andreucci e t. detti, Il movimento operaio. Dizionario biografico, vol. iV, roma, editori riuniti,1978; pagg. 442-444. 2. Per un approfondimento sulle vicende interne al Psi dopo la fondazione del partito vedi Z. Ciuffoletti, Storia del PSI. I Le origini e l’età giolittiana, Bari-roma, 1992. sul socialismo piemontese vedi F. Livorsi, Tendenze del socialismo italiano e realtà piemontese, in P. audenino (a cura di), Democratici e socialisti nel Piemonte dell’Ottocento, Milano, Francoangeli, 1995; pagg. 460-475. sul Partito operaio in alessandria vedi L. Lorenzini, La Lega figli del lavoro di Alessandria, in P. audenino (a cura di), Democratici e socialisti nel Piemonte dell’Ottocento, cit.; pagg. 224-243. 3. sull’“idea Nuova” vedi a. Ballerino, L’idea e la ciminiera, recco-genova, Le Mani, 2010; pagg.127-132. dal n.72 il sottotitolo diventa “giornale settimanale socialista della provincia di alessandria”, dal n.185 “organo della federazione socialista intercollegiale di alessandria” e dal n. 242 più semplicemente “giornale socialista”. 4. sull’organizzazione del Psi vedi M. ridolfi, Il PSI e la nascita del partito di massa (1892-1992), Bari-roma, Laterza, 1992. 5. su adolfo Zerboglio (1866-1950) vedi F. andreucci e t. detti, Il movimento operaio. Dizionario biografico, vol. V, cit.; pagg. 294-297. 6. Vedi il capitolo Il socialismo dei professori in P. spriano, Storia di Torino operaia e socialista, torino, einaudi, 1972; pagg. 37-60. 7. Nonostante si tendi a retrodatarne la data di nascita, l’esordio del riformismo socialista e quindi del termine “riformista” fu nel congresso socialista di roma (8-10 settembre 1900). Per un approfondimento vedi F. Fornaro, L’anomalia riformista, Venezia, Marsilio, 2008; pagg. 11-42. 8. a. Zerboglio, La rivoluzione sociale come la intendono i socialisti, in “L’idea Nuova” del 14 febbraio 1897, a. i, n. 7. 9. t.K.(F. turati e a. Kuliscioff), Dichiarazioni necessarie. Rivoluzionari e opportunisti, in “Critica sociale”, del 1° giugno 1900. 10. Per chi dovete votare (consigli agli uomini che vivono del proprio lavoro), in “L’idea Nuova” del 14 marzo 1897, a. i, numero 11. 11. il Psi elesse in italia quindici deputati, di cui due in Piemonte (oddino Morgari nel collegio di torino ii e Quirino Nofri a torino iV). in provincia di alessandria furono sconfitti anche Paolo sacco (collegio di Vignale), giovanni Lerda (Novi Ligure), arnoldo Norlenghi (oviglio) e Paride Lilia (tortona). 12. Vedi a. Belloni, Il Partito socialista e le elezioni comunali, in “L’idea Nuova” del 21 maggio 1899, a. iii, n. 105, con la risposta firmata g.c. (il direttore giusto Calvi). 13. “L’idea Nuova” del 10 giugno 1899, a. iii, n.108. 14. idem. 15. “L’idea Nuova” del 3 giugno 1899, a. iii, n. 107. 16. a Milano il comune è conquistato da una coalizione composta da repubblicani, democratici e socialisti; mentre a torino su quaranta nuovi consiglieri, diciassette sono socialisti. Vedi M.grandinetti, Movimento sindacale e politica socialista a Torino negli ultimi anni dell’Ottocento, in Storia del movimento operaio del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, cit.; pagg. 364-371.

38


17. La giunta è composta da: ambrogio Belloni (socialista-avvocato), ettore Cavalli (ragioniere), emilio de antonio (democratico-medico), Pietro denicolai (democratico-cappellaio), Moise Foa (democratico-ingegnere), antonio Lometti (socialista-ombrellaio), Luigi Moralis (socialista-sarto), Vittorio Peola (democratico-avvocato), ernesto Pistoia (socialista-negoziante), Michele salio (socialista-medico chirurgo), Luigi stradella (democratico-geometra), ernesto torre (socialista-industriale). 18. “L’idea Nuova” del 29 luglio 1899, a. iii, n. 115. 19. Per un approfondimento vedi g.Barberis, Il primo comune socialista in Italia, in Storia del movimento operaio del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, vol. ii, Bari, de donato,1979; pagg. 469-479. 20. i candidati socialisti furono: rocco arancio (albergatore), ambrogio Belloni (avvocato), giovanni Battista Casorati (calzolaio), Luigi Cellerino (ferroviere), giovanni Fabbri (ferroviere), Luigi gagliardi (impiegato), giuseppe garbarono (cappellaio), Felice Lenti (orefice), antonio Lometti (ombrellaio), Federico Marescotti (negoziante), Luigi Moralis (sarto), Carlo Noledi (meccanico), Maurizio Pietrasanta (libraio), ernesto Pistoia (negoziante), Lorenzo Pollarolo (cappellaio), angelo g.B. Porta (contabile), giuseppe re (agricoltore), annibale reposi (scritturale), giuseppe roveta (muratore), Paolo sacco (orologiaio), Michele salio (dottore), ernesto torre (industriale), giulio traversa (fabbricante oreficeria) e Leopoldo Vitale (negoziante). 21. sulle origini del sindacato ad alessandria vedi r. Botta, Le origini della Camera del Lavoro di Alessandria, alessandria, edizioni dell’orso, 1985 e g. Pompilio, La Camera del Lavoro di Alessandria dalle origini alla prima Guerra Mondiale, recco-genova, Le Mani, 2003. 22. in Piemonte sono eletti per il Psi: Morgari (torino ii), Nofri (torino iV),Vigna (Vignale), rigola (Biella) e rondani (Cossato). 23. “L’idea Nuova” del 29 dicembre 1900, a. iV, n. 190. 24. Vedi “L’idea Nuova” del 6 giugno 1902, a. Vi, n.264. 25. i candidati socialisti sono rocco arancio (esercente), Michele avidano (Presidente Cooperativa Ferrovieri), ambrogio Belloni (avvocato), Luigi Boveri (metallurgico), Francesco della grisa (geometra), Luigi gagliardi (impiegato), giovanni gay (ingegnere), Vittorio gatti (calzolaio), Felice Lenti (orefice), antonio Lometti (ombrellaio), Federico Marescotti (negoziante), Luigi Moralis (sarto), Maurizio Pietrasanta (libraio), Lorenzo Pollarolo (cappellaio), angelo g.B. Porta (contabile), giovanni Prato (muratore), giuseppe re (agricoltore), giuseppe roveta (muratore), Michele salio (dottore), tranquillo timossi (impiegato ferroviere), ernesto torre (industriale), giulio traversa (fabbricante orefice), angelo Verzetti (commesso) e Leopoldo Vitale (negoziante). Cfr. “L’idea Nuova” del 6 giugno 1902, a. Vi, n.264. 26. su questa vicenda vedi g.Pompilio, La Camera del Lavoro di Alessandria, cit., pag. 41 e ss. 27. Per il testo integrale dell’ordine del giorno vedi “L’idea Nuova” 2 aprile 1904, a.Viii, n. 359. 28. su ambrogio Belloni (1864-1950) vedi F.andreucci e t.detti, Il movimento operaio. Dizionario biografico, vol. i, cit., pagg. 226-229. 29. Cfr. “L’idea Nuova” 2 aprile 1904, a. Viii, n. 359. 30. idem. 31. Per l’ordine del giorno Ferri, vedi “L’idea Nuova” del 16 aprile 1904, a. Viii, n. 361. 32. a. Zerboglio, Il Congresso di Bologna e la lezione dei fatti, in “L’idea Nuova” 16 aprile 1904, a. Viii, n. 361.

39

Federico Fornaro, Le radici riformiste del socialismo alessandrino

Studi e ricerche


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

33. su ernesto Pistoia (1857-1932) vedi F. andreucci e t. detti, Il movimento operaio. Dizionario biografico, vol. iV, cit.; pagg. 178-179. 34. “L’idea Nuova” del 23 aprile 1904, anno Viii, n. 362. 35. si dimetteranno nel febbraio 1905. 36. su enrico Leone (1875-1940) vedi F. andreucci e t. detti, Il movimento operaio. Dizionario biografico, vol. iii, cit.; pagg. 89-91. 37. a. Zerboglio, Perché sono riformista, in “L’idea Nuova” del 9 luglio 1904, a. Viii, n. 373. si veda sui temi delle tendenze anche dello stesso autore Un viaggetto rivoluzionario-riformista, in “L’idea Nuova” del 27 agosto 1904, a. Viii, n. 380; e Le benemerenze del Partito Socialista, in “L’idea Nuova” del 10 settembre 1904, a. Viii, n. 382. 38. e. Leone, Tendenze, in “L’idea Nuova” del 30 luglio 1904, a. Viii, n. 376. 39. sul dibattito interno alla sezione socialista sulla tattica da adottare vedi a.Belloni, Un’azione extra parlamentare, in “L’idea Nuova” del 1° ottobre 1904, a. Viii, n.385; e la risposta di P. sacco, Azione extra parlamentare ?, in “L’idea Nuova” dell’8 ottobre 1904, a. Viii, n. 386. 40. in Piemonte sono eletti: Morgari (torino ii), Calvi (Valenza), rigola (Biella), rondani (Cossato) e Campanozzi (Biandrate). 41. Dichiarazione ai lettori, in “L’idea Nuova” del 4 febbraio 1905, a. Viii, n. 404, a firma ambrogio Belloni, ernesto torre, annibale reposi e Pietro Balbiano. 42. in ordine di preferenza sono eletti tra i socialisti: l’orologiaio Paolo sacco, il medico Michele salio, l’ingegnere giovanni gay, il negoziante ernesto Pistoia, l’avvocato ambrogio Belloni, l’ombrellaio antonio Lometti, il farmacista giulio Pugliese, l’industriale ernesto torre, l’avvocato ettore Porrati, il negoziante Federico Mariscotti, l’agricoltore giuseppe re, l’esercente rocco arancio, il contabile angelo Porta, il negoziante Leopoldo Vitale, il contabile Pietro Balbiano, l’impiegato annibale reposi, il contabile Luigi gagliardi, il cappellaio Lorenzo Pollarolo, il ferroviere Pietro romano, il cappellaio Pietro denicolai, il fabbricante di oreficeria giulio traversa, l’orefice Fortunato Porta, il libraio Maurizio Pietrasanta, il commesso angelo Verzetti, il sarto Luigi Moralis, il meccanico giovanni Bottero, il tappezziere giuseppe Beltrami, il meccanico Luigi Boveri, il cappellaio edoardo ricci, il fabbricante di calzatura, antonio taverna, il commesso riccardo Motta e il muratore giuseppe roveta. Cfr. “L’idea Nuova” del 4 marzo 1905, a. iX, n. 408. 43. assessori effettivi: giuseppe Bonzi (democratico-avvocato), ambrogio Belloni (socialista-avvocato), giovanni gay (socialista-ingegnere), Moise Foa (democratico-ingegnere), giovanni dossena (repubblicano-avvocato), ernesto Pistoia (socialista-negoziante), Luigi stradella (repubblicano-geometra), Michele salio (socialista- medico chirurgo) (assessore anziano e delegato). assessori supplenti: antonio Lometti (socialista-ombrellaio), giuseppe testone (democratico-ingegnere), giulio Pugliese (socialista-farmacista). 44. “L’idea Nuova” del 4 marzo 1905, anno iX, n. 408.

40


Studi e ricerche

Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio. un’introduzione a Ur-Partigiano Johnny

Non è detto che fossimo santi, l’eroismo non è sovraumano […] E vorrei che quei nostri pensieri, quelle nostre speranze di allora rivivessero in quel che tu speri o ragazza color dell’aurora. (i. Calvino) Vorrei potervi elencare di seguito tutte le opere di Beppe Fenoglio, il Fenoglio noioso difficile regionalista revisionista, e via per i peggiori luoghi comuni: ci sembrava che quest’autore non dovesse raccontare altro che la resistenza nelle sue Langhe, e ci meravigliamo che abbia invece tenuto sotto la sua penna un numero enorme di altri progetti. Come tutti gli scrittori – scrittori veri, intendo – ha trattato la sua materia scrivendo centinaia di storie, o non ne avrebbe scritta nessuna. salvo poi lasciare alla sua morte la maggior parte della sua produzione ancora inedita, per un profondo – e ingiustificato – senso di sconfitta che lo prendeva ogni volta che si rileggeva e che gli impedì sempre di pubblicare quelli che sarebbero diventati i suoi riconosciuti capolavori. eppure tra quegli inediti c’era Una questione privata, e c’era Il partigiano Johnny – quella che lui definiva deep distrust and deeper faith, profonda sfiducia ma più profonda fede nella scrittura, gli impediva di approdare alla redazione definitiva, a un romanzo che egli stesso potesse dire concluso.

41

Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio

Luca Zanetti


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

tra quegli scritti inediti – che per tutti avranno poi un nome raffinato, saranno il Fondo albese – uno in particolare ha avuto un destino singolare: si tratta di un lungo dattiloscritto in inglese, un piece of writing di novanta pagine sugli ultimi due mesi di guerra del suo celebre Johnny tra astigiano e Monferrato, che è stato pubblicato più di trent’anni fa con il titolo imposto e definitivo di Ur-Partigiano Johnny 1. È stato in un certo senso l’ultimo inedito di Beppe Fenoglio, pubblicato quando ormai l’autore si era già guadagnato il riconoscimento postumo di essere stato il romanziere della resistenza italiana, con un successo di pubblico che era arrivato ironicamente presto per uno scrittore che ancora poco prima della morte si considerava ‘di quart’ordine’. era stato Calvino nel 1964 a spiegare a posteriori cosa fosse stato il Neorealismo italiano, e a trovare in Fenoglio la sua voce più significativa. La resistenza che ha bisogno di un romanzo della memoria collettiva, e lo trova in uno scrittore che pure aveva proceduto solitario e insoddisfatto: il movimento stesso trovava per Calvino la sua compiutezza – “il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento ed un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente esistita” 2. a inizio settanta i tempi erano dunque maturi perché l’einaudi potesse immaginare un’opera omnia che provasse a dar forma alla disordinata mole degli inediti fenogliani, dove ancora restavano quaderni, manoscritti, traduzioni, racconti brevi, epigrammi e pièces teatrali, e quel dattiloscritto in inglese che ancora non si era osato pubblicare. Fu alla fine deciso che comparisse nel primo volume delle opere – l’edizione critica a cura di Maria Corti – tradotto a fronte da Bruce Merry e curato da John Meddemmen. da quel 1978, Ur-PJ ha incontrato pochi dei lettori che si erano appassionati al Partigiano. L’edizione critica aveva pregi indiscutibili e limiti evidenti – alfredo giuliani addirittura scrisse una sorta di apologia del lettore-non-filologo, che spaventato dalle dimensioni e dal costo di quell’opera si sarebbe allontanato e non avvicinato alla scrittura di Fenoglio e l’avrebbe così costretta alla “imbalsamazione nelle biblioteche universitarie” 3. Certo sono stati enormi i guadagni dell’edizione critica, che ancora oggi rimane imprescindibile per chi studia Fenoglio per mestiere, ma nel

42


suo destino è stato trascinato anche Ur-PJ, da allora mai più ripubblicato. Questo testo vive oggi di vita artificiale, attraverso le citazioni smozzicate sui contributi critici e gli accenni sparsi su qualche raro testo più divulgativo. Bisogna essere onesti: la strada della filologia, l’analisi appassionata della parola fenogliana, è stata certo giustificata e proficua; soltanto non si può ignorare che c’è una realtà che la parola crea, che c’è insomma un romanzo: che senso avrebbe avuto quella “fatica nera” che Fenoglio diceva di provare quando scriveva, se poi la pagina che “esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti” 4 noi la riduciamo ad analisi di stile, per di più in un inter nos accademico? Per questa ragione il mio discorso si muoverà in una prospettiva diversa, tralasciando volutamente la quantità di questioni per ‘addetti ai lavori’ che fioriscono attorno a quest’opera, quand’essa viene astratta in un mero esercizio di stile – sulla cronologia delle opere fenogliane e di Ur-PJ, sulla definizione del testo, e soprattutto sull’uso del cosiddetto fenglese come ‘lingua di lavoro’, si rimanda ai raffinatissimi studi sul tema 5. Questo contributo vuole essere un invito al romanzo ed eventualmente una buona ragione per leggerlo, e non sostituirsi ad esso. Ur-Partigiano Johnny è l’inedito più inedito di altri, l’opera che fa i conti con un tema che l’autore altrimenti tace, anche nella vita. sostengo che non sia stata una semplice insoddisfazione per la resa stilistica, a far abbandonare il progetto di Ur-PJ: Fenoglio, che di solito raccontava volentieri della sua resistenza, parlava invece poco o nulla degli ultimi mesi di guerra, quelli durante i quali – stando al suo Foglio Notizie – era stato “ottimo ufficiale di collegamento con le missioni inglesi”, aveva preso parte alla liberazione di asti e probabilmente di Casale Monferrato, e forse si era spinto fino a torino. Questo taciuto si riflette anche sulla scrittura: se escludiamo le novanta pagine di Ur-PJ, la narrazione si ferma sempre a un paio di mesi prima della Liberazione o riprende a guerra finita, con partigiani ora reduci che tornano alla vita di un tempo. Possiamo forse, a partire da questo frammento, capire perché il suo tema sia stato evitato in ogni altro luogo della produzione fenogliana. il dattiloscritto riprende infatti dove si concludeva Il partigiano Johnny. È sbagliato – avverto – e filologicamente insostenibile presentare Ur-PJ

43

Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio

Studi e ricerche


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

come un seguito del più celebre Partigiano di Fenoglio, ma in questo modo potrà orientarsi anche il lettore comune; quest’ultimo ritrova Johnny di ritorno dalla battaglia in cui si intuiva invece che avesse trovato la morte. era più di un’intuizione, in realtà: in una lettera all’editore garzanti, Fenoglio disse chiaramente la sua intenzione di terminare il romanzo con quell’ultima immagine quasi statuaria di Johnny impegnato nella battaglia di Valdivilla – questa morte, che doveva concludere il ciclo di Johnny a due mesi dalla fine della guerra, è quanto mai significativa. Nell’opera resistenziale di Fenoglio non viene infatti mai l’ultima ora dell’eroe; Barberi squarotti rileva addirittura una continuità di valori che vincono, con queste morti apparenti o solo sfiorate, sulla morte stessa 6. Per Fenoglio la fine arriva nel fango o al muro dell’esecuzione, senza che ci sia mai un valore o un ideale che in sé riescano a sovrastare la dimensione prettamente fisica di quel momento; è vero che la scrittura di Fenoglio dà un giudizio, parteggia, ma quasi mai di fronte alla morte. È forte la tentazione di intendere Ur-PJ come l’ennesima rinascita, l’ennesima continuità della vita che nega la morte, ma solo a patto di non accorgersi che Fenoglio non solo decideva la morte del suo eroe, ma stabiliva anche che egli dovesse incontrare la sua fine in quella battaglia. La continuità necessaria di cui si parlava implica che nulla nella morte potesse essere desiderabile o soltanto ammirevole, e Johnny non è uno sconfitto né un sommerso; torna perciò essenziale una domanda: che cosa significa morire a Valdivilla? in questa domanda c’è, io credo, la chiave di lettura dell’intero Ur-PJ. sebbene infatti il romanzo sia acefalo, e il dattiloscritto inizi con un’indicazione di Chapter second, tutto considerato quel primo capitolo perduto non poteva allontanarsi troppo, e forse non si allontanava affatto, da Valdivilla. Ciò che vi accadde il 24 febbraio 1945 fu in definitiva una sconfitta, o meglio “l’ultima sconfitta partigiana, l’ultima vittoria fascista” 7, come scrive Fenoglio. Le formazioni langarole si erano ricomposte dopo lo sbandamento invernale, e apparivano forti e ben equipaggiate grazie ai lanci inglesi. Lo scontro di Valdivilla risultò in fondo dalla fiera ostinazione di giovanni Balbo detto Pipin – padre del comandante Nord nel Partigiano e figura culto in tutte le Langhe – che volle inseguire una colonna nazifascista di ritorno da santo stefano Belbo, quasi a punizione per aver marciato

44


sulle colline quando ormai la vittoria partigiana pareva certa. Ne raggiunsero la retroguardia a Valdivilla, ma fatto fu che i fascisti rafficarono per primi e riuscirono a resistere fino al ritorno della colonna tedesca, ribaltando le sorti dell’agguato. La battaglia ebbe anche il suo eroe: dario scaglione detto tarzan, studente, che era riuscito a portare in salvo un compagno ferito, e insieme si erano poi consegnati al plotone di esecuzione per evitare che l’intera fattoria in cui si erano rifugiati venisse incendiata. Fenoglio continuerà sempre a essere affascinato dalla figura di tarzan, fino a scrivere addirittura un discorsetto mai pronunciato per chiedere l’intitolazione di un viale all’amico caduto. Questo testo, tutto teso al ricordo del “buon partigiano la cui memoria, dopo Valdivilla, costringeva i buoni partigiani superstiti a fare l’esame di coscienza” 8, appare insolitamente enfatico per un autore che ebbe l’antiretorica tra le sue principali qualità. Che la scrittura di Fenoglio parli di eroi, quando di solito è accusata di distruggerli, è un fatto che merita riflessione, ed è il motivo per soffermarci ancora su un capitolo mancante. Johnny doveva morire a Valdivilla, e non tornare né vedere il dopoguerra, per poter essere per sempre – almeno nella finzione letteraria – tra gli eroi come dario scaglione; la continuità del fucile passato dalle mani di tarzan a quelle di Johnny non costituisce più la negazione della morte, ma piuttosto la sua accettazione e la sua valorizzazione. esplicitamente Fenoglio rinuncia quindi a tutto il materiale di Ur-PJ perché a Johnny sia possibile l’eroismo e la ‘buona morte del partigiano’ di cui si canterà a guerra finita. Non ci deve stupire il fatto che Johnny alla fine possa essere un eroe, ma piuttosto il fatto stesso che l’eroismo sia presente; è la condizione di possibilità del’eroismo – è Valdivilla – che distrugge la storpiatura di chi legge in Fenoglio soltanto antieroi e la conferma per qualche suo revisionismo. il fatto è ben più complesso: l’antiretorica autentica di Fenoglio sta piuttosto nel mostrare la rarità di quel valore, che è sempre individuale e mai di un’intera parte – e questo con quasi vent’anni di anticipo sulla direzione che poi intraprese anche la storiografia. Per Fenoglio, eroe è qualcuno, non tutti. Ci sono persone eccezionali, moralmente radicate, coscienti dei motivi della loro scelta, e costoro vanno proposti ad esempio – “se essi potevano rispondersi in cuor loro che sì, erano degni di aver

45

Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio

Studi e ricerche


Quaderno di storia contemporanea/49

Studi e ricerche

avuto tarzan come compagno d’armi, avrebbero certo potuto, se arrivavano alla pace, guardare ora indietro a quella lunga disonesta guerra con serena e incorruttibile coscienza e con ricordi dolci e fieri” 9. La novità della proposta di Fenoglio penso sia questa, che l’eroismo non è un puro modello in cielo ma è rappresentato prima di tutto da una serie di persone che come tarzan hanno un nome e un volto. Johnny è di quanto più lontano ci possa essere da un eroismo agiografico, ma sono i valori che vive – valori personali, valori privati – che rendono la sua storia un’epopea. È interessante che Calvino riconosca che una certa cultura italiana si poneva in quegli anni l’imperativo intellettuale del raccontare – ed è significativo che a posteriori riconosca che è stato Fenoglio, e non lui né chiunque altro, ad aver meglio di tutti saputo rispondere a quell’imperativo. La risposta di Fenoglio rappresenta anche la nostra soluzione al problema su cosa significhi morire a Valdivilla: per Johnny, è entrare a pieno titolo tra gli eroi, così come li immaginava Fenoglio; per quest’ultimo, è la sua più precisa proposta circa l’eroismo in sé. Ur-Partigiano Johnny iniziava proprio con un capitolo su Valdivilla: se ha ragione la Corti 10 e questo è il primissimo lavoro a cui Fenoglio si dedica di ritorno dalla guerra, sono incline a credere che sia proprio il suo fallimento – del romanzo non inteso come stile della narrazione, ma come oggetto di quest’ultima – a spingere Fenoglio a ripensare il suo materiale, decidendo che Johnny avrebbe dovuto trovare la morte a Valdivilla. Ciò vale quindi a dire: senza la possibilità dell’eroismo, ci possono ancora essere avvenimenti, ma non un autentica storia – e di conseguenza, non ci può essere un romanzo. in quest’orizzonte, Ur-Partigiano Johnny può essere compreso nel suo reale valore. il frammento si apre dicendo che “tarzan and set did never come back” – tarzan e set non tornarono più indietro (pag. 2). Valdivilla non è un confine, non c’è un prima e un dopo; rappresenta piuttosto un momento unico nella storia, in cui quel tipo di eroismo è possibile – e si dovrebbe perciò intuire l’assoluta particolarità di Ur-PJ, dal momento che la sua vicenda si colloca al di là di quel ‘punto di Valdivilla’ che siamo andati delineando. L’homesickness – la nostalgia di casa e dell’identità che gli apparteneva – diventa la cifra della condizione di Johnny, il quale si trova a

46


percorrere questi ultimi mesi di guerra del tutto ignaro che la fine a cui sarà destinato è ormai alle sue spalle. il primo legame a venire immediatamente reciso è quello con il mondo anglosassone, l’eterno altrove mitico degli scritti ‘canonici’ di Fenoglio; nelle novanta pagine di Ur-PJ trova infatti luogo l’incontro tra Johnny e le missioni alleate. il romanzo si apre proprio nel segno della costatazione evidente e traumatizzante della presenza inglese sulle colline, e Johnny si sente “come l’amante che va finalmente all’incontro con la donna amata, a cui finora non ha mandato che lettere d’amore, le più magnifiche lettere d’amore nella storia del mondo. il disappunto stava inquietamente mescolandosi con la probabilità di cento contro uno che avrebbe finalmente incontrato la sognata perfezione, gli inglesi come lui se li aspettava, estrapolandoli dalla loro storia e dalla loro galleria di eroi” 11. Non occorrerà ricordare che uno dei tratti fondamentali del personaggio di Johnny era l’anglofilia, quel parlare e parlarsi in inglese; ma bisogna notare che la sua inghilterra non fu mai un lontano paradiso in cui è confortante trovare un’alternativa alla realtà; nella sua fuga dell’immaginario il protagonista cerca sempre quei personali valori che ne determinano poi le scelte, prima fra tutte la scelta partigiana. Ma l’inglesità di Johnny è sempre e soltanto una comunanza di valori e di spirito con un’inghilterra distante nello spazio e nel tempo, e che vive nei suoi classici piuttosto che in qualche luogo preciso, con una dimensione fisica che consiste tutta nelle pagine delle grandi opere e nel vinile dei dischi americani – in questo senso, l’essere outsider era una condizione esistenziale. La concretezza deludente delle truppe inglesi ne farà invece uno sradicato: gli inglesi che Johnny conosce non si possono dire pari né a Lawrence né a raleigh né a gordon, e alla fine l’ideale incarnato tradisce e svilisce l’ideale stesso. incontrando il capitano Boxhall e il tenente Withaker – il suo primo incarico come liason officer, ufficiale di collegamento – l’empatia per quelle divise color cachi passa in un istante, e Johnny si trova ad esclamare: “oh, the poorness of these englishmen!” (pag. 9) – oh, la pochezza di questi inglesi! La galleria dei personaggi sarebbe ampia; basti però dire che nessuno di loro è in qualche modo connotato in positivo. tutti risultano essere uomini distinti, solitari, certo molto English-like, ma come esisteva una me-

47

Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio

Studi e ricerche


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

diocrità priva di grandezza tra i partigiani, allo stesso modo la maggior parte di questi inglesi sembra relegata per sempre nella sua piccolezza quotidiana. C’è un largo numero di bozzetti, ad esempio la scena dei graduati che ascoltano la radio di nascosto dal maggiore, ma anche l’evento più tragico – come la morte di hope, ucciso da una pallottola quasi surreale sparata da un partigiano, mentre quest’ultimo alzava il braccio a mo’ di saluto militare – non merita che un breve accenno. solo uno tra questi ‘fratelli diversi’ – la definizione è di saccone 12 – si distingue agli occhi di Johnny, e non per essere la “sognata perfezione”. si tratta del malinconico, intellettuale, ritroso Keany, che legge Milton e conosce dante, e che come Johnny ha scelto volontariamente la guerra. il rapporto che lega i due personaggi, che pure occupa una manciata di pagine divise tra loro da un narrato di natura completamente diversa, risulta essere uno dei meglio riusciti di tutto il romanzo, e i dialoghi con questo ufficiale rimangono degli splendidi squarci poetici che inframmezzano i discorsi di tipo tecnico con il resto della missione alleata. La corrispondenza tra questi due personaggi fa a ragione sostenere che Keany sia prima di tutto una sorta di doppio del protagonista, e che i loro dialoghi abbiano spesso il tono del soliloquio: identica la nostalgia di casa e identico il senso più forte del proprio dovere, al punto che Fenoglio volle ignorare la morte del vero Keany per lasciare a Johnny la speranza di rincontrarlo a guerra finita. oltre a questo, la ricostruzione offerta è assolutamente realistica per quanto riguarda la missione hope, nonostante qualche imprecisione nel raccontare azioni – come la battaglia di Cisterna – a cui Fenoglio non partecipò in prima persona. L’altra missione con cui Johnny ha contatto in Monferrato, quella del maggiore Leach, subisce invece una deformazione quasi espressionistica – con Johnny costretto a battere le colline monferrine in sua ricerca e poi trovare il maggiore che “con somma inglesità, portava pantofole di casa con divisa da battaglia” 13 (pag. 346). È superfluo aggiungere che Ur-PJ non è in alcun modo un’epopea delle missioni inglesi, né le loro vicende possono essere considerate come un romanzo nel romanzo. il tema fondamentale è piuttosto quello – se così si può chiamare – della generale decadenza inglese, in un senso soprattutto morale. Mentre la Vecchia europa si prepara a lasciare il primato alle nuove

48


Studi e ricerche

È poi significativo che questo sia l’unico testo – l’unico di una certa ampiezza – a non ambientarsi nelle Langhe. ora che il mondo anglosassone si è realizzato in una massa di poor Englishmen, Johnny non desidera che il ritorno alle sue colline, e sente “uno strano, contorto, angosciante senso di non partigianeria dovuto al suo essere aggregato agli inglesi” 16 (pag. 98). il passaggio del tanaro assume quindi il valore di un attraversamento dell’acheronte – “il natante era ancorato a riva, appositamente per loro, e il traghettatore stava sul’attenti, in un suo modo particolare. era un vero e proprio gigante, quasi una figura da opera lirica, col suo fisico ingente e la fronte sollevata” (pag. 102). a Johnny piacerà poco l’astigiano, e ancora meno il Monferrato, “quelle particolari colline così regolari e come architettate da mano umana, […] così diverse dalle colline langarole. […] Qui i crinali erano esili, e appena tondeggianti se non addirittura piatti, rivestiti da poca vegetazione come la fronte di un uomo di quarant’anni passati” 17 (pag. 102). Le creste alte, scoscese, faticose erano state testimoni compartecipi dei momenti peggiori di Johnny – e ora invece il legame tra personaggio e natura, che già Calvino avvertiva come una delle caratteristiche fondanti del Neorealismo, viene a mancare. oltre a questo, Johnny patisce anche l’ammirazione dei compagni – “io ci sono stato quattro mesi, i quattro mesi più belli della mia vita. Mangiare in abbondanza, non dover camminare in salita, e ragazze infi-

49

Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio

superpotenze del secondo dopoguerra, Johnny vede il suo cromwelliano senso del dovere che cede il posto ai nuovi valori del mondo post-bellico. il simbolo più prosaico di questa decadenza è la musica trasmessa dalle emittenti americane, jazz, boogie-woogie, con il loro ritmo “insieme epico e noncurante, un afrodisiaco tirtaico che li spingesse al campo di battaglia, e allo stesso tempo un peana alla già riportata vittoria” 14. (pag. 92). Questo è il ritmo con cui Johnny sente volgere la storia verso un futuro che non sarà inglese ma americano, e da cui si sente già irrimediabilmente escluso. È Keany, l’inglese che riesce a stare di fronte alla sua stessa decadenza, a concludere che “in quanto al boogie-woogie, hai perfettamente, tremendamente ragione. insomma, è davvero inconcepibile che sia una così frivola marcia funebre a segnare il tracollo dell’impero britannico” 15 (pag. 96).


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

nitamente più emancipate” (pag. 203) 18, gli anticipa un partigiano a santo stefano Belbo. Ma il Monf ’reto che interessa tanto agli inglesi pare avere su di sé lo spirito di una partigianeria diversa, facile, di convenienza – quasi che il ‘terribile inverno’ del 1945, la neve e la solitudine che coprono l’ultima sezione del Partigiano, l’avessero risparmiato. “ogni paese, anche quelli con meno di cinquecento abitanti, aveva il suo bravo cinema e la sua sala da ballo” (pag. 203), il sabato pomeriggio si può andare a farsi fotografare sul belvedere di Moncalvo, e davvero il Monferrato appare come una sorta di opulento paradiso – al costo di qualche attenzione in più negli spazi aperti, in pianura. Viene da chiedersi – a chiunque conosca la storia del Monferrato e la sua memoria – se questo quadro piuttosto impietoso corrisponda alla realtà; a questo proposito, è necessario chiarire che Fenoglio conobbe solo l’ultimissimo periodo della resistenza monferrina, ed è solo questo che può restituirci nel romanzo. Non si pone la questione se sia l’una o l’altra l’autentica resistenza: la fine dell’inverno e la prospettiva di una prossima conclusione del conflitto avevano attirato in collina una eterogenea folla di partigiani ‘dell’ultima ora’, ed è quel clima di euforia che Fenoglio attesta; ma non possiamo però legittimamente aspettarci nessuna traccia o accenno ai momenti più duri, né estendere la connotazione che appare nel romanzo a tutta quanta la resistenza nel Monferrato. Per un’analisi più cosciente dei personaggi che si incontrano tra le pagine di Ur-PJ è necessario ricordare che su Casale Monferrato, che aveva visto nascere uno dei primissimi CLN, gravava una presenza non comune di forze nazifasciste – tanto che Johnny assisterà all’arresto di un uomo colpevole di scendere troppo spesso a Casale. L’inverno del 1945 era stato durissimo anche nel monferrino, segnato dalla cattura della Banda Lenti e dall’eccidio della Banda tom, dai grandi rastrellamenti, dalla violenza disperata dell’ultimo fascismo casalese. anche il vasto inquadramento in formazioni politiche fu successivo, mentre non appare quasi al lettore di Ur-PJ la dimensione originaria del movimento monferrino, la cui prima vocazione fu la difesa del territorio attraverso tante realtà diverse e frammentate 19 – ma nella primavera del 1945 a ragione Johnny si sente spiegare che “è una zona per tre quarti stella rossa, e mi hanno detto che migliaia di partigiani comunisti indos-

50


sano divise rosso fiammante, per apparire ai fascisti come una distesa di papaveri in un campo” 20 (pag. 26). a prescindere da quanto conoscesse Fenoglio di questa storia – il Foglio Notizie rimane tuttora l’unico documento a confermare la presenza dello scrittore a liberare Casale Monferrato – Johnny non potrà comunque mai appartenere a un luogo da cui il mondo sembrerà “grande, bello, vario, sicuro specchio e modello di quello che sarebbe venuto” 21 (pag. 296). in Monferrato non mancano però i grandi personaggi, ed esempio ne è tek-tek – l’unico eroe che compare in Ur-PJ, ammesso e non concesso che oltre il tanaro si possa parlare di eroismo. tek – nome di battaglia di Luigi acuto – fu un capo partigiano realmente vissuto, che Fenoglio incontrò nel suo passaggio in Monferrato; la sua formazione aveva iniziato a operare nei pressi di grana, ed era stata una delle prime organizzazioni locali contro l’occupazione, grazie soprattutto al potere pressoché assoluto di cui tek godeva nel suo paese natale. al tempo di Ur-PJ, la formazione di tek aveva già cambiato sé stessa, ma qualcosa della sua originaria impronta ancora si avverte. Fenoglio descrive tek come “un uomo sui trentacinque anni estremamente smilzo, con una stretta divisa strapazzata che sbatteva qua e là sul corpo scarno. Questo corpo sembrava un fagotto di filo attorcigliato, con tutto quello che un simile fagotto poteva e non poteva avere. La sua vasta chioma ribelle era coperchiata da una buffa calottina di cuoio marrone, e Johnny notò che non solo era completamente inerme, ma anche privo di bandoliere e cartucciere” 22 (pag. 280). Ma l’aspetto dimesso, ben diverso dal comandante Nord nel Partigiano, è un’antitesi a esaltare la grandezza di questo personaggio: viene presentato come una figura autorevole, verso cui tutti sembrano nutrire un illimitato rispetto e quasi un’idolatria, un partigiano irriducibile che combatte con appena un centinaio di uomini in organico e ancora afferma con orgoglio che “la mia è una brigata. anzi, è la brigata, te lo dico in tutta coscienza! Nessuna è una brigata se la mia non lo è!” 23 (pag. 283). Fenoglio – che vuole farsi scrittore, non storico – ha certo assolutizzato alcuni aspetti di questa figura, da cui fu indubbiamente affascinato. il ritratto rimane in ogni caso assolutamente attendibile, quello di un uomo

51

Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio

Studi e ricerche


Quaderno di storia contemporanea/49

Studi e ricerche

grande di un’eroicità rustica, rispettato dai partigiani di ogni idea politica, e a suo modo libero, anarchico. Questo è lo sfondo su cui s’innesta il racconto che Fenoglio fa del grande evento d’armi del romanzo, la battaglia di Montemagno: tek si difende ostinatamente nonostante sia costretto a ritirarsi, e alla sera rientra in trionfo nel paese lasciato miracolosamente intatto. Nel suo studio sul rapporto tra realtà e invenzione in Ur-PJ, delmo Maestri (1997) ha sottolineato come la sostanza fattuale dello scontro resti invariata, seppure con qualche imprecisione nella disposizione delle truppe nazifasciste; è assoluto invece il ruolo di tek – tutto a discapito dei partigiani della stella rossa, che nel romanzo rifiutano la battaglia per obbedire agli ordini della loro formazione mentre in realtà parteciparono al combattimento. La conclusione a cui giunge il Maestri è a mio parere una buona epitome a tutto il testo, quando afferma che “in questo romanzo, appoggiato più di altre opere ad una fitta rete di riferimenti reali, non vi è tuttavia solo una intensa vivificazione che dà la loro resa artistica, ci sono amplissimi interventi che lavorano su fatti e persone spingendoli nella direzione dell’immaginario” 24. il dattiloscritto non ha una conclusione – l’ultima pagina è lasciata volontariamente sospesa alle prime righe; è però essenziale non giustificare questo inconcluso con un problema di insoddisfazione dell’autore verso i propri mezzi espressivi. Per Fenoglio il non-finito pare connaturato alla sua stessa maniera di procedere, attraverso faticose riscritture integrali e continui rifare da capo; ma questo modo di porsi di fronte alla pagina va ben distinto da un tema inconcluso, così come appare l’epopea di Johnny alla luce di Ur-PJ. Qui il problema non sembra davvero essere stilistico – quando nelle ultime pagine il romanzo sfuma nell’ennesima battaglia, il lettore quasi non aspetta altro. gli ultimi due capitoli vedono infatti un cambio di comprimari – dalla missione hope a quella di Leach, da Montemagno avvicinandosi sempre più a Casale Monferrato – ma tutto questo rimane in secondo piano: la sensazione è quella di un disordinato carosello di personaggi vecchi e nuovi che si alternano sullo sfondo, mentre al centro della scena resta soltanto la crescente disperazione di Johnny e il suo ripetere a sé stesso di non essere pronto alla fine imminente –

52


“Non posso assolutamente morire in questi giorni, gli ultimi giorni del conflitto, la mia vita non se lo può permettere” 25 (pag. 331). in realtà, queste pagine sottendono a una visione ben precisa della Liberazione e del dopoguerra, con l’amaro ‘senno di poi’ che Fenoglio ne poteva avere nel momento della scrittura. Non è facile parlarne, ma bisogna pur correre il rischio di essere fraintesi – ho già avvertito che certe pagine di Fenoglio, se comprese solo in parte, possono facilmente risultare distorte; ma come si è prima tentato di argomentare che per Fenoglio l’eroismo non solo è possibile ma anche essenziale al ‘buon partigiano’, nello stesso modo si dovrà ora tentare una spiegazione significativa dello stato d’animo di Johnny nelle ultime pagine di Ur-PJ. Johnny non pare angosciato dalla fine in sé, quanto piuttosto dall’intuizione di ciò che verrà dopo – “saranno 24 ore di applausi, pacche e generosità, poi ci sarà l’indomani, lo squallido domani, con il lavoro obbligatorio, il bisogno e la potenza del denaro, e … le donne. dovremo pensare a sposarci, e ci sposeremo … con delle donne da poco ovviamente, perché uscendo da questa irregolarità non vorremmo più donne regolari, e ci sentiremo obbligati a sposare donnette” 26 (pag. 73). a riguardo, la mia tesi è che l’angoscia di Johnny, e quindi la decisione di eliminare questa parte dal progetto finale della sua epopea, nasca non appena egli vede che la vita autenticamente intesa – la vita che è davvero tale – rischia di finire. La scelta partigiana era stata infatti per Johnny una scelta esistenziale, un’iniziazione autoimposta al mondo degli uomini, una decisione che un “partigiano in aeternum” non può vedersi revocata – non sono le condizioni esteriori della pace, ma la sostanza di quella scelta a essere minacciata. Mentre le pagine passano e si avvicina nel romanzo la fine del conflitto, è come se Johnny avvertisse la prospettiva di una vita diversa, e questo frena il suo entusiasmo e annulla del tutto l’attesa narrativa per la Liberazione. alla fine non ci si aspetta proprio nulla – nessun fatto, a conclusione del romanzo. tanta è la forza di quest’idea – tanta la straordinarietà di chi non vuole che la fine giunga – che anche gli altri personaggi sembrano fargli eco: a livelli assai diversi, tutti avvertono che è vicino il ritorno a una vita di norme e convenzioni sociali, da cui saranno sempre emarginati, una vita che a chi aveva comandato un intero manipolo ar-

53

Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio

Studi e ricerche


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

mato chiede ora di spostare tutto il giorno sacchi di cemento fino alla betoniera, come all’ettore de La paga del sabato. La vera discriminante per Fenoglio sta nella coscienza che uno ha di questa situazione, senza necessariamente doverla esprimere a parole – e la partigiana dea, un personaggio eccezionale di cui non parlo qui, potrà osarsi a dire che: “anche tu, Johnny, sarai come diminuito ed opacizzato, se ci arrivi” 27 (pag. 292). Per quanto riguarda Ur-Partigiano Johnny, penso che da questa prospettiva gran parte del suo valore stia nel rintracciare al suo interno una certa interpretazione della resistenza e di ciò che ne è seguito. il dopoguerra che Fenoglio presenta in Ur-PJ non è storico; è piuttosto un’impressione della vita in un possibile ‘dopo’, e per questo risulta essere un memento sempre valido: il fatto che la resistenza potesse essere dimenticata – com’era grande paura di Calvino – va a mio avviso letto come la possibilità reale che quei valori siano del tutto sfiduciati e ritenuti ormai passati. La resistenza, come periodo che collettivamente ancora si rielabora, è ancora un passato recente; in vista del momento in cui sarà ormai passato storico, torna a mio parere con forza l’istanza fondamentale del Neorealismo – “resistiamo e raccontiamoci com’è andata”, come si legge emblematicamente nel Partigiano. Come ho cercato di mostrare, Fenoglio muove dall’idea che una ‘resistenza degli eroi’ ci sia stata, anche se non al livello che certa propaganda avrebbe voluto far credere: una massa di partigiani tutti uniformemente e piattamente eroici, questa sarebbe la vera negazione della resistenza di Fenoglio. il suo ‘realismo’ ci disillude a questo tipo di prospettiva, e ci introduce a forza in una storia non semplificata; il lettore si trova a fare i conti con uomini comuni, con i loro difetti e le loro crudeltà. Ma è proprio questa distanza che dà valore al livello più alto di coscienza, all’attimo di eroismo, agli ideali, ed è sempre questa distanza che esige da noi il pensiero critico. il vero valore è cosa rara: questa è la consapevolezza che Ur-Partigiano Johnny offre, e la ragione che ci porta a rileggere ancora questo Fenoglio dimenticato.

54


Studi e ricerche

1. ‘ur’ si dice in analogia all’Ur-Faust di goethe, a intendere che si tratterebbe di un ‘inizio abbandonato’ (Corti) dell’opera resistenziale di Fenoglio, tesi che sottintende la datazione del testo proposta alla sua pubblicazione. si citerà sempre da B. Fenoglio, Ur-Partigiano Johnny, in Opere, edizione critica diretta da M. Corti, volume i, tomo i, a cura di J. Meddemmen, traduzione a fronte di B. Merry, torino, einaudi, 1978. 2. i. Calvino, introduzione a Il sentiero dei nidi di ragno, torino, einaudi, 1964. 3. a. giuliani, Se il partigiano Johnny spara sui lettori, su “La repubblica”, 30 agosto 1978. 4. Lettera a i. Calvino, in B. Fenoglio, Lettere 1940 – 1962, a cura di L. Bufano, torino, einaudi, 2002. 5. Non è ragionevole tentare una bibliografia esaustiva di tutti i contributi critici su Ur-PJ apparsi finora. Mi limito a citare come fondamentali gli studi di John Meddemmen (Beppe Fenoglio. Il tirocinio inglese di uno scrittore italiano, in “strumenti Critici”, n. 3, settembre 2004, e Tentativi di scrittura e riscrittura in Fenoglio, in Fenoglio a Lecce, Pubblicazioni del dipartimento di Filologia Linguistica e Letteratura dell’università di Lecce, 1984); rimando inoltre a M. Corti, Il partigiano Johnny, in Nuovi Metodi e fantasmi, Milano, Feltrinelli, 2001, ed a e. saccone, Un romanzo in lingua impossibile, in Fenoglio. I testi, l’opera, torino, einaudi, 1998. Per la ricerca storicistica, ancora J. Meddemmen – cfr. ad es. Ricordando Cisterna sessantun anni dopo, in “il platano. rivista di cultura astigiana”, anno XXXi, 2006 – e d. Maestri, Invenzione e realtà nell’Ur-Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, in “asti Contemporanea”, n. 7. 6. g. Barberi squarotti, Fenoglio: l’eroe, la città, il fiume, in Le colline, i maestri, gli dei, treviso, santi Quaranta, 1992; pagg. 180-181. 7. Lettera a L. garzanti, in B. Fenoglio, Lettere 1940-1962, cit. 8. il testo ed una sua contestualizzazione vengono proposti in P. Negri scaglione, Questioni private. Vita incompiuta di Beppe Fenoglio, einaudi, torino 2006. 9. ivi. 10. M. Corti, Il partigiano Johnny, cit. 11. “[as to him, Johnny was painfully anxious and pessimistic], feeling like the lover going to meet at last his lady-love to whom he has so far sent only love-letters, the greatest loveletters in the world’s history. delusion was viciously ranging together with the 1 to 100 chance of meeting the dreamt perfection, the english just as Johnny expected, drawing them out from their history and men-gallery”. 12. e. saccone, Un romanzo in lingua impossibile, cit., pag. 75. 13. “[Johnny had to note that him, very astonishingly], very englishly indeed, was wearing restslippers on a full battledress”. 14. “an epic and nonchalant tempo ensemble, ensemble a tirteian aphrodisiac to field and fight and in the same time the peana of the already conquered victory”. 15. “as to boogie-woogie, you are perfectly, horribly right. really, one cannot expect such a legère death-anthem for the British empire”. 16. “[at his keenest of Langhe-homesickness] and queer and croocked and angent sense of umpartisanship due to his english aggregatedness, […]”.

55

Luca Zanetti, Le pagine dimenticate di Beppe Fenoglio

NOTE


Quaderno di storia contemporanea/49

Studi e ricerche

17. “on those kinds of hills, Johnny so could not accept after Langhe, so reg’lar and as humanly designed and built, so different from the immense slopes of the Langhe hills and their immense and sweeping and swept crests. these ones crests were brief, and hardly slightly ondulated when not perfectly flat, and dressed with very little vegetation, as the forehead of an over-forty man”. 18. “i was there four months long and were the beatifullest months in my life. Plenty of food, a milder footing, and the girls so much more emancipated than the girls here”. 19. i riferimenti storici hanno come unico scopo la chiarificazione di alcuni particolari del testo in esame, e sono da considerarsi come una serie di nozioni minime sulla storia del Monferrato tra il 1943 e il 1945. Per una trattazione sistematica dell’argomento, rimando tra tutti a F. Meni, Quando i tetti erano bianchi. Casale e il Basso Monferrato dal Fascismo alla Resistenza, alessandria, edizioni dell’orso, 2000. 20. “it’s a 3/4 red star zone, and i’m said them thousands commy partisans wear fire-red shirts, so to appear to fascists poppies in a field “. 21. “it was grand, loveable world, of beauty and sureness, the very mirror of world would have been”. 22. “then tek lept from the cart, a 35 man, extremely meager, flabby uniform flapping allpart against his stark body. his body was very much like a filfret-bundle, and had all such a bundle has and all such a bundle cannot have. Now his vast, rebel hair was lidded under a funny calottina of brown leather, and Johnny remarked he was not only quite unarmed, but also deprived with weapon-hanging accoutrements”. 23. “Mine is a brigade! Mine is the brigade, i tell you in conscince! None is a brigade if mine is not a brigade!”. 24. d. Maestri, Invenzione e realtà nell’Ur-Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, cit. 25. “i can’t absolutely die in those days, the last days, my life CaN’t aFFord it”. 26. “24 hours of cheers and pettings and offerings, then … tomorrow, the bleak tomorrow, with obligatory work, the need of money and empire, and … women. We should have to think of marrying, and we will marry … strumpets, of course, for we shall sort of this irregular and we won’t like any longer, reglar women and we shall feel like obliged to marry strumpets”. 27. “You too, you Johnny, will be as diminished, as opacized …”.

56


Studi e ricerche

rivoluzione femminile*

Mi rammarico molto che il femminismo, e quindi io stessa, abbia perso una grande occasione per non essersi confrontato con Norberto Bobbio. Non ci siamo confrontati, infatti, su un tema difficile, controverso, conflittuale e anche ambiguo su cui forse non eravamo d’accordo con Bobbio (e in realtà neppure tra noi donne), ma sul quale avremmo potuto avere con lui un dibattito molto arricchente: il rapporto fra il femminismo e la tradizione del pensiero democratico-liberale, dell’universalismo dei diritti che entra in conflitto con il pensiero della differenza. Le donne, infatti, non sono in favore dell’uguaglianza. Nel senso che se essa è misurata in base a un modello di riferimento che è e resta maschile, anche se viene presentato come neutro, non è uguaglianza reale, ma un grande (e falso) neutro entro cui le donne acquisiscono il diritto di essere assunte ma a condizione di mimetizzare il loro sesso e di nascondere il loro essere donna. Questa presa di coscienza è la novità che il femminismo ha introdotto in italia: un fenomeno che è nato, come sapete, tardivamente, soltanto a metà degli anni settanta, una novità rispetto al movimento di emancipazione che è stata invece l’esperienza della mia generazione, tutta impegnata a provare che noi eravamo come gli uomini. io mi sarei tagliata le tette pur di dimostrare che ero un uomo e abbiamo sempre lavorato di più per non farci dire: “eh si capisce, sei una donna!”. eravamo ossessionate. Poi finalmente ho incontrato mia figlia (sono sempre i figli che insegnano ai ge* testo dell’intervento pronunciato da Luciana Castellina all’incontro Rivoluzione femminile, che ha avuto luogo l’8 marzo 2010, al teatro Carignano di torino. si trattava del secondo di cinque appuntamenti – le Lezioni Bobbio. La democrazia tra opportunità e pericoli – organizzati fra il 1° marzo e il 1° aprile in occasione del centenario della nascita di Norberto Bobbio dal Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Norberto Bobbio e Biennale democrazia.

57

Luciana Castellina, Rivoluzione femminile

Luciana Castellina


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

nitori e non il contrario, o almeno molto di più) che mi ha detto: “Ma come sei scema a voler essere come un uomo! Non è questo il problema”. Bene, mi rammarico perché non ci siamo confrontati con Bobbio su questo perché egli era per noi certamente il miglior interlocutore possibile: aveva capito, infatti, la portata della rivoluzione femminista – e questa era la sua originalità rispetto al pensiero democratico-liberale – e tuttavia considerava l’uguaglianza un attributo decisivo della democrazia. tant’è vero che vi insiste sempre e vi insiste anche nell’indicarla come il criterio distintivo più importante fra sinistra e destra. Vi insiste persino dopo l’89, quando sembra che nemmeno a sinistra qualcuno se lo ricordi e arriva persino a ironizzare con occhetto quando, sepolto il partito comunista, l’ultimo segretario del PCi dice di essere figlio della rivoluzione Francese, scordandosi quella russa che, gli ricorda Bobbio, aveva avuto l’ambizione, non importa quanto deludente, di inverare quell’ideale di uguaglianza che la storia ha finito per perdere per strada. Le donne non sono per l’uguaglianza: non lo sono perché le donne non sono solo diseguali, sono anche diverse; e se di questa specifica diversità non si tiene conto, non si arriva, non si può arrivare, a una uguaglianza, ma solo a una omologazione, che è cosa diversa. L’emancipazione “paritarista”, quella fondata sulla parità dei diritti, ha in qualche modo disessuato l’aggregato di individui che formano la società. La libertà per le donne significa invece innanzitutto liberare se stesse più che dall’oppressione da quanto genera l’oppressione, vale a dire l’obbligo di giustificarsi della loro differenza. giustificarsi di essere donna, con tutte le servitù sociali che questa condizione comporta e che la storia umana, sappiamo bene, ha illustrato a sufficienza. La sofferenza, l’assenza di libertà sta nella assenza di quella autorizzazione simbolica che le costringe, per uscire dall’oppressione, a rinnegare il proprio stesso sesso. L’assunzione di questa consapevolezza mette naturalmente in crisi, ecco il punto di discussione con Bobbio, l’intero sistema di diritti sul quale è fondata la nostra democrazia, perché svela il carattere fittizio, arbitrario, della pretesa universalista tutta disegnata, come sappiamo, su un modello che universale non è perché è interamente ricalcato sul modello maschile, a partire dall’esperienza di vita dei maschi, dal loro immaginario, desunto

58


in base ai rapporti di forza che loro hanno storicamente instaurato. Basti ricordare, tanto per citare una cosa banale, che ci volle uno scontro duro alla Conferenza internazionale delle donne promossa dall’oNu a Pechino nel 1995, e fu però una vittoria, per far accettare l’idea che i diritti della donna sono diritti umani, che del resto, come sapete, restano pur sempre declinati, come diritti dell’uomo. in realtà si può credere all’universalità dei diritti umani solo fino a quando l’umano è descritto come indistinto mentre appena prende la parola la densità dei soggetti, il linguaggio universale si frantuma. Non riguarda solo le donne , riguarda anche le razze, le classi e così via... Non è cosa, badate, di poco conto dire che il riconoscimento della differenza sessuale svela i limiti e le contraddizioni delle forme neutre universali, perché questo significa porsi fuori dal paradigma fondativo della democrazia moderna, per cui ciascun cittadino è uguale di fronte alla legge e la legge è uguale per tutti. ecco, di questo avrei voluto discutere con Bobbio, che si è posto il problema del rapporto tra democrazia formale e democrazia sostanziale. se l’è posto e se n’è occupato molto. discutere come sessuare i diritti e al tempo stesso non mettere in mora le istituzione democratiche formali che vanno preservate se non si vuole, come diceva Bobbio, “vivere come topi”. sarebbe meglio, forse, parlare, anziché di uguaglianza, un concetto che soffre di questa sua inerente ambiguità, di equivalenza di poteri, da conferire alle donne, di equivalenza tra i generi. Così si eviterebbe di evocare il carattere appiattente dell’uguaglianza . Bobbio, in un articolo per “La stampa”, scrive una frase che aiuta a pensare in questo senso: quando scrive: “liberi perché hanno uguale potere”; anche se dire questo significa porre l’accento sui soggetti più che sulle istituzioni della democrazia che è qualche cosa che proprio Bobbio non voleva, giustamente paventando il rischio che, privilegiando i soggetti del potere, si possa indebolire o rendere condizionali, le istituzioni del potere. Come vedete si tratta di questioni complicate e non risolte, ma in una occasione come questa, dedicata a celebrare Norberto Bobbio, io credo non si possa non evocare la necessità di lavorare per passare dalla cultura dell’universalismo a quella che il femminismo chiama il multiversismo, il mul-

59

Luciana Castellina, Rivoluzione femminile

Studi e ricerche


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

tiverso, vale a dire qualche cosa che esplicita, riconosce, assume la differenza e non la nasconde. È ovvio che accettare questa idea comporta però una rivoluzione ben più ampia di quella dell’uguaglianza, una rivoluzione che non è stata mai ancora fatta e direi che a livello politico non è stata mai ancora neppure tentata; non è questione teorica, badate, è cosa che ogni donna da quando ha imparato a entrare in relazione con le altre donne, e quindi ad acquisire autorità sottraendosi a quella maschile, ( e questa, la presa di parola delle donne, è la grande novità ) avverte naturalmente. Nessuna donna trova risposta esistenziale, politica, culturale, al senso di sé dentro il modello maschile della società. Prendiamo la condizione attuale: i dati ci dicono che c’è stato negli ultimi decenni un aumento esponenziale, quantitativo, qualitativo dell’occupazione e della presenza delle donne nel mercato del lavoro o nell’istruzione superiore. L’economist ha appena strillato i suoi numeri: negli stati uniti d’america ormai, il 51% del mercato del lavoro è femminile; nei paesi dell’oCse ci sono più donne laureate che maschi, su 8 milioni di nuovi posti di lavoro che si sono creati nei paesi dell’ oCse, 6 milioni di nuovi lavori sono andati alle donne. il famoso Programma di Lisbona dell’unione europea sulla società della conoscenza più competitiva dice che, grazie al lavoro delle donne, in questi anni è aumentato il PiL e che l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro conta più dell’ingresso dell’intera Cina. tutto questo è vero anche in italia; è vero che in italia ci sono 12 punti in meno rispetto alla media dell’europa a 15, dell’europa ricca, ma se si toglie il sud (e noi sappiamo che il sud bisogna toglierlo sempre perché se no altera tutte le medie), nel Centro-nord dell’italia le donne sul mercato del lavoro sono persino di più che non quelle indicate dalla media europea: quasi il 75%. allora evviva; ma se si va a guardare dentro i dati si vede il trucco: in italia 2 milioni e mezzo di donne esce dal mercato del lavoro al primo figlio, un altro milione esce al secondo figlio e poi se non sono abbastanza qualificate escono anche a cinquant’anni perché scelgono, o sono obbligate, a fare le nonne o a dedicarsi ai genitori anziani. Ma il dato forse più significativo è un altro; le donne manager sono enormemente aumentate in questi anni, addirittura del 30%. Bene: il 95% dei manager maschi

60


ha prole e invece solo il 50% delle donne manager ha figli. Questo dettaglio ci dice la verità di quanto è accaduto: il lavoro extra-casalingo e la procreazione, che è il tratto più specifico dell’essere donna, restano in contraddizione. Per paradosso si potrebbe dire che dare l’uguaglianza a tutte le donne comporterebbe la rinuncia alla riproduzione della specie e non sarebbe cosa di poco conto. Per le donne lavorare comporta tutt’ora o una rinuncia o una fatica, uno stress, un disadattamento o almeno la rinuncia alla carriera. La minore retribuzione delle donne che resta, badate, non è più giustificata come disparità di diritti ma con l’esigenza, indispensabile per le imprese, che le donne siano sempre a disposizione, cosa che per via della riproduzione della specie non è sempre possibile. La donna, insomma, si presenta come modello mancante, un meno rispetto al modello cosiddetto ”universale”. Questa condizione non è risolvibile semplicemente trasferendo al mercato le attività di cura, della famiglia, della riproduzione, con più asili nido, più servizi pubblici o la promozione di nuovi servizi privati adeguati. Certo tutto questo aiuterebbe enormemente, ma non basta e questa è stata l’idea un po’ gretta dell’emancipazionismo. (L’“economist”, ma questa è una parentesi che non c’entra, dice che spendere denaro pubblico per le madri sarebbe una violazione dei principi liberali e democratici, figuriamoci un po’). ecco: io dico anche il migliore welfare non basterebbe perché non c’è solo la difficoltà oggettiva di continuare a lavorare in gravidanza avanzata o problematica e lo stress che comporta il prendersi cura di figli piccoli. C’è anche un desiderio, il desiderio di cura, il desiderio di un tempo che resti che non sia tutto colmato: il tempo del desiderio che oggi è assorbito da un calcolo che non tiene conto della procreazione. il lavoro per le donne ha un significato diverso da quello pensato dai maschi perché, come dire, si propone sempre – come ha anche recentemente scritto un documento pubblicato dalla rivista “dogana Vecchia” – congiuntamente come produzione e riproduzione dell’esistenza e, anzi, nel lavoro si manifesta il massimo della asimmetria dei sessi; per le donne tutto questo non è una novità, è una verità banale, basta andare a una qualsiasi assemblea di lavoratrici alla Camera del lavoro, dove le donne sono la maggioranza, o a un consiglio di Facoltà all’università, dove ci sono molte

61

Luciana Castellina, Rivoluzione femminile

Studi e ricerche


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

donne, per sapere che le donne percepiscono di avere un rapporto con il lavoro diverso, il fatto che esse danno al lavoro un senso diverso perché ogni donna sente che quando entra nel lavoro extra-casalingo, entra in un luogo che è stato pensato e organizzato da altri, dai maschi. tutto questo significa che le donne in questi anni hanno conquistato un pezzo, ma solo un pezzo, tuttavia importante, di uguaglianza: uguaglianza nei diritti e negli accessi, e dunque una riduzione della discriminazione. hanno cioè conquistato un pezzo importante di emancipazione che non è cosa di poco conto. e però si tratta del diritto d’accesso alla società maschile, laddove quel che ci serve, io credo, non è partecipare comunque ma come partecipare, quel che serve è rifiutare di spartirsi ruoli già dati, falsamente neutri, in realtà interamente segnati dal maschile. Per le donne, per dirlo in breve, l’importante non è stare in questo mondo ma cambiarlo; per questo più che parità dei diritti serve ogni pezzetto di cambiamento della società: ripensare agli orari di lavoro, orientarli ai tempi delle donne, renderli flessibili, per esempio, il che vuol dire però rimettere in discussione cose profonde: logiche aziendali, una valutazione del profitto tutta fatta senza tenere conto dei costi della riproduzione, innanzitutto. Vuol dire, insomma, ottenere misure che incidono sul rapporto fra il lavoro e la vita attraverso il quale passa la diseguaglianza, a testimonianza di quella grande opera occulta delle donne che è il lavoro non pagato, molto più grande del lavoro pagato, flessibile, sempre disponibile, che supplisce alla rigidità del mercato del lavoro. Veniamo allora all’oggi: ho letto su “La repubblica” stamattina qualcosa sulle donne che sono state ricevute al Quirinale. sembra l’inno di Mameli: le donne si sono cinte il capo dell’elmo di scipio, e vanno al Quirinale quelle che hanno osato, sfidato, caparbiamente determinate. insomma: le eroine! Per questo dico che si son cinte il capo dell’elmo di scipio. il movimento delle donne, a parte queste eroine, dove è andato? Finito? Morto? silenzioso? io non credo al silenzio delle donne: il movimento delle donne è meno visibile, ma io credo che si sia, in questi anni, esteso e diffuso conquistando il riconoscimento della propria identità e dunque una nuova soggettività. su questo tema c’è una discussione aperta tra noi, anche una polemica

62


tra le donne, quella sul silenzio delle donne. io credo che questo silenzio sia dovuto al fatto che la politica è sorda e sente solo quello che viene trasmesso attraverso i canali che la politica si è data: la soggettività femminile viene riconosciuta solo e quando si esprime nei modi canonici di un movimento di protesta che scende nelle piazze, che rivendica diritti. Qualcuno in una assemblea femminista ha gridato ai maschi: “Mettetevi l’amplifon e vedrete che sentirete meglio come sono e quello che dicono le donne!”. La crisi della politica, il suo immiserirsi, il suo ridursi a competizione di potere intorno a luoghi sempre più vuoti di potere decisionale reale, è grave per tutti ma lo è ancora di più, é ancora più patita, dalle donne che in questi anni più di altri hanno reclamato un mutamento. Bobbio stesso, per tornare a lui, era ben consapevole e lo denunciava, che il guasto, il limite principale della democrazia oggi stava nel fatto che i centri di potere che il cittadino riesce a controllare sono sempre più fittizi, sempre più limitati. denunciava gli spazi off-limits di questa democrazia: la fabbrica, la scuola, la chiesa e indicava anche, con molta perspicacia, la famiglia, individuando un punto chiave a cui andrebbe aggiunto, io credo, il privato, che va al di là della famiglia perché è nel privato che si annida il potere da debellare. Queste enclaves extraterritoriali, rispetto alla democrazia, oggi sono più estese di ieri ed è grave per tutti ma per le donne di più che per gli altri cittadini perché hanno bisogno di forme diverse di esercizio del potere. Per contro pensare che, in questa crisi, possa sopravvivere la vecchia forma del movimento delle donne, che scende per strada, che interloquisce con i partiti e con le istituzioni, io credo sia assurdo; anche le donne, soprattutto loro, vivono l’antipolitica. Non si tratta di sparizione, né di arretramento del movimento; è che proprio perché le donne hanno vinto una prima battaglia, si è creata una situazione nuova. io credo che dobbiamo stare attenti; non siamo più al ritorno al passato, a vecchi ruoli tradizionali con l’uomo al centro e attorno le donne, subalterne e confuse. siamo al post-patriarcato, vale a dire a un nuovo configurarsi del conflitto tra maschi e femmine; il maschio ha ancora potere, ma non ha più autorità. io non credo che ci sia il silenzio delle donne, parlano tutte ormai, anche le puttane, come avete visto; sono donne di-

63

Luciana Castellina, Rivoluzione femminile

Studi e ricerche


Studi e ricerche

Quaderno di storia contemporanea/49

verse da noi ma vuol dire che da noi hanno anche capito qualche cosa. Quel che c’è, io credo, è sopratutto un assordante silenzio dei maschi che sono colpiti più che dagli scandali di Berlusconi dalla presa di parole che le donne hanno avuto quando li hanno denunciati e svelati. Crisi del maschio dicevo; lo spettacolo che è stato dato in questi mesi alla sessualità maschile attraverso quelle vicende avrebbe dovuto farli indignare, gridare, protestare: loro sì che avrebbero dovuto scendere in strada a dire: “No, questo modello non è il nostro.” invece silenzio. io credo che questo sia pericoloso e destabilizzante come sempre quando c’è un potere senza autorità, senza egemonia. gridare in nome della politica, avrebbero dovuto, contro l’uso delle donne che è stato fatto dalla politica. La politica, invece, non ha registrato la nuova soggettività delle donne, la loro presa di parola; il paese procede senza vederle. io non credo che ci dobbiamo fare adombrare dalla televisione; temo che sia finita per passare la pretesa berlusconiana di annullare la realtà attraverso la sua fiction, ma non credo che la televisione abbia davvero “sterminato la realtà” delle donne come direbbe Baudrillard: non è vero che le donne sono tutte veline o escort e che questo sia ormai il modello. Non dico che questo non abbia avuto un impatto ma lo scarto è grande, tant’è vero che è proprio per via di quello scarto che anche le escort hanno trovato la forza di ribellarsi. Non è questione di ottimismo contro un lucido pessimismo; il CeNsis indica nella straordinaria crescita della soggettività delle donne, delle loro competenze, della loro partecipazione qualificata la sola diga, dice de rita, contro la maciullaggine della società italiana e credo abbia ragione; come credo abbia ragione touraine quando nel suo libro – Il mondo delle donne – parla del guadagno delle donne sugli uomini in questi anni. La crescita delle donne c’è stata ma molecolare: si è trattato di pratiche di resistenza occultate ma non vanificate dalla televisione di Berlusconi. Non è vero, io credo, che la rivoluzione si sia interrotta, si è solo accentuata la distanza dalla politica ma da una politica che non è mai stata delle donne e con cui, per una fase, le donne – negli anni settanta, per esempio – avevano solo stabilito un felice compromesso, con cui oggi, però, meno che mai per il suo immiserimento, si può pensare che le donne possano incontrarsi.

64


La critica alla politica del femminismo consiste innanzitutto nel dire che la politica è presa di parola e per prendere la parola occorre che ci sia una relazione tra le donne che dia loro forza e che dia loro l’autorità per poter prendere la parola. io vorrei rendere un piccolo omaggio a qualcosa che fece il PCi alla fine degli anni ottanta e a Livia turco, in particolare, che ne fu l’autrice: la Carta delle donne Comuniste in cui si diceva: “dalle donne la forza delle donne” e finalmente poneva l’accento sul fatto che per le donne importante era innanzitutto che si dessero l’autorità necessaria a parlare e a far valere la loro identità. Necessaria la forza delle donne a rendere visibile l’esperienza delle donne, non perché essa sia aggiunta a quella maschile, ma perché contribuisca alla riformulazione della democrazia. io credo che ormai senza questa partecipazione non ci sia più scampo per la politica. Per finire vorrei citare una frase di Marguerite Yourcenar in cui la scrittrice francese diceva: “Le donne hanno una presenza limitata e segreta, una presenza vissuta ma che non è stata ancora detta e neppure pensata, tanto meno agita ed esercitata”. oggi io credo, ed è per questo che sono ottimista, si è incominciato ad iscrivere nella cultura e persino nel senso comune questa presenza delle donne,e non è poco anche se i tempi più bui di così non potrebbero essere.

65

Luciana Castellina, Rivoluzione femminile

Studi e ricerche


Quaderno di storia contemporanea/49

La Cittadella della Libertà, tra risorgimento e resistenza un percorso per immagini della Cittadella di alessandria nel 150° dell’unità a cura di M. Carcione e C. Manganelli oggi sono pochi gli alessandrini che sanno che la via di alessandria chiamata “Cento Cannoni” ricorda il ruolo della Città nel contesto politico militare delle guerre di indipendenza; in realtà quel che sappiamo è che gli alessandrini subiscono il fascino della Cittadella senza aver mai concettualizzato il suo ruolo nella storia locale. anche perché la Cittadella faceva parte di sistema di fortificazione e di un campo militare che ne condizionò fortemente, con le mura perimetrali urbane e le fortificazioni accessorie che arrivavano fino a Casale Monferrato, lo sviluppo economico e sociale. È superfluo sottolineare l’importanza storica di questo sito storicomonumentale eretto agli inizi del XViii secolo, inscindibilmente legato alla storia militare pur avendo subito soli due assedi (l’ultimo degli austriaci nel 1799): prima quella di Casa savoia, poi quella legata all’epopea napoleonica - per essa Bonaparte combatté e vinse la Battaglia di Marengo - e infine della storia risorgimentale e nazionale, poiché fu la Cittadella il cuore organizzativo e logistico delle guerre d’indipendenza ed in parte anche della grande guerra: nei momenti di massima operatività arrivò a ospitare migliaia di soldati e cavalli. La Cittadella è dunque stata teatro di fasi fondamentali della storia italiana ed europea sin dai Moti risorgimentali del 1821: purtroppo però la testimonianza materiale di questi avvenimenti è affidata solo alla Lapide che ricorda i moti del 1821, nell’atrio della Porta reale, e alla cella di andrea Vochieri, al secondo piano del Palazzo del governatore.

66


1. Ne è testimonianza l’inserimento della fortezza nella scheda su alessandria (a cura di F. Bertone) in I Sentieri della Libertà, Piemonte e Alpi occidentali. 1938-1945: la guerra, la Resistenza, la persecuzione razziale (a cura di L. Berardo), regione Piemonte-touring Club, Milano, 2007, p. 33. 2. La conferenza si è svolta all'interno della ii Festa provinciale dell’aNPi, tenutasi presso la Camera del Lavoro, con gli interventi di Cesare Manganelli e Massimo Carcione.

67

Inserto fotografico

Nel luglio 2008 il Comitato per la valorizzazione della Cittadella ha affidato all’israL la realizzazione di una ricerca, coordinata da Cesare Manganelli, sulla storia moderna e contemporanea del monumento. L’istituto aveva inserito già da qualche anno la Cittadella tra i luoghi della memoria oggetto delle sue attività di ricerca, valorizzazione e promozione storico-culturale, con particolare riferimento al progetto europeo “i sentieri della Libertà” 1. La ricerca inquadra i diversi passaggi politici, istituzionali e sociali della Cittadella; è prevista la pubblicazione di un volume con alcuni saggi inediti, una bibliografia aggiornata e un’antologia di brani significativi in tema, a partire dal saggio su Vochieri di giovanni spadolini (1991) 2. un primo esito del lavoro di ricerca è stato presentato l’11 settembre 2010, in occasione della conferenza “La Cittadella della Libertà. La Cittadella di alessandria tra risorgimento e resistenza”.


una veduta aerea della Cittadella e, in alto, La Cittadella di alessandria, dalla “raccolta dei disegni delle fortificazioni esistenti negli stati di terraferma del re di sardegna� (1846).

68


69

Inserto fotografico

il “parco storico� dei bastioni esterni e la Porta reale


Quaderno di storia contemporanea/49

70


71

Inserto fotografico

L’ingresso e la lapide che ricorda i Moti del 1821 - foto F. Bertone


Quaderno di storia contemporanea/49

72


73

Inserto fotografico

gli edifici del “corpo di piazza� - foto F. Bertone


Quaderno di storia contemporanea/49

74


75

Inserto fotografico

Particolari architettonici - foto M. Carcione


Quaderno di storia contemporanea/49

76


Inserto fotografico

interno del bastione s.antonio e della chiesa dell'ospedale - foto M. Carcione

77


Quaderno di storia contemporanea/49

78


Inserto fotografico

Palazzo del governatore e cella di Vochieri - foto F. Bertone

79


Quaderno di storia contemporanea/49

La lapide che ricorda Luciano scassi e gli altri partigiani fucilati in Cittadella (febbraio-marzo 1945) - foto M. Carcione

80


amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare? Massimo Carcione I sovrani non possono patire la verità (…). I sapienti non raccontano che tristezze e talvolta, confidando nella loro saggezza, guastano al Signore la bocca con qualche amara verità; gli stolti buffoni li sopravanzano perché dappertutto offrono ai Principi divertimenti, facezie e diletti. (…) Ai grandi prìncipi sono in sospetto ed in odio le persone troppo intelligenti e sensate, mentre viceversa si dilettano ad avere intorno a sé dei sempliciotti. erasMo da rotterdaM (1511) 1 Nel settembre 2009 2, Michele ainis ha dato alle stampe il bel saggio La cura 3 che, nel presentare quello che veniva definito “un decalogo per ricominciare da zero” nella costruzione in italia di un ordinamento giuridico e sociale basato sul principio di eguaglianza sostanziale, affermato dall’art. 3 della Costituzione, consacra il nono capitolo al tema Impedire il governo degli inetti: la sua tesi è infatti che “l’ignoranza al potere si combatte reclamando un titolo di studio per chi si presenta a un’elezione, e reclamando inoltre precise competenze per chi ricopre ruoli di governo”, partendo da un presupposto che può riportare alla memoria in qualche misura la celeberrima “predica inutile” di Luigi einaudi 4. Nell’analizzare i diversi fattori che possono influire sulla buona gestione dell’interesse pubblico da parte di un’istituzione pubblica o privata, infatti, non è irrilevante la qualità personale delle persone fisiche che ne assumono la legale rappresentanza e dunque ne esprimono la volontà, grazie all’immedesimazione organica che li rende amministratori della persona

81

Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare?

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

Note e discussioni

giuridica de qua; tanto più se si tratta di un ente investito della cura e gestione di politiche o strutture culturali, diviene rilevante considerare quali titoli di competenza devono caratterizzare costoro, e quindi se e in che misura tale loro qualificazione culturale e tecnica debba assumere rilevanza (unitamente a quella etica e politica, possibilmente nell’ordine) durante il procedimento finalizzato alla loro individuazione e designazione 5. si tratta di una questione di non poca attualità e interesse, dal momento che investe quasi tutte le funzioni pubbliche, dal più alto livello degli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale fino agli enti locali e alle diverse forme di istituzioni o società da essi creati per la gestione dei servizi pubblici di loro competenza: non sfugge a nessuno quanto la nomina dei rappresentanti e amministratori di un ente sia importante ai fini del concreto esercizio del potere politico, attraverso il controllo e il reale indirizzo degli enti stessi da parte della pubblica amministrazione, che deve essere inteso al migliore perseguimento dell’interesse pubblico e non di quello di una parte, non foss’altro che per l’orientamento (più o meno legittimo e lecito) del consenso. rimandando all’ampio dibattito storiografico in tema di vicende storico-istituzionali 6 e di rapporti tra politica e conoscenza, nonché alla ricca bibliografia in materia 7, si segnala solo come momento di svolta fondamentale (concordando anche in questo con ainis), l’epoca della rivoluzione Francese, e in specifico la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che affermava all’articolo 6 l’eguaglianza dei cittadini nell’ammissibilità “a tutti gli incarichi pubblici secondo le loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti”. I sedili dei Dotti: mettere i “lumi” a vantaggio della Patria Non è dunque di poca rilevanza, per la definizione degli indirizzi in materia di politica della cultura, che Norberto Bobbio ha definito acutamente come “politica degli uomini di cultura in difesa delle condizioni di esistenza e di sviluppo della cultura” 8, verificare se, in quale misura e con che efficacia le persone sono chiamate a ricoprire ruoli pubblici facendo riferi-

82


mento in modo formale (sulla base di norme esplicitamente finalizzate a tale esito) alla loro personale cultura e competenza tecnico-scientifica. storicamente un solo organo poté vantare, nell’ambito degli stati preunitari, questa singolare caratteristica: il sedile dei dotti 9 era, tuttavia, una delle componenti del Parlamento del regno delle due sicilie di giuseppe Bonaparte (1808), dunque di un’assemblea di nomina regia, dotata di assai limitate prerogative, priva di iniziativa legislativa, che poteva riunirsi su ordine del re “almeno” una volta ogni triennio 10. Ben maggiore rilevo ebbero, cinquant’anni dopo, le Leggi rattazzi del 1859, grazie alle quali ai dotti 11 non veniva più richiesto il requisito del censo 12 per conseguire l’elettorato passivo, che invece veniva tolto ai ricchi analfabeti, non solo per il Parlamento ma anche per accedere alle nuove cariche comunali e provinciali 13. dopo quasi un secolo, in comprensibile ritardo rispetto alla comunità internazionale, che a partire dal Discorso delle Quattro Libertà (1941) di Franklin d. roosvelt e poi con la nascita dell’uNesCo (1945) 14, aveva posto i diritti culturali al centro dell’attenzione e della considerazione universale, la Costituzione della repubblica giunse a coronamento del percorso di crescita civile e intellettuale della Nazione; è in questo clima culturale che furono concepiti e redatti alcuni tra i migliori articoli della nostra Carta fondamentale, sia dal punto di vista stilistico che dei contenuti giuridici ed etici, condividendo disposizioni pregnanti e impegnative in tema di cultura e diritti civili, politici e sociali. il che fu reso possibile anche dalla circostanza che, al momento di costituire l’assemblea Costituente, la nuova classe politica trovò naturale avvalersi di alcune delle più grandi personalità intellettuali del tempo, come Croce o Mortati 15. È stato posto in evidenza come la norma generale che scaturisce dalla c.d. “Costituzione culturale”, e in special modo dal combinato disposto degli articoli 9, 33 e 34, richieda di perseguire un punto di equilibrio fra pubblici poteri e cultura, secondo il modello originale di romagnosi, per il quale le istituzioni pubbliche devono limitarsi all’azione di promozione, in modo da creare le condizioni per il libero sviluppo della cultura 16; proprio per questa ragione l’art. 33 proclama al quarto comma che le istituzioni di alta cultura, tra cui oltre a università e accademie, si dovrebbero poter annoverare anche biblioteche, musei e archivi nazionali, hanno il di-

83

Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare?

Note e discussioni


Note e discussioni

Quaderno di storia contemporanea/49

ritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato 17. in questo spirito, anni dopo, la Corte Costituzionale 18 aveva affermato che il patrimonio storico e artistico della Nazione “costituisce un valore cui la Costituzione ha conferito straordinario rilievo, collocando la norma che fa carico alla repubblica di tutelarlo tra i principii fondamentali dell’ordinamento”. Ma è nella seconda parte della Carta, quella dedicata all’ordinamento della repubblica, che si possono trovare non pochi esempi di diretto e formale riconoscimento dei meriti, delle esperienze e delle competenze culturali ai fini dell’attribuzione di cariche istituzionali di altissimo profilo e responsabilità; in primis l’art. 59 secondo il quale “il Presidente della repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo scientifico, artistico e (o) 19 letterario”. Proprio a proposito di questa singolare e poco valorizzata figura istituzionale, plasmata dalla Costituente avvalendosi di una limitata deroga (o meglio integrazione) al principio di sovranità 20, è stato detto che si intendeva appunto “assicurare ai sommi, ai geni tutelari della patria […] una tribuna che essi non hanno, che non hanno più” 21; la non moltissima attenzione della dottrina ha posto, tuttavia, nella giusta evidenza il fatto che la ratio della norma mirava ad assicurare al senato il contributo di idee e di esperienze di “cittadini particolarmente benemeriti”, che dunque non costituiscono affatto una categoria a sé stante come talora si vorrebbe, e anzi acquisiscono i medesimi poteri, diritti e doveri dei senatori elettivi22. Nel merito del requisito specifico che giustifica la nomina, si è posto in evidenza che avrebbe sempre dovuto trattarsi – a differenza della prassi instauratasi – di personalità che godevano di una solida considerazione degli ambienti internazionali dei settori di volta in volta interessati, tale da avere conferito prestigio all’intera nazione; si è anche notato che il termine “artistico” è stato oggetto di un’interpretazione estensiva, che non si è limitata alle arti figurative ma ha incluso la musica e “qualsiasi altro tipo di attività umana che sia animata da quel soffio di creatività che sempre, nei secoli, l’uomo ha inutilmente tentato di comprendere e definire”. invece il campo scientifico è stato inteso in maniera estremamente larga, ma considerando in minore misura proprio coloro che solitamente sono

84


definiti “scienziati”, vale a dire i cultori delle scienze fisiche e sperimentali: scelta che è stata in parte giustificata dall’esigenza di portare in senato persone non solo di grandissima fama e prestigio, ma anche “preparate per cultura, abito professionale ed interessi ad assumersi la veste di legislatori” 23. in ultimo si può condividere l’analisi di chi vede nei senatori a vita di nomina presidenziale delle personalità in grado di dimostrare, nel migliore spirito dell’art. 4 della Costituzione, che “la repubblica fondata sul lavoro premia con il suo più alto riconoscimento coloro che con il lavoro l’hanno illustrata 24. altre disposizioni costituzionali individuano puntualmente figure di alta qualificazione culturale come idonee per ricoprire delicati e prestigiosi incarichi: “il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti” (art. 99 commi 1-2), che sono però solo dodici, e devono essere scelti tra i più qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica 25; così pure “i componenti del Consiglio superiore della magistratura possono essere scelti tra i professori ordinari di università in materie giuridiche” (104 c. 4). allo stesso modo “possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche” (106 c. 3); ma, soprattutto, possono essere scelti tra gli stessi professori i giudici della Corte costituzionale (135 c. 2). si tratta evidentemente di ruoli di grande prestigio e di non poca influenza sull’operato dell’ordinamento statale, inteso nel senso più alto e ampio, ma con scarsa incidenza sul potere politico propriamente inteso, e cioè quello espresso dal governo (che sempre meno si può definire solo esecutivo) e dal potere legislativo, nel quale l’azione di promozione e di controllo da parte della sottocategoria dei senatori a vita per meriti culturali (dizione più accattivante di non elettivi) è purtroppo alquanto marginale. Questo per consolidata prassi istituzionale, ma forse anche per una sorta di spontanea ritrosia e autolimitazione: atteggiamento non molto giustificabile, sul piano morale come alla luce delle norme costituzionali e dei regolamenti parlamentari, che si può spiegare solo con un certo distaccato disinteresse (purtroppo tipico delle élites intellettuali, salvo qualche meritoria eccezione), oppure con la consapevolezza del rischio di avviare o pro-

85

Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare?

Note e discussioni


Note e discussioni

Quaderno di storia contemporanea/49

muovere iniziative che sarebbero politicamente velleitarie, per quanto autorevoli e sicuramente di alto livello. Nei casi delle nomine presso il CsM e la Corte Costituzionale, non è però specificato il livello dei meriti scientifici, che invece devono essere altissimi per i senatori a vita e insigni per i consiglieri di cassazione 26; se ne può dedurre che il vaglio di altri meriti (politici) 27 che starebbe comunque alla base dell’elezione da parte del Parlamento è stato ritenuto adeguato e sufficiente, senza porre ulteriori limiti di ordine qualitativo. a margine, vale la pena di porre in rilievo la non comune responsabilità che viene così affidata alla ristrettissima categoria dei professori ordinari di università in materie giuridiche: la figura in questo modo assume rilievo costituzionale 28, trattandosi degli unici professionisti della cultura e della ricerca scientifica espressamente e direttamente citati dalla Carta 29. anche se, in virtù della singolare forma mentis che in italia caratterizza tanto l’ambiente accademico, quanto quello che tradizionalmente si definisce “il mondo della cultura”, l’università non viene sempre considerata parte integrante dell’istruzione e l’istruzione a sua volta non viene necessariamente inclusa nella cultura (al punto che di prassi nel designare ministeri, assessorati e servizi amministrativi i relativi termini sono utilizzati in modo distinto), appare impegnativo ma nello stesso tempo gratificante, per i cultori delle scienze giuridiche, poter aspirare a simili prospettive, cui non potrebbero invece ambire i docenti universitari di storia dell’arte, architettura, archeologia o materie umanistiche 30. al di fuori del testo costituzionale è più frequente trovare esempi di funzioni di grande rilevanza istituzionale, non solo di natura tecnico-amministrativa, per le quali ai fini della nomina sono talora richiesti, oltre alla particolare autonomia e indipendenza, specifici requisiti culturali; in primo luogo nell’ambito dei particolari Comitati di Ministri, Comitati interministeriali o gruppi di studio interdicasteriali 31, dei quali possono “eventualmente” far parte anche degli esperti non appartenenti alla Pubblica amministrazione. Per i componenti dell’autorità “garante per la protezione dei dati personali” (più noto come Garante della Privacy), si dispone 32 che essi siano scelti tra gli “esperti di riconosciuta competenza delle materie del

86


diritto o dell’informatica, garantendo la presenza di entrambe le qualificazioni”. analogamente avviene per l’autorità “garante della Concorrenza e del Mercato” (nota anche come Autorità Antitrust) 33 per la quale i Presidenti dei due rami del Parlamento operano la scelta tra persone che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo, ma anche tra professori universitari ordinari di materie economiche o (ancora) giuridiche, e personalità provenienti da settori economici dotate di alta e riconosciuta professionalità. Così pure per l’autorità (Authority) “per l’energia elettrica e il gas”, è previsto 34 che i componenti siano scelti fra “persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore”. Nulla è invece specificato nel senso della particolare competenza personale del presidente e dei componenti dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni 35. Quanto agli apparati pubblici, nel mare magnum delle norme in materia di istituzione e funzionamento dei vari Ministeri – prima solo della Pubblica istruzione, poi anche dei Beni Culturali e ambientali, dell’università e della ricerca scientifica – evidentemente non è mai stata richiesta in modo formale alcuna competenza scientifica ai Ministri della Pubblica istruzione o dei Beni e delle attività culturali 36 (così come, d’altronde, agli assessori regionali o ai responsabili delle politiche culturali di grandi città o province), è anzi significativo che vengono ricordati con rispetto, quasi per contrapposizione, i pochi casi “anomali” di Ministri di autentico spessore culturale 37. Non è irrilevante il fatto che solo dopo decenni di scarsissima considerazione politica, ci sia stata una stagione felice 38 nella quale i Ministri per i Beni e le attività culturali pro tempore (nello specifico Veltroni e rutelli) hanno finalmente assunto in seno al Consiglio dei Ministri il rango e l’importanza che dovrebbe essere sempre attribuita in italia a questo ruolo, acquisendo il ruolo prestigioso di Vicepresidente del Consiglio, oltre che di componente del CiPe. Nell’ambito della struttura organizzativa del Ministero per i Beni e le attività culturali però non basta fare riferimento solo al Ministro e ai suoi sottosegretari: esiste infatti, quale più alta istanza rappresentativa del mondo della cultura, il Consiglio Nazionale dei Beni culturali, in passato 39 definito “di antichità e belle arti”, che è definito dalla legge 40 quale organo

87

Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare?

Note e discussioni


Note e discussioni

Quaderno di storia contemporanea/49

consultivo del Ministero a carattere tecnico-scientifico. esso è composto, ai sensi del comma 4, dai sette presidenti dei Comitati tecnico-scientifici – ciascuno dei quali a sua volta include anche due esperti di chiara fama in materie attinenti alla sfera di competenza – e da otto “eminenti personalità del mondo della cultura”, nominate nel rispetto del principio di equilibrio di genere, tra i quali il Ministro sceglie anche il Presidente; il Consiglio e i Comitati esprimono solo pareri (solo in due casi in modo obbligatorio) e possono avanzare proposte solo su questioni di carattere generale di particolare rilievo. analogamente il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, istituito presso il Ministero che allora riuniva tutte le competenze in ambito culturale dalla già citata Legge Casati del 1847, è definito dalla L. n. 233/1999 (articoli 1 e 2) quale organo collegiale a livello centrale, ed è costituito per meno della metà dei suoi componenti – anche se gli altri sono comunque rappresentanti del mondo della scuola – da “esponenti significativi del mondo della cultura” 41, che devono esprimere “il più ampio pluralismo culturale”; esprime pareri obbligatori (ma non vincolanti) su una serie di indirizzi e direttive organizzative di carattere generale e sulle altre materie che il Ministro intenda sottoporgli 42. Non si deve infine trascurare, per l’enorme importanza e influenza del sistema radiotelevisivo pubblico nell’odierno panorama culturale, anche in vista di quanto si dirà in conclusione, lo statuto della RAI-Radiotelevisione Italiana SpA, che all’articolo 21.2 richiede per la nomina dei membri del consiglio di amministrazione 43 il possesso dei requisiti per la nomina a giudice costituzionale 44, aggiungendo che devono essere, “comunque persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali”. Nell’ambito regionale e delle autonomie locali, potrebbe essere in primo luogo utile condurre un’indagine sistematica su statuti e regolamenti, in merito alle competenze caso per caso richieste per ricoprire specifichi incarichi, come ad esempio l’ufficio del Difensore civico 45, non a caso oggetto di una recente riforma dell’art. 11 tueL in senso ulteriormente li-

88


mitativo per il livello comunale 46; esemplare in tal senso la recentissima legge della toscana 47 – prima regione a istituire la figura, nel 1970 – per la quale oggi può essere nominato difensore civico “chi sia in possesso di laurea magistrale o diploma di laurea [...] e di una qualificata esperienza professionale, almeno quinquennale, di lavoro autonomo o in posizione dirigenziale di strutture pubbliche o private o in rappresentanza di associazioni e formazioni sociali, svolta nel campo della difesa dei diritti dei cittadini o comunque nel campo giuridico-amministrativo”. Quanto agli enti locali in senso stretto, rammentato che si tratta di un ambito nel quale “competenza” fa quasi sempre rima con “consulenza” (constatazione che trova riscontro nel basso livello di gratificazione e considerazione nei confronti dei dipendenti, funzionari e dirigenti più qualificati, inclusi i segretari comunali), può essere interessante rilevare che la nomina dei rappresentanti di Comuni e Province in seno a enti, istituzioni e società, alla luce dell’art. 42 coma 2 lett. m) del tueL e delle rispettive disposizioni statutarie, dovrebbe avvenire sulla base di ben definiti “indirizzi” da parte dell’organo consiliare, cui il sindaco o Presidente della Provincia dovrebbero dare attuazione mediante una valutazione certo anche fiduciaria, ma che non consente di esercitare una discrezionalità del tutto illimitata. Per questa ragione è normalmente richiesta ai candidati la presentazione di un dettagliato e documentato curriculum vitae, la cui valutazione da parte del sindaco o del Presidente dovrebbe evidentemente avere un peso preponderante rispetto alla conoscenza personale o all’appartenenza partitica. Un’amara conclusione Per concludere, la questione dell’effettiva importanza che può avere la partecipazione attiva delle persone di cultura alla vita politica e istituzionale è fortemente condizionata dal fatto che, in italia e non solo, sono molti a ritenere che la cultura intesa nella sua accezione più ristretta, tradizionale e conservatrice, sia un’isola di futile astrazione, di compiacimento estetico, di accademica autoreferenzialità (e, in conseguenza, di “spreco” di risorse

89

Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare?

Note e discussioni


Note e discussioni

Quaderno di storia contemporanea/49

pubbliche), del tutto avulsa dall’autentica società civile, che sarebbe in ipotesi solo quella che produce e consuma. Viene per contro colpevolmente trascurato (o volutamente sminuito) l’apporto per nulla trascurabile che le nuove forme di “cultura di massa” possono mettere a disposizione di chi ne sa trarre giovamento, manovrando accortamente un’opinione pubblica spesso disattenta e, proprio per questo, facilmente condizionabile 48. La dottrina giuspubblicistica italiana, tuttavia, ha sempre avuto ben presente l’importanza di questo tema, come è testimoniato da Carlo ghisalberti 49, per il quale “le istituzioni rappresentative, quelle, cioè, che sul piano concreto realizzano la democrazia politica, si fondano sull’educazione civile, sull’istruzione pubblica, sul benessere individuale e collettivo, sulla tolleranza e sul rispetto delle opinioni”. anche Michele ainis, già nel suo fondamentale studio del 1988 50, aveva affermato che è indispensabile tutelare la capacità critica di ogni cittadino, garantendone l’indipendenza di giudizio sull’indirizzo politico statale e promuovendo a tal fine il pluralismo; il che richiede che sia assicurata la “partecipazione consapevole alle sorti della cosa pubblica”, cosa che implica per la cittadinanza, ma ancor più per ogni singolo individuo (cittadino ma soprattutto elettore), il fatto di avere acquisito un “solido patrimonio di conoscenze”. Nella sua recente diagnosi ha quindi messo in evidenza, coerentemente, che non si può condividere l’idea che la cultura dei politici sia “presunta”, senza bisogno di attestati 51, dal momento che ormai l’accesso a tutti i gradi di istruzione e il diritto allo studio per i “capaci e meritevoli” è garantito costituzionalmente, oltre ad essere tutelato dalle leggi nazionali e regionali e dagli statuti delle università: dunque ormai da anni non c’è più il rischio di “impedire che i non istruiti si riflettano nelle istituzioni, eleggendovi i propri simili sulla base di un rigido criterio di rappresentanza”. eppure, a suo giudizio, “la politica oggi riflette il peggio [sic] della società italiana, o comunque la sua componente culturalmente più arretrata”. La “cura” da lui proposta 52, come si è visto all’inizio, è porre fine al malcostume degli “uomini sbagliati nel posto sbagliato” adottando invece il principio del tutto logico che per assumere un incarico e una responsabilità di qualunque livello di governo occorre dimostrare qualche competenza rispetto al proprio mandato: dunque i Parlamentari dovrebbero

90


essere almeno diplomati, o comunque vantare un adeguato curriculum lavorativo (fatta eccezione solo per i “giovani” fino a trent’anni), mentre per ministri e assessori che rivestono ruoli operativi “la competenza deve essere specifica, dev’essere connessa al settore che gli viene affidato”. dunque per rispondere al quesito iniziale, a giudicare dall’analisi delle norme e delle prassi istituzionali, si deve prendere atto che in italia la situazione è molto lontana da questi auspici: anzi, il ruolo dei “dotti” è stato normativamente limitato, a ogni livello legislativo e istituzionale, alla mera espressione di pareri quasi mai obbligatori e vincolanti (e comunque da prestarsi sempre in modo strettamente “apolitico”); tanto più che gli organi tecnico-scientifici incaricati di esprimere questi pareri hanno comunque avuto sempre scarso peso e prestigio istituzionale: basti ricordare i casi, emblematici in questo senso, del Consiglio superiore dei Beni culturali e, più ancora, del CNeL. La risposta circa l’odierna rilevanza della competenza nella gestione della cosa pubblica non può quindi che essere, con buona pace di ainis e di quanti la pensano (pensiamo) come lui, tristemente negativa.

NOTE

1. erasmo da rotterdam, Elogio della follia, Parigi, 1511; solo cinque anni prima, il 4 settembre 1506, erasmo si era laureato in teologia presso l’università degli studi di torino. 2. La redazione del presente studio all’epoca era già stata avviata da qualche mese, nell’ambito di un incarico di collaborazione presso l’israL di alessandria (marzo 2009-novembre 2010), svolto a latere del lavoro di ricerca per la tesi di dottorato XiV ciclo (ottobre 2008). 3. M. ainis, La cura. Contro il potere degli inetti, per una Repubblica degli uguali, Milano, Chiarelettere, settembre 2009; pagg. 147-157. 4. L. einaudi, Prediche inutili, opere di Luigi einaudi, Vol. ii, torino, einaudi, 1964; pagg. 3-14. 5. il che, ovviamente, a sua volta può essere influenzato dal fatto che chi prende le decisioni per investitura politica abbia o meno l’opportunità (se non il dovere) di ascoltare il parere di chi conosce la questione, e in che misura possa disattendere o ignorare questa proposta o valutazione. 6. Per un’analisi meticolosa, esaustiva e illuminante dell’intero processo storico-culturale si veda l’ottimo C. duggan, La forza del destino. Storia d’Italia dal 1796 ad oggi, Bari, Laterza, 2008. 7. Per tutti si segnalano u. Levra, Fare gli italiani: memoria e celebrazione del Risorgimento, torino, Comitato di torino dell’istituto per la storia del risorgimento, 1992; e s. soldani-g. turi (a

91

Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare?

Note e discussioni


Note e discussioni

Quaderno di storia contemporanea/49

cura di), Fare gli Italiani. Scuola e cultura nell’età contemporanea, 2 voll., Bologna, il Mulino, 1993. 8. N. Bobbio, Politica e cultura, torino, einaudi, 1955. 9. in virtù dell’art. 8 dello statuto; gli altri “sedili” erano quelli del clero, della nobiltà, dei commercianti e dei possidenti (l’unico elettivo); va detto però che questo Parlamento, per il rapido precipitare delle vicende del regno napoleonico di giuseppe, non fu mai convocato: cfr. g. Marongiu, Storia del diritto italiano. Ordinamenti e istituti di governo, ist. Cisalpino, Milano, 2007; pag. 44; v. anche u. allegretti, Profilo di Storia costituzionale italiana, Cagliari, CueC, 1983. 10. g. Marongiu, Storia del diritto italiano. Ordinamenti e istituti di governo, cit.; pag. 31; un significativo precedente era stato costituito dal Collegio dei dotti, previsto dalla Costituzione della prima repubblica italiana del 1802; però in quel caso si trattava solo di una delle categorie vitalizie – enfaticamente definite come gli organi primitivi della nuova nazione italiana – che avrebbero dovuto costituire i collegi elettorali del Corpo legislativo, “depositario della parte più nobile dell’autorità sovrana”, almeno secondo il vano auspicio della Consulta di Lione, che fu però ben presto smentito da Napoleone. Molto più tardi, tra i Consiglieri Provinciali creati dall’editto di Carlo alberto del 1842 furono inseriti i personaggi più “ragguardevoli per lumi”. ivi; p. 59. 11. La rilevanza di questo atto si può meglio comprendere leggendo quel che Carlo Felice di savoia aveva affermato, dopo i moti del 1821, nei confronti dei dotti: “Chi ha studiato all’università è del tutto corrotto: i professori sono abominevoli, tutti quelli che sanno qualcosa non sono meglio di loro […]. in una parola: i cattivi sono tutti letterati e i buoni ignoranti”. 12. g. Marongiu, Storia del diritto italiano. Ordinamenti e istituti di governo, cit.; pag. 106; questo sul presupposto che la laurea fosse indizio più idoneo per rilevare nei cittadini la capacità necessaria all’esercizio dei diritti politici. 13. art. 15 della Legge n. 3702 del 31 ottobre 1859: “sono altresì elettori: i membri delle accademie la cui elezione è approvata dal re […]; i promossi ai gradi accademici; i Professori ed i Maestri autorizzati ad insegnare nelle scuole pubbliche”. 14. si vedano il Preambolo e l’art. 1 dell’atto costitutivo (Londra, 16 novembre 1945), che hanno dato i primi frutti con l’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (10 dicembre 1948). 15. in particolare dC e PCi che, avvalendosi del particolare meccanismo di designazione dei candidati consentito dal sistema elettorale, invece di privilegiare notabili politici o esponenti di altri “poteri forti” si fecero carico di assicurare una tribuna a personaggi, forse meno noti al grande pubblico, del mondo della cultura e dell’università, al cui contributo intellettuale (ovviamente insieme a quello di altre grandi personalità politiche e intellettuali del tempo, come La Pira o Moro) si deve in misura rilevante l’indubbia qualità formale e sostanziale della nostra Carta Costituzionale. in tema si veda anche r.ruffilli (a cura di), Cultura, politica e partiti nell’età della costituente, 2 voll., Bologna, il Mulino, 1979. 16. Cfr. F. Merusi, Commento all’art. 9 della Costituzione, in g.Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, volume Principi fondamentali, Bologna, Zanichelli, 1975; p. 435; v. anche g. Zagrebelsky, Imparare democrazia, torino, einaudi, 2007. 17. in merito all’autonomia scientifica delle istituzioni culturali (o meglio degli istituti, ex art. 101 del d.Lgs. 42/2004) si vedano per i musei il Codice deontologico dell’iCoM, per le bibliote-

92


che il Manifesto dell’uNesCo promosso, condiviso e fatto proprio dall’iFLa. 18. sentenza n. 94/1985, in materia di tutela del paesaggio; il concetto è stato ripreso e ampliato l’anno seguente dalla sentenza n. 151/1986 la quale, ponendo l’enfasi sul concetto di valore estetico-culturale, ha sottolineato la primarietà dell’esigenza di una “piena e pronta realizzazione di esso, secondo un modello ispirato al principio di leale collaborazione”. 19. La correzione è riferita al fatto che nella prassi non è mai stata richiesta la compresenza dei requisiti di merito (scientifico, artistico, letterario oltre che sociale) ma solo di uno di essi. 20. L’iniziativa era stata dei deputati Nitti, alberti e Clerici; si ricordi che nel corso del dibattito l’on. Nitti si era dichiarato favorevole a inserire in senato anche professori universitari, però secondo una rigida previsione legislativa e non per nomina presidenziale: in La costituzione nei lavori preparatori, iV; pagg. 3136 e sgg. sul fatto che questa eccezione “non altera davvero il carattere rappresentativo del Parlamento” cfr. C. ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia 1848/1948, Bari, Laterza, 1986; pag. 424. 21. V. Crisafulli-L. Paladin, Commentario breve alla Costituzione, Padova, CedaM, 1990; pagg. 370-373. 22. r. Bifulco, a. Celotto. M. olivetti, Commentario alla Costituzione, tomo i, pagg. 1171-1172; in merito alla nomina presidenziale si è ritenuto che non sia applicabile il limite dei 40 anni (Martines) e che rispetto alla valutazione del Capo dello stato non sia consentita al senato una verifica sulla sufficienza dei titoli di merito, salvo che sia nominata una persona totalmente sprovvista degli altissimi meriti: il che costituirebbe infatti una totale difformità rispetto al parametro normativo (Mortati). 23. P. Franceschi, Commento all’art. 59, in g. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, volume Le Camere, tomo i, Bologna, Zanichelli, 1975; pag. 132-133; va detto però che queste considerazioni precedevano di qualche anno la recente nomina da parte del Presidente Ciampi del Premio Nobel per la medicina rita Levi Montalcini. 24. Franceschi, Commento all’art. 59, cit.; pagg. 106-107. 25. L’art. 17 della L. n. 383 del 2000 prevede che nell’ambito dei 122 componenti i dodici esperti siano nominati dal Presidente della repubblica (8) e dal governo (4). 26. È giusto tuttavia ricordare che l’attuazione dell’art. 106 ha dovuto attendere, come e più di tante altre disposizioni della Costituzione, ben cinquant’anni per vedere emanata la legge di attuazione (L. n. 303 del 5 agosto 1998), in base alla quale i candidati sono selezionati in una rosa di nominativi segnalati dagli organismi universitari e forensi. 27. si vedano le interessanti considerazioni di Franceschi, Commento all’art. 59, cit.; pag. 133 riferite ai molti senatori a vita nominati per meriti nel campo “sociale”, che in realtà si è sostanzialmente ridotto a quello politico. 28. Che questo ruolo fosse iscritto storicamente nel dNa dei giuspubblicisti lo si può evincere anche dall’atto di istituzione (datato 1797) nell’ambito delle università di Bologna, Pavia e Ferrara, delle prime cattedre di diritto costituzionale, il cui scopo era di “assicurare nella più alta maniera l’insegnamento e la diffusione delle sublimi teorie sopra le quali sono fondati i diritti dell’uomo”. Cfr. a. Morelli, La prima cattedra di diritto costituzionale, Modena, direzione dell’archivio giuridico, 1898. 29. È pur vero che moltissimi docenti universitari, anche delle altre discipline accademiche, sono stati e sono tutt’ora parlamentari e anche ministri: ma si tratta di una scelta non necessariamente (e certamente non solo) dettata da ragioni di competenza tecnico-scientifica, e

93

Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare?

Note e discussioni


Note e discussioni

Quaderno di storia contemporanea/49

comunque con modalità di selezione che non sono assolutamente formalizzate in tal senso, neppure nell’ambito dei rispettivi partiti o gruppi politici. 30. tanto meno quando dirigono grandi musei, biblioteche e archivi nazionali, né i conservatori dei più insigni monumenti, neppure quando sono stati proclamati dall’uNesCo come appartenenti al “Patrimonio dell’umanità”. 31. art. 5 comma 2, lettere h) e i) della L. n. 400/1988. 32. art. 30 della Legge n. 675 del 31 dicembre 1996. 33. istituita dalla legge n. 287 del 10 ottobre 1990. 34. art. 2 comma 8 della L. 481 del 14 novembre 1995. 35. Legge n. 249 del 31 luglio 1997. 36. si veda in merito l’opinione di s. settis, Italia SpA, torino, einaudi, 2007; pag. 36, secondo il quale è proprio con l’istituzione del nuovo Ministero che “comincia il decadere della macchina amministrativa e della sua funzionalità” ai fini della tutela. si veda anche il gustoso capitolo “Beni culturali. Ministri per caso” del recentissimo g. a. stella, s. rizzo, Vandali. L’assalto alle bellezze d’Italia, rizzoli, Milano 2011, pp. 137-151. 37. si fa riferimento a Ministri che rispondevano ad esempio a nomi come giovanni spadolini, alberto ronchey o antonio Paolucci. Non si può non ricordare che spadolini è inscindibilmente legato, nella memoria di ogni amante della cultura, all’istituzione – avvenuta incredibilmente con il decreto legge 14 dicembre 1974, n. 657, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 1975, n. 5 – del Ministero per i Beni culturali (che solo in seguito unì volta per volta anche le competenze in materia di ambiente, turismo o attività culturali; cfr. in ultimo la L. 181/2006), ma che non ha mai potuto fregiarsi, soprattutto per ragioni ideologiche, della più appropriata denominazione di Ministero per la Cultura. 38. in entrambi e soltanto nei governi Prodi (1996-1998 e 2006-2008): non a caso un Presidente del Consiglio dei Ministri – all’epoca non era ancora in voga l’impropria quanto fastidiosa dizione Premier – di grande competenza scientifica e indiscusso prestigio e spessore intellettuale. 39. in ultimo dalla L. n. 1477/1947. 40. attualmente è regolato dall’art. 4 del d. Lgs. 368/1998 (come sostituito dal d. Lgs. 3/2004) e dall’art. 13 del d.P.r. n. 233/2007. 41. in proposito il comma 5 specifica meglio che, oltre alla cultura, sono intesi (come se si trattasse di cosa diversa) l’arte, la scuola e l’università; insieme ad essi sono inoltre inclusi gli ambiti del lavoro, delle professioni, dell’industria e dell’associazionismo professionale: il che, considerando il peso politico e sociale dei diversi ambiti, lascia supporre che il mondo della cultura in genere possa contare solo su una parte dei 15 componenti in questione. 42. anche altri Ministeri (in particolare sanità, Lavoro e Lavori pubblici), includono nel loro organigramma un Consiglio superiore, sempre con poteri consultivi e propositivi, talvolta obbligatori ma assai raramente vincolanti. 43. si ricorda che in virtù della “Legge gasparri” (n. 112/2004, poi confluita nel tu n. 177/2005), sette membri del Cda rai sono nominati dalla Commissione parlamentare di vigilanza sui servizi radiotelevisivi e gli altri due, tra cui il Presidente, dal governo. 44. ai sensi dell’art. 135, secondo comma, della Costituzione. 45. ad esempio la Legge regionale del Piemonte n. 50 del 9 dicembre 1981 non prevede re-

94


quisiti di competenza, mentre in Campania “deve essere scelto fra persone munite di peculiare competenza giuridico-amministrativa” (L.r. n. 23 dell’11 agosto 1978). L’art. 4 del regolamento del Comune di roma stabilisce che può essere nominato chi “per preparazione e per esperienze acquisite nella tutela dei diritti, offra la massima garanzia di probità, indipendenza, obiettività, competenza e capacità di esercitare efficacemente le proprie funzioni”, non molto diversa è la formula adottata dagli statuti di Palermo (art. 27: riconosciuto prestigio morale e professionale e provata esperienza giuridico-amministrativa) e di Milano; anche l’art. 76 dello statuto della Provincia di Bologna prevede che il difensore sia eletto “tra i cittadini di provata esperienza professionale nel campo giuridico-amministrativo”. 46. Cfr. l’articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, al comma 183. 47. L. r. toscana n. 19 del 27 aprile 2009, art. 22. 48. Nella sua celebre quanto controversa dissertazione giovanile, Jean-Jacques rousseau sosteneva una tesi che merita un’attenta riflessione, risultando - se solo si ha l’accortezza di aggiungere all’elenco anche la televisione - di straordinaria attualità: “Mentre il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli uomini associati, le scienze, le lettere e le arti – meno dispotiche e forse più potenti – stendono ghirlande di fiori sulle catene di ferro di cui essi sono carichi. il bisogno innalzò i troni, le scienze e le arti li hanno rafforzati”. J. J. rousseau, Discours sur la question si le rétablissement des sciences et des arts a contribué a épurer les moeurs (1750). 49. all’inizio delle Conclusioni in Storia costituzionale d’Italia 1948/1948, cit.; pag. 431. 50. M. ainis, L’Intervento culturale. Promozione e libertà della cultura nel disegno costituzionale, roma, 1988; pag. 144-154; lo studio è stato ripubblicato, in versione ampliata, con il titolo Cultura e politica, Milano, giuffré, 1991. 51. ainis cita dati del 2005 secondo i quali solo il 31% delle élites politiche nazionali è laureato (contro il 51% degli inglesi, il 58% dei francesi e il 65% dei tedeschi); ricorda inoltre che in italia ci sono stati due Presidenti del Consiglio dei Ministri che erano soltanto diplomati. 52. ainis, La cura, cit.; pagg. 154-157.

95

Massimo Carcione, Amministrazione e competenza: è necessario conoscere per deliberare?

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

i ragazzi del Fronte della gioventù di alessandria

Note e discussioni

Delmo Maestri il Fronte della gioventù, di cui parlo e a cui appartenevo, non è quello messo in piedi in anni recenti dai neofascisti, ma quello antifascista fondato su ispirazione del PCi, fra l’ottobre e il novembre 1943, da eugenio Curiel. il Fronte si proponeva di guidare i giovani e i giovanissimi alla lotta patriottica contro i nazifascisti e alla difesa degli interessi giovanili, mediante la propaganda e la diffusione della stampa, la raccolta delle armi, i contatti con i gruppi partigiani, le sottoscrizioni, gli interventi in aiuto dei ricercati politici. ad alessandria sorse fra il novembre e il dicembre 1943, appoggiandosi a gruppi di giovani già attivi dopo il 25 luglio e l’8 settembre. il responsabile del Fronte a livello provinciale fu Carlo gilardenghi, uomo di cultura e di passione politica di alto valore, a livello cittadino fu Carlo gandini, allora studente di ragioneria dell’istituto tecnico da Vinci. i reclutamenti più consistenti avvennero nel Liceo Classico Plana e nell’istituto Magistrale diodata roero saluzzo. il Fronte non fu solo un’organizzazione di lotta, ma un centro di formazione ideale e politica, di incontri e scambi di esperienza, di solidarietà e amicizia. Luogo di riunione furono dapprima le sale da bigliardo del Bar Baleta. Le prime iniziative di propaganda consistevano nella diffusione di giornali e volantini, in scritte nottetempo sui muri della città e in un’azione nelle scuole che ostacolava vittoriosamente l’iscrizione dei giovani all’opera Nazionale Balilla e favorì la fuga di gran parte degli studenti, quando vennero incolonnati per ascoltare in piazza della Libertà il maresciallo d’italia graziani (10 febbraio 1944). Le riunioni al Baleta finirono dopo le prime delazioni, gli arresti e le fughe (delmo Maestri fuggito, arrestato e ammonito dalla Questura). Case private, dopolavoro saves, incontri in luoghi e orari convenuti fecero allora da tessuto all’organizzazione, mentre la sua azione si faceva più

96


estesa e articolata: sottoscrizioni per la resistenza, attività di staffetta e collegamento con i primi gruppi partigiani, accompagnamento in luoghi di salvezza di antifascisti ricercati, soldati sbandati, prigionieri di guerra fuggiti. il 30 aprile 1944, primo bombardamento di alessandria, segnò una svolta. Molti giovani sfollarono con le loro famiglie nei sobborghi e paesi dei dintorni. Fu l’occasione per estendere le azioni di propaganda e il reclutamento a Valmadonna, Valle san Bartolomeo, Pietra Marazzi, rivarone, provocando a Pietramarazzi anche l’arrivo della Brigata Nera da poco costituita e a rivarone l’incontro dei ragazzi del Fronte con i partigiani della zona. Nell’autunno 1944, divenne più dura la repressione nazifascista, anche perché l’azione del Fronte scendeva frequentemente sul piano delle armi: tentativi e disarmo di ufficiali repubblicani ad alessandria e in provincia: quattro brigatisti neri disarmati all’uscita del cinematografo del Cristo, un ufficiale ucciso durante un disarmo lungo il viale del cimitero. gualtiero Macchio e giuseppe Zoccola, già entrati nella 19^ garibaldi, presi con le armi e fucilati sotto Cassine a 16 e 17 anni. il nuovo luogo d’incontro dei giovani del Fronte era diventato l’ufficio dell’avvocato Badò in via Bissati. ignaro l’avvocato, il suo impiegato, giuseppe reale, appartenente al Fronte, riuniva dirigenti e affiliati, custodiva la propaganda, occultava armi. una spia, fingendo di volersi iscrivere, entrò nell’ufficio, vide e denunciò gran parte dei presenti, fra cui lo stesso reale e Carlo gandini che furono arrestati in piazza della Libertà il 4 dicembre 1944. reale riuscì a fuggire da Brescia, mentre stava viaggiando verso la germania. Malandato per le percosse subite, rimase nascosto ad alessandria fino alla Liberazione. gandini, dopo un primo interrogatorio e il trasferimento nelle carceri della Cittadella, venne inviato al campo di Monza e poi verso un campo tedesco. riesce a fuggire durante un bombardamento, torna ad alessandria e sale a Pecetto nella 108^ garibaldi. in seguito a un rastrellamento si sposta a Fubine nella 107^ garibaldi, che però viene momentaneamente sciolta per le continue incursioni fasciste. decide di ritornare il 12 marzo 1945 in formazione con un gruppo di giovani del Fronte, ma viene arrestato a Quargnento dai militi della gNr. È duramente e ripetutamente interrogato presso il comando delle ss e poi condotto al carcere tedesco di via Parma, da cui fugge con altri detenuti e

97

Delmo Maestri, I ragazzi del Fronte della Gioventù di Alessandria

Note e discussioni


Note e discussioni

Quaderno di storia contemporanea/49

conclude le sue rocambolesche avventure, raggiungendo ad altavilla la sua formazione il giorno di Pasqua. L’arresto di gandini e di reale non ferma l’attività del Fronte, né l’attività della polizia e dei gruppi fascisti. Questi ultimi ricercano partigiani rifugiati in città, in seguito ai rastrellamenti dell’inverno 1944-1945, che hanno costretto molte formazioni a sciogliersi. alcuni di loro vengono avvertiti, grazie alle informazioni di infiltrati nelle file fasciste, dai ragazzi del Fronte, e si possono salvare, come amaele abbiati e giorgio Fontana. un colpo di mano di giorgio guazzotti e alberto Lovisolo sottrae mitra e caricatori nella stessa sede dell’oNB, mentre l’incauto possessore sta al pianoforte con alcune ragazze. Ma giancarlo d’acuti e renato romano, studenti del Classico, vengono arrestati da agenti dell’ufficio Politico investigativo, subiscono aspri interrogatori, si comportano coraggiosamente e rimarranno in carcere fino alla Liberazione. L’aria non è più respirabile nell’alessandria degli ultimi mesi di guerra e molti giovani raggiungono le formazioni partigiane, come la 107^ garibaldi e la 98^ brigata “Martiri di alessandria”. il Fronte continuò la sua attività anche dopo la Liberazione con nuovi compiti, ma la sua fiamma fu in questi anni di guerra. Non posso ricordare tutti i nomi degli iscritti, molti dei quali ho raccolto. solo alcuni che non ci sono più, oltre ai caduti e agli imprigionati citati: Carlo gilardenghi, giorgio guazzotti, Claudio Zucchelli, Carla gatti, gianfranco Panizza, Velio Cazzuli, giuseppe suppa. e giovanni Mussa, milanese, organizzatore del Fronte a Castellazzo, ma arrestato a Milano e scomparso in campo di concentramento tedesco a 17 anni. Ne valse la pena? Ne valse la pena. Nessuno di quei ragazzi avanzò nella vita, se non per merito suo. Li nutrirono spirito d’avventura, idealismo, fedi politiche ingenue e generose. di questo si formarono. Comportamenti, passioni, discussioni, incontri influenzarono anche gli altri, attraverso i tempi e i modi diversi con cui si comunicano gli esempi e s’intrecciano i ricordi. anche loro gettarono un seme di sogni di libertà e di un avvenire migliore. “rimane in noi il giglio di quell’amore ” (da Mario tobino, Il clandestino)

98


Note e discussioni

Sul filo della memoria: appartenenti al Fronte della GioventĂš di Alessandria: molti poi deportati, carcerati, partigiani combattenti

Delmo Maestri, I ragazzi del Fronte della GioventĂš di Alessandria

astuti Pino Caccavale romolo: partigiano combattente Cacciatore dani: fermato dalla polizia Camusso Francesco: partigiano combattente Canepari Carlo: partigiano combattente Cazzuli Velio Cellerino sergio Ciappolino giovanna Cortese ernesto: carcerato d’acuti giancarlo: carcerato Fantini Beppino gandini Carlo: carcerato, partigiano combattente gandini Francesco gandini Marco gatti Carla gilardenghi Carlo: partigiano combattente grasso giovanni: partigiano combattente grattarola giovanni: partigiano combattente guasco egle guazzotti giorgio: partigiano combattente Laguzzi sergio Lovisolo alberto: carcerato, partigiano combattente Lunati giancarlo Macchio gualtiero: partigiano combattente, fucilato Maestri delmo: fermato, partigiano combattente Mussa giovanni: morto nella deportazione Panizza gianfranco Ponzone anna Prati dario: partigiano combattente reale giuseppe: carcerato reale giuseppe: carcerato

99


Quaderno di storia contemporanea/49

ricci Franco: partigiano combattente roggero Marzio romano renato: carcerato segù giorgio: fermato dalla polizia suppa giuseppe: partigiano combattente tiberti Vincenzo: partigiano combattente Viansino giovanni: carcerato Villani Fiorenza: fermata dalla polizia Zoccola Pino: partigiano combattente, fucilato Zucchelli Claudio: partigiano combattente Zucchelli Fabio: partigiano combattente Due testimonianze

Note e discussioni

Come morirono gualtiero Macchio e Pino Zoccola: appartenevano alla 19. Brigata garibaldi, div. Viganò. avevano per tre giorni percorso lo stradale sotto Cassine per disarmare qualche repubblichino. il quarto giorno, il 21 settembre 1944, vennero sorpresi con le armi dall’autoblinda del generale della gNr iachino e fatti fucilare. gualtiero (n. alessandria, 1928) agonizzò senza aver perso conoscenza fino alla sera del 21, Pino (n. genova, 1927) sopravvisse in semicoscienza fino al 22. (testimonianza di giuseppe Benzi, loro compagno, che si salvò per essersi attardato) scrive giovanni Viansino, che fu poi professore di letteratura latina all’università degli studi di salerno: “Novembre 1944, un incontro in piazza rattazzi con un inviato del CLN. per la formazione di un nucleo collegato con il “Fronte della gioventù” di torino; attività antifascista nel Liceo “g. Plana”, distribuzione di materiale propagandistico, arresto ad opera di Massobrio [Franco Massobrio, noto persecutore di antifascisti], pestaggio presso l’uPi. [...], denuncia presso il tribunale speciale per la difesa dello stato di torino; detenzione presso il “Penitenziario”[...]; liberazione il 23 aprile”.

100


Note e discussioni

alessandria, città logistica

Lo sviluppo del commercio internazionale è stato senza dubbio favorito dall’introduzione del container, unità di carico standardizzata, che ha rappresentato nel secolo scorso forse la più grande innovazione nel settore, e da cui è partita la rivoluzione nel mondo del trasporto merci 1. a partire dalla sua introduzione alla fine degli anni sessanta ha, infatti, conosciuto una crescita inarrestabile fino ai giorni nostri: questo è avvenuto anche grazie ad altri fattori legati alla globalizzazione, come la liberalizzazione degli scambi, la divisione internazionale del lavoro, le delocalizzazioni. Ma, allo stesso tempo, possiamo affermare che la globalizzazione, senza l’introduzione del container e la successiva rivoluzione nel trasporto marittimo, non avrebbe avuto l’impatto che oggi noi tutti conosciamo. dall’introduzione del container, nel campo del trasporto marittimo si è assistito a un continuo processo di innovazione infrastrutturale, tecnologica e organizzativa. si è innanzitutto avuto un adeguamento delle infrastrutture portuali, con la costruzione di aree attrezzate per rispondere all’arrivo di navi sempre più grandi. si è pertanto passati alla realizzazione di grandi porti di transhipment, chiamati anche hub, localizzati in posizione strategica, con un’area di riferimento di solito molto ampia, in cui si sono concentrati elevati volumi di traffico. in questi grandi porti arrivano le navi-madri (mother) che trasferiscono a navi-figlie (servizio feeder) i carichi diretti ai porti minori. allo sviluppo delle infrastrutture portuali è corrisposto un deciso aumento delle navi, sia in termini numerici che in termini di stazza. dagli anni settanta a oggi, lo sviluppo della containerizzazione sulle rotte intercontinentali ha registrato un notevole incremento dei traffici marittimi e della movimentazione portuale. Negli anni, infatti, con il continuo aumento del traffico

101

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

Mauro Brancaccio e Fabrizio Ferrari*


Quaderno di storia contemporanea/49

Note e discussioni

containerizzato, sono nati nuovi porti e terminal che hanno ridisegnato la geografia degli scambi su scala mondiale, facendo emergere le rotte che collegano i principali mercati di produzione e consumo mondiali, e che possiamo riassumere in tre macro aree: Nord america, asia e europa. i dati disponibili fino al 2006 evidenziano con chiarezza quale è stato lo sviluppo del traffico containerizzato marittimo. si è passati da poco più di 5 milioni di teu 2 movimentati nel 1973 a circa 440 milioni di teu nel 2006, con tassi di crescita, dagli anni Novanta in poi, sempre più alti. Questa rapida evoluzione dei traffici è giustificata, prima ancora che da fattori economici, dal mutamento dello scenario geo-politico internazionale: fenomeni come il crollo del comunismo, l’ascesa delle “tigri asiatiche”, l’apertura al mercato mondiale dell’economia cinese.

interessante risulta analizzare il mercato dei flussi direzionali, lungo le principali rotte intercontinentali o rotte giramondo, sulle quali si concentra la stragrande maggioranza dei traffici containerizzati. La principale direttrice mondiale di traffico containerizzato è la rotta est-ovest, che rappresenta il 43% del totale, e che può essere a sua volta suddivisa in rotta transpacifica (estremo oriente-Nord america), rotta transatlantica (Nord america-europa) e rotta asia-europa.

102


La più importante in termini di volumi di traffico delle rotte est-ovest è la direttrice transpacifica. sulla rotta che ci interessa più da vicino, quella asia-europa (Nord europa e Mediterraneo), si stima che nel 2006 il volume di traffico si sia attestato sui 18,3 milioni di teu (direzione asia-europa 12,5 milioni di teu, in direzione opposta 5,8 milioni di teu). tutto ciò mette in chiara evidenza il costante ruolo delle economie emergenti come motore del commercio globale, dovuto a vari fattori, principalmente la delocalizzazione dei centri di produzione dall’occidente nei paesi in via di sviluppo. Per quanto riguarda il traffico portuale containerizzato mondiale, si può notare dai dati riportati nella tabella 2 che nel 2008 tra i 20 porti più importanti in termini di movimentazione, i porti cinesi dominano la scena internazionale. Prima di tutto, evidenziamo che i 20 porti movimentano circa la metà del traffico container mondiale. secondariamente, ci sono 13 porti di paesi in via di sviluppo (quasi tutti situati in asia, 8 dei quali si trovano in Cina) tra i primi 20; solamente 4 sono situati in europa (nord europa, nessun porto nel Mediterraneo) e 3 negli stati uniti. singapore

103

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

rappresenta il porto leader mondiale per movimentazione di container. Nella tabella che segue sono elencati i principali porti italiani in termini di movimentazione di container. Confrontando la tabella 2 con la tabella 3 notiamo che il solo porto di rotterdam movimenta più container di tutto il sistema portuale italiano.

Note e discussioni

L’impatto della crisi sui traffici marittimi mondiali L’attuale crisi economico finanziaria, iniziata a giugno del 2007 negli stati uniti e diffusasi poi in tutto il globo, non sembra volgere a termine, nonostante le misure massicce messe in campo da vari governi nazionali e banche centrali per ridurne gli effetti e per sostenere la ripresa 3. La crisi si è trasferita con una forza dirompente dalla finanza all’economia reale: interi settori produttivi, come l’industria dell’automobile, devono far fronte a fallimenti di famosi marchi come general Motors, a profonde ristrutturazioni e fusioni (Fiat-Chrysler), al ricorso imponente a cassa integrazione e licenziamenti. Nel paragrafo precedente abbiamo visto l’incredibile espansione che negli anni ha avuto il mondo dello shipping, dalla crescita esponenziale dei container movimentati, allo sviluppo incessante della flotta portacontai-

104


ner e dei porti. È stato il settore che maggiormente ha goduto della crescita economica mondiale degli ultimi 30 anni, ma è stato anche uno di quelli che per primi hanno accusato la crisi economico-finanziaria. inevitabilmente, i primi a essere coinvolti dalla crisi mondiale sono stati gli armatori e società di navigazione, che si sono visti, dopo anni di grandi ricavi, costretti a cambiare le loro strategie commerciali. il risultato è stato che, dopo anni di forte espansione della flotta mondiale, da ottobre del 2008 gli armatori hanno iniziato a fermare le navi, a partire da quelle più datate. si conta che da febbraio a marzo 2009 circa 1.300 navi (portacontainer, dry bulk e refeer) siano state fermate nei porti. inoltre, gli operatori marittimi, per far fronte alle gravi perdite, passano dalla cancellazione degli ordinativi di nuove navi alla loro demolizione 4. analizzando la tabella 2, sono evidenti le conseguenze della crisi sul traffico mondiale marittimo nei principali porti: dai dati risulta evidente una marcata riduzione dei traffici nei maggiori scali, anche se i primi dati relativi al 2010 sono abbastanza positivi. un discorso a parte merita la portualità italiana, che sembra essere l’unica a non aver approfittato in pieno dell’aumento generalizzato dei volumi di traffico mondiale. infatti, il trend di crescita dei porti italiani resta positivo ma con percentuali inferiori (escludendo gioia tauro, che è però un porto di transhipment) rispetto ai porti del nord europa e ai porti spagnoli. se si confrontano i trend di crescita dei range (northern, spagnolo e italiano) 5 dal 2000 al 2008, risulta evidente che i porti italiani sono cresciuti meno degli altri: Northern range +100%; Spanish +90%; Italian + 50%. soprattutto se letto in chiave competitiva, è evidente che i porti spagnoli (che rappresentano i nostri più diretti concorrenti nel bacino del Mediterraneo) hanno superato i porti italiani in meno di un decennio. La ragione principale della crescita troppo lenta della portualità italiana, secondo gli studi realizzati da più istituti, CNeL (La competitività della portualità italiana. Osservazioni e proposte, 2006) e CeNsis (La portualità come fattore di sviluppo e modernizzazione, 2008) in testa, consiste nel ritardo nella realizzazione di infrastrutture adeguate al rilancio della portualità italiana. La riforma del settore portuale (Legge 84/94) ha introdotto il principio di libera concorrenza (seppur in modo decisamente ambiguo) attraverso la gestione

105

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

Note e discussioni

privata dei porti, istituendo le autorità Portuali, enti di diritto pubblico dotati di autonomia amministrativa, ma con pochissima autonomia finanziaria. Proprio le autorità Portuali chiedono oggi una nuova riforma che le doti di piena autonomia finanziaria; è auspicabile che essa punti soprattutto a stabilire un assetto normativo finanziario differenziato, che assicuri ai porti di importanza strategica (sia dal punto di vista della produzione del gettito fiscale che del traffico), i finanziamenti necessari per la realizzazione delle opere indispensabili al rilancio della loro competitività. dal nostro punto di vista, ciò rappresenta solo una parte del problema (al di là delle legittime rivendicazioni da parte delle autorità portuali): il discorso è molto più complesso e riguarda soprattutto la sfera politica. Per quanto riguarda il porto di genova, bisogna fare una riflessione sull’evoluzione dei suoi traffici. sono più volte stati previsti aumenti considerevoli dei traffici container per il capoluogo ligure. Queste previsioni sono realizzate, evidentemente, in virtù dell’aumento generalizzato dei traffici marittimi globali a cui si accennava nel precedente paragrafo, e che avrebbe dovuto interessare anche genova. a puro titolo esemplificativo mostriamo uno studio recente: i dati del traffico container effettivamente realizzati dal porto di genova nel 2010 sono evidentemente ben inferiori rispetto alla previsione di pochi anni prima.

106


a tal proposito, alla luce dei dati a nostra disposizione, possiamo notare che il mancato raggiungimento dei traffici previsti esula dall’attuale crisi globale: il porto di genova da molti anni cresce a ritmi più bassi dei concorrenti. Le ragioni per cui tali aumenti di traffico non si sono realizzati (e non si realizzeranno) sono principalmente due. il primo è infrastrutturale: il porto di genova è carente di spazi fisici tali da poter accogliere un numero maggiore di contenitori, dovuto principalmente alla bassa interoperabilità del porto con altre infrastrutture ‘lato terra’; mancano infatti adeguati collegamenti con la ferrovia, tale da incentivare l’intermodalità, e infrastrutture logistiche, che consentirebbero una razionalizzazione dei flussi logistici e quindi una maggiore penetrabilità nei mercati di produzione e consumo. il secondo motivo, interconnesso al primo, è la dimensione economica del porto, che rappresenta ancora un porto che si limita alla sola movimentazione dei container senza intercettare il bisogno crescente della logistica a valore aggiunto. infatti il porto non è concepito secondo la moderna logistica, come nodo di una filiera ben più complessa, integrato con il sistema produttivo e le attività economiche, a loro volta interconnesse con la rete terrestre come accade già da tempo nei porti del nord europa. il porto è invece guidato ancora da logiche campanilistiche e dall’assenza di una vision che lo proietti nel futuro. Ciò è dovuto alla carenza di una pianificazione strategica del territorio, e dall’assenza di una governance che dovrebbe essere la sede naturale in cui contemperare le esigenze della logistica privata e pubblica, attraverso la fissazione di linee prioritarie d’intervento, la gestione del territorio in modo sostenibile e l’utilizzo ottimale delle infrastrutture già esistenti. La politica dei trasporti europea Focalizziamo l’attenzione sull’europa: l’ue, a metà degli anni Novanta, per implementare una politica dei trasporti efficiente, vista come uno dei fattori chiave per il raggiungimento degli obiettivi dell’integrazione economica e della coesione sociale, ha disegnato una rete di trasporto transeuropea (teNt-t, Trans-European Networks - Transport) 6, che consiste in un

107

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

Note e discussioni

insieme di infrastrutture di trasporto integrate (porti, aeroporti, strade e ferrovie) con lo scopo di coprire l’intero territorio comunitario, migliorare l’accessibilità di persone e merci all’interno di esso e ridurre la marginalità delle aree periferiche dell’unione. i progetti della rete teN-t nascono nel 1996, con una decisione del Consiglio e del Parlamento europeo (1692/96/Ce), e vengono successivamente aggiornati, anche in seguito all’allargamento verso est dell’unione europea. il Libro Bianco sui trasporti, pubblicato nel 2007)7 mette in risalto lo squilibrio nelle varie modalità di trasporto (il trasporto su strada è predominante e in continuo aumento, mentre il trasporto su ferrovia e per vie navigabili è sempre più marginale) e auspica una strategia che metta al centro dell’attenzione il riequilibrio fra modi di trasporto e la sostenibilità ambientale. infine, il rapporto Van Miert 8 del 2004 individua infine 30 progetti prioritari da realizzare entro il 2020. dei trenta progetti prioritari della rete teN-t, tre attraversano il territorio nazionale: il primo progetto prioritario è la linea ferroviaria Berlino-Palermo (PP1) che attraverserà il nostro territorio dal valico alpino del Brennero e dovrà interconnettersi con Verona, Bologna, Napoli e Palermo. il secondo progetto prioritario è la linea ferroviaria Budapest-Lione (PP6) che interesserà il territorio italiano di trieste, Venezia, Milano e torino. il terzo e ultimo progetto prioritario è la linea ferroviaria rotterdam-genova (PP24) che attraverserà il confine svizzero mediante i tunnel del Lotschberg e del gottardo per poi interconnettersi con Milano, Novara fino a genova. Il “Corridoio dei due mari” Genova-Rotterdam La nostra analisi ha come riferimento il corridoio teN-t n.24 genovarottterdam e si focalizza soprattutto sulle opere infrastrutturali in territorio svizzero. gli interventi pianificati dalla svizzera sono opere di grande rilievo, che stanno cambiando la geografia dei trasporti sulla direttrice nord-sud e hanno un duplice obiettivo: integrare la nuova trasversale alpina

108


con la rete europea ad alta velocità (merci e passeggeri), e ridurre la quota del traffico merci su gomma a favore del traffico ferroviario. Le opere a cui ci riferiamo sono il tunnel del Lotschberg e la galleria del gottardo. il primo, lungo 34,6 Km, è già stato realizzato: è un’opera iniziata nel 1999 e conclusa nel 2007 (rispettando i tempi previsti) che insieme al tunnel del sempione costituirà il primo collegamento veloce nord-sud. Nel tunnel circoleranno a regime 110 treni (di cui 80 merci e 30 passeggeri) ogni giorno 9. L’altra opera di grande importanza che gli svizzeri stanno realizzando è la galleria di base del gottardo (alptransit san gottardo), che con i suoi 57 km sarà la galleria più lunga del mondo. i lavori per la sua realizzazione sono iniziati nel 1999 e finiranno (secondo le previsioni delle autorità svizzere) nel 2018. altre opere collegate alla galleria del gottardo in ordine di intervento sono la galleria di base del Ceneri e dello Zimmerberg. secondo le previsioni dell’ufficio Federale dell’ambiente svizzero (are) la domanda di trasporto subirà un aumento del 78% circa fino al 2030: la politica dei trasporti elvetica si sta quindi attrezzando per assorbire l’aumento del traffico merci soprattutto tramite ferrovia. attualmente sull’asse del gottardo transitano fino a 150 treni al giorno di merci; con la costruzione di alptransit san gottardo la capacità aumenterà di oltre 200 treni al giorno e inoltre i convogli potranno essere più lunghi di quelli attuali. La capacità di trasporto di merci passerà pertanto dai 20 milioni di tonnellate/anno attuali a 40 milioni di tonnellate/anno. Ciò genererà inevitabili opportunità di sviluppo del traffico merci, dai treni completi isolati al traffico combinato non accompagnato 10. Pertanto, nel giro di pochi anni lo scenario dei trasporti sul versante del valico alpino svizzero subirà una trasformazione importante, ma avrà un impatto marginale sul versante italiano se non si realizzeranno nei tempi previsti le opere necessarie per rendere interoperabili le linee ferroviarie svizzere con quelle italiane. Le opere previste sul versante italiano che interessano l’asse prioritario n.24 genova-rotterdam riguardano l’accesso ai tunnel ferroviari del Lotschberg e del gottardo con l’adeguamento delle linee esistenti al traffico merci. Questi interventi di parte italiana sono in parte completati, e in parte in via di realizzazione, mentre per quanto ri-

109

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

guarda il basso Piemonte, e in particolare il terzo Valico, siamo ben lontani dalla realizzazione 11.

Note e discussioni

Un breve excursus sulla logistica alessandrina La provincia di alessandria è, per posizione geografica e configurazione morfologica, un’area a vocazione logistica. il capoluogo nasce, anche per questioni di logistica militare, a cavallo di due fiumi e in una piana equidistante dai centri più importanti del nord ovest italiano 12. Nel territorio alessandrino la pianura padana ha due importanti collegamenti con la Liguria: la valle Bormida e la valle scrivia; quest’ultima, in particolare, ha storicamente rappresentato lo sbocco naturale per il porto di genova (il passo dei giovi, è stato per genova fin dal Medioevo il valico principale per la pianura). La Valle scrivia è diventata un retroporto naturale, ospitando i principali insediamenti logistici a supporto del sistema portuale genovese. il primo insediamento, in ordine di tempo, è quello di arquata scrivia, attivo fin dagli anni Venti, e attualmente specializzato nella movimentazione di merci varie. Negli anni sessanta nasce invece l’insediamento di rivalta scrivia, da un’idea dell’armatore genovese giacomino Costa, come retroporto di genova. L’insediamento si estende oggi su una superficie di oltre un milione di metri quadrati ed è collegato al capoluogo ligure dalla ferrovia, attraverso la quale giunge una parte della merce; oltre alla movimentazione, nel centro si eseguono anche alcune lavorazioni. La storia della logistica alessandrina, fino agli anni Novanta, è pertanto la storia di imprenditori privati che, sfruttando la vicinanza con genova e il suo porto, creano strutture nella zona della Valle scrivia a supporto dei terminalisti. solo a cavallo del nuovo millennio le istituzioni locali iniziano a interessarsi del settore: per primo Fabrizio Palenzona, allora Presidente della Provincia di alessandria, che vede la logistica come opportunità di sviluppo per l’intero territorio, come possibile antidoto alla crisi delle attività tradizionali, entrate in recessione anche per colpa della globalizzazione e della delocalizzazione produttiva. Lo stesso fenomeno che mette in dif-

110


ficoltà tante aziende tradizionali può rappresentare, per un territorio così strategicamente posizionato, un’occasione. da questa consapevolezza nascono una serie di iniziative: la prima, datata 1999, è un protocollo di intesa firmato da alcune amministrazioni locali; seguono altre intese, che coinvolgono anche le autorità portuali liguri, le regioni Piemonte e Liguria, trenitalia. L’iniziativa più importante è senza dubbio sLaLa (sistema logistico dell’arco ligure ed alessandrino), che nasce nel 2003 come srL e si trasforma poi in Fondazione, con il compito di promuovere l’allocazione di insediamenti dedicati alla logistica, di studiare azioni di marketing territoriale e con l’ambizione di diventare una authority per la logistica nel nordovest. anche l’università del Piemonte orientale si specializza nel settore della logistica, producendo una serie di ricerche sui possibili sviluppi, anche occupazionali, e proponendosi quale polo formativo e centro di ricerca sulla logistica integrata. Per quanto riguarda la città di alessandria, la situazione è particolarmente confusa: il progetto di Piattaforma Logistica alessandrina, presentato nel 2002 dalla giunta scagni, non è mai decollato, e nel 2007, con il cambio di maggioranza a Palazzo rosso, è tramontato definitivamente. Nello stesso anno la giunta Fabbio ha presentato, nell’ambito dei Programmi territoriali integrati regionali, due nuovi progetti relativi allo scalo merci (società per il retroporto di alessandria) e all’insediamento nella zona di san Michele. entrambi, però, sono attualmente fermi: il primo aspetta i finanziamenti promessi dagli enti soci, mentre a proposito del secondo, che doveva realizzarsi in un’area di proprietà comunale, l’unica notizia è che i terreni sono stati ceduti a privati. Nel frattempo altre iniziative private sono maturate sul territorio: il polo logistico Fridocks di Pozzolo Formigaro, la logistica del gruppo Logistico gavio (a s. guglielmo, tortona), la argoL di Coniolo nel Casalese, e altre. Complessivamente le piattaforme esistenti sono stanziate su una superficie di circa 3 milioni di mq (dei quali 515.000 mq coperti), con un volume di affari di circa 80 milioni di euro/anno. Volendo tracciare una sorta di bilancio, possiamo dire che ci sono stati interventi immateriali, di autopromozione del territorio (le partecipazioni della Provincia a diverse edizioni del salone internazionale della Logistica, la costituzione della

111

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

Comunità delle Camere di Commercio dell’asse ferroviario genova-anversa), di condivisione di obiettivi, anche se probabilmente non si è giunti alla creazione di un vero e forte network tra gli attori coinvolti, né pare sLaLa abbia assunto il ruolo di attore collettivo in grado di governare le politiche settoriali. anzi, ci sono stati episodi di conflittualità tra le istituzioni, mentre l’interesse degli operatori liguri nei confronti di questi progetti retroportuali sembra altalenante. e sugli investimenti materiali? in dieci anni non è stato realizzato nulla, un po’ per la proverbiale incapacità italiana di realizzare infrastrutture, un po’ per la crisi internazionale degli ultimissimi anni. Per questo motivo sembra opportuno sfruttare interventi realizzati da altri Paesi, più efficienti del nostro.

Note e discussioni

Uno scenario alternativo per Alessandria sulla vocazione logistica del territorio alessandrino si discute dunque ormai da decenni, ma poco o nulla sembra muoversi. Lo stesso si può dire dell’italia, definita la ‘piattaforma logistica del Mediterraneo’ per la sua posizione strategica: i dati mostrati in precedenza dimostrano che questa posizione da sola non basta per rendere un paese competitivo dal punto di vista logistico. Prima di iniziare l’analisi dello scenario è opportuno richiamare i motivi che ci portano a immaginare una traiettoria di sviluppo alternativo per il futuro logistico di alessandria. il sistema portuale ligure, come prima illustrato, ha eletto anni fa il territorio alessandrino come sede naturale per l’insediamento di infrastrutture logistiche con funzioni retroportuali. il motivo principale di questa elezione è dovuta principalmente a un fattore che possiamo definire ‘spaziale’ 13, in quanto le previsioni sui traffici nei porti liguri (come abbiamo già visto in precedenza) stimavano un aumento considerevole dei container, tale da mettere in crisi il sistema portuale ligure (soprattutto quello genovese). Nel progetto che vede protagonista alessandria come retroporto genovese, un ruolo fondamentale è rappresentato dalla realizzazione del

112


terzo Valico, che rappresenta un intervento di parte italiana all’interno del progetto teNt-t n.24 genova–rotterdam. il progetto, secondo gli intendimenti iniziali, ha come obiettivo l’eliminazione di un collo di bottiglia sul nodo genovese e contestualmente il potenziamento delle linee lasciate libere al traffico merci. il progetto definitivo dell’opera è stato approvato nel 2006, ma i lavori non sono ancora iniziati. a rendere ancora più critica la situazione è l’attuale crisi economica, che evidenzia ancora di più l’assenza di adeguati fondi per finanziare la realizzazione dell’infrastruttura (a oggi sarebbero stanziati i primi 500 milioni di euro, meno di un decimo del costo previsto). Per questi motivi, proponiamo uno scenario alternativo che, riconoscendo sempre la centralità di alessandria all’interno dello sviluppo logistico del nord-ovest, e in particolare lungo la direttrice genova-rotterdam, effettua una sorta di ‘inversione a u’ e rivolge lo sguardo allo sviluppo delle infrastrutture terrestri di collegamento a nord di alessandria in direzione rotterdam. Questa ipotesi per il futuro logistico di alessandria nasce da una riflessione sullo stato dell’arte delle opere, finora solamente progettate, per portare a compimento lo scenario che prevede alessandria retroporto di genova. Quindi ci si chiede se non sia doveroso per alessandria rivolgere l’attenzione anche allo sviluppo delle infrastrutture terrestri che si stanno realizzando in direzione nord, verso rotterdam. La nostra idea di fondo, basata sull’opportunità di costruire un network di relazioni con attori presenti al di là dei confini italiani (per intenderci con i porti e gli operatori del Northern Range), è confermata dalla perdita di competitività della portualità italiana, nella fattispecie di quella genovese. abbiamo evidenziato nel capitolo sui traffici marittimi che l’evoluzione dei traffici nel porto di genova prescinde dall’attuale crisi economica e che le stime fatte negli anni passati sull’aumento dei volumi non si sono verificate. Quindi, ancorare le sorti di alessandria a un presente (e a un futuro) incerto di genova ci sembra limitato, se non addirittura azzardato: date le condizioni attuali la scelta della retroportualità non deve essere considerata l’unica opzione percorribile. i porti del nord europa sono invece estremamente competitivi: lo dimostra il fatto che hanno esteso la loro area di mercato in territori pros-

113

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

simi ai porti del Mediterraneo. il successo dei porti del nord europa è dovuto alla capillarità e all’alto grado di efficienza dei collegamenti terrestri, quindi a un ‘costo logistico totale’ basso, che consente di servire anche territori molto lontani in modo affidabile ed efficiente. Per questo motivo, nel prossimo futuro le opportunità insediative diventeranno sempre maggiori, anche in vista della conclusione delle opere prima analizzate. Pertanto, bisogna già da ora proiettare alessandria nel futuro, osservando come evolve lo scenario ai nostri confini in un contesto altamente competitivo come quello della logistica, e trovarsi pronti all’occasione appena si presenta.

Note e discussioni

Conclusioni il nostro lavoro si conclude con la rappresentazione di due opzioni per lo sviluppo dello scenario prima esposto e si basa su due aree: si tratta dello scalo merci di alessandria e dell’area di san Michele. iniziando da alessandria smistamento, si tratta di un’infrastruttura ferroviaria di grandi dimensioni sito nel cuore della città. allo stato attuale lo scalo merci è sottoutilizzato e per il nostro scenario rappresenta un elemento di grande importanza nel prossimo futuro. ormai il trasporto merci non può prescindere dallo sviluppo dell’intermodalità, sia dal punto di vista del riequilibrio modale, che della sostenibilità ambientale; la presenza in alessandria di un’infrastruttura ferroviaria già dotata di un terminal intermodale rappresenta quindi un elemento di forza per il territorio. infatti, nello scenario prima esposto sulle opere che si stanno realizzando oltre il nostro confine e sulle opere che si stanno e si dovranno realizzare sul nostro territorio, lo scalo merci di alessandria rappresenta un nodo fondamentale della futura rete di trasporto. La presenza di un terminal intermodale all’interno dello scalo consente lo scambio modale sia ai treni merci completi che al traffico combinato, che poi prosegue su gomma verso le destinazioni finali. rafforza la nostra tesi sulle enormi potenzialità dello scalo di alessandria la situazione del sistema logistico lombardo che dal punto di vista dell’intermodalità rappresenta un mercato già maturo

114


con la presenza di 18 terminal intermodali. Lo sviluppo del traffico intermodale nella regione ha reso necessario il potenziamento o la costruzione di nuovi terminal; inoltre in Lombardia sono presenti terminal dedicati al traffico container internazionale, soprattutto con i porti del Northern Range (amburgo, anversa, rotterdam e Brema). solo per fare un esempio, in Lombardia nel 2007 sono entrati 250.000 container via ferrovia dai porti del nord europa contro i 350.000 dei porti liguri (di cui solo 140.000 via ferrovia) 14. Questi dati ribadiscono la grande influenza che i porti del nord europa hanno sul nostro sistema economico territoriale. oltre tutto, anche in Lombardia si presenta un problema di tipo spaziale: il graduale esaurimento di aree da poter dedicare alla realizzazione di terminal lascia supporre che, quando le opere infrastrutturali dei valichi alpini saranno concluse, l’area milanese si troverà prossima ai livelli di saturazione e dovrà cercare nuove opportunità oltre i confini regionali: già oggi nel sistema logistico lombardo rientrano territori contigui, come Novara e Piacenza, con i loro terminal intermodali. L’area di san Michele, circa 800.000 metri quadrati, presenta una buona dotazione infrastrutturale dal punto di vista stradale e dista circa 4 Km dallo scalo merci di alessandria. Bisogna tenere presente che la superficie è situata a circa 80 km dall’area milanese, che rappresenta il mercato di produzione e consumo più importante d’ europa. L’opzione che noi prefiguriamo per san Michele è la realizzazione di un’infrastruttura logistica a valore aggiunto, che non si presta solo alla semplice movimentazione delle merci, ma a operazioni di manipolazione e lavorazione delle merci (etichettatura, imballaggio, controllo qualità, ecc). Questa opzione è interconnessa a quella precedentemente illustrata dello scalo merci di alessandria, in cui dovrebbero giungere i carichi provenienti dal Nord europa; una parte di questi potrebbero essere diretti anche a san Michele, in cui si realizzerebbe la cosiddetta logistica ad alto valore aggiunto, per poi raggiungere le destinazioni finali. sempre analizzando il sistema lombardo, è stato evidenziato come la stragrande maggioranza degli operatori logistici in conto terzi si sia localizzato nei pressi dei terminal intermodali. Questa opportunità risulta plausibile per diverse ragioni: la vicinanza del mercato di riferimento (area milanese), il basso costo dei terreni nel-

115

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

l’alessandrino, la saturazione di aree logistiche nel milanese che costringe sempre di più gli operatori logistici a delocalizzare la loro attività nelle aree circostanti (come è accaduto per esempio con Piacenza). in conclusione: dobbiamo volgere lo sguardo verso il Nord europa, prendere atto della prossima entrata a regime dei nuovi valichi alpini in territorio svizzero, che consentiranno alle merci sbarcate nei porti del Northern Range di raggiungere la pianura Padana, e arrenderci al paradosso per cui la merce in arrivo dalla Cina passerà dai porti tedeschi e olandesi per arrivare sui mercati del Nord italia. una volta preso atto di questa situazione, occorrerà cercare legami con la logistica del nord europa e attrezzare il nostro scalo ferroviario, oggi praticamente abbandonato, per il ricevimento dei treni che, attraverso i nuovi tunnel del Lotchsberg e del sempione, arriveranno in italia. in caso contrario, resteremo, come il generale drogo, su un bastione della Cittadella, la nostra Fortezza Bastiani, ad aspettare un segnale dalla Liguria che potrebbe non arrivare mai, o comunque troppo tardi.

NOTE

Note e discussioni

*L’articolo è stato scritto a partire da una ricerca realizzata da Marco Brancaccio con una borsa di studio post-master finanziata dal Comune di alessandria (tutor aziendale Fabrizio Ferrari, tutor per la Facoltà di scienze Politiche dell’università del Piemonte orientale “a. avogadro”, Flavio Ceravolo, e con la collaborazione di Franco Fragnelli e Fabio gastaldi della Facoltà di scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’università del Piemonte orientale “a. avogadro”). 1. si veda al proposito l’interessante volume di Marc Levinson, The box, La scatola che ha cambiato il mondo, Milano, egea, 2007. 2. il teu (acronimo di twenty-Foot equivalent unit) è la misura standard di volume del trasporto dei container iso. La maggior parte dei container ha lunghezze standard rispettivamente di 20 e di 40 piedi: un container da 20 piedi (6.1 m) corrisponde a 1 teu. 3. galimberti F., SOS economia. Ovvero la crisi spiegata ai comuni mortali, roma-Bari, Laterza, 2009. 4. de Forcade r., Ordini crollati da 151 a 9 in “il sole24ore”, del 13 marzo 2009. 5. i porti del northern range qui considerati sono: Le havre (Francia), anversa (Belgio), amsterdam e rotterdam (olanda), Bremerhaven e amburgo (germania). i porti spagnoli che affacciano sul mediterraneo sono: algeciras, Valencia e Barcellona. i porti italiani considerati,

116


che rappresentano il 97% della movimentazione totale del traffico, sono quelli indicati nella tabella 3. 6. Le reti trans-europee (teN, Trans-European Networks) sono state definite dall’ue con gli articoli 154-155-156 del trattato di Maastricht del 1992. il trattato ha l’obiettivo di creare un mercato interno europeo e di sviluppare la coesione economica e sociale, e tale mercato unico, con libertà di movimento per beni, persone e servizi, necessita di infrastrutture efficienti e moderne. Le reti teN sono state dunque definite anche a questo scopo, oltre che per garantire l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali. inoltre, la costruzione delle reti trans-europee è anche vista come un importante elemento di crescita economica e occupazionale. il trattato ha definito tre classi di reti: reti di trasporto (teN-t); reti energetiche (teN-e); reti di telecomunicazioni (e teN). 7. Commissione europea, Libro Bianco. La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, 2001. 8. approvato da Parlamento e Consiglio europeo (decisione 884/2004/Ce). 9. Pellegatta C., Il tunnel di base del Lötschberg. Visita al cantiere di Raron, in “Bollettino FiMF”, n. 264, Luglio 2005. 10. alptransit san gottardo sa, La nuova linea ferroviaria del San Gottardo, Lucerna, 2005. 11. oti Nordovest, Rapporto 2009, gennaio 2010 12. Cfr. Bargero, C. e Ferlaino, F., Logistica territoriale integrata. Il ruolo del Piemonte, torino, ires Piemonte, 2004; Brancaccio, M. Logistica, in Brancaccio, M. e Loparco P., Logistica e city logistic per la città di Alessandria, tesi finale Master in sviluppo locale, università del Piemonte orientale “amedeo avogadro”, alessandria, 2007; Borioli, d., Alessandria provincia logistica, in “Quaderno di storia contemporanea”, n. 44, 2006; Cabodi, C., Logistica e territorio. I nodi logistici nelle trasformazioni territoriali e nello sviluppo locale dell’area padana, torino, ires Piemonte, 2001; Podestà, N., Le componenti strutturali dei processi di governante territoriale: analisi e valutazione delle politiche di sviluppo logistico in provincia di Alessandria, tesi finale Master in sviluppo locale, università del Piemonte orientale “amedeo avogadro”, alessandria, 2005. 13. un fattore di debolezza del porto di genova è infatti l’esiguità di spazi. tale criticità pone, in particolare, un inevitabile interrogativo: la scelta del territorio alessandrino come retroporto non servirà solo per dare sfogo alla sosta dei contenitori (vuoti) che non trovano spazio nel recinto portuale? 14. Curi s., dallari F., Quadro competitivo del sistema logistico in Lombardia, Liuc papers, serie tecnologica, dicembre 2008.

117

Mauro Brancaccio, Fabrizio Ferrari, Alessandria, città logistica

Note e discussioni


Quaderno di storia contemporanea/49

ricordare ancora la shoah? dall’esperienza acquese un bilancio della giornata della Memoria Vittorio Rapetti

Problemi e materiali didattici

“L’esilio della coscienza civile di un Paese si ha quando i cittadini cominciano a sopportarlo”. Con un po’ di storia, intelligenza e umanità proveremo, facendo fino in fondo la nostra parte, a dissipare quest’ombra, lasciando nuove tracce. Nel luglio del 2000, il Parlamento italiano approva una legge di due semplici articoli che istituisce la “giornata della memoria” (d’ora in poi gdM), dando forma istituzionale a una esigenza di memoria cresciuta nei decenni precedenti, dopo non poche forme di oblio o di rimozione delle tragedie dei lager. Nella legge si fa esplicito riferimento alla shoah ebraica, ma anche alla persecuzione e alla deportazione di altri italiani non ebrei che per diversi motivi si opposero al progetto di sterminio nazifascista. una indicazione che quindi è volta a comprendere nella medesima celebrazione diversi gruppi e categorie di persone, dai militari che si rifiutarono di aderire alla repubblica di salò ai partigiani combattenti e ai più diversi oppositori (o sospetti tali); una massa di persone che per motivi molto diversi, si trovarono prima segregati nelle carceri o nei campi di concentramento in italia o nelle zone di guerra, poi imbarcati nei viaggi verso lager in germania, austria, Polonia, olanda a condividere una sorte simile, se non uguale, nei campi per internati, in quelli di lavoro, in quelli di sterminio 1. È parso opportuno, dopo dieci anni di celebrazioni e iniziative aprire

118


Problemi e materiali didattici

una riflessione sull’esperienza svolta, a cominciare da un contesto concreto, quello della città di acqui e della zona acquese, che ha visto un’attenzione costante alla gdM e prodotto una nutrita serie di iniziative. un’occasione per fare sintesi, ma anche una verifica critica sulle modalità di riproporre in futuro questa memoria.

La nascita di questa “giornata”, come tutte le situazioni in cui si rende “istituzionale” un ricordo, si presta a un duplice esito, sempre che si intenda ottemperare alla legge: da un lato stimola e sollecita una riflessione diffusa che chiama in causa le istituzioni statali, culturali, l’associazionismo e in particolare la scuola. d’altro lato, come in tutte le forme celebrative, rischia di assumere tratti retorici e ripetitivi, e domanda una “vigilanza” nella sua gestione. Perciò, da un lato la gdM sollecita quelle memorie tardive e la rottura di quei silenzi che per diversi decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale hanno oscurato tante persone e vicende, ostacolando la comprensione approfondita di una storia tanto complessa. Certo, per molti l’oblio ha avuto una funzione curativa, o almeno lenitiva di un dolore insopportabile, ma per la gran parte il rischio è l’addormentarsi della coscienza e l’ignoranza dei meccanismi che hanno condotto alla tragedia, e quindi alla fragilità culturale e psicologica a fronte del possibile ripetersi di meccanismi analoghi (e qui viene da richiamare la famosa questione degli “anticorpi” oggi presenti e attivi nella nostra società). inoltre, tale tipo di memoria “istituzionale” si trova a fare i conti con la “trasformazione antropologica” dei giovani di oggi; afferma in proposito alberto Cavaglion, studioso di ebraismo e di didattica della shoah: “i giovani sono sempre più lontani da memorie che prima erano raccontate direttamente dai padri, sono più esposti oggi a subire le menzogne della storia che attraverso revisionismo e negazionismo affilano le armi, mentre “le doppie memorie” (come nel caso della sovrapposizione tra giornata della memoria e giornata del ricordo) spesso confondono, “relativizzano”, e finiscono per al-

119

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Memoria “istituzionale”, ma scomoda


Quaderno di storia contemporanea/49

Problemi e materiali didattici

lontanare”. Questi ultimi dieci anni, poi, hanno proposto un contesto politico e culturale sempre più “difficile” per questo genere di memoria: ben lungi dall’essere scontata, la memoria della shoah è stata e resta scomoda, stretta tra l’angoscia esistenziale che genera, l’indifferenza e l’oblio in cui sempre più rapidamente sembra precipitare, i sottili rischi di rendere ripetitiva e retorica anche questa celebrazione, la ricorrente tentazione di separarla dalla vicenda resistenziale, il becero contrasto tra gdM e giornata del ricordo, che tradisce la pervicace propensione ad alimentare sempre nuove contrapposizioni ideologiche o a garantire forme di illusoria compensazione rispetto a capitoli oscuri e dimenticati della nostra storia recente. in ogni caso, il recupero della memoria non è mai un’operazione tranquillizzante; basta ricordare il monito che Primo Levi pone a conclusione di Se questo è un uomo (1947): “Meditate che questo è stato:/ Vi comando queste parole./scolpitele nel vostro cuore/ stando in casa andando per via,/Coricandovi alzandovi;/ripetetele ai vostri figli./ o vi si sfaccia la casa,/La malattia vi impedisca,/i vostri nati torcano il viso da voi.” Per questo la memoria serve “ad affliggere i confortati, a far torcere il viso, a scuotere l’animo. e non può essere disgiunta da una storia politica, che faccia chiarezza sulle ragioni che portarono il Fascismo e il Nazismo al potere, e poi illustrino cosa è realmente accaduto” 2. Numeri e circostanze che non si possono eludere il progetto nazista di deportazione, sfruttamento ed eliminazione coinvolse circa 25 milioni di persone (di 28 nazionalità diverse) che lavorarono come schiavi nei campi, dal 1933 al 1945, di cui 9,2 milioni di prigionieri militari; 4,4 milioni di deportati politici (2,3 quelli tedeschi); 7,9 milioni di deportati “razziali” e “diversi”; 3,8 milioni di emigrati e rastrellati. si calcola che circa 16 milioni furono le vittime, uccisi o morti nei campi di malattie, inedia, o uccisi nei villaggi e nei ghetti dell’est europa; di essi 4,6 milioni erano militari (soprattutto russi); 4,7 milioni i “civili”, 6,7 milioni di “razziali” (circa 5,3 gli ebrei). in questo “universo” di sopraffazione e morte finirono circa 850.000

120


italiani di cui quasi 809.000 internati militari e oltre 40.000 deportati, per motivi politici e razziali; di questi ultimi almeno 23.000 “politici” (antifascisti o lavoratori che avevano aderito agli scioperi del 1944) e oltre 8.000 deportati “razziali” (ebrei e zingari). Circa gli internati militari (iMi), si tratta dei soldati italiani che furono catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943: secondo le cifre dell’ufficio storico dell’esercito, essi prestavano servizio nei reparti di stanza in Francia (58.000), in grecia e nei Balcani (430.000) e in italia (321.000). in germania negli anni della seconda guerra mondiale si trovarono inoltre circa 246.000 italiani, emigrati per lavoro, volontari o “rastrellati”, impiegati come forza lavoro nelle fabbriche e nelle città, formalmente liberi, ma sotto stretto controllo. Cifre e modalità di questa tragedia la rendono tipica nel panorama, purtroppo vasto, delle stragi avvenute nella storia. un elenco che ci sollecita non tanto a stilare improbabili graduatorie, ma ad esercitare rispetto, a cercare di conoscere e comprendere. Nonostante le evidenti difficoltà a stabilire cifre precise, il tentativo di dare numeri e circostanze 3, richiama non solo la necessità etica di attenersi a un metodo storico serio, ma è anche utile rispetto alle tendenze negazioniste e riduzioniste, di chi vorrebbe liquidare questa tragedia come invenzione o esagerazione; tali tendenze sovente hanno legami con il neonazismo e il neofascismo che tornano periodicamente a stendere un’ombra oscura sulle emozioni e le paure, ma a volte si incontrano con la tendenza a dimenticare, anzi a rimuovere questa memoria così angosciante e scomoda. Portare dati e circostanze aiuta inoltre a capire come il fenomeno generale abbia avuto riscontri nelle realtà locali: deportazioni e persecuzioni riguardano anche il nostro territorio. Shoah e territorio locale rispetto alla vicenda della gdM, acqui e l’acquese non sono luoghi neutri né tanto meno secondari (ammesso che ve ne siano) e bene evidenziano il rapporto tra resistenza e deportazione. infatti, la città e la zona acquese registrarono una notevole concentrazione di eventi legati alla persecuzione anti-ebraica, alla occupazione tedesca, alla resistenza, alla de-

121

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Problemi e materiali didattici


Problemi e materiali didattici

Quaderno di storia contemporanea/49

portazione (di ebrei e non ebrei): centro zona di rilievo, ospita una antica e numerosa comunità ebraica (ne sono traccia fondamentale il cimitero e la sinagoga), sede di un’importante caserma dove già il 9 settembre ’43 si registravano anticipi di quello che sarà la resistenza militare e civile; snodo strategico della valle Bormida tra Liguria e pianura padana, acqui vide l’insediamento di un contingente tedesco (Wermacht e ss) e di reparti della repubblica di salò (gNr e poi divisione san Marco). acqui e l’acquese furono teatro di numerosi episodi della lotta di resistenza e solo in città sono oltre una decina i “segni di memoria” che ricordano vicende o figure della resistenza e della deportazione. inoltre, molti sono gli acquesi che, in quanto militari, furono imprigionati dai tedeschi nei campi (gli iMi) e di fatto contribuirono alla resistenza rifiutando di aderire alla repubblica di salò. in città vennero collocati ebrei e stranieri internati civili. Molte famiglie ebraiche di acqui e della zona furono aiutate a nascondersi o a fuggire e non pochi rischiarono la vita o pesanti ritorsioni per questa solidarietà. d’altra parte, anche in base alla puntuale schedatura degli ebrei svolta in base alle leggi razziali del 1938 ancor prima dell’inizio della guerra, altri acquesi aiutarono i tedeschi a individuare gli ebrei rimasti (ricavandone anche una discreta ricompensa in danaro e in altri casi potendone “utilizzare” i beni abbandonati forzatamente dai deportati). Ventisette ebrei furono arrestati e deportati. di loro nessuno fece ritorno. stessa sorte toccò ad altri acquesi, deportati civili, mentre in tutto l’acquese non pochi partigiani o simpatizzanti finirono sui treni destinati ai lager. Nell’ottobre del 1943 lungo la linea acqui-savona transitarono i convogli che portarono in germania gli oltre 1.200 deportati raccolti nel campo di concentramento di Cairo Montenotte. Il rapporto resistenza/deportazione e il suo oblio Questi sommari rimandi storici aiutano a richiamare due considerazioni. La prima: vi è un rapporto molto importante tra deportazione, shoah e resistenza, anche nel nostro territorio; rapporto sovente dimenticato o trascurato, per ignoranza o per motivi ideologici. La seconda: nonostante

122


il rilievo che le vicende della deportazione e della resistenza hanno avuto in città e in zona, nonostante la presenza di non pochi “segni di memoria” (lapidi, cippi, monumenti), si può affermare che gran parte di queste vicende siano rimaste per molti anni quasi del tutto ignorate dalla gran parte degli acquesi nati dopo la seconda guerra mondiale. Questo oblio ha molteplici motivi e si è registrato anche in altri luoghi, ma per la nostra città e zona acquista anche connotati specifici, al punto che i pochi studi e ricerche svolti sul territorio prima del 2000 hanno dovuto fare i conti con la difficoltà a reperire le fonti e in ogni caso hanno avuto limitata diffusione. Per quanto concerne in particolare la vicenda della deportazione, a fronte di una storia ebraica acquese di grande rilievo 4, dopo il 1945 sono sparite del tutto le presenze ebraiche in città; per molti anni il cimitero è stato quasi del tutto dimenticato, mentre la stessa vicenda della sinagoga (distrutta nel 1971) e del mausoleo ottolenghi dicono di una relazione radicalmente interrotta. anche sul versante religioso, l’importante evoluzione dei rapporti tra ebrei e cattolici acquesi, passati dalla ghettizzazione, alla emancipazione, fino alla solidarietà negli anni della guerra, per molti anni è parsa aver lasciato traccia solo nella memoria dei diretti protagonisti. una considerazione simile si può riferire anche alla resistenza e all’internamento: ancor oggi manca una ricerca organica e nominale del partigianato dell’acquese, lo stesso si dica per gli iMi o per i deportati civili. insomma, un processo di oblio che ha rischiato di cancellare un pezzo di storia cruciale e che in ogni caso ha condotto alla perdita irreversibile di frammenti, storie personali e documenti. Il ruolo dell’associazionismo locale Quando nell’autunno del 2000 si pensa a come dare attuazione alla legge istitutiva della gdM, anche in acqui si avvia una riflessione sul significato di questa ricorrenza. e a partire dal gennaio 2001 in città (e poi anche in alcuni paesi della zona) si organizzano una serie di momenti di carattere culturale storico-divulgativo, religioso, scolastico, musicale, teatrale.

123

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Problemi e materiali didattici


Quaderno di storia contemporanea/49

Problemi e materiali didattici

Manifestazioni che si sono tenute in tutti gli anni successivi fino a questo 2011 in una misura obiettivamente significativa (almeno rispetto ad altri centri di analoghe dimensioni), sia riguardo al numero di incontri, sia considerando la partecipazione. il progetto fin dal 2001 è organizzato da un gruppo eterogeneo di soggetti, associazioni locali, religiose e civili (azione Cattolica-MeiC, associazione per la pace e la non violenza, Centro “a.galliano”, equazione), cui – a seconda degli anni – si sono affiancati altre associazioni, movimenti politico-culturali, sindacati, cooperative, istituzioni ecclesiali e scuole, con il patrocinio dell’israL e delle istituzioni territoriali (Comune, Provincia). Fondamentale è stato il rapporto con le scuole (anche grazie al sostegno dei dirigenti scolastici e al raccordo svolto dal coordinamento distrettuale dei docenti di storia). strategico il supporto offerto dalla biblioteca civica, mentre puntuale è stata l’informazione e la cronaca pubblicata dal settimanale diocesano “L’ancora”. La costruzione di una rete di collaborazione tra soggetti tanto diversi ha rappresentato un indubbio motivo di valore. un discorso ulteriore riguarda l’esperienza di Canelli, avviatasi nel 2004-5, grazie alla collaborazione di associazionismo ecclesiale e civile; in questo caso si è costituita una vera e propria associazione, “Memoria Viva”, che ha prodotto risultati molto significativi, collegando la gdM con l’attenzione ai temi della resistenza e della Costituzione e sviluppando un decisivo rapporto con le scuole del territorio 5. Tracce e ingombri un primo bilancio dell’esperienza può quindi segnalare un esito positivo, rispetto al rischio di oblio, che resta comunque reale, sia per la difficoltà di sviluppare ricerche scientificamente impostate, sia per fatica che le scuole devono ogni anno sostenere per affrontare l’argomento e coinvolgere gli studenti. si potrà osservare che non sono mancati i tentativi per restituirci questa memoria, a cominciare dall’intitolazione di strade cittadine alle celebrazioni del 25 aprile, alla dedica del Premio acqui storia alla “divisione acqui”, episodio chiave della resistenza dei militari italiani (che pe-

124


raltro – a parte il nome – ha avuto legami effettivi piuttosto labili con la città e la zona). Fatti indubbi, ma che nel corso degli anni hanno però avuto un limitato rilievo per le “nuove generazioni” (quelle che oggi arrivano a toccare i 60 anni!), o sono rimasti ristretti alla cerchia degli studiosi. ovviamente qui non si tratta di fare processi a nessuno, ma di registrare un tratto culturale del nostro territorio e forse la presenza di un “non detto” che è rimasto sepolto. insomma c’era nel 2000 – e per certi aspetti c’è ancora oggi – un problema di “memoria degli acquesi” che si inserisce in quel fenomeno di “debole memoria degli italiani”, per cui nel nostro paese si sperimenta molta fatica a “fare i conti” col passato recente: certe memorie restano divise, altre restano ingombranti e spiacevoli (e quindi ancor più sottoposte al processo di rimozione); tra queste certo ci sono state quelle relative agli ebrei, alla persecuzione razziale, alla deportazione, al fascismo e alla resistenza. Proprio tale riflessione ci riporta al senso di questo intervento. aveva senso nel 2000 e ha senso oggi nel 2011 celebrare una giornata della memoria? Che cosa ci hanno riconsegnato questi undici anni di “giornata della memoria”? e queste iniziative lasciano una qualche traccia? su tutto l’impianto della memoria della shoah pesano indubbiamente due fattori: la paura e la stanchezza. La paura è evidente: una società in movimento frenetico e a crescente tasso di multiculturalità e multietnicità – ancor più in mancanza di una politica culturale chiara da parte delle agenzie educative più importanti come la famiglia, lo stato e le chiese – sollecita il rinascere del razzismo, del nazionalismo (magari in versione localistica): l’onda lunga dell’orrore per il nazismo impatta con questo riflusso attuale. il primo è “distante”, tremendo e affascinante, il secondo è quotidiano, alimentato dalle piccole intolleranze e dalla innata paura del diverso. C’è paura a parlare del nazismo e del razzismo, c’è paura ad ammettere che esistano tra noi, che possano riemergere. e nel contempo, sul campo di queste memorie – che fino a pochi anni fa parevano ampiamente condivise e consolidate – si giocano partite politiche e culturali nuove (almeno in apparenza, visto che gli schemi paiono già collaudati). e poi la stanchezza. scrive Claudio Vercelli, studioso della deportazione:

125

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Problemi e materiali didattici


Quaderno di storia contemporanea/49

Problemi e materiali didattici

Vi è come una sensazione sgradevole, sottopelle, pronunciata a fil di voce, flebile nel tono ma non fragile nei contenuti, che ci dice che il ripetere e il ripetersi sia vano. ovvero come si sia schiacciati tra il bisogno di tornare, ancora una volta, sui propri passi, in quanto ciò è necessario, se non obbligato. Ma che il tutto sia, in buona sostanza, inutile … siamo figli di quella rottura [della shoah], indecisi, sospesi tra il richiamarci, con nostalgia, a quanto esisteva prima di essa, rimanendone poi travolti, o l’identificarci con quel che è ad essa succeduto, avvicendandosi, nella consapevolezza della forza di una esperienza indelebile o nella indifferenza di chi non vuol serbare memoria alcuna e sa rimuovere. Più o meno bene 6.

Questi “pesi” della paura e della stanchezza, che ingombrano il piazzale della coscienza collettiva attuale, condizionando l’operazione memoriale, restringono quindi le possibilità di efficacia di iniziative come la gdM o – per mantenere la presa – tendono a condurla sul terreno scivoloso dell’emotività. d’altra parte, nel contesto mediatico attuale e nella rappresentazione quotidiana di orrori provenienti da ogni angolo del pianeta e alternati alla pubblicità del “Mulino Bianco”, una comunicazione volta a far leva sulla razionalità, sul pensiero complesso, sull’accumulo consapevole e graduale di conoscenze e significati, sulla comprensione di “un sistema” (di pensiero e di azioni) appare davvero opera improba. specie quando si tratti di giustificare la specificità della shoah, il suo abisso tragico: la presa di coscienza che dopo auschwitz il mondo (e quindi la fede, la politica, ...) non può più essere il medesimo tocca solo una parte della popolazione adulta, coinvolge minimamente i giovani, resta quasi del tutto estraneo a quanti – di origine straniera – hanno tutt’altre memorie nel loro vissuto personale e culturale (non certo privo di tragedie ed efferatezze). La possibile efficacia della gdM si gioca quindi all’interno di queste non lievi limitazioni. Una memoria proficua ? dati questi limiti, ritengo che senza la legge sulla gdM sarebbe mancato lo stimolo e anche il riferimento istituzionale per avviare su scala lo-

126


cale e diffusa una azione continuativa, sia nell’ambito delle celebrazioni pubbliche, sia in quello didattico-educativo, sia anche sul versante della ricerca. e questo vale in misura ancor più evidente laddove le istituzioni locali non assumono in proprio la scelta di avviare e gestire le iniziative della gdM. La stessa attenzione dei mass-media ai temi della deportazione è stata sollecitata dalla presenza di questa giornata, offrendo in diversi casi contributi preziosi tanto alla divulgazione storica, quanto alla riflessione culturale, esistenziale e religiosa che la shoah sollecita. Ciò ha permesso a molti, anche giovani, di sentire parlare dell’argomento almeno in qualche occasione, mentre l’intrecciarsi di programmi televisivi nazionali e iniziative locali ha indubbiamente operato un rinforzo efficace. inoltre, le diverse occasioni di approfondimento hanno permesso di conoscere non solo le vicende della deportazione e dei lager, ma di considerare più da vicino diversi aspetti della cultura ebraica e della resistenza al nazismo, di rendersi conto delle condizioni di vita negli anni del regime fascista e durante la guerra. Proprio la continuità risulta il fattore che può consolidare il significato della memoria e anche permettere di porre attenzione alla pluralità di aspetti che la memoria della shoah porta con sé, considerando sia l’enormità della vicenda che la diversità dei destinatari delle iniziative. d’altra parte, aprire una verifica, anche critica, di questi anni appare doveroso, proprio per affrontare il rischio della ripetitività, che finisce a volte per trasformare momenti di profondo significato culturale e spirituale in manifestazioni retoriche. Perciò giova riprendere le idee principali che hanno guidato le iniziative in questi undici anni di gdM ad acqui e nell’acquese: il rapporto tra passato e presente, quindi l’attualità di questo “dovere di memoria”; la valenza culturale e religiosa della shoah, la dimensione della preghiera e del dialogo ebraico-cristiano; il ricordo dei nomi e la conoscenza della storia locale; la proposta ai più giovani, l’attività nelle scuole e la didattica della shoah; l’arte come strumento di memoria, attraverso parole, immagini, musica.

127

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Problemi e materiali didattici


Quaderno di storia contemporanea/49

Perché “non dimenticare”? il primo approccio è stato quello di offrire alla cittadinanza un momento di riflessione e dialogo sulla necessità di non dimenticare. da gennaio 2001 fino al 2011 questo è divenuto un appuntamento pubblico stabile 7, che ha seguito una impostazione fondamentale, già sintetizzata nel primo incontro:

Problemi e materiali didattici

L’incontro con la psicologa Maria de Benedetti, testimone ed esperta della riflessione ebraica e cristiana sulla shoah. Non è stata la solita conferenza, ma un momento di vero approfondimento culturale, di meditazione e di commozione, espresso con la pacatezza e la sobrietà di chi soffre quanto sta dicendo agli altri per impegno di testimonianza. Maria de Benedetti ha infatti saputo unire la testimonianza personale ad una seria riflessione sui meccanismi sociali e psicologici, politici e culturali che hanno originato e permesso la realizzazione della shoah. oggi c’è il rischio che questa tragedia venga rimossa dalla memoria, perché ricordare il dolore ed il male è sempre una sofferenza che gli uomini cercano di cancellare. Ma si può anche cadere nella banalizzazione (quello degli ebrei è stato solo uno dei tanti stermini della storia), come se un orrore potesse giustificarne o attenuarne un altro; in proposito, la relatrice ha ricordato alcune delle altre tragedie del Novecento: il massacro degli armeni, le stragi e i gulag staliniani, le foibe, l’ecatombe della Cambogia. d’altra parte, proprio uno sguardo alla storia ci fa cogliere la tipicità del progetto nazista: la eliminazione sistematica di un popolo che arriva alla liquidazione di neonati e anziani, compresi gli ebrei convertiti al cristianesimo (come edith stein), e coinvolgendo altre minoranze (zingari, oppositori politici e religiosi, omosessuali, asociali, handicappati e malati). Comprendere le caratteristiche e le condizioni culturali che hanno reso possibile tale progetto, significa anche porre una domanda sull’oggi e sul domani: siamo tutti responsabili di promuovere una cultura che – memore di questa storia – aiuti gli uomini ad instaurare rapporti di dialogo e di rispetto. Non si tratta solo di opporsi all’antisemitismo (che pure in qualche manifestazione sembra riaffiorare), ma di considerare l’insieme dei rapporti

128


Problemi e materiali didattici

sociali e culturali. Proprio i nuovi fenomeni della nostra società – prima di tutto l’immigrazione di extra-comunitari, provenienti da paesi e culture diverse – diventano il terreno in cui oggi rischiamo di riprodurre gli stessi meccanismi che hanno condotto all’olocausto: la paura della diversità, la perdita di un radicamento e di una identità culturale, la chiusura individualistica, la ricerca di un nemico o di un “capro espiatorio” su cui convogliare i mali e i timori diffusi possono portare alla rinascita dell’intolleranza e della violenza” 8.

e non è un caso che verso altre minoranze vittime della shoah – come gli omosessuali, gli zingari, i testimoni di geova, gli oppositori politici – insieme all’oblio continuino ad alimentarsi pregiudizi e forme di intolleranza.

alla riflessione culturale e politica, nella gdM acquese si è affiancato un secondo filone, quello relativo alla fede “dopo auschwitz” e al dialogo tra le religioni. La shoah ha infatti questo decisivo e problematico risvolto: quello religioso. di fronte all’orrore dei campi di sterminio sorge la domanda su come è possibile che dio abbia permesso tale stravolgimento dell’uomo “fatto a sua immagine”: l’esperienza religiosa ebraica e cristiana è stata così portata a superare l’idea dell’onnipotenza divina e a riscoprire il senso della povertà di dio, del suo essere accanto all’uomo sofferente. ed insieme a recuperare il senso di un rapporto personale con dio, un dio con cui – nella sofferenza – si litiga, si entra in lotta. Questo aspetto propriamente religioso è stato affrontato ad acqui anzitutto attraverso un momento di preghiera ebraico-cristiano presso due luoghi simbolo dell’ebraismo acquese: i portici saracco, dove era la sinagoga e sono ora collocate le lapidi che ricordano la deportazione, e presso il cimitero ebraico (con la recita del kaddish) 9. in questo stesso contesto si è tenuto un momento di commemorazione civile, con l’intervento dei rappresentanti delle istituzioni della Provincia e del Comune. una seconda modalità con cui si è affrontata la domanda sul senso di

129

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Memoria della shoah e religione: dire Dio dopo Auschwitz


Quaderno di storia contemporanea/49

quanto accaduto, ha proposto momenti di riflessione e il dialogo tra ebrei e cristiani – cattolici e protestanti – e musulmani (nel 2002) e di dialogo tra diversi testimoni e ricercatori della vicenda locale della comunità ebraica (nel 2005). Confronti che hanno permesso di mettere a fuoco questioni di grande rilievo, come il peso del secolare pregiudizio anti-ebraico, la capacità degli europei del XX secolo di opporsi al progetto hitleriano, il giudizio sulle responsabilità personali e collettive, che non possono essere sbrigativamente ricondotte alla follia di un piccolo gruppo di esaltati:

Problemi e materiali didattici

se, subito dopo la guerra, l’atteggiamento prevalente in europa nei confronti della shoah è stato quello dell’oblio (e solo ultimamente si sta prendendo faticosamente coscienza del dovere di ricordare), verso gli omosessuali, gli zingari ed i testimoni di geova l’oblio perdura tuttora, segno dei pregiudizi nei loro confronti di cui non ci siamo ancora liberati completamente. d’altra parte, i cristiani si sono dimenticati per secoli le stragi di ugonotti e valdesi, operate dai cattolici, e di anabattisti, operate da cattolici e protestanti insieme […]. Così oggi, troppo spesso, chiudiamo gli occhi di fronte alle migliaia di morti per fame che lo squilibrio dell’accesso alle risorse della terra e lo spreco causano nei Paesi del terzo mondo, uno sterminio che è ancora in atto e di cui siamo tutti corresponsabili [...]. L’atteggiamento dei cristiani nei confronti del nazismo e della persecuzione degli ebrei non è stato del tutto lineare e coerente col Vangelo. in germania, solo una minoranza si oppose, pagando con la vita la sua coraggiosa scelta, […] secoli di antiebraismo, purtroppo, offuscarono la vista di molti. in italia, d’altra parte, l’impegno generoso di ordini religiosi, vescovi, sacerdoti e laici ha consentito di salvare la vita a molti ebrei. Persone che, dopo la guerra, hanno manifestato la loro riconoscenza a chi, con rischio personale, li aveva aiutati nel momento del pericolo. anche nella nostra città, come ha testimoniato mons. giovanni galliano, c’è stata diffusa sensibilità per il problema, anche se non da parte di tutti. Per questo sorge la domanda se sia giusto perdonare o rifiutare il perdono a chi ha avuto responsabilità personali nello sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Pur con qualche differenza, è emersa la convinzione che il perdono non può essere dato per conto o a nome di altri, che

130


Problemi e materiali didattici

hanno sofferto per un comportamento ingiusto, ma solo a titolo individuale, e che la richiesta di perdono, per essere credibile, implica il riconoscimento del male fatto e la conversione, l’impegno per il futuro ad agire diversamente” 10.

secondo Paolo de Benedetti il dovere di ricordare che cosa è stata la shoah viene da due motivi fondamentali. anzitutto perché quello che è avvenuto non si ripeta, come, purtroppo, troppi segni inquietanti fanno temere: l’intolleranza, l’assoluta indifferenza verso gli altri, l’ostilità nei confronti dei diversi, il fanatismo ideologico, come pochi anni fa nella Cambogia di Pol Pot, rischiano di causare, anche se in forme diverse, tragedie simili alla shoah. in secondo luogo, perché resti almeno il nome di coloro la cui vita è stata bruscamente interrotta dalla violenza nazista: “È il solo atto di pietà nei loro confronti che possiamo compiere, il massimo di resurrezione che noi uomini possiamo dare loro: far vivere nel nostro cuore quelli che non hanno potuto vivere sulla terra la vita che dio aveva loro donato”. un antico detto del talmud (il grande libro di commento della torah scritto dai maestri ebrei dopo la caduta di gerusalemme nel 70 d.C.) afferma che il ricordo dei morti è una benedizione per i vivi, perciò “i loro nomi sono in benedizione”(Zikhrono li-vrakhah). La ragione di questa affermazione non è difficile da comprendere: i morti, soprattutto i morti innocenti uccisi per la loro fede, sono con dio, il cui nome è la più alta benedizione per l’uomo. a gerusalemme, nel memoriale della shoah, c’è una galleria scavata nella roccia, assolutamente buia, nella quale sono ricordati i bambini uccisi nei campi di sterminio. una voce, durante le ore di apertura al pubblico della galleria, pronuncia il nome, l’età, la provenienza e, quando si conoscono, il luogo e la data di morte di un milione e mezzo di bambini ebrei uccisi dai nazisti, impiegando circa due anni per completare l’elenco. Molto più tempo di quello che i nazisti hanno impiegato per ucciderli. “di questi bambini non ci è rimasta neppure la tomba. il nome è tutto quello che resta di loro. La vita, che avevano diritto a vivere, non l’hanno vissuta. i loro nomi, che dobbiamo sentire come una cosa preziosa

131

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Per custodire la memoria: ripetere i nomi


Quaderno di storia contemporanea/49

da custodire, sono la tomba, la sopravvivenza di chi è stato ucciso. al loro ricordo è legata la nostra stessa identità che sarebbe mutilata, incompleta, se non comprendesse anche la memoria di chi non c’è più” 11. soffermarsi sulle persone che sono state vittime innocenti e talora inconsapevoli della violenza, ha condotto a proporre ogni anno il gesto di ripetere i nomi dei deportati acquesi, per ricordare tutti i milioni di persone che si sono perdute in questa tragedia: narrando della vicenda dei bambini uccisi nei campi sterminio, più volte è stato sottolineato come la memoria delle persone e dei loro nomi sia un dovere di giustizia, nei confronti di chi è stato privato di tutto.

Problemi e materiali didattici

Dalla shoah alla storia della comunità ebraica locale La memoria dei nomi, ha però riportato la riflessione sulla cultura dell’ebraismo, tanto nei suoi aspetti spirituali e di culto, quanto nella scoperta della storia della comunità ebraica acquese. su questo versante – che è andato oltre al fenomeno della deportazione strettamente intesa – si sono registrati contributi di rilievo che hanno messo a disposizione spezzoni della storia e della cultura sconosciuti ai più. in particolare la approfondita ricerca sulle tombe del cimitero ebraico acquese, l’indagine sui rapporti tra ebrei e cattolici nell’acquese e sulle famiglie ebree della zona hanno permesso di far luce sulle vicende della comunità ebraica nei secoli precedenti, ma anche nella acqui durante la seconda guerra mondiale; si è ripensato al significato della sinagoga acquese, purtroppo andata distrutta, ed alle caratteristiche della religione ebraica 12. altre ricerche hanno portato alla luce l’azione di quanti aiutarono gli ebrei a salvarsi, alcuni dei quali riconosciuti tra i “giusti delle nazioni” 13. un passaggio di questa riscoperta della storia locale è rappresentato dalla ricerca storico-didattica che nell’arco di questi dieci anni ha prodotto alcuni risultati significativi, grazie all’impegno di studenti e insegnanti delle scuole del distretto di acqui e di Canelli, che hanno lavorato sia su documenti e materiali, sia sulle testimonianze orali degli anziani di acqui, Canelli, Cassine, rivalta: la ricostruzione delle vita di acqui occupata dai tedeschi (1943-45) e il re-

132


Problemi e materiali didattici

cupero di testimonianze inedite sul rapporto con la comunità ebraica; la scoperta di episodi di solidarietà verso gli ebrei perseguitati a Canelli; la scoperta negli archivi della presenza in acqui di internati civili. un progetto di particolare rilievo ha riguardato la ricerca storica svolta da un gruppo di studenti delle scuole superiori acquesi sugli ebrei della città, basata su documenti d’archivio e testimonianze dirette, che ha costituito la base per un laboratorio teatrale e una successiva rappresentazione pubblica. Queste attività hanno permesso di recuperare, conservare e rendere pubbliche memorie di persone ed episodi altrimenti destinati all’oblio 14.

L’approccio storico-culturale ha sostenuto anche le iniziative che si sono affiancate ai momenti pubblici, rivolte alle scuole. anche in questo caso l’obiettivo è stato quello di far incontrare ragazzi e giovani con una esperienza tremenda, per sviluppare in loro una consapevolezza di quanto è accaduto, intrecciando le vicende locali con quelli generali. si è perciò privilegiato un approccio non tanto basato sull’emozione quanto sulla conoscenza di fatti, persone e storie, e anche – per i più grandi – sull’analisi dei meccanismi che hanno reso possibile la shoah, sulle specifiche vicende dei bambini, delle donne, degli omosessuali, degli zingari; a tal fine per diversi anni (almeno tra il 2001 ed il 2005) i docenti dei licei e degli istituti tecnici cittadini hanno elaborato e attuato dei progetti educativi e didattici di approfondimento per gli studenti delle classi 4° e 5°, che sono andati oltre il momento celebrativo della gdM. analoga progettazione didattica è stata condotta da diversi docenti della scuola elementare, media e superiore 15. determinante è stato l’intervento di alcuni esperti e testimoni che, in collaborazione con gli insegnanti e grazie al coordinamento della commissione distrettuale dei docenti di storia, hanno potuto incontrare gli studenti acquesi e dialogare con loro 16. agli studenti sono poi state proposte mostre storico-didattiche, installate presso la Biblioteca Civica e presso alcune scuole, che hanno messo a

133

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Ricerca e didattica: la proposta per le scuole


Problemi e materiali didattici

Quaderno di storia contemporanea/49

fuoco aspetti specifici del tema: Chalutzim: pionieri piemontesi degli anni ’20 in Israele (a cura di Marco Cavallarin, 2007); La Costituzione: storia e attualità (a cura di Vittorio rapetti, 2008); I Giusti dell’Islam (a cura di giorgio Bernerdelli, 2010); C’era una volta e speriamo mai più. La deportazione dei bambini ebrei italiani (documenti di g. Franco Moscati, 2011). grazie alla collaborazione di docenti e personale della biblioteca è stato così possibile proporre visite guidate e riflessioni per piccoli gruppi, che hanno coinvolto ogni anno diverse centinaia di studenti delle scuole superiori, medie ed elementari 17. in diverse occasioni si è organizzato l’approfondimento didattico con l’ausilio del cinema, in particolare – oltre all’attività svolta nei singoli istituti – si può ricordare la proiezione pubblica del film di L.Malle Au revoir mes enfants dedicato al rapporto tra adolescenza e shoah, del notissimo Schindler’s List e del capolavoro di Marc rothemund, La Rosa Bianca, sulla resistenza al nazismo di un gruppo di giovani tedeschi; in un caso con lo spettacolo teatrale, Fuga a due voci, dedicato a una vicenda che tocca direttamente acqui 18. infine, occorre ricordare che, parallelamente alla proposta per gli studenti, si è sviluppata anche una iniziativa di aggiornamento per docenti, a partire dai corsi sul rapporto tra cristianesimo ed ebraismo degli anni 2000-1, alla proposta di materiali sulla didattica della shoah, attraverso schede e Cd, oltre all’acquisizione presso il centro documentazione dell’itis di acqui di testi, filmati e documenti sui temi della deportazione e dello sterminio. dal 2005, inoltre, si sono raccolti ed elaborati materiali utili alla didattica sul tema delle foibe, oggetto della istituzione della “giornata del ricordo” 19. “In parole e musica” : l’arte come traccia di memoria e aiuto alla coscienza L’obiettivo di coinvolgere i giovani nella giornata della Memoria si è combinato per diversi anni alla proposta di momenti di lettura, recita teatrale, musica, attraverso cui cogliere tracce della memoria e aiutare la coscienza a mantenere una consapevolezza di quanto accaduto e un impegno attivo nell’oggi. Per questo, con il coordinamento e la regia di Lucia Baricola, un gruppo di studenti delle scuole superiori acquesi nel corso degli

134


anni ha dato vita a letture, spazi di recitazione e di esecuzione musicale, con momenti assai intensi e partecipati, presso il Liceo saracco, presso i portici saracco, nell’ambito del ricordo della deportazione proposto con Luci della memoria nel 2005 in collaborazione con l’israL e coordinato da Mauro Bonelli, negli anni successivi presso la Biblioteca Civica: un impegno gratuito ed espresso con intensità, a fronte della semplicità dei mezzi impiegati, ma che ha certo contribuito a comunicare la durezza della vicenda di cui si fa memoria. ad essi si sono affiancati momenti di cultura musicale con i brani al salterio di silvia Caviglia nel 2005, ai concerti di angela Zecca in “anime erranti. Canti della diaspora” nel 2007-8, alle proposte musicali di Francesco Cotta nel 2010. Nel 2004 si è proposto un concerto presso la chiesa di san Francesco, divenuto negli anni successivi un appuntamento fisso della gdM, prima con il coro “g.Monteverdi” di genova, affiancato dal 2006 dal coro “Beato Jacopo da Varagine” di Varazze, che negli anni hanno offerto un valido repertorio di pezzi classi classici e contemporanei, tra cui una originale “La buona novella” di Fabrizio de andrè; nel 2010 il concerto “in memoriam” è stato tenuto dal coro “Mozart” di acqui, affiancato nel 2011 dai “Laeti cantores” di Canelli. L’arte teatrale e musicale, vuoi nella forma dilettantesca dei più giovani, vuoi in quella professionale, ha quindi assunto un ruolo rilevante nel percorso culturale rivolto a tener viva la coscienza e questi momenti hanno in effetti registrato un riscontro assai positivo di partecipazione e di apprezzamenti. La rassegna sommaria delle iniziative promosse ad acqui e zona, appena delineata senza pretesa di esaustività, restituisce in sostanza la traccia di un lavoro considerevole, vario e diffuso, volto alla partecipazione di giovani e adulti, quale segno di testimonianza del “non voler dimenticare” e anche per questo espresso con sobrietà di mezzi e con risorse finanziarie minime. si apre ora la valutazione sul futuro e sulle modalità più idonee per “dissipare quest’ombra, lasciando nuove tracce”. L’esperienza storica ci illustra come, attraverso la memoria, una società selezioni i propri valori di riferimento, le radici su cui costruire la convi-

135

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Problemi e materiali didattici


Quaderno di storia contemporanea/49

venza, le regole dello stare assieme. e che la dimenticanza di ciò favorisca sovente l’irruzione di altri “valori” o presunti tali che, invece di innestarsi sulle buone radici e portare frutti nuovi e diversi, fa piazza pulita del passato, nella pericolosa illusione di “creare l’uomo nuovo”. Questo ha prodotto “ideologie” totalitarie, la cui forza violenta ha ridisegnato il mondo, ma solo provvisoriamente, per poi finire rovinosamente sconfitta. in un tempo di fragilità e paure come il nostro, ma che come ogni crisi contiene i semi di un futuro nuovo, è forse opportuno ricordare i disastri prodotti ma anche il fallimento di tali progetti, che con la loro fascinazione paiono talora nuovamente attrarre verso l’abisso: in questo tempo di confusione culturale la trasmissione della memoria (ed in particolare di quanti con coraggio e sacrificio seppero contrastare tali disumanità) è un veicolo del messaggio di speranza che contrasta il senso d’impotenza spesso ormai radicato nel quotidiano. importa risvegliare in noi e nelle giovani generazioni il desiderio di ricordare, grazie al quale quello attuale non è percepito come l’unico mondo possibile, ma un mondo che si può rendere migliore. Come affermava horkeimer quando ancora non si erano spenti i bagliori della seconda guerra mondiale: “Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze” 20.

Problemi e materiali didattici

scheda Gli ebrei acquesi deportati in base alle informazioni ricavate dal Libro della memoria. Gli Ebrei deportati dall’Italia 1943-1945 di Liliana Picciotto Fargion, (Mursia, 1991) e da alcune informazioni locali, possiamo ricostruire la vicenda della deportazione acquese, anche se l’elenco non considera quanti riuscirono a sfuggire alla deportazione in acqui, ma di cui si sono comunque perse le tracce. La deportazione avveniva tramite trasporto ferroviario, anche se sovente non in modo diretto: alcuni sostarono a Fossoli e a Bolzano, altri passarono prima attraverso le carceri di torino o genova. Furono 43 i convogli che,

136


in partenza dal territorio della repubblica sociale italiana o dal litorale adriatico o dal dodecaneso, fra il 16 settembre 1943 (quando da Merano partì il primo convoglio) e il 24 febbraio 1945 (data di partenza da trieste dell’ultimo), hanno trasportato 8.566 ebrei italiani o stranieri residenti in italia nei campi di sterminio nazisti. di questi 8.566 ebrei 7.557 (più dell’88%) sono deceduti prima del termine della guerra, mentre solo 1.009 (l’11,7%) sono sopravvissuti. gli ebrei nati nella nostra città (22) o nati altrove, ma arrestati ad acqui (tre nati a Casale Monferrato ed una a Venezia) furono deportati su sei convogli, indicati con un numero. il convoglio n. 3: in partenza da Firenze il 9 e giunto ad auschwitz il 14 novembre 1943 con 83 deportati dei quali 82 sono deceduti e uno è sopravvissuto; trasportava una sola nostra concittadina; il convoglio n. 5: in partenza da Milano il 6 e giunto ad auschwitz l’11 dicembre 1943 con 246 deportati dei quali 241 sono deceduti e 5 sono sopravvissuti; trasportava tre nostri concittadini. il convoglio n. 6: in partenza da Milano il 30 gennaio e giunto ad auschwitz il 6 febbraio 1944 con 605 deportati dei quali 585 sono deceduti e 20 sono sopravvissuti; trasportava ben 15 ebrei acquesi; il convoglio n. 9: in partenza da Fossoli il 5 e giunto ad auschwitz il 10 aprile 1944 con 611 deportati dei quali 560 sono deceduti e 51 sono sopravvissuti; trasportava 4 ebrei acquesi. il convoglio n. 13: in partenza da Fossoli il 26 e giunto ad auschwitz il 30 giugno 1944 con 527 deportati dei quali 492 sono deceduti e 35 sono sopravvissuti; trasportava una sola nostra concittadina; il convoglio n. 14: in partenza da Verona il 2 e giunto ad auschwitz il 6 agosto 1944 con 244 deportati dei quali sono deceduti 215 e sono sopravvissuti 29; trasportava due ebrei acquesi. Purtroppo degli ebrei acquesi nessuno è ritornato vivo: un’anziana donna è morta durante il trasporto; 14 sono stati uccisi nello stesso momento dell’arrivo ad auschwitz, non avendo superato la selezione preliminare; 8 sono morti in luogo e data ignoti; 4 sono morti, dopo qualche mese di sofferenza, nei lager di dachau, auschwitz, Buchenwald e Mauthausen. degli ebrei acquesi deportati sappiamo ancora che appartenevano a diverse fasce di età. Le più anziane dell’elenco sono de Benedetti ernesta e dina smeralda, di 88 e 89 anni; il più giovane è un ragazzo che, al momento dell’arresto, aveva poco più di 14 anni e, al momento del decesso nel

137

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Problemi e materiali didattici


Quaderno di storia contemporanea/49

Problemi e materiali didattici

lager di auschwitz, appena 15 anni. gli italiani ebbero un ruolo determinante nella loro cattura, sia tramite la denuncia di informazioni (ricevettero come compenso 5 mila lire se l’ebreo denunciato era uomo, duemila se donna e mille se bambino), sia attraverso l’azione diretta: ben 16 deportati furono stati arrestati da italiani, 4 da tedeschi, mentre dei rimanenti 7 non vi sono informazioni precise; l’arresto avvenne nella nostra città per 11 ebrei (due il 7 dicembre 1943 e nove il 17 gennaio 1944). degli altri 15, 7 furono presi a torino e uno in ciascuna delle seguenti località: terzo, Vesime, Visone, asti, genova, Montecatini, sanremo e Novi Ligure. Particolarmente colpita fu la famiglia Bachi, della quale furono deportati il padre Michele di 77 anni (ucciso subito all’arrivo nel lager di auschwitz il 6 febbraio 1944), e i tre figli arturo di 34 anni (anch’egli ucciso all’arrivo nel lager di auschwitz), aldo di 31 anni (morto a Mauthausen il 15 febbraio 1945) e avito di 14 anni (morto ad auschwitz nell’ottobre 1944). aNCoNa roberto: nato ad acqui il 19/1/1906, morto a dachau il 10/2/1945 BaChi aldo: nato ad acqui il 21/10/1912, morto a Mauthausen il 15/2/1945 BaChi arturo enrico: nato ad acqui il 14/4/1910, morto ad auschwitz il 6/2/1944 BaChi avito: nato ad acqui il 26/9/1929, morto ad auschwitz nell’ottobre 1944 BaChi Michele: nato ad acqui il 12/7/1867, morto ad auschwitz il 6/2/1944 de BeNedetti elisa: nata ad acqui il 17/1/1865, morta ad auschwitz il 6/2/1944 de BeNedetti ernesta: nata ad acqui il 7/4/1856, morta ad auschwitz il 6/2/1944 de BeNedetti giacomo: nato ad acqui il 19/7/1900, morto nel lager (in luogo ignoto) il 31/1/1945 diNa dino davide: nato ad acqui il 20/3/1911, morto a Buchenwald il 28/2/1945

138


diNa salomone Moisè davide: nato a Casale M. l’11/4/1972, arrestato ad acqui il 17/1/1944, morto ad auschwitz il 6/2/1944 diNa smeralda: nata ad acqui il 26/7/1855, morta ad auschwitz il 6/2/1944 FoÀ anita: nata a Venezia il 24/6/1986, arrestata a Visone nel novembre 1943, morta ad auschwitz l’11/12/1943 FoÀ olga: nata ad acqui il 4/5/1889, morta nel lager (in luogo e data ignoti) ghiroN elisabetta: nata a Casale M. il 9/8/1863, arrestata ad acqui il 17/1/1944, morta durante il trasporto LeVi anita: nata ad acqui il 28/11/1887, morta nel lager (in luogo e data ignoti) LeVi aronne Nino: nato ad acqui il 25/12/1872, morto ad auschwitz l’11/12/1943 LeVi Cesare: nato ad acqui il 3/4/1872, morto ad auschwitz il 10/4/1944 LeVi emma: nata ad acqui il 15/10/1878, morta ad auschwitz il 10/4/1944 LeVi Marietta: nata a Casale M. il 23/7/1876, arrestata ad acqui il 17/1/1944, morta ad auschwitz il 6/2/1944 ottoLeNghi ada: nata ad acqui il 19/11/1881, morta ad auschwitz il 14/11/1943 ottoLeNghi dorina: nata ad acqui il 23/9/1886, morta nel lager (in luogo e data ignoti) ottoLeNghi emma: nata ad acqui l’1/12/1866, morta ad auschwitz l’11/12/1943 ottoLeNghi giacomo: nato ad acqui l’11/2/1897, morto nel lager (in luogo e data ignoti) ottoLeNghi giorgio: nato ad acqui il 4/100/1909, morto nel lager (in luogo e data ignoti) ottoLeNghi silvio salomon: nato ad acqui il 5/5/1889, morto ad auschwitz il 6/8/1944 VigeVaNi eda anna: nata ad acqui il 10/4/1895, morta nel lager (in luogo e data ignoti)

139

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Problemi e materiali didattici


Quaderno di storia contemporanea/49

WessLer elvira (classe 1876; deceduta dopo il 30 gennaio 1944 in luogo e data sconosciuti). Vanno inoltre ricordati alcuni acquesi non ebrei che furono deportati per altri motivi (politici o perché partigiani o perché rastrellati). La lapide collocata presso i portici saracco ricorda i loro nomi (anche in questo caso l’elenco è probabilmente incompleto):

Problemi e materiali didattici

BoNa Vito – classe 1921 – morto a Mathausen CoMBa Francesco – classe 1927 - morto a Meclemburg MigLioriNi Filippo – classe 1906 - morto a Norimberga Pareto domenico – classe 1903 - morto a Mathausen serVeNti Mario – classe 1903 - morto a Mathausen

140


Problemi e materiali didattici

1. Per un quadro esauriente della varietà interna alla shoah cfr. C. Vercelli, Tanti olocausti. La deportazione e l’internamento nei campi nazisti, Firenze, giuntina, 2005. 2. Cfr. g. sardi, Il pericolo quando la Memoria è politica, in “L’ancora” del 30 gennaio 2011; a. Cavaglion, Come gestire la memoria. Contro le semplificazioni intorno ai temi della Shoah, in “L’indice dei libri del mese”, marzo 2007; C. Vercelli, Sull’uso pubblico della giornata della memoria, in “Quaderno di storia contemporanea”, israL n. 37, 2005. 3. sulla complessa valutazione dei numeri della deportazione e dello sterminio cfr. C. Vercelli, Tanti olocausti, cit.; pagg. 268-274; N. Labanca, Internamento militare italiano, in aa.VV., Dizionario della Resistenza, torino, einaudi, 2000, vol. i. sulla vicenda dei lavoratori italiani in germania rispetto al territorio locale cfr. L. Ziruolo, Da Acqui alla Ruhr. Lettere di un “camerata del lavoro” e della sua compagna 1940-43, israL-Le Mani, recco, 2007. 4. Per una bibliografia essenziale sull’ebraismo acquese vedi L. rapetti, Il cimitero ebraico di Acqui Terme, acqui, eig, 2009; per una sintesi del contributo degli ebrei acquesi alla vita civile locale vedi g. sardi, La comunità ebraica acquese, in “l’ancora”, 14 febbraio 2001; id., I conti con quella storia che non ci fa onore, in “L’ancora” del 30 gennaio 2005; id., Tra i luoghi acquesi del popolo ebraico, in “L’ancora” del 4 febbraio 2007. tra i pochi testi di memoria sulla deportazione acquese significativo quello di Cino Chiodo, Sulle tracce delle stelle disperse. La tragedia degli Ebrei di Acqui, aido, acqui, 2001; in proposito cfr. g. sardi, Cino Chiodo, il non ritorno, in “l’ancora” del 31 gennaio 2010. Cfr. anche g. galliano, La Resistenza nella mia memoria, eig, acqui, 2008. 5. sull’esperienza canellese vedi la sintesi in r. Penna, Il dovere di ricordare. Tempi e luoghi di una memoria per il futuro. Quattro anni di progetti e attività dell’associazione “Memoria viva”, Cd, Canelli, 2010; il sito dell’associazione http://www.memoriaviva-canelli.it/sito/contiene l’indicazioni sui numerosi materiali prodotti. 6. C. Vercelli, Tanti olocausti, cit.; pag. 7. 7. Questa prima modalità pubblica della gdM acquese rivolta alla cittadinanza è stata proposta con l’intervento di testimoni ed esperti: dopo il primo incontro con la psicologa Maria de Benedetti nel 2001, nel 2002 protagonista è Paolo deBenedetti, tra i più importanti studiosi dell’ebraismo italiano, sui riflessi religiosi della shoah, nel 2003 ancora con Maria de Benedetti sugli aspetti culturali e psicologici del fare memoria, nel 2004 con il deportato Carlo Lajolo e Laurana Lajolo che ne ha curato le memorie del lager in Morte alla gola (eig, 2004), nel 2005 con aldo Perosino, autore della ricerca storica sulla deportazione e la shoah degli ebrei in provincia di alessandria, nel 2006 con giovanni Colombo sul tema della resistenza al nazismo e la testimonianza della “rosa Bianca”, nel 2007 con Marco Cavallarin e la vicenda degli ebrei piemontesi emigrati in israele, nel 2009 con elena Bianchi e la vicenda della deportazione degli zingari e ancora con gianna Menabreaz con la raccolta delle memorie dei deportati canellesi, nel 2010 con Marco dolermo e Luisa rapetti, sulla storia della comunità ebraica acquese, nel 2011 con alberto Cavaglion, storico e scrittore, sull’attualità della memoria. 8. Cfr. La necessità di non dimenticare la tragedia dell’Olocausto, in “L’ancora” del 4 febbraio 2001. L’articolo è di domenico Borgatta, uno dei principali animatori insieme a roberto rossi della gdM acquese, presenta i risultati del primo incontro svolto in acqui venerdì 26 gennaio

141

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

NOTE


Problemi e materiali didattici

Quaderno di storia contemporanea/49

2001, con la partecipazione di oltre un centinaio di adulti e giovani presso l’aula magna del Liceo Classico. 9. significativa la presenza del vescovo di acqui mons. Micchiardi e per diversi anni di mons. giovanni galliano (che fu attivo durante la resistenza nella protezione degli ebrei), e poi di don Paolino siri e don Franco Cresto, insieme al rabbino di genova e ad alcuni rappresentanti della comunità ebraica, tra cui la signora Clotilde ancona, la cui famiglia era tra le più note della comunità acquese. Nelle occasioni di dialogo interreligioso sono da ricordare gli interventi di mons. Micchiardi, del pastore Bruno giaccone, dell’islamico Mohammed Ben Bakkali, di Paolo de Benedetti. 10. F. sommovigo, La giornata della memoria celebrata anche ad Acqui, in “l’ancora” del 3 febbraio 2002; sul tema cfr. hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, genova, il Melangolo, 2004. 11. Paolo de Benedetti, intervento all’incontro del 2002, presso il Liceo classico di acqui terme. dell’autore vedi in proposito: E il loro grido salì a Dio. Commento all’Esodo, (Morcelliana, 2002), Quale Dio? Una domanda dalla storia, (Morcelliana), 1996. 12. L. rapetti, Il cimitero ebraico di Acqui Terme, acqui t., eig, 2009; M. dolermo, Gli Ebrei di Acqui tra emancipazione e persecuzioni razziali. Demografia di una comunità in estinzione, in “aquesana”, n.2/2000; M. dolermo, La costruzione dell’odio, torino, Zamorani, 2005; a. Perosino, La shoah in provincia di Alessandria, recco, israL-Le Mani, 2005; a. Perosino, Radici e percorsi di famiglia. La parabola sociale della Comunità Ebraica Acquese dal 1825 al 1948, in iter/4; L. rapetti, La bufera della Shoah acquese e la resistenza dei Giusti, in “iter”, n. 7, a. 2006; La Shoah ad Acqui. Le vicende della persecuzione e deportazione degli ebrei acquesi attraverso le testimonianze; Acqui 1934-45: una città occupata, in V. rapetti, Memoria della resistenza, resistenza della memoria, acqui, eig, 2007; r. Penna, Resistenza e resistenze. Ebrei, deportati e partigiani a Canelli dal 1938 al 1945, in “iter” n. 7, a. 2006. 13. emblematiche le vicende di elsa e Francesco garofano di grognardo e quelle delle famiglie ambrostolo e Brandone a Cessole. Cfr. M. Cavallarin, I “Giusti fra le nazioni” a Cessole, in “iter” n. 11, 2007 e L. Musso, I “Giusti fra le nazioni” a Grognardo, in “iter” n. 13, 2008. 14. tra i testimoni che hanno partecipato all’attività didattica vanno ricordati: adolfo ancona, Letizia Fraccon, augusta Bachi, giovanni mons. galliano, giacomo ghiazza, Fausta giuso, Marco Menegazzi, Maria Maino, dante Mignano, enrico Piola, Floriana tomba, g.Battista Zanetta. su Cassine cfr. ad es. P. oldrini, Cassine: Giornata della memoria, in “L’ancora” del 13 febbraio 2005. sulla memoria della deportazione locale cfr. anche a. Villa, I deportati alessandrini nei lager nazisti. 18 testimonianze di sopravvissuti, israL-Le Mani, 2004; g. Menabreaz, L’ultimo testimone. Memorie di deportati e internati nei lager nazisti, acqui, eig, 2008; P. Pia, Viaggio della memoria a Majdanek e Treblinka e V. rapetti-g. Menabreaz, Un viaggio non voluto. Percorsi della deportazione dal Monferrato ai campi nazisti, in “iter” n. 16, 2008; L. rapetti, Il laboratorio teatrale scolastico nel processo formativo, in “Quaderno di storia contemporanea”, n. 37, 2005. 15. Per una sintesi delle elaborazioni storico-didattiche degli anni 2000-2005 vedi V. rapetti, Memoria della Resistenza, cit.; pagg. 211-251 e i relativi materiali proposti nel dVd annesso. a supporto della ricerca locale e della divulgazione va ricordato il servizio librario di equazione e la rassegna bibliografica curata dal direttore della biblioteca civica, Paolo repetto, che hanno messo a disposizione ogni anno volumi di approfondimento e testi di memorie. 16. i principali relatori sono stati: Maria de Benedetti, Ferruccio Maruffi, Carlo Lajolo, Laurana Lajolo, mons. giovanni galliano, Pietro reverdito, giorgio Bernerdelli, Mauro Bonelli,

142


Problemi e materiali didattici

Vittorio Rapetti, Ricordare ancora la shoah?

Claudio Vercelli, Primarosa Pia, alberto Cavaglion. 17. Per le quattro mostre, presentate dai curatori, sono state predisposte schede didattiche per docenti e studenti. Cfr. Mostra “Chalutzim: ebrei piemontesi pionieri in terra d’Israele”, in “l’ancora” del 21 gennaio 2007 e g. sardi, Ebrei piemontesi nella terra promessa, in “l’ancora” del 18 febbraio 2007. Cfr. g. sardi, Lezioni di memoria a scuola, in “l’ancora” del 31 gennaio 2010; Mostra per la pace: i Giusti dell’Islam, in “L’ancora” del 14 febbraio 2010. g. sardi, Una mostra didattica sulla Shoah nella biblioteca civica di Acqui Terme, in “L’ancora” del 21 gennaio 2011. Nel 2011, ad es., hanno visitato la mostra sulla deportazione dei ragazzi ebrei italiani circa 600 studenti, attraverso un’attività per singole classi. 18. Cfr. g. sardi, Convegno la “Rosa Bianca” in “L’ancora” del 12 febbraio 2006 (in questo caso sono stati oltre 900 gli studenti partecipanti alle proiezioni presso il cinema Cristallo); g. sardi, Bruna Dina, lettere dal ghetto, in “l’ancora” del 11 febbraio 2007. il lavoro teatrale su B. dina è stato curato dalla compagnia “il trapezio” di torino” e rappresentato presso il teatro ariston di acqui terme. 19. Per un primo bilancio critico dell’esperienza didattica relativa alla gdM vedi V. rapetti, Giorno della memoria, didattica e territorio. L’esperienza della rete distrettuale acquese, in “Quaderno di storia contemporanea”, n. 37, a. 2005. alcuni materiali per l’aggiornamento docenti sono raccolti nel Cd prodotto dalla Commissione distrettuale docenti di storia di acqui terme, a cura di V. rapetti, Per la giornata della memoria. Materiali di studio e per la didattica, acqui, 2006. 20. M. horkeimer, t. adorno, Dialettica dell’illuminismo, 1° ed. 1944, nuova ed. tedesca 1969, trad. it., einaudi, 1971(3°).

143


Quaderno di storia contemporanea/49

accorciare la scuola. effetti collaterali della riforma gelmini

Problemi e materiali didattici

Patrizia Nosengo sia pure nell’ottundimento di un Paese rassegnato e inconsapevole e nella diffusa indifferenza degli stessi addetti ai lavori, a distanza di pochi mesi dalla definitiva entrata in vigore della cosiddetta riforma gelmini è possibile discernere concretamente gli effetti che gli interventi previsti dalla legge finanziaria 133 del 2008 e dai successivi regolamenti attuativi del Miur hanno implacabilmente prodotto, in una sorta di psaligrafia della scuola, tagliata e ridisegnata secondo linee ideologiche che hanno ribaltato le coordinate proprie di tutti i decenni precedenti della storia repubblicana. se, infatti, tra il 1946 e la fine del Novecento la scuola italiana era stata connotata da un progressivo ampliamento del servizio e dalla crescente estensione del diritto allo studio a classi sociali un tempo escluse dall’istruzione, il prosciugamento progressivo delle risorse voluto dai ministri tremonti e gemini è riuscito in tre soli anni a imporre una completa inversione di tendenza, che ha condotto alla contrazione del sistema di istruzione pubblico in tutte le sue componenti, ben oltre i limiti della stessa sostenibilità: contenuti culturali, modelli educativi, corsi di studio, tempi di permanenza a scuola, addetti al servizio, classi e istituti scolastici, corsi accademici e sedi universitarie sono stati radicalmente tagliuzzati e triturati, tra roboanti slogan auto-contraddittori e mimetismi lessicali. in tal modo, il processo di democratizzazione della scuola e della società italiane, che sembrava irreversibile dopo le conquiste degli anni settanta, è stato quasi completamente nullificato. i dati numerici sono in proposito impressionanti. se è vero – come dimostrano le indagini eurostat – che tutti i governi di destra e di centro si-

144


nistra succedutisi in italia dopo il 2001 avevano ridotto la spesa per la scuola e la formazione (che nel 1990 costituiva il 10,3% della spesa pubblica complessiva, mentre nel 2007 era già scesa all’8,8% ), è stato comunque l’attuale governo a imprimere un’accelerazione definitiva al taglio delle risorse: nel 2009 l’italia si collocava al diciottesimo posto tra i Paesi europei per investimenti nella scuola (4,73% del PiL, a fronte di una media europea del 5,05%), ma già nel 2010 l’impegno era sceso al 4,2%, con la conseguente collocazione del nostro Paese al ventunesimo posto della graduatoria; a partire da quest’anno, infine, il documento di economia e Finanza 2011, varato dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministero dell’economia e Finanze, ha previsto un’ulteriore drastica diminuzione delle risorse finanziarie, dal 3,7% del PiL nel 2015, fino al 3,4% nel 2025. Come è facilmente intuibile, la consistenza rilevante dei tagli ha inciso profondamente su ogni aspetto della scuola pubblica e, come vedremo, ha prodotto il tracollo del diritto allo studio in tutti gli ordini di scuola. anzitutto è stata innalzata la media degli alunni per classe (nella scuola elementare la media è passata da 18,69 a 19,09; nella media inferiore da 20,97 a 21,37; e nella scuola secondaria di secondo grado da 21,59 a 21,99), con una ricaduta negativa sulle possibilità di individualizzazione dell’insegnamento nella scuola dell’obbligo e di approfondimento, consolidamento e recupero nella scuola secondaria superiore. Contestualmente è stata operata la scelta di procedere, sia pure gradualmente, alla chiusura delle scuole con meno di 50 alunni. il provvedimento interessa le scuole elementari di 1083 Comuni italiani, nonché circa 3.000 scuole elementari e medie presso strutture ospedaliere, convitti, conservatori, istituti per non vedenti e audiolesi e 522 scuole secondarie di ii grado, di cui 346 corsi serali e 55 corsi carcerari. ora, a prescindere dalle considerazioni relative all’opportunità di chiudere scuole situate in luoghi poco accessibili 1, è evidente che l’eliminazione di questa tipologia di corsi non soltanto lede il diritto allo studio delle fasce deboli della popolazione scolastica e sottrae opportunità culturali fondamentali ad adulti che intendono rientrare nel sistema di istruzione, ma, a causa della gradualità delle chiusure e dell’ampio margine di discrezionalità che ne deriva, consente all’amministrazione di stabilire arbitrariamente graduatorie cronologiche,

145

Patrizia Nosengo, Accorciare la scuola. Effetti collaterali della riforma Gelmini

Problemi e materiali didattici


Problemi e materiali didattici

Quaderno di storia contemporanea/49

che potrebbero essere piegate a ragioni clientelari e politiche. Non casualmente recenti deliberazioni ministeriali sembrerebbero aver privilegiato le richieste dei governatori delle regioni guidate dal PdL: ad esempio, Cota ha potuto dichiarare di aver ottenuto il mantenimento delle scuole di montagna piemontesi e la regione Lombardia, unica in italia, parrebbe aver recentemente ottenuto, in tempi di forti ridimensionamenti del personale scolastico (ma, potremmo dire maliziosamente, anche di elezioni amministrative a Milano), 400 posti aggiuntivi in organico di diritto 2. anche il numero di docenti e personale amministrativo è fortemente diminuito, in ottemperanza a quanto stabilito dalla Legge 133 del 2008, che imponeva un taglio di 87.400 docenti e 44.500 ata, distribuito nei tre anni successivi. Nel solo anno scolastico corrente, nonostante l’incremento del numero di allievi, sono stati cancellati 25.600 docenti, suddivisi tra i vari gradi d’istruzione e 15.000 ata, con un contemporaneo taglio del 25% degli appalti esterni per la pulizia delle scuole. È esempio perspicuo di tale situazione il fatto che nell’anno scolastico 2011-2012, a fronte di un taglio complessivo di circa 19-20.000 docenti in ambito nazionale, nella regione Piemonte vi saranno 603 posti docente in meno nella scuola secondaria superiore e tutte le province piemontesi, tranne torino e alessandria, avranno insegnanti elementari in soprannumero. tutto ciò evidentemente prefigura un sostanziale blocco del turn over nella scuola, nonostante l’età media elevata (più di 50 anni) dei docenti attualmente in cattedra e rende di fatto impossibili sia immissioni in ruolo, sia assunzioni per supplenze annuali. d’altra parte sono note le dichiarazioni del ministro gelmini, che lamenta la presenza di un numero “eccessivo” di docenti (1.350.000), un rapporto inaccettabile docenti/alunni (1 insegnante ogni 9 allievi) e una percentuale squilibrata di spesa per il personale (il 97%) in rapporto alla spesa complessiva per l’istruzione. in realtà, le cifre citate dalla gelmini sono in larga misura opinabili: il numero dei docenti effettivo è di circa 200.000 unità inferiore a quello dichiarato dal Ministro (sono in realtà 1.128.148); il rapporto docenti/allievi è in italia pari a 1 insegnante ogni 11 allievi, di poco inferiore alle media dei Paesi oCse (1 ogni 13,3), che tuttavia, a differenza delle statistiche ministeriali, non comprende insegnanti di sostegno e maestri di scuola materna; e, infine, il computo governativo

146


delle spese per il personale non considera i fondi destinati all’istruzione da regioni e Comuni, il cui conteggio riduce all’80,7% della spesa complessiva per l’istruzione la quota riservata agli stipendi del personale. tali discrepanze, tuttavia, non possono eludere la problematicità della questione relativa agli organici, giacché è pur vero che l’accordo storico dei governi democristiani e dei sindacati di categoria intorno al disegno di uno scambio tra bassi salari e ampio livello occupazionale – che per tutta la seconda metà del Novecento ha ridotto la scuola a luogo di assorbimento della disoccupazione intellettuale del Paese, indifferente alla qualità dell’insegnamento – ha prodotto masse di precariato, che certamente vanta diritti legittimi dal punto di vista sindacale, ma che non garantisce il possesso di competenze adeguate, né consente l’immissione nella scuola delle giovani eccellenze in uscita dalle università. La situazione, peraltro, è complicata dal fatto che per la formazione degli insegnanti nel 2009 è stato stanziato l’83,07% di risorse in meno rispetto al 2001 (e il 27,64% di risorse in meno rispetto al 2008) e che da anni la formazione degli insegnanti di nuova nomina è affidata univocamente alle cosiddette “piattaforme e-learning”, costituite da sequenze di brevi testi e grafi di fantasiosa struttura che ogni corsista deve leggere, al fine di rispondere a batterie di test predisposte dal Ministero. tale modello, funzionale alla diffusione di contenuti pedagogici, didattici e metodologici omologati e ideologicamente coerenti con gli orientamenti del Ministero, ha interrotto la pratica virtuosa dell’organizzazione precedente, che utilizzava esperti locali, scelti in genere tra i docenti di maggiore competenza e che garantiva la trasmissione di esperienze, conoscenze, scelte metodologiche, strumenti e materiali dalla generazione di insegnanti degli anni settanta – formatasi in un clima di forti entusiasmi e di profonde innovazioni – alle generazioni successive. d’altra parte, occorre riconoscere che sia il governo, sia l’opposizione politica e sindacale affrontano il problema del precariato e del numero di addetti in modo settoriale e fazioso: gli uni ne fanno una questione di mero risparmio di spesa; gli altri un problema di diritto al lavoro. Ma nell’un caso, come nell’altro, il discorso rimane circoscritto ad argomentazioni quantitative, mentre sarebbe necessario oggi un ripensamento complessivo degli organici, in funzione qualitativa.

147

Patrizia Nosengo, Accorciare la scuola. Effetti collaterali della riforma Gelmini

Problemi e materiali didattici


Problemi e materiali didattici

Quaderno di storia contemporanea/49

in ogni caso, il numero di ore di lezione è diminuito consistentemente in tutti gli ordini di scuola, con ulteriori tagli agli organici del prossimo anno scolastico e una conseguente diminuzione supplementare del tempo scuola 3. Nella scuola elementare, a differenza di quanto afferma l’opposizione, è rimasto invariato il numero di classi a tempo pieno, ma è stata contestualmente sancita di fatto la fine della scuola a moduli, di 30 o più ore settimanali: a partire dal prossimo anno scolastico, le classi prime, seconde e terze elementari e, nei due anni successivi, l’intera scuola primaria avranno un organico di docenti sufficiente a garantire soltanto 27 ore settimanali di lezione, senza alcuna possibilità di coprire le ore di mensa, se non ricorrendo ad escamotage più o meno funamboleschi, quali accorpamenti delle classi durante alcune ore di lezione, oppure modularizzazione e assorbimento delle ore di compresenza dei due docenti delle classi a tempo pieno. si rivela qui perspicuamente la tendenza del Ministero a imporre il ritorno al maestro unico, o, in alternativa, il cosiddetto “modello stellare”, con un docente prevalente, incaricato dell’insegnamento di tutte le materie principali del curriculum. in tal modo, da un lato, si ottengono forti contrazioni del personale, dall’altro si ribalta il processo di trasformazione della scuola elementare italiana che, a partire dal 1971, aveva superato il cosiddetto maestro “tuttologo” e introdotto una progressiva specializzazione dei docenti, che assicurava maggiore competenza nell’insegnamento delle varie materie del curriculum, sebbene poi talora dirottata verso una sostanziale secondarizzazione, lontanissima delle istanze di giustizia sociale e di equità di opportunità di partenza poste a fondamento di tutti i progetti di estensione del tempo scuola degli anni sessanta, settanta e ottanta del Novecento. del resto, a prescindere dalle necessità di risparmio, una diminuzione del tempo scuola è, come ben sappiamo, funzionale sia alle istanze della Chiesa cattolica, che reclama la prevalenza della famiglia nell’educazione dei bambini, sia alle esigenze della scuola privata, disposta ad assicurare i servizi di custodia che la scuola di stato non è più in grado di offrire. Quanto tutto ciò sia rispondente all’ideologia liberista esasperata di ampia parte della destra italiana attuale è talmente evidente da non meritare ulteriori considerazioni.

148


Ma è soprattutto nella scuola secondaria superiore che la riforma gelmini ha palesato i suoi frutti avvelenati, a partire dalla forte riduzione del tempo scuola e delle materie di studio, soprattutto nei tecnici e nei professionali, che hanno pagato il prezzo più elevato, con il taglio già dal settembre 2010 delle ore di laboratorio e di materie professionalizzanti non soltanto nelle classi prime, interessate dalla riforma, ma anche nelle seconde, terze e quarte, in cui l’orario è stato ridotto da 36 a 32 ore settimanali. Contestualmente, tra l’indifferenza generale di famiglie, studenti e insegnanti, nelle classi prime dei licei sono stati cancellati tutti i corsi sperimentali e le materie opzionali. ora, è indubbio che i cosiddetti progetti Brocca avevano nel tempo moltiplicato a dismisura le tipologie dei corsi di secondaria superiore e che occorreva effettivamente intervenire con un’azione severa di riordino e di snellimento; e tuttavia, la riforma gelmini ha abbattuto sulla scuola superiore una scure sommaria, orientata da un impianto esplicitamente classista, che, ancora una volta, ha ribaltato il processo pluridecennale di democratizzazione della scuola e di estensione del diritto allo studio. in effetti, sebbene la scuola di massa sorta in italia all’inizio degli anni sessanta non abbia mai dismesso completamente il suo carattere di classe, è pur vero che, almeno nell’ambito del dichiarato e della progettualità, tutti i governi della seconda metà del Novecento avevano postulato l’innalzamento del numero di diplomati e laureati e inteso l’estensione più ampia possibile dell’istruzione superiore e universitaria quale fattore nodale dello sviluppo civile, sociale ed economico del Paese. Non soltanto, ma in una sorta di virtuosa amalgama tra personalismo cattolico e valori socialisti di equità sociale, a lungo andare i Ministri e i funzionari della Pubblica istruzione, i sindacati di categoria, le associazioni di settore e gli insegnanti avevano elaborato un linguaggio e un quadro valoriale condivisi, che indicavano quale obiettivo cardinale di tutti gli ordini di scuola e di tutti gli indirizzi di studio l’educazione di personalità critiche, creative, consapevoli, inclusive, capaci di analizzare autonomamente la realtà e partecipi della gestione politica democratica del Paese. in modo opposto, il regolamento e i profili culturali, educativi e professionali previsti per i diversi corsi di studio dall’impianto gelmini isti-

149

Patrizia Nosengo, Accorciare la scuola. Effetti collaterali della riforma Gelmini

Problemi e materiali didattici


Problemi e materiali didattici

Quaderno di storia contemporanea/49

tuiscono una esplicita dicotomia tra percorsi liceali, da un lato e istituti tecnici e professionali, dall’altro. Ne è costituente rivelatore il lessico utilizzato. ai licei è infatti attribuito il compito di fornire “allo studente gli strumenti culturali metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con un atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi […]” 4 e tale obiettivo è declinato in termini di “studio delle discipline in una prospettiva sistematica, storica e critica; […] pratica dell’argomentazione e del confronto; […] cura di una modalità espositiva orale e scritta corretta, pertinente, efficace e personale[…]” 5. Nonostante la contraddittorietà delle indicazioni, che mescolano in un ecclettismo privo di logica differenti e talora contrapposte tradizioni pedagogice 6 e fondano la distinzione tra i diversi percorsi liceali su definizioni tautologiche, meramente descrittive dei contenuti curriculari e talora al limite del lapalissiano 7, appare evidente che il liceo è ancora una volta identificato come il luogo precipuo dell’educazione all’autonomia, alla capacità critica, alla padronanza piena degli strumenti linguistici e comunicativi e alla compiuta consapevolezza e ricchezza culturale, tutte categorie dell’elaborazione attiva e della progettualità. Ben differente è la definizione dei percorsi degli istituti tecnici e professionali, nei quali è accentuato costantemente il nesso tra istruzione e lavoro e sono elencati obiettivi interamente inscritti nelle categorie dell’analisi, del riconoscimento e dell’utilizzo, che sono categorie della fruizione passiva ed etero-diretta, nell’evidente considerazione di questo segmento dell’istruzione come luogo della formazione di forza-lavoro più o meno specializzata, ma passiva e destinata all’assolvimento di compiti meramente tecnico-esecutivi. Peraltro è interessante notare che il confronto tra i profili delle tre tipologie di scuola superiore pone in luce un’apparente bizzarria: se infatti i profili dei tecnici e dei Professionali menzionano rispettivamente l’obiettivo “agire in base a un sistema di valori coerenti con i principi della Costituzione, a partire dai quali saper valutare fatti e ispirare i propri comportamenti personali e sociali” 8 e l’obiettivo “agire in riferimento a un sistema di valori, coerenti con i principi della Costituzione, a partire dai quali saper valutare fatti e orientare i propri comportamenti personali, so-

150


ciali professionali” 9, nel Profilo dei Licei non è fatta alcuna menzione a finalità afferenti alla cultura civica. in realtà la scelta operata dal Ministero non è affatto casuale. Qui l’impianto gelminiano rivela infatti il suo carattere classista ed epigonico nei confronti della concezione gentiliana della scuola e dell’educazione, giacché sembra istituire una sorta di graduatoria degli approcci alla cultura civica: assunta come scontata la relazione causale tra acquisizione degli apprendimenti liceali e per così dire naturale padronanza di una solida cultura civica scaturita da razionalità e capacità culturale, distingue poi tra approccio intuitivo-deduttivo dello studente dei tecnici, capace di “ispirarsi” alla Costituzione, per declinare in modo conseguente le proprie scelte e i comportamenti; e approccio passivo-esecutivo dello studente dei professionali, che “orienta” i propri comportamenti sulla base del dettato costituzionale. Vale appena la pena di notare che tale classificazione definisce un’evidente graduatoria decrescente di diritti di cittadinanza, configurata dall’indirizzo di studi prescelto e quindi, di fatto, dalla collocazione di classe degli studenti. a tale proposito è inoltre interessante osservare che tutti i testi della riforma mostrano la sussistenza di una sorta di tabù linguistico, giacché in essi non compaiono mai i termini ‘democrazia’, ‘legalità’, ‘politica’, che pure erano ampiamente presenti in numerosi documenti ministeriali di tutti i governi precedenti. Visione classista della scuola secondaria e attacco al diritto allo studio si coniugano con un parallelo impoverimento della qualità dell’istruzione. da un lato, infatti, l’obbligo di adozione di libri di testo snelliti, che rimandano a contenuti scaricabili da internet, ha ulteriormente accresciuto la già ampia disaffezione degli studenti alla lettura; dall’altro la riduzione delle risorse per il Piano dell’offerta formativa delle singole scuole (85 milioni di euro in tre anni, a partire dal 2008) ha ridotto sensibilmente il numero e la consistenza dei progetti opzionali; e la contrazione dei fondi disponibili per la predisposizione degli “sportelli” pomeridiani e dei corsi di recupero, peraltro imposti per norma alle scuole, ha drasticamente ridotto le opportunità di recupero delle difficoltà di apprendimento e ha ridato spazio e vitalità al sistema tradizionale delle lezioni private, che penalizza com’è ovvio gli allievi appartenenti alle famiglie meno abbienti.

151

Patrizia Nosengo, Accorciare la scuola. Effetti collaterali della riforma Gelmini

Problemi e materiali didattici


Problemi e materiali didattici

Quaderno di storia contemporanea/49

un’ultima, significativa caratteristica della riforma gelmini merita la nostra attenzione. in tutti i profili elaborati dal Ministero, è rilevabile la tendenza a ridurre le ore di lezione destinate alle materie umanistiche, a favore delle materie tecnico-scientifiche. si tratta peraltro di una scelta condivisa e auspicata da vasta parte dell’utenza scolastica e della mentalità comune, nonché da un ampio schieramento trasversale di intellettuali, di destra e di sinistra, persuasi che scienza e tecnica siano fattori cruciali dello sviluppo economico e civile del Paese. in realtà, come benissimo osserva Martha Nussbaum in un recente volumetto di godibilissima lettura, le capacità fondamentali della democrazia ( “la capacità di pensare criticamente; la capacità di trascendere i localismi e di affrontare i problemi mondiali come ‘cittadini del mondo’; e, infine, la capacità di raffigurarsi simpateticamente la categoria dell’altro”) sono “associate agli studi umanistici e artistici” 10. eppure dobbiamo riconoscere che la cultura contemporanea è caratterizzata dalla circolarità e pervasività dell’ideologia scientista di stampo positivistico, che si rivela totalmente inerme dinanzi a ciò che con grande lucidità Michele Ciliberto ha definito “la democrazia dispotica” 11, i cui tratti populistici e carismatici, capaci di intensa forza performativa, possono essere decostruiti soltanto dalla consapevolezza critica e dalla lucidità intellettuale che scaturiscono dall’esercizio del pensiero e del linguaggio peculiari delle materie umanistiche. in questa prospettiva, pare evidente che una scuola prevalentemente tecnicistica non può che proporsi come mera fabbrica di consenso sociale. scrive Ciliberto: alla base del nuovo dispotismo democratico ci sono […] profondi processi di trasformazione della nostra società. in questi ultimi venti anni, l’italia si è ripiegata, chiudendosi in se stessa, dando sfogo agli istinti peggiori sia verso l’esterno che all’interno. La mobilità sociale che aveva connotato i primi decenni della vita repubblicana si è attenuata, poi è venuta del tutto meno, mentre si è affermata una società fortemente gerarchizzata, incapace di dare spazio anzitutto alle giovani generazioni. da un lato, con una sorta di giaculatoria quotidiana, si è continuato a fare tutti i giorni l’apologia del ‘cambiamento’; dall’altro, tutto è rimasto fermo, statico, immobile. soprattutto – ed è questo il punto di fondo – è cresciuto, si è sviluppato e si è imposto un

152


nuovo modello antropologico pervasivo e totalizzante, che ha spinto i ‘diversi’ a chiudersi in spazi residuali, in nuove forme di emarginazione e di solitudine. se si volessero individuare, in modo sommario, alcuni degli effetti di questo dispotismo democratico sulla società italiana si potrebbe sintetizzarli in questo modo: sul piano sociale, un fortissimo acuirsi delle diseguaglianze, una strutturale riduzione, e un livellamento verso il basso, dei redditi popolari; una sostanziale incapacità di pensare un mutamento che non sia risolto nei ruoli e nelle gerarchie sociali stabilite. e sul piano più strettamente politico l’affermazione, a tutti i livelli, del modello leaderistico di un potere centrale di tipo ‘carismatico’, teso ad imporsi come l’unico luogo in cui la comunità nazionale possa identificarsi […] 12.

ebbene, la scuola della gelmini è perfettamente rispondente a questa società e a questa politica. e allora la speranza di liberazione dalla democrazia dispotica e dalla società di massa individualistica che ne è al tempo stesso causa e conseguenza può scaturire soltanto da un ripensamento generale e propositivo sulla scuola, scevro da ideologismi e tatticismi politici, che sappia ricondurci ai grandi temi del diritto allo studio, della eguaglianza delle opportunità, dell’educazione alla cittadinanza e alla democrazia partecipata.

153

Patrizia Nosengo, Accorciare la scuola. Effetti collaterali della riforma Gelmini

Problemi e materiali didattici


Quaderno di storia contemporanea/49

Problemi e materiali didattici

NOTE 1. il Ministero ha al momento rinviato la chiusura delle scuole di montagna, o situate in piccole isole e in ogni caso non sempre appaiono legittime le pretese dei piccoli Comuni di mantenere aperte scuole pressoché deserte, nelle quali effettivamente le opportunità di apprendimento degli allievi risultano fortemente limitate rispetto a quelle offerte da scuole di maggiori dimensioni e con superiori capacità di investimento in strutture laboratoriali. 2. La notizia, di fonte sindacale, ha fortemente irritato i governatori della regione toscana e dell’emilia romagna, che ne hanno ufficialmente chiesto ragione al Ministero. 3. significativo a tal proposito il fatto che la direzione regionale del Piemonte si accinge a inviare una lettera di protesta al Ministero, nella quale si sottolinea l’impossibilità di organizzare il servizio scolastico per il prossimo anno, a causa della limitatezza delle risorse assegnate. 4. “revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei Licei”, art.2, comma 2) 5. Il regolamento dei Licei, allegato a, “il profilo culturale, educativo e professionale dei Licei”; pag. 1. 6. La declinazione degli obiettivi dei percorsi di studio fa riferimento in parte alla pedagogia bruneriana, in parte alle tassonomie di Bloom e in parte a concezioni tradizionalistiche assai datate di stampo nozionistico. 7. si veda, ad esempio, la definizione di Liceo classico, quale percorso liceale “indirizzato allo studio della civiltà classica e della cultura umanistica”, che “favorisce una formazione letteraria, storica e filosofica idonea a comprendere il ruolo dello sviluppo della civiltà e della tradizione occidentali”, ivi, pagg. 6-7. oppure l’imbarazzata definizione di Liceo scientifico, collocato in una condizione di medietà tra cultura scientifica e tradizione umanistica, all’evidente scopo di distinguerlo dagli istituti tecnici, ivi, pagg. 10-11. 8. Regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti tecnici, allegato a, “Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione per gli istituti tecnici”; pag. 2. 9. Regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti professionali, allegato a, “Profilo educativo, culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione per gli istituti professionali”; pag. 3. 10. Martha Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno di una cultura umanistica, Bologna, il Mulino, 2011; pag. 26. 11. Michele Ciliberto, La democrazia dispotica, roma-Bari, Laterza, 2011. 12. ivi; pagg. 148-149.

154


Recensioni - Judaica

assai interessante questo curatissimo, nella forma e nel contenuto, volume edito da olschki, che raccoglie gli atti di un convegno internazionale di studi tenutosi al museo della rivoluzione a Vizille nel 2007. il tema della rivoluzione francese e del suo rapporto con l’illuminismo è particolarmente fecondo di discussioni e di interpretazioni in Francia come in italia, paese coinvolto pesantemente nelle guerre rivoluzionarie e napoleoniche e che da queste ultime ha tratto uno stimolo forte per la conquista della propria indipendenza e unità. eppure, se è vero che la rivoluzione ha diffuso gli ideali di libertà già propri dell’illuminismo e pertanto viene citata come ciò che si oppone a tutti i totalitarismi, è anche vero che alcune sue tendenze sono andate in senso contrario. L’identificazione illuminismo – rivoluzione, con la trasformazione dei philosophes in rivoluzionari, largamente praticata dalla storiografia, si ricollega a una visione identitaria e patriottica della Francia, che su questo crea un mito perdurante lungo tutto il XX secolo, quello della repubblica e della laicità dello stato, senza fare distinzioni tra le guerre rivoluzionarie del 1792 e quelle successive, del direttorio e di Napoleone, che sono soltanto imperialistiche. Questo spiega, tuttavia, come mai la ricezione degli ideali rivoluzionari in molti paesi europei sia stata tiepida per non dire in larga misura apertamente ostile. secondo Vincenzo Ferrone, dell’università di torino, sono gli studi recenti di Venturi e ricuperati a riportare l’illuminismo a una funzione storica indipendente. Lo stesso ricuperati in un denso e commosso saggio rievoca diverse figure di studiosi e antifascisti torinesi (Caffi, Chiaromonte, spinelli, lo stesso Norberto Bobbio, tra gli altri) che nell’illuminismo recuperano la matrice democratica e laica in contrapposizione tanto al dogmatismo marxista quanto alla pretesa del fascismo di interpretare a modo suo e in modo totalizzante, i rapporti tra illuminismo e risorgimento. Mi sembra interessante qui ricordare il gruppo di filosofi definitosi Neo-illu-

155

Recensioni - Judaica

gilles Bertrand, ezio Neppi (a cura di), I Lumi e la Rivoluzione Francese nel dibattito italiano del XX Secolo / Les Lumières et la Révolution Française dans le debat italien du XX Siècle, Firenze, gabinetto scientifico Letterario g. P. Viesseux, studi 20, Leo s. olschki, 2010; pagg. 316, € 32,00.


Recensioni - Judaica

Quaderno di storia contemporanea/49

minismo, che tentò una va diversa nel panorama italiano, ancora, nel secondo dopoguerra, monopolizzato dalla tradizione idealistico crociana. il gruppo (Banfi, geymonat, Paci, Bobbio, abbagnano, garin, Preti, dal Pra) si sciolse negli anni sessanta per la difficoltà di costruire una voce metodologica unitaria tra filosofia e storia, lasciando però una creativa eredità filosofica. dal punto di vista strettamente storiografico antonio Bechelloni analizza il saggio capitale di gaetano salvemini La rivoluzione francese e tutte le nuove valutazioni che il suo autore applicò dopo la fine della guerra, ridimensionando in particolare la figura di rousseau e il Contratto sociale. di un altro autore capitale, antonio gramsci, daniela Ventura rechenman ricostruisce l’apparente contraddizione tra gli scritti giovanili, dove la rivoluzione francese, in quanto rivoluzione borghese, veniva fortemente criticata, e i Quaderni, dove invece la rivoluzione francese assume un ruolo paradigmatico. tra le due interpretazioni vi è la riflessione di gramsci sulla rivoluzione e soprattutto la sua lunga azione politica. Nell’ultima parte del libro troviamo ancora studi di carattere generale, come quello sul rapporto tra rivoluzione francese e unità nazionale durante il fascismo, che negava ogni filiazione tra rivoluzione e risorgimento; in questa visione egemonizzante sono le storie letterarie, specie ad uso scolastico, ad azzardare una interpretazione differente con il tentativo di fondare un risorgimento delle lettere, precursore di quello politico. Questa tesi viene ripresa in modo molto più originale negli anni sessanta da un giovane ricercatore, sergio romagnoli, che studia proprio l’aspetto dell’impegno e della formazione pubblica assunto dall’illuminismo. Come ultimo saggio, ma ne resterebbero ancora altri da sintetizzare, tutti egualmente interessanti, citerò la rilettura di Franco sbarberi del suo maestro Norberto Bobbio, che tornò a varie riprese sulla filosofia dei Lumi facendone il momento centrale della storia dei diritti dell’uomo e anche del pensiero socialista, con il suo desiderio di eliminare le diseguaglianze tra gli uomini. antonella Ferraris

156


Recensioni - Judaica

Questo volume raccoglie gli atti dell’omonimo convegno che si è volto a genova, all’interno delle attività del dipartimento di storia moderna e contemporanea – e più in particolare del corso di dottorato in storia – nel settembre del 2008, e in cui tutti i vari interventi hanno esplorato il tema delle relazioni e delle identità di genere in contesti storici molto diversi e distanti tra loro, e anche con punti di vista differenti: dall’esperienza di migranti italiani in svizzera (Paolo Barcella) alle ragioni addotte da chi chiede, nell’italia del primo Novecento, la separazione coniugale (ennio Passalia), dall’esperienza manicomiale di donne italiane a Marsiglia nel primo Novecento (Francesca arena) al racconto di una coppia di classe media che incarna l’ideale di modernità del “miracolo economico” (enrica asquer), per citare solo alcune delle tematiche presenti. a uniformare il lavoro sottostà in tutti i saggi, come abbiamo detto, la categoria del genere – capace di apportare ai vari temi innovazioni interpretative, arricchendo le prospettive di indagine – e la domanda su quanto, come e perché si sono trasformate l’identità femminile e maschile e le loro rappresentazioni sociali negli ultimi due secoli. Felice in particolare proprio questa scelta di lavorare sul lungo periodo, abbinando ottocento e Novecento, per garantire una giusta cornice temporale a un tema quale quello della costruzione di aspetti di genere, che non si può collegare solo a persistenze singolari: come infatti fa notare Carla Casalini, nel suo saggio Uomini e donne nel partito nuovo di Togliatti, ad esempio, ignorando i retroscena ottocenteschi si rischia di incorrere – come spesso avviene nell’analizzare la storia del Novecento – “nell’errore di prendere per buona l’immagine di un femminile tradizionalmente legato alla domesticità, a quella ‘casalinghitudine’ che sarà invece una sostanziale novità del secondo dopoguerra” (pag. 140). e proprio in questo ampio orizzonte, che si apre ad abbracciare luoghi, tempi e temi molto diversi, oltre che nella ricchezza delle fonti utilizzate (che vanno da quelle orali alla pubblicistica medica, dalle cartelle manico-

157

Recensioni - Judaica

Francesca alberico, giuliana Franchini, M. eleonora Landini, ennio Passalia (a cura di), Identità e rappresentazioni di genere in Italia tra Otto e Novecento, genova, disMeC, 2010; pagg. 212, € 12,00.


Quaderno di storia contemporanea/49

miali agli atti di un processo ai filmati pubblicitari) sta la maggiore ricchezza di questo volume, di cui in particolare vorrei fare un rapido accenno ai saggi di giuliana Franchini – cui si deve anche l’interessante introduzione che riattraversa i vari contributi, raggruppandoli per temi (migrazioni, famiglia, genere; identità di genere, mascolinità; culture politiche), esplicitando la problematica storica in cui si inseriscono ed individuando i fili che li collegano – Prigionia e immaginario di genere nelle scritture di prigionieri italiani della Seconda guerra mondiale e di Francesca alberico, Identità e stereotipi di genere della memorialistica di Salò. il primo mette in luce il rapporto tra sessi e l’immaginario di genere, utilizzando una fonte molto particolare e circoscritta, che è quella delle scritture personali – diari, lettere, memorie – dei prigionieri italiani di guerra, soprattutto gli internati in germania dopo l’8 settembre: persone per le quali, come nota la storica, i gesti e le ritualità che accompagnano il passaggio dalla condizione di combattente a quella di prigioniero sono segnati da un di più di violenza e di umiliazione. La Franchini indaga proprio gli “spostamenti” che la prigionia induce nell’identità maschile, con l’emergere in primo piano della dimensione affettiva, strettamente associata all’idea della famiglia e della casa, ma anche ai rapporti intrattenuti con donne tedesche, autrici talvolta di gesti pietosi nei loro confronti.

Recensioni - Judaica

graziella gaballo

Maddalena tirabassi, I motori della memoria. Le piemontesi in Argentina, torino, rosenberg & sellier, 2010; pagg. 237, € 20,00. “Motori” della ricerca e della memoria di cui dà conto in questo volume Maddalena tirabassi – direttore del Centro altreitalie sulle migrazioni italiane – sono un gruppo di donne argentine di origine piemontese, attive nel mondo dell’associazionismo, desiderose di vedere scritta la loro storia: richiesta che nasce dal desiderio di capire la propria identità culturale,

158


ma anche dalla denuncia di un vuoto storiografico, confermato dal fatto che solo negli ultimi decenni ha iniziato a svilupparsi un’attenzione, all’interno della storiografia sulle migrazioni, alla categoria del genere. Prima, infatti, la donna era vista, anche all’interno di questo fenomeno, come figura quasi accessoria, e il suo ruolo come essenzialmente passivo – quello di chi doveva seguire il marito rompendo con gli altri vincoli affettivi o doveva rassegnarsi ad aspettarlo – senza la capacità di coglierne invece la valenza di asse portante della famiglia, responsabile dell’educazione e dell’etica, punto di riferimento, con il compito di mantenere i valori e le abitudini del paese di origine, nella consapevolezza che solo su quella base era possibile costruire il futuro. sono state proprio queste stesse donne argentine che hanno messo in moto la ricerca a fornire anche il materiale su cui lavorare: racconti, testimonianze, foto e documenti, accuratamente conservati e tramandati di generazione in generazione, buona parte dei quali sono confluiti nel bell’inserto iconografico che separa le due parti del volume, la prima delle quali è tesa a contestualizzare e a introdurre storicamente la vicenda migratoria piemontese in argentina, per costruire un quadro di riferimento storico alle narrazioni raccolte: ricostruzione storica che si avvale dei contributi storiografici più importanti, con attenzione particolare alle poche e recenti ricerche che affrontano tale tema da un’ottica anche di genere. Poi, per verificare il percorso identitario attraverso le generazioni e le loro aspettative nei confronti del paese e della regione di origine e per capire che cosa resta delle tante generazioni di emigrati che in un secolo e mezzo di storia italiana hanno compiuto la traversata transoceanica per recarsi in argentina; chi sono, dove sono, cosa fanno oggi le donne di discendenza piemontese che vivono in argentina e che rapporti hanno mantenuto con il paese di origine (come si trasmette la memoria delle origini attraverso le generazioni; cosa influenza i legami con il paese di provenienza degli avi; quali sono i fattori che scatenano la consapevolezza etnica; che influenza ha l’immagine dell’italia nel mondo e che ruolo hanno la situazione politica ed economica del paese di residenza e le politiche dello stato italiano nei confronti degli italiani nel mondo – cittadinanza e voto – e quelle regionali) sono stati predisposti dei questionari. Messi on line nel portale di

159

Recensioni - Judaica

Recensioni - Judaica


Quaderno di storia contemporanea/49

Altreitalie e rivolti alle donne piemontesi o di origine piemontese in argentina, per la loro diffusione e pubblicizzazione è stato utilizzato il mondo dell’associazionismo e, in alcuni casi – per incapacità di utilizzo del mezzo telematico o per impossibilità di connessione alla rete – ne sono state inviate copie in cartaceo. Ne sono tornati compilati interamente più di ottocento, e dei risultati di questa indagine quantitativa il testo dà ampiamente conto, anche con l’utilizzo di grafici. oltre cinquanta donne, infine, hanno rilasciato anche delle interviste, sulla cui base è stato costruito, nell’ultima parte del volume, un macrotesto delle migrazioni al femminile attraverso proprio i ricordi delle donne stesse, la loro memoria – diretta o tramandata di generazione in generazione – del viaggio e delle prime impressioni sulla nuova terra, dell’inserimento e la negoziazione tra cultura d’origine e quella del nuovo paese fino all’elaborazione di nuove identità. Ne esce un complesso e variegato ritratto, che restituisce spessore e valore alla componente femminile dell’esperienza dell’emigrazione, di cui si rivaluta soprattutto, in contrasto con la tradizionale funzione che le è in genere attribuita, il ruolo nel processo di inserimento nella nuova società e da cui emergono esempi di forza, valore, sicurezza, capacità di lavoro, dignità, sacrificio. e viene confermata anche la centralità del soggetto migrante: non pedina, ma attore del proprio destino, mosso dall’intreccio di una pluralità di elementi di cui non necessariamente quello economico è il principale.

Recensioni - Judaica

graziella gaballo

alessandra Chiappano (a cura di), Essere donne nei Lager, Firenze, giuntina, 2009; pagg. 273, € 20,00. ancora una volta, un bel libro nato da un seminario: uno di quelli che annualmente l’istituto della resistenza in ravenna e provincia organizza sulla didattica della shoah e della deportazione e che nel 2008 ha avuto come tema, appunto, le deportazioni femminili dall’italia. era un modo, come ri-

160


corda la curatrice del volume, alessandra Chiappano, per riprendere un filo là dove si era interrotto: per ricollegarsi cioè al convegno voluto con forte convinzione da Lidia Beccaria rolfi e organizzato dal Consiglio regionale del Piemonte e dall’aNed nel 1994, i cui atti sono stati pubblicati, a cura di Lucio Monaco, con il titolo La deportazione femminile nei lager nazisti, per i tipi di Franco angeli, nel 1995. il volume che qui presentiamo è diviso in quattro sezioni: Gli studi; Gli Strumenti; I luoghi della deportazione; Testimoni di eccellenza tra storia e memoria. Nella prima, che disegna il contesto storiografico entro cui inserire le varie ricerche e i vari contributi, troviamo il saggio di Bruno Maida, che riflette sulla storiografia della deportazione, con particolare attenzione al tema della deportazione femminile e quello di giovanna d’amico che qui presenta i dati della sua ricerca, dati numerici (quante furono le deportate politiche, quante le deportate razziali e quali furono i loro destini all’interno dell’universo concentrazionario) estremamente importanti, come ben sappiamo, in un campo in cui si deve tutti i giorni fare i conti con tentativi revisionistici. Mariarosa Masoero lavora invece sulla memorialistica, analizzando testi di letteratura concentrazionaria femminile spesso poco conosciuti ancora al grande pubblico; interessanti poi la relazione di gudrun schwarz sul ruolo delle sorveglianti ss all’interno dei lager (si tratta della relazione che la studiosa tedesca ha presentato a Milano, nel 1995, nel seminario internazionale Donne, guerra, resistenza nell’Europa occupata, organizzato dalla sis insieme con l’iNsMLi e gli archivi riuniti delle donne) e il lavoro di alessandra Chiappano sulle ventinove interviste a ex deportate che fanno parte del corpus dell’archivio on line della deportazione piemontese, di cui dà ampiamente conto nel suo intervento – che è collocato nella sezione Strumenti – Barbara Berruti: progetto pilota di grande importanza e strumento agile da consultarsi, che permette di accedere rapidamente a una pluralità di fonti diverse. Chiude infine la prima sezione il contributo di daniela Padoan che affronta il complesso rapporto tra storia e testimonianza. dopo I luoghi della deportazione – in cui alessandra Chiappano presenta in particolare i due campi in cui sono state deportate le italiane (quello di ravensbruck e quello di auschwitz-Birkenau), con lo scopo di aiutare il let-

161

Recensioni - Judaica

Recensioni - Judaica


Quaderno di storia contemporanea/49

tore a meglio comprendere la complessa struttura concentrazionaria nazista – in Testimoni d’eccellenza tra storia e memoria si dà voce alle donne che hanno vissuto la tragica esperienza della deportazione: tra esse, Lidia rolfi e Charlotte delbo. un testo quindi che finalmente applica con decisione la categoria del genere anche al mondo della deportazione: scelta niente affatto scontata e che, come ci ricorda la stessa Chiappano nel suo intervento introduttivo, trova parecchie obiezioni da parte di chi sostiene che ci troviamo di fronte a una esperienza universale, all’interno della quale non ha né senso né utilità distinguere tra uomini e donne. Mentre sempre meglio sappiamo – e ce lo ricorda anche anna Bravo nella sua bella Prefazione – che in realtà la deportazione femminile ha avuto una storia a sé, solo in parte paragonabile a quella maschile: a cominciare dall’impossibilità di mantenere quel pudore per il proprio corpo che era particolarmente forte in quel periodo storico, al dover affrontare in certi casi la maternità in quelle condizioni subumane, al dover assistere impotenti all’uccisione dei propri figli, magari appena nati. graziella gaballo

Recensioni - Judaica

V. rapetti ( a cura di), Laici nella Chiesa, Cristiani nel mondo. Per una storia dell’Azione Cattolica nelle Chiese locali del Piemonte e Valle d’Aosta, acqui terme, editrice impressioni grafiche, 2010; pagg. 374, con dVd allegato, € 20. il volume, promosso dalla delegazione regionale Piemonte-Valle d’aosta dell’azione Cattolica italiana, rappresenta un contributo importante per la storia del movimento cattolico del Novecento in un contesto ricco di fermenti e di figure significative. Fin da un iniziale rapido sguardo all’indice del testo è possibile rendersi conto da un lato della sua esaustiva completezza, dall’altro delle scelte di merito che soggiacciono alla sua articolazione. La prima dimensione emerge se si guarda all’approfondimento che viene fatto nel capitolo finale della seconda parte, curato da Marta Margotti e Vittorio

162


rapetti, dedicato sia alla Bibliografia che contiene studi locali e pubblicazioni d’insieme relativi alla storia dell’aC nazionale in rapporto a quella piemontese, sia al diversificato, per quantità e qualità dei materiali disponibili, assetto degli archivi diocesani e di singole organizzazioni. È infatti proprio su questa base documentaria, integrata dagli apporti dei testimoni ancora viventi, che è stato possibile ai vari contributori costruire una pubblicazione utilissima per la presente e futura memoria senza nulla concedere al carattere agiografico e autocelebrativo che spesso caratterizza il fare la “storia ufficiale” di un organizzazione, sia essa un partito,un sindacato, un movimento. Così il libro è in grado di delineare una prospettiva originale per restituirci il quadro della vicenda associativa di donne e uomini, giovani e meno giovani, che si snoda da fine ottocento ai giorni nostri in terra piemontese e valdostana attraversando fasi e temperie storiche interne ed esterne alla Chiesa cattolica italiana molto differenziate. dall’“appello ai laici” di Benedetto XV al turbolento rapporto con il regime fascista e le sue organizzazioni, dalla partecipazione alla resistenza e alla nascita della repubblica ai “giorni dell’onnipotenza” del decennio post-bellico del pontificato di Pio Xii fino alla svolta epocale del Concilio Vaticano ii e sue successive valorizzazioni e ridimensionamenti. Fino ad arrivare all’attuale contradditorio mix tra lamentata irrilevanza educativa del cattolicesimo italiano e “presenzialismo” delle gerarchie ecclesiastiche ad arginare una dichiarata vertiginosa crisi di valori. a ciascuna fase , tra entusiasmo e rilancio o, per contro, momenti di stasi e di crisi, l’aC in quanto “macchina organizzativa” si espande o si riadatta, cercando di mantenere sempre, e per decenni ci riesce, la sua valenza formativa incentrata sull’ascolto del messaggio evangelico, la partecipazione alla vita della comunità cristiana, la testimonianza in ogni ambito del quotidiano. L’originalità del lavoro di cui si diceva consiste nell’aver saputo ripercorrere le diverse declinazioni del “come” le generazioni che si sono succedute hanno sperimentato e coniugato il loro essere laici dentro la Chiesa e cristiani nel secolo. gli autori ci sono riusciti incrociando due assi di indagine: quello del vissuto personale e quello del tessuto organizzativo. il primo ha permesso loro di rintracciare negli oltre novanta profili biografici di protagonisti maggiori e minori rilevati il momento forte della loro scoperta,

163

Recensioni - Judaica

Recensioni - Judaica


Recensioni - Judaica

Quaderno di storia contemporanea/49

dentro e oltre, talora contro, la tradizione familiare, della aC non solo come appartenenza a una sigla associativa (unione uomini o unione donne piuttosto che giaC o FuCi o Laureati Cattolici ecc.), ma come indelebile esperienza umana e formativa. Che ha orientato nella diversità delle contingenze storiche le scelte di vita di ciascuno, siano esse quelle di figure emblematiche, per citarne solo alcune, come Piergiorgio Frassati, gino Pistoni e emile Chanoux o Carlo Carretto, giulio Pastore e oscar Luigi scalfaro o di altre meno note. il secondo asse ha consentito di individuare nella dimensione diocesana e regionale le dinamiche di interazione sottostanti le sigle sviluppatesi nelle Chiese locali: rapporti con la vita parrocchiale, ruolo di impulso o burocratico dei vescovi e così via. un pregio, tra gli altri, del volume riguarda infine l’aver documentato, tramite una messa a punto rigorosa, l’apporto non di poco conto che i cattolici piemontesi dell’aC diedero alla resistenza e ai lavori di redazione della Costituzione come eletti all’assemblea Costituente. se proprio un difetto si volesse trovare alla pubblicazione esso andrebbe riferito a una mancata specifica trattazione di un tema tanto delicato quanto cruciale: la vicenda dei Comitati civici in Piemonte. inventati da Luigi gedda e diventati, per ormai unanime giudizio storiografico, uno dei fattori più rilevanti della vittoria della dC in occasione delle elezioni politiche del 1948 contro il Fronte popolare socialcomunista. strumento di propaganda e mobilitazione di massa di tutti gli iscritti alle organizzazioni cattoliche, i Comitati civici continuarono a funzionare per almeno tutto il decennio successivo a quell’appuntamento elettorale con effetti di collateralismo quanto di massiccia influenza sul partito cattolico che procurarono non pochi contraccolpi sull’aC,specialmente sulla giaC. Probabilmente non sarebbe stato facile ricostruirla, ma ne varrebbe ancora la pena. emanuele Bruzzone

164


Recensioni - Judaica

La “parentesi antifascista” di cui scrive Marco albertaro in questa sua approfondita ricognizione del giornalismo torinese dell’immediato secondo dopoguerra, ebbe inizio nei giorni successivi alla Liberazione, quando, sospese le testate degli anni del regime, a torino – come nelle altre città italiane – fiorirono i giornali espressione delle forze del CLN. Non ancora propriamente organi di partito, sospesi fra dimensione locale e respiro nazionale, si trattava di fogli spesso improvvisati, che continuavano fra mille difficoltà – a partire dalla scarsità della carta – le esperienze di quelli di “banda” nati nel corso dei venti mesi della guerra partigiana. Mossi dall’ambizione di coniugare l’aspirazione a rappresentare dopo vent’anni di dittatura un modello di giornalismo libero con le istanze pedagogiche che derivavano loro dalla natura di strumenti di comunicazione politica, accresciute in intensità dalla particolare eccezionalità di quei mesi, essi cercarono di tenere in vita e rafforzare nella società piemontese gli ideali e le passioni che avevano nutrito la lotta contro il fascismo e l’occupazione tedesca e le aspettative di un radicale rinnovamento, in senso democratico, della società italiana. di questo spirito resistenziale l’interprete più efficace fu indubbiamente rappresentato dall’edizione torinese de “l’unità” che forte del radicamento del PCi a torino, fu sostanzialmente l’unico fra i fogli di partito – gli altri erano “l’opinione” per i liberali, il “Popolo Nuovo” per i democristiani, il “sempre avanti!” per i socialisti e “gL” per gli azionisti – a reggere nel tempo la concorrenza delle testate tradizionali. giovandosi in particolare della regia di davide Lajolo, che seppe infondere al giornale, in particolare alla sua terza pagina, ricca di collaboratori illustri e curata dal giovane raf Vallone, una cifra inconfondibile, “l’unità”, nel tentativo di allargare oltre i confini di classe il consenso al PCi, come sottolineato anche da aldo agosti nella prefazione al volume, rappresentò una “diga all’operaismo rigidamente classista quasi congenito al partito della città” (pag. 8). da questa ambizione ad essere l’incarnazione del rinnovatore “vento del Nord” derivò all’edizione torinese del giornale fondato da gramsci più di

165

Recensioni - Judaica

Marco albertaro, La parentesi antifascista. Giornali e giornalisti a Torino (19451948), torino, seb 27, 2011; pagg. 206, con una appendice di testi in Cd roM, € 15,00.


Quaderno di storia contemporanea/49

uno scarto rispetto alla linea, più cauta e per forza di cose manovriera, seguita dal PCi a livello nazionale. un “mordere il freno” su temi quali l’amnistia e l’epurazione o le aspettative di radicale cambiamento intraviste alla nascita del governo Parri, che se non ebbe conseguenze significative dal punto di vista politico, è però esemplificativo della dinamica centro/periferia instauratasi in quei mesi, al termine di una vicenda bellica che aveva visto divaricarsi, temporaneamente ma in maniera profonda, i destini del Nord da quelli del resto del paese. È invece difficile dire quando si chiuda la “parentesi antifascista” ed inizi cioè per coloro che della lotta partigiana e poi del ritorno alla libertà erano stati gli artefici la presa d’atto di una inesorabile continuità all’interno della società italiana con il passato. Nel giornalismo torinese se ne colgono le prime avvisaglie nella ricomparsa nel luglio del ‘45, seppure dopo un parziale mutamento nella testata, dei due principali tradizionali giornali cittadini, “La stampa” e “La gazzetta del Popolo” che schieratisi prima cautamente poi più apertamente a fianco dello schieramento moderato guidato dalla democrazia Cristiana – la prima con accenti più liberali, la seconda nettamente più conservatori e quasi qualunquistici – ingaggiarono un’aspra competizione con la stampa antifascista. Ne è una fedele testimonianza il diverso approccio con cui queste testate vivono il dibattito attorno alla forma istituzionale e la difformità delle aspettative con cui guardano ai lavori dell’assemblea costituente. un divaricarsi progressivo di posizioni che precipiterà nel biennio ’47-’48 in vista delle prime elezioni politiche con cui potrà dirsi definitivamente chiusa la “parentesi antifascista” e cristallizzatasi la vita politica italiana nelle logiche proprie della “guerra fredda”.

Recensioni - Judaica

Cesare Panizza

166


Recensioni - Judaica

La meritoria collana di storia del cinema voluta da Francangelo scapolla, inventore de Le Mani, si arricchisce di un autorevole, e delizioso, volume sul cinema di guerra curato da uno dei decani della critica cinematografica, Claudio g. Fava, che molta parte ha avuto nell’educazione cinematografica degli italiani “di una certa età” grazie ai cicli monografici da lui curati per la rai. instancabile affabulatore, dotato di una vasta ed enciclopedica cultura non solo cinematografica, Claudio g. Fava ha curato questo volume che all’interno della cinematografia di genere bellico non di rado compie interessanti digressioni di carattere storico. Per quanto lo scopo del libro non sia verificare quanto i film scelti siano aderenti alle vicende narrate, è abbastanza evidente che i film di guerra sono spesso legati a filo doppio con le vicende storiche, in particolare quelle del XX secolo che coprono la quasi totalità dei film considerati. La storia della iia guerra Mondiale sono dedicati, se non ho contato male, ben sessantasette film su cento: ci sono noti blockbuster come Il giorno più lungo di Ken annakin Quell’Ultimo ponte di richard attemborough (1962) come anche Flags of our fathers e Letters from Iwo Jima di Clint eastwood, l’unico regista citato due volte, proprio perché ha dedicato due film, straordinari entrambi, alla stessa battaglia, scegliendo di volta in volta il punto di vista degli americani e quello dei giapponesi; ci sono tuttavia anche pellicole meno note, o ai nostri giorni dimenticate, come L’inferno è per gli eroi di don siegel o Il grande Uno rosso di sam Fuller. Non manca nemmeno il suo prediletto Jean Pierre Melville, che Fava ha contribuito a far conoscere in italia e di cui rimane probabilmente il più importante conoscitore: L’Armata degli eroi (L’Armata delle ombre secondo il titolo originale, molto più appropriato e assai meno retorico) rimane, anche a mio parere, il più bel film girato sulla resistenza al nazismo (in ogni paese). Melville aveva partecipato in prima persona alla resistenza francese, e una volta riunitosi all’esercito del gen. de gaulle aveva combattuto anche in italia. Nel suo film, i resistenti sono uomini per bene, dilettanti che sono costretti ad imparare cose atroci per combattere una guerra spietata e

167

Recensioni - Judaica

Claudio g. Fava, Guerra in 100 film, recco, Le Mani, 2010; pagg. 236, € 10,00.


Recensioni - Judaica

Quaderno di storia contemporanea/49

senza esclusione di colpi, arrivando perfino a uccidere la migliore di loro, Madame Mathilde (simone signoret) temendo che possa essere ricattata dai nazisti. sono citati, tra gli altri conflitti considerati, la ia guerra Mondiale (La grande guerra di Monicelli), il Medio oriente (Kippour di amos gitai), la Corea (Mash di altman), il Vietnam (Il Cacciatore, Full Metal Jacket e Platoon). il libro inizia con All’Ovest niente di nuovo (1930) di Lewis Milestone, tratto dal romanzo di eric Maria remarque e si conclude con il bellissimo The Hurt Locker di Catherine Bigelow, premiato agli oscar 2010, che restituisce “la stravolta e minuta assurdità della guerra”(pag. 206), in questo caso la guerra in iraq, con geniale talento, al punto che da ora in poi, nota Fava, pensare l’iraq senza pensare a questo film sarà impossibile. un aspetto non secondario di questo libro è poi il ricco apparato iconografico, che restituisce non solo le immagini dei film, ma soprattutto i manifesti, che da soli costituiscono una testimonianza dell’estetica e sovente della grafica dell’epoca. Per concludere, mi permetto di citare un episodio, e un commento riportati da Fava, che molto bene esemplificano il suo gusto di critico, la sua attenzione a tutti gli aspetti di una pellicola, filmici e per così dire contenutistici e anche il ruolo di cittadino. Fava dedica alcune pagine a un film in verità minore, I sette dell’Orsa Maggiore, di duilio Coletti, un “mestierante”, aggiunge, che pur con una buona dose di retorica ha spesso raccontato vicende poco note della partecipazione italiana alla iia guerra Mondiale, qui in particolare si dedica alla nostra Marina Militare, che pur nello sfascio generale del nostro esercito, si distinse per alcune operazioni coraggiose e fortunate e soprattutto per alcune unità combattenti d’élite, i sommergibilisti e i sommozzatori, ispiratori dei più noti reparti inglesi e americani (i seals): uno dei personaggi del film adombra la figura storica del comandante, poi ammiraglio Luigi durand de la Penne, un uomo d’altri tempi della cui biografia non dovrebbero essere ricordati soltanto, nota Fava, i successi sportivi o militari o la carriera politica post-bellica: de la Penne, nell’immediato dopoguerra, provvide a sminare il porto di genova dagli ordigni lasciati dai tedeschi e dai repubblichini, in condizioni spesso pericolosissime. “genova gli ha dedicato, nel Porto antico, un piazzale

168


Recensioni - Judaica

di poche decine di metri, e si è tolta il pensiero” (pag. 79). in questa conclusione lapidaria, pare quasi di vederlo nel suo studio che parla, c’è tutto lo spirito di un personaggio fuori dal comune. antonella Ferraris

La nuova collana di questa casa editrice – Le farfalle, diretta da Clara sereni, dedicata alle donne viaggiatrici nello spazio e dentro di sé e i cui proventi saranno in parte devoluti alla fondazione “la città del sole”, onlus che costruisce progetti di vita per persone con gravi problemi psichici – viene inaugurata dalla biografia della naturalista e botanica eva Mameli, madre dello scrittore italo Calvino. Ci traccia nell’introduzione un primo ritratto di questa donna – la prima a laurearsi in scienze naturali in italia e la prima a vincere una cattedra di Botanica – Libereso guglielmi, più noto come il giardiniere di Calvino, che la ricorda al lavoro nel giardino di villa Meridiana a sanremo (la stazione sperimentale per la floricoltura, che era anche residenza di famiglia): piccola, minuta, sempre vestita di nero, dall’aspetto severo e il carattere chiuso; ma basteranno un biglietto ricevuto in occasione nella nascita del suo primo figlio e una dedica su un libro a fargli capire di quanto amore e di quanta tenerezza fosse capace questa donna. una collana di viaggi, dicevamo: e infatti la vita di eva Mameli, sarda, si snoda tra spostamenti, anche al di qua e al di là dell’oceano. dopo aver frequentato i corsi di matematica presso l’università di Cagliari, la giovane si allontana per la prima volta dall’isola in cui è nata per iscriversi alla facoltà di scienze naturali a Pavia, dove si laureerà nel 1907; intraprende quindi la carriera di insegnante delle scuole medie di Pavia, Foggia e Mantova, e nel 1915 ottiene la libera docenza in botanica generale all’università pavese, prima donna a ricoprire questo ruolo. Ma, improvvisamente, una nuova svolta. a 34 anni sposa per procura il

169

Recensioni - Judaica

elena Macellari, Eva Mameli Calvino, Perugia, ali&no editrice, 2010; pagg. 101, € 12,00.


Recensioni - Judaica

Quaderno di storia contemporanea/49

noto agronomo Mario Calvino e parte da sola per raggiungerlo a Cuba, dove il marito dirige una stazione sperimentale per la canna da zucchero. Mario – che certamente era un personaggio eccentrico – aveva conosciuto eva tramite le sue pubblicazioni e, trovandosi in italia nel 1920 in occasione di un convegno di botanica aveva fatto irruzione nella sua casa di Pavia, chiedendole di sposarlo; la loro, verosimilmente, non fu, all’inizio, una travolgente storia d’amore, ma quasi un sodalizio scientifico. a Cuba, eva visse un’esperienza coinvolgente sia come studiosa e ricercatrice che come donna sensibile alle problematiche sociali e qui, dove nascerà nel 1923 il figlio primogenito italo, diventò capo del dipartimento di Botanica di santiago de Las Vegas. Nel 1925, la famiglia Calvino fa rientro in italia e si stabilisce a sanremo, con l’obiettivo di dedicarsi alla creazione di una stazione sperimentale per l’acclimatizzazione delle piante provenienti da Cuba e dal Messico: stazione resa possibile da un cospicuo lascito del politico orazio raimondo – di cui, infatti, essa porta il nome – morto nel 1920; Mario ne è il direttore e eva la responsabile del dipartimento di botanica. Ma già nel 1926 un nuovo spostamento l’attende, perché viene chiamata a Cagliari come docente di botanica e direttrice dell’orto botanico. L’anno dopo nasce il secondo figlio, Floriano, e nel 1928 eva rientra definitivamente a sanremo, dove – insieme con il marito – fonda una nuova rivista scientifica di risonanza nazionale. dopo la guerra – durante la quale furono pure arrestati e presi come ostaggi dai tedeschi, per la protezione da loro data ai partigiani – Mario ed eva vennero coinvolti dal ministero nella Costituente per la riforma agraria, per la quale stilarono un programma ispirato a ideali progressisti. alla morte del marito, nel 1951, eva assunse la direzione della stazione che guidò con grande professionalità sino al 1958; e alla sua morte, a 92 anni, nel 1978, Villa Meridiana e il suo parco furono offerti dagli eredi al comune di sanremo ma, nonostante l’esiguità della somma richiesta, la transazione non andò a buon fine, con grande rammarico dei figli. Nel 1979 italo Calvino decise allora di donare tutto il patrimonio librario, le riviste, l’archivio dei fiori e la documentazione fotografica alla biblioteca di sanremo, mentre Villa Meridiana fu venduta e adesso, al suo posto – involontaria nemesi per l’autore de La speculazione edilizia – sorge un moderno residence.

170


Recensioni - Judaica

Questa prima monografia italiana di eva Mameli Calvino ci restituisce quindi una immagine di donna inusuale per i suoi tempi – in cui rarissime erano le figure femminili che si dedicavano con tanta assiduità alla causa della ricerca e della divulgazione scientifica – e con tante sfaccettature: tessitrice di competenze attraverso gli oceani, scienziata rigorosa quanto attenta agli aspetti sociali del proprio lavoro, persona curiosa, attenta, intraprendente. graziella gaballo

Questo volume – cui è allegato il dVd Videointervista a Simone Teich Alasia, prodotto dall’istituto Piemontese per la storia della resistenza e della società Contemporanea “giorgio agosti” con la regia di Fabiana antonioli, – raccoglie, a cura di Luciano Boccalatte e andrea d’arrigo, le memorie legate al periodo della resistenza di simone teich alasia, chirurgo plastico fondatore del Centro grandi ustionati del Cto, di cui è dal 1985 Primario emerito, ma che continua la sua attività di ricerca e di sostegno alla scuola del Cto tramite una Fondazione per lo studio delle ustioni, da lui stesso creata. simone teich alasia era arrivato in italia negli anni trenta dall’ungheria per studiare Medicina a torino; ma, pochi giorni dopo l’inizio della guerra e della sua laurea, identificato come ebreo, fu catturato e internato a Montechiarugiolo prima e a Civitella del tronto poi. riuscito con uno stratagemma a non rientrare dopo una licenza per sostenere l’esame di stato, riprese il proprio lavoro in ospedale, in posizione defilata, con la complicità della Questura di torino, in particolare del funzionario dott. Numis, “che a quell’epoca non poteva ancora esternare la sua avversione per il fascismo, come avvenne poi nel periodo dell’occupazione tedesca”. all’inizio di settembre del 1942 una brutta notizia: i genitori e la sorella

171

Recensioni - Judaica

simone teich alasia, Un medico della Resistenza. I luoghi, gli incontri, le scelte, torino, edizioni seb 27, 2010, pagg.116, € 15,00.


Recensioni - Judaica

Quaderno di storia contemporanea/49

erano stati deportati da Budapest e internati in un campo dove affrontarono indicibili sofferenze, prima di riuscire a scappare dopo un anno (ma nella fuga la madre perse la vita e, mentre la sorella riuscì ad emigrare in Palestina, il padre, nelle ultime settimane di guerra fu di nuovo catturato dai nazisti ungheresi e fucilato). il 4 maggio 1944, scoperto dai tedeschi, forse in seguito a una delazione, nonostante il falso nome tullio salvi e i documenti falsi, teich lasciò torino e si unì ai partigiani della Valle di Lanzo. Qui comincia la sua terza vita (“un periodo estremamente breve se paragonato alla vita di un uomo, eppure i ricordi di quel periodo occupano tuttora la mia memoria con una prepotenza assoluta, che spesso mi fa rivivere non solo avvenimenti ma anche emozioni, alcune decisamente drammatiche, altre piene di gioia”): si fa partigiano, ma senza mai impugnare le armi. occupando i locali di una scuola elementare abbandonata, organizzò con l’aiuto della popolazione, un efficientissimo ospedale militare. Commenta, nella sua bella Prefazione giovanni de Luna: “onestamente si trattò di qualcosa di prodigioso. L’ospedale sorse dal nulla. Come in un racconto di Manuel scorza, in una notte, arrivarono materassi, cuscini, lenzuola, letti. e poi medicine, ferri chirurgici… La popolazione della valle si era mobilitata, in una notte che ha qualcosa di fiabesco”. impegnato a tempo pieno nel “suo” ospedale, dove tutto si svolgeva in modo estremamente efficiente, con grande attenzione anche alla pulizia e all’igiene (“che, a dire il vero, oggi in molte strutture anche molto importanti non è così perfetta come dovrebbe essere”), teich alasia attraversò tutte le difficili fasi della guerra partigiana in valle “pensando a un futuro libero, dove ognuno di noi avrebbe potuto esprimere le proprie idee e i propri pensieri. ero sicuro che questo nuovo mondo avrebbe reso possibile la pacifica convivenza di idee nettamente contrapposte”. dopo essere riuscito a sottrarsi ancora una volta – con tempestività e astuzia – alla cattura dei tedeschi che avevano addirittura messo una taglia su di lui, trascorsi i giorni esaltanti della liberazione e della vittoria, riprese la sua vita professionale, specializzandosi in chirurgia plastica e ottenendo grandi successi e riconoscimenti internazionali. in questo suo raccontare, con linguaggio semplice e colloquiale, la propria vita di resistente c’è sem-

172


Recensioni - Judaica

plicità, candore, spontaneità: non si presenta mai come vittima, né rivela rancori o rivendicazioni; anzi, lo sguardo con cui rivede il passato è uno sguardo limpido e sereno, che si sofferma volentieri sull’umanità e la disponibilità delle persone incontrate. La stessa motivazione del ritornare ai suoi ricordi del periodo di guerra viene da lui ricondotta al desiderio di esprimere la propria riconoscenza rispetto al profondo senso di umanità che varie persone incontrate in quelle tristi circostanze hanno saputo manifestargli (“…tra gli innumerevoli ricordi di quel periodo, uno è decisamente nitido e fortissimo: l’incredibile senso di solidarietà umana che, come un’invisibile trama di sottofondo, univa la vita di chi si trovava a combattere per uno stesso, intensissimo ideale”), mentre manca in lui ogni spirito di vendetta (“eppure avrei avuto tante buone ragioni per odiare i nazisti. avevano ucciso ambedue i miei genitori, e anche nel modo più crudele possibile”). e significativo al proposito è anche l’episodio in cui si adoperò per far liberare un tedesco che i suoi compagni avevano fatto prigioniero: “odiavo i tedeschi, i miei genitori erano stati uccisi da loro e io avevo sempre pensato che avrei ucciso il primo tedesco che mi fosse capitato tra le mani. eppure il sapere che quel ragazzo poteva essere libero con il mio aiuto mi diede un profondo senso di pace”.

antonio Brusa e alessandra Ferraresi (a cura di), Clio si diverte. Il gioco come apprendimento, Molfetta (Bari), edizioni la meridiana, 2010; pagg. 147, € 16,50. annalisa Caputo, Philosophia ludens. 240 attività per giocare in classe con la storia della filosofia, Molfetta (Bari), edizioni la meridiana, 2011; pagg. 191, € 24,00. i due testi fanno entrambi parte della collana editoriale “p come gioco” e propongono, appunto, la dimensione ludica nella didattica, rispettivamente, della storia – ma non solo – e della filosofia.

173

Recensioni - Judaica

graziella gaballo


Recensioni - Judaica

Quaderno di storia contemporanea/49

Curatore del primo volume, insieme ad alessandra Ferraresi, è antonio Brusa, maestro di tutti noi della sezione didattica dell’israL, e che ci ha da decenni ormai insegnato e abituato a usare tra le esperienze di apprendimento anche quella ludica: e se la memoria va ai vari materiali proposti nel Laboratorio su cui tanti nostri alunni hanno lavorato, divertendosi e imparando, il cuore va a quel seminario indimenticabile del 1996 a trento, dal titolo – appunto – Historia ludens, in cui ci siamo letteralmente messi tutti in gioco, non solo nelle ore e nelle sedi dell’incontro, ma anche nelle cene e nei lunghi dopocena: indimenticabile davvero una “sfida” all’ultimo sangue, a tavola, tra antonio Brusa e arnaldo Cecchini, e le nostre risate fino alle lacrime. e non casualmente, nel secondo volume, quello dedicato alla didattica della filosofia e curato da annalisa Caputo, l’introduzione è, ancora una volta, di antonio Brusa. anche perché Philosophia ludens si intitola così proprio in riferimento a Historia ludens – l’associazione professionale nata nel 1996 sotto la guida di antonio Brusa i cui soci, intorno alla cattedra di Didattica della storia dell’università barese, portano avanti attività di formazione e ricerca nel campo della didattica ludica per la storia – alla cui esperienza titolo del libro e del progetto sono un richiamo esplicito. entrambi i testi uniscono competenze teoriche e pratiche e vanno usati non in alternativa, ma insieme agli strumenti tradizionali per creare percorsi curricolari; in essi troviamo stimoli imprevedibili e proposte praticabili, a dimostrazione di come gioco e apprendimento non si escludano, ma possano anzi vicendevolmente arricchirsi e vivificarsi. e se ancora oggi spesso nella scuola il gioco è visto come una perdita di tempo, un’esperienza qualitativamente diversa dall’apprendimento e relegata, perciò, nelle migliori delle ipotesi, a attività secondaria e marginale, va invece ribadito che esso lancia una sfida alla mente del ragazzo, ne aiuta lo sviluppo del pensiero logico e divergente, gli permette di esercitare, padroneggiare e consolidare una serie di abilità e offre anche preziose opportunità al docente per rilevare le strategie e i percorsi mentali degli alunni in situazioni nuove. dunque ben vengano volumi che, come questi, offrono ai docenti indicazioni in tal senso. Nel primo, che raccoglie gli interventi di un convegno scientifico svoltosi

174


a Pavia a chiusura di una settimana di giochi nelle scuole – Pavia gioca la storia – l’attenzione non si incentra solo sull’insegnamento della storia – come il riferimento del titolo a Clio potrebbe invece suggerire – ma si allarga ad abbracciare anche altre discipline quali la geografia, la matematica e la fisica, le scienze sociali, l’archeologia e l’educazione alla cittadinanza (il convegno vedeva infatti la partecipazione di pedagogisti, storici, geografi, matematici, urbanisti e scienziati) mettendo in luce il valore di metodo interdisciplinare della didattica ludica che può, appunto, essere declinata per le più diverse discipline. Nel secondo volume, ogni gioco ha una sua struttura, che viene presentata in collegamento con un determinato filosofo, ma che può essere adoperata per un altro qualsiasi autore della storia della filosofia: la creatività del docente consentirà, dunque, un uso e un riadattamento variegato di tutte le schede che non necessitano dell’intervento di esperti esterni che, entrando nella classe, debbano spiegare le dinamiche del gioco e renderlo attuabile. tutti i percorsi proposti sono frutto del lavoro di un gruppo di dottori di ricerca, che però sono stati (o sono) di fatto tutti anche docenti di filosofia nelle scuole superiori, il che garantisce la necessaria duplice competenza teorica e pratica che la didattica richiede. La maggior parte dei giochi sono di tipo creativo (non a soluzione univoca, ma in grado di stimolare il contributo personale degli studenti) e molti di essi, mutatis mutandis, possono essere adoperati anche come verifiche strutturate. Quasi tutte le dinamiche proposte inoltre si prestano a essere utilizzate in maniera differente: non solo come gare tra squadre, ma anche come momenti di confronto/discussione collettivo (e viene sottolineato come il gioco organizzato per ‘gruppi’ sia anche un modo per inserire nell’insegnamento le feconde intuizioni del cooperative learning basandosi su una pratica didattica che mette al proprio centro le relazioni e le interazioni) e come ausili per la presentazione/spiegazione dell’autore dal parte dell’insegnante. graziella gaballo

175

Recensioni - Judaica

Recensioni - Judaica


Quaderno di storia contemporanea/49

Judaica a cura di Aldo Perosino

L. tagliacozzo, s. Fatucci, Parole chiare. Luoghi della memoria in Italia (19382010), fotografie di L. Baldelli, Firenze, giuntina, 2010; pagg. 156, € 16,00. il libro è un lungo viaggio attraverso il nostro paese: dove il nazifascismo ha mostrato il suo volto. itinerario compiuto da sette scrittori: elena stancarelli, ettore Mo, Marco rossi doria, emanuele trevi, gianfranco goretti, eraldo affinati, Fulvio abate. altrettanti i luoghi simbolo: Ferramonti, le isole tremiti, agnone, Via tasso, le Fosse ardeatine, Fossoli, Meina, la risiera di san sabba. un libro semplice e chiaro: poche eloquenti parole con una ricca ed efficace documentazione fotografica. un’opera che rievoca quanto successo nel passato e si interroga sull’italia di oggi. Come serbare ricordo di quanto accaduto? Cosa resta della memoria degli italiani di quegli anni terribili? C’è ancora molto da fare. perché il 27 gennaio 1945 si chiudeva una vicenda cominciata molti anni prima. in italia iniziò tutto nell’autunno del 1938 con le leggi razziali: ma quanti lo ricordano?

Recensioni - Judaica

L. allegra, Gli aguzzini di Mimo. Storie di ordinario collaborazionismo (1943-45), torino, Zamorani editore, 2010; pagg. 340, € 36,00. attraverso la storia personale di Francesco Pinardi, chiamato Mimo dai famigliari e dai resistenti di torino, Luciano allegra, docente di storia Moderna all’università di torino, descrive il periodo dal 1943 al 1945 della guerra civile in Piemonte. aggiunge alle vicende personali di Mimo le storie di tante persone, dalle due parti della lotta sanguinosa, impegnandosi a esaminare e spiegare le ragioni dei molti collaborazionisti dell’epoca. i quali, nella quasi totalità dei casi, agirono per ragioni personali, di vendetta, per guadagno economico, viltà, disonestà e squallore, con un retroterra di

176


Recensioni - Judaica

delinquenza. Pinardi, nato a torino nel 1923, laureatosi alla Normale di Pisa, aderì – nelle formazioni di giustizia e Libertà – alla lotta di liberazione e trovato in possesso di alcuni volantini, venne torturato e fucilato perché non volle tradire i compagni di lotta. Lo storico ci presenta un quadro terribile, che oggi – sia pure in altro modo – si ripropone nelle lotte e prevaricazioni della nostra civiltà di massa, danneggiata da egoismi e arrivismi impensabili una generazione fa. C. antonini, Piacenza 1938-1945 Le leggi razziali, Piacenza, Quaderni di studi piacentini, 2010; pagg. 271, € 15,00.

t. geve, Qui non ci sono bambini. Un’infanzia ad Auschwitz, torino, einaudi, 2009; pagg. 180, € 24,00. “sono nato nell’ottobre del 1929 a stettino, sulle rive del Baltico. avevo poco più di tre anni quando hitler salì al potere, nel gennaio del 1933. L’unico universo di cui avessi memoria fu quello della repressione e della persecuzione”. un libro davvero fuori dal comune, un libro doloroso, difficile, straordinario nella sua unicità. Molti disegnatori hanno espresso l’anima dei

177

Recensioni - Judaica

un libro sulla persecuzione razziale nel piacentino e sulle conseguenze esistenziali, sociali ed economiche per coloro che le subirono; sullo sfondo ideologico che ne accompagnò l’applicazione e sull’impatto dell’ideologia razzista sul resto della popolazione. il libro è corredato da un ricco apparato iconografico e documentale realizzato sulla base delle pubblicazioni dell’epoca, degli archivi di enti pubblici e degli archivi delle famiglie coinvolte dalle leggi razziali. a una prima parte essenzialmente teorica (preparazione culturale, la propaganda fascista sul razzismo, le leggi razziali) segue la storia drammatica dell’applicazione pratica delle leggi antiebraiche e delle persone che ne vennero coinvolte. in appendice, un saggio di g. Zucchini sugli ebrei piacentini deportati, e uno di B. spazzapan sulla legge antiebraica nelle scuole. Notevole e accurata la documentazione fotografica.


Quaderno di storia contemporanea/49

campi di sterminio attraverso le loro opere, ma la testimonianza diretta di un ragazzino che lì dentro ha vissuto per due anni è qualcosa che va molto al di là di ogni opera d’arte, persino di ogni parola. i suoi disegni sono infantili, la sua scrittura adulta che li descrive è semplice, chiara, non letteraria. il valore di queste pagine sta nella fotografia della tragedia fatta da un tredicenne con i suoi schizzi. e non ci sono parole per presentarle, perché tutto ciò che potremmo scrivere risulterebbe inutile,superfluo, ridondante.

Recensioni - Judaica

h. Janeczek, Lezioni di tenebra, Milano, Mondadori, 2001; pagg. 204, € 15,00. “due cose non si possono guardare in faccia: il sole e la morte” ha scritto La rochefoucauld nelle sue Massime. La visione diretta della grande luce e del grande buio sono per noi intollerabili. si può essere ciechi per troppa luce o per troppo buio. Per questo occorre abituarsi gradualmente all’una come all’altro. ed è proprio così, per gradi, che queste Lezioni di tenebra ci portano al grande buio, al cuore nero della storia: auschwitz. in un racconto nutrito di biografia, che diventa anche biografia di una generazione, l’autrice esplora, pagina dopo pagina, sempre più in profondità, il rapporto con sua madre, l’unica di due famiglie numerose a essere sopravvissuta alla shoah, insieme al padre: ebrei polacchi, vissuti in germania, dove la figlia helena è cresciuta sentendosi totalmente estranea al mondo tedesco e alla sua cultura, pur usandone la lingua. Non soltanto una memoria sulla shoah, ma un resoconto appassionato e allo stesso tempo lucido che punta a misurare l’intensità del contraccolpo nella generazione successiva. e il contraccolpo sta nell’impossibilità di avere radici, nella confusione linguistica, nel bisogno disperato di appartenere e nella condanna crudele di sentirsi estranei, comunque e dovunque.

P. Kriwaczek, Yiddish. Ascesa e caduta di una nazione, torino, Lindau, 2011; pagg. 528, € 34,00. “L’opera di Paul Kriwaczek rappresenta un importante punto di svolta e

178


in buona misura una pietra miliare negli studi sulla yiddishkeit, ovvero su quella umanità straordinaria che si espresse nella lingua yiddish e sulla spiritualità, la cultura e i modi di vita che la animarono”. Così Moni ovadia nella prefazione al libro. Quando si parla degli ebrei purtroppo la mente corre subito ai tragici eventi che hanno scosso l’umanità intera con la seconda guerra mondiale e alla shoah. Per quanto questi eventi debbano necessariamente essere ricordati, secondo lo scrittore Paul Kriwaczek è importante cercare di ricostruire la storia del popolo ebraico per comprenderne a fondo la lingua, la cultura, la letteratura e le abitudini. Non si tratta solo di comprendere una cultura lontana, ma anche di capire quali influenze abbia avuto sulla nostra cultura occidentale. ed ecco allora che Paul Kriwaczek ci parla di una nazione culturalmente attiva, una nazione di letterati, poeti e musicisti, ma anche di scienziati e studiosi. Ci parla dei soprusi e delle vessazioni, delle figure più importanti della sua storia e del modo in cui con il tempo questa comunità è riuscita ad adeguarsi alla modernità. gli ebrei sono vissuti nell’europa centrale e orientale per almeno mille anni. in questo lasso di tempo hanno creato una civiltà – con una lingua, una letteratura, leggi e istituzioni proprie – che ha offerto un grande contributo alla storia dell’occidente. oggi, però, questa presenza millenaria è ricordata dai più solo per i tragici eventi della seconda guerra mondiale, in quello che fu di fatto l’ultimo scorcio di vita del popolo yiddish. da qui nasce il valore del lavoro di ricostruzione e divulgazione compiuto da Paul Kriwaczek. seguendo il suo racconto riscopriamo l’esistenza di una nazione yiddish un tempo prospera e fortunata, anche se periodicamente vittima di attacchi e vessazioni, una nazione che per molti secoli fu vivaio di diplomatici, medici e ingegneri, oltre che insegnanti di musica, poeti e filosofi, presenti e attivi presso le corti reali e i governi d’europa. il fruttuoso intreccio fra la cultura ebraica e la storia europea è analizzato in profondità, ma soprattutto vengono esaminate le vicende interne del mondo yiddish: l’organizzazione delle comunità nell’europa centro-orientale, le figure dell’ebraismo nel Medioevo e nel rinascimento, il difficile, ma proficuo rapporto con la modernità, lo spettro dell’assimilazione legata a una progressiva laicizzazione della società, e infine la diaspora in inghilterra e negli stati uniti all’inizio del XX secolo.

179

Recensioni - Judaica

Recensioni - Judaica


Quaderno di storia contemporanea/49

Recensioni - Judaica

e. Loewenthal, Mani in alto, Bitte. Memorie di Ico, partigiano, ebreo, Civitella di Val Chiana (arezzo), ed. Zona, 2010; pagg. 206, € 17,00. “La storia che racconto è la storia della mia vita, o meglio di alcuni anni della mia vita e di alcuni avvenimenti di cui sono stato testimone. anni duri, di silenzioso dolore da un lato e di roboante arroganza dall’altro. anni che pensavo fossero passati definitivamente, ma che a volte rintraccio nelle parole troppo urlate dei giornali, nella rabbia infinita di chi continua a subire ingiustizie, nell’iniquità di uno stato che invece di valorizzare le sue risorse le distrugge, che invece di proteggere i suoi cittadini e i loro diritti li calpesta, che macina errori enormi, che distrattamente dimentica i suoi morti, che sventola bandiere di un solo qualunque colore..”. Bisogna essere grati ad enrico Loewenthal per questo libro. Non perché manchino le testimonianze di prima mano della guerra di Liberazione, ma perché da questo memoriale della sua esperienza partigiana – intriso di senso di giustizia e passione civile – ci giunge un monito preciso, un richiamo al presente che non possiamo ignorare. Ciò che ha spinto quest’uomo, superata la soglia degli ottant’anni, a restituirci il ricordo del suo dolore, del suo impegno e delle sue battaglie, è un’urgenza attualissima e preziosa. trasmettere a chi non ha vissuto gli anni terribili della dittatura, della guerra e dell’occupazione tedesca il senso e il valore dell’essere italiani, in un momento della nostra storia in cui questo senso e valore paiono smarriti, offuscati, erosi dalla dimenticanza, dalla malafede, da un revisionismo interessato e pernicioso che vorrebbe sminuire o cancellare il sacrificio e la sofferenza di tutti quegli italiani che, negli anni più bui del nostro Novecento, consacrarono la propria vita all’ideale di una patria libera e unita, di un’italia democratica e antifascista. r. Pettinaroli, Campo di betulle Shoah: l’ultima testimonianza di Liana Millu, Firenze, giuntina, 2007; pagg. 91, € 12,00. L’ultima testimonianza lasciata da Liana Millu, ebrea genovese di origine pisana, giornalista, scrittrice e apprezzata conferenziera, intervistata dall’au-

180


Recensioni - Judaica

tore poco prima della sua scomparsa, avvenuta il 6 febbraio 2005. La voce di una deportata sopravvissuta all’orrore di auschwitz-Birkenau riecheggia in una lunga conversazione che è anche un monito a combattere il brodo di coltura di ogni sopraffazione: la nostra indifferenza. L’intervista è preceduta da un breve racconto che trae spunto da un drammatico episodio narrato da Liana Millu nel suo libro Il fumo di Birkenau (giuntina): la gravidanza che una sua compagna di baracca riuscì a tenere nascosta ai nazisti fino al parto, conclusosi tragicamente con la morte di madre e neonata.

“signor questore di Frosinone non è stato possibile conoscere il luogo ove gli ebrei, qui internati, furono deportati”.Così scriveva il sindaco di san donato Val di Comino nel 1945, a poco meno di un anno dalla conclusione della vicenda dei ventotto ebrei stranieri che, a partire dall’agosto del 1940, erano stati internati dal regime fascista nel paese in provincia di Frosinone, al confine con l’abruzzo. sedici i deportati, di cui dodici deceduti nei lager nazisti, salvi gli altri grazie anche, in vari casi, all’aiuto ricevuto dagli abitanti del paese. il lavoro di anna Pizzuti – che da anni, mossa da intensa passione civile, insegue nelle carte le tracce della vicenda, rimasta a lungo sommersa, degli internati ebrei stranieri in italia – ricompone le storie dei singoli e di intere famiglie che dal 1940 al 1944 entrarono, sia pure forzatamente, nella vita della piccola comunità di san donato. Paradossalmente, la testimonianza più concreta di queste vite senza diritti, appese a un foglio, a un timbro, a una firma di un funzionario senza volto, ci viene restituita proprio dai documenti conservati negli archivi della burocrazia di stato. su questa documentazione si concentra il libro, e alla fine, attraverso un paziente lavoro di ricostruzione, la burocrazia stessa, da meccanismo stritolante, si trasforma in involontario e incancellabile strumento di memoria di ciò che è stato, nonostante le distruzioni o gli occultamenti. anzi diventa la dimostrazione, tragicamente innegabile, che “questo è stato”.

181

Recensioni - Judaica

a. Pizzuti, Vite di carta. Storie di ebrei stranieri internati dal fascismo, roma, donzelli, 2010; pagg. 230, € 24,00.


Quaderno di storia contemporanea/49

g. severino, Dalla vetta d’Italia all’abisso di Auschwitz. Storia di Elia Levi. Un finanziere vittima della Shoah. 1912-1944, Firenze, giuntina, 2011; pagg. 117, € 10,00. il libro è la biografìa di elia Levi, un giovane ebreo piemontese che aveva posto nella guardia di Finanza le sue aspettative di uomo libero e di soldato. elia, nato a saluzzo (Cuneo) nel 1912, era figlio primogenito di Marco, un infaticabile tranviere di idee socialiste, e di gemma Colombo. abile incisore e tipografo, aveva appena terminato la 4ª classe ginnasiale quando decise di cambiar vita per intraprendere la carriera militare nella guardia di Finanza. Fu così che nel 1931, dopo aver superato le prove d’arruolamento, fu ammesso a frequentare il corso d’istruzione a roma. in Finanza, elia prestò servizio per circa otto anni, spesso anche in luoghi impervi, come la bellissima Vetta d’italia. il 15 febbraio 1939, posto in congedo assoluto a causa delle leggi razziali fasciste, il giovane fece ritorno a saluzzo, dove riprese il suo precedente lavoro di tipografo. Condivise così, unitamente alla sua famiglia, il tragico destino ai quali furono condannati tanti altri ebrei italiani. Catturati a saluzzo nel gennaio del 1944, elia, sua madre gemma e le sorelle eleonora e regina furono dapprima internati a Borgo san dalmazzo e in seguito deportati ad auschwitz, dove giunse qualche mese dopo anche il padre Marco. Passeranno tutti per il camino, lasciando a noi solo il ricordo della loro vita e l’anelito per la libertà e la giustizia.

Recensioni - Judaica

g. e. Valori, Ben Gurion e la nascita dello stato d’Israele, Milano, ediz. Carte scoperte, 2010; pagg. 178, € 18.50. il padre della patria, fondatore d’israele, ma anche il leader pragmatico la cui eredità, tuttora parte integrante del Paese, avrebbe molto da insegnare anche alla classe dirigente israeliana di oggi. È questo il david Ben gurion da giancarlo elia Valori, manager e studioso di relazioni internazionali che fra i leader dello stato ebraico è di casa da ormai diversi decenni. un lavoro che si fregia dell’introduzione di shimon Peres, presidente israeliano in carica. di Ben gurion il libro pone in evidenza la complessità, ma

182


anche “la visione e la lungimiranza”. Caratteristiche degne di “uno dei grandi protagonisti del ’900”, sottolinea Valori, elencando fra i pilastri del suo lascito politico la capacità di sintesi fra la necessità di un israele “forte“ (anche militarmente) e la tensione costante verso una prospettiva di “pace con i vicini“; l’interpretazione originale del suo socialismo in salsa sionista; l’indicazione “ancora valida” di un modello di stato attento a coniugare laicità e identità religiosa. Quanto alla politica estera – terreno sul quale Valori ha avuto in anni più recenti un ruolo non piccolo nell’avvio di una stagione feconda di rapporti bilaterali fra israele e Cina, inaugurata nel 1991 assieme a shimon Peres con la fondazione di un centro Ben gurion presso l’università di Pechino – il volume mette in luce fra l’altro due delle scelte-chiave segnate personalmente dall’intuizione del padre della patria: l’alleanza strategica con gli stati uniti – sottoposta proprio in questi ultimi mesi a tensioni inedite dal discusso governo di Benyamin Netanyahu – e lo sforzo d’integrazione nel Mediterraneo. un obiettivo, quest’ultimo, che Valori richiama come un’esigenza sempre attuale, a garanzia dell’esistenza stessa di israele e in contrapposizione con quella che definisce “la teoria, sbagliata e infelice, dello scontro di civiltà”. teoria evidentemente estranea a Ben gurion, come lascia intendere il delfino d’un tempo, Yitzhak Navon, descrivendone la figura – durante la presentazione del libro nella residenza dell’ambasciatore d’italia, Luigi Mattiolo – come quella di “un leader forte, ma sempre consapevole dei limiti della nostra forza”. un leader capace anche di posizioni controcorrente, secondo l’ex ambasciatore in italia avi Pazner, evidenziando fra i moniti dimenticati di Ben gurion quello lanciato nel 1967 dal buen retiro del Negev, dopo la guerra dei sei giorni, contro la colonizzazione e per un rapido dietrofront dai territori occupati. suggerimento, ha riconosciuto Pazner, che “se fosse stato ascoltato ci avrebbe forse già portato la pace”.

183

Recensioni - Judaica

Recensioni - Judaica











Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.