FARCORO 2-2021

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n. 2 / 2021

Analisi

Johann Sebastian Bach

Storia

Canto Gregoriano al femminile

Musica dell’anima La Cappella Musicale del Duomo di Modena


FarCoro

n. 2 / 2021

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CN/BO

Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 01 DI SANDRO BERGAMO

FARCORO Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori Maggio-Agosto 2021 Edizione online: www.farcoro.it Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - CN/BO. DIRETTORE RESPONSABILE Sandro Bergamo direttore@farcoro.it REDAZIONE Francesco Barbuto francescobarbuto@alice.it Luca Buzzavi lucabuzzavi@gmail.com Michele Napolitano napolitano.mic@gmail.com Silvia Perucchetti silviaperucchetti@yahoo.it Silvia Vacchi cod0408@gmail.com

Stare a galla durante la pandemia? Si può! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 02 DI ANDREA ANGELINI

Primo Piano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 03 50 Anni di AERCO DI PUCCIO PUCCI

I 50 anni dell’AERCO DI SILVIA VACCHI

Polifonia a quattro voci

INTERVISTE A CURA DI PUCCIO PUCCI

Musica nell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 La Cappella Musicale del Duomo di Modena DI LUCA BUZZAVI

Storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 Canto Gregoriano al feminile DI STEFANIA RONCROFFI

Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 Johann Sebastian Bach DI FABRIZIO DEFRAIA

GRAFICA E IMPAGINAZIONE Ufficio Comunicazione AERCO Valentina Micciancio webmaster@aerco.emr.it STAMPA Tipolitografia Tipocolor, Parma SEDE LEGALE c/o Aerco - Via Barberia 9 40123 Bologna Contatti redazione: direttore@farcoro.it +39 0510067024 I contenuti della Rivista sono © Copyright 2009 AERCO-FARCORO, Via Barberia 9, Bologna - Italia. Salvo diversamente specificato (vedi in calce ad ogni articolo o altro contenuto della Rivista), tutto il materiale pubblicato su questa Rivista è protetto da copyright, dalle leggi sulla proprietà intellettuale e dalle disposizioni dei trattati internazionali; nessuna sua parte integrale o parziale può essere riprodotta sotto alcuna forma o con alcun mezzo senza autorizzazione scritta. Per informazioni su come ottenere l’autorizzazione alla riproduzione del materiale pubblicato, inviare una e-mail all’indirizzo: farcoro@aerco.it.

IN COPERTINA PALMA CHORALIS Research Group & Early Music Ensemble

Il personaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 Il metodo Goitre nell’attività corale DI SILVIA VACCHI

Didattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 Quando si cerca il futuro nell’antico DI MARCELLO MAZZETTI E LIVIO TICLI

Libri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Alla riscoperta di Camillo Cortellini DI LUIGI DI TULLIO

In Memoriam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 In ricordo di Gustavo Marchesi DI DANIELA IOTTI

Progetti Corali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 Le radici musicali del nostro paese: tesori ritrovati DI MARIA CRISTINA MONTANARI

Repertorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Ninna nanna ferrarese

ELABORAZIONE DI GIORGIO VACCHI

Cicirlanda

ORAZIO VECCHI (1550-1605)

Ie veu le Cerf du bois salir ORAZIO VECCHI (1550-1605)


Editoriale

SANDRO BERGAMO Direttore Responsabile

Alberico cantava nel primo coro in cui entrai quindicenne e di cui divenni, anni dopo, il direttore. Basso e grasso, barba sempre mal rasata e ispida: ma sotto l’aspetto truce, che gli aveva meritato il soprannome di Pietro Gambadilegno, celava un carattere timido e sensibile. Un giorno mi raccontò la sua storia, di lui e Teresina, che divenne sua moglie per quasi mezzo secolo. Una domenica mattina pedalava, assieme a un amico, lungo i Prà dei Gai, la vasta golena del Livenza, appena questo entra nel trevigiano: sentirono cantare in lontananza e si diressero da quella parte. Erano Teresina e le sue sorelle che rientravano, cantando, da messa. Le seguirono, videro dove stavano e tornarono la sera. Per diverso tempo Alberico andò a far filò, a trascorrere, cioè, le serate invernali nella stalla, l’unico luogo di casa caldo, chiacchierando, raccontando storie e, soprattutto, cantando, mentre gli uomini riparavano attrezzi e le donne cucivano, con la famiglia di Teresina. Soprattutto cantando. In quella casa il canto era tenuto in alta considerazione: cantare era obbligatorio e mai qualcuno sarebbe stato accettato nel filò se non si fosse unito nel canto. Ma c’era un problema: Alberico non sapeva cantare perché in casa sua era assolutamente proibito. Non lo voleva il padre, che immaginiamo truce non solo nell’aspetto, ma soprattutto nell’anima. Così Alberico, per amore di Teresina, imparò a cantare: e trovò, in un colpo solo, l’emancipazione, l’amore per lei e per il canto. Per mezzo secolo non abbandonò né l’uno né l’altro dei suoi amori finché, ancora attivo come corista, Alberico e Teresina si spensero, a pochi giorni di distanza, senza sapere l’uno della malattia dell’altra. L’ho sempre trovata una grande storia d’amore, di musica e di vita. Non solo Teresina, ma anche il canto furono una conquista. Come i cavalieri antichi, Alberico superò le prove per ottenere l’uno e l’altra. Ora che un po’ alla volta riprendono tutte le attività, ora che lentamente ricominciano anche le nostre prove e i nostri concerti, abbiamo imparato anche noi che cantare non è cosa ovvia, scontata, ma che poggia su tanti presupposti da conquistare uno per uno, che è misura della nostra libertà fondata sulla salute degli individui e della società. Un anno di silenzio ci fa amare ancora di più il canto, sì che potremmo aggiungere un verso, alla poesia di Emily Dickinson: L’acqua è insegnata dalla sete. La terra, dagli oceani traversati. La gioia, dal dolore. La pace, dai racconti di battaglia. L’amore, da un’impronta di memoria. Gli uccelli, dalla neve. IL CANTO, DAL SILENZIO.

Coro

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Stare a galla durante la pandemia? Si può! La musica è scelta con cura: Les fleurs et les arbres di Camille Saint-Saëns parla delle consolazioni della natura in tempi difficili. È un’opera nuova nel repertorio del coro e, dal suo piccolo box sullo schermo del computer, l’amica direttrice Cecilia Espinosa spiega le potenziali insidie vocali. “Non aggrappatevi per troppo tempo alle note lunghe, soprani”, avverte. Poi provano il brano, con lei che suona il piano e canta, e più di cinquanta coristi che si uniscono a lei dai loro computer, con i microfoni spenti e tutti che cantano da soli. Io sono l’unico quadratino dello schermo che assisto a questa prova, grazie ad un’amicizia che ci lega da anni. Qual è dunque il segreto per gestire un coro durante questa pestilenza? Cecilia dovrebbe saperlo: ne dirige diversi, tra cui l’ensemble Tonos Humanos di Medellin (Colombia) oltre al Coro da Camera Arcadia, della stessa città sudamericana. Dice che la risposta è investire molta energia. “C’è ovviamente tanto che non si può fare. Non possiamo incontrarci e non possiamo cantare insieme o esibirci in pubblico. Ci manca l’intimità e l’unione che sentiamo quando cantiamo in gruppo, il che è indispensabile per un coro. Ma ci sono anche alcune cose che si possono fare, e noi le facciamo”. Cecilia usa una combinazione di Zoom, WhatsApp e YouTube. Il coro tiene una prova digitale un paio di volte a settimana, e lei è riuscita a trovare qualcosa di fattibile, sin dall’inizio della pandemia. “Cantare insieme su Zoom non funziona, perché è impossibile tenere il tempo, così io suono il piano e i coristi cantano da soli a casa. Ripassiamo il pezzo insieme e cerco di renderlo divertente. La prova inizia con esercizi vocali, ma facciamo anche dei giochi. “Ma tutto si è fermato da quando sono state introdotte le nuove misure di prevenzione Covid. Avevamo in programma di eseguire il Requiem di Mozart e altri pezzi nelle prossime settimane, ma non abbiamo potuto fare nemmeno quello, il che è stato un vero e proprio fallimento per il coro. Devi guadagnarti il pane in qualche modo: non potevi farlo con un pubblico di trenta persone prima delle nuove misure, e certamente non puoi farlo ora”.

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L’aspetto sociale del canto è molto importante per i membri del Tonos Humanos. “Ci vogliamo bene”, dice un membro dopo la prova digitale. “Vedere la gente ti fa sentire bene”. I legami tra loro si sono rafforzati durante la pandemia: i diversi gruppi vocali avevano già i loro gruppi di chat legati al coro, e ora ce n’è uno a parte semplicemente per condividere gioie e dolori della vita. Cecilia Espinosa ha anche incoraggiato i cantanti a parlare al telefono, e uno dice: “Ora sono in contatto con persone con cui normalmente non avrei mai parlato”. I membri del coro esprimono parole di lode per la loro direttrice, descrivendola come un instancabile fascio di energia che mette il cuore e l’anima nelle prove digitali. La dice lunga il fatto che ci siano più di trenta cantori, e che nessuno abbia gettato la spugna, anche senza concerti in programma. Uno ricorda come una rappresentazione della Passione di San Matteo di Bach è stata cancellata la scorsa primavera: “È stato un vero colpo per tutti, ma proprio nel momento in cui il concerto doveva iniziare, lei ci ha inviato una sua registrazione dove suonava al piano una suite francese di Bach. Questo è tipico di Cecilia”. Non si sa come e quando il coro ricomincerà ad esibirsi, anche se tutti sperano che sia durante i prossimi mesi estivi. Durante le prove, Cecilia annuncia che il consiglio direttivo del coro ha programmato un concerto contemplativo che include la Missa Brevis di Mozart, Unicornis Captivatur del compositore norvegese Ola Gjeilo, e alcuni spirituals. Cominceranno a farlo nelle prossime settimane. “In questo modo, potremo fare un concerto il prima possibile dopo aver ottenuto il via libera”, dice. Se la marea di pollici alzati del coro è qualcosa da cui partire, le aspettative saranno assicurate. Le prove terminano sempre con una sessione di “canta la tua canzone”. Il primo esecutore, Pablo, ha scelto una poesia di Mikhail Lermontov messa in musica, che canta senza accompagnamento e in russo, con tanto di gesti drammatici. Quando ha finito, tutte le persone nei piccoli palchi virtuali applaudono con entusiasmo, accendono i loro microfoni uno ad uno e lo riempiono di complimenti. Cecilia si unisce al plauso e ringrazia tutti per aver partecipato. “Ora andate a concedervi un bicchiere di vino o una birra”, li esorta.

ANDREA ANGELINI Presidente AERCO


Primo Piano

Cantare insieme: una passione! 50 anni di AERCO DI PUCCIO PUCCI

Prosegue la storia dell’Aerco raccontata da Puccio Pucci. Entrato, giovane studente universitario, nel Coro Stelutis (era il 1961) ne è stato Segretario e poi Presidente. Segretario dell’AERCIPAERCO dal 1971 al 2015, ha vissuto in questo ruolo gran parte del cinquantennio che quest’anno celebriamo. Ha ricoperto anche l’incarico di delegato nell’Assemblea Nazionale di Feniarco e dal 2002 al 2015 è stato redattore della rivista di Feniarco, Choraliter.

2. Il CAMMINO DELL’AERCO Dall’osservatorio privilegiato in cui ero stato designato sin dal 1971, l’Ufficio di Segreteria, ho potuto assistere e anche partecipare attivamente a gran parte del processo evolutivo dell’AERCIP-AERCO. Si tratta di un vissuto di cui ho il “dovere” di ricordare oggi le fasi del suo sviluppo tecnico, amministrativo ed organizzativo, sperando di non dimenticare nulla di importante. Ho ancora nel cuore ben presenti i volti di tutti coloro che mi hanno accompagnato e sostenuto nell’incarico. Tutto ciò non deve essere dimenticato da nessuno dei tanti amici che si onorano di essere stati gli artefici importanti e determinanti di questa evoluzione: Presidenti innanzi tutto e quanti hanno ricoperto cariche nel Direttivo e nella Commissione Artistica, nelle Delegazioni provinciali oltre a tantissimi Maestri dei Cori. Ritengo che sia giusto, a cinquanta anni dalla fondazione, far riemergere a chi già c’era ed evidenziare a chi è sopravvenuto, le sensazioni più vive e l’entità del grande lavoro che l’AERCO ha compiuto. “Nihil sine magno labore Natura dedit mortalibus” diceva un poeta antico e la frase ben si comprende, anche se qualcuno forse poco si ricorda del parlar latino. Si tratta di eventi che ho osservato dal mio tavolo di lavoro, nelle varie sedi cittadine in cui ha trovato casa l’Associazione. All’inizio solo di fronte a una macchina da scrivere e a un ciclostile trovato in Parrocchia; poi con un telefono, un computer e una stampante che ci consentì il trapasso all’era informatica, anche grazie all’impegno a cui si dedicò più avanti il nostro webmaster, il piacentino m°. Edo Mazzoni. Il tutto, per quarantaquattro anni. Ora, prima di entrare nel percorso delle attività che si sono susseguite, dovremmo tutti soffermarci un attimo per ricordare con affetto e molta gratitudine una grande amica: Antonietta Crovetti. Lei che per tantissimi anni è stata la voce che vi rispondeva al telefono, puntuale e attenta

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operatrice nell’Ufficio e ogni giorno il preciso e sicuro riferimento per quanti si mettevano in contatto con la Segreteria dell’Associazione. Una assistente di segreteria perfetta, garbata, ma benignamente inflessibile nel farti ricordare un appuntamento; insomma, una grande e insostituibile collaboratrice. L’Associazione divenne grande anche per il suo lavoro, al quale si dedicò come si trattasse di un suo secondo Coro. Fu Gian Marco Grimandi a succederle; poco più tardi Antonietta venne a mancare, nel più assoluto rimpianto. Ricordiamo ora insieme il percorso della nostra Associazione. Un momento di ulteriore novità nella struttura dell’AERCO si determinò a Castelfranco Emilia il 19 aprile 1980 dove Giorgio Vacchi, dopo il grande lavoro compiuto, decise che fosse giunto il momento di dare nuove opportunità di crescita all’Associazione, coinvolgendo nelle cariche sociali musicisti di diversa estrazione corale, che avrebbero fornito nuove idee e contenuti. Fu così eletto Presidente il prof. Giovanni Torre, direttore del Coro Tomas Luis De Victoria. In quella Assemblea furono introdotte e programmate nello Statuto alcune importanti innovazioni: il Segretario non sarebbe stato più di nomina presidenziale, ma elettiva da parte della Assemblea; quindi fu definita l’istituzione di una Commissione Artistica che si occupasse delle problematiche strettamente musicali dell’Associazione. Per ottenere poi una migliore ripartizione delle attività e dei progetti nei territori, fu avanzata la proposta di creare le Delegazioni AERCO in ogni Provincia della Regione. La norma divenne operativa

Nella foto: P.zza S. Stefano sede delle prime rassegne Aerco

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PRIMO PIANO

nel 1986. Le attività sociali ve n n e ro s p esso adattate al numero dei Cori che era in continua crescita. Per offrire loro una gamma di servizi sempre più efficace, vennero studiati e messi in opera dall’Ufficio di Segreteria nel 1981 due interventi che in seguito furono ampliati e per così dire, istituzionalizzati ufficialmente per tutte le Associazioni regionali da FENIARCO. Fu concordato un contratto tra AERCO e SIAE di supporto alle problematiche fiscali dei concerti e delle esibizioni. La convenzione raggiunta consentiva l’applicazione di tariffe agevolate per tutti i concerti in pubblico dei cori associati. Nel settore servizi sociali e non fu cosa facile, riuscimmo ad accendere una polizza assicurativa con l’INA-ASSITALIA che, a fronte di premi assai ragionevoli, prevedeva per tutti i coristi dei cori AERCO rimborsi interessanti per danni di responsabilità civile e infortuni riportati da singoli coristi nel corso dell’attività corale, ivi compreso il rischio in itinere. Un valido collegamento con i cori più lontani fu la pubblicazione di “AERCO notizie”, un giornale di duequattro facciate, curato dalla Segreteria in cui, oltre alla descrizione degli eventi organizzati, si rendevano pubbliche le opportunità aggregative e le nuove iniziative proposte. Il Notiziario veniva pubblicato con frequenza mensile ed era spedito a mezzo posta agli associati, fornendo un contatto diretto molto gradito alla base corale. Incrementammo ulteriormente la intensa fascia di relazioni con le Istituzioni al fine di sensibilizzare i responsabili degli Assessorati alla Cultura preposti alle tematiche dell’associazionismo corale. Attraverso numerosi incontri che si tennero in Regione, mostrammo la nostra capacità di essere un collante strategico e operativo per organizzare le attività dei cori, grazie alla


nostra professionalità nel saper realizzare importanti progetti culturali ed apprezzati momenti di spettacolo musicale. Proprio per offrire agli associati occasioni di significativa presenza musicale, per più anni, in tutto il territorio regionale furono organizzate le rassegne Itinerari di Musica corale. Per molti complessi associati si trattò di un insperato e importante palcoscenico di esibizione. In tal modo avevamo concretizzato una delle finalità che l’Associazione si era proposta. Nel 1983 dall’Assessorato alla Cultura della Regione ci fu richiesta una indagine che determinasse, con precisione, la effettiva presenza di attività musicali svolte da Cori sul territorio. Il risultato fu davvero rilevante: il numero emerso di organismi corali in attività fu di ottantacinque Cori, ben distribuiti su tutto il territorio regionale. Di essi quarantaquattro erano già gruppi associati all’AERCO. A seguito di questo risultato ottenemmo, tramite l’allora Assessore alla Cultura Pier Luigi Bersani, un rimborso spese per il lavoro eseguito e l’ambito riconoscimento che decretava l’AERCO rappresentante ufficiale dell’Associazionismo della coralità amatoriale dell’EmiliaRomagna. In conseguenza ci fu data la possibilità di accedere ai finanziamenti previsti dalle disposizioni per la Promozione della Cultura di tipo Bandistico e Corale. Questo il primo passo consentì poi nel 1999 di ricevere un importante contributo annuale dalla nuova L.R. 13/99 Norme in Materia di spettacolo. L’erogazione avveniva a seguito della presentazione di progetti musicali, didattici e di spettacolo, dopo la documentazione della loro realizzazione. L’AERCO ebbe così la possibilità di ottenere un sicuro supporto economico annuo, che permise la programmazione di progetti sempre più impegnativi ed efficaci. La parola Associazionismo è stata sempre il vero DNA che ha indirizzato molte iniziative dell’AERCO. Ed è giusto ricordare che tutti i Presidenti che si sono succeduti hanno mantenuto ben salda nelle loro mani la bacchetta, che fu pronta anche a dirigere in quella grande orchestra di Associazioni corali che divenne poi FENIARCO. Dobbiamo ricordare con orgoglio che, dopo una serie di incontri propedeutici, ai quali l’AERCO non mancò di partecipare attivamente con il presidente Torre e il segretario Pucci, fu costituita la Consulta permanente tra Presidenti di Associazioni Corali Regionali. Fu il preludio alla fondazione di una Federazione italiana, che riunì le realtà associative corali nazionali. L’Atto Costitutivo fu sottoscritto ad Arezzo il 21 gennaio 1984. La prima Assemblea della neonata Federazione Nazionale si svolse il 13-14 febbraio a Bologna, nella sede di Coro Stelutis-AERCO in via Zamboni, 51. Giorgio Cogoli, Presidente della Federazione dei Cori del Trentino, ne fu il primo Presidente eletto. Non mancò poi la nostra collaborazione attiva alla definitiva

costituzione della FENIARCO, che per un certo periodo vide come Vicepresidente proprio Giovanni Torre. Con un articolo di Giorgio Vacchi, ricco di contenuti, venne pubblicato nel gennaio del 1986 il primo numero di quello che divenne l’organo ufficiale della Associazione: FarCoro. Si trattava allora di una pubblicazione in formato A5 a stampa, realizzato in copisteria. Vacchi si chiedeva: “Perché ancora un giornale?” Ne spiegò succintamente la ragione, che era poi quella che ancora vive nelle pagine di questa rivista, divenuta simbolo e bandiera della Associazione per la qualità dei concetti espressi e la lucidità scientifica di quanto viene costantemente pubblicato. Il primo numero conteneva articoli di Vacchi, Bonaguri, Scattolin, Pucci, Torre. Un grande merito va dato al m° Piombini, che dal 1998 ne è stato, a lungo, l’appassionato Direttore Editoriale e attivissimo sostenitore dell’AERCO. Tra l’altro fu proprio il m° Piombini che, esperto quale era come responsabile dell’Archivio Musicale del Conservatorio Martini di Bologna, estrasse da un antico testo una simpatica incisione che rappresentava un coro settecentesco in piena attività di canto. L’immagine fu scelta come logo dell’AERCO ed è stata ancora utilizzata nel logo del cinquantesimo. In seguito, la rivista fu diretta con abilità e intelligenza da altri amici: il m° Pier Paolo Scattolin, il Delegato della Provincia di Rimini, il prof. Andrea Angelini e il Delegato

Nella foto: Farcoro 1986

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della Provincia di Parma, il m° Niccolò Paganini. Tutti i presidenti hanno continuato ad arricchire la rivista di grandi contenuti e FarCoro oggi occupa un posto rilevante in Italia, tra le molte pubblicazioni che trattano di coralità. In seguito alla istituzione del decentramento organizzativo e della nomina delle Delegazioni Provinciali furono organizzati, in sequenza, corsi e momenti di spettacolo in ogni Provincia. Fu anche affrontato il problema di una più sistematica alfabetizzazione musicale, già sperimentata dal Maestro Vacchi nei primi anni dopo la fondazione. Quando nel maggio 1987 il m° Pier Paolo Scattolin, direttore del Coro Euridice a Bologna, divenne Presidente AERCO nel corso dell’Assemblea che si svolse a Forlì, egli si propose di incrementare anche l’attività della ricerca che aveva avuto già un grosso impulso nel popolare, ma in pratica era ferma a testi dell’800 nel polifonico. Nel settore della corsistica, già in atto da qualche anno, si ritenne di mirare alla formazione di maestri e direttori di coro che, nell’insegnamento, avessero un più completo panorama di repertori da eseguire e proporre ai propri cori: dalla musica popolare, alla polifonia classica. Le iniziative didattiche vedevano sempre come docenti illustri maestri dell’AERCO, con interventi anche di noti musicisti ed esperti del mondo della coralità. Molte le città in cui si tennero, con frequenze pluriennali, queste iniziative corsuali, alle quali veniva dato un indirizzo ed un percorso sempre originale. A Bologna ebbe molto rilievo il progetto “CHORUS”, che fu ripetuto per vari anni; era composto di due sezioni; una integrativa ai corsi di Conservatorio, l’altra di perfezionamento su temi quali repertorio, analisi del testo, vocalità ed era curata da Pier Paolo Scattolin; a Parma furono realizzati corsi di orientamento musicale finalizzati alla alfabetizzazione, curati da Giacomo Monica; a Ravenna corsi corali per alunni delle Scuole Medie, coordinati da Matteo Unich. A Rimini si tenne un Corso di musica corale, che assunse anche una vocazione internazionale; diretto da Andrea Angelini, vide infatti le presenze di docenti di grande valore quali Peter Phillips, Ghislaine Morgan e Marco Gemmani. Uno dei corsi a carattere biennale e che si tenne in settimane successive a Bologna vide docenti prestigiosi: il dott. Fussi per i problemi della fonazione, Ugo Rolli per il Canto Gregoriano, Mauro Pedrotti per il popolare, Giorgio Lacher per la polifonia, Mario Mora per le voci bianche, Pier Paolo Scattolin e Giacomo Monica, in quel momento Vicepresidente, per il corso “Coro e Orchestra”. Anche Fidenza, Crevalcore, Cesena, Forlì e Ferrara furono sedi di Corsi musicali, a dimostrazione che le attività programmate dalla Associazione percorrevano con successo l’intero territorio. Anche con l’avvento del nuovo secolo, nell’anno 2000, l’attività dell’AERCO, che tra il 1987 e il 2006 fu sempre guidata da Pier Paolo Scattolin, continuò ad attivarsi

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PRIMO PIANO

con piena energia, seguendo i percorsi e gli indirizzi progettuali già proposti nel passato, ma costantemente arricchiti di nuove significative esperienze. Ad esempio, l’attività editoriale dell’AERCO non si fermò alla sola rivista. Con la finalità di aggiornare i repertori e fornire nuove opportunità esecutive per i Cori, non solo per quelli associati, fu creata una collana di volumi denominata: I QUADERNI DI FARCORO, che come prima pubblicazione presentò una Antologia con elaborazioni di canti popolari di tre compositori regionali: Fantuzzi, Sacchi e Vacchi; quindi venne alle stampe una duplice pubblicazione a cura di Pier Paolo Scattolin per presentare l’edizione moderna di alcune Messe e delle Letanie della Beata Vergine a 5-8 Voci, dell’autore bolognese Camillo Cortellini, stampate nel 1615. Grande prestigio ebbe anche il Manuale di Propedeutica alla Direzione, una vera lectio magistralis di Pier Paolo Scattolin che fu poi anche riprodotta e distribuita a tutti i Cori italiani da FENIARCO. Infine, venne alla luce il Canzoniere, che presentava un arcobaleno di 23 brani di dodici musicisti di varia estrazione musicale: dal Per non dimenticare di Pier Paolo Scattolin a Venezia tu sei bella di Fedele Fantuzzi, da La canapa di Giorgio Vacchi, a Ed è subito sera di Cristiana Ganzerla, da O nata Lux di Andrea Angelini, al Magnificat popolare di Daniele Venturi. I rappresentanti dei cori hanno continuato annualmente a essere chiamati in Assemblea a discutere i progetti, a proporre idee e iniziative ed a convalidare con il loro voto i bilanci. Le dialettiche, che con il procedere degli anni ci avevano mostrato la presenza di alcune carenze operative e strutturali, condussero a organizzare incontri per risolvere le criticità. Quando fu richiesto dalle Istituzioni un nuovo regime di fiscalità, provvedemmo ad organizzare alcuni dibattiti con esperti per illustrare le nuove disposizioni

Nella foto: Puccio Pucci


relative alla attività amministrativa dei cori. Con la presidenza di Fedele Fantuzzi, direttore del Coro La Baita di Scandiano, nell’anno 2006, coadiuvato dal Vicepresidente Giacomo Monica, fu posta particolare attenzione verso musiche tratte dalla ricerca e verso forme di coralità con l’uso dell’orchestra. Ci fu grande considerazione per nuove realtà corali che stavano prendendo vita, quali i cori a voci bianche e i complessi spiritual. Fu importante il supporto dato a queste nuove realtà dall’AERCO per sostenere e ampliare alcune loro iniziative di spettacolo e corsuali. Costante fu sempre la nostra attività in FENIARCO, con l’assidua presenza del presidente Fantuzzi e del segretario Pucci alle riunioni ed alle attività che venivano programmate. Ricorderemo che dopo il m° Torre, Puccio Pucci a lungo fu il Delegato dell’AERCO in FENIARCO e per anni anche membro del Comitato di Redazione di Choraliter, la rivista della Federazione Nazionale. Anche Il m° Scattolin per alcuni anni operò tra i componenti della Commissione Artistica Nazionale. Con il procedere degli anni, l’AERCO trovò una assai più consona collocazione per la propria sede in un appartamento di Via Capo di Lucca, al n. 23, in cui furono posti gli uffici ed il pluriennale archivio. Avevamo anche a disposizione un ampio locale che fu utilizzato per riunioni e, arricchito da un pianoforte elettronico, fu anche utilizzato come sede di corsi musicali, oltre a quello delle riunioni del Direttivo e della Commissione Artistica che, sempre coordinata dal Presidente Fantuzzi, poteva contare su un gruppo di musicisti e studiosi di grande spessore che si alternarono nei vari incarichi: Cristian Gentilini, Mino Monica, Daniele Venturi, Matteo Unich, Giovanni Poletti, Niccolò Paganini, Edo Mazzoni, Matteo Giuliani, per citarne alcuni. Ricordo che questo grande ambiente meravigliò gli amici che lo frequentarono per la presenza, in tre delle quattro pareti, di grandi specchi, messi in continuità. In tal modo trovammo arredata questa sala: infatti i locali erano stati utilizzati prima del nostro arrivo da una scuola per parrucchieri! Poi applicammo agli specchi i manifesti con i quali avevamo pubblicizzato le nostre Rassegne corali perché non era possibile estrarli: erano stati letteralmente murati alle pareti. È in questa sede che giunse, forse senza che noi ce ne rendessimo conto, il quarantesimo di fondazione della Associazione. Celebrammo il 22 maggio 2011 a Bologna i quarant’anni di amatorialità e di passione musicale profusa da tantissimi coristi componenti i complessi musicali corali dell’Emilia-Romagna, con una grande evento nello splendido Auditorium di S. Cristina della Fondazza. Il Convegno celebrativo vide la partecipazione di un gran numero di rappresentanti dei 181 complessi Corali allora associati. Al dibattito intervennero con loro contributi la

dott.ssa Paola Marani, consigliera regionale e responsabile delle attività rivolte al Terzo Settore, il presidente della FENIARCO, Sante Fornasier, Giovanni Torre, Pier Paolo Scattolin, Puccio Pucci e il presidente Fantuzzi. Alla grande attenzione riservata dai presenti ai lavori del convegno, seguì l’emozione per l’esibizione musicale che fu riservata ai cori fondatori ancora in attività. Risuonarono quindi i canti e le melodie della Corale Giuseppe Verdi di Argenta, diretta da Andrea Bandi, del Coro Monte Toccacielo di Porretta Terme, diretto da Walter Chiappelli, dei cori bolognesi Leone, diretto da Pierluigi Piazzi e Stelutis, diretto da Silvia Vacchi, figlia di colui che fu tra i fondatori e che ci aveva lasciato amaramente nel 2008. Per concludere questo lungo excursus, ricorderò insieme, i musicisti Direttori di Coro che si sono succeduti alla Presidenza dell’Associazione. Dopo il m° Giorgio Vacchi, uno dei fondatori nel 1971, sono sopravvenuti nel 1980 il professor Giovanni Torre, direttore del Coro T. L. de Victoria di Castelfranco Emilia; poi nel 1985 per due anni ancora il Maestro Vacchi. Nel 1987 fu il prof. Pier Paolo Scattolin, direttore del Coro Euridice di Bologna, ad essere eletto Presidente. La sua fu una lunga presidenza che si concluse nell’anno 2006, quando l’Assemblea di Scandiano elesse il m° Fedele Fantuzzi, direttore del Coro La Baita. In tutti questi momenti statutari, Pucci era sempre stato confermato all’Ufficio di Segreteria col voto assembleare. Il 20 aprile 2015 l’Assemblea che si svolse a Bologna, aveva all’O.d.G. anche il rinnovo delle cariche sociali. Fu eletto alla Presidenza il prof. Andrea Angelini, direttore del Coro Carla Amori di Rimini, che da molti anni aveva dato la sua attiva partecipazione alla vita ed alle attività in AERCO. All’Ufficio di Segretaria fu eletta Costantina Saba, che ricoprì l’incarico per un breve tempo. L’AERCO, dunque, nel 2015 si è aperta ad una nuova dirigenza che è stata, anche recentemente, confermata in Assemblea. Ed è a questa data che concludo il mio impegno. Pertanto, interrompo la narrazione per mancanza di esperienze dirette del percorso successivo. Col termine della mia partecipazione attiva a questa Associazione, che ho l’orgoglio di aver contribuito a costituire e a far crescere e da cui tanto ho ricavato in entusiasmo, nel dedicarmi alla mia idealità sociale, rivolgo un grazie per avermi dato l’opportunità di “rileggermi dentro” e ricordare il percorso di questa importante realtà associazionistica regionale che è l’AERCO. Chiedo ora al presidente Angelini, di disegnare, lui direttamente, l’attività degli ultimi anni della Associazione e le prospettive del futuro nell’intervento che, ad integrazione del mio lavoro, ho ritenuto doveroso proporre a tutti i già Presidenti AERCO, ai quali va il mio ricordo sincero e un cordiale saluto.

2.fine 50 ANNI DI AERCO | 7


Primo Piano

I 50 anni dell’AERCO Gli esordi e la presidenza di Giorgio Vacchi

DI SILVIA VACCHI Direttrice del Coro Stelutis di Bologna

Buon compleanno AERCO! L’amico Puccio Pucci, per tanti anni segretario e anima organizzativa dell’associazione, mi ha chiesto di rievocare tramite i miei ricordi familiari i primi anni di presidenza di Giorgio Vacchi. Compito arduo, se non impossibile, quantomeno per motivi anagrafici. Tenterò, comunque, di sintetizzare le principali idee di mio padre sull’argomento servendomi, oltre che dei ricordi personali, dei pochi ma incisivi scritti da lui lasciati. Gli anni ‘70 della mia infanzia sono disseminati di concerti, rassegne e festival corali che, per noi bambini al seguito del coro Stelutis, erano anche un’occasione per far festa e partecipare a epici rinfreschi. Sono ricordi bellissimi di una coralità piena di energia e di voglia di condividere. Come capii molti anni dopo, mio padre era stato tra i primi a spendersi personalmente nella ricerca e nel rinnovamento del repertorio di ispirazione popolare e di questo suo percorso artistico e umano aveva voluto far partecipi tantissimi cori. Come ebbe modo di dire in molte occasioni, era importante promuovere la ricerca sul campo perché ognuno capisse che nessuna tradizione era da considerarsi valida o scadente a priori. Ciò che importava era che fosse autentica. Il dialetto trentino non era per forza di cose sempre meglio di quello emiliano. I canti tradizionali certamente esistevano anche nelle nostre campagne e montagne ma dovevano essere cercati. Ma come? Non fu facile convincere il mondo corale a occuparsi delle proprie tradizioni contadine. Non era raro che quasi ci si vergognasse delle proprie radici, spesso legate ad un passato di povertà o, in qualche caso, di vera e propria miseria. Era sicuramente più comodo e rassicurante riproporre i classici del repertorio corale della SAT già così diffusi e amati dal pubblico. Papà capì che era necessario un apripista che mostrasse alla coralità una nuova direzione. Nuovi brani tratti dalle tradizioni a noi

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PRIMO PIANO

più vicine, certo, ma proposti in una efficace elaborazione per coro. Per coinvolgere attivamente il mondo corale ideò quello che egli stesso definì un “amichevole ricatto”: in cambio dell’impegno a far ricerca che si chiedeva agli associati si ‘offriva la disponibilità ad impegnarsi nel realizzare armonizzazioni di qualche canto ritrovato e di dedicarle al coro che aveva fatto ricerca’1. Q u e s to se m pl ice m e cc a n is m o , po te nzi ato dall’autorevolezza che Giorgio Vacchi e il coro Stelutis si erano già guadagnati nei lustri precedenti, fu determinante per la costituzione dell’Aercip e servì da valido collante tra i primi cori membri che, in tal modo, si sentirono attivamente coinvolti in un progetto culturale di ampio respiro. Gli anni di presidenza di mio padre furono caratterizzati da frequenti contatti con i cori membri: egli riteneva doveroso, in qualità di presidente, andare regolarmente e di persona presso i singoli cori, privilegiando spesso quelli in difficoltà ai quali dava consigli e sostegno tecnico. Questa attività di “soccorso cori”, come la chiamava scherzosamente lui, è durata anni e credo che sia stata la miglior dimostrazione pratica di quello che egli intendeva come associazionismo. Si trattava, innanzitutto, di ribadirne le ragioni fondanti: l’elemento artistico costituiva la ragion d’essere principale e le conoscenze tecniche dovevano essere messe a disposizione di tutti lasciando da parte, una volta tanto, il campanilismo a favore dell’aiuto ai più giovani ed inesperti tra i cori membri. Applicando queste convinzioni diversi anni dopo vennero istituiti i primi corsi AERCO per maestri di coro presso la sede del coro Stelutis. Erano caratterizzati dalla presenza fissa di un coro laboratorio che permetteva agli aspiranti maestri di fare esercitazioni pratiche. Una

1. Dall’AERCIP all’AERCO, p. 93. In: Giorgio Vacchi, Scritti ed elaborazioni per coro. Quaderni della rivista FarCoro. n. 8.


formula ancor oggi assai diffusa ma innovativa per l’epoca. Insomma, quello che sembrava essere più importante nella visione associativa di Giorgio Vacchi era senza dubbio l’aspetto artistico, lo scambio culturale tra gli associati. Al contrario era assai chiaro come la nascente associazione corale (e mio padre in particolare) volesse prendere le distanze da un modello associativo quasi esclusivamente concentrato sulla riscossione e gestione di fondi pubblici. Alcune precedenti esperienze associative italiane avevano rappresentato un termine di paragone fin troppo evidente da cui Aercip voleva prendere le distanze. Credo proprio che oggi, nel bel mezzo di una pandemia che sta mettendo in discussione le basi stesse del far coro, sia importante ricordare da quali principi nacque,

nel 1971, la nostra associazione. Solo confrontarsi ed agire in modo comunitario ci farà superare questa difficilissima congiuntura.

Nella foto: Giorgio Vacchi

I 50 ANNI DELL’AERCO | 9


Primo Piano

Polifonia a quattro voci 50 anni di AERCO nel ricordo dei presidenti

INTERVISTE A CURA DI PUCCIO PUCCI In mezzo secolo l’AERCO ha conosciuto cinque diversi presidenti, ciascuno portatore di una propria visione della coralità e dell’associazionismo corale, chiamato a rispondere a situazioni ogni volta nuove, sollecitato da una coralità in continua evoluzione. Dopo il ricordo di Giorgio Vacchi, trasmessoci da Silvia, gli altri quattro presidenti, rispondendo alle domande di Puccio Pucci, tracciano un profilo a più voci di una storia avvincente. Quando e come sei entrato in contatto con l’AERCO? Giovanni Torre: Sono entrato in contatto con l’AERCO nel settembre del 1973, quando, appena fondato a Castelfranco Emilia il mio coro “Tomas Luis de Victoria”, ho sentito il bisogno di farlo appartenere ad una associazione corale formata da altri complessi a noi vicini, con cui potere attivare momenti di scambi culturali e di amicizia.

Pier Paolo Scattolin

In provincia di Modena, in quegli anni, erano già attive due Associazioni: la Associazione Nazionale ENAL USCI, e la Associazione Emiliano Romagnola Cori di Ispirazione Popolare (AERCIP). Ad ambedue queste associazioni erano iscritti ancora pochi cori. In particolare, alla prima figuravano iscritte le Associazioni Corali a voci miste Rossini, fondata nel 1887, e Gazzotti, attiva dal 1923. Ambedue queste Associazioni operavano secondo i dettami associativi e culturali propri del movimento orfeonico ottocentesco. Alla seconda, che era stata fondata nel 1971 da Giorgio Vacchi e da alcuni cori della Regione emiliana, appartenevano gruppi che rivolgevano il loro interesse a repertori più popolari e più legati alle tradizioni orali della propria regione. Ed è a questa seconda Associazione che io, come detto nel 1973, ho fatto domanda di iscrizione del mio coro. I motivi di questa scelta sono stati due: (a) Prima di tutto, perché conoscevo già Giorgio Vacchi, da quando, anni prima avevo seguito il suo corso di canti di montagna, tenuto a una scuola per Aspiranti Capi della Azione Cattolica Romagnola, al passo del Falzarego, sulle Dolomiti. (b) In secondo luogo, perché negli anni 60, durante i miei studi all’Università di Bologna, ero stato uno dei tenori del suo coro “Stelutis”. Pier Paolo Scattolin: La curiosità di conoscere ed entrare in contatto con l’AERCO nacque con l’ascolto del coro Stelutis: quando lavoravo come critico musicale per Il Resto del Carlino fui mandato a recensire un concerto, mi pare nel 1978, del coro bolognese. Questa circostanza mi consentì di allargare lo sguardo sulla coralità, essendo la mia cultura musicale prevalentemente orchestrale e ancora novizio nell’attività direttoriale del coro Euridice, e in particolare di conoscere il percorso associativo di cui

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PRIMO PIANO


il Presidente Giorgio Vacchi era promotore portandone testimonianza anche durante la presentazione dei concerti del coro Stelutis e durante le rassegne organizzate dall’AERCO. Fu l’occasione per scoprire quali potenzialità umane e musicali si sviluppassero nell’idea di associare i cori e i direttori attorno ad obiettivi comuni come la riflessione sul significato del concerto di un coro amatoriale, la conoscenza del repertorio secondo le caratteristiche e possibilità di ciascun coro, la ricerca delle fonti, l’approfondimento tecnico e la dimensione sociale di essere compagni di viaggio fra direttori. Alla decisione di entrare nell’Associazione contribuì il fatto che proprio in quel momento stava avvenendo la trasformazione da associazione rivolta ai cori di repertorio popolare AERCIP ad AERCO, in cui i cori polifonici potevano finalmente trovare una casa. Fu una trasformazione fondamentale e assai importante per il futuro dell’Associazione AERCO. Fedele Fantuzzi: Ho conosciuto AERCO nel lontano 1973, quando incominciai la bellissima avventura con il coro La Baita di Scandiano-RE. Avevo 17 anni e l’associazione allora si chiamava AERCIP. Essendo così giovane il presidente Onelio Mattioli, che faceva parte del direttivo, decise di portarmi con sé alle riunioni nella mitica sede dello Stelutis, in via Zamboni, 51, se non sbaglio: e fu così che conobbi il grande m° Giorgio Vacchi e tutto il meraviglioso mondo dell’associazionismo. Andrea Angelini: Ricordo che la prima volta che seppi di AERCO fu dall’allora Delegato per la Provincia di Rimini, Paolo Righini. Credo fosse il 1991 o il ’92. Rimasi subito affascinato da questa organizzazione che cercava di

Giovanni Torre

Andrea Angelini

aggregare i cori della regione in nome di obbiettivi comuni. Ho sempre creduto nel volontariato e nel fatto che le azioni delle persone, specialmente quando fanno qualcosa senza nulla chiedere in cambio, sono portatrici di buoni e cospicui frutti. Così iniziò la mia avventura in AERCO che mi portò, dopo essere stato Delegato Provinciale, membro della Commissione Artistica e direttore di FarCoro, ad assumerne, nel 2015, la presidenza. Che influenza o positività ha avuto nel tuo Coro associarsi all’AERCO? Giovanni Torre: L’iscrizione del mio coro all’AERCO ha avuto, per tutti i suoi componenti, una influenza certamente positiva. Con essa, infatti, entravamo a far parte di una più ampia famiglia di amanti del canto d’assieme; famiglia che operava in regione e che aveva come scopi prioritari quelli che soddisfacevano le nostre esigenze, sia sociali che culturali, mediante la promozione di incontri, concerti e rassegne corali, e la attivazione di corsi musicali rivolti a migliorare la preparazione tecnica dei direttori e la cultura vocale e musicale dei coristi. Pier Paolo Scattolin: In quel periodo dunque il coro Euridice divenne socio perché intravvide la possibilità di inserirsi in un movimento corale basato su una grande forza partecipativa, dove lo spirito di aggregazione avveniva perché si vedeva nell’associazione un punto di riferimento etico, un laboratorio di idee, un fervore nell’approfondimento e nella crescita di cori e direttori uniti nel processo dell’attività corale, cioè nel farcoro; lo studio del repertorio, della tecnica corale, la possibilità e il rispetto dell’incontro creativo con l’alterità di diverse visioni corali, la sobrietà nella comunicazione, la cura con

POLIFONIA A QUATTRO VOCI | 11


Fedele Fantuzzi

cui si preparava l’incontro con il pubblico erano valori che hanno influenzato tantissimo l’ambiente del Coro Euridice e che ancora oggi nel momento in cui festeggia i suoi 140 di attività, molti dei quali sviluppati appunto nell’Associazionismo, rimangono un tesoretto di idee cui fare costantemente riferimento e proiettabili nel futuro. Fedele Fantuzzi: Beh, il coro La Baita è stato uno dei primissimi ad associarsi. Non c’è dubbio che sia stata una

decisione molto positiva e lungimirante per tanti aspetti: per esempio, ha influenzato la scelta mia e del coro di intraprendere un cammino di ricerca etnomusicologica “sul campo” del nostro patrimonio popolare e la mia conseguente proposta armonizzativa che dura tutt’ora e ci caratterizza nel panorama corale nazionale. Andrea Angelini: Come ho ricordato poc’anzi il mio impegno in AERCO è andato, e continua tuttora ad andare, al di là delle positività che l’esserne associati possa comportare per il mio coro. Sinceramente vantaggi e ricadute per il mio gruppo corale sono sempre stati in fondo ai miei pensieri. Ho sempre cercato che i benefici fossero per gli altri. Chi mi conosce sa che sono ‘monastico’ in questo. Dirò di più: da quando sono presidente ho cercato di tenere un profilo artistico personale bassissimo e le partecipazioni del mio coro alle attività AERCO si possono contare sulle dita di una mano. Questa visione di ‘estremo servizio’ ho cercato di infonderla anche ai miei collaboratori e sono stato particolarmente contento di osservare che, dopo alcune normali resistenze, tutti hanno capito che non c’è miglior soddisfazione che impegnarsi per i cori, in senso generale. Ovviamente sono felice di stimolare e recepire le creatività personali dei collaboratori, ma lo scopo finale deve essere sempre quello di ‘fare per gli altri’.

(continua)


Un nuovo progetto per fare ripartire la coralità Emiliano-Romagnola

Rassegne estese a tutto il territorio regionale: ‘Voci nei Chiostri’, ‘Di Cori un altro Po’, ‘Fiumi di Voci’ oltre a quelle di interesse provinciale come ‘La Rassegna dei Cori Piacentini’ (diventata poi ‘Piace Cantare’), ‘Le Voci della Terra’, ‘CantiAMO Parma’, ‘Soli Deo Gloria’, ‘Cori@MO’, ‘CantaBO’, ‘Le Domeniche del Te’, ‘Cori sotto l’Albero’. Attività di Formazione didattica orientata ai Direttori di Coro e ai Cori stessi, anche in collaborazione con l’Università. Organizzazione di 5 Concorsi Corali (due internazionali e tre nazionali). Recupero e censimento del patrimonio musicale regionale. Valorizzazione della ricerca etnomusicologica e storico locale e relative pubblicazioni per la promozione delle tradizioni corali e musicali locali. Promozione del Coro Giovanile Regione Emilia Romagna.

Scopri di più su: www.aerco50anni.it

AERCO - Via Barberia, 9 - Bologna (BO) - Tel. +39 051 0067024 - ufficio@aerco.emr.it - www.aerco.it


Musica dell’anima

La Cappella Musicale del Duomo di Modena Intervista a cura di Luca Buzzavi

DI LUCA BUZZAVI

Diamo il benvenuto nella rubrica Musica dell’Anima al m° Daniele Bononcini organista e maestro della Cappella della Cattedrale di Modena. Maestro, da quanti anni segue il percorso della Cappella modenese e qual era la situazione iniziale che ha ereditato? Innanzitutto, grazie per aver pensato che potessi condividere con voi la mia esperienza. Sono entrato in Cappella Musicale come organista sostituto nel 1995, avevo 22 anni. Nel 1996 sono stato nominato organista titolare, con l’incarico di curare il servizio in oltre 350 liturgie all’anno, organizzare il Festival organistico internazionale e preparare e dirigere la Schola Polifonica per circa il 50% delle liturgie programmate ogni anno. Nel 1999 ho fondato i Pueri Cantores, nel 2000 le Juvenes Cantores e nel 2001 il Capitolo Metropolitano di Modena mi ha conferito l’incarico di Maestro di Cappella, sommandolo a quello di organista titolare. La Cappella Musicale del Duomo era stata ricostituita nel 1992 dal mio predecessore m°. Giorgio Barbolini, che, su mandato del Capitolo, strutturò il servizio organistico così com’è tuttora, costituì la Schola Polifonica e la Schola Gregoriana: la prima col compito di prestare servizio nelle Messe solenni presiedute dall’Arcivescovo, la seconda col compito di prestare servizio alla Messa solenne in latino e canto gregoriano (Novus ordo) che, ad esclusione dei mesi di luglio e agosto, presta servizio ogni domenica e solennità alle ore 9.45; questa Schola canta anche ai Vespri solenni in latino e canto gregoriano nelle principali solennità dell’anno liturgico. Il m°. Barbolini si preoccupò di redigere un Ordo Missæ bilingue per la Messa in latino

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MUSICA DELL’ANIMA

ad uso dei fedeli, inoltre musicò i salmi responsoriali per tutti e tre gli anni liturgici. Negli anni post conciliari, per non meno di una ventina d’anni, dopo la morte del m°. don Giuseppe Zoboli, la Cappella Musicale non è stata più costituita da persone che si dedicavano completamente alla vita liturgico musicale della cattedrale; il direttore di allora, don Oscar Piccinini, a causa del gravoso impegno della parrocchia, si dovette limitare ad accorpare due corali della diocesi impegnandole in qualche servizio episcopale. C’era un servizio organistico estemporaneo. Quando entrai io, quindi, si era nel pieno della ricostruzione, il cui merito va al m°. Barbolini, all’arcivescovo mons. Bartolomeo Santo Quadri che incoraggiò tutto il progetto e ad un noto imprenditore, deceduto lo scorso anno, il dr. Luciano Grassigli, che mise le basi finanziarie per partire, fondando assieme al sottoscritto, nel 2001, anche l’Associazione Amici del Duomo sul modello dei “The Friends of Westminster cathedral” di Londra. Oggi gran parte dei componenti della Cappella costituisce de facto una sorta di comunità basilicale, cioè di un gruppo che avverte un forte senso di appartenenza alla cattedrale e di legame col Vescovo, condividendo innanzitutto la preghiera comunitaria festiva. Quali sono stati, negli anni, i principali interventi che ha scelto di operare dal punto di vista strutturale-logistico? Nel 2001 la Cappella non aveva una sede. assurdo che l’istituzione musicale più città e operante sin dal 1453 non avesse riferimento in cui identificarsi, prepararsi dovuta stabilità. In alcuni anni riuscii ad

Mi sembrava antica della un luogo di e trovare la ottenere un


Daniele Bononcini Daniele Bononcini, nato a Modena nel 1973, ha studiato Organo e composizione organistica (F. Baroni, R. Bonetto, G. Bovina), Musica Corale e Direzione di Coro (B. Zagni, A. Martinolli D’Arcy), Pianoforte (G.F. Modugno, F. Scala), armonia, contrappunto, fuga e analisi (C. Landuzzi, G.P. Luppi, G. Indulti), direzione d’orchestra (I. Karabtcevsky, M. Conde). Grazie al papà organista dilettante, la musica e liturgia sono sempre stati presenti nella sua vita. Nel 1983 intraprende il servizio di organista nella sua parrocchia, dove nel 1988 fonda il suo primo coro polifonico, a cui affianca presto il coro delle voci bianche. Nel 1996 viene nominato organista titolare e nel 2001 direttore della Cappella Musicale del Duomo di Modena. Dal 1999 al 2001 è vicedirettore della Corale “Rossini” di Modena (coro in cui cantò L. Pavarotti) circostanza che gli consente di approfondire anche il repertorio lirico. Nel 2013 è nominato direttore e docente di organo e direzione di coro dell’Istituto Diocesano di Musica Sacra di Modena. In questi 25 anni si è speso in modo costante per fare della Cappella Musicale un’istituzione in grado di realizzare scelte musicali di ampio respiro.

piccolissimo appartamento collegato alla sagrestia del duomo in cui consentire ai coristi di prepararsi e cambiarsi prima di ogni servizio; successivamente ci furono assegnati alcuni locali molto funzionali presso la Città dei Ragazzi, l’oratorio della città, in cui dirigo anche l’Istituto diocesano di Musica Sacra. Costituire i Pueri e poi le Juvenes ha significato creare per le nuove generazioni un’opportunità di avvicinamento alla grande musica e alla dimensione sacra, in cattedrale, collaborando direttamente col Vescovo; si tratta di un’esperienza spirituale che, imprimendosi in modo indelebile nel cuore dei ragazzi, riemergerà certamente in età adulta; inoltre, in questo modo, abbiamo costituito il vivaio che col tempo può rigenerare i cori degli adulti. Abbiamo messo in sinergia la Cappella Musicale del Duomo con l’Istituto diocesano di Musica Sacra, ottenendo il patrocinio del PIMS di Roma, con cui abbiamo realizzato importanti collaborazioni; inoltre abbiamo ottenuto l’accreditamento dei nostri corsi presso il MIUR

Sua è la direzione delle quattro compagini corali: Pueri Cantores (18 coristi), Juvenes Cantores (13 coristi), Schola Polifonica (41 coristi) e Schola Gregoriana (27 coristi). Impegnato come direttore di coro, direttore d’orchestra, organista e compositore, ha collaborato con importanti solisti quali l’oboista Christoph Hartmann e il clarinettista Wenzel Fuchs dei Berliner Philarmoniker, con i flautisti Andrea Oliva dell’Orchestra Santa Cecilia di Roma e Andrea Griminelli, il trombettista Hakan Hardenberger, i cantanti M. Freni, N. Ghiaurov, C. Gasdia, K. Ricciarelli, F. Provvisionato e con celebri ensemble come l’Orchestra sinfonica “A. Toscanini”, l’Orchestra da Camera di Mantova, I Virtuosi Italiani e l’orchestra I Musici di Parma.

- Ufficio scolastico regionale per poter organizzare corsi di aggiornamento professionale per i docenti. Un altro passo significativo è stato dotare la Cappella di una Stagione concertistica articolata, che suggellasse i tempi più significativi dell’anno liturgico. Alcuni appuntamenti sono entrati fortemente nella tradizione della città: ad esempio, il Concerto di S. Stefano 2020 è stato seguito in diretta TV, da capo a fondo, da oltre 15000 persone! Abbiamo realizzato diverse registrazioni, ad esempio, iniziando a valorizzare il mio più illustre predecessore, Orazio Vecchi, pubblicando per l’etichetta Tactus la sua Missa in Resurrectione Domini. Il progetto avrà un seguito. Abbiamo strutturato un ufficio stampa in grado di gestire

LA CAPPELLA MUSICALE DEL DUOMO DI MODENA | 15


la comunicazione a mezzo internet, social e media in genere. Abbiamo un canale YouTube che raccoglie alcuni degli eventi più significativi realizzati in questi anni. Abbiamo introdotto l’usanza di invitare le Scholæ dell’Arcidiocesi a prestare servizio in cattedrale quando il Vescovo celebra in Avvento e Quaresima. Si tratta di un segno di unità delle parrocchie - Vescovo. Da questa esperienza è nata quasi spontaneamente l ’a ssoc i a z ion e d elle Scholæ Cantorum dell’Arcidiocesi di Modena Nonantola (ASCAMN). Abbiamo costituito il Quintetto di Ottoni e Timpani della Cappella Musicale. Abbiamo introdotto la Messa d’Investitura, in cui il Vescovo conferisce il mandato ai coristi per un anno di servizio in cattedrale. Abbiamo provveduto all’acquisto di un organo positivo per realizzare il basso continuo e sostenere in modo ottimale piccoli ensemble corali. Durante la pandemia si è rivelato molto utile. Dopo 30 anni, siamo riusciti a recuperare l’organo Rieger, che ha suonato nella cripta del Duomo per quasi tutto il ‘900. Con la Schola Gregoriana abbiamo istituito alcuni m o menti format i vi periodici intensivi che sfociano sempre nella liturgia. Abbiamo ospitato alcuni tra i più autorevoli gregorianisti del mondo: Rampi, B a r o f f i o , Tu r c o , Praßl, Conti… Parliamo del Repertorio. Tradizione o modernità? Antologia o nuove composizioni? Cominciamo dalle Messe solenni in polifonia. Sin dal 2001 volli reintrodurre in liturgia ciò che per la liturgia è stato composto. Infatti non ho mai creduto nelle Messe eccessivamente antologiche: anche musicalmente, una liturgia credo debba avere una certa unitarietà stilistica, almeno nelle parti dell’ordinarium. Ogni anno, sei Messe solenni presiedute dall’Arcivescovo prevedono l’esecuzione integrali di Messe d’autore: Gabrieli, De Victoria, Mozart, Perosi… Ma trovano spazio anche autori contemporanei come Bartolucci, Gibson, Lauridsen, Miserachs, Molfino, Rutter, Willcocks… Io stesso compongo abitualmente per le circostanze che lo richiedono. Ho anche personalmente

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MUSICA DELL’ANIMA

aggiornato le melodie dei salmi secondo il nuovo lezionario, riprendendo il lavoro svolto dal mio predecessore. E poi, naturalmente, guidiamo l’assemblea proponendo canti popolari della tradizione e il canto gregoriano più essenziale. Per quanto riguarda le Messe con cantore e organo ci atteniamo ad un repertorio circoscritto in cui si possano identificare facilmente tutte le comunità parrocchiali che partecipano alla preghiera in cattedrale. Il salmo responsoriale viene sempre interamente cantato e, quando il celebrante è disposto ad intonare le parti sue proprie, proponiamo anche il canto delle acclamazioni. Con la recente riforma del Messale abbiamo introdotto in modo sistematico il canto del Kyrie, almeno in Avvento e Quaresima. In occasione dei Vespri d’organo a preludio del canto dei Secondi Vespri Capitolari, da me introdotti 20 anni fa, mi sono concentrato sulla tradizione, eseguendo le integrali organistiche di Frescobaldi, Buxtehude, Bach, Pachelbel, Mozart, Mendelssohn, Brahms, Liszt, Guilmant… Alla Messa solenne in latino eseguiamo esclusivamente canto gregoriano, quindi nessuna modernità… Tuttavia, nel corso degli ultimi dieci anni - non si tratta di un coro p ro fe ss i o n a l e -abbiamo introdotto il Proprium di tutti i tempi forti dell’anno liturgico: Avvento, Quaresima, tutte le solennità; inoltre abbiamo imparato tutte Messe tradizionalmente eseguite nei tempi liturgici più importanti: Lux et origo, Cum Iubilo, Orbis factor, Missa XVII, Missa pro defunctis… Da un anno, la Messa domenicale delle 18 è diventata la Messa in polifonia: col quartetto dei maestri della Schola Polifonica, talvolta esteso a ottetto, proponiamo repertorio estremamente variegato: moltissimo Di Lasso, Lotti, Anerio…ma anche diversi mottetti di mia composizione. Da un paio di anni in cattedrale non esiste più la parrocchia: Nella foto: Pueri e Juvenes.


questa scelta, per certi aspetti molto dolorosa, consente però di far emergere la vocazione di cattedrale, che è principalmente luogo di preghiera, capace di accogliere fedeli da tutte le parrocchie, della diocesi, d’Italia e del mondo. L’offerta musicale deve essere all’altezza della situazione. Il duomo di Modena è anche patrimonio dell’UNESCO: nel solo 2019 abbiamo avuto circa 750000 visitatori, di cui circa 450000 ha partecipato ai riti, la maggior parte dei quali curati dalla Cappella Musicale. Anche a causa della internazionalità del nostro duomo, ormai 30 anni fa, il Capitolo ha saggiamente provveduto a introdurre la celebrazione della Messa solenne in latino e canto gregoriano, che in qualche modo prende il posto della Messa conventuale o capitolare celebrata in duomo fino agli anni ’60-’70.

novembre abbiamo in cogestione la Chiesa comunale detta “del Voto”, vicinissima al Duomo, in cui abbiamo potuto provare garantendo tutti i distanziamenti necessari. Nella sede dell’Istituto abbiamo installato le paratie in plexiglass e tutto quanto occorre per la igienizzazione. Ringraziando Dio e grazie ad un atteggiamento equilibrato e sereno, sia in Cappella che in Istituto non si sono mai creati focolai. Durante tutto il lockdown, ogni domenica sono state trasmesse in diretta le Messe presiedute dal Vescovo. Un piccolo gruppo di cantori della Cappella ha sempre accompagnato queste liturgie. Ogni domenica abbiamo aiutato a pregare migliaia di persone raccolte in preghiera nelle loro case.

In Cattedrale non c’è spazio solo per l’attività liturgica, ma anche per la formazione musicale e per le proposte concertistiche. In che misura sono compatibili questi diversi aspetti? Come ho accennato prima parlando di Cappella Musicale e Istituto Diocesano di Musica Sacra, gli aspetti da lei citati entrano necessariamente in sinergia l’uno con l’altro, arricchendosi vicendevolmente. La liturgia, però, resta sempre il vertice verso cui protende ogni sforzo. Ad esempio, sappiamo bene come un coro che si misuri anche nel repertorio concertistico poi, quando si dedica alla liturgia, lo fa con una sicurezza e una duttilità maggiori. Parallelamente, attraverso lo stimolo del concerto, è possibile introdurre con naturalezza dei momenti di crescita e approfondimento. Ad esempio, nel 2019, abbiamo tenuto due concerti realizzati in collaborazione con alcuni docenti del PIMS, i professori Praßl, Marini, p. Flury e Marzilli. Questo progetto ha rappresentato per noi un’occasione di crescita straordinaria visto l’altissimo profilo artistico di questi professori. Desidero aggiungere che i concerti sono mezzi di evangelizzazione ed elevazione spirituale, che completano in modo naturale la dimensione liturgica della nostra attività, consentendoci di raggiungere persone altrimenti lontane. Vista la situazione generale, mi consenta la domanda: come avete vissuto il periodo pandemico a partire dallo scorso anno? Ci siamo attenuti scrupolosamente a tutte le disposizioni ministeriali, regionali e, in ultima analisi, della CEI in accordo col Governo. Non ho potuto convocare ancora nella sua interezza la Schola Polifonica, ma con tutti gli altri tre cori, a partire dallo scorso settembre, abbiamo ripreso. Inoltre, da

Nella foto: Pueri, Juvenes, Polifonico e orchestra per Requiem Fauré.

A titolo di cronaca, vuole ricordarci alcuni dei risultati di eccellenza da voi raggiunti e di cui va particolarmente orgoglioso? Nel 2003 i miei Pueri furono in grado di eseguire la Johannes-Passion di Bach, avendola imparata in un solo anno scolastico, pur prestando regolare servizio liturgico e tenendo altri concerti. Non potrò poi mai dimenticare l’esecuzione del Requiem di Mozart, nel 2006, o l’esecuzione della Resurrezione di Cristo, nel 2009, in cui diressi un coro di 350 persone e un’orchestra di 50! Alcuni miei ex Pueri sono diventati musicisti oppure oggi mi portano i loro figli a Propedeutica corale…significa che serbano un buon ricordo e quindi ritornano, ma significa anche che gli anni passano… Avere ospitato quasi tutti i più grandi organisti del mondo, da cui ho imparato tantissimo, ha costituito uno stimolo straordinario. L’aver stabilito importanti collaborazioni all’insegna dell’amicizia e della stima reciproci con musicisti di

LA CAPPELLA MUSICALE DEL DUOMO DI MODENA | 17


fama internazionale come alcuni solisti dei Berliner Philarmoniker, Andrea Griminelli e tanti altri. Senza significativi aiuti economici, l’Istituto di Musica Sacra, che cura anche la formazione dei coristi della Cappella Musicale, conta 143 studenti: in tempo di pandemia, è una grazia! In questi anni abbiamo eseguito di J.S. Bach le Passioni secondo Matteo e Giovanni, la Messa in si minore e il Magnificat, molto Mozart, tutto Vivaldi, Duruflè e Faurè, di Perosi alcuni oratori (Il Natale del Redentore, La Risurrezione di Cristo e il Transitus animæ) e alcune Messe. Sono contento che non sia mai mancata la grande musica. Tanta fatica, ma tanta bellezza! Credo di poter dire con una certa sicurezza che siamo entrati nel cuore dei nostri concittadini.

apertura mentale, coraggio, tempestività, fede sono solo alcuni degli aspetti imprescindibili che occorrono per dedicarsi a quest’arte meravigliosa, fatta più di cielo che di terra, quindi più ostacolata che incoraggiata. Sviluppare il nostro talento in un coro parrocchiale, in un movimento o in un’associazione, in Conservatorio o in una grande cattedrale è assolutamente secondario: tutto dipende dai misteriosi disegni che ha Dio su di noi. A noi non resta altro da fare che assecondare questi disegni con grandissimo impegno, trafficando i nostri talenti e lasciandoci condurre dove Egli vuole. La Grazia si appoggia sempre sulla buona volontà.

Ultimo punto. Che consigli o incoraggiamenti si sente di lanciare a quanti desiderano dedicarsi alla Musica Sacra e, in particolare, a quella Liturgica? Innanzitutto penso che dedicarsi alla musica sacra sia stupendo e che vada incoraggiato in ogni modo. Coloro che desiderano impegnarsi in questa direzione, però, sappiano che quel desiderio glielo ha messo nel cuore il Signore. Si tratta di un dono ricevuto, un talento che si ha il dovere di far crescere giorno dopo giorno per poter essere così condiviso secondo il disegno del Creatore. Talento, preparazione adeguata e permanente, tenacia e grandissima forza d’animo, umiltà, elasticità interiore,

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Nella foto: Concerto in Santo Stefano con Mirella Freni in prima fila

Concorso Internazionale di Composizione per Cori di Voci Bianche - www.corinfesta.it


DI STEFANIA RONCOFFI-

Giugno, Luglio, Agosto, Settembre.

Direzione Artistica: Silvia Biasini e Fabio Pecci Organizzazione: Francesco Leonardi e Delegazioni Provinciali www.vocineichiostri.it

AERCO - Via Barberia, 9 - Bologna (BO) - Tel. +39 051 0067024 - ufficio@aerco.emr.it - www.aerco.it


Storia

Canto Gregoriano al femminile Le Domenicane bolognesi DI STEFANIA RONCROFFI Gli studi sul canto gregoriano riguardano prevalentemente gli usi e le consuetudini liturgiche e musicali di comunità religiose maschili, tanto che per parecchio tempo si è creduto fosse praticato esclusivamente da uomini. Ancora in tempi recenti alcuni testi fanno esclusivo riferimento alle voci virili e non sempre sono state benevolmente accolte esecuzioni del repertorio gregoriano da parte di cori femminili. La ricerca storica, basata principalmente sull’esame di manoscritti musicali e delle regole emanate dai vari ordini religiosi, ha messo in luce il ruolo centrale del canto all’interno delle istituzioni femminili medievali. La preghiera cantata era ritenuta la più efficace presso Dio e ne viene rimarcata l’importanza come pratica quotidiana nelle principali regole monastiche femminili susseguitesi nel corso dei secoli, a partire da quella di sant’Agostino (354-430). Al canto partecipavano di solito solo le monache coriste, di nobili natali, mentre le famulae o servientes, in seguito denominate converse, provenienti dai ceti meno abbienti, se illetterate, erano esonerate dall’ufficio divino ed erano tenute alla sola orazione mentale e alla recita di un certo numero di preghiere conosciute1. La vita claustrale offrì alla monaca corista la possibilità di studiare, di acquisire le abilità musicali necessarie per partecipare con competenza al canto e talvolta anche di comporre pezzi destinati al culto. Sopravvivono alla storia solo i nomi di celebri figure quali Ildegarda di Bingen (1098-1179) e Herrad di Landsberg (ca. 1130-1195), badessa di Hohenburg, che si sono dedicate alla musica in modo inconsueto e singolare, ma al di là di questi casi eccezionali, il canto era di norma praticato nei monasteri femminili, principalmente nell’ufficio divino

e nella messa. Per assolvere il servizio liturgico le varie comunità monastiche disponevano di ricche dotazioni librarie2, che nel corso dei secoli sono state smembrate, disperse e talvolta distrutte. Una ricca collezione di libri corali provenienti da istituzioni religiose femminili è rappresentata dai manoscritti appartenuti ai monasteri domenicani bolognesi di Sant’Agnese e Santa Maria Maddalena di Val di Pietra. San Domenico, poco prima della morte, avvenuta a Bologna nel 1221, aveva espresso il desiderio di edificare in città una casa per le monache. Il progetto venne realizzato due anni dopo, nel 1223, dal suo successore Giordano di Sassonia e da Diana, della ricca famiglia degli Andalò, che fondarono il monastero di Sant’Agnese3, quarta comunità domenicana femminile in Europa dopo Prouille, Madrid e Roma, modello per la nascita di altre comunità femminili bolognesi dell’ordine4: tra queste Santa Maria Maddalena di Val di Pietra, che sorse verso la fine del XIII secolo e divenne celebre per il miracolo eucaristico della beata Imelda Lambertini5. Entrambi i monasteri possedevano 2. Cfr. Giacomo Baroffio, I libri liturgici in uso presso comunità religiose femminili con un’appendice sulla benedizione della badessa, in Celesti sirene II, Musica e monachesimo dal Medioevo all’Ottocento, Atti del secondo seminario internazionale di studi svoltosi a San Severo di Puglia dall’11 al 13 ottobre 2013, a cura di Annamaria Bonsante e Roberto Matteo Pasquandrea, Foggia, Cafagna Editore, 2015 («Le vie dei suoni», 2), pp. 69-104. 3. Cfr. Maria Giovanna Cambria, Il monastero domenicano di Sant’Agnese in Bologna. Storia e Documenti, Bologna, Tipografia SAB, 1973. 4. Cfr. Gabriella Zarri, I monasteri femminili a Bologna tra il XIII e il XVII secolo, «Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna», XXIV, 1973, pp. 133-223.

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1. Cfr. Vincenza Musardo Talò, Il monachesimo femminile. La vita delle donne

5. Sulla storia del monastero di Santa Maria Maddalena di Val di Pietra

religiose nell’Occidente medievale, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo,

cfr. Tommaso Alfonsi, La beata Imelda Lambertini domenicana, Bologna,

2006, p. 376.

Tipografia Parma, 1927.

STORIA


Stefania Roncroffi Stefania Roncroffi ha conseguito il dottorato di ricerca in Musicologia e Beni musicali all’Università di Bologna. Ha pubblicato vari testi di interesse musicologico, relativi soprattutto alla monodia liturgica medievale: in particolare si è occupata del canto gregoriano nei monasteri femminili bolognesi, della notazione nonantolana, dei manoscritti reggiani medievali con notazione musicale. L’ultima pubblicazione riguarda i codici di canto liturgico dell’Archiginnasio e della Biblioteca della Musica di Bologna. È docente di storia della musica e materie affini nei corsi di Alta Formazione Artistica e Musicale all’Istituto Superiore di Studi Musicali di Reggio Emilia e Castelnovo ne’ Monti.

Fig. 1 - Bologna, Museo Civico Medievale, Ms. 521, c. 1v, Cristo benedice due monache domenicane

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31 manoscritti di largo formato, prevalentemente graduali e antifonari, prodotti tra la seconda metà del XIII e la fine del XVI secolo, custoditi in prevalenza a Bologna al Museo Civico Medievale e al Museo della Musica con qualche volume, finito nelle mani di collezionisti, poi approdato alla Biblioteca dell’Archiginnasio, alla Biblioteca Estense di Modena e alla Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma7.

Fig. 2 - Bologna, Museo Civico Medievale, Ms. 521, c. 54v, san Domenico benedice una monaca domenicana proabilmente Diana d’Andalò

una ricca dotazione di libri corali, dispersa nel corso del tempo, soprattutto a seguito della soppressione delle due istituzioni religiose in epoca napoleonica. Le peculiarità liturgiche, gli studi sulle miniature6, alcuni elementi relativi alla storia delle collezioni bolognesi, nonchè le rare note di possesso hanno consentito di ricostruire gran parte del loro patrimonio librario. Si tratta di 6. Fondamentali gli studi sulle miniature di Massimo Medica, Fabrizio Lollini e Silvia Battistini. Si citano in proposito tra gli altri Duecento. Forme e colori del Medioevo a Bologna, catalogo della mostra (Bologna, 15 aprile - 16 luglio 2000), a cura di Massimo Medica, Venezia, Marsilio, 2000, pp. 248-257, 365-371, 373-375 e 377-379 (schede di Fabrizio Lollini, Giovanni Valagussa e Simonetta Nicolini), e Massimo Medica, Libri miniati per le Domenicane di

Un’indagine approfondita sul loro contenuto ha permesso di constatare che i canti previsti per la liturgia della messa e dell’ufficio divino sono gli stessi delle comunità maschili: le monache domenicane cantavano tanto quanto i confratelli, anzi avevano il compito di sostenere con la preghiera cantata la loro attività di apostolato. La ricerca ha messo in luce inoltre una certa uniformità in materia liturgica, derivante dalla rigidità dell’ordine domenicano al proposito. Infatti, verso la metà del Duecento, sotto il generalato di Umberto di Romans, era stato emanato un codice, chiamato oggi comunemente archetipo domenicano, che doveva costituire il prototipo dei libri liturgici prodotti per le varie comunità. Nonostante una prevalente uniformità con l’archetipo, sono emersi nei codici dei due monasteri peculiarità del culto di precisi santi, espressi soprattutto nella produzione di nuovi uffici e sequenze. I manoscritti del monastero di Santa Maria Maddalena contengono cinque uffici inediti, mentre due sono presenti nei codici di Sant’Agnese. Si tratta di raccolte di responsori e antifone in versi, in prosa o ibridi (versi e prosa), che spesso, con toni enfatici, descrivono la figura e la biografia di santi, cui erano riservati culti peculiari. Particolarmente interessante, per le implicazioni storiche e in quanto interamente in versi, è l’ufficio della Traslazione di santa Maria Maddalena, contenuto nel ms. 519 del Museo Medievale, relativo alla vicenda del presunto ritrovamento del corpo della santa da parte di Carlo d’Angiò nel 1279. La creatività delle monache bolognesi si esprime anche nel genere della sequenza, particolarmente idoneo all’esaltazione dei santi che onoravano una chiesa o una terra con imprese e miracoli. Le sequenze domenicane contenute nell’archetipo sono 27, di cui 16 dedicate alla Vergine, particolarmente venerata presso gli ordini mendicanti nel secolo XIII. Nei codici dei due monasteri si riscontra la presenza di tutte le 27 sequenze stabilite, ma l’esigenza di ampliamento del repertorio e il desiderio di solennizzare in modo originale alcune festività ha portato all’introduzione di altri brani non ufficialmente richiesti:

Bologna: committenti, co­pisti e miniatori tra XIII e XVI secolo, in Un Libro per

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le Domenicane. Il restau­ro del collettario duecentesco (ms. 612) del Museo

7. Cfr. Stefania Roncroffi, Psallite sapienter. Codici musicali delle Domenicane

Civico Medievale di Bologna, a cura di Massimo Medica, Padova, Nova

bolognesi, Firenze, Olschki, 2009 («Historiae Musicae Cultores», 118), da cui si

Charta, 2011, pp. 45-61 con bibliografia precedente.

sono attinte le informazioni per la stesura del presente articolo.

STORIA


Fig. 3 - Bologna, Museo Civico Medievale, Ms. 519 c 228r, Cristo risorto appare alla Maddalena

sette in uso presso la comunità di Sant’Agnese e altri 16 presso quella di Santa Maria Maddalena, cui si aggiunge il caso particolare dello Stabat Mater che, in base agli studi compiuti da Cesarino Ruini8, costituisce una delle prime attestazioni del celebre testo presentato nella forma della sequenza. In base al confronto con i principali repertori di studio, alcune di queste sequenze sono risultate di nuova invenzione e probabilmente erano cantate solo a Bologna: tre in Sant’Sant’Agnese (due per la protettrice e una per sant’Orsola e compagne) e sette in Santa Maria Maddalena di Val di Pietra (una per la protettrice, tre per san Giovanni Battista e tre per san Giovanni Evangelista). Tutte prodotte fra i secoli XIII e XIV, si configurano strutturalmente vicine alla forma dell’inno, con strofe musicalmente uguali a due a due, ad eccezione di una con melodia autonoma, collocata in varia posizione. Il rinnovamento dei testi non sempre corrisponde ad una originalità melodica e sono presenti situazioni di adattamento del nuovo testo a melodie preesistenti,

secondo una prassi all’epoca diffusissima: è il caso di alcune sequenze costruite sulla melodia della nota In caelesti ierarchia, dedicata a san Domenico. Tra queste Hodierne lux diei, in onore di sant’Agnese, tramandata da due codici del Museo Medievale, il ms. 521 databile tra la fine del Duecento e gli inizi Trecento (fig. 4), e il ms. 595 cinquecentesco, a testimonianza del perdurare della tradizione a distanza di secoli. Quest’ultimo codice, riccamente decorato, è dedicato alla messa e all’ufficio di sant’Agnese, protettrice dell’omonima comunità monastica, e contiene, tra le altre novità, uno sconosciuto versetto alleluiatico Post festa natalicia, anch’esso, come la sequenza, già cantato nel monastero sul finire del secolo XIII. Il versetto alleluiatico, che tra le parti della messa si presta maggiormente ad essere variato, in questo periodo talvolta diventa in versi, si presenta di estensione maggiore al consueto ed esprime, come la sequenza e l’ufficio, la particolare devozione per un santo. Quattro sono i versetti nuovi cantati in Sant’Agnese, dieci in Santa Maria Maddalena. Complessivamente emerge dunque nei manoscritti appartenuti ai due monasteri una certa varietà e un desiderio di ampliare il repertorio proposto dall’archetipo. La nuova produzione di canti, oltre a testimoniare la creatività delle monache bolognesi, conferma ancora una volta che il canto gregoriano, costituitosi a partire dall’epoca carolingia come un repertorio volto a garantire uniformità di liturgia e musica nelle diverse parti dell’impero, di fatto comprende anche brani peculiari, caratteristici solo di un’area geografica o di una istituzione religiosa, creati per sottolineare culti particolarmente sentiti, che attraverso la musica trovano la loro massima ricchezza espressiva9.

8. Cfr. Cesarino Ruini, Un’antica versione dello Stabat Mater in un graduale delle Domenicane bolognesi, in «Deo è lo scrivano ch’el canto à ensegnato». Segni e simboli della musica al tempo di Jacopone. Atti del convegno svoltosi a Collazone il 7-8 luglio 2006, a cura di Ernesto Sergio Mainoldi e Stefania

Fig. 4 - Bologna, Museo Civico Medievale, Ms. 521, c. 230v, sant’Agnese.

Vitale, «Philomusica on-line», 9/3, 2010, pp. 213-234. 9. I dati sui canti inediti e le loro caratteristiche sono tratti da Roncroffi,

Si ringrazia il Museo Civico Medievale di Bologna per la gentile autorizzazione

Psallite sapienter cit., pp. 73-82.

alla riproduzione delle immagini.

CANTO GREGORIANO AL FEMMINILE | 23


Analisi

Johann Sebastian Bach Il mottetto «Jesu, meine Freude» BWV 227

DI FABRIZIO DEFRAIA

ANALISI Fabrizio Defraia Fabrizio Defraia, nato a Cagliari nel 1990. Da sempre appassionato di musica antica, ha studiato organo con Giorgio Parolini e musica corale con Michele Napolitano. Nel 2017 consegue il diploma accademico di I livello in direzione di coro e composizione corale presso il Conservatorio Statale di Musica di Cagliari con una tesi sul mottetto Jesu, meine Freude BWV 227 di Johann Sebastian Bach. Attualmente studia musicologia presso il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali di Cremona dell’Università degli Studi di Pavia.

La raccolta di sei mottetti bachiani BWV226-230 ad oggi pervenutaci è costituita da un insieme di composizioni eterogeneo, poiché ciascuno di essi è stato composto in tempi diversi e presenta stili, strutture e soluzioni compositive talvolta assai differenti, così come differenti furono gli eventi per cui ogni singolo mottetto venne composto. È proprio tale natura occasionale la caratteristica della pratica del mottetto nella Germania luterana barocca: non solo tale forma musicale non fu soppiantata dalla novità del corale luterano, ma col pretesto della riforma da un lato nacquero stili mottettistici tedeschi in lingua tedesca, dall’altro la contaminazione coi Kantionalsätze1 e con lo stile concertato diede la luce alla forma della Cantata, che divenne forma privilegiata ad uso della liturgia evangelica, relegando il mottetto a composizione d’uso occasionale. Tale pratica è testimoniata dalle innumerevoli raccolte di mottetti in uso: tra queste in particolare il Florilegium Portense (1618/1621) di Erhard Bodenschatz, in uso presso la Thomasschule, dove Bach fu Thomaskantor a partire dal 1723, e nelle due chiese principali di Lipsia, la Nikolaikirche e la Thomaskirche, e di cui lo stesso Bach si procurò una copia. Quattro dei sei mottetti bachiani sono chiaramente identificabili come musica per cerimonie funebri, tra cui il mottetto Jesu, meine Freude BWV 227. Pervenutoci in copie tardive, il mottetto BWV 227 è l’unico della raccolta a essere scritto a cinque voci e pare essere 1. Col termine Kantionalsatz si intende l’armonizzazione semplice a quattro voci omoritmiche di una melodia composta sul testo di un inno luterano. Tale melodia è posta alla voce superiore per rendere possibile la partecipazione della comunità ecclesiastica al canto religioso. Nell’analisi che segue si farà riferimento ad essa come “melodia del Kantionalsatz” onde evitare l’uso improprio di altre terminologie tecniche quali cantus firmus e simili.

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ANALISI


quello eseguito “più frequentemente di tutti gli altri messi insieme”2. In esso Bach utilizzò sia i versi della Lettera di S. Paolo ai Romani 8,1,2,9,10,11, sia le sei strofe del Lied Jesu, meine Freude di Johann Franck del 1653, musicate come corale luterano da Johann Crüger nello stesso anno. Un problema fondamentale su cui si è dovuta scontrare la ricerca musicologica è stato indubbiamente stabilire la specifica occasione per cui fu composto il mottetto, poiché tre erano le possibili circostanze di esecuzione di musica funebre a Lipsia a quei tempi: in primis nella camera ardente prima della processione funebre, oppure durante il sermone della messa di sepoltura, infine durante la messa commemorativa successiva alla data di sepoltura del defunto. Era opinione comune che fosse stato commissionato proprio per tale ultima circostanza, ovvero la messa commemorativa celebrata il 18 luglio 1723, presso la Nikolaikirche, in onore di Johanna Maria Rappold (o Rappolt), figlia del rettore della Nikolaischule e vedova di Johann Jacob Kees, commerciante, consigliere comunale e alto funzionario delle poste. Deceduta il 29 giugno, fu sepolta il 2 luglio presso la Paulinerkirche. Dapprima Werner Neumann3, in un suo saggio del 1970, e a seguire il teologo Martin Petzoldt, in due studi del 1982 e 1985, sottolinearono come non vi siano riferimenti all’esecuzione del mottetto BWV 227 nelle testimonianze documentarie della Nikolaikirche: unico legame andrebbe individuato col sermone declamato dall’allora pastore Salomon Deyling, dato che utilizzò i versi della Lettera ai Romani 8,1,2,6-11,14,15,28. Scartata pertanto tale ipotesi di esecuzione restano da considerare le altre due possibili occasioni: Petzoldt escluse anche l’ipotesi della messa di sepoltura in seguito al ritrovamento di un’istanza, scritta dal figliastro della defunta al principe sassone e datata al giorno del funerale, contenente un’annotazione secondo cui la sepoltura dovesse svolgersi in silenzio, senza accompagnamento musicale. Non resta che considerare l’ipotesi che il mottetto fosse stato eseguito prima della processione funebre, nella camera ardente della defunta. Ma come avveniva l’esecuzione di un mottetto funebre nella Lipsia barocca? Cantare ai funerali era una ghiotta

Corale Figurato

Spruchmotette

Corale Figurato Terzetto Corale variato

occasione per gli studenti della Thomasschule, poiché consentiva loro di ricevere compensi in denaro che permettevano di pagare la retta settimanale imposta dal Consiglio Comunale, pertanto cantavano a tutti i funerali della città, esclusi quelli dei bambini e dei poveri. Erano quattro le tipologie di funerale che i cittadini potevano richiedere, in base alla disponibilità economica: la scuola poteva essere convocata al completo, oppure con la metà più grande, la metà più piccola e infine con un quarto della scuola, e il Kantor partecipava solo alle prime due. Riguardo invece la prassi esecutiva il dibattito musicologico è controverso e animato. Tre erano le tipologie principali di esecuzione di un qualsiasi mottetto nel XVIII secolo: a cappella, coro accompagnato da basso continuo, coro e strumenti colla parte e basso continuo. Nello specifico di Lipsia, secondo le ricerche di Richter, nelle principali chiese della città era proibito l’accompagnamento strumentale nella musica da funerale, mentre non era rara l’esecuzione all’aperto con l’accompagnamento di un organo portativo. Il mottetto BWV 227 è articolato in 11 movimenti, in cui risultano perfettamente alternati i testi della lettera paolina e del lied di Franck. Osservando più da vicino l’articolazione dei movimenti è possibile notare una strutturazione simmetrica e speculare: partendo dal sesto movimento, composto in forma di doppia fuga, è contemporaneamente seguito e preceduto da un trittico formato da corale semplice, terzetto e corale variato (movv. 3, 4, 5, e 7, 8, 9), a sua volta seguito e preceduto da un pannello contrappuntistico-imitativo rifacentesi allo stylus antiquus, infine alle estremità troviamo il corale figurato che apre e chiude il mottetto con lo stesso materiale musicale. Tale peculiarità richiama la figura retorica del chiasmo, che rappresenta l’idea cristiana della croce, ed è strettamente correlata al significato testuale dell’intero mottetto, incentrato sulla “battaglia spirituale” tra carne e spirito: il lied luterano e i versi della lettera paolina sono combinati insieme in un itinerario spirituale in cui il fedele è chiamato a discernere quanto è ordine della carne e quanto dello spirito, e a compiere pertanto una scelta.

Doppia Fuga

Corale Figurato Terzetto Corale variato

Spruchmotette

Corale Figurato

2. Klaus Hofmann, Johann Sebastian Bach. Die Motetten, Kassel, Bärenreiter, 2005, p.116. 3. Werner Neumann (1905-1991) fu personalità di spicco negli studi bachiani: fondatore del Bach-Archiv Leipzig nel 1950, fu il principale editore della Neue BachAusgabe, nonché editore del Bach-Jahrbuch insieme ad Alfred Dürr.

JOHANN SEBASTIAN BACH | 25


Il mottetto si apre e si chiude con il verso Jesu, meine Freude, ovvero “Gesù, mia gioia”, gioia segnata contemporaneamente dalla presenza e dall’assenza dell’amato, situazione in cui si forma il desiderio, mentre il cuore si affanna e sospira: essenza dell’esperienza cristiana, è su questa fenditura che avviene il duello spirituale. In apertura del mottetto troviamo un corale figurato a quattro voci elaborato nello stile tipico luterano: melodia del Kantionalsatz al soprano, omoritmia predominante delle parti, ma soprattutto utilizzo della struttura della Barform. Eredità della tradizione poetico-musicale dei Minnesänger trecenteschi, consta di due stollen e un abgesang conclusivo, ovvero una struttura del tipo AAB, che ricorre in tutti e quattro i corali figurati. Oltre all’interessante condotta melodica del tenore, che con salti ascendenti di sesta e apici melodici evidenzia retoricamente alcune parole chiave (“pascolo del mio cuore”, “il mio cuore ti desidera”, vedi Es.1), assume grande rilievo l’espressione Gottes Lamm, mein Brautigam, ossia “Agnello di Dio, mio fidanzato”. Tale espressione fa riferimento alla mistica nuziale tipica dell’ortodossia luterana del XVIII secolo, e possiede radici profonde nella Bibbia: dal Vangelo di Giovanni, in cui l’agnello di Dio è presentato come sposo, all’Apocalisse, in cui si fa riferimento alle nozze dell’agnello.

Es.1: 1° movimento, Jesu, meine Freude. In evidenza la parte del tenore.

Es.2: 3° movimento, Unter deinem Schirmen, batt. 110-111. Dettaglio del primo verso dell’abgesang.

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ANALISI


Già dal secondo corale figurato, corrispondente alla seconda strofa del testo di Franck (Unter deinem Schirmen), si hanno i primi segnali del duello: unico dei corali a essere armonizzato a cinque voci, si fa riferimento alle tempeste scatenate dai nemici, alla furia di Satana, ai lampi e ai tuoni. Il carattere si fa teso e musicalmente predomina la resa madrigalistica del testo, arrivando all’apice nell’abgesang: ob es itzt gleich kracht und blitzt, “anche se lampeggia e tuona”, realizzato con un madrigalismo collettivo delle quattro voci inferiori che amplificano il significato testuale già poeticamente carico grazie all’abbondanza di consonanti sorde e aspirate (vedi Es.2). Questo corale è presente anche nella Cantata Jesus schläft, was soll ich hoffen? BWV 81 (1724) come ultimo movimento a quattro voci e strumenti colla parte: tale Cantata condivide col mottetto sia la tonalità d’impianto, sia l’aspetto del dramma spirituale, basato sull’aspra dialettica tra le forze negative del mare (simbolo del caos, della morte e del giudizio divino) e l’intervento di Cristo che le contrasta4. È nella terza strofa del testo di Franck che avviene la battaglia tra carne e spirito: in posizione quasi centrale nel mottetto (quinto movimento), è elaborato musicalmente come corale variato a cinque voci e raggiunge l’apice tensivo dell’intera composizione. La melodia del Kantionalsatz è irriconoscibile, fusa nei contorni melodici dei soprani: non è più elaborata come tenor, ma diviene spunto per la creazione di materiale musicale nuovo. L’ascoltatore è subito calato nell’azione, già dalla prima armonia dissonante che apre il corale: è l’unico movimento che inizia con un accordo di settima in primo rivolto. Vasto è il ricorso a figure retoriche e dissonanze, già dall’esclamazione reiterata dei primi versi: Trotz! Trotz dem alten Drachen, | Trotz! Trotz des Todes Rachen, | Trotz! Trotz der Furcht darzu!, ovvero “Sfida5 all’antico drago (o serpente), sfida alle fauci della morte, sfida anche alla paura!” (vedi Es.3). False relazioni, accordi di settima diminuita, scale ascendenti realizzate con note veloci (anabasi), salti d’ottava al basso, sono tutti espedienti retorici che amplificano singole parole o concetti (“paura”, “scaténati, o terra!”, “la terra e gli abissi dovranno tacere”, vedi Es.4). Improvvisamente, nel cuore della lotta, interviene una decisione: Ich steh hier und singe | in gar sichrer Ruh, ovvero “io resto qui e canto | nella più sicura tranquillità”. Formula dal sapore estremamente luterano, dato che rimanda alle parole di Lutero pronunciate dinanzi al Reichstag di Worms il 18 aprile 1521 (“Qui resto e altro non posso fare”), essa avvia un tempo di discernimento che si fissa su quanto sia ordine della carne in senso paolino. Il movimento si chiude riproponendo l’accordo di settima iniziale seguito da un lungo vocalizzo sulla parola brummen (“rumoreggiare”), che dipinge efficacemente tale cupa immagine grazie all’utilizzo della vocale “u” e dei registri gravi delle voci (vedi Es.5).

Es.3: 5° movimento, Trotz dem alten Drachen, batt. 147-157. Dettaglio della melodia del Kantionalsatz nei contorni melodici dei soprani, reiterazione dell’esclamazione Trotz e accordo di settima iniziale. 4. Raffaele Mellace, Johann Sebastian Bach. Le Cantate, Palermo, L’Epos, 2012, pp. 160-62. 5. Gardiner suggerisce che la parola trotz grammaticalmente sia in realtà una preposizione che significa “nonostante”, ma nel contesto dell’inno di Franck assume la risonanza del nome Trotz, che esprime sfida e ripicca: «un guanto lanciato al “vecchio dragone” convocato davanti ai nostri occhi con la vivacità visuale di un Cranach o di un Grunewald». John Eliot Gardiner, La musica nel castello del cielo, Torino, Einaudi, 2015, p. 495.

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Es.4: 5° movimento, Trotz dem alten Drachen, batt. 162-164 e 190-197. Dettaglio delle figure retoriche del basso.

Es.5: 5° movimento, Trotz dem alten Drachen, batt. 201-209. Dettaglio dell’accordo di settima, figure retoriche e lungo vocalizzo sulla parola brummen.

Proseguendo con le strofe dell’inno di Franck appare chiara la scelta compiuta dal fedele. La quarta strofa è resa musicalmente come corale figurato a quattro voci: il soprano esegue la melodia del Kantionalsatz, mentre le voci inferiori sono armonizzate in uno stile florido. Le negazioni weg e nicht vengono retoricamente reiterate, a sottolineare l’esito del duello spirituale come suggerito dal testo: “Via da me tutti i tesori, | sei tu il mio piacere, | Gesù, mio desiderio! | Lungi da me, vani onori, | rifiuto di ascoltarvi, | non voglio conoscervi! | Miseria, pena, croce, disgrazia e morte, | qualunque cosa io debba patire, | non mi separeranno da Gesù” (vedi Es.6). La quinta strofa è resa musicalmente come corale variato: a differenza di Trotz il carattere è dolce e leggero, infatti l’organico prevede quattro voci senza il basso. Insieme al secondo terzetto sono gli unici movimenti del mottetto scritti in una tonalità diversa, inoltre riporta le caratteristiche tipiche del corale organistico secondo il genere del Quatuor: la melodia del Kantionalsatz è affidata al contralto come tenor, i due soprani dialogano tra loro in rapporti di terza con incipit imitativi e progressioni, mentre il tenore è relegato a voce di accompagnamento nello stile di spazierenden Bass (“basso mobile”) dato il caratteristico movimento fluido di crome. Complessivamente si ha l’impressione di una ninna nanna, in cui il fedele dice addio a quanto è ordine della carne nella vita terrena: “Buonanotte, o esistenza, | che hai scelto

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ANALISI


Es.6: 7° movimento, Weg mit allen Schätzen, batt. 258-259 e 274-276. Dettaglio delle negazioni reiterate weg e nicht. il mondo, | (…) soprattutto a te, o vita di iniquità, | buonanotte” (vedi Es.7). Tale corale compare sia nella già citata Cantata BWV 81, sia come Adagio nella Triosonata in Sol maggiore BWV 1038 per flauto, violino e basso continuo6. Il testo paolino è adoperato da Bach nello spirito dell’ortodossia luterana, sottolineando quel riferimento all’interiorità nascosta dell’itinerario spirituale e mistico del fedele presente nell’inno di Franck. Tutti i versetti utilizzati, infatti, si

Es.7: 9° movimento, Gute Nacht, o Wesen, batt. 300-312. Dettaglio dell’impostazione compositiva delle voci: i due soprani in rapporti di terze e seste, il tenore in stile di spazierenden Bass, il contralto espone la melodia del Kantionalsatz come tenor. 6. Dato che tale triosonata è considerata spuria da molti studiosi, non è chiaro se sia stato il corale del mottetto a ispirare l’Adagio della triosonata o viceversa.

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riferiscono alla lotta dell’uomo tra desiderio della carne e dello spirito. È già nel testo del secondo movimento del mottetto, realizzato con una scrittura mottettistica contrappuntistico-imitativa a cinque voci di stampo rinascimentale, che si fonda la visione luterana del testo paolino: “Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù”. Si tocca così il fondamento dell’esperienza spirituale di Lutero, poiché “non sono condannato dal momento che sono in Cristo Gesù”, in altre parole “sono salvato dalla sola fide”, che si esplica nella scelta consapevole. Seguendo la decisione di credere in Cristo Gesù si arriva alla parte centrale del mottetto, il sesto movimento, articolato come doppia fuga a cinque voci. Qui ha sede il luogo di conversione: “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi”. Espressione centrale dell’ortodossia luterana cristocentrica, dimostra come l’effetto dello spirito che dimora in me sia quello di liberarmi dalla schiavitù del peccato e della morte, rendendomi capace di decisione. Su questa doppia dichiarazione sono posti i due soggetti della fuga, composti secondo l’antico artificio del contrappunto doppio alla decima, così da permettere che, nell’ultima sezione della fuga, i due soggetti vengano esposti insieme in un climax crescente. Nell’Adagio che segue la fuga compare una forte dichiarazione, di cruciale importanza per il senso generale del testo del mottetto: “Chi non ha lo spirito di Cristo, non è suo”. In essa si scontra la mistica nuziale con il paradosso dell’unione tra credente e Crocifisso: lo spazio improvvisamente si apre e resta sospeso alla figura dell’appartenenza a Cristo, in cui si identifica l’Agnello e il fidanzato. Due versetti del testo paolino, il 9 e l’11, sono musicati come terzetti. Il primo commistiona elementi di stile mottettistico, dati dal ricorso a incipit imitativi realizzati con l’uso di parole-motivo, ed elementi di stile di trio con basso continuo. Nel secondo invece prevale lo stile di trio con basso continuo: non mancano parole-motivo che danno luogo a incipit imitativi, ma il basso mantiene comunque un carattere da basso continuo. Interessante notare come la vivacità della tonalità di Do maggiore, chiara e luminosa, insieme alle ampie colorature di semicrome sulle parole “spirito”, “vita” e “giustizia”, esprimano l’ossimoro dell’antìtesi tra la morte del corpo causata dal peccato e la vivacità dello spirito. Nel decimo movimento, reso similmente al secondo come scrittura contrappuntistico-imitativa, è l’annuncio della risurrezione a concludere la dinamica della “vita dello Spirito”: “Se lo Spirito di Dio, che ha resuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha resuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”. Rispetto al secondo movimento compare qui una sezione centrale che inizia in Sol maggiore, cui segue poco dopo un accordo di settima diminuita (vedi Es.8): questo chiaroscuro improvviso ben evidenzia da un lato la resurrezione di Cristo, dall’altro la parola “i morti”. Interessante anche trattamento del coro a cinque voci, che realizza un vero e proprio dialogo tra il soprano e il resto dell’organico fino al ritorno in omoritmia sulla parola “morte”: espedienti tipici della scrittura per doppio coro, sono qui adoperati efficacemente in una scrittura per organico ridotto.

Es.8: 10° movimento, So nun der Geist, batt. 414-418. Dettaglio della modulazione improvvisa a Sol maggiore e accordo di settima diminuita sulla parola Toten.

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ANALISI


Il mottetto si chiude con l’ultimo corale figurato sul testo dell’ultima strofa dell’inno di Franck. Il materiale musicale è lo stesso del primo corale che apre il mottetto, mentre il testo esprime il coagulo finale del discernimento: “Via, spiriti di tristezza, | poiché il Signore della Gioia, | Gesù, ecco arriva”. Questo verso riecheggia il versetto dell’Apocalisse 3,20: “Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Con l’ultimo verso che, come abbiamo visto, contemporaneamente apre e chiude il mottetto, l’itinerario spirituale dell’inno è profilato sia in senso circolare che lineare: la circolarità è denotata da quest’ultimo verso, la linearità è compresa in tali estremi, segnata dalla lotta spirituale che chiama al discernimento e a una decisione.

BIBLIOGRAFIA Johann Sebastian Bach, Motetten. BWV 225-230. Herausgegeben von Konrad Ameln. Chorpartitur, Kassel, Bärenreiter, 1995. (Urtextausgabe aus: Johann Sebastian Bach, Neue Ausgabe sämtlicher Werke, herausgegeben vom Johann-Sebastian-Bach-Institut Göttingen und vom Bach-Archiv Leipzig, Serie III, Band 1: Motetten (BA 5026), vorgelegt von Konrad Ameln. Alberto Basso, Frau Musika. La vita e le opere di J. S. Bach, vol. 1, Torino, EDT, 1979. Alberto Basso, Frau Musika. La vita e le opere di J. S. Bach, vol. 2, Torino, EDT, 1983.

Martin Petzoldt, Überlegungen zur theologischen und geistigen Integration Bachs in Leipzig 1723, in Beiträge zur Bachforschung, 1, Leipzig, Nationale Forschungs - und Gedenkstätten Johann Sebastian Bach der DDR, 1982. Martin Petzoldt, J. S. Bachs Bearbeitungen des Liedes «Jesu, meine Freude» von Johann Franck, in Musik und Kirche, 55, Kassel, Bärenreiter, 1985. Christoph Teobald – Philippe Charru, La teologia di Bach, Bologna, EDB, 2014 («Sguardi, collana a cura di Pier Luigi Cabri e Roberto Alessandrini»).

Alberto Basso, L’età di Bach e di Haendel, Torino, EDT, 19912 («Storia della Musica a cura della Società Italiana di Musicologia», 6). Lorenzo Bianconi, Il Seicento, Torino, EDT, 19912 («Storia della Musica a cura della Società Italiana di Musicologia», 5). Ferruccio Civra, Musica poetica. Retorica e musica nel periodo della riforma, Lucca, LIM, 2009 («Musica Ragionata», 1). Claudio Gallico, L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento, Torino, EDT, 19912 («Storia della Musica a cura della Società Italiana di Musicologia», 4). John Eliot Gardiner, La musica nel castello del cielo. Un ritratto di Johann Sebastian Bach, Torino, Einaudi, 2015. Klaus Hofmann, Johann Sebastian Bach. Die Motetten, Kassel, Bärenreiter, 2005. Raffaele Mellace, Johann Sebastian Bach, le cantate, Palermo, L’Epos, 2012. Werner Neumann, Eine Leipziger Bach-Gedenkstätte. Über die Beziehungen der Familien Bach und Bose, in Bach-Jahrbuch, 56, Berlin, Evangelische Verlagsanstalt, 1970. Statua di Johann Sebastian Bach - Leipzig (Germania)

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Il personaggio

Il metodo Goitre nell’attività corale Intervista a Giorgio Guiot

Giorgio Guiot DI SILVIA VACCHI

Giorgio Guiot Giorgio Guiot è pianista, direttore di coro e compositore. Ha diretto i Piccoli Cantori di Torino dal 1992 al 2005, lavorando per la diffusione della metodologia Goitre nel mondo della scuola, grazie anche alla revisione del Cantar Leggendo per il quale ha elaborato una specifica guida didattica. Con l’Associazione Cantabile ha elaborato il Relational Singing Model, ed è autore di numerosi articoli e pubblicazioni, tra le quali “Autismo e Musica” e “Insieme” per le edizioni Erickson.

L’alfabetizzazione dei coristi è uno degli obiettivi più perseguiti dalle attività formative dell’associazione. Molti cori si sono mossi in tal senso anche autonomamente proponendo veri e propri corsi di lettura ai propri soci e cercando di integrare tale formazione nella normale attività corale. Uno sforzo che, per dare frutti, deve essere organico. Nato proprio per migliorare le capacità di lettura dei coristi il metodo Goitre ha avuto un ruolo importante nello sviluppo della didattica musicale in Italia negli anni ‘70 e conserva anche oggi una sua validità. Per presentarne le caratteristiche principali e valutarne le potenzialità abbiamo deciso di parlare con Giorgio Guiot, pianista, direttore di coro, esperto di didattica e curatore, nel 2010, della nuova edizione del metodo. Come e quando è nato il suo interesse verso il lavoro di Roberto Goitre? Non l’ho conosciuto personalmente ma mia moglie fece, a suo tempo, parte del coro dei Piccoli Cantori di Torino, formazione di voci bianche fondata da Goitre nel 1972. Prima di dirigerli (dal 1992 al 2005) ho avuto varie volte occasione di accompagnarli al pianoforte. Così conobbi anche il metodo. Inizialmente feci molta fatica a capirlo

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IL PERSONAGGIO


a causa, soprattutto, delle premesse poco chiare scritte da Goitre nella parte introduttiva. Chi lo frequentava negli ultimi anni di vita sostiene che egli volesse ritornare sul “Cantar leggendo” migliorandolo negli aspetti meno convincenti e aggiungendo altri materiali didattici. Di fatto non vi rimise più mano perché non fece in tempo: Roberto Goitre morì improvvisamente nel luglio del 1980. Ricorrono quest’anno i 50 anni dalla nascita del Cantar leggendo ma il compleanno che è importante ricordare ancor prima è quello della solmisazione di Guido D’Arezzo (995 - 1050). Goitre affronta lo stesso argomento a suo tempo studiato da D’Arezzo o, più probabilmente, da vari collaboratori e allievi a lui legati e sensibili alle novità del momento. Ancora oggi riconosciamo a Guido D’Arezzo almeno due meriti: - aver utilizzato un canto, il celebre Inno di San Giovanni, per insegnare a memorizzarne altri, facendo diventare una sillaba il paradigma di una situazione o, volendo usare termini matematici, una funzione. - Aver organizzato le altezze su righe e su spazi. Sono queste due intuizioni ad aver affrancato la musica dalla trasmissione orale. Forse ci stiamo tornando, a giudicare da quanti maestri sono soliti utilizzare file audio per l’insegnamento delle parti ai coristi. Goitre, nel suo piccolo ha seguito un filone a me molto caro, quello della diffusione della musica. Egli, forse non del tutto consapevolmente, lo ha fatto secondo due direttrici principali: - Una è quella del Tonic sol fa System inglese nato in epoca elisabettiana dal desiderio di creare delle occasioni di crescita culturale, di incontro tra le persone favorendo la pratica musicale e la lettura della musica anche con l’utilizzo di simboli al posto delle note musicali (lettere dell’alfabeto). Si trattava del tentativo di promuovere la pratica del canto anche in caso di analfabetismo musicale. - La seconda, ancora più significativa, è quello di Zoltan Kodaly (1882 - 1967) che ha fatto della lettura relativa (per gradi e funzioni, come la chiamerei io) uno strumento di analisi musicale potentissimo a cui tutti dobbiamo guardare. Per contestualizzare il Cantar Leggendo è forse utile raccontare qualcosa di Goitre: era un musicista di buon livello, formatosi in modo assolutamente tradizionale che collaborava regolarmente con l’orchestra della Rai di Torino. La sua carriera professionale ebbe una svolta quando Ruggero Maghini, grande direttore di coro e fondatore della corale universitaria di Torino, gli chiese di sostituirlo alla guida del suddetto coro. Il lavoro con i dilettanti si rivelò più interessante del previsto e comportò anche alcune trasferte. Durante un viaggio in Ungheria

in occasione di una rassegna egli toccò con mano la realtà corale di quel paese e ne rimase profondamente impressionato: l’attività corale era capillare sia nelle scuole che tra gli adulti e il livello di alfabetizzazione musicale dei coristi, grazie all’impiego sistematico del metodo Kodaly, era altissimo. La didattica di Kodaly si serviva della solmisazione ed utilizzava canti della tradizione orale ungherese come esercizi progressivi per la lettura. Tornato in Italia Goitre decise di dar seguito a queste suggestioni proponendo all’editore Suvini Zerboni di curare l’edizione italiana del metodo Kodaly corredandolo di canti popolari italiani che sostituissero quelli ungheresi. L’allora direttore della casa editrice dottor Gianni Mainato accettò ma gli impose tempi di realizzazione troppo brevi. Forse anche per questo motivo, oltre che per una certa mancanza di organicità, il risultato ebbe un buon successo di vendite ma suscitò anche critiche ed obiezioni tra gli addetti ai lavori. La seconda edizione del metodo non sciolse efficacemente questi nodi nonostante una nuova parte introduttiva scritta dallo stesso Goitre. Ciò nonostante, il volume si diffuse moltissimo. Nel decennio ‘70-’80 l’autore fu assai occupato su altri fronti come la Fondazione della rivista “La Cartellina” (nel 1977) e i primi esperimenti di musicoterapia condotti con Oscar Schindler, (1936 - 2020) pioniere dell’audiologia e della logopedia. È di questo periodo anche il volume di musica per la scuola dell’infanzia “Far Musica è”, all’avanguardia per la didattica dell’epoca. Il sistema del Do mobile illustrato nel Cantar Leggendo venne poi da Goitre usato nella preparazione dei Piccoli Cantori di Torino e del coro Farnesiano di Piacenza da lui costituito nel 1976. Quali sono i punti di forza della concezione didattica di Goitre? Ogni studente di armonia quando affronta i primi bassi da armonizzare si chiede a quale grado corrispondano le cifre. La lettura relativa parte dalle stesse premesse: si tratta di una lettura che è già analisi. Questo porta alla comprensione di ciò che si sta cantando. L’altro punto di forza è che, contrariamente ad altri orientamenti, in questo modo la teoria musicale viene integrata nella lettura. La didattica musicale italiana, invece, spesso ricorre ad altri espedienti per “facilitare” la comprensione. Un po’ più di fiducia nelle capacità degli allievi non guasterebbe. Potremmo contrapporre, con un po’ di fantasia, una visione ortodossa dell’educazione musicale ad una protestante in cui quest’ultima fornisce all’allievo gli strumenti per capire autonomamente ciò che sta cantando mentre l’ortodossa si accontenta di richiedere all’allievo la semplice imitazione di ciò che viene insegnato.

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Crede che questa metodologia sia sufficientemente conosciuta dagli addetti ai lavori e, in particolare, dai direttori di coro? No, assolutamente. Il pensiero, tra tanti maestri, è rimasto in fondo quello che il do mobile sia solo un espediente per semplificare la materia musicale mentre io credo che si tratti di un modo per andare oltre, per far capire di più e meglio al cantore. L’obiezione che banalizza il metodo Goitre definendolo sbrigativamente “cantare tutto in do maggiore” è dura a morire e rimane determinante. Non si capisce che in questo modo si rinuncia all’analisi. È un atteggiamento tipico dei paesi di influenza culturale cattolica. (Italia, Francia, Spagna, Sudamerica...). Nei paesi di cultura tedesca e anglosassone dove si usa la doppia lettura (con le lettere dell’alfabeto) il metodo Kodaly incontra meno resistenze. L’”eredità” di Goitre è stata raccolta? Dopo la sua morte avvenuta nel 1980 diversi musicisti suoi allievi vollero portarne avanti le premesse fondando i centri Goitre (Claudio Chiavazza, Grazia Abbà ed altri). Vi si applicano le metodiche del Kodaly. Si pose anche il problema di una riedizione del metodo che colmasse alcune lacune. L’editore Suvini Zerboni accettò la mia proposta che, a differenza di altri, non comportava una

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IL PERSONAGGIO

riscrittura della versione originale ma prevedeva solo delle integrazioni e l’aggiunta di una vera e propria guida per comprenderne filosofia ed utilizzo. Fu corredata anche da una bella prefazione di Giovanni Acciai che ne contestualizza le caratteristiche dal punto di vista storico. Ritengo che, nella pratica didattica, il metodo sia tuttora poco conosciuto e poco usato. Ha avuto più seguito, invece, quella parte della didattica di Goitre basata sui giochi musicali: giochi d’ascolto, rappresentazione degli intervalli con la chironomia. I cosiddetti “giochi Goitre” sono utilissimi ed io li uso regolarmente con le formazioni corali amatoriali che dirigo. Sono attività che sviluppano l’orecchio e aumentano la consapevolezza del corista. E questo lo riscontro sia nell’ambito tonale che in quello modale. La lettura “con le dita” si può fare anche polifonicamente e la si può utilizzare per chiarire determinate difficoltà presenti nel repertorio. Come integra i principi didattici di Goitre nella conduzione delle prove? Devo riconoscere che forse solo in uno dei miei cori utilizzo regolarmente la metodologia Goitre per la lettura. Buona parte del mio lavoro si svolge nel campo della animazione musicale. In altri casi, come nel coro Poli Etnico di Torino, si tratta di gruppi soggetti a un turn over continuo (il 40% ogni anno). In queste situazioni è

Nella foto: Giorgio Guiot


impossibile fare un vero corso di lettura. Utilizzo talvolta il do mobile come metodo per studiare i passi difficili e lo trovo molto efficace perché esplicita le funzioni armoniche corrispondenti a ciascuna parte. Ben diverso è il caso di un coro con organico stabile e con un’attività regolare dove ci si può permettere un lavoro di preparazione più regolare. A pag.89 del suo libro “Insieme. Canto, relazione e musica in gruppo” ho letto con interesse il paragrafo intitolato “Una serata speciale” nel quale lei racconta di aver assistito, fresco di diploma di conservatorio e con un po’ di supponenza, alla prova di un coro popolare. La descrizione dell’emozione che provò vale la pena di essere trascritta per esteso: “facevano rivivere il senso del canto, della sofferenza o della gioia, con una tensione emotiva che ben presto mi fece dimenticare quella partitura dietro la quale, in un primo momento mi ero nascosto per difendermi dal suono che mi investiva, forse nella speranza di trovare qualche piccolo errore di esecuzione. Quasi un rito più che una esecuzione musicale”. In queste parole ritrovo alcuni dei contenuti più importanti del far coro e riconosco l’ambiente in cui sono cresciuta caratterizzato da una forte socialità e da una grande voglia di esprimersi. Crede davvero che quel tipo di coralità sia in via di estinzione?

più deboli. Ma la ripresa deve essere trainata facendo leva sullo stare insieme, con tutto ciò che comporta, valori culturali soprattutto. Il pericolo è che i maestri meno preparati pensino che la ripresa sia impossibile. Sarà poi importantissimo scrivere tanta musica per riuscire a far cantare anche le formazioni in difficoltà numerica. L’altra fondamentale sfida sarà quella di portare nei cori i giovani, occorrerà investire su questo. C’è bisogno di stimoli e questo è uno dei motivi per cui ho scritto questo libro.

Per approfondire: Roberto Goitre Cantar Leggendo. Nuova edizione a cura di Giorgio Guiot. Suvini Zerboni. Giorgio Guiot Insieme. Canto, relazione e musica in gruppo, Erickson. Roberto Goitre Far musica è, Suvini Zerboni, 1984 (fuori catalogo, reperibile solo in alcune biblioteche musicali) Interessanti riferimenti anche a questi link: https://www.cantabile.it/ https://www.youtube.com/watch?v=kcVyn1m8AdY

Non ne sono certo ma so di aver vissuto in modo molto personale, quasi come un segno di cambiamento, l’addio alle scene di Bepi De Marzi (autunno 2019) con le polemiche che ne sono derivate. Devo dire che io, a mia volta, patisco un po’, recentemente, un certo modo di condurre la coralità. Classificare i cori in livelli, i direttori in base ai concorsi vinti. Ecco, mi sembra che tutto questo porti quasi a una organizzazione, per così dire, “in caste”. Questa maniera di valutare tralascia molti valori e non li considera perché non può misurarli. Se certi valori non sono misurabili non significa certo che non valgano niente! Non sono certo che nelle parole di De Marzi si volesse esprimere questa critica: forse sono io che l’ho voluto interpretare in questo modo. Mi è sinceramente sembrato che vi trasparisse anche una critica all’attuale maniera di fare coro, spesso un po’ “ristretta”. È una polemica in cui mi riconosco e che condivido. Tornando al futuro della coralità non c’è dubbio che bisogna fare qualcosa perché un certo modo di far coro non muoia. Le associazioni corali non hanno, secondo me, dato segnali importanti e, invece, in questo momento ce ne sarebbe un gran bisogno. La pandemia ha avuto effetti pesantissimi sulle dinamiche corali e il rischio che molti cori non riprendano le attività è concreto. Il timore è che ne soffrano soprattutto i cori

Nella foto: Roberto Goitre.

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Didattica

Quando si cerca il futuro nell’antico Palma Choralis e le nuove generazioni di musicisti

DI MARCELLO MAZZETTI E LIVIO TICLI

Criticità come risorse Nel 2015 inizia la storia del Dipartimento di Musica Antica “Città di Brescia” quando Palma Choralis · Research Group & Early Music Ensemble viene chiamata a dare forma ad una struttura didattica a Brescia in virtù dell’esperienza acquisita a livello internazionale in campo performativo, pedagogico e della ricerca musicologica. In città, infatti, si assisteva ad una emergenza culturale di settore che, fra le altre cose, aveva registrato la quiescenza di alcuni importanti festival caratterizzanti il panorama della musica antica da lungo tempo. Anche le proposte accademiche e formative specialistiche – settore in cui l’offerta italiana risultava spesso decentrata rispetto a centri d’avanguardia come la Schola Cantorum di Basilea (CH) o il Conservatorio dell’Aia (NL) – localmente erano ridotte ad occasioni puntiformi o ad alcuni percorsi non integrati in un progetto pedagogico di più ampio respiro. Inoltre, con la storica catalogazione delle collane musicali bresciane stampate fra il 1497 e il 1740 iniziata da Oscar Mischiati e conclusasi in apertura del nuovo millennio, la città sembrava aver saldato il debito verso il proprio patrimonio culturale immateriale, nonostante l’auspicio con cui prese avvio tale iniziativa fosse quello di una rinascita concertistica ed editoriale incentrata sul repertorio antico. L’analisi delle criticità e dei punti di forza micro e macroterritoriali ci ha spinti, dunque, a ripensare alla musica antica partendo dalla formazione di base e modulando un’offerta formativa su tre livelli: 1. una didattica inclusiva per fasce d’età (dall’infanzia alla formazione permanente) e per background musicale (propedeutica e percorsi pre-intra-post accademici), mirata all’acquisizione di competenze di base trasversali

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DIDATTICA

vocali-strumentali con un focus sul Cinque-Seicento; 2. la valorizzazione delle fonti musicali locali grazie ad un network con biblioteche e archivi. 3. la sensibilizzazione a livello locale e internazionale ai rapporti fra musica e territorio attraverso attività incentrate sul genius loci: una Summer School diffusa fra Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna capace di coinvolgere dipartimenti di musica antica esteri (USA, UK) per ricostruire oggi parte di quel soundscape peculiare e irripetibile, grazie ad esperienze musicali intensive per-formative che facciano ampio uso degli edifici e degli organi storici ancora presenti dopo secoli dalla loro costruzione.

Metodologia L’approccio trasversale a tutte le attività intende mostrare sperimentalmente come l’odierna “prassi esecutiva storicamente informata” (degenerante nell’inflazionato monstrum “esecuzione filologica”) rimanga un’etichetta vuota se non supportata (e preceduta) da una “pedagogia musicale storicamente informata”, che costruisca un solido background teorico-pratico di competenze per affrontare in maniera critica e consapevole le pagine musicali del passato e le sue modalità performative. Il syllabus di tutti i corsi è incentrato sulla riscoperta in chiave applicativa: 1. del canto e della vocalità come elementi propedeutici e imprescindibili (anche per la didattica strumentale); 2. della solmisazione come metodo di lettura della musica, dell’intonazione intervallare, dell’ascolto attivo; 3. della mano guidoniana come “strumento” per la fissazione della memoria musicale, e come mezzo analitico, improvvisativo e compositivo; 4. di manoscritti e stampe dell’epoca nell’esecuzione musicale quotidiana al fine di familiarizzare: a. con le diverse notazioni (canto piano, fratto e figurato)


b. con i molteplici formati (libro corale, parti staccate, spartiture) scaturenti da aspetti spaziali e influenti sulla prassi esecutiva (emissione vocale, timbro strumentale, agogica, visualizzazione della musica, realizzazione di pratiche improvvisative); 5. dell’improvvisazione e del contrappunto alla mente per promuovere l’assimilazione di stili e linguaggi musicali apparentemente distanti, favorendo la creatività e una produzione musicale come espressione consapevole del sé. Ampio spazio viene dato alla didattica e s p e r i e n z i a l e che permette un consolidamento fra i testi studiati e i contesti specifici (architettonici e istituzionali) che generarono il repertorio e la sua prassi esecutiva. Un esempio è dato dalla collaborazione fra Palma Choralis e la comunità bresciana che celebra la liturgia secondo il Summorum pontificum: ciò ha permesso di connettere ulteriormente lo studio del repertorio sacro col suo spazio privilegiato, ovvero il rito da cui trae linfa. Gli studenti acquisiscono così una consapevolezza con le fonti, gli spazi e i tempi della liturgia, le forme musicali e l’aspetto improvvisativo, difficilmente acquisibili attraverso una didattica meramente frontale o un’esperienza meramente concertistica.

Il progetto “ex ore infantium” Col fine di favorire e sviluppare alcune collaborazioni con le scuole primarie e i docenti di musica interessati a proporre una didattica integrante musica, arte, lettere e storia, si è creata una vera e propria Unità Operativa per la ricerca e lo sviluppo di una pedagogia ad hoc sulla musica antica per i bambini in età scolare. Scopo di questo progetto è scardinare lo stereotipo che relegherebbe la musica antica a disciplina esclusivamente specialistica. In una versione pilota, “Ex ore infantium” nasce già nel 2010 per poi venire riconosciuto negli anni a seguire, in Europa e oltreoceano, come metodo all’avanguardia sia per

l’iniziazione alla musica in generale e sia per l’efficacia nel portare contenuti così peculiari ai più giovani attraverso attività che coinvolgano e stimolino gli studenti su tantissimi versanti: emozionale, motorio, uditivo, iconico e semantico. Grande attenzione, infatti, viene riservata al potenziamento della memoria e della concentrazione uditiva con effetti positivi sull’apprendimento scolastico trasversale alle discipline studiate, sulla comprensione, sulle capacità sintetico-analitiche, sulla socializzazione e sullo sviluppo del potenziale creativo. I contenuti più tecnici e specifici sono stati oggetto di una riflessione metodologica profonda e di un confronto con la ricerca contemporanea sulla pedagogia musicale così da poter essere veicolati in modo efficace attraverso una serie di attività dal carattere spiccatamente ludico:

QUANDO SI CERCA IL FUTURO RAFFAELE NELL’ANTICO GIORDANI | 37 47


tecniche antiche si fondono, così, ad esercizi di audiopsico-fonologia, per combinare efficacemente la pratica educativa antica con le tecniche di psicomotricità più moderne. Ecco che la lettura cantata attraverso la mano guidoniana e la solmisazione diventa il punto di partenza per apprendere la grammatica musicale in generale: con modalità legate al gioco, in cui il senso della scoperta è parte centrale del processo di apprendimento, anche gli argomenti più complessi che normalmente vengono affrontati solo in sede teorica dagli specialisti (mutazioni di esacordo, ficta, trasposizione, ecc.) vengono resi accessibili e memorizzati così da costituire un bagaglio imprescindibile nella pratica musicale

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DIDATTICA

quotidiana. Allo stesso modo, ritmica e memoria uditiva vengono affrontati a partire dalle fonti storiche, privilegiando e stimolando il processo di mimesis sia nei confronti del docente sia degli allievi con competenze più avanzate (peer education).

Musica antica a scuola e in vacanza l progetto didattico nel tempo è cresciuto adattandosi a occasioni diverse per luoghi, tempi e modalità: dalla mattinata di iniziazione alla musica e allo strumentario antico che, in genere, si svolge presso le singole scuole, ai weekend di studio presso il Dipartimento “Città di Brescia”, a cui si accede come singoli partecipanti o come gruppi precostituiti; dalla vacanza-studio di qualche giorno, ai laboratori stagionali (estivi, invernali…) organizzati in luoghi di villeggiatura su chiamata di gruppi precostituiti più ampi, in cui i docenti si spostano portando il progetto “a domicilio”, come accaduto ad esempio per alcune attività specifiche condotte in passato a favore dei Pueri cantores del Duomo di Udine. A seconda del livello di preparazione e degli obiettivi concordati, si costruisce un percorso personalizzato per un primo approccio al repertorio e alle tecniche, oppure un approfondimento di alcuni aspetti o brani, privilegiando sempre attività di insieme che puntino non alla quantità ma alla qualità della produzione sonora come, ad esempio, falsibordoni, repertorio a voci pari, canto fermo e tecniche improvvisative di amplificazione polifonica. Il programma di sensibilizzazione connesso a questo progetto – riconosciuto da alcuni Uffici Scolastici Territoriali come eccellenza per la convergenza disciplinare e il successo nell’engagement anche di studenti affetti da disabilità, DSA e BES – costituisce l’attività privilegiata per il reclutamento di nuovi allievi che proseguono lo studio della musica in generale attraverso questo approccio e che partecipano a speciali progetti formativi.


Bilanci e progetti futuri Al termine del quinto anno di attività del Dipartimento che, secondariamente agli sviluppi della pandemia legata al covid-19, ha dovuto orientare la propria offerta didattica anche in modalità a distanza, è possibile fornire qualche dato incoraggiante sul futuro della musica antica in Italia. Allo stato attuale, il progetto “Ex ore infantium” si configura come il vivaio del Dipartimento grazie agli sforzi e alle sinergie dei docenti dei vari strumenti con cui sono stati elaborati 5 moduli reiterabili nel corso dell’anno per esplorare l’intero universo sonoro antico: cantare (voce, ritmo e lettura musicale), pizzicare (liuti, tiorbe, chitarre), soffiare (traverse e flauti traversieri), strofinare (viole da gamba e violini), tastare (arpe, salteri e clavicembali) compongono l’indirizzo denominato “meravigliose scatole sonore” pensato per i giovanissimi dalla fascia d’età prescolare fino alle scuole medie. La finalità principale di questi percorsi è l’avvicinamento attraverso un approccio narrativo a linguaggi e strumenti musicali non appartenenti all’immaginario comune odierno: la creazione di storie multisensoriali che coinvolgano l’ascolto, la voce, il tatto e il movimento dell’intero corpo costituiscono i tasselli di un nuovo mosaico sonoro per i giovani allievi dei nostri corsi, arricchendone la tavolozza emotiva ed espressiva. Il percorso didattico in base all’età e agli interessi prosegue quindi nelle attività di musica d’insieme vocale, ove i pueri cantores e le puellae cantrices (percorso che si estende fino alla muta della voce) si integrano fin dai primi passi ai progetti coinvolgenti gli allievi dei corsi più avanzati: è il processo di mimesis condotto peer-to-peer che costituisce e alimenta l’apprendimento dei brani e delle nuove competenze. A questi percorsi di iniziazione e introduzione alla musica antica segue l’offerta accademica e para accademica di natura più professionalizzante, frutto di convenzioni con conservatori italiani ed europei: sono previsti cinque curricula in Canto MedievaleRinascimentale, Canto Rinascimentale-Barocco, Ensemble da Camera, Ensemble da Cappella, Teoria e Prassi della Musica Antica. Tali percorsi contemplano da un minimo di tre annualità ad un massimo di cinque sebbene alcune discipline caratterizzanti siano fruibili anche in forma di corso libero da chiunque: in particolare i corsi di contrappunto alla mente, ornamentazione, improvvisazione, solmisazione, lettura e concertazione dalle fonti musicali sono fra le materie più richieste anche da studenti dei vari conservatori che intendano integrare il proprio piano di studi con competenze difficilmente acquisibili altrove. Completano l’offerta i percorsi di formazione permanente

indirizzati ad amatori di ogni età, a prescindere dalle competenze pregresse: il programma di studio annuale reiterabile nel tempo, offre una combinazione di pratica corale dalle fonti e un percorso specifico per la lettura autonoma della musica attraverso la solmisazione e la mano guidoniana.

I principali progetti a cui stiamo lavorando per il prossimo futuro riguardano una diffusione a livello nazionale delle attività didattiche e della metodologia utilizzata, con particolare riferimento ai cori e alle scuole di ogni ordine e grado. Alcuni progetti pilota sono già stati condotti con successo nella provincia di Brescia sia a livello di formazione dei docenti e dei direttori di compagini vocali di qualsiasi livello ed età, sia di ensemble amatoriali e professionali interessati ad un percorso specifico sulla prassi e il repertorio fra Cinque e Seicento. Lo sforzo si declina anche verso realtà fuori della provincia. La distanza, infatti, anche in risposta alla sfida offerta dalla pandemia, ha creato nuovi modelli di interazione che consentono di modulare l’offerta fra interattività virtuale e quella in presenza, in accordo alle diverse esigenze: un esempio fruttuoso di questa differenziazione didattica è la collaborazione con alcuni dipartimenti di musica americani (University of Massachusetts-Amherst, Mount Holyoke College) in relazione a progetti formativi e performativi che hanno previsto la preparazione dei contenuti in modalità “a distanza” e la concertazione in presenza (in Italia e USA) fra gli anni 2016 e 2020. Palma Choralis, infatti, è aperta a collaborazioni con diverse realtà interessate a pianificare percorsi specifici sia presso le strutture del Dipartimento a Brescia sia presso le rispettive sedi territoriali. Sulle ali della prassi e pedagogia storica su cui formare professionisti e un pubblico capaci di fruire il repertorio del passato in tutte le sue sfumature e declinazioni, ci poniamo il fine di sensibilizzare al canto, alla polifonia e alla musica antica in generale con la speranza di suscitare interesse verso una proposta di pedagogia musicale alternativa.

QUANDO SI CERCA IL FUTURO NELL’ANTICO | 39


Libri

Alla riscoperta di Camillo Cortellini Le 12 Messe

DI LUIGI DI TULLIO

Le Messe, edizione critica a cura di Cristian Gentilini e Pier Paolo Scattolin, Armelin Musica, Padova, 2020. Quando la ricerca diventa un modo di essere, assume aspetti diversi dalla “riesumazione”, attività a cui correntemente spesso la si associa. Diventa il volano sinergico per un progetto che non conosce pace fino a quando non vengono esplorati tutti i risvolti storici, editoriali, discografici e, in questo caso, corali. È proprio dalla coralità che inizia la riscoperta di Camillo Cortellini, detto il Violino (1561-1630), con la pubblicazione di un cofanetto contenente 3 CD, registrazioni integrali delle 12 Messe (Tactus, 2017), su progetto dello stesso Pier Paolo Scattolin e del Coro Euridice che, insieme ad altri dieci cori italiani, continua una vera e propria “prassi esecutiva” di riscoperta di autori del passato. Coinvolgendo e condividendo, quasi ad allargare le braccia per arrivare in tutta Italia, il coro bolognese ha ormai messo a punto un meccanismo che produce collaborazioni in grado di esprimere professionalità. I suoi 140 anni di storia si vedono tutti. Il volume raccoglie il risultato su carta di quello che era stato il lavoro audio su disco, a completamento di un percorso curato e approfondito nei minimi dettagli da Gentilini e Scattolin, senza trascurare nulla. Inserito nelle collane En Clara Vox di Armellin Musica e Scintille Solidali, il volume presenta un formidabile apparato critico e storico che poggia, oltre che sulle fondamentali esperienze dei curatori, su collaborazioni eccellenti. Il lavoro storiografico di Rossana Dalmonte si è integrato con quello del Corso di “Composizione Corale e Direzione di Coro” del Conservatorio di Musica “Giovan Battista

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LIBRI

Martini” di Bologna che, dal 2005, ha espresso tesi proprie su alcune di queste messe (Nicola Russo, Patrizia Laura Ferioli, Andrea Vitello, Elia Orlando), oltre che sul completamento delle trascrizioni ad opera dei curatori e di Carmine Leonzi. Finalmente si ascolta e si intravede “il confine del Barocco” e non solo quello “bolognese”. Le schede di analisi riservate ad ogni Messa tracciano un percorso di “musica viva” inserita in un contesto linguistico nel quale la retorica riconquista il proprio posto nella costruzione estetica delle composizioni dei brani, illuminando così la musica e il testo e saldando Cortellini al suo tempo, emancipandolo quindi dalla figura di “semplice” autore tardo rinascimentale. Termini come exclamàtio, anàbasi e catàbasi, pleonàsmo, circulàtio, noèma, pallilogìa, suspiràtio e altri illuminano la lettura e l’analisi di un linguaggio solo apparentemente lontano, offrendoci basi solide su cui poggiare la lettura della Messa concertata e della polivocalità, forme di lì a poco raggiungeranno, in San Petronio, vette di livello assoluto. Un volume che ci offre strumenti utili a conoscere la figura di Camillo Cortellini con la consapevolezza di addentrarci in un contesto nodale della cultura e della musica tra Cinque e Seicento, a Bologna e in Italia.


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Edizione critica a cura di Cristian Gentilini e Pier Paolo Scattolin

ARMELIN MUSICA - PADOVA ALLA RISCOPERTA DI CAMILLO CORTELLINI | 41


In Memoriam

In ricordo di Gustavo Marchesi DI DANIELA IOTTI Gustavo Marchesi non amava definirsi storico della musica e tantomeno musicologo, nonostante la qualità e la quantità della sua ricerca, incentrata prevalentemente su Verdi e il melodramma dell’Ottocento, i numerosi incarichi ricoperti all’interno di importanti istituzioni, quali l’“Istituto nazionale di studi verdiani”, di cui è stato uno dei fondatori, lo smentiscano con evidenza. Un vezzo, una battuta, dunque? Può darsi, ma soprattutto il sentirsi diverso rispetto ad una musicologia troppo tecnica, isolata in freddezze accademiche, priva di quella passione, di quel trasporto soggettivo, esclusi e non richiesti dalla ricerca scientifica, di cui invece sono animati i suoi studi. Uno scrittore, allora, a tutto tondo, capace di allargare il suo principale centro di interesse, Verdi e le sue opere, ad aspetti ad esso correlati, come la città di Parma, i suoi protagonisti, Toscanini in primis, ma anche di trattare temi apparentemente marginali come la buona tavola, Buon appetito Maestro. A tavola con Giuseppe Verdi, o di trasformare le tematiche verdiane in una pièce teatrale, Verdi, merli e cucù - Cronache bussetane, due atti per attori e burattini, con musiche da Giuseppe Verdi, realizzato dalla Fondazione Toscanini e tratto dall’omonimo testo del 1979. E ancora un libro anomalo, L’infanzia di Gesù, per una lettura riservata ai bambini. E poi I Farnese, Maria Luigia, I teatri di Parma, La storia di Parma. (A lato la bibliografia). Una prosa, la sua, che arricchisce la ricerca storica di impressioni, ricordi personali, testimonianze di vita, laddove l’aneddotica sagace, il motto di spirito, l’ironia animano il testo portandolo su un piano letterario, solitamente non appartenente ai modi della storiografia e della musicologia cosiddetta scientifica. Da qui l’approdo a veri e propri testi letterari quali il romanzo, Troppe labbra profane e le raccolte, L’anatra all’arancia e altri racconti e il più recente, Storie in

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IN MEMORIAM

breve, del 2018, che raccoglie una serie di racconti brevi, pubblicati la domenica nella pagina della cultura della Gazzetta di Parma. Ed è proprio in quest’ultimo lavoro che si coglie come i temi cari alla narrativa di Marchesi, la bassa emiliana, il Po, la quotidianità del vivere, gli amici si intreccino con la musica e come questa diventi a sua volta materia letteraria, assottigliando il confine tra saggistica e ricerca storica. Il libro contiene anche un carteggio con Cesare Zavattini, di cui Marchesi fu amico e collaboratore e col quale condivide una narrativa ironica e leggera capace di cogliere nel quotidiano e nell’aneddoto arguto e divertente la sostanza di una comunità e di una tradizione culturale. Docente dal 1970 alla fine del 1990 di Storia della Musica al Conservatorio di Parma, critico musicale per molti anni alla “Gazzetta di Parma”, non è da trascurare in Marchesi l’impegno divulgativo affidato a trasmissioni per la Radiotelevisione svizzera di Lugano, conferenze e incontri. Attento al canto e ai cantanti, considerava il coro non solo nella sua dimensione artistica ed espressiva, ma anche nei suoi valori etici, spirituali e sociali, come un’energia vitale indispensabile alla crescita individuale e collettiva, come realtà superiore in cui si armonizzano contrasti, dolori, gioie. Presentando un concerto del coro città di Parma, così si esprimeva Gustavo Marchesi: «Il coro è una realtà combattiva che si oppone all’inferiorità e all’inutilità del suono per sé stesso. È’ l’affermazione più esclusiva dell’uomo-suono, il più lodevole esperimento compiuto dall’umanità per sostituirsi alla voce della natura. È la nazione umana, il sentimento dei popoli, che prende possesso dell’invisibile e dell’udibile. Se la musica testimonia il colloquio col silenzio, vale a dire con la sacralità della morte, il coro dà la risposta più credibile


sull’esistenza umana, oltre i termini dell’esistenza individuale. Vi trova posto ogni gioia, vi trova rifugio ogni dolore intimo, e si riconosce in altri. Ogni simile rispetta il suo simile per amore della verità che è il destino comune. Qui giungono a quietarsi le disarmonie, qui si fermano i viandanti. Ogni linguaggio umano vi partecipa e può essere inteso per quello che porta di risonante in sé. Il servizio pubblico di un coro matura in queste circostanze. Divenuto espressione sociale e trasformato in energiasuono, vale a dire in energia pura, fa giustizia dei capricci e delle sopraffazioni personali. Gli arbitrii e le licenze restano fuori dalla porta. Perché il livello di una società si misura dal livello della propria organizzazione corale».

Bibliografia di Gustavo Marchesi. Verdi (Torino, Utet, 1970-74); Giuseppe Verdi e il Conservatorio di Parma, Parma, ND, 1976; Verdi, merli e cucù Busseto, Biblioteca della Cassa di risparmio di Parma Monte di credito su pegno di Busseto, 1979; Giuseppe Verdi, Milano, Fabbri, 1979; Puccini a casa, Udine, Magnus, 1982; Sono i posti di Verdi Parma, Step, 1983; Troppe labbra profane, Parma, Azzali, 1984; L’opera in musica, Milano, Ricordi-Giunti; Verdi – Anni – Opere, Parma, Azzali, 1991; Maria Luigia, Parma, Battei, 1992; Arturo Toscanini, Torino, Utet, 1992; Due dossier su Händel e Puccini, “Musica e Dossier”, 1989, 1990); Gustavo Marchesi, Mario Pasi, Verdi. La vita, Parma, Guanda, 1993; Storia di Parma, Roma, Newton Compton 1994; Dinastia Farnese, Parma, Battei, 1994; Canto e cantanti, Milano, Ricordi, 1996; Giacomo Puccini, in Grandi operisti italiani, Milano, Famiglia cristiana, 1996; Opere di Verdi, in Giuseppe Barigazzi, Verdi. La vita - Le opere, Milano, Famiglia cristiana, 1996; Georges Bizet, in Grandi operisti europei, Milano, Famiglia cristiana, 1997; Storia di Parma, Parma, Battei, 1997; Verdi a Parma, Parma, Step, 1997; Antonio Vivaldi, in Grandi Compositori, Milano, Famiglia Cristiana, 1998; Consulenza e testi nel filmato Giuseppe Verdi, regia di Francesco Barilli, Parma, Filmago, Banca Monte Parma, 2000; Buon appetito Maestro. A tavola con Giuseppe Verdi, Parma, Battei, 2001; Il cuore a metà. Guastalla, Parma, Venezia, Marsilio, 2002; L’anatra all’arancia e altri racconti, Parma, Monte Università 2003; Puccini, Vita, immagini, ritratti, Parma, Step, 2003), Carlo Bergonzi - I suoi personaggi, Parma, Azzali, 2003; Verdi, merli e cucù - Cronache bussetane. Due atti per attori e burattini, con musiche da Giuseppe Verdi, Fondazione Toscanini; Infanzia di Gesù, Parma Mup, 2004; Arturo Toscanini, Milano, Bompiani, 2007; Toscanini e Parma, Parma, Mup, 2007; La bacchetta del mago Artù in Aa.Vv, Toscanini. Vita, immagini, ritratti, Parma, Step, 2007; Verdi Giuseppe, la piccola storia di un grande bambino, Parma, Fondazione Cariparma, Step, 2008; Teatri di Parma. L’opera lirica nella Capitale della musica, Parma, Battei, 2008; Roberto Lupi, in “Nuova Rivista Musicale Italiana”, Rai-Eri, n. 2, aprile-giugno 2009; Giuseppe Verdi, Milano, Skira, 2009; Verdi. “D’amor sull’ali rosee”, Parma, Step, 2009; Viva V.e.r.d.i. Il suono del Risorgimento, Parma, Mup, 2011; Pietro Ghizzardi, Mi richordo anchora, a cura di Gualtiero Marchesi e Giovanni Negri, Torino, Einaudi, 1976; Storie in breve, Voghera, Libreria Ticinum, 2018; Cesare Zavattini, Al macero, a cura di Gualtiero Marchesi e Giovanni Negri, Milano, Bompiani, 2016.

IN RICORDO DI GUSTAVO MARCHESI | 43


Progetti Corali

Le radici musicali del nostro paese: tesori ritrovati DI MARIA CRISTINA MONTANARI

Salve Regina - dall’Antiphonarium ad usum Beatae Mariae Vir[gi]nis de Ponte Il coro “S. Paolo”, nato nell’autunno del 2016 a S. Polo d’Enza in provincia di Reggio Emilia, svolge la sua principale attività nell’animazione musicale delle liturgie della parrocchia, ponendosi come obiettivi la diffusione dell’educazione al canto e il coinvolgimento dei coristi nel servizio liturgico. Ha partecipato alla “Rassegna Corale di Santa Cecilia” organizzata dall’Unità Pastorale “Terre del Perdono” e alla “XXIV Rassegna Poetico – Musicale Composizione per Maria” presso la Basilica della Ghiara accompagnando il coro di voci bianche della parrocchia. Ha partecipato con un concerto alla rassegna “Soli Deo Gloria”. È composto da trentacinque persone provenienti anche dai paesi limitrofi. Nel suo repertorio vi sono principalmente canti liturgici, popolari e, in seguito al ritrovamento di un Antiphonarium del 1886 all’interno dell’archivio parrocchiale, anche canti gregoriani la cui scoperta ha permesso di valorizzare il patrimonio storico musicale locale. Il desiderio di riportare in vita ciò che per decenni  è stato lasciato nel silenzio fra gli antichi volumi che segnano la storia e le vicende umane della comunità sanpolese, mi ha spinto a cercare questo materiale e a divulgarlo facendolo conoscere ed apprezzare ai componenti del coro. È sempre emozionante trovare materiale che rivela, fra il profumo della carta consunta ed ingiallita, l’espressione musicale di un tempo che ha segnato e sostenuto momenti importanti della vita religiosa del territorio. Il progetto “Le radici musicali del nostro paese: tesori ritrovati”, pertanto, nato grazie alla presenza dell’Antiphonarium, ha offerto ai coristi l’opportunità  di condividere momenti comuni di crescita culturale e formativa accostandosi ad un genere

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PROGETTI CORALI

diverso rispetto al repertorio fino ad ora affrontato. Ha permesso loro di essere maggiormente consapevoli della ricchezza del ritrovamento che, indipendentemente dal valore musicale, se ne deduce in quanto patrimonio storico musicale della propria tradizione. Questa tradizione affonda le radici nei centri religiosi del paese che nel corso dei secoli hanno raccolto e unito i fedeli e sono stati luce per illuminare il loro cammino: la chiesa della Madonna di Pontenovo, la Chiesa della Pieve e la Chiesa del Castello. L’Antiphonarium ad usum Beatae Mariae Vir[gi]nis de Ponte Novo, dal quale la Salve Regina è stata scelta per lo studio e l’approfondimento, è una raccolta di canti utilizzati per accompagnare i momenti di preghiera all’interno del Santuario. La chiesa della Madonna di Pontenovo infatti fu teatro di importanti feste e cerimonie alle quali la gente accorreva numerosa. La sagra principale ebbe inizio il 12 settembre 1634. Da allora le funzioni religiose, in questa festività, furono eccezionali per la partecipazione numerosa del clero e dei cantori. Nell’archivio parrocchiale leggiamo come, per la festa del 1741, fossero presenti ben 25 preti tra cui Don Pietro Gualberti, rettore del seminario che cantò la S. Messa solenne accompagnato dai seminaristi del Collegio Gesuita di Montefalcone. La partecipazione alle funzioni religiose dei seminaristi divenne una tradizione. Andrea Balletti, storico di Reggio Emilia, cos  ricorda: “[…] sento eccheggiare le voci degli alunni del Collegio di Montefalcone guidati dal tocco della bacchetta del maestro Paolo Pattacini […]”1 organista e direttore della banda filarmonica di S. Polo. I canti e le musiche furono da sempre un supporto di tutte le funzioni religiose e così  1. Storia di Reggio nell’Emilia


LE RADICI MUSICALI DEL NOSTRO PAESE: TESORI RITROVATI | 45


anche a Pontenovo si sentì la necessità  di installare un organo. Nell’archivio parrocchiale troviamo: “Il primo settembre 1810 l’organo, fu portato da Parma su un carretto fino a Tortiano poi trasportato a braccia in territorio reggiano….”2. Si sottolinea in particolare la ricorrenza del 12 settembre 1824 con la partecipazione dei filarmonici addetti al servizio della Real Corte di Parma il cui direttore d’orchestra era un abile violinista. Sul territorio sampolese nei primi quarant’anni del 1900 furono installati ben quattro organi oltre a quello del Santuario di Pontenovo: due nell’allora chiesa parrocchiale della Pieve e uno nella chiesa del Castello grazie al volere dell’Arciprete Pietro Valcavi e Luigi Pattacini,organista erudito e amico di Nicolò Paganini che per qualche tempo visse anche a S. Polo oltre che a Parma.

appartenenti ai vespri di feste proprie e di comuni3. Proprio perché il volume contiene sole antifone, il copista ha scelto la denominazione “antifonario”, anche se impropria per la terminologia classica (un antifonario contiene anche altre tipologie di brani per tutte le ore canoniche e non si limita alle sole antifone dei vespri). La maggior parte delle antifone appartiene al repertorio standard. Tuttavia al termine del manoscritto sono presenti due testimonianze di particolare interesse: la rara antifona Salva plebem presentem4 in onore di San Prospero, patrono di Reggio Emilia, e, dopo la consueta Salve Regina in tono solenne, una seconda Salve Regina in canto fratto; di questa seconda Salve in canto fratto non si ha per ora altra notizia. Sarebbe interessante conoscere il percorso che ha portato all’inserimento nell’Antiphonarium di entrambi questi brani.

Nella foto: Coro San Paolo

DI PIETRO MAGNANI

Antiphonarium (1886) di Pontenovo: descrizione sintetica e contenuto L’Antiphonarium ad usum Beatae Mariae Vir.nis de Ponte Novo è un manoscritto cartaceo di 32 pagine (mm 445  295), datato e sottoscritto (p. 32: “Scrisse Pattacini Giovanni l’anno 1886”). Contiene un totale di 56 brani, nella quasi totalità  dei casi antifone (solo uno è  un versiculo)

2. Matteo Malagoli, Gli antichi organi a canne nelle chiese di San Polo d’Enza in La Pieve di San Pietro in Caviano di San Polo d’Enza, Bolondi Franco,

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Pizzarelli Isa.

4. Cfr. Hesbert, Corpus Antiphonalium Officii 4688, segnalata in Verona,

3. In specifico: festa del SS. Nome di Maria, Comune degli Apostoli, Comune

Biblioteca Capitolare, XCVIII (92), antifonario, sec. XI, 1091-1110 (ILI), c. 209r;

di un martire, Comune di pi  martiri, Comune di un confessore pontefice,

presente anche in Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi, Mss. Regg. C 408 (Hymni

Comune di un confessore non pontefice, Comune delle sante vergini,

ecclesiastici), miscellanea, sec. XIII, c. 75v, quest’ultima attestazione non

Comune delle sante non vergini.

segnalata nel CAO.

PROGETTI CORALI


SCHEDA TECNICA Titolo

ANTIPHONARIUM | AD USUM BEATAE MARIAE VIRNIS | DE | PONTE NOVO

Segnatura San Polo d’Enza (RE), Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, Archivio parrocchiale, senza segnatura Datazione

Sottoscritto e datato: “Scrisse Pattacini Giovanni l’anno 1886” (p. 32)

Supporto

Cartaceo

Pagine

pp. 32 (paginazione assente)

Dimensioni

mm 445x295

Fascicolazione

2 quaternioni

Notazione

Notazione quadrata nera con aste laterali (stile delle edizioni Pustet di metà XIX sec.) su pentagramma (pp. 1-19 e 26-32) e tetragramma (pp. 19-26); notazione mensurale nera su pentagramma (pp. 29-32)

Rigo musicale

Tetragrammi e pentagrammi in inchiostro rosso. Ogni pagina contiene al massimo sette pentagrammi o tetragrammi, il cui numero si riduce in caso di rubriche o titoli

Rubriche

Presenza di rubriche e capilettera in inchiostro rosso/violaceo

Altri segni

− Presenza di correzioni e aggiunte a penna; − a p. 32, sotto la sottoscrizione, si legge: “Ferrari Pasquino di Giacomo Nato l’anno 1883 S. Polo | d’Enza L’anno 1896 Chierico di Rasori Don Possidio e di | Paroli Don Giovanni Villa Piolo”.

Contenuto

− In festo SS. Nominis B.M.V (pp. 1-6) − Comune apostolorum (pp. 7-8) − Comune unius martiris (pp. 9-11) − Comune plurimorum martyrum (pp. 11-14) − Comune confessoris pon.cis (pp. 15-17) − Comune confessoris non pontificis (pp. 17-19) − Comune virginum (pp. 19-21) − Comune non virginum (pp. 22-24) − Sancti Prosperi Ant.a e Versicolo (pp. 24-25) − Salve Regina, tono solenne (pp. 26-29) − “Alia” Salve Regina, in canto fratto (pp. 29-32)

LE RADICI MUSICALI DEL NOSTRO PAESE: TESORI RITROVATI | 47


Repertorio

Ninna nanna ferrarese ELABORAZIONE DI GIORGIO VACCHI

Con la pubblicazione di “Ninna nanna ferrarese” (elaborata da Giorgio Vacchi nel 1974) vogliamo ricordare un momento di grande fermento per la coralità emiliana. Il primo nucleo dell’associazione si formò nel 1971 attorno all’idea di ricerca sul campo promossa e praticata in prima persona da Giorgio Vacchi, primo presidente della neonata AERCIP. Tra i cori che aderirono con entusiasmo fin da subito al progetto associativo divenuto poi AERCO c’era anche il Coro Valpadana di Casumaro (FE). Ed è proprio Walter Tassinari, allora maestro del gruppo, che risulta essere l’informatore di questa melodia tradizionale. L’elaborazione1 fu inizialmente scritta per coro a voci virili in tonalità di do maggiore ma la versione che qui presentiamo è l’adattamento per coro misto scritto da Vacchi per il coro Stelutis nel 2006 in vista dell’incisione del cd “Dormi!”2. Si tratta di un tipico esempio di ninna nanna emiliana nella quale si ritrovano alcuni dei tratti ricorrenti di tale tipo di canti: - l’andamento lento e cullante in 6/8 - Il riferimento al padre lontano, al lavoro - l’onomatopea delle campane Il testo è in dialetto ferrarese e fa riferimento, fra l’altro, agli strumenti di lavoro tipici dei muratori: la “conca” è il recipiente in legno usato per la calce. Ricordiamo che nel mondo contadino, che è probabilmente l’ambito in cui il canto è nato, il suono delle campane simboleggiava il trascorrere del tempo ed era l’intercalare più frequente nelle ninne nanne. Si trattava di canti legati esclusivamente al mondo femminile e che, per la loro peculiare funzione, raramente uscivano dall’ambito domestico. Dal confronto tra vari esempi di ninne nanne emiliane si è capito che i contenuti di questi canti andavano spesso al di là delle consuete formule usate per addormentare i bambini. Non era infrequente che le madri le utilizzassero per lamentarsi e sfogare le

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REPERTORIO

proprie insoddisfazioni certe di non essere sentite se non dal neonato. Da questo punto di vista non è strano che alcune informatrici fossero restie a cantarle davanti a estranei come gli intervistatori. La melodia in questione è semplicissima: si muove quasi esclusivamente per grado congiunto in un ambito che non supera mai la quinta. Compare, affidata ad un solista, solo a batt. 16. L’elaborazione, infatti, presenta una lunga introduzione costruita sul frammento melodico del tema originale che, a chiusura delle strofe, imita i rintocchi delle campane. Viene presentato sopra un lungo pedale di dominante. Ai due solisti si aggiungono, dopo quattro battute, i vari settori creando un crescendo per accumulazione culminante con il fortissimo di batt. 16. Interrotto il pedale, inizia la parte centrale (batt. 17 – batt. 33) dell’elaborazione, costituita dall’accompagnamento al solista realizzato dalle varie sezioni del coro a bocca chiusa su accordi costruiti sui tempi forti. Dal pianissimo improvviso di batt. 16 si arriva, con un graduale crescendo, al punto apicale di questa sezione: lo troviamo in corrispondenza del punto più acuto della melodia all’indicazione “Forte” di batt. 24. Il tema delle campane viene ripreso e sviluppato su lunghi pedali nella parte finale (batt. 34 – batt. 48) con un andamento dinamico che arriva al culmine a batt. 43 per poi diminuire gradualmente fino al pianissimo finale con i rintocchi delle campane sempre più rarefatti. Silvia Vacchi

1. Pubblicata in Composizioni corali di ispirazione popolare Giorgio Vacchi, edizioni Zanibon 1979 2. Dormi! Ninne nanne eseguite dal Coro Stelutis, diretto da Giorgio e Silvia Vacchi, 2008


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Due Vinate di Orazio Vecchi Il modenese Orazio Vecchi pubblicò nel 1590 la Selva di varia ricreatione, una delle sue opere maggiori, certamente la più varia. ‘SELVA dico dunque per non seguire in essa un filo continuato, così veggiamo nelle Selve gli arbori posti senza quell’ordine che negli artificiosi giardini veder si suole’: così Orazio Vecchi motiva il suo titolo nella prefazione all’opera. E tra le essenze offerte alla ricreazione dei nobili esecutori (non dimentichiamo che i destinatari di questa e simili raccolte sono i membri delle varie Accademie in cui è prassi ritrovarsi per far musica ‘cantando a libro’: cfr. Iain Fenlon, James Haar La nascita del madrigale italiano) dopo cinque madrigali a 5 voci si apre una serie di nove Capricci, tutti di caratteri giocoso, quando non apertamente umoristico. È un clima popolaresco, da osteria più che da Accademia, quello evocato in questa seconda sezione della Selva: e sono ambientazioni e caratteri da commedia dell’arte, che rispondono a quel gusto per la drammatizzazione che, in attesa di sfociare, nel Seicento, nel melodramma e nell’oratorio, generano, in questo scorcio di Cinquecento, ancora musicalmente radicato nella polifonia rinascimentale, la Commedia Madrigalesca. Un genere nel quale, assieme ad Adriano Banchieri, Orazio Vecchi eccelle, vantando il titolo più conosciuto: L’amfiparnaso, comedia Harmonica pubblicato nel 1597. Quello della vinata è un topos della commedia madrigalesca. Se ne trovano almeno altre due in Adriano Banchieri. Una nel Festino del giovedì grasso avanti cena (1608) di Adriano Banchieri, del tutto simile a quella del Vecchi e costituita da un dialogo tra l’oste messer Covello e gli avventori; l’altra, ne La Barca di Venzeia per Padova (1605; seconda versione 1623), dove i passeggeri veneziani si divertono alle spalle di un tedesco ubriaco. Nella versione della Selva è la cameriera Cicirlanda a rispondere agli avventori che la interrogano sulla provenienza dei vari vini via via serviti. Un nome, quello di Cicirlanda, rimasto nelle filastrocche per bambini, o forse da lì tratto, poiché la si trova

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citata da Tomaso Garzoni ne La piazza universale di tutte le professioni. Il brano, scritto in chiavette viene qui presentato trascritto una quarta sotto, come è corretto realizzarlo. Una seconda vinata, pensata come risposta alla prima, vede l’internazionale combriccola (queste scene madrigalesche sono come certe barzellette… Ci sono un francese, un tedesco e italiano…) intonare ciascuno un brindisi nella propria lingua: e andrà cantato proprio così, sovrapponendo la lingua d’oltralpe a quella italiana, rendendo realisticamente la scena dell’osteria. Della Selva di varia ricreatione Giovanni Torre ha curato, nel 2005, per il quarto centenario della morte, una accurata edizione moderna, pubblicata nel 2007 da Mucchi. Sandro Bergamo


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IE VEU LE CERF DU BOIS SALIR / ECC’IL BUON BACC’`A NOI VIENE - ORAZIO VECCHI (1550-1605) | 61


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IE VEU LE CERF DU BOIS SALIR / ECC’IL BUON BACC’`A NOI VIENE - ORAZIO VECCHI (1550-1605) | 63


Romano Gandolfi

Concorso Internazionale per Direttori di Coro International Competition for Choral Conductors

25 - 28 Novembre 2021 - Parma 25 - 28 November 2021 - Parma


VOX LUCENSIS

Concorso Corale Internazionale

interkultur.com/lucca2022

April 9-13, 2022 | Lucca, Italy



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