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Noi il mondo post Covid lo vogliamo così.
724 N.1
2020 MAGAZINE UFFICIALE
Abbiamo chiesto a tre autori di immaginarlo
IN QUESTO NUMERO ANCHE: UN BLOCKCHAIN PER L’INDUSTRIA uLTIME NOVITà SULLO STATUS DI EPORTATORE AUTORIZZATO
All’interno: Listino prezzi materiali di interesse per la meccanica varia n. 750 - Costo orario medio dell’operaio n. 26 - Rilevazioni statistiche prestazioni di personale gennaio 2020
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Questo è un numero diverso Dalla prossima edizione torneremo quelli di sempre. Ma oggi abbiamo voluto raccontare, in un numero speciale, come stanno cambiando il lavoro, le filiere, l’innovazione, i mercati, (la vita), dopo mesi di lockdown e di Covid19
Scopri a pagina 12 come leggere questo numero
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L’Industria Meccanica - Pubblicazione bimestrale di ANIMA/Confindustria Registrazione Tribunale di Milano N. 427 del 17.11.73 Direttore responsabile Alessandro Durante - durante@anima.it Direttore editoriale Carlo Fumagalli - fumagalli@anima.it Comitato tecnico-scientifico Pierangelo Andreini, Antonio Calabrese, Roberto Camporese, Alessandro Clerici, Rodolfo De Santis, Marco Fortis, Ennio Macchi, Giovanni Riva, Pietro Torretta, Giuseppe Zampini In redazione Carlo Fumagalli - fumagalli@anima.it Simone Gila - gila@anima.it Federica Dellisanti (Segreteria di Redazione) - dellisanti@anima.it Hanno collaborato a questo numero: Lucrezia Benedetti, Stefano Besano, Daniele Bettini, Elena Bottinelli, Luca Buferli, Donato Ferri, Marco Fortis, Mauro Ippolito, Salvatore Majorana, Marco Taisch, Rita Tedros In copertina: Giordano Poloni Impaginazione: Abc Production Fabio Lunardon - lunardon@anima.it Raccolta pubblicitaria Simonetta Galletti, Mariarosa Morselli - redazione@anima.it Direzione e Redazione Anima Confindustria Meccanica Varia Via Scarsellini 13 - 20161 Milano | Tel. 02 45418.500 - Fax 02 45418.545 www.anima.it - anima@anima.it Online: www.industriameccanica.it | Twitter: @IndMeccanica Gestione, amministrazione, abbonamenti e pubblicità A.S.A. Azienda Servizi ANIMA S.r.l. Via Scarsellini 13 - 20161 Milano - Tel. 02 45418.200 Abbonamento annuo Italia 80 euro - Estero 110 euro Si comunica ai Sigg. abbonati che, avvalendosi del contenuto dell’art. 74 lettera C del D.P.R. 26.10.1972 N. 633 e del D.M. 28.12.89, A.S.A. S.r.l. non emetterà fatture relative agli abbonamenti Stampa Bonazzi Grafica - Sondrio - www.bonazzi.it È vietata la riproduzione di articoli e illustrazioni de “L’Industria Meccanica” senza autorizzazione e senza citarne la fonte. La collaborazione alla rivista è subordinata insindacabilmente al giudizio della Redazione. Le idee espresse dagli autori non impegnano né la rivista né ANIMA e la responsabilità di quanto viene pubblicato rimane degli autori stessi.
Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana ROC N. 4397
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12 Editoriale di Carlo Fumagalli
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L'INDUSTRIA CHIUDE
16 Le sfide economiche dopo il coronavirus di Marco Fortis
22 Focus Italia: la meccanica attraverso il lockdown a cura dell'Ufficio Studi Anima
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L'INDUSTRIA RIAPRE
28 Pronti, partenza? di Simone Gila
33 SOMMARIO N. 724
IL LAVORO CHE CAMBIA
34 A distanza di sicurezza, un viaggio-inchiesta tra le fabbriche italiane di Daniele Bettini
46 Subito una rete nazionale dell’innovazione per uscire dalla crisi, intervista a Marco Bentivogli 50 La fase due dello smartworking di Lucrezia Benedetti
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52 Smart ways of working, i 4 spunti di EY per ridisegnare il futuro dell’organizzazione in azienda
92 Le semplificazioni doganali come strumento per la ripartenza dell’export di Luca Buferli
di Donato Ferri e Stefano Besano
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IN COPERTINA MONDI POSSIBILI
MASCHERINE CERCASI
Con Salvatore Majorana, Marco Taisch, Elena Bottinelli 98 Il "lungo viaggio" delle mascherine verso l'Italia di Rita Tedros
102 Parola d’ordine: riconvertire di Simone Gila
70 Anima durante l’emergenza Covid-19, un lavoro di squadra per accorciare le distanze di Andrea Orlando
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105 106 120 121
Bergamask: l'idea innovativa nella provincia più colpita Tecnologia, novità da tenere d’occhio Abbonamenti Tabelle ANIMA - Bianche, Blu, Arancio
FOCUS ECONOMIA
76 La risposta delle banche per l’economia mondiale di Mauro Ippolito
83
SOMMARIO N. 724
MERCATI ESTERI
83 Chiusi per fiere di Carlo Fumagalli e Lucrezia Benedetti
90 Un Contact Place per raccogliere la sfida post Covid-19
In copertina, Giordano Poloni per L'Industria Meccanica
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EDITORIALE
Questo è un numero diverso No, non abbiamo mai pensato di fare un numero “postapocalittico” per questa edizione della rivista. O di mettere mascherine e termoscanner in copertina. Anzi, avevamo iniziato a immaginare questo progetto quando ancora le aziende lavoravano in deroga e noi – come ogni redazione – passavamo giornate a leggere e interpretare bozze di decreti e liste di codici ateco, con la preoccupazione principale di supportare il più possibile le imprese nel superare l’alta marea (pagina 70 rende l’idea). In quel clima, ci siamo voluti aggrappare, pensando a questa rivista, ai pochi pensieri davvero positivi che potevamo trovare, come l’idea di voltare pagina e cogliere l’occasione per cambiare in meglio il nostro quotidiano. Ricordiamo tutti Milano col cielo azzurro, l’acqua trasparente di Venezia… immagini forse ingenue nella loro semplicità, ma simboli, allo stesso tempo, di scelte mancate in passato e di tutte le potenzialità del futuro. Ecco perché sulla copertina di questa rivista è disegnato il mondo che vorremmo per i prossimi anni. Tre personalità nel campo dell’innovazione e della ricerca – il direttore del Kilometro Rosso Salvatore Majorana, il professore del Politecnico Marco Taisch, l’amministratore delegato dell’ospedale San Raffaele Elena Bottinelli – hanno fatto con noi un esperimento di creatività, e hanno immaginato, ognuno secondo le proprie specifiche competenze, il loro “mondo possibile”: un futuro dove l’esperienza del coronavirus ci avrà lasciato, oltre a tante cicatrici, anche una spinta verso una piccola o grande rivoluzione. Questo numero della rivista, diversa dal solito, va letto come un percorso a tappe, in cui proviamo a capire come stanno cambiando, in questa nuova normalità, il nostro modo di lavorare, il rapporto con l’innovazione e i comportamenti dei mercati.
“L’industria chiude”(pag. 15) è la prima tappa di questo viaggio: in questa sezione l’economista Marco Fortis analizza le sfide economiche necessarie dopo il lockdown dell’industria e del paese. Nel capitolo “L’industria riapre” (pag. 27), raccontiamo invece le storie di alcune aziende che, nei mesi più difficili, si sono organizzate per poter riaprire in sicurezza. E poi un passaggio dedicato interamente al “Lavoro che cambia” (pag. 33). E non solo in termini di smart working. Nella nostra mini-inchiesta cerchiamo di capire, parlando direttamente con le aziende della meccanica, la grande trasformazione in atto, fra distanze di sicurezza, filiere a volte da ripensare, utilizzo di big data e automazione per aumentare la flessibilità. Parliamo quindi di Economia (pag. 75) e “Mercati esteri” (pag. 83), per i quali servono competenze sempre aggiornate per non rimanere vittime di un sistema in continua evoluzione. Il viaggio termina con alcune case history in tempi di coronavirus nella sezione “Mascherine cercasi” (pag. 97). Le classiche 5 sezioni dell’Industria Meccanica – Automazione e Produzione, Logistica e Movimentazione, Export e Mercati, Efficienza e Energia e Sicurezza e Ambiente – torneranno dal prossimo numero, dove riprenderemo a raccontare soluzioni per migliorare il business delle imprese. Considerate questa edizione come un numero monografico. Che speriamo di non dover più fare, ma che – ce lo auguriamo sinceramente – ci aiuti a immaginare nuove prospettive.
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Carlo Fumagalli direttore editoriale
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01.
L’INDUSTRIA CHIUDE
Lo sappiamo. Ma è giusto ricordarlo. Le ripercussioni sulla crescita globale sono severe.
01.
L’INDUSTRIA CHIUDE
Lo sappiamo, ma è giusto ricordarlo. La diffusione in tutto il mondo del nuovo coronavirus ha causato una emergenza sanitaria e una crisi economica che non ha precedenti nella storia moderna. In molti paesi per contenere la pandemia è stato necessario limitare le libertà personali di movimento e di interazione sociale, sospendere la didattica in presenza nelle scuole e nelle università, chiudere temporaneamente molte attività produttive. Spesso con periodi di lockdown differenti da paese a paese, con forti diseguaglianze economiche e notevoli problemi alle aziende nel reperimento dei prodotti e forniture. Siamo realisti: le ripercussioni sulla crescita globale sono severe. l’industria meccanica 724 | 16
Le sfide economiche dopo il coronavirus Il primo semestre dell’anno 2020 è stato dominato dall’emergenza sanitaria legata alla diffusione su scala mondiale del Covid-19 e dagli effetti economici scatenati dalle misure poste in essere dai vari Paesi del mondo per arginarla; emergenza sanitaria che in questi mesi estivi sta ridimensionando la sua portata in Europa, ma che in molte altre aree del pianeta sta ancora imperversando, con migliaia di contagi e, purtroppo, di decessi ogni giorno. Inizialmente circoscritto ai paesi asiatici, e prevalentemente a Cina e Corea del Sud, il virus ha fatto il suo prepotente ingresso in Europa a metà febbraio colpendo dapprima l’Italia (e la Lombardia in primis) con un’aggressività ormai nota e poi espandendosi rapidamente anche alle altre economie europee (con Spagna, Regno Unito, Francia e Germania in testa). Il contagio ha poi raggiunto il Nord America, colpendo soprattutto gli Stati Uniti (che oggi sono il Paese con il maggior numero di contagi), per poi diffondersi prepotentemente anche
di MARCO FORTIS
in Sud America e penetrare anche in Africa e Australia. Assumendo, in conclusione, i tratti di una vera e propria pandemia. Le conseguenze economiche e sociali della diffusione dell’epidemia da coronavirus non hanno tardato a manifestarsi. E, per farvi fronte, i governi dei maggiori Paesi avanzati sono intervenuti (più o meno) prontamente, introducendo misure fiscali rilevanti a sostegno dei redditi dei cittadini e delle attività produttive; mentre le banche centrali dei principali Paesi sono intervenute ripetutamente per sostenere la domanda, offrendo fondi a tassi nulli o negativi, e garantire la liquidità sui mercati: sono infatti ripartiti i programmi di quantitative easing senza limitazioni agli acquisti (Fed) o per quantità mai sperimentate in precedenza (Bce). Nonostante le ingenti misure adottate dai vari paesi per contrastare la diffusione del virus, le ripercussioni sulle rispettive economie e, conseguentemente, sulla crescita globale saranno imponenti, probabilmente di portata
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analoga, se non addirittura superiore, a quella della recessione del biennio 2008-2009. A differenza di allora però, la natura dello shock di oggi è di tipo reale (e non finanziario) e se nella prima fase ha colpito soprattutto i servizi, in cui è più elevata la componente occupazionale, non ha tuttavia tardato ad estendersi rapidamente anche al settore manifatturiero, non solo in seguito al temporaneo arresto delle attività produttive (applicato, seppur in misura differente, dalle autorità nazionali di tutte le principali economie avanzate), ma anche per via della riduzione degli scambi internazionali. Gli effetti del virus sull’attività economica sono, infatti, sia diretti sia indiretti. I primi riguardano le perdite economiche che sono derivate dalle limitazioni di spostamento delle persone e dalle chiusure di esercizi commerciali (quelli dedicati alla vendita di beni non strettamente indispensabili), di molte attività dei servizi (dalla filiera turistica, a quella dell’intrattenimento o legata alla cura della persona), ma anche di aziende manifatturiere (se impegnate in produzioni individuate come non essenziali), stante la necessità di mettere
in sicurezza i lavoratori. I secondi sono invece legati alla durata della crisi sanitaria e alla sua estensione a livello globale, e riguardano: la scarsità, o mancanza, di beni intermedi che possono causare danni alle catene del valore, con le imprese dell’indotto che subiscono le conseguenze del blocco di produzioni in altre imprese; i fallimenti delle imprese o la riduzione del personale lavorativo, che riducono il reddito disponibile e quindi la spesa per i consumi; il calo della domanda internazionale, che riduce le esportazioni e quindi la produzione interna; l’elevata incertezza, che aumenta la propensione al risparmio delle famiglie e riduce gli investimenti delle imprese, frenando la possibilità di rimbalzo una volta che l’emergenza sarà terminata. Nel breve termine, e comunque fino a quando non sarà disponibile un vaccino, la principale sfida per i governi nazionali sarà quella di favorire la ripresa economica, pur mantenendo in atto alcune misure di contenimento, e facendo i conti con le trasformazioni strutturali che hanno caratterizzato interi settori. Ciò richiederà un mix di politiche fiscali, monetarie e finanziarie che
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aiutino a riallocare le risorse tra i settori; sostengano i redditi di lavoratori e imprese in condizioni di precarietà; supportino l’occupazione; agevolino il flusso di cassa delle imprese: tutto ciò per ridurre al minimo l’impatto economico della crisi pandemica.
Oltre alla sostenibilità dei conti pubblici un rischio nel medio periodo sarà legato alle iniezioni di liquidità da parte delle autorità di politica monetaria e i risvolti sull’accesso al credito in un contesto dominato da una fase di forte debolezza dell’economia reale In tale contesto le prospettive economiche, oltre ad essere a tinte fosche, sono eccezionalmente incerte. E profondamente differenti a seconda che si assuma uno scenario caratterizzato da una seconda ondata della diffusione del virus oppure quello in cui tale seconda ondata riesca ad essere evitata: nel primo caso l’Oecd prevede una contrazione del Pil globale pari al -7,6% nel 2020 e un livello ampiamente al di sotto di quelli preCovid anche nel 2021; mentre il commercio mondiale, in questo primo scenario, è previsto in calo dell’11,4%. Le previsioni, nel caso del secondo e più favorevole scenario, sono di una contrazione del -6% del Pil mondiale nel 2020, con un recupero quasi totale dei livelli precedenti l’esplosione dell’emergenza sanitaria alla fine del 2021; quanto al commercio mondiale, è previsto in calo del -9,5% prima di riprendere a crescere nel 2021. Più ottimistiche le previsioni del Fondo Monetario Internazionale che, senza distinguere tra due possibili scenari, stima nel 2020 una flessione del Pil mondiale pari al
-4,9% (in peggioramento però di 1,9 punti percentuali rispetto alle previsioni di aprile) e una crescita del 5,4% nel 2021. Per quanto riguarda l’euro-zona, in particolare, le previsioni dell’Oecd per il 2020 sono di una contrazione del Pil pari al -11,5% nel caso in cui dovesse verificarsi una seconda ondata pandemica e un tasso di disoccupazione superiore al 12% entro la fine dell’anno; nello scenario più ottimistico di un non-ritorno del virus o, comunque, della mancata necessità di una seconda chiusura delle attività economiche, la flessione prevista è del -9,1%. Il Fmi prevede invece una flessione del Pil dell’euro-zona pari al -10,2%, mentre le più recenti previsioni della Commissione europea stimano un calo del -8,7%. I Paesi dell’euro maggiormente in difficoltà in seguito all’esplosione dell’epidemia di coronavirus sono Italia, Francia e Spagna; la Germania invece, nonostante l’elevato numero di contagi, ha reagito meglio. Ma in tutti e quattro le misure di lockdown hanno generato una profonda recessione. In Francia le previsioni sono di una contrazione del Pil nel 2020 pari al -14,1% nello scenario più pessimistico di una seconda ondata, e del –11,4% in quello più ottimistico che non prevede nuovi lockdown; il Fmi prevede invece una contrazione del –12,5%, la CE del –10,6%. Le misure adottate dal governo francese hanno rafforzato il sistema sanitario e sostenuto l’occupazione, mentre molto forte è stata la riduzione dei consumi e degli investimenti durante il periodo di chiusura delle attività. Anche in Spagna il driver della recessione è stato il crollo della domanda interna, dovuto alla distruzione dei posti di lavoro e alla chiusura delle attività economiche; ma anche il calo della domanda estera, specialmente nei servizi turistici, che peserà fortemente sulla dinamica economica per tutto il 2020. Detto ciò, secondo l’Oecd la contrazione del Pil sarà pari al –14,4% se l’epidemia di Covid dovesse ripresentarsi e richiedere l’attuazione di nuovi provvedimenti di contenimento e del –11,1% nel caso più ottimistico di una attenuazione del virus; nelle stime del Fmi la contrazione del Pil spagnolo sarà del –12,8%, in quelle della Ce del –10,9%. In Germania, dove le misure di contenimento sono state più brevi e meno rigorose rispetto alle altre grandi economie europee, la recessione appare meno accentuata: secondo l’Oecd nel 2020 il Pil tedesco si ridurrà dello –8,8% nello scenario più pessimistico di una seconda ondata di Covid-19 e del –6,6% in quello più ottimistico; il Fmi prevede una contrazione del –7,8%, la Ce del –6,3%. Per quanto l’economia tedesca stia dimostrando maggiore resilienza, anche in Germania l’incertezza e la caduta
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della domanda stanno avendo effetti significativi sugli investimenti delle imprese e sulle esportazioni in settori chiave, prevalentemente manifatturieri. Infine, quanto all’Italia, se entro la fine dell’anno si verificasse un altro focolaio di virus la contrazione del Pil sarebbe del -14% nelle stime dell’Oecd e del –11,3% se non si dovesse verificare una seconda ondata; secondo il Fmi la flessione sarebbe del –12,8%, e del –11,2% secondo la Ce. In Italia, l’emergenza sanitaria si è venuta a sovrapporre a una condizione già compromessa, con evidenti sintomi di stagnazione, emersi alla fine del 2019, solo in parte mitigati a inizio 2020 da alcuni segnali positivi provenienti dalla produzione industriale e dal commercio con l’estero. A partire da fine febbraio i necessari provvedimenti di contenimento adottati dal governo per fronteggiare l’epidemia hanno generato un effetto profondo sull’economia del paese, impattando negativamente su produzione, investimenti, consumi e mercato del lavoro. Anche la domanda estera ha pesantemente risentito della forte riduzione degli scambi internazionali e il settore turistico, importante risorsa dell’economia italiana, ha subito una imponente battuta d’arresto. In particolare, nelle stime dell’Istat, basate prevalentemente sull’ampiezza della caduta della produzione nel secondo trimestre 2020 (che è stata più marcata di quella del primo) e su ipotesi inerenti alla velocità della ripresa dei ritmi produttivi nel terzo e quarto trimestre dell’anno, nel 2020 la contrazione del Pil italiano sarà del -8,3% e nel 2021 la ripresa sarà solo parziale (+4,6%). E stando alle ultime rilevazioni dell’Istat, inerenti agli effetti dell’emergenza sanitaria e della crisi economica sulla attività delle imprese italiane, durante la cosiddetta fase 1 (tra il 9 marzo e il 4 maggio) 459mila imprese (aventi più di 3 addetti) hanno sospeso l’attività e si tratta prevalentemente delle imprese delle costruzioni e dei servizi: queste rappresentano rispettivamente il 58,9% e il 53,3%, a fronte del 36,0% delle imprese dell’industria in senso stretto e del 30,3% del commercio. I settori di produzione dei beni d’investimento (automotive, macchinari, apparecchiature elettriche, ecc.) sono quelli che, all’interno dell’industria in senso stretto, hanno registrato la percentuale più elevata di imprese che hanno ripreso l’attività prima della fine del lockdown (58,9%); il commercio, invece, è il comparto rimasto più attivo, con il 46,7% di imprese sempre operative nel corso del lockdown e il 23,1% che ha ripreso l’attività prima del 4 maggio. In conclusione, appare evidente l’estrema complessità
della situazione a livello mondiale e che i rischi connessi alla pandemia perdureranno ben oltre il breve periodo. Limitando l’analisi al nostro Paese, tra i principali rischi nel breve termine spicca quello della sostenibilità sociale: nonostante la resilienza del nostro manifatturiero, le imprese, così come le famiglie, stanno faticosamente cercando di tornare alla normalità e le tensioni, che già stanno affiorando, potrebbero ulteriormente acuirsi per le categorie maggiormente colpite dalla crisi generata dal Covid-19, con un quasi inevitabile aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito. Le misure di politica economica che sono state messe in atto hanno certamente “tamponato” momentaneamente la gravità della situazione, soprattutto con riferimento al sostegno ai redditi. È però inevitabile volgere uno sguardo anche al medio periodo, dove si affacciano sostanzialmente due rischi tra loro collegati: il primo riguarda la sostenibilità dei conti pubblici (che è di particolare rilevanza dato l’elevato livello del nostro debito pubblico); il secondo riguarda le ingenti iniezioni di liquidità da parte delle autorità di politica monetaria e i risvolti sull’accesso al credito in un contesto dominato da una
Durante la Fase 1 quasi 500 mila imprese hanno sospeso l'attività fase di forte debolezza dell’economia reale. In attesa della definizione dei progetti nazionali per sostenere la ripresa (che dovrebbero privilegiare gli investimenti in opere pubbliche e la semplificazione burocratica), emergono elementi incoraggianti dalla risposta data dalle Istituzioni europee. Sono state allentate le misure di rigore fiscale e si è data una discreta flessibilità per quanto concerne la gestione dei conti pubblici. Inoltre, la Commissione europea ha proposto un articolato piano di sostegno alla ripresa che contempla la mobilitazione di 750 miliardi, anche attraverso l’emissione obbligazionarie da parte della Commissione Europea per conto della Ue. Il piano, in discussione al Consiglio Europeo di luglio, che mira a stimolare la ripresa degli Stati Membri, sostenere imprese private e lavoratori, e coordinare le risposte tecno-scientifiche al virus, giocherà un ruolo rilevante per il futuro europeo e italiano.
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900 milioni di euro in fumo. Al giorno. E 4.500 posti di lavoro a rischio ogni 24 ore. Sono proiezioni, ma la meccanica italiana durante il lockdown ha visto le proprie quote di mercato seriamente a rischio. In attesa di conoscere i numeri reali, nei mesi di emergenza abbiamo analizzato il sentiment delle aziende della meccanica: a marzo si prevedeva un calo del fatturato in media del 5%, un mese dopo era già quattro volte più in basso. l’industria meccanica 724 | 22
Focus Italia: la meccanica attraverso il lockdown Già nella prima metà di aprile il Fondo monetario internazionale anticipava una caduta del Pil mondiale del 3 per cento nel 2020, contro un aumento della stessa misura previsto in gennaio. All’inizio di questo mese, la Banca mondiale stimava un calo del 5,2 per cento. A fine giugno l’Ocse ha diffuso scenari che indicano una discesa del 6,0 per cento nelle ipotesi meno sfavorevoli e del 7,6 per cento qualora si presentasse una nuova ondata di contagi. È stato calcolato che, quest’anno, si registrerà a livello globale la più diffusa diminuzione del reddito in termini pro capite dal 1870. Per l’Italia, nelle previsioni pubblicate il 5 giugno nell’ambito dell’esercizio coordinato condotto dall’Eurosistema, abbiamo effettuato un’analisi di scenario, basata su ipotesi alternative in merito alla durata e all’estensione dell’epidemia, alle sue ricadute sull’economia globale e alle sue ripercussioni finanziarie. Lo scenario di base prefigura un calo del Pil del 9,2 per cento; in un secondo scenario basato su ipotesi più pessimiste, coerenti, tra l’altro, con la necessità di contrastare possibili nuovi focolai, la diminuzione del Pil sarebbe del 13,1 per cento. Tutti gli scenari suggeriscono che la caduta del Pil, sia per l’Italia sia a livello globale, sarebbe concentrata – e per la maggior parte già realizzata – nella prima metà di
a cura dell’ UFFICIO STUDI ANIMA
quest’anno. Sulla rapidità e sull’intensità della successiva ripresa e, in generale, sulle prospettive per il prossimo biennio grava, tuttavia, un’incertezza molto elevata. Il centro studi di Anima Confindustria, ha svolto durante questi mesi diverse rilevazioni, in particolar modo, si è focalizzato sull’analisi della crisi, in diversi momenti, il primo a fine febbraio, dove il calo del fatturato e la percezione della crisi non era così forte, infatti in questa rilevazione il settore della meccanica, viaggiava a velocità differenti, anzi vi erano settori che non avevano sofferto ancora un netto calo dei fatturati e degli ordini, e ritenevano che la crisi avrebbe causato un calo medio intorno al 5 per cento, che poteva essere recuperato nel corso dell’anno. La decisione del Governo, in particolare la modifica dell’Allegato 1 del Dpcm 22 marzo, hanno escluso in larga parte le aziende della meccanica varia, che rappresenta un settore trainante per l’economia italiana. Circa nove aziende su dieci del comparto sono state infatti costrette a chiudere. Le conseguenze sono state un peggioramento delle aspettative, infatti le rilevazioni successive, tenute nei mesi di aprile e maggio, hanno registrato dapprima una previsione di perdita di fatturato pari al 20 per cento in
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meno e successivamente una perdita del 15 per cento in meno. I dati elaborati dall’Ufficio Studi Anima rivelano che, per le aziende della meccanica associate ad Anima Confindustria, il fatturato a rischio, sia per l’impossibilità di avviare nuove commesse sia per i ritardi e/o le disdette degli ordinativi, si può considerare pari a circa 180 milioni di euro al giorno. Per ogni giorno di lockdown sarebbero inoltre a rischio ben 900 posti di lavoro, ovvero l’equivalente di una media azienda che chiude ogni 24 ore. Nel solo periodo di lockdown dal 23 marzo al 3 aprile si sarebbe così concretizzato un mancato fatturato per 1,8 miliardi di euro con il rischio di veder scomparire ben 9.000 posti di lavoro.
L'ufficio studi di Anima Confindustria ha svolto una serie di rilevazioni e si è focalizzato sull’analisi della crisi in diversi momenti. Il primo a fine febbraio, dove il calo del fatturato e la percezione della crisi non era ancora così forte Considerando il settore della meccanica italiana rappresentato da Anima nel suo complesso, il fatturato messo in gioco è di ben 900 milioni di euro al giorno, con il rischio di perdere ben 4.500 posti di lavoro per ogni giorno di chiusura. Nei soli dieci giorni lavorativi di lockdown il volume di fatturato a rischio è pari a 9 miliardi di euro e 45.000 persone potrebbero vedere compromessa l’esistenza del posto di lavoro. Il settore della meccanica ha quindi sofferto il periodo di lockdown, poiché molti settori costretti a fermarsi, hanno subìto la concorrenza dei competitor stranieri per i quali lo stop è stato meno severo, se non del tutto assente, perdendo così quote di mercato che si spera possano essere recuperate nel breve o nel medio periodo.
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L’INDUSTRIA RIAPRE
Riapriamo in sicurezza. Ma riapriamo.
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L’INDUSTRIA RIAPRE
Riapriamo in sicurezza. Ma riapriamo. È stato il tema più dibattuto durante l’emergenza sanitaria. Durante lo stop forzato, però, le aziende della meccanica si sono organizzate per poter essere pronte a riaprire e a garantire tutti gli standard di sicurezza previsti dai protocolli di regolazione. Spesso con misure anche più stringenti. Mentre sui social media prendeva corpo la campagna di comunicazione #siamopronti. l’industria meccanica 724 | 28
Pronti, partenza? Nei racconti degli imprenditori i giorni più caldi del lockdown per gestire la riapertura in sicurezza delle fabbriche «Lo stabilimento produttivo ha chiuso totalmente solo per due settimane, nel frattempo, sono stati effettuati alcuni interventi economici per supportare i dipendenti e
di SIMONE GILA
mettere in sicurezza l’azienda», è la storia raccontata da Giorgio Barbareschi, marketing communication manager di Pietro Fiorentini SpA, ma è la classica storia di molte imprese che – in alcuni casi potendo lavorare in deroga, in altri aspettando la fine del lockdown – non hanno mai smesso di lavorare per rendere la fabbrica un luogo sicuro. Da tutti i punti di vista. «Siamo sempre stati più restrittivi delle misure del governo, per esempio la temperatura massima per potere entrare in azienda è di 37° invece che 37,5°» dice Barbareschi, «Poi abbiamo riaperto progressivamente i reparti, e tornati alla piena produzione dopo poco tempo». Ad aprile, molte aziende manifatturiera hanno pubblicato sui propri profili social video e fotografie per raccontare il lavoro svolto per
la messa in sicurezza degli stabilimenti, e hanno dato così vita alla campagna #siamopronti e #fabbricasicura.
Gestire il lockdown Le aziende, insomma, hanno gestito il periodo di lockdown con particolare attenzione alla sanificazione e alla messa in sicurezza degli stabilimenti. Tra le prime misure adottate dalle imprese della meccanica (e non solo), molte già da fine febbraio avevano:
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Messo a disposizione dispenser per igienizzare le mani;
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Intensificato le pulizie dei locali (inclusa la mensa) e dei bagni con l’utilizzo di disinfettanti a base di cloro o alcol;
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Scaglionato le pause pranzo in mensa;
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Bloccato le trasferte in luoghi dichiarati a rischio;
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Limitate le riunioni e sospesi tutti i meeting di linea;
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Dato indicazioni di comportamento in caso di sospetta infezione e comunicato il numero verde messo a disposizione dalla Regione;
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Pubblicato il decalogo di comportamento emanato dal Ministero della Salute;
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Concesso flessibilità di orario ai dipendenti;
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Introdotte riduzioni di orario e smart working per gli Uffici.
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Installata una cartellonistica che vieta assembramenti negli uffici e nelle aree comuni, spiega la corretta igienizzazione delle mani e il comportamento da tenere durante la giornata lavorativa.
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Controllata la temperatura corporea prima dell’accesso ai locali e dotato il personale in ingresso di una mascherina FFP1 o FFP2
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«Fin da febbraio abbiamo compreso la gravità della situazione pandemica attuando molti strumenti necessari a tutelare i nostri collaboratori, spesso anticipando le disposizioni dettate dai protocolli siglati tra Governo, parti sindacali e associazioni di categoria prima il 14 marzo e quindi il 25 aprile 2020» spiega Pierluigi Amico, direttore operations di Criocabin, raccontando una procedura che potrebbe rispecchiare la realtà di molte aziende dei vari settori della meccanica. Oltre alle misure previste dal protocollo di sicurezza «successivamente sono stati incentivati permessi e ferie, oltre all’estensione del lavoro agile ove era possibile. È stato quindi distribuito tutto il personale negli spazi più liberi, e fatta continua formazione a piccoli gruppi sui nuovi decreti via via emanati dal presidente del Consiglio e sulle procedure operative messe in atto dall’azienda» continua Pierluigi Amico, «Sono state quindi bloccate tutte le trasferte, chiusa la reception, vietate le postazioni dove non si era in grado di lavorare rispettan-
Molte aziende della meccanica hanno anticipato le disposizioni del Governo per rendere sicuri gli stabilimenti
Operazioni di sanificazione nella sede di Astoria, foto tratta dalla campagna social #siamopronti
do il distanziamento di sicurezza, in assenza di mascherine fintanto che non si risolveva il problema del loro approvvigionamento; infine è stata organizzata la sanificazione straordinaria di tutti i locali aziendali una volta alla settimana ed è stato istituito il Comitato per la gestione dell’emergenza Covid-19, includendo membri della direzione aziendale, Rspp, medico competente, Rsl e Rsu». Se per tutti è stato fondamentale lavorare sulla messa in sicurezza degli stabilimenti, dall’altro lato era necessario mantenere i rapporti con i clienti e con i fornitori. Come afferma Luca Pettinaroli, Corporate communication coordinator di F.lli Pettinaroli SpA: «Abbiamo chiuso ufficialmente da giovedì 19 marzo e i nostri reparti produttivi si sono fermati lunedì 23. Nelle settimane successive, la produzione è rimasta chiusa al 100%, mentre gli uffici hanno continuato a lavorare in smart working col fine di garantire il proseguo del contatto commer-
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ciale e marketing con i clienti, il pagamento dei fornitori e degli stipendi. Dopo avere applicato tutte le misure di sicurezza richieste dal “Protocollo condiviso” – continua Pettinaroli - grazie ad una deroga della prefettura, da lunedì 13 aprile abbiamo cominciato a riaprire progressivamente i reparti produttivi con personale ridotto, in modo da spedire materiale destinato a clienti che operano nei cosiddetti settori “indispensabili”».
Riapertura a macchia di leopardo La riapertura è stato un momento differente per tute le aziende. «Il 3 aprile abbiamo riaperto – afferma Pierluigi Amico di Criocabin – adottando ulteriori precauzioni nel rispetto delle disposizioni emanate da Governo e Regione Veneto, ma anche derivanti dal lavoro del Comitato. Infine abbiamo pensato anche alla tranquillità dei nostri clienti. Oltre a formulare apposite
procedure per la gestione sicura delle trasferte, in tempi record abbiamo studiato ed implementato una camera di sanificazione ad ozono per i banchi prima della spedizione. Alla fine della linea di montaggio e prima dell’imballaggio, tutti i banchi frigoriferi sono sottoposti ad un ciclo di sanificazione in saturazione di ozono per abbattere eventuali cariche batteriche». Prendendo l’esempio della F.lli Pettinaroli, il personale aziendale «è stato organizzato e suddiviso su turni di lavoro, gli ingressi in fabbrica sono stati sfalsati, tutti i dipendenti sono stati “omaggiati” di un test del sangue atto a rilevare presenza di Igm e/o Igg, tutti coloro a rischio sono stati isolati e tramite il medico di fabbrica sono stati fatti degli accertamenti». Anche dopo la riapertura e l’alleggerimento degli obblighi, Giorgio Barbareschi afferma che la Pietro Fiorentini «è tuttora molto rigorosa nell’applicazione delle procedure
con effetti positivi: oggi la percentuale di assenteismo è più bassa rispetto a prima dell’emergenza Coronavirus, segno che i dipendenti hanno voglia di lavorare e dare il massimo. Prima che il virus uscisse dall’Italia, abbiamo esteso i protocolli anche alle altre realtà aziendali presenti all’estero (Ungheria, Francia e Usa). Durante il periodo di emergenza in Cina, abbiamo mandato ad alcune aziende cinesi di una joint venture del materiale sanitario. Poi Shanghai Fiorentini ci spedito Dpi nel primo periodo dell’emergenza in Italia, quando qui era difficile reperire i materiali».
La campagna sui social #SiamoPronti per una #FabbricaSicura. È stato il messaggio delle aziende della meccanica durante il lockdown, promosso sui canali social da Anima Confindustria tra fine aprile e inizio maggio per lanciare
Al lavoro negli stabilimenti di Pietro Fiorentini SpA, foto tratta dalla campagna social #siamopronti
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un messaggio: siamo pronti per riaprire in sicurezza i nostri stabilimenti. Molte le aziende che hanno partecipato alla campagna. Più di 60 post, con oltre 3000 like e 400 condivisioni sui vari canali social: Facebook, Linkedin e Twitter. Riccardo Ferraris di Wega-Astoria ha raccontato la loro esperienza: «Abbiamo sviluppato due campagne differenti per i brand Astoria e Wega. Per quanto riguarda Astoria sono stati pubblicati una serie di contenuti riguardanti le misure adottate dall’azienda in termine di prevenzione e sanificazione dell’edificio mentre per il brand Wega abbiamo creato un video meno formale con protagonista un pilota di motocross che effettua il sanity check dello stabilimento».
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IL LAVORO CHE CAMBIA
Che sia "smart" o in fabbrica, la vita dentro e fuori le aziende si adatta ai nuovi scenari. Siamo andati a vedere come.
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IL LAVORO CHE CAMBIA
Digitale protagonista, smart working con potenzialità ancora inespresse, connettività, big data e automazione per aumentare la flessibilità. Si intravede la voglia di costruire una rete di connessioni che va al di là dei più classici distretti. Ma come si sono sentiti gli imprenditori durante l’emergenza Covid 19? L’abbiamo chiesto ad alcune Pmi e la risposta è semplice: a torto o a ragione, si sono sentiti abbandonati. E lo dicono in tutti i modi possibili, sorridendo sardonici, urlandolo arrabbiati, bisbigliandolo a denti stretti o preoccupati. l’industria meccanica 724 | 34
A DISTANZA DI SICUREZZA un viaggio-inchiesta tra le fabbriche italiane di DANIELE BETTINI
Un’inchiesta sulle Pmi della meccanica ai tempi del Covid 19 è un po’ come la missione di Benjamin Willard a caccia del colonnello Kurtz in Apocalypse Now. Un viaggio nella carne viva del paese destinato a squarciare il velo che ci ha, volenti o nolenti, imprigionato in questi mesi. Come si sono sentiti questi imprenditori, che lavorano principalmente tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, qual è il sentimento che hanno provato nei confronti delle istituzioni, siano essi Governo, regioni o comuni? Semplice, a torto o a ragione, si sono sentiti abbandonati. E lo dicono in tutti i modi possibili, sorridendo sardonici, urlandolo arrabbiati, bisbigliandolo a denti stretti o preoccupati. Le sensazioni sono diverse: «Abbiamo cercato di aiutare la nostra comunità di riferimento, ma raramente abbiamo ricevuto degli aiuti»; «Vediamo che ci sono dei fondi, ma non troviamo più quelli che c’erano prima, sembra il gioco delle tre carte, li spostano per gestire l’emergenza sanitaria, ma il totale è sempre lo stesso e noi abbiamo bisogno di altro». E la Cig? Uno strumento visto con diffidenza. Chi deve lo usa, chi può, ne fa a meno, non solo per non pesare sui conti dello Stato, ma perché non si fida, non sa se e quando quei soldi arriveranno e poi: «In un momento così noi abbiamo bisogno di lavorare più di prima. La Cig può essere utile, ma noi qui dobbiamo ricostruire e se le persone non sono in azienda come ripartiamo?». Le considerazioni sono tante, è difficile generalizzare, perché le Pmi che abbiamo intervistato sono molto diverse tra loro, fatturano dai 15 ai 200 milioni l’anno, vanno da 20 a 200-300 dipendenti, sono inserite in multinazionali solide o affrontano la buriana dei mercati in perfetta solitudine, hanno dunque evidentemente esigenze e necessità che non coincidono. Anche per questo dar loro risposte pronte e precise è complicato e in questo certamente si comprende lo sbandamento delle istituzioni.
Alcune sono imprese familiari, altre sono guidate da manager, tutte o quasi sembrano aver colto molto bene lo spirito dei tempi, hanno produzioni estremamente flessibili e customizzate sulle necessità del cliente. L’impressione è che questa qualità sia portata così all’estremo dall’essere contemporaneamente un elemento di resilienza e un freno alla crescita. Mentre tutti parlano di start-up, e quindi di modelli di scalabilità e ripetibilità infinita o quasi, il cuore pulsante del paese scolpisce a mano ogni singolo battito. Lo fa perché è l’unico modo per andare a caccia di marginalità, e perché probabilmente è l’unico modo che conosce per stare sul mercato. Su un modello di questo tipo il lockdown ha un effetto ambivalente, da un lato blocca tutto o quanto meno rallenta le attività, perché per testare, per costruire, per montare ci vogliono gruppi di lavoro multidisciplinari, ci vuole il confronto davanti alla macchina, ci vuole lo “scontro” sulla soluzione da adottare. Dall’altro lato, tutti sembrano abbastanza consci che quelle competenze sul mercato non ci sono, nessuno riesce a presidiare quelle nicchie con eguale flessibilità e precisione, quindi, certo si ritarda tutto di un po’, forse un di bel po’, ma alla fine i clienti tornano. I tempi del Ford Model T, ovviamente nero, sono distanti anni luce, ma questo non è necessariamente un bene. Ci sono le competenze, c’è la flessibilità, ma quanto sono resilienti queste aziende? Quanto fiato hanno? Chi è inserito in un grande gruppo riesce “ad appoggiarsi”, gli altri hanno margini e solidità finanziaria che permette di gestire la crisi, ma i loro clienti forse no. A parte i grandi progetti o quelli speciali la quotidianità del business, il flusso di cassa che completa gli ordini e dà tranquillità sulla gestione ordinaria è messa in discussione. Il sistema finanziario non sostiene i clienti, viene considerato troppo burocratico o comunque troppo lento nel
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liberare la liquidità necessaria. E gli aiuti, anche quando erogati, arrivano troppo tardi. L’inizio dell’anno è stato brillante per tutti, così come l’anno scorso. La crisi, per ora, pur bruciando fatturato, tra il –10 e il –15% spaventa relativamente. Lo stop, sebbene abbia lasciato vantaggi nelle mani delle imprese dei paesi che fanno meglio sistema, si riesce a superare, quello che terrorizza è la seconda ondata. L’autunno è il vero punto di domanda. Non si vede la ripresa “a U” o “a V”, ma tutti sono convinti che il fatturato perso si possa recuperare abbastanza rapidamente, ma solamente se il “mostro” non dovesse ripresentarsi. In caso contrario sarebbe davvero un disastro. È interessante sottolineare anche l’approccio alle crisi. «Ne abbiamo vissute tante, ormai sono rimaste in piedi solamente le imprese valide. Funziona così: si abbassano i volumi e si comprimono i margini; lavoriamo 5 o 6 anni per ritornare su volumi e margini apprezzabili e arriva un’altra crisi».
La grande trasformazione Entriamo nello specifico e lasciamo parlare le aziende. Alberto Zerbinato, amministratore delegato di Ici caldaie, ha iniziato l’anno con una importante trasformazione organizzativa della sua azienda. È convinto che il modello troppo rigido e burocratico della grande impresa sia ormai alle corde e sta cercando di cambiare radicalmente approccio. «La crisi dovuta a Covid-19 per noi è ancora un punto di domanda» spiega Zerbinato, «nei primi 6 mesi dell’anno abbiamo lavorato perché il codice Ateco ce lo permetteva. Però i nostri clienti hanno rallentato, non tanto nella discussione dei progetti o nelle richieste, quanto nei ritiri del prodotto. Mi illudevo che questo si trasformasse in un semplice posticipo, invece stiamo an-
«Molte Pmi non sono riuscite a organizzare smart working per mancanza di investimenti It o infrastrutture. In realtà temo che questa sia una rappresentazione della resistenza al cambiamento» Massimiliano Bariola
dando incontro a una perdita di fatturato che dobbiamo ancora valutare. Potrebbe andare dal –10 al –20%, ma gran parte dei giochi sono ancora da fare, molto dipenderà dall’autunno, anche se partiamo da un –10%». Investe il 5% del fatturato in R&D ma si lamenta con fermezza del sistema-paese che non ha risposto alle sue sollecitazioni e lo ingabbia con una serie di pratiche burocratiche pesanti, ma soprattutto dei suoi colleghi imprenditori: «La ricerca e sviluppo su cui si sono concentrati i più è sviluppo del proprio prodotto, mentre bisognerebbe puntare sull’innovazione discontinua, per verificare scenari alternativi da sviluppare in futuro» continua, «Abbiamo perfezionato i nostri prodotti per competere nel mondo. Ci manca però il salto per competere per i prossimi 20 anni». Nel settore di Zerbinato, per esempio, si parla di Idrometano – miscela idrogeno metano, «Ma come facciamo» si chiede, «a cambiare/evolvere i nostri dispositivi con questo nuovo combustibile? Manca la filiera e gli investitori industriali. Non esistono prodotti e pochissime aziende stanno lavorando in questo ambito, vedo invece tedeschi e spagnoli già avviati in questa nuova sfida, è solo un esempio che mi aiuta a ribadire come manchi ricerca e sviluppo discontinua». Il tema chiave, dunque, è legato alla capacità di immaginarsi qualcosa di diverso, ma che sia totalmente altro. Ici caldaie, oltre che puntare sull’idrogeno, sta sviluppando un digital twin per caldaie, punta sulla servitizzazione e sta studiando il tema dei big data. «Stiamo lavorando sui dati, per ora senza troppa fortuna cercando di andare al di là della classica manutenzione predittiva. Se nel B2C il modello basato sulla profilazione ha ormai un suo profondo radicamento, noi non siamo ancora riusciti a capire che senso dare a questo tema». Una lezione che pone un problema chiave al di là della facile retorica da super nuove tecnologie, il mondo dei dati in alcuni ambiti è ancora un mistero, tanti ne parlano e pochi trovano veramente nuovi modelli di business.
Coltivare le nicchie Simai è un’azienda che fa movimentazione orizzontale, presidia una serie di nicchie strategiche con soluzioni fortemente personalizzate e ha alle spalle la solidità di una multinazionale come Toyota Material Handling. Tra maggio e giugno ha visto aumentare la richiesta di offerte: «Siamo inseriti in un settore che non ha particolarmente sofferto» evidenzia Massimo Bariola, managing director di Simai, «Noi poi lavoriamo in settori di nicchia molto diversi tra loro e abbiamo un’alta capacità
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di customizzazione del prodotto». L’emergenza sanitaria in questo caso ha accelerato l’introduzione di canali di comunicazione e processi su cui l’azienda stava già lavorando: «Non potendo ricevere clienti abbiamo approntato tutorial live (per facilitare manutenzione da remoto) e implementato video istituzionali utilizzandoli da un lato come strumento di marketing dall’altro come strumenti operativi. Sono soluzioni tampone, ma intelligenti, che continueremo a utilizzare, si sono, infatti, dimostrate efficienti e funzionali». Spiega ancora Bariola: «Ci sono molte Pmi e micro aziende che non sono riuscite a organizzare smart working per mancanza di investimenti It o per deficit infrastrutturali. In realtà temo molto che questa sia una rappresentazione della resistenza al cambiamento. Un ostacolo culturale, più che tecnologico. Noi non avendo portatili per tutti abbiamo smontato le postazioni fisse in azienda e le abbiamo portate a casa dei nostri collaboratori che le hanno installate con l’appoggio dei tecnici. Certo è stato un costo, ma non potevamo pensare di fermare tutto per un tempo indefinito». Sicuramente, oltre allo smart working, il digitale offre molte soluzioni che il Covid ha costretto a tirare fuori dalla cassetta degli attrezzi, favorendone una adozione a volte rimandata da molto.
«Serve puntare sull'innovazione discontinua, per verificare scenari alternativi da sviluppare in futuro» Alberto Zerbinato
L’emergenza sanitaria spinge l’innovazione In questo senso il caso probabilmente più significativo è quello dell’industria farmaceutica descritto da Giuseppe Fedegari presidente di Fedegari Autoclavi: «Negli scorsi mesi abbiamo collaudato e introdotto soluzioni per guidare, da remoto, i manutentori del cliente nello svolgimento delle riparazioni e delle manutenzioni periodiche. Sono tecnologie che impiegano cellulari, tablet o occhialini, combinandoli con la realtà aumentata e che forniscono agli operatori, in tempo reale, tutte le informazioni necessarie allo smontaggio dei componenti installati sulle nostre macchine. Fedegari aveva già iniziato a sviluppare queste soluzioni negli anni passati:
«L’emergenza ci ha offerto l’opportunità di collaudare senza dover faticare a convincere i clienti. Spesso è difficile convincerli a collegare le loro macchine al cloud o ai nostri server per motivi di riservatezza dei dati. Tutti i processi eseguiti dalle nostre macchine sono convalidati rigorosamente e temono che qualcuno, in maniera non controllata, possa alterarli compromettendo così la effettiva sterilità dei farmaci. In una situazione di emergenza come questa però, sono mutate le priorità e le esigenze produttive hanno prevalso su tanti eccessi di scrupolo». Altra considerazione, per così dire, laterale, è che evidentemente i costi burocratici delle validazioni erano così alti da non rendere vantaggioso l’introduzione di nuove tecnologie. Non è quindi stato il normale mercato a spingere sulla diffusione della connettività, ma la catastrofe Covid.
«La crisi ha accelerato la digital transformation dell’azienda, dalla gestione da remoto di macchine fino all’ecommerce»
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Massimiliano Impavidi
Non solo. Sul settore farmaceutico il Covid ha impattato notevolmente favorendo il reshoring. È ancora Giuseppe Fedegari a parlare: «Oggi si stanno riconsiderando tutte le scelte fatte in passato sulla rilocazione soprattutto in India e Cina delle produzioni di base, quali per esempio la chimica fine, portate avanti per avvantaggiarsi di costi della manodopera inferiori e magari di agevolazioni fiscali. Noi prevediamo che nei prossimi anni un certo numero di questi impianti saranno ricostruiti in Occidente, sfruttando tecnologie più innovative ed efficienti». In sostanza, durante il Covid l’importazione di alcune materie prime è stata sospesa, cosa che ha provocato ingenti danni, tanto da spingere alcune case a riportare alcune produzioni più vicino. Anche qui il Covid gioca un ruolo molto interessante dal momento che i nuovi stabilimenti, per essere competitivi sui mercati internazionali, dovranno essere dotati di tutte le ultime tecnologie. Il risultato è duplice per un tema di risk management si accorcia la filiera e si fa innovazione per essere competitivi nel lungo periodo.
Tra distretti, reshoring e politica industriale Il tema del reshoring però non si risolve così facilmente. Sebbene la meccanica sia una delle punte di diamante dell’industria italiana i pareri sono molto diversi. C’è chi come Roberta Togni, general counsel di Automha, lo ritiene un percorso difficilmente percorribile. «Dal mio punto di vista non è una prospettiva interessante» spiega, «La delocalizzazione se ben strutturata e ben organizzata funziona. L’idea che tutti debbano fare tutto ormai è perdente, ci sono delle specializzazioni e delle divisioni nella catena del valore e credo che indietro non si possa tornare. Anche ci fosse una spinta della politica in questo senso sarebbe perdente perché, finiti gli stimoli, si tornerebbe a delocalizzare». Un parere simile a quello espresso da Massimo Ipavidi di Esab saldature: «Nel medio periodo potrebbe esserci un interesse ad accorciare la filiera ritornando in Europa o in Italia. Questo perché la vicenda Covid ha mostrato la fragilità di filiere connesse al Far East. Onestamente però faccio fatica a capire cosa possa succedere tra due, tre anni, perché questi investimenti sono molto influenzabili dalla politica del breve periodo». C’è invece chi come Giulio Schiaretti, Ad di Salvatore Robuschi Pompe non ci crede, ma sviluppa una propria strategia di risk management: «Noi come scelta strategica aziendale abbiamo sempre avuto l’idea di avere più fornitori. Il discorso riguarda, per esempio, le fonderie:
«Si stanno riconsiderando tutte le scelte fatte in passato sulla rilocazione delle produzioni di base. Noi prevediamo che nei prossimi anni un certo numero di questi impianti saranno ricostruiti in Occidente, sfruttando tecnologie più innovative ed efficienti». Giuseppe Fedegari
in Europa sono tante quelle che stanno chiudendo e sono sempre più delocalizzate verso Cina o India» spiega Schiaretti, «Abbiamo deciso di tenere aperti i canali, anche se più costosi, con fornitori europei. È stata una scelta che in questo periodo ci ha aiutato molto. Se vogliamo che l’industria ritorni in Europa» sostiene con forza, «dobbiamo costruire un panorama non solo fiscale, ma anche normativo, che aiuti davvero chi fa impresa, industria e non solo servizi. Uno dei limiti che riscontriamo frequentemente è l’eccesso di burocrazia. Per ampliare uno stabilimento abbiamo avuto bisogno di 15 autorizzazioni di enti differenti, comprese le ferrovie dello stato, l’esercito, la bonifica, il comune, l’Anas… Se non cambiano i presupposti, le pratiche burocratiche e le regole troppo penalizzanti, non penso potremo tornare a realizzare stabilimenti produttivi in Italia». Opinioni che rispecchiano strategie diverse, per Automha gli stabilimenti e le filiali in Cina o in altre parti del mondo sono teste di ponte utili per penetrare mercati in espansione, soprattutto in un momento in cui lo spettro delle barriere viene agitato con forza. Roberta Togni, da parte sua, sottolinea anche la specificità di chi fa magazzini automatici da quarant’anni: «I nostri progetti hanno una gestazione che va dai 10 ai 15-18 mesi quindi a oggi continuiamo a gestire commesse che abbiamo preso oltre un anno fa. Complessivamente non possiamo lamentarci, abbiamo lavorato con grande impegno e in condizioni di emergenza continua (siamo di Bergamo) con grande fatica, ma siamo riusciti a costruirci delle opportunità anche durante il lockdown». E continua: «Lavorare in smart working ha dei vantaggi, ma il reparto innovazione/nuovi progetti è stato, come giusto, chiuso. Abbiamo saltato fiere e incontri, impor-
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tanti, non solo dal punto di vista commerciale, ma anche in quanto occasioni di confronto. Insomma per alcune cose è un po’ come se si fosse spenta la luce nella stanza e si sia riaccesa solo tre mesi dopo». Spiega ancora Roberta Togni: «Siamo ed eravamo un già un’azienda 4.0 ed eravamo già organizzati in termini di smart working, Sentiremo l’effetto del lockdown verso la metà dell’anno prossimo. In generale però questa dinamica temporale ci dà l’opportunità di gestire l’emergenza e di costruirci delle contromisure». Anche Esab saldature come ci ha spiegato il managing director Massimo Impavidi non ha sofferto direttamente per il lockdown, è il distributore per Emea (Grecia, Turchia, Cipro, Israele, Malta e Turchia) di un gruppo multinazionale e ha un business molto trasversale che “serve” settore ciclici e anticiclici, dall’oil&gas all’edilizia, dall’automotive alla cantieristica, con prodotti che vanno da pochi Euro a milioni. «Al di là dei limiti strutturali della catena produttiva italiana, in alcune aree siamo stati pronti e assolutamente in grado di competere con tutti. Dal confronto settimanale con colleghi di tutta Europa» racconta Impavidi, «è emersa, purtroppo, una forte carenza nel sistema finanziario e nell’accesso al credito. E questa è un area che rischia di penalizzarci molto. C’è troppa burocrazia, non è una novità, mentre altrove è ridotta al limite. E troppo spesso centralmente vengono demandate localmente decisioni che non si hanno il coraggio di prendere. Tutto questo comporta mancanza di rapidità e incisività. Questo in particolare l’abbiamo visto nell’accesso al credito che è stato molto limitato. Ha colpito molti nostri clienti e soprattutto le Pmi che si sono viste ridotte le loro disponibilità e le loro capacità di fare business. Per quanto ci riguarda la crisi ha accelerato la digital transformation dell’azienda e la spinta su alcuni servizi digitali, dalla gestione da remoto di macchine e pro-
cessi, alla manutenzione predittiva. Dal punto di vista commerciale poi stiamo lavorando sull’e-commerce nella convinzione che certe rivoluzioni vadano cavalcate e gestite per non correre il rischio di essere travolti. Certo sono grandi trasformazioni non sempre semplici. Molti clienti ci seguono e apprezzano altri guardano con sospetto. Noi ci stiamo lavorando con grande attenzione».
«Abbiamo deciso di tenere aperti i canali, anche se più costosi, con fornitori europei. È stata una scelta che in questo periodo ci ha aiutato molto».
«La delocalizzazione se ben strutturata e ben organizzata funziona. Ci sono specializzazioni e divisioni nella catena del valore, credo che indietro non si possa tornare». Roberta Togni
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Giulio Schiaretti
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IL LAVORO CHE CAMBIA
Marco Bentivogli è stato segretario generale della Fim-Cisl dal 2014 al luglio di quest’anno. Nel 2018 ha lanciato con l’allora ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda il “Piano industriale per l’Italia delle competenze” e, dal gennaio 2019, è uno dei 30 esperti chiamati dal ministero dello Sviluppo economico ai lavori della commissione sull'Intelligenza artificiale.
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Subito una rete nazionale dell’innovazione per uscire dalla crisi
Marco Bentivogli
commenta i risultati della nostra inchiesta
Cosa farà dopo aver lasciato la FimCisl Marco Bentivogli noi non lo sappiamo e non glielo abbiamo neanche chiesto. Sappiamo però che lavoro, innovazione, Pmi e trasferimento tecnologico sono tra i driver da cui prenderanno le mosse le sue prossime iniziative. «Con Alfonso Fuggetta stiamo presentando a tutti i ministri il nostro progetto per lanciare al più presto una rete nazionale delle eccellenze tecnologiche, una sorta di Fraunhofer italiano» dice Bentivogli, «In autunno ci saranno tre tipi di aziende: quelle in crisi a prescindere dal covid, quelle a cui la crisi sanitaria ha portato via quote di mercato e quelle che, invece, dall’autunno metteranno la freccia e saranno costrette, volontariamente o meno, ad accelerare sull’innovazione tecnologica. Noi ci poniamo l’obiettivo di allargare questo terzo gruppo cercando di fare in modo che sia partecipato da tantissime Pmi. Vogliamo dare loro l’opportunità di stare nel gorgo dell’innovazione che nei prossimi anni sarà accelerata come mai». E continua: «Pensiamo di mettere insieme i centri di eccellenza di innovazione tecnologica italiana, partire con i primi 5 o 6 e allargare a tutto il paese, costruire una fondazione a capitale misto, a maggioranza privata, che colleghi centri di innovazione tecnologica, quelli di formazione più avanzati del paese e coordini una rete con le principali academy aziendali».
Dalla nostra mini inchiesta emerge che le aziende italiane durante l’emergenza sanitaria si sono sentite abbandonate. Forse è l’unica cosa su cui l’unanimità è totale… Le aziende italiane e soprattutto le Pmi si sono sentite abbandonate per due motivi: in primo luogo perché vi è una profonda incapacità di produrre leggi efficaci. E questo si è dimostrato nel momento in cui si doveva fare in modo che le aziende e in particolare le Pmi accedessero alla liquidità di emergenza garantita dallo Stato. Il filtro del merito creditizio che le banche richiedono alle Pmi è troppo selettivo e per questo la gran parte dei soldi non sono arrivati a destinazione. La seconda ragione è che le aziende sono sottoposte a un processo di accelerazione tecnologica e non esiste in Italia una struttura in grado di accompagnare il trasferimento tecnologico e renderlo più accessibile,
soprattutto nei confronti delle Pmi e delle microaziende. In questo contesto le aziende perdono produttività e competitività. È su questo secondo punto che vogliamo agire. Problema simmetrico per i lavoratori che hanno avuto la Cig in ritardo e 89.000 ancora non l’hanno ricevuta.
In realtà le aziende che abbiamo intervistato si lamentano anche degli strumenti a disposizione, forse superati o inadatti alla situazione, la CIG per esempio. In parte i protocolli aziendali sottoscritti con il sindacato si sono dimostrati utili per superare la fase emergenziale. Contemporaneamente la Cig serve se non c’è lavoro, se invece c’è, serve liquidità per pagare fornitori. Per cui è evidente che c’è una scarsa conoscenza a livello istituzionale del funzionamento
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L’innovazione tecnologica non è inserire elementi 4.0 all’interno di una fabbrica vecchia, ma avere la capacità di riorganizzare in maniera integrata il lavoro dell’azienda, non solo all’interno, ma soprattutto con l’ecosistema digitale che deve nascere all’esterno dell’impresA.
dell’economia reale italiana e questo problema si è riversato simmetricamente, e in egual misura, su lavoratori e imprese. Lo smart working però è da valorizzare, basti pensare cosa sarebbe accaduto 20-30 anni fa con una azienda in lockdown per due mesi. Clienti fornitori e dipendenti avrebbero parlato tutt’al più con una segreteria telefonica a nastro. Oggi con lo smart working la gran parte delle funzioni aziendali sono state assicurate e si è data una certa continuità. È un elemento di valore che ha evitato che l’azienda si fermasse del tutto e si perdessero rapporti con fornitori, dipendenti e clienti. Solo chi non ha capito la traiettoria del cambiamento ne ha paura e vuole tornare indietro.
Tornando alla variabile tecnologica, per dimensione e per modello di business le Pmi italiane guardano con interesse al mondo dell’innovazione. Uno dei principali punti di forza delle tecnologie 4.0 è proprio la customizzazione: consentono produzioni sartoriali, su piccole lotti, evitano la necessità di grandi numeri e di scarsa flessibilità dell’organizzazione del lavoro. Il problema vero è che non esiste in Italia una rete nazionale dell’innovazione che accompagni le imprese abbassandone la soglia di accesso. Dopo lo scetticismo per l’innovazione c’è solo la chiusura dell’azienda. Bisogna spiegare che l’innovazione tecnologica non è inserire elementi 4.0 all’interno di una fabbrica vecchia, ma è avere la capacità di riorganizzare in maniera integrata il lavoro dell’azienda, non solo all’interno, ma soprattutto con l’ecosistema digitale che deve nascere all’esterno dell’impresa stessa. È un processo che sta avvenendo con grande successo in altri paesi dove il rinnovare su tecnologie abilitanti, competenze dei lavoratori e organizzazione del lavoro, sta riportando produzioni in quei paesi da cui erano migrati solo per questioni di produttività. d.b.
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La fase due dello
SMART WORKING L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ci ha inevitabilmente obbligato a rivedere gli spazi del nostro quotidiano, soprattutto per chi ha lavorato in smart working. Questo strumento è stato impiegato massivamente per rispondere alle norme restrittive e alle esigenze lavorative, ma è questo il vero smart working? Durante il webinar organizzato da Anima Confindustria “I nuovi modelli organizzativi e le misure adottate dal governo per affrontare l’emergenza post Covid”, Federico Strada, avvocato partner employment di Dla Piper Italia, ha fatto chiarezza riguardo al lavoro svolto fino ad ora e quello che ci aspetta. «Lo smart working che abbiamo applicato in questa quarantena è stato applicato in via del tutto eccezionale, come misura emergenziale» precisa Strada, «non è la forma prevista dalla Legge 81 del 2017» . Lo smart working infatti, non si configura come una nuova tipologia contrattuale, ma rappresenta un’alternativa di esecuzione del rapporto di lavoro, regolato dalla Legge n. 81/2017. Di smart working si è parlato anche prima della crisi sanitaria, ma solo in questo momento di difficoltà s’è deciso di ricorrere a questa risorsa che, come precisato più volte durante l’intervento di Strada, non è un accordo sindacale, ma del tutto personale tra datore di lavoro e dipendente. Il Decreto Rilancio procrastinerà questa situazione lavorativa fino al 31 dicembre, ma cosa succederà nella fase due dello smart working? Tanti dipendenti chiedono un’ibridazione del contratto e così pure le aziende che in questo modo riuscirebbero ad abbattere i costi di sanificazione degli uffici, ma il vero punto focale è il cambio di paradigma sulla visione del lavoro. «Se si avranno dipendenti smart, dovremo avere anche manager smart» spiega Strada «quando si pensa allo smart working, non si deve avere in mente l’idea di lavorare, magari in un ufficio domestico, per otto ore
giornaliere e consecutive. Quello è telelavoro e prevede una regolamentazione ben diversa da quello che si vorrebbe e forse dovrebbe applicare adesso». I manager, insomma, non dovranno compiere un controllo quotidiano delle ore lavorative dei dipendenti, ma dovranno essere in grado di configurare il loro giudizio in base al risultato finale ottenuto. «È nei paradigmi di concezione del controllo e di operatività che si deve cambiare» prosegue Strada «si dovrà tenere conto della prestazione finale e non più delle ore “seduti alla scrivania”, cioè in presenza. Questa riconsiderazione del tempo porta con sé la ricodifica del concetto di straordinario che molto probabilmente non esisterà più» Lo smart working dovrà quindi considerarsi con una temporalità fluida, non più legata alle ore effettive in postazione lavoro, ma basarsi sui risultati ottenuti. Lo stravolgimento del canonico concetto di lavoro e quindi anche dell’orario lavorativo e della presenza porta con sé l’inevitabile messa in discussione della tradizionale gestione e valutazione del lavoro, con il beneficio di una maggiore produttività. «Allo stesso modo anche il concetto dei permessi di lavoro verrà ridiscusso» ipotizza l’avvocato Federico Strada, «si aprirà un dialogo che ragionerà su disconnessione, sicurezza e asset aziendali, poiché il dipendente potrà lavorare potenzialmente ovunque». Si apre quindi uno scenario con un dedalo di strade percorribili, tutte rivolte all’efficientamento della produttività e alla ridefinizione dell’orario lavorativo per garantire un alto rendimento, ma anche di benessere del lavoratore. Non si parlerà più quindi di quantità di lavoro, ma di qualità del lavoro. È questa la sfida a cui gli imprenditori sono chiamati a rispondere, perché sono le imprese a innescare il cambiamento, con nuovi paradigmi per la gestione delle risorse umane. l.b.
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LO SMART WORKING PRIMA DEL CORONAVIRUS Lo smart working non è una nuova tipologia contrattuale, rappresenta una modalità alternativa di esecuzione del rapporto di lavoro. È regolato dalla Legge n. 81 del 2017. È necessario un accordo stipulato tra le parti, quindi concordato individualmente. La prestazione lavorativa subordinata agile è svincolata: •
da un luogo fisico dove l’attività viene svolta,
•
dal rispetto di un determinato orario di lavoro (fatto salvo il diritto alla disconnessione),
•
e da un controllo diretto da parte del datore di lavoro.
Nasce come uno strumento per la gestione dei tempi di vita e di lavoro e per migliorare la produttività.
LO SMART WORKING DURANTE L’EMERGENZA COVID-19 Durante le recenti fasi di emergenza sanitaria, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera r del Dpcm 8 marzo 2020, la modalità di lavoro agile è stata applicata, per la durata dello stato di emergenza, anche in assenza degli accordi individuali, assolvendo gli obblighi di informativa in via telematica. Il Decreto Rilancio ha esteso la possibilità di applicare lo smart working in assenza di accordo fino al rientro dell’emergenza, ma non oltre il 31 dicembre 2020.
LO SMART WORKING DEL PROSSIMO FUTURO? Lo scenario attuale lascia irrisolti ancora dei punti fondamentali sulla gestione dello smart working, partendo dal “controllo” del dipendente, dalla sicurezza degli asset aziendali, dal diritto alla disconnessione e alla gestione delle assenze, dall’accordo che dovrà essere stipulato con i dipendenti e dalla possibile flessibilità (un mix tra smart working e rientro in ufficio).
La vera ripartenza sarà DATA dalla qualità e da una visione sempre più smart del lavoro.
03.
IL LAVORO CHE CAMBIA
Secondo una ricerca di EY solo un lavoratore su tre è soddisfatto del lavoro in smart working svolto fino ad ora, la maggioranza dichiara di sentirsi demotivato, deconcentrato e turbato. Eppure uno smart working davvero smart, permetterebbe un miglioramento del 400% della motivazione del personale. l’industria meccanica 724 | 52
SMART ways of WORKING I 4 spunti di EY per ridisegnare il futuro dell’organizzazione in azienda
di DONATO FERRI E STEFANO BESANO, EY PEOPLE ADVISORY SERVECES
Smart working è un termine che, volenti o nolenti, abbiamo imparato a conoscere, ma che spesso non è stato correttamente contestualizzato. Ben prima dell’emergenza sanitaria che abbiamo attraversato, molte aziende si erano spinte nel fidarsi, o nel mettere in conto una minima perdita in termini di efficienza e di risparmio dei costi, provando a offrire la possibilità di lavorare da casa almeno un giorno a settimana. Il 90% di queste organizzazioni, come dimostra una ricerca EY condotta su un campione di oltre 990 persone, non ha fatto molto altro: limitandosi a spostare il luogo di lavoro dall’ufficio alla casa dei propri dipendenti, molto spesso senza fornire le adeguate tecnologie, regole di lavoro e senza accompagnare il percorso di cambiamento con opportuni piani di formazione. Ciò che abbiamo sperimentato durante il Covid-19, del resto, non è stato affatto smart, come hanno peraltro dimostrato le numerose ricerche teorizzando molto bene la zoom fatigue: quella situazione di forte stress e di profonda frustrazione che tutti abbiamo sperimentato dopo intere ore di fronte a un monitor palleggiati da una call conference a quella successiva. Ci siamo limitati infatti a fare home working, senza una vera possibilità di essere flessibili e orientati al compito, quanto piuttosto nella rincorsa dell’offrire alle persone la possibilità di lavorare facendo ciò che era possibile. L’impatto è stato elevato sul modello di lavoro: si stima che il numero di lavoratori a distanza sia più che raddoppiato durante questo periodo di crisi, da circa 500 mila a oltre 1,3 milioni secondo gli ultimi dati forniti dal ministero del Lavoro. Cosa ci resta per il dopo? Saremo capaci di fare vero
smart working? Riprenderemo le normali attività? O resteremo vittime della sindrome della capanna, coltivando il desiderio di non rientrare mai in ufficio? L’uomo – lo sappiamo dai tempi di Aristotele – è un animale sociale e ciò che abbiamo vissuto è in controtendenza con anni di relazioni e di scambi che non possono, e non devono, essere limitati e regolati solamente da un digitale ancora troppo incentrato sulla risoluzione del compito anziché sulla maturazione di un senso di comunità attorno al quale, da sempre, si orientano coscienza di gruppo e anche quegli elementi che arricchiscono il nostro percorso identitario. Per ripensare il nostro modo di lavorare, consentendo una vera scelta flessibile tra casa, ufficio e relazioni verso l’esterno si dovrà agire su quattro livelli fondamentali:
Ciò che abbiamo sperimentato durante il Covid-19 non è stato affatto smart. Ci siamo limitati infatti a fare home working, senza poter essere flessibili e orientati al compito
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UFFICI A (NUOVA) MISURA D’UOMO La capacità di rendere sicuri gli uffici sia da un punto di vista delle normative, sia da un punto di vista psicologico, con messaggi di avvicinamento che ripartano dal distanziamento fisico. Sarà necessario agire dando esempi positivi – a partire dalla leadership – di come si possa prendere confidenza con nuove regole e nuove modalità di lavoro.
COSA FARE A CASA, COSA FARE AL LAVORO Una profonda riflessione su cosa è necessario che sia fatto in ufficio e cosa sia fatto altrove, in remoto, da casa. L’ufficio andrebbe privilegiato non per i meeting di allineamento, ma per attività ad alto valore aggiunto e scambi di significato rilevante: attività di co-design, knowledge sharing con i clienti, passaggi di consegne, onboarding, valutazioni di fine anno.
DEFINIRE PROGETTI E DIREZIONI La volontà nel definire cosa accadrà nel medio e nel lungo termine. Senza una direzione chiara e condivisa si perde il senso di ciò che viene comunicato nell’immediato. Saremo in grado di scegliere in modo libero dove lavorare in funzione di: una necessità di riunirsi in un luogo quando il senso del lavoro si sposta dal singolo al team; un bisogno di un luogo che aderisca in modo migliore al significato di ciò che si intende fare o produrre.
VALORIZZARE LE COMPETENZE La capacità di preparare le competenze e le relazioni tra individui e organizzazione, insistendo sul benessere delle persone che sappiamo essere profondamente connesso – tra le altre cose – alla capacità produttiva dell’organizzazione (nei casi virtuosi aumenta tra il 25 e il 40%). Una ricerca EY mostra un miglioramento del 400% della motivazione delle persone al lavoro quando sono adottate modalità che siano davvero smart. La verità attuale è però che è solo un lavoratore su tre ad essere attualmente soddisfatto e che il 48% degli oltre 990 intervistati da EY affermi di avvertire stress, spossatezza e incapacità nel gestire i compiti anche più semplici. Il 25% dei partecipanti dichiara di essere demotivato al lavoro a causa dell’emergenza legata al Coronavirus, il 30% è deconcentrato dalle proprie attività e l’86% si sente triste e turbato.
Immaginare un nuovo modo di lavorare, che sia davvero in grado di sfruttare l’intelligenza collettiva e il capitale delle relazioni umane da un lato e dal digitale dall’altro è possibile, ma richiede una costruzione di senso completamente differente. Come sosteneva – in tempi non sospetti – Donald Norman:
“La tecnologia ci pone di fronte a problemi fondamentali che non possono essere superati basandoci su quanto abbiamo fatto nel passato. Abbiamo bisogo di un approccio più tranquillo, più affidabile, più a misura d’uomo.
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04.
MONDI POSSIBILI
Idee, visioni, sogni per un mondo post Covid Abbiamo chiesto a Salvatore Majorana, direttore del Kilometro Rosso, a Marco Taisch, del Politecnico di Milano, e a Elena Bottinelli, AD del San Raffaele, di immaginare per noi un futuro prossimo, utopico, anche solo sognato. Un mondo dove la crisi del coronavirus ci avrĂ aiutato a trovare nuove idee.
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MONDI POSSIBILI
Chiusi in casa durante il lockdown abbiamo fantasticato su un mondo migliore: più sostenibile, meno inquinato, meno tecnofobo. Salvatore Majorana, direttore del Kilometro Rosso, ha immaginato per noi un racconto ambientato in un futuro ipotetico, dove l’esperienza di questo 2020 avrà creato le basi per uno scenario realmente diverso. Dove l’intelligenza artificiale sarà nelle nostre case, aggiornerà la nostra agenda, e ci ricorderà di lavarci i denti con la voce di Frank Sinatra. Dove le distanze si accorciano. E dove una mobilità urbana intermodale renderà le nostre città sempre più verdi. BIO
Salvatore Majorana è Direttore del Kilometro Rosso, il distretto dell’innovazione di Bergamo che ha la missione di favorire la collaborazione tra imprese ed enti di ricerca, accompagnando i processi di trasferimento tecnologico e sviluppo di nuovi prodotti. È promotore e key-man del fondo d’investimento Eureka!, che opera su iniziative early stage della ricerca scientifica in ambito materiali per creare start-up e sviluppare soluzioni nel campo della sostenibilità ambientale, della mobilità, dell’energia e in generale del well-being. È stato Direttore del Technology Transfer di IIT - Istituto Italiano di Tecnologia (Genova), con responsabilità sulla protezione e valorizzazione della proprietà intellettuale, sviluppo di collaborazioni con l’industria, e ha svolto un ruolo attivo nell’avvio di Spin Off della ricerca. Ha diretto una società d’investimento orientata alle Pmi, è stato manager in AT Kearney e Deloitte e Investment Analyst per il fondo Kiwi II di Elserino Piol.
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Stamattina la luce che filtra dalle finestre è un po’ fioca per essere un martedì di giugno a Milano. Mi siedo sul letto e guardo fuori un istante, cercando di ricordare l’agenda della giornata. Un morbido ronzio mi si avvicina e mi fa sussultare: Jack, il mio personal robot si è accorto che son sveglio e mi ha portato il caffè… non so se mi abituerò mai, eppure sono ormai alcuni anni che è con noi in casa. Sembra quasi che mi legga nel pensiero (e anche a questo faccio fatica ad abituarmi) quando mi proietta sul pavimento l’agenda della mattina. Lo sa che non amo parlare appena sveglio ed evita di costringermi ad ascoltarlo. Ci siamo conosciuti un po’ alla volta, e ora sembriamo una squadra di professionisti affiatati. Il tempo di fermarmi su questo pensiero e lui si volta e sfila in un nuovo ronzio. Il caffè, mi spiace un po’ ammetterlo, era buono, e ora con la strana luce del mattino nella stanza c’è anche un aroma che sa di moka. Due passi e sono nella stanza di mio figlio. Adoro godermi i suoi ultimi istanti di sonno prima della sveglia. A quella penso io, è il nostro momento della mattina. Un po’ di moine, due o tre giri per ritardare l’uscita dalle lenzuola e poi conquisto il mio buongiorno. Si fa tardi, scappo in doccia e lo lascio nel dormiveglia quando sento le sue risate; e già immagino la scena: Jack ha preparato i vestiti e passato in rassegna tutte le sigle dei cartoni animati per convincerlo a darsi una mossa. Un salto in cucina prima di correre al lavoro, la mia radio di sempre in sottofondo, sul tavolo la colazione dei bambini appena consumata Jack che insegue mia figlia, la piccola, con uno spazzolino da denti in mano. Certo che anche oggi Jack avrà la meglio, gli do alcune rapide istruzioni: «Giuseppe oggi ha judo e Elena fa ginnastica alle 16:00, organizzi tu per favore?». Con un cenno garbato (devo ricordarmi di mettere una buona recensione su quest’ultima app!) mi guarda e mi risponde «Per Giuseppe siamo organizzati con Mov-U, Elena dovrebbe invece iniziare alle 17:30 a guardare l’agenda, me lo puoi confermare?» È vero, la lezione questa settimana è stata spostata, non mi ricordavo, ma la palestra lo aveva condiviso sull’agenda di Jack… Tiro su un pollice e lui di rimando mi lancia un piccolo flash azzurro da uno dei suoi led. Ci siamo capiti. Il mio transfer mi aspetta davanti casa. Siamo abbonati a Mov-U, uno dei tre operatori di mobilità urbana e intermodale di oggi, francamente forse il migliore. Questi veicoli ti raggiungono dove serve e sono collegati gli uni agli atri per gestire il tuo tragitto combinando le modalità di trasporto più indicate. Il sistema è brillante: più è ridotto l’impatto ambientale del tuo viaggio, più loro guadagnano
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crediti verdi che incasseranno dalla comunità. Come a dire: se faccio del bene a tutti, tutti condividono un po’ del beneficio. Prima di raggiungere il mio transfer mi fermo un attimo sull’uscio. Sono le piccole abitudini che fanno una giornata, me lo ripeto spesso, e prendersi il tempo di guardare la città così verde e pulita, concedersi una boccata d’aria fresca del mattino, a me cambia proprio l’umore. E pensare che sono bastati 6 anni a quella start-up per far crescere il verde sulle pareti dei palazzi; oggi sembra di camminare in un bosco verde e la gente è più felice. Certo quei ragazzi se lo sono strameritato il successo in borsa, e ancora oggi sono tra i maggiori contributori al contenimento del riscaldamento globale, mica roba da poco. Oggi è venuto a prendermi un drone, sarà una bella giornata! Adoro queste strane motociclette volanti, e da quando due anni fa hanno aperto le sperimentazioni sono diventate subito popolarissime. Peccato solo che sarà un giro breve: a tre chilometri c’è la stazione dell’Hyperloop che mi porterà a Roma. Mio padre dice ancora che si tratta di una «diavoleria», e un po’ lo capisco. Anch’io ho dovuto vincere un po’ di scetticismo prima di fidarmi di una capsula che galleggia su un campo magnetico e che viene accelerata a 1.200km/h in un tubo sotto vuoto. Eppure è oggi irrinunciabile, permette di raggiungere Roma in mezz’ora e praticamente ha ridisegnato la mappa delle città. Ricordo quando ci stupivamo dei 23 milioni di abitanti di Shanghai, oggi in tutta la nostra penisola si può viaggiare in meno di due ore da un estremo all’altro, siamo praticamente una megalopoli interconnessa piena di mille sfaccettature. E questo ha cambiato tutto, lo abbiamo visto. L’Europa è diventata un posto più vicino, la gente si muove con una impressionante facilità e business e cultura hanno trovato nuova linfa. Mentre sono rapito da questi pensieri, seduto nella mia capsula, il suono del mio personal device mi riporta alla realtà. Serena dall’ufficio mi manda i dati di progetto che commenteremo con i clienti stamattina, e un messaggio. Faccio per ascoltarlo e una breve sensazione di disagio mi corre lungo la schiena. Lo fa sempre. Non so più come dirle di mandare il solito messaggio vocale! Davanti a me il suo ologramma che mi spiega, dito puntato verso il mio volto, che ci sono dei particolari da non far passare assolutamente nell’offerta originaria perché le richieste del cliente avevano
Il mio transfer mi aspetta davanti casa. Siamo abbonati a Mov-U, uno dei tre operatori di mobilità urbana e intermodale di oggi. Questi veicoli ti raggiungono dove serve e sono collegati gli uni agli atri per gestire il tuo tragitto combinando le modalità di trasporto più indicate. Più è ridotto l’impatto ambientale del tuo viaggio, più loro guadagnano crediti verdi che incasseranno dalla comunità.
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comportato il ridisegno di un componente dopo la prima offerta. Ho già capito, sarà un meeting complicato. Nemmeno il tempo di riflettere su come avrei presentato la questione, che la capsula si arresta. Scendo e il mio Mov-U completa il tragitto portandomi a destinazione. Siamo su un’auto elettrica, roba già vista, è vero, ma mi fa tanto sentire a casa. Mio padre dice ancora che si tratta di una «diavoleria», e un po’ lo capisco. Anch’io ho dovuto vincere un po’ di scetticismo prima di fidarmi di una capsula che galleggia su un campo magnetico e che viene accelerata a 1.200km/h in un tubo sotto vuoto. Eppure è oggi irrinunciabile.
È sera, il meeting è andato più lungo del previsto, i temi da discutere tanti di più di quelli per i quali ero pronto, ma alla fine siamo riusciti a ridisegnare le scadenze e aggiornare i piani di lavoro. La squadra a Bergamo lavora già da due ore al nuovo piano, la filiera dei fornitori ha ricevuto i dati e gli ordini sono stati riprogrammati. Avere una filiera distribuita è davvero diventata la chiave di volta nel nostro mestiere, ma non sarebbe possibile se non avessimo allineato i nostri sistemi e trovato punti di contatto nelle procedure. Ci abbiamo messo un po’ ma alla fine il sistema reagisce come un solo organismo, e i risultati si vedono tutti. Il mio giro in Hyperloop è stato troppo breve, avrei fatto con piacere un pisolino. Sono le 18:00 e forse riesco a prendere io la piccola in palestra. «Jack?» dico al mio personal device, che di rimando, con la voce di Frank Sinatra, «Come posso esserti utile?». «Stasera riesco ad andare io da Elena a ginnastica, avvisa la maestra e ordina fish&Chips per cena». «Bene, notifica inoltrata. Segnalo che oggi la maestra riferiva di un piccolo litigio a scuola, potrebbe essere il caso che le chiedesse di Sara». «Grazie Jack, lo farò, a dopo!» E mentre dico al mio Mov-U di andare verso la palestra di mia figlia, non riesco a non sorridere al pensiero d’aver dato a Jack la voce di Frank Sinatra… ora devo solo trovare una buona app che me lo faccia cantare! di SALVATORE MAJORANA
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04.
MONDI POSSIBILI
Abbiamo proposto a Marco Taisch di inventare un nuovo futuro all’interno delle fabbriche. Dopo l’esperienza del Covid – spiega il professore – il controllo remoto diventerà una realtà sempre più quotidiana. Nella sua utopia, la pianificazione della produzione viene affidata a ingegneri specializzati capaci di gestire in modo efficiente le operazioni per svariate Pmi alla volta. Mentre le competenze, quelle vere, rimarranno in fabbrica, dove la progettazione dei prodotti e delle tecnologie manifatturiere ha bisogno della massima attenzione e creatività.
BIO
Marco Taisch è professore del Dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano. Insegna Advanced and Sustainable Manufacturing e Operations Management e fa parte del Manufacturing Group della School of Management del Politecnico, che si occupa di temi relativi alla progettazione e gestione dei sistemi manifatturieri e delle operations e, recentemente, con focus su Cyber-Physical Systems, IoT, Smart Manufacturing e Industry 4.0. È membro del board di Effra (European Factories of the Future Research Association) e del board del Cluster Italiano Fabbrica Intelligente. È fondatore e chairman scientifico del World Manufacturing Forum, l’evento mondiale per la definizione della agenda sul manifatturiero, e ha fatto parte della cabina di regia del Piano Nazionale Italiano Industria 4.0 coordinato dal ministero dello Sviluppo economico. Dal 2019 è Presidente del Competence Center MADE.
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Inizierò raccontando un episodio molto semplice. Un’azienda manifatturiera compra un impianto da un’altra azienda. L’impianto viene consegnato e ne viene programmato il collaudo, quando improvvisamente il lockdown congela ogni possibile movimento. Posticipare l’operazione al dopo-covid è fuori discussione, ma, del resto, in questa situazione nessun tecnico dell’azienda fornitrice può spostarsi nello stabilimento del cliente per effettuare il collaudo. La situazione, dunque, è in stallo, ma una soluzione è possibile: pur rimanendo ognuno nella propria azienda, i collaudatori del fornitore teleguidano, attraverso un sistema di realtà aumentata, gli operatori del cliente che, grazie all’uso di speciali smart glasses, possono agire direttamente sull’impianto ed effettuare il collaudo. Per quanto ad alcuni lettori potrà sembrare una storia in parte futuristica, ad altri apparirà del tutto normale, poiché, in effetti, la storia appena raccontata è uno dei tanti esempi che, durante i mesi dell’emergenza da coronavirus, è accaduto realmente. Se c’è una cosa che abbiamo imparato negli ultimi mesi è stato prendere del tutto consapevolezza che le tecnologie 4.0 ci consentono davvero di svolgere una serie di attività da remoto. E soprattutto in modo efficiente. È questa la realtà che immagino sempre più presente futuro delle nostre fabbriche. La lettura a distanza dei dati, la manutenzione remota, “Immagino aziende simili alla sala le attività di verifica, controllo e collaudo, il controllo contrattazioni della Borsa, dove però remoto della qualità, sono tutte attività che oggi siamo abituati a gestire in fabbrica, ma che il Covid ci ha ingegneri altamente specializzati forzato a svolgere a distanza senza che venisse a meno leggeranno su decine di schermi, al l’efficacia. Finora ho parlato del presente, ma la vera sfida, sulla posto di fluttuazioni finanziarie, i grafici quale posso provare a riflettere e a immaginare scenari di controllo di macchine e impianti. futuribili, è capire come portare questa nuova consapeSaprebbero gestire da remoto la volezza all’interno della fabbrica. Se devo immaginare uno scenario che prenda spunto da ciò che abbiamo pianificazione della produzione di più imparato oggi, penso allora alla nascita di veri e propri imprese alla volta.” servizi industriali remotizzati. In questo disegno ipotetico, immagino la nascita di aziende – che al giorno d’oggi ancora non esistono – specializzate nel programmare la produzione per le Pmi, e quindi capaci di gestire per più clienti il remote service di una serie di attività che oggi, tradizionalmente, si trovano nello stabilimento. In questo gioco di immaginazione penso a sale di controllo simili a una sala contrattazioni di Borsa, o a una sala finanziaria che controlla, su decine di schermi, i mercati nel mondo. L’unica differenza, in questo caso, sarebbe negli operatori, che qui vedrei come ingegneri altamente specializzati, e nelle informazioni proiettate: al posto delle fluttuazioni di un mercato troverei i grafici di lavorazione delle macchine utensili o il consumo elettrico di un impianto. Il tutto per più aziende contemporaneamente. Alla base di tutto questo disegno c’è proprio il monitoraggio. Grazie a sensori e piattaforme digitali possiamo infatti raccogliere i dati dal campo e renderli disponibili a chi potrà pianificare la produzione in modo efficiente ed efficace. In questo scenario punteremmo sulla specializzazione di chi si occupa tutti i giorni di servizi specifici, in modo da poter alleggerire, per esempio, il lavoro di una piccola impresa dove il caporeparto è costretto a coprire più mansioni facendo appello all’esperienza personale. La domanda a questo punto sarebbe: sto immaginando un mondo dove le aziende cedono le proprie competenze all’esterno? No di certo. Le competenze, quelle vere, saranno soprattutto nella progettazione dei prodotti e delle tecnologie manifatturiere, non nell’aspetto organizzativo. E, no, non sto parlando di “fabbriche buie”. Immaginare un’industria in cui l’aspetto cognitivo è gestito da remoto non significa immaginare di sostituire, in produzione,
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le persone con i robot. Anzi, negli ultimi anni cresce sempre di più lo sviluppo dei robot collaborativi, che esaltano l’operatore manuale lasciando all’uomo le attività a più alto valore aggiunto, e lo affiancano con operazioni di asservimento (e pensando, di questi tempi, possono garantire anche un certo distanziamento sociale). Cambierà, in questo futuro che stiamo tratteggiando, anche la formazione. Nell’immaginare la vita di tecnici, ingegneri, e responsabili dell’operation, dovremo immaginare come saranno le nostre scuole, le nostre università, la formazione in azienda (anche a distanza, certo). Una formazione che nei contenuti ci aiuterà sempre di più a sfruttare la capacità delle smart factory di leggere dati velocemente, e ad abituarci a sfruttare queste caratteristiche. Per esempio prendendo decisioni, e trovando le soluzioni che richiedono più creatività, dove nessuna macchina può arrivare.
“No, non sto parlando di “fabbriche buie”. Pensare a un’industria in cui l’aspetto cognitivo gestito da remoto non significa immaginare di sostituire, in produzione, le persone con i robot. Anzi, il robot collaborativo esalterà sempre di più l’operatore manuale”
di MARCO TAISCH
A PAGINA 62-63 l'illustratore Giordano Poloni ha disegnato il "mondo possibile" raccontato da Salvatore Majorana a pagina 59. In un futuro non molto lontano il personal robot "Jack" aiuta il protagonista e la sua famiglia in ogni aspetto della vita quotidiana, mentre dalla finestra appare una città resa sostenibile da mobilità intelligente e green.
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MONDI POSSIBILI
Le nostre case sono diventate, volenti o nolenti, un luogo ancora più familiare e vissuto di prima. E forse continueranno a esserlo. In casa lavoriamo, studiamo, facciamo attività fisica. Elena Bottinelli, amministratore delegato dell’Irccs Ospedale San Raffaele, ha immaginato un futuro dove innovazioni in parte fantascientifiche e in parte verosimili ci aiuteranno anche a curare, in casa nostra, gli aspetti legati alla nostra salute. Un futuro dove sempre meno avremo bisogno di un ospedale fisico. Perché, grazie a idee nate fra Ricerca e mondo industriale, il nostro benessere sarà al centro della vita di tutti i giorni. BIO
Elena Bottinelli, milanese classe 1966, è amministratore delegato dell’Irccs Ospedale San Raffaele dal 2017 e dell’Irccs Galeazzi di Milano dal 2005. Si è laureata in ingegneria, con una specializzazione in bioingegneria, presso il Politecnico di Milano e dopo la laurea, prima di arrivare al Gruppo San Donato, ha lavorato dieci anni in multinazionali leader nel settore dei dispositivi medici e ortopedici. È membro dell’Associazione Alumni del Politecnico e Mentor del programma Mentorship Programme. Nel 2019 la rivista di economia Forbes ha inserito Elena Bottinelli nella classifica delle 100 donne italiane di maggior successo. Il suo campo di interesse principale è sempre stato legato alla ricerca, allo sviluppo e all’applicazione delle tecnologie nel modo sanitario, approccio in linea con la visione del Gruppo San Donato che sta costruendo il nuovo Galeazzi, presso il distretto Mind, e il nuovo polo chirurgico e delle urgenza dell’Irccs Ospedale San Raffaele. Madre di due ragazzi, oggi all’università, Bottinelli ha una grande passione: la bicicletta. Insieme al marito, nel 2019 ha girato anche il Giappone in sella alla sua bici.
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Torno a sognare: immagino una startup che inventi il sellino della bicicletta che evita il mal di schiena, il drone che consegna i farmaci a casa, il sedile dell’automobile che rileva i parametri di una persona per evitare la visita in ospedale.
Prendiamoci un minuto per immaginare questa scena. Anzi, una casa, in un futuro molto vicino. In camera da letto vedrei bene un materasso che mi sappia dire, al mattino, come ho dormito la notte: bene? Male? Troppo tesa? Con una buona postura? Spostiamoci poi in cucina: immagino un frigorifero capace di interfacciarsi automaticamente con il nostro regime alimentare. Oppure – dirigo un istituto ospedaliero, quindi subito vado al tema salute – penso a un armadietto intelligente in grado di farci assumere i medicinali corretti nel momento giusto. O ancora, a un sistema per mappare i movimenti dei più anziani, e di anticipare una eventuale caduta. Se penso alle sfide che abbiamo vissuto in questi mesi di emergenza, di riflesso mi immagino un futuro in cui le cure e le attenzioni di una struttura ospedaliera possano in qualche modo uscire dalla proprie mura e arrivare nella vita di tutti i giorni. Un mondo, insomma, in cui i futuri pazienti siano presenti il meno possibile all’interno delle strutture sanitarie, e dove, attraverso sistemi di rilevazione, ciascuno di noi possa in ogni momento della giornata mandare segnali a un Hub capace di prendere in carico le informazioni e restituire alla persona le sue necessità. Certo, per farlo ci servono – e ho appena provato a immaginarle – delle vere e proprie case “smart”. Ma per quanto sia al momento un sogno, un’utopia, sono certa di non andare troppo lontana da quello che potrà essere il prossimo futuro. I luoghi che viviamo sono già oggi sempre più connessi tra loro, e possiamo beneficiare delle esperienze di mondi completamente diversi. La vera sfida, io credo, è lasciarsi coinvolgere e, in qualche modo, contaminare dalle esperienze che possono nascere in settori apparentemente lontani. E dare così vita, insomma, a un sistema di Ricerca che indaghi sempre di più non solo il campo delle biotecnologie e dei farmaci, ma anche dell’elaborazione dei dati, o dell’utilizzo della realtà aumentata. È il modo migliore per far nascere idee nuove. In questo senso il legame con il mondo dell’industria – proseguendo in questa idea di futuro – sarà secondo me sempre più forte. Penso, ad esempio, alla logistica, dove la gestione progettata dalle realtà manifatturiere, anche in termini di rischio, può dare molti spunti al della sanità. Mai si sarebbe pensato di portare in ospedale queste tematiche, all’ordine del giorno per il manifatturiero. Ma oggi mi sento di poter immaginare, per esempio, un assistente-drone fra i reparti ospedalieri progettato insieme a una realtà industriale. E anzi, mi auguro realmente che questi sogni possano stimolare già oggi le aziende dell’industria meccanica a sviluppare progetti insieme. Per la verità, tornando al presente, già stiamo lavorando, nel nostro “Centro delle tecnologie avanzate per la salute e il benessere”, a progetti che creano, grazie alla tecnologia, una relazione positiva tra paziente e ospedale. Ad esempio il piccolo robot che affianca i bambini con diabete di tipo 1 nella gestione della terapia e nella comprensione della malattia e i carrelli intelligenti di distribuzione dei farmaci all’interno dell’ospedale, o i droni per la logistica. Grazie a questa attività di ricerca l’ospedale può essere più presente e capillare sul territorio, ad esempio coi dispositivi wearable per il monitoraggio da remoto di alcuni parametri. È recente anche l’implementazione del prototipo di un sistema di telechirurgia robotica grazie alla rete 5G che consente al chirurgo di operare in remoto il paziente assistito dalla sua équipe in sala. Senza dimenticare tutte le ipotetiche nuove aziende che potrebbero nascere dalla contaminazione di esperienze fra manifatturiero e sanità. Torno a sognare: immagino una startup che inventi il sellino della bicicletta che evita il mal di schiena, il drone che consegna i farmaci a casa, il sedile dell’automobile che rileva i parametri di una persona per evitare la visita in ospedale. La sanità è sempre stata vista come un mondo a parte, forse più indietro rispetto a settori come l’ IT o la robotica, ma non c’è motivo che lo sia. E a beneficiarne sarebbero tutti. di ELENA BOTTINELLI
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Un lavoro di squadra per La situazione di emergenza ha reso ancora più necessario e attivo il ruolo di sostegno e tutela di ANIMA accorciare le distanze Confindustria e delle sue associazioni verso le aziende della meccanica. Nuove sfide per le aziende hanno portato a nuovi temi d’attualità e nuove modalità di lavoro: dall’inizio dell’emergenza, Anima ha organizzato la propria attività per fornire un flusso di informazione continua alle aziende associate e per riportare agli stakeholder la voce dell’industria meccanica italiana.
Ricordo perfettamente il momento dell’annuncio del lockdown. Come tutti, immagino. In quel momento abbiamo capito che la crisi sanitaria si sarebbe trasformata in una crisi economica e sociale. Anima – tutti gli uffici, tutti i funzionari – ha reagito quasi immediatamente: dovevamo prenderci la responsabilità di poter essere un punto di riferimento per aiutare le aziende a superare i mesi successivi. Così abbiamo fatto e spero nel modo più efficace. Il primo passo è stato organizzativo: a partire da fine febbraio ci siamo riorganizzati internamente e strutturati in gruppi di lavoro per fornire un flusso di informazione continua alle aziende associate e rispondere alla crisi in corso. Fin da subito ci siamo attivati per seguire l’emergenza informando e tutelando le aziende sulle decisioni del governo e sugli aspetti applicativi. Tra le attività più apprezzate in termini di utilizzo, posso citare l’apertura di uno sportello Help Desk attraverso il quale abbiamo ricevuto ed evaso i quesiti posti dalle aziende della meccanica: alcuni relativi alla gestione del lavoro, altri alla sicurezza, altri ancora legati all’interpretazione dei decreti del Governo. Nei mesi di marzo e aprile abbiamo risposto a circa 400 quesiti e molti di questi siamo riusciti con Confindustria a farli rientrare nelle Faq pubblicati sul sito del Governo. Per farlo il nostro gruppo di lavoro interno, si è interfacciato con il sistema Confindustriale per coordinare le risposte e soprattutto per creare un punto di contatto con il Governo. Il nostro obiettivo è stato quello di dare risposte e chiarire i nodi burocratici, all’emanazione di ogni legge o provvedimento abbiamo redatto una circolare e una interpretazione ufficiale per aiutare le imprese, spesso direttamente alla domenica sera, dopo l'uscita di un nuovo provvedimento. Per cercare di capire le esigenze delle imprese, abbiamo lanciato una serie di questionari, in momenti diversi, per testare il sentiment della base associativa. Queste
informazioni ci hanno guidato anche nel prendere decisioni e nel tarare la nostra attività di comunicazione. Nello stesso momento i responsabili delle associazioni hanno creato un collegamento diretto con le aziende. Un lavoro veramente collegiale e organico. Una sfida importante è stata riuscire a mantenere operativa la nostra attività su temi extra-Covid (non a caso un nostro fil rouge nelle comunicazioni agli associati è stato il claim “Stiamo continuando a lavorare”). Il risultato forse più impattante che abbiamo raggiunto in questa fase è probabilmente la nuova conformazione dell’Ecobonus, che contribuirà in maniera pesante all’aumento della domanda nel settore climatizzazione e riscaldamento. Anima ha presentato al Governo le esigenze della nostra industria durante la preparazione dei provvedimenti e ha ottenuto risultati importanti. Anche il momento della riapertura delle fabbriche, il 4 maggio scorso, è stato un passaggio che – se a posteriori può sembrare scontato – è stato il risultato di una grande opera di mediazione tra il sistema Confindustriale e il sindacato, che avrebbe voluto una riapertura solo verso la fine di maggio. Se non avessimo spinto sull’importanza dei protocolli di sicurezza come criterio per la riapertura, molte aziende non avrebbero più avuto la possibilità di ripartire. E noi questo, volevamo scongiurarlo. Mi auguro di non avere perso nulla con questa crisi. Sicuramente abbiamo scoperto strumenti importanti per risparmiare tempo che penso entreranno nell’uso comune. Spero si possa tornare alla “vecchia” normalità e che questa crisi possa essere presto dimenticata. Di certo, posso dire che in questa esperienza, pur separati l’uno con l’altro, ci ha fatto scoprire ancora più uniti. E su questo si basa il nostro lavoro.
Andrea Orlando, Direttore Generale Anima Confindustria
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Helpdesk più di 200 quesiti evasi le richieste di chiarimento e supporto da parte degli imprenditori al servizio attivato da ANIMA hanno seguito la pubblicazione dei principali decreti governativi
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ANIMA ha da subito digitalizzato le modalità operative, e aumentato le attività svolte
237 Gruppi di lavoro Associativo 204 Riunioni interne 53 Assemblee 50 Riunioni normative 36 Gruppi di lavoro tecnico
Webinar quasi 4000 partecipanti In 3 mesi sono stati organizzati 28 incontri orientativi e di approfondimento su temi urgenti e di attualità
tema Covid-19 altri temi
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La situazione di emergenza ha reso ancora più necessario e attivo il ruolo di sostegno e tutela di ANIMA Confindustria e delle sue associazioni verso le aziende della meccanica. Nuove sfide per le aziende hanno portato a nuovi temi d’attualità e nuove modalità di lavoro: dall’inizio dell’emergenza, Anima ha organizzato la propria attività per fornire un flusso di informazione continua alle aziende associate e per riportare agli stakeholder la voce dell’industria meccanica italiana.
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FOCUS ECONOMIA
Le Fasi 1, 2, e 3 dell'economia mondiale cercano di contrastare gli effetti negativi del coronavirus fuori e dentro l'Europa
La risposta delle banche per l’economia mondiale Dopo aver affrontato un periodo di lockdown, all’interno delle proprie abitazioni, e aver sperimentato il distanziamento sociale in tutte le attività pubbliche e private al fine di limitare i contagi da nuovo coronavirus CoV19, il mondo sta provando a tornare ad una normalità fatta di gel igienizzanti e mascherine protettive. L’economia, paralizzata nei primi mesi dell’anno, sta provando ora a ripartire con tutte le difficoltà del caso, complice il calo del potere d’acquisto di una parte della popolazione mondiale e i timori di seconde ondate. Abbiamo imparato a vivere per fasi, e dopo aver superato una prima “Fase 1” di segregazione all’interno delle proprie mura domestiche, stiamo ora vivendo la “Fase 2” sperando presto di poter parlare di “Fase 3”, ovvero ritorno alla piena normalità. Anche l’economia mondiale ha visto scandire gli interventi in diverse fasi. La prima fase, agli albori della pandemia, ha visto tutte le banche centrali intervenire subito sui tassi di interesse azzerandoli in modo da fornire un immediato supporto al sistema finanziario. In particolare, la Federal Reserve è intervenuta in diversi momenti, seppur ravvicinati, portando i tassi di interesse dall’1,75% allo 0% (0-0,25% il range di riferimento della banca centrale statunitense), a cui hanno fatto seguito praticamente tutte le banche centrali delle economie avanzate, dalla Bank of England alla Bank of Canada passando per la Reserve Bank of Australia e per la Reserve Bank of New Zealand nonché la People Bank of China (ovvero la banca centrale cinese). La Bce, invece, ha avuto un ruolo da spettatore in questa corsa per la riduzione dei tassi avendo già tassi di interesse allo 0% e di depositi negativi a -0,40%.
Da Commissione Europea e Bce, interventi per ripartire La Fase 2 delle banche centrali è stata caratterizzata dall’immissione di liquidità aggiuntiva ai sistemi bancari. In particolare, la Banca Centrale Europea avendo questa come unica arma, ha effettuato due immissioni di denaro attraverso il Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp) da 750 miliardi di euro, all’inizio
di MAURO IPPOLITO
dell’esplosione della pandemia (18 marzo con una riunione straordinaria del Consiglio Direttivo), a cui si sono aggiunti altri 600 miliardi di euro a giugno per un totale di 1.350 miliardi di euro al fine di contrastare il crollo del Prodotto Interno Lordo, atteso a -8,7% nell’anno in corso (per poi risalire al 5,2% nel 2021 ed a +3,3% nel 2020, rispetto alle attese esposte a marzo per un +1,3% ed un +1,4%). L’inflazione, invece, dovrebbe calare allo 0,3% nel 2020 (da +1,1% atteso a marzo) per poi risalire lievemente nel 2021 a +0,8% (+1,4% atteso a marzo) e nel 2022 a +1,3% (+1,6% stimato a marzo). Il programma emergenziale della Bce, di fatto, consiste in acquisti di titoli del settore pubblico e privato che in una prima battuta era esteso fino alla fine del 2020 ma che successivamente, con l’aggiunta di nuova liquidità, è stato esteso al 2021 con un reinvestimento dei titoli in scadenza fino alla fine del 2022. Di fatto la Bce ha messo in conto due anni di tempo per sostenere l’economia dell’Eurozona, che già nel primo trimestre del 2020 aveva evidenziato i primi pesanti contraccolpi economici oltre che sociali.
Dopo il periodo di lockdown, il lavoro delle banche centrali è stato caratterizzato dall’immissione di liquidità aggiuntiva ai sistemi bancari Il Prodotto Interno Lordo dell’Area Euro, infatti, ha segnato nel primo trimestre del 2020 una flessione del 3,6% andando a registrare il calo più importante dal 1995. Francia e Italia hanno subito il crollo più rilevante tra le economie dell’area, segnando entrambe un -5,3% su base annua, seguiti da Spagna (-5,2% annuo) e dalla Germania (-2,3%). Tuttavia, le flessioni più marcate sembrano dover essere attese nel secondo trime-
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stre dell’anno quando il crollo dell’economia dovrebbe raggiungere livelli mai immaginati prima (alcune stime parlano di una flessione del Pil vicina al 20%). Al fine di contrastare il calo dell’economia dell’Eurozona e, nel tentativo di rafforzare i conti pubblici degli stati membri, oltre all’intervento della Bce anche la Commissione europea ha esposto un piano di supporto all’economia che ora si prepara alla battaglia finale (attesa a luglio dopo il passo falso di giugno), con almeno due paesi (Olanda e Danimarca, ma almeno altri due a loro sostegno) che cercheranno di limitare gli aiuti a fondo perduto. Il Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha sottolineato come l’ammontare del programma da 750 miliardi di euro aiuterà l’economia europea a riprendersi dopo il crollo dovuto dalla pandemia da Covid-19 e sarà diviso in due parti. La prima da 500 miliardi sarà a fondo perduto mentre la restante parte da 250 miliardi sarà a tassi agevolati ed è legata al prossimo bilancio europeo 2021-27, per cui i fondi saranno disponibili solo a partire dal 2022.
I piani interni dell’Eurozona Per reperire l’ammontare necessario, l’Unione europea emetterà bond comunitari mentre una quota ulteriore sarà ottenuta da tasse su plastica e sul digitale, andando a colpire i big dell’economia digitale globale. Tra i beneficiari principali, Italia e Spagna avranno rispettivamente 172,7 miliardi di euro (81,8 a fondo perduto e 90,9 in prestiti) e 140,4 miliardi (77,3 a fondo perduto e 63,1 in prestiti), ma altri paesi beneficeranno solo degli aiuti a fondo perduto e tra questi spiccano Francia (38,8 miliardi) e Germania (28,8 miliardi), ovvero coloro che in occasione del bilaterale franco-tedesco avevano avanzato per primi una proposta da 500 miliardi. Restano i dubbi, tuttavia, sull’erogazione dei fondi considerando che i paesi più rigoristi vorrebbero l’attuazione di programmi di riforma legando le tranche di aiuti al raggiungimento degli stessi, mentre la restituzione dei fondi avverrà tra il 2028 ed il 2058. A questi piani di sostegno si devono poi aggiungere tutti
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i piani interni delle economie dell’Eurozona. Tra questi, quello a spiccare maggiormente è quello tedesco che a inizio giugno ha varato una serie di pacchetti di rilancio al fine di attenuare la più violenta recessione dal dopoguerra. Un piano da 130 miliardi di euro che prevede, tra l’altro, un taglio dell’Iva per un periodo di 6 mesi in modo da stimolare il consumo interno, oltre a programmi di aiuto per aziende e famiglie con un bonus di 300 euro a figlio. La manovra, pari al 4% del PIL tedesco, prevede anche programmi “green” favorendo quella transizione tanto cara alla nuova gestione politica della Commissione Europea. Viene, infatti, raddoppiato il bonus per le vetture elettriche pure (Bev) o elettriche plug-in (Phev) da 3.000 a 6.000 euro per l’acquisto di auto con un prezzo di listino fino a 40.000 euro, mentre quelle fino a 65.000 euro beneficiano di un bonus di 5.000 euro da dividere tra case costruttrici e stato. Con questa manovra, quindi, la Germania aumenterà il proprio debito pubblico, ma i 130 miliardi di euro stanziati non si tramuteranno tutti in nuovo debito grazie alla dote di 60 miliardi del precedente pacchetto di aiuti varato a inizio pandemia (122,5 miliardi di euro). Naturalmente, per quanto riguarda la situazione italiana, il governo ha approvato diversi piani a sostegno dalle prime fasi dell’inizio del lockdown fino ad ora, con piani da 155 miliardi per la Fase Due nel “Decreto Rilancio” varato a maggio. A questo si vanno a sommare altri interventi tra cui l’estensione delle cassa integrazione e l’aiuto alle partite Iva e alle piccole imprese (da 25 miliardi di euro) al fine di salvaguardare l’ossatura economica del paese fatto da piccole e micro imprese.
La ripartenza degli Stati Uniti Come detto, però, non è stata solo l’Europa ad intervenire massicciamente sul fronte economico per contrastare gli effetti negativi del coronavirus sull’economia. Gli Stati Uniti, ad esempio, oltre ai repentini tagli dei tassi da parte della Federal Reserve, hanno visto la Casa Bianca varare una serie di iniziative a sostegno dell’economia (tra cui l’invio di assegni da 1.200$ per ogni cittadino e 2.400$ per ogni famiglia con redditi inferiori ai 99.000 dollari annui), per un totale di 2 trilioni di dollari che potrebbero diventare 4 trilioni con azioni mirate da parte della Federal Reserve per sostenere banche e aziende. Il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, non ha escluso l’ingresso dello Stato nei capitali societari di aziende in difficoltà con delle nazionalizzazioni di salvataggio per
Ai piani di sostegno si devono poi aggiungere tutti i piani interni delle economie dell’Eurozona. Tra questi spicca maggiormente quello tedesco evitare effetti maggiormente negativi per la prima economia mondiale. A questo si è aggiunta anche l’azione imponente della Federal Reserve che, oltre al taglio dei tassi suddetto, ha messo in campo un arsenale di tutto rispetto e consistente in un Quantitative Easing che da 700 miliardi di dollari è divenuto in poco tempo illimitato, a cui si è poi aggiunto un programma rivolto proprio ai cittadini e alle preservazione di posti di lavoro denominato Main Street Lending Program (Mslp) da 600 miliardi di dollari con l’obiettivo di sostenere e finanziare le imprese in difficoltà. Di fatto tutte le economie mondiali stanno cercando una soluzione per alleviare le difficoltà che la pandemia sta avendo sulla popolazione, non solo dal lato sanitario, ma anche sotto l’aspetto economico. Difficile dire ora quale sarà la ricetta vincente, certo è che la preservazione di posti di lavoro appare al momento l’obiettivo numero uno di tutti i paesi mondiali, dato che la perdita di potere d’acquisto delle famiglie graverà sulla ripresa economica dei paesi. A tal proposito alcuni ipotizzano che siano ormai maturi i tempi per sperimentare quello che Milton Friedman (esponente principale della scuola di Chicago) aveva teorizzato nel 1969 nel suo famoso studio “The Optimum Quantity of Money” e che l’ex presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, aveva ipotizzato già nel corso della crisi finanziaria del 2008, ovvero l’helicopter money (letteralmente il lancio dei soldi alla popolazione dal cielo, che a qualcuno farà ricordare la scena dell’inizio della terza stagione della “Casa di Carta”). Difficile capire se questa sarà la scelta migliore e risolutiva alla crisi più profonda dal dopoguerra (che l’amministrazione Trump sta in qualche modo testando), ma è evidente come in assenza di benefici delle azioni delle banche centrali e dei governi, ipotizzare gesti estremi appare quanto mai la scelta più saggia.
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Salubre qualità dell’aria e delle superifci negli ambienti chiusi… Se nella generalità delle aziende, fino ad ora, questa necessità non era annoverata fra le più preminenti, la recente stretta attualità inerente la pandemia da Coronavirus ha riattribuito “peso” al tema, sovvertendone l’ordine di importanza all’interno delle Imprese. Infatti, nuovi obblighi e normative ancora in via di definizione obbligano le imprese a trovare ed adottare soluzioni in tempi ristretti, per garantirsi da una parte l’immediata continuità lavorativa e dall’altra sicurezza dell’ambiente di lavoro per le maestranze. Ecco brevi indicazioni di supporto all’imprenditore per valutare soluzioni in questo nuovo campo con cui deve misurarsi, ma di cui in genere ha poca esperienza. Come mammiferi terrestri viventi, necessitiamo giornalmente di fruire liberamente di tre categorie fondamentali di risorse: acqua, cibo ed aria. Se per le prime due ci viene in mente un facile esempio della nostra possibilità di una gestione diretta nell’approvvigionamento e controllo (acque minerali e cibi DOP, etichettature certificate, etc, per esempio) non così è per il controllo della qualità dell’aria. Anzi, è molto più facile che nella nostra esperienza quotidiana ci possiamo in effetti essere lamentati proprio della nostra impossibilità e quindi incapacità di influire sulle caratteristiche di insalubrità dell’aria che respiriamo, che siano i livelli di gas inquinanti, di particolato o di odori molesti che percepiamo. Quindi, come fare ad abilitarci in poco tempo con soluzioni efficaci, efficienti ed affidabili, stante la nuova regolamentazione imposta? La soluzione che ci serve è complessa: riguarda la scelta di una tecnologia, il suo grado di affidabilità e la relativa velocità di reperibilità. “Nella nostra esperienza, vediamo che in genere è una scelta non facile per un Impresa – ci dice Paolo Zanchetta, CEO di Greenova Italia srl, società di scouting nel settore Green Technologies provenienti dal Nord Europa - L’imprenditore apprezza il supporto di chi ha l’esperienza per indicare la tecnologia più opportuna per il caso specifico e soprattutto testata sul campo da tempo. Nessuno in questo momento può permettersi né di rischiare la salute delle maestranze, né di avere un nuovo fermo produttivo, i costi del lockdown sono già stati alti”.
Continuiamo a richiedergli informazioni: come scegliere tra quelle più diffuse e di cui si sente recentemente parlare, per esempio Ozono, Perossido di Idrogeno, UV-C, soluzioni di cloro? “Innanzitutto, essere la soluzione più conosciuta non è garanzia di essere la tecnologia più idonea per il caso specifico, né di essere la più aggiornata rispetto alla ricerca sul campo– aggiunge Zanchetta – Tra quelle che ha citato, ce ne sono alcune valide solo per le superfici, che vengono tra l’altro completamente invalidate non appena entra una persona nell’ambiente trattato o appoggio qualcosa sulla superficie trattata con questi metodi, quindi solamente momentanee. Non solo, quelle che cita sono tutte in vario grado tossiche per le persone: è necessario che queste vengano allontanate dai luoghi durante il processo di sanificazione e vi siano reintrodotte solo dopo opportuna aerazione dei luoghi, che naturalmente non può escludere a priori una possibile ri-contaminazione da Covid-19 del luogo che ho appena sanificato”. Una scelta non facile, sembra quasi che sia necessario ed inevitabile fare un compromesso: ma è davvero così, nell’esperienza di Greenova? “Assolutamente no. Ci è costato ricerca ed impegno, ma alla fine abbiamo “quadrato il cerchio”. Nella nostra attività siamo riusciti a scoprire ed assicurarci in esclusiva una gamma di dispositivi finlandesi di sanificazione, la serie AERO, dai risultati eccezionali e completamente innocua per l’uomo: è impiegata da anni, per esempio, nel settore crocieristico. Il punto scelta-tecnologia è stato risolto con un approccio da “Nodo di Gordio”: la tecnologia più efficace a livello microbiologico, cioè i filtri a TIO2 (Biossido di
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SANIFICATORI AERO, TANTE RAGIONI PER SCEGLIERLI I sanificatori della linea AERO soddisfano tutte le esigenze aziendali e industriali. Sono di semplice utilizzo e pronti all’uso. Non hanno bisogno di una particolare manutenzione se non quella standard, e nulla deve essere adattato o modificato: tutto ciò che serve è una comunissima presa di corrente. I modelli possono essere forniti sia in versione stand alone, sia “ready made” per il loro inserimento in HVAC. In ogni caso non hanno necessità di prelievo di aria dell’esterno e il loro utilizzo è già in corso di validazione presso uno dei maggiori istituti ospedalieri nazionali specializzato in malattie infettive. AERO risolve con poca spesa e molta resa il bisogno di sentirsi al sicuro contro il rischio di nuove ondate pandemiche; grazie alla lunga storia della società finlandese che
li produce, sul mercato da oltre 10 anni. Paolo Zanchetta, presidente di Greenova Italia, esprime la propria soddisfazione per la il reclutamento di questo prodotto all’interno del proprio catalogo di innovazioni provenienti dai paesi scandinavi (mission di Greenova Italia), e chiosa: “Quello di cui i nostri clienti beneficiano al momento è l’esperienza pluriennale maturata sul campo dai dispositivi AERO, che assicura la disponibilità di soluzioni diversificate per capacità e dimensionamento per i diversi ambienti, di immediata adottabilità, con risibili se non nulli costi di adattamento e soprattutto efficaci ed innocui per maestranze e fruitori”.
Titanio), è stata associata a ben altre 4 (UV-C, filtro a carboni attivi, fotocatalisi e produzione di radicali idrossilici). L’effetto è drastico, sia dal punto di vista microbiologico, che di impurità, odori, fumi o sostanze grasse”. Va riconosciuto: AERO rappresenta l’unico esempio ad alta efficienza di amplissima integrazione fra più tecnologie sanificanti sul mercato italiano. Infatti è proprio il settore crocieristico uno dei più “difficili” da affrontare nella sanificazione aerea, per la presenza di ambienti chiusi, rivestimenti non proprio di facile igienizzazione, sale fumatori, ricircolo forzato di aria ed in più ambiente salino in dispersione. La già lunga presenza sul mercato fa sì che sia disponibile in diversi modelli, sia stand-alone (senza necessità di costi di installazione, essendo plug&play) che pronti per essere installati nei sistemi HVAC e UTA con diverse capacità di filtraggio, calibrate dal negozio di vicinato fino al Teatro. Essendo tra l’altro svincolati dall’impianto HVAC, sono ad esso associabili, senza obbligo di onerosi rifacimenti o adeguamenti degli impianti HVAC e non ne compromettono la taratura ed i consumi. Un fattore molto importante, poiché è stato recentemente confermato che il virus che ha causato la pandemia, per nulla conclusa, può ricircolare negli impianti HVAC. Per le Imprese, niente più interruzioni di attività per sanificare, quindi, e nessun rischio alla salute per le persone: Il filtro in TiO2, attivato dalla luce UV-C, va a formare miriadi di radicali idrossilici che purificano l’aria proprio come avviene in natura attraverso l’irraggiamento del Sole; l’aria purificata va a saturare l’ambiente chiuso e lo mantiene costantemente e permanentemente sanificato, nonostante l’ingresso successivo di oggetti od individui in struttura. Severe e ripetute prove di laboratorio presso i laboratori medici dell’Università di Jyväskylä (nei pressi di Helsinki) hanno dimostrato che con la gamma di sanificatori AERO i virus vengono ossidati e disattivati, danneggiando non solo il capside (membrana esterna) ma persino i componenti degli acidi nucleici (DNA e RNA). L’ultimo asso nella manica? Oltre all’acquisto diretto, che dà diritto alle agevolazioni secondo normativa, la gamma di dispositivi di sanificazione AERO può essere conseguita anche mediante noleggio operativo: una modalità che rende facile, economico ed agevole dotarsene anche per rendere finalmente sicuro anche l’ambiente chiuso la cui salubrità ci sta più di tutti a cuore, e cioè la nostra stessa abitazione.
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RESPIRARE… A PIENI POLMONI I sanificatori finlandesi AERO, grazie a Greenova Italia, sono ora disponibili nel nostro paese in diversi modelli sia per l’impiego privato, sia per quello industriale. Il principio di funzionamento consente il loro utilizzo anche in presenza di persone, al contrario della sanificazione all’ozono, la quale a lungo provoca danni anche ad alcuni materiali come plastica, gomma, alluminio e ottone. Alla base del loro funzionamento vi è la produzione, attraverso il processo naturale della fotocatalisi, di radicali idrossilici: diffusissimi negli strati più alti della nostra atmosfera, dove rappresentano il più importante “sanificatore” naturale del nostro pianeta. Grazie alla luce del Sole, che li crea costantemente, questi radicali hanno una concentrazione nell’aria di 2 milioni di molecole per cm3, ma avendo una vita brevissima, al chiuso vanno prodotti e attivati in continuazione, ed è ciò che fanno i sistemi di sanificazione AERO al loro interno: i quali massimizzano l’efficacia integrando altre tecnologie di sanificazione, per un risultato ancora più certo e continuativo. I sanificatori AERO infatti non hanno effetti collaterali e dunque possono funzionare come presidio ininterrotto contro virus e batteri, 24 ore su 24.
Respira in sicurezza
Dal 2009 Greenova Italia seleziona prodotti e tecnologie “made in Scandinavia” per l’efficientamento energetico. Tutte le soluzioni hanno come caratteristica comune il rispetto delle risorse naturali e la salvaguardia dell’ambiente.
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MERCATI ESTERI
La pandemia globalizzata ci ha di colpo chiuso nei nostri confini. Ora è tempo di riaprirli, ma servono nuove accortezze e nuove idee
CHIUSI PER FIERE
Fiere digitali, fiere fisiche, fiere “ibride”. Le manifestazioni, in Italia come all’estero, hanno dovuto adattarsi al nuovo scenario. Il problema della messa in sicurezza è il primo punto da superare, ma per poter interpretare il proprio ruolo di promotore del settore le fiere della meccanica stanno ripensando il proprio approccio, anche sul lungo periodo. l’industria meccanica 724 | 84
di CARLO FUMAGALLI
Sembra Second Life, ma il tema è la meccanica. Era l’attacco di un breve articolo pubblicato su L’Industria Meccanica online ormai sette anni fa. Raccontava di una fiera, si chiamava Wired Up, dedicata alla meccanica. Ma invece di una fiera in carne e ossa, aveva luogo esclusivamente online: padiglioni, cartelloni, stand, perfino l’acqua di un laghetto artificiale, erano ricostruiti in digitale. Per partecipare come visitatori era sufficiente iscriversi, creare un avatar e girovagare per la fiera utilizzando le freccette direzionali della tastiera; si poteva entrare negli stand, leggere documenti o brochure, e soprattutto chattare con gli altri utenti. Non andò oltre la seconda edizione, forse anche per il tema molto tecnico (la filiera del filo e del tubo e la subfornitura meccanica) ma l’iniziativa aveva colto con anticipo disarmante un aspetto che oggi, dopo una pandemia che ci ha cambiato il modo di lavorare e di condividere gli spazi, torna con prepotenza in primo piano. Con l’emergenza coronavirus le fiere di settore sono chiamate ad affrontare una sfida difficile, fra distanze di sicurezza e diffidenze di buyer ed espositori. Una sfida che, nella maggior parte dei casi, obbliga a posticipare incontri e manifestazioni, ci chiama a pensare soluzioni alternative e, soprattutto, a immaginare nuove modalità di lavoro per i prossimi anni. Ed è importante che idee nuove arrivino. Innanzitutto, per una questione di economia nazionale e internazionale. In Italia, infatti, il comparto fieristico genera un giro d’affari di 60 miliardi all’anno, con grande impulso all’export delle imprese – spiegano i dati esposti durante la giornata mondiale delle fiere nel giugno di quest’anno. Il nostro paese, inoltre, è al secondo posto in Europa e al quarto nel mondo per partecipazione: 200 mila espositori, più di 20mila operatori e un migliaio di manifestazioni all’anno. Mentre in tutto il continente, secondo l’European exhibition industry alliance, il danno economico causato dal mancato svolgimento delle fiere è già pari a 5,8 miliardi di euro, e 51.400 posti di lavoro potrebbero essere persi a causa delle cancellazioni. Con un danno globale già stimato in 14,4 miliardi di euro in perdita totale della produzione. Tornando alla meccanica, sono le stesse imprese manifatturiere ad aver bisogno di una nuova normalità per continuare a poter promuovere le proprie tecnologie attraverso il sistema fieristico. A marzo di quest’anno, proprio all’inizio dell’emergenza coronavirus, il 29% delle aziende della meccanica coinvolte in un sondaggio di sentiment realizzato da Anima Confindustria ha stimato un danno da 100.000 a 500.000 euro per mancato fatturato dovuto ad annullamento di visite di operatori
esteri in Italia o di viaggi all'estero per finalizzazione di contratti. Si tratta della fetta maggiore, ma è da segnalare anche come il 13% del campione abbia stimato una perdita sull’anno superiore ai 2 milioni di euro. Nonostante rappresenti più uno spaccato del momento che un dato scientifico, conferma l’importanza delle manifestazioni fieristiche come facilitatore del commercio estero.
Idee e finanziamenti per ripartire Gli aiuti alle aziende, anche per questo, iniziano ad arrivare. A partire dal 6 agosto 2020 tutte le imprese, a prescindere dalla dimensione, hanno infatti la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati per sostenere le spese di partecipazione alle fiere internazionali che si svolgeranno in Italia e all’estero, di cui il 40% a fondo perduto. Il decreto Rilancio, infatti, ha incrementato le risorse del Fondo 934, gestito da Simest: per il 2020 ammonta a 600 milioni di euro, cui si aggiungono 300 milioni per finanziamenti a fondo perduto. Per una ripartenza completa sarà ora importante vedere come le principali fiere si stanno organizzando; nel prossimo articolo lo chiediamo direttamente agli organizzatori di alcune manifestazioni legate al mondo della meccanica, fra esperimenti digitali, fiere fisiche o ibride e nuovi approcci per il futuro. Intanto, esperimenti digitali per rafforzare i rapporti con i mercati esteri non mancano. A luglio, per esempio, si è svolto il “Virtual Indo-Italian Food Tech Summit” realizzato da Ice in collaborazione con Anima e Ucima. Un progetto (il primo evento organizzato da un’ambasciata italiana all’estero e fortemente voluto dal nuovo ambasciatore a New Delhi, Vincenzo De Luca) dedicato alla filiera delle tecnologie per la trasformazione alimentare, per l’imballaggio e l’imbottigliamento, con la possibilità per le aziende italiane di presentare la propria tecnologia attraverso stand virtuali, e di partecipare a meeting B2B utilizzando la piattaforma virtuale “Hive”. Sono stati oltre 600 gli incontri realizzati dalle 25 aziende che (a numero chiuso) hanno potuto partecipare al virtual B2B. «L'enorme impatto dell'epidemia Covid-19 sulla nostra economia ha messo in evidenza la necessità di rafforzare i partenariati industriali su scala internazionale» ha detto nel suo intervento al Summit la vice presidente di Confindustria Barbara Beltrame, «Stiamo lavorando per supportare le aziende italiane nel processo di consolidamento sui mercati esteri perché siamo convinti che l'internazionalizzazione sia uno degli strumenti chiave per ripartire».
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Le fiere reagiscono
Anche in Italia, le grandi fiere stanno cercando soluzioni smart per permettere ai clienti di rianimare il loro business. Piattaforme digitali, preview, tavole rotonde, incontri, tutte nuove modalità per continuare ad interagire con i partner economici. Nuove formule d’incontro per sfruttare le potenzialità della spinta alla digitalizzazione a cui abbiamo assistito nel periodo di lockdown, per trarne benefici, anche d’immagine, sotto una nuova veste. Un esempio di innovazione lo rappresenta Eima International, l’esposizione internazionale di macchine per l’agricoltura e il giardinaggio che si sdoppia e diventa anche digitale. L’emergenza sanitaria ha reso necessario lo slittamento delle date, da febbraio 2020si passerà all’anno prossimo. Una delle rassegne della meccanica agricola più importanti a livello mondiale, con 2 mila espositori e 320 mila visitatori, seconda in termini numerici e la prima per livello di internazionalità, non rinuncia all’evento, ma lo fa completamente in digitale. La scelta di FederUnacoma, la federazione che rappresenta le macchine per l’agricoltura promotrice della manifestazione, è stata quella di mantenere comunque le date originali della fiera,
di LUCREZIA BENEDETTI
dall'11 al 15 novembre, per ricreare un’edizione interamente virtuale. A spiegare le esigenze del mercato è Alessandro Malavolti, Presidente FederUnacoma. «La preview digitale dell’Eima nasce dall’esigenza di riavviare un mercato, quello della meccanica agricola, siamo convinti che questa fiera virtuale sia l’occasione per sperimentare una nuova modalità di promozione e comunicazione nel settore della meccanica agricola. Potrebbe rivelarsi efficace anche in futuro, proprio come supporto alla rassegna tradizionale che, a nostro avviso, resta un evento insostituibile». Il progetto dell’edizione virtuale prevede la realizzazione di una piattaforma digitale con almeno tre sezioni dedicate rispettivamente alle aziende espositrici, al programma dei convegni, dei seminari di argomento tecnico e politico-economico e agli incontri business-to-business con gli operatori esteri.
Le fiere riprendono anche dal vivo Quella digitale però non è l’unica strada percorribile per gli eventi fieristici post emergenza sanitaria. In Cina, epicentro della pandemia, l’Auto Show di Hunan si è svolto
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“dal vivo” tra norme restrittive e controlli. Dal 30 aprile fino al 5 maggio, nel centro congressi ed esposizioni internazionale, nella città di Changsha, ha avuto luogo il primo evento su larga scala del Paese. Un segno di apertura, molto significativo, che lascia ben sperare a tutto il panorama internazionale per un ritorno delle fiere nei grandi poli anziché esclusivamente online. Le misure restrittive adottate per garantire la sicurezza dei partecipanti, hanno introdotto una componente digitale nell’organizzazione fieristica. Per partecipare all'evento gli organizzatori hanno chiesto ai visitatori di richiedere in anticipo un codice sanitario, in modo che le procedure fisiche finali di controllo e sicurezza potessero essere eseguite nel modo più rapido ed efficiente possibile. Il codice si otteneva tramite l’utilizzo di un’app che conteneva un Epidemic health information code. Dopo aver eseguito l'autenticazione dell'identità e aver sottoscritto una dichiarazione personale di buono stato di salute, i visitatori dovevano completare alcuni passaggi per essere accreditati con il codice di accesso. Il codice applet, fornito dal servizio affari governativi nazionali e da WeChat, ha facilitato il processo di
La bufera del Covid-19 impone all’industria fieristica una sfida senza precedenti, fra distanziamento sociale e nuove piattaforme di condivisione registrazione. Secondo statistiche incomplete, gli organizzatori hanno condiviso con Tft che 62.380 visitatori hanno partecipato al salone dell'auto e sono stati venduti 23.910 veicoli, con un importo di vendita di 5,268 miliardi di yuan.
Il ritorno in fiera dell’Italia Tornando all’Italia, anche Bi-Mu, la biennale della macchina utensile, robotica e automazione, conferma il suo svolgimento dal 14 al 17 ottobre, nel polo di Fiera Milano. Dopo la cancellazione in tutto il mondo della totalità degli eventi espositivi dedicati al settore, Bi-Mu è, di fatto, il primo appuntamento 2020 per gli operatori del comparto, ma anche la prima fiera dell'industria pesante che si svolgerà in Italia dopo l’emergenza sanitaria. «Sono molti gli espositori che hanno confermato la partecipazione» a parlare è Alfredo Mariotti, direttore generale di Ucimu-sistemi per produrre, promotrice della manifestazione «in Bi-Mu vedono un’importante opportunità per presentarsi al mercato che si rimette in moto dopo lo stop forzato. D’altra parte, molte aziende ci dicono che
l’Italia torna a muoversi e le previsioni realizzate da accreditati istituti econometrici internazionali confermano che, già dai primi mesi del 2021, partirà la ripresa dei consumi di sistemi di produzione in tutti i principali mercati». La fiera si farà dal vivo, dunque, ma con importanti incursioni digitali: fra le iniziative di promozione, ad esempio, nasce “Aspettando 32.BiMu i webinar di Bi-Mupiù” che si abbina e precede il calendario di incontri a cura di espositori e organizzatori. In un mondo come quello della macchina utensile dove tecnologia, personalizzazione dell’offerta e contenuto tecnico rappresentano il cuore dell’offerta, l’incontro vis a vis in fiera resta indispensabile e insostituibile. «Il web e il mondo digitale aiutano il business», conclude Mariotti, «sono complementari, ma di certo non alternativi alla fiera reale». Un focus interessante presente in Bi-Mu sarà anche legato alla logistica e alla movimentazione interna. Dopo la posticipazione della fiera di riferimento per il settore, Intralogistica Italia, al 2022, infatti, gli organizzatori Hannover Fairs International GmbH hanno calendarizzato una serie di eventi di avvicinamento nei prossimi mesi. Già a partire da ottobre. Bi-Mu Logistics, infatti, sarà il nome dell’area di innovazione dedicata al settore della logistica nello stabilimento e nel magazzino curata da Intralogistica Italia all’interno di Bi-mu.
Piattaforme digitali integrative, non sostitutive In ogni caso, sia gli organizzatori
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che hanno dovuto mettere mano al calendario, sia le fiere già in programma in periodi più lontani e, si spera, meno rischiosi, si trovano a dover immaginare una trasformazione per continuare a svolgere il proprio ruolo di partner promozionale delle aziende in un mondo, per forza di cose, cambiato. Anche Messe Frankfurt a settembre lancerà Contact Place, la piattaforma che affiancherà il ritorno in fiera di Sps Italia. Donald Wich, amministratore delegato di Messe Frankfurt, ha una visione precisa riguardo il nuovo modello di fiera che verrà a crearsi. «La bufera del Covid-19 impone all’industria fieristica una sfida quanto mai difficile, senza precedenti, quella del distanziamento sociale. In antitesi con l’essenza più profonda del concetto di fiera, gli operatori del comparto, con un giro d'affari mondiale di 275 miliardi di euro, sono chiamati a ragionare fuori dagli schemi, a mettere in discussione un calendario di eventi costruito negli anni su equilibri settoriali e stagionali. Resta per tutti una comune priorità, lavorare perché nel post emergenza le manifestazioni siano prima di tutto un luogo sicuro per ripartire senza timore dalle relazioni interpersonali e dare nuovo impulso all’economia». Cambia l’interazione sociale e obbligatoriamente i processi di innovazione tecnologica saranno accelerati e potenziati, ma non sostitutivi. L'idea, per i nuovi eventi, è quella di creare dei poli online strettamente collegati all’attivitá fieristica in presenza. L’esordio della piattaforma Contact Place di Sps Italia è previsto per settembre, dal 28 al 30. «Nel frattempo» prosegue Donald
Wich «Il contesto merita di essere motivo di studio da parte degli enti fieristici che, come Messe Frankfurt, hanno seguito negli anni le grandi trasformazioni quali per esempio la digitalizzazione. Le tecnologie potranno aprire la strada a piattaforme e progetti virtuali per accompagnarci poi verso l’appuntamento professionale per eccellenza, la fiera».
Un modello collaborativo per ripartire Settembre sarà il mese del nuovo inizio anche per Ipack Ima, che ricomincerà la sua attività fieristica sospesa a causa dell'emergenza Covid-19. A dichiararlo è Rossano Bozzi, amministratore delegato dell'azienda. «Si riparte e dovremo capire come sarà il nuovo modo di fruire le fiere. Certamente in totale sicurezza visto che il sistema fieristico italiano, con Fiera Milano che ha avuto un ruolo di guida, ha già istituito protocolli allineati a livello Europeo». Le fiere avranno un ruolo importante a livello industriale, ma «avranno maggiore successo» continua Bozzi «gli eventi che si ispirano a nuovi modelli business basati su un approccio collaborativo che valorizzi il concetto di filiera integrata». Sulla base di tale visione è stata definita la nuova calendarizzazione delle date delle manifestazioni di Ipack Ima che vedrà MeatTech dal 17 al 20 maggio 2021 in concomitanza con Tuttofood. «Con Meat-Tech siamo giunti alla terza edizione», spiega Bozzi, «è quindi un progetto giovane che dobbiamo gestire come una “startup”. Il nostro obiettivo è di consolidare su Milano un evento specializzato
nelle tecnologie di trasformazione e confezionamento che guardi anche a settori affini come il caseario o l’ittico. Abbiamo una visione fortemente internazionale, ma nel 2021 ci concentreremo sui mercati del bacino mediterraneo e sud Europa che, presumibilmente, non saranno in condizione di visitare le grandi fiere internazionali». Con un approccio analogo è stata riposizionata dal 3 al 6 maggio 2022 la manifestazione Ipack-Ima. «Abbiamo assecondato le esigenze dei nostri espositori e visitatori, individuando un nuovo posizionamento di data che ci consente di attrarre di più e meglio alcuni target di visitatori internazionali». “My Ipack Ima”, è la piattaforma digitale che sarà presentata nella seconda metà del 2020: concepita a sostegno degli eventi fieristici organizzati da Ipack Ima, si pone l’obiettivo di agevolare l’incontro tra domanda e offerta. «Sarà un valore aggiunto per quanti fanno e faranno parte del network Ipack Ima» sottolinea Bozzi. «Certamente non sarà un servizio sostitutivo, ma una nuova modalità di accompagnare in fiera espositori e visitatori che potranno interagire per la messa a punto di un’agenda di incontri, per un migliore follow up dei contatti raccolti in manifestazione. Riteniamo che l’esperienza della fiera non possa trovare adeguati sostituti per qualità del networking, possibilità di capire i trend del mercato e, l’elemento più importante, ritorni in termini di business».
La digitalizzazione si integra con la fiera Mce riparte con un piano digitale di accompagnamento a quello che
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sarà poi l’evento fieristico vero proprio, spostato all'8 all'11 marzo 2022. L’idea è quella di mettere a disposizione dei clienti l'intero database in attesa del prossimo appuntamento. «Se si organizzasse una fiera digitale si potrebbe venire a contatto con un numero più ampio di contatti» spiega Pierini, direttore generale di Mce,«ci si potrà registrare all'evento, ma si potrebbe pensare anche ad altre formule. Sicuramente per gli organizzatori potrebbe diventare anche un modo per monetizzare. La parte digitale nelle fiere c'è, tutto ciò che sono le fasi di registrazioni con i codici invito sono digitali. Il Covid ha fatto sì che si implementassero questi strumenti, piattaforme ed expocomfort per tutte le fiere che organizziamo. Sì, faremo delle edizioni digitali. O meglio, affiancheremo fisico e digitale con vere aree per chi non può venire in visita. L'esperienza e il faccia a faccia rimangono ancora il punto di forza delle fiere, ma ci si deve adeguare ai tempi». Questa digitalizzazione, come spiega Pierini, serve anche a mantenere una community di business attiva e in fermento «è uno dei motivi fondamentali per cui siamo interessati, come i nostri clienti, a questa via, e poi, la parte digitale non ha imprevisti nei costi e non ci sono imprevisti aggiuntivi come in una fiera tradizionale. Le formule di investimento sono abbastanza ridotte, il che è molto positivo. Noi siamo in una fase di customizzazione delle piattaforme, ma stiamo pensando anche a un evento fisico. Essendo una fiera dalla portata internazionale ed essendoci ancora molte incertezze sul futuro, rimaniamo in un continuo work in progress».
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Sps Italia 2020
Un Contact Place per raccogliere la sfida post Covid-19
RUBRICA: SPS Italia Hub
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n contenitore digitale, un catalogo o come l’ha definito Franca Selva, vice presidente marketing & events di Messe Frankfurt, «Contact Place sarà una piattaforma su più livelli con più eventi, che non sarà sicuramente una fiera virtuale». Cotact Place sarà lanciata a settembre perché proprio sulla piattaforma, dal 28 al 30 ci saranno i Digital day, l’evento virtuale che sostituisce l’appuntamento di Sps Italia del 2020, rimandato al 2021. Quest’appuntamento di settembre, come già detto, non sostiurà la fiera fisica, ma ricreerà le arene di discussione che avremmo dovuto vedere in fiera: automazione, meccatronia, additive manufacturing e digitale. La piattaforma, completamente gratuita, di Sps Italia, il maggior organizzatore di fiere b2b in Italia, rappresenterà quindi un nuovo modo di incontrarsi e di dare visibilità ai clienti. L’idea è quella di lasciare un canale sempre aperto e di creare una community con contenuti, scambi rapidi e facilitati tra i contatti. Una parte di contenuti sarà resa disponibile per tutti e senza la necessità di registrarsi, mentre per le altre azioni possibili con questa piattaforma sarà obbligatoria la registrazione e quindi la cre-
azione di un profilo. La registrazione non sarà diversa da quella fatta in fiera, e come spiega Giulio Pizzuto, responsabile del progetto «abbiamo prestato molta attenzione anche all’aspetto privacy, tutelando i dati registrati e le conversazioni tra utenti di cui non resterà traccia».
Esistono 300.000 posti di lavoro cercati, dal manifatturiero alla tecnologia. Si prevede che il 40% delle mansioni cambierà nei prossimi 10 anni
La piattaforma è stata pensata in funzione dei normali visitatori della fiera e quindi creata sulla base delle esigenze delle aziende del mondo manifatturiero e dei servizi, senza
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dimenticare però le scuole, le università, i Dih e i competence center, anch’essi visitatori della fiera. «Il progetto per Contact Place è nato dall’idea di un catalogo digitale, ma con un’aspettativa più ambiziosa» prosegue Pizzuto «noi di Sps Italia abbiamo pensato di espandere il catalogo, con i nuovi contenuti forniti dagli espositori, ma in fase di progettazione ci siamo resi conto che era necessario creare qualcosa di complementare alla fiera. L’obiettivo finale del Contact Place non sarà però quello di tamponare la situazione in questo momento post Covid-19. La nostra intenzione è quella di creare un gemello della fiera fisica, in versione virtuale, con tutti gli eventi collaterali come conferenze e tavole rotonde in versione online, fino a creare eventi complementari e mixati. Sarà una hub digitale dell’automazione, una piattaforma per raccogliere contenuti, offerte e dare la possibilità di comunicare tra i membri della community». l.b.
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MERCATI ESTERI
Semplificazioni doganali e percorsi di certificazione, come l’Aeo, portano con sé una profonda revisione dei procedimenti, delle scritture e della cultura aziendale. E potenziano un approccio consapevole alla disciplina doganale per trasformare minacce e costi in opportunità e vantaggi competitivi. l’industria meccanica 724 | 92
Le semplificazioni doganali come strumento per la ripartenza dell’export Tra i temi principali con cui le aziende volte all’internazionalizzazione si stanno misurando negli ultimi tempi, figura in modo predominante l’origine preferenziale e la sua asseverazione. Si tratta di un istituto previsto dal Codice Doganale Unionale (Regolamento UE 952/2013) che permette, stanti determinate condizioni di natura produttiva e adeguate scritture di rendicontazione, la fruizione di dazi agevolati o nulli all’atto dell’importazione. Questo tipo di agevolazione, applicabile in virtù dell’esistenza di un accordo di libero scambio tra la Ue e Paesi terzi, ha un impianto normativo solido e oneri documentali rigorosi, volti a renderne l’applicazione più trasparente e fluida possibile. L’esportatore che intende usufruire dei vantaggi dell’origine preferenziale deve compilare in modo pedissequo i cosiddetti certificati di circolazione delle merci (EUR.1, EUR-MED, A.TR.), ovvero atti pubblici rilasciati dalla propria dogana di riferimento, attestanti, per le merci che scortano, il carattere di preferenzialità. In Italia, l’emissione di questi documenti è da sempre favorita dalla procedura di previdimazione dei suddetti certificati di circolazione istituita dall’Agenzia Dogane: questa semplificazione prevedeva, per i titolari di autorizzazione alla procedura ordinaria presso luogo approvato, il ritiro di tali documenti, già vidimati, presso l’Ufficio Doganale indicato e il loro utilizzo al bisogno, bypassando un oneroso passaggio in dogana in attesa delle mandatorie procedure connesse al loro rilascio. Con la Nota 919556 del 26/07/2019 l’Agenzia Dogane ha deciso, su impulso della Commissione europea e in ottica di totale aderenza alle cogenti disposizioni unionali, di interrompere questa prassi. Per permettere alle imprese di dotarsi delle strutture e delle scritture finalizzate ai nuovi adempimenti, l’entrata in vigore di questa più rigida procedura è stata più volte prorogata, in virtù del forte interesse al tema manifestato dagli operatori economici e della recente emergenza sanitaria, fissando la nuova deadline al 22 luglio 2020.
di LUCA BUFERLI, EASYFRONTIER
Da tale data in poi, ad ogni richiesta di certificato di circolazione dovrà corrispondere l’emissione di appropriata documentazione giustificativa, e i tempi di rilascio saranno nell’ordine dei dieci giorni lavorativi. In un mercato globale sempre più dinamico, il timing è una variabile assolutamente predominante e sottoporre i propri clienti extra unionali a tempi burocratici così onerosi può essere lesivo dell’immagine aziendale e del rapporto con il proprio bacino di clienti, oltre a comportare soste economicamente rilevanti, sino ad inadempimenti contrattuali legati ai tempi di consegna. Per ovviare a questo tipo di conseguenze, nell’ambito degli accordi di libero scambio che l’Ue ha siglato con i vari paesi, è stata prevista una semplificazione che permette di fluidificare l’attestazione dell’origine preferenziale: l’Esportatore autorizzato. Tale semplificazione doganale consente a tutti gli operatori economici che ne sono provvisti di asseverare l’origine preferenziale delle proprie merci direttamente in fattura, o su documenti commerciali relativi alla spedizione, senza limiti di valore, mediante la semplice apposizione di una dicitura e del proprio codice meccanografico assegnato all’uopo dalla dogana. Le modalità di accesso a questa semplificazione sono lineari e piuttosto rapide: si tratta di un semplice audit, di natura non ispettiva, volto a verificare che l’assegnazione dell’origine in azienda avvenga in modo attento e consapevole, unitamente al fatto che le scritture ne consentano la tracciabilità e la verifica. Una volta ottenuto il proprio codice meccanografico, l’azienda avrà un vantaggio immediatamente spendibile e potrà apporlo sulle proprie fatture evitando i tempi e i costi previsti per i documenti di circolazione. Avvalersi di questa semplificazione è pertanto una decisione con impatti tanto operativi quanto strategici: consente all’operatore di giocare in difesa, evitando una barriera non tariffaria costituita dalle lungaggini buro-
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cratiche, e rappresenta anche una manovra proattiva che permette di convertire in risparmio economico e vantaggio competitivo sulle tempistiche quella che altrimenti sarebbe stata una criticità, trasformando di fatto un rischio in un’opportunità. Un’ulteriore semplificazione doganale, che alla luce della congiuntura socio-economica sta ricevendo un rilevante potenziamento, è quella dell’autorizzazione alla procedura ordinaria presso luogo approvato. Essa consente di impegnare un’area dei propri stabilimenti produttivi unicamente per le operazioni doganali: ciò permette all’operatore di disporre immediatamente delle merci, evitando onerosi step doganali, tra cui le soste per visite merci o documentali, il cui impatto economico sull’operatività aziendale e sul conto economico sono purtroppo sempre crescenti. Luoghi approvati e esportatore autorizzato offrono importanti sinergie: consentono all’operatore che ne è titolare di gestire in consapevolezza l’operatività doganale, acquisendo know how in merito a dichiarazioni ed atti che hanno ricadute sulla propria sfera giuridica, potendone anche valutare la qualità e la conformità. Questo tipo di semplificazioni, unitamente ai percorsi di certificazione, come ad esempio l’Aeo, è comunque foriero di esternalità positive innegabili che vanno al di là dell’istituto stesso e portano altresì con sé una profonda revisione dei procedimenti, delle scritture e persino della cultura aziendale, potenziando un approccio consapevole alla disciplina doganale, volta a trasformare minacce e costi in opportunità e vantaggi competitivi. Questo approccio si è sempre dimostrato marchio distintivo delle aziende che hanno fatto dell’internazionalizzazione un proprio punto di forza ed è vera oggi più che mai: la crisi economica conseguente all’emergenza sanitaria non romperà gli schemi che già conosciamo ma agirà da catalizzatore di avvenimenti, accelerando un processo iniziato già decenni orsono, che si sostanzierà nella scrematura nei mercati. Emergeranno ed eccelleranno gli operatori in grado di muoversi sui mercati internazionali cogliendo le opportunità di esportazione, mentre le aziende che non sapranno approfittarne subiranno un ridimensionamento ipossico, finendo vittime di un sistema in continua evoluzione. Per citare un uomo che di queste letture statistico-economiche ha fatto la propria raison d’être: "Solo quando la marea scende, scopri chi stava nuotando nudo" (W. Buffet).
L’emergenza sanitaria non romperà gli schemi ma agirà da catalizzatore di avvenimenti: emergeranno gli operatori in grado di muoversi sui mercati internazionali, mentre il rischio maggiore sarà rimanere vittime di un sistema in continua evoluzione
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MASCHERINE CERCASI
Reperire Dm e Dpi durante il lockdown è stata una delle difficoltà più urgenti da affrontare. Ora nuove procedure facilitano la situazione, mentre molte aziende si sono attrezzate per riconvertire parte della loro produzione
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MASCHERINE CERCASI
Uno dei temi più delicati per le imprese ha riguardato l’importazione delle mascherine e altri dispositivi di protezione individuale. L’Agenzia delle Dogane ha attivato due procedure speciali per accelerare lo sdoganamento in import dei Dpi e di tutti gli altri beni mobili utili al contrasto del Covid-19. l’industria meccanica 724 | 98
Il "lungo viaggio" delle mascherine verso l'Italia L’emergenza sanitaria e la rapida diffusione del Covid-19 hanno reso i dispositivi medici e i dispositivi di protezione individuale essenziali per prevenire l’ulteriore diffusione della malattia e per salvaguardare la salute del personale sanitario, dei dipendenti aziendali e dei cittadini in genere. Negli ultimi mesi, le autorità doganali (e non solo), unionali e nazionali, hanno posto in essere una serie di misure – molte delle quali non più in vigore – per garantire la disponibilità dei dispositivi di protezione agli operatori sanitari, alle istituzioni e ai dipendenti delle aziende che si sono recati in azienda. Il tema più delicato per le imprese ha riguardato l’importazione delle mascherine e dei Dpi in generale. Al fine di rendere più fluida e semplice l’interpretazione della diverse disposizioni normative, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha pubblicato sul proprio sito la “Guida per gli operatori per lo sdoganamento delle mascherine”. Nello specifico, la Guida distingue le mascherine in tre diverse categorie: dispositivi medici, Dpi e mascherine generiche. Per le mascherine chirurgiche (dispositivi medici) e i Dpi, ai fini dello sdoganamento, è obbligatoria la conformità tecnica e la marcatura Ce. Per venire incontro alla scarsità di mascherine disponibili, le autorità italiane hanno previsto la possibilità di importare mascherine non provviste di marcatura Ce e di farle certificare sul territorio nazionale: nello specifico, con la procedura in deroga, la marcatura Ce può essere richiesta all’Istituto Superiore di Sanità (Iss) quando si tratta di mascherine chirurgiche e all’Inail in caso di mascherine Dpi. Le mascherine generiche, invece, non essendo ritenute idonee alla protezione delle vie respiratorie di chi le indossa, non devono presentare alcuna marcatura e non possono essere utilizzate come dispositivo di protezione degli individui che, non potendo rispettare la distanza unipersonale di almeno un metro in azienda, sono obbligati a indossare dispositivi protettivi. Le mascherine generiche sono destinate all’uso esclusivo da parte della collettività. È opportuno specificare, poi, che l’Agenzia delle Dogane
di RITA TEDROS, EASYFRONTIER
e dei Monopoli ha posto in essere due procedure speciali per accelerare lo sdoganamento in import dei Dpi e di tutti gli altri beni mobili utili al contrasto del Covid-19. A partire da quanto disposto dall’Ordinanza 6/2020 del 28 marzo 2020 del Commissario Straordinario, l’Agenzia delle Dogane ha disposto che i Dpi e gli altri beni mobili legati all’emergenza importati da specifici soggetti, tra i quali sono ricomprese le aziende che svolgono la propria attività presso le strutture aziendali, possono essere sdoganate con svincolo diretto. Analogamente, l’Agenzia delle Dogane ha introdotto la procedura di svincolo celere, utilizzabile da tutti i soggetti e destinata all’importazione di beni mobili non Dpi utili al contrasto del Covid. Le due procedure, i cui moduli sono disponibili e scaricabili sul sito dell’Adm, garantiscono l’esclusione di segnalazione per eventuale requisizione al Commissario Straordinario. Per tutti i prodotti legati all’emergenza sanitaria sdoganati senza l’utilizzo dello svincolo diretto o dello svincolo celere, infatti, l’Agenzia delle Dogane ha l’obbligo di informare il Commissario Straordinario affinché possa disporre, ove necessario, la requisizione dei beni. Le misure sopra descritte sono ancora in vigore ma, come anticipato sopra, molte disposizioni sono state modificate gradualmente nel corso delle settimane e alcune di essere non sono più in vigore.
È stato reso possibile importare mascherine non marcate Ce, certificate poi sul territorio nazionale
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Mascherine e altri Dm e Dpi
Ricostruiamo in ordine cronologico ciò che è successo nei primi mesi dell’anno.
FEBBRAIO 2020 •
Ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile (OCDPC) n. 639 del 25 febbraio 2020: viene disposto il divieto di esportare DPI senza autorizzazione del Dipartimento della Protezione Civile
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OCDPC 641 del 28 marzo 2020: il divieto di esportare DPI senza autorizzazione del Dipartimento della Protezione civile viene esteso agli strumenti e ai dispositivi di ventilazione invasivi e non invasivi.
marzo 2020 •
Decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9: data la scarsità di mascherine disponibili sul territorio nazionale, si dispone che gli operatori sanitari possano usare mascherine prive di marchio Ce, previa valutazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss)
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Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18: viene introdotta la possibilità di importare mascherine prive di marchio Ce e di ricorrere alla procedura di marcatura in deroga. Nello specifico, viene specificato che per le mascherine chirurgiche l’autorità competente è l’Iss mentre per le mascherine Dpi è l’Inail
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Regolamento di esecuzione (Ue) 2020/402: talune tipologie di Dpi possono essere esportate previo ottenimento di un’autorizzazione all’export.
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Regolamento di esecuzione (Ue) 2020/426: viene modificato il regolamento di esecuzione (Ue) 2020/402 per estendere i Paesi per i quali non è previsto l’obbligo di autorizzazione all’export.
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Ordinanza 6/2020 del Commissario straordinario e istruzioni dell’Adm: vengono introdotte le procedure di svincolo diretto per Dpi e altri beni mobili destinati a specifici soggetti e di svincolo celere per i beni mobili non Dpi volti a contrastare il Covid-19.
APRILE 2020 •
Regolamento di esecuzione (Ue) 2020/568: decadono i Regolamenti di esecuzione (Ue) 2020/402 e Regolamento di Esecuzione (Ue) 426 relativi all’obbligo di autorizzazione all’export di Dpi
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Ordinanza 667 del 22 aprile 2020: decadono le Ordinanze 639 e 641 entrate in vigore a febbraio relative al divieto di esportazione senza autorizzazione della Protezione civile.
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Le storie di quattro aziende italiane che, in poco tempo, hanno iniziato a produrre materiale utile per fronteggiare l’emergenza Coronavirus
Parola d’ordine: riconvertire
di SIMONE GILA
L’emergenza sanitaria scatenata dal Covid-19 ha reso Dpi e Dm necessari, ma allo stesso tempo introvabili. Dal divieto di esportare Dpi senza autorizzazione alla possibilità di importare mascherine prive di marchio Ce e di ricorrere alla procedura di marcatura in deroga, le aziende italiane hanno trovato strategie per rispondere alla domanda e ripartire. Quattro storie di aziende italiane che, in poco tempo, hanno iniziato a produrre materiale utile per fronteggiare l’emergenza Coronavirus partendo da un’attività produttiva differente. Facendo della pandemia uno stimolo per la riconversione della produzione queste realtà, tra incertezze burocratiche e continue disposizioni modificate, rappresentano la risposta alle difficoltà dell’industria italiana.
Miroglio, Moda e Mascherine “Il Gruppo Miroglio, già dal mese di marzo impegnato a fronteggiare la grande richiesta di mascherine facciali da parte di istituzioni e cittadinanza, prosegue nel proprio intento di mettere a disposizione know how ed esperienza industriale per combattere l’emergenza Covid e inizia la produzione di mascherine chirurgiche”. Si legge così in un comunicato stampa del 23 giugno
diffuso dal Gruppo Miroglio, realtà industriale italiana che opera dal 1947 nei settori della moda femminile, del tessile e del retail. Già da inizio marzo la Regione Piemonte stava cercando una soluzione per la necessità di mascherine in tempi rapidi: il Gruppo Miroglio, che ha sede ad Alba, ha risposto realizzando un prototipo che soddisfacesse le esigenze. L’unità di crisi di Torino ha quindi controllato i prototipi e validato il prodotto come idoneo.
Una corsa contro il tempo Ma quanto tempo ci è voluto a riconvertire una produzione di questo tipo? Ha risposto Stefano Mulasso, responsabile della business unit M360 del Gruppo Miroglio: «In realtà poco tempo: si è trattato di un vero e proprio lavoro in team. Abbiamo messo a disposizione l’esperienza e la tecnologia – prosegue Mulasso – attivando sin da subito una linea di produzione di cotone trattato con prodotti idrorepellenti. Il tessuto è stato lavorato e confezionato presso il nostro Atelier». Il Gruppo si è anche occupato delle consegne e della logistica, considerando la produzione di Dpi un’attività prioritaria. Le prime mascherine prodotte in emergenza sono state mascherine facciali in cotone ed elastan, trattate con prodotti idrorepellenti per possibile lavaggio e riutilizzo fino a cinque volte.
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Recentemente è stata avviata una nuova linea di produzione di mascherine chirurgiche, Dispositivi Medici monouso (Classe I – Tipo II), prodotti in Italia in conformità alla Direttiva 93/42/CEE, marchiati Ce e imbustati singolarmente, tra cui mascherine con due strati di tessuto Tnt e un’efficienza di filtrazione batterica superiore al 98%. La riconversione in quella prima fase non ha richiesto investimenti, ma solo una rapida e veloce organizzazione. «Per la produzione di mascherine chirurgiche in Tnt, invece, l’investimento è stato di circa un milione di euro.»
Quante mascherine servono? «La nostra azienda è in grado di produrre e distribuire 40.000 mascherine chirurgiche in Tnt al giorno, sfruttando appieno il nuovo impianto in funzione a Pollenzo - Bra (Cuneo). A breve il Gruppo Miroglio si doterà di una seconda linea produttiva – aggiunge Stefano Mulasso – che porterà la propria capacità a 100.000 mascherine chirurgiche giornaliere, dando vita così ad un progetto destinato a proseguire anche una volta superato l’attuale periodo di emergenza». I dispositivi medici, già in distribuzione, sono destinati inizialmente alle realtà istituzionali e industriali che ne hanno fatto (e ne faranno) richiesta, al mondo della Gdo e ai canali specializzati nella distribuzione di prodotti farmaceutici.
Ivar: da una maschera Decathlon a un respiratore Marzo 2020. La protezione civile aveva chiesto la realizzazione urgente di 500 kit di per convertire la maschera Easybreath da snorkeling di Decathlon in maschera respiratore d’emergenza: l’azienda bresciana Ivar ha subito accolto l’appello. Grazie alla stampante 3D da qualche tempo installata nella propria sede, Ivar ha potuto dare l’avvio alla produzione di quanto richiesto in questo stato di emergenza e ha consegnato in breve tempo 21 coppie di raccordi.
Grazie alle nuove tecnologie…
Si tratta di una stampante 3D con tecnologia Multi Jet Fusion: la definizione del processo di produzione avviene totalmente in ambiente digitale, rendendolo estremamente flessibile. Inoltre, con la stessa macchina, è possibile stampare un numero infinito di tipologie di oggetti diversi: grazie a questa tecnologia è stato possibile avviare, in poco tempo, la produzione dei respiratori. «Quando sabato 21 marzo abbiamo appreso la notizia della geniale idea di Isinnova per trasformare la maschera subacquea di Decathlon in un respiratore, ci siamo subito attivati segnalando la disponibilità di Ivar a produrre in serie i due raccordi con la nostra stampante 3D» dice Paolo Bertolotti, Ad di Ivar SpA. «Grazie ai file dei disegni gratuitamente scaricabili dal sito Isinnova – prosegue Paolo Bertolotti – già il giorno successivo eravamo operativi: insieme al nostro team abbiamo ottimizzato l’area di stampa per riuscire a stampare 21 coppie (Charlotte + Dave)».
…i respiratori erano pronti in un giorno Lunedì 23 mattina, dopo 13 ore, le prime 21 coppie di raccordi erano pronte. Sono poi state avviate altre due produzioni da 30 kit l’una e donate dall’azienda alle strutture sanitarie. «Ci siamo sentiti subito in dovere di collaborare dando il nostro piccolo aiuto in questa gravissima emergenza che ci colpisce così da vicino, così come hanno fatto altre numerose aziende bresciane. Solo con l’aiuto di tutti si riescono ad affrontare emergenze come queste» conclude
De Nora e la collaborazione con la Protezione Civile Fin dai primi momenti dell’emergenza, la Protezione Civile di Codogno e De Nora hanno collaborato per risolvere le problematiche legate all’approvvigionamento di sanitizzanti. Qualcuno potrebbe avere già sentito il nome De Nora: è stata, infatti, la prima azienda nel mondo a brevettare il prodotto più richiesto e cercato negli ultimi mesi, l’Amuchina®.
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Il Il sanificante prodotto solo con acqua e sale De Nora è specializzata nel trattamento delle acque e all’inizio dell’emergenza si è subito attivata per aiutare la comunità nell’ambito della sanificazione. Il 6 marzo, nel pieno dell’espansione della pandemia, De Nora aveva infatti messo a disposizione della Protezione Civile quattro impianti per la produzione di ipoclorito di sodio l’ipoclorito; uno degli ingredienti attivi riconosciuti idonei per la disinfezione e la sanificazione di superfici per la prevenzione contro la proliferazione del virus Sars-CoV-2, come riportato dalle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità e dell’Istituto superiore di sanità. I sistemi forniti dalla De Nora consentono di produrre l’ipoclorito di sodio direttamente nel luogo di utilizzo, impiegando solo ingredienti naturali come l’acqua e il sale che vengono trasformati utilizzando l’energia fornita dalla corrente elettrica. Grazie a tali tecnologie la Protezione Civile di Codogno, non solo è riuscita a soddisfare il bisogno in loco, ma si è aperta ad un aiuto che si è esteso a tutta la Lombardia per arrivare sino al centro Italia. La soluzione sanitizzante prodotta dai sistemi De Nora, infatti, è stata distribuita in 6 Regioni, al fine di aiutare scuole, associazioni, enti e corpi dello Stato, cliniche, ospedali e residenze per anziani.
La “nuova normalità”: un’opportunità di migliorare la sostenibilità e l’impatto ambientale La “nuova normalità” legata al Covid-19 richiede un elevato fabbisogno di sanificanti con impatto su protocolli di pulizia e sui relativi costi, incremento del trasporto e delle scorte di quantità di sanificanti. Perché non cogliere l’occasione per ripensare le dinamiche dei processi di sanificazione delle nostre Aziende? Cristian Carboni, Light Industrial Market Manager De Nora, ha fatto un interessante approfondimento su questo punto «I vecchi sistemi di approvvigionamento sono altamente impattanti per l’ambiente (trasporti, contenitori di plastica da smaltire, stabilizzanti come la soda caustica che lascia residui sulle superfici e sull’ambiente, lotte doganali in tempi di crisi). Tutto ciò ha portato durante la crisi ad una scarsa disponibilità di sanificanti e ad un aumento ingiustificato dei prezzi. Le tecnologie sviluppate dalla nostra Azienda consentono di rispondere alla crescente domanda di sanifican-
ti, evitare problemi di approvvigionamento, evitare fluttuazioni di prezzi, la dipendenza dai fornitori e dai trasportatori, ridurre l’impatto ambientale. Io credo sia il momento di innovare verso la sostenibilità».
Protom e il “tornello anti-Covid”
Prima della “Fase 2” Protom, azienda specializzata nella realizzazione di soluzioni ad alta intensità tecnologica, si è preoccupata di garantire la sicurezza degli ambienti pubblici, rassicurare le persone che li frequentano e semplificare l’attività di controllo e prevenzione. Ha così concepito e sviluppato interamente in Italia “Pass” (Protected Access Security System ) una sorta di “porta della salute” in risposta alle minacce della pandemia. Consente la sicurezza degli accessi in maniera facile e veloce grazie a un sistema che fa sintesi tra intelligenza artificiale, sensoristica e software di monitoraggio ambientale.
Come funziona la porta anti-Covid
Pensato per esercizi commerciali, aziende e locali pubblici, “Pass” verifica che tutti coloro che accedono ad un qualsiasi luogo pubblico abbiano ottemperato alle misure di sicurezza di prevenzione del contagio. Dopo avere effettuato i controlli necessari, come un “tornello” ipertecnologico, “Pass” controlla la densità di presenze nel locale, gestendo i nuovi accessi in modo che non si superi mai il numero massimo di persone impostate come consentite, in funzione delle dimensioni del locale e dei propri sistemi di aerazione.
Ho messo bene la mascherina? “Pass” è fornito di un monitor attraverso cui l’utente, nel giro di pochi secondi, esegue i seguenti controlli: verifica del corretto posizionamento della mascherina, verifica della temperatura corporea, sanificazione delle mani e sanificazione delle suole delle scarpe mediante esposizione a raggi Uv-C. Nel momento in cui il sistema ha accertato l’avvenuta “sanificazione” dell’utente, qualora non sia superato il numero massimo consentito di persone presenti nell’ambiente, Pass indica il via libera all’ingresso. In caso contrario Pass indicherà di attendere fino a quando non sia uscita la prima persona.
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BergaMask: l’idea innovativa nella provincia più colpita Un progetto che non era mai decollato e una pausa caffè in pieno stato d’emergenza, sono stati i principali ingredienti da cui è nata BergaMask: la mascherina made in Bergamo. Un’azienda di Castelli Calepio, in provincia di Bergamo, una trentina di operai e una forte esperienza nel campo degli elastomeri, gomme e siliconi, ha risposto così all’emergenza che ha fermato l’Italia. Il merito di questo prodotto? I giovani trentenni di Stil Gomma srl: Marco Pecis (direttore generale), Giacomo Giupponi (operation manager) e Giulia Sala (quality management system e new project development), che hanno voluto aiutare i volontari impegnati sul campo durante la pandemia. Dall’esigenza di avere uno strumento affidabile, duraturo e soprattutto sicuro per i proprio dipendenti, si è arrivati all’idea di una mascherina totalmente in silicone medicale antibatterico. BergaMask è autosterilizzante, con un alloggio per diverse tipologie di filtri anch’essi pensati e commercializzati dall’azienda. La progettazione della mascherina in silicone è cresciuta insieme alla strumentazione necessaria, questo, come spiega Giulia Sala, quality management system e new project development, è stato possibile «grazie alle dimensioni ridotte dell’azienda che hanno permesso tempi più asciutti. Infatti, in dieci giorni è nato tutto: da metà marzo
fino ad inizio aprile Bergamask è stata progettata e realizzata. Questa è sempre stata la nostra forza, ma in piena pandemia è stato fondamentale muoverci così rapidamente per dare una risposta tempestiva». La maschera è stata prima donata ai volontari impegnati a Bergamo, motivo per cui è nata, e solo successivamente è entrata in commercio con una certificazione Ce, così come i filtri di protezione usa e getta allegati. Filtro e inserto di bloccaggio sono già stati perfezionati per rendere più semplice l’applicazione e il fissaggio del filtro, ma materiale e metodo di incastro rimangono unici sul mercato. Il materiale, un silicone medicale autosterilizzante, è stato progettato dall’azienda quasi un anno fa e lasciato nel cassetto dopo aver abbandonato il progetto iniziale. Con le giuste modifiche è nata BergaMask. Il nome è certamente “provinciale” – se ne rendono conto anche gli inventori – ma è nato volutamente per essere: semplice e legato al territorio. «Una domenica mattina, dopo uno scambio di messaggi è stato scelto BergaMask», spiega Giulia Sala, «la mascherina con filtro intercambiabile è nata a Bergamo e per Bergamo, non poteva che avere questo nome». Ora la produzione si sta allargando, anche grazie ai partner locali, e di certo il team di Stil Gomma srl non se lo sarebbe mai aspettato. In pro-
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duzione nuovi modelli, per rispondere alla richiesta esterna anche da parte di civili. Saranno colorate e di dimensioni ridotte per i bambini, ma le prime, di color blu e pensate per i lavoratori, rimarranno le “originali” con un legame che ha unito fornitori, produttori e distributori, in un circolo virtuoso di solidarietà locale e innovazione. l.b.
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(disponibili anche in inglese) Listino prezzi materiale di interesse della meccanica varia | Tabella arancio ultimo aggiornamento n. 750 - 1^ Quindicina di giugno 2020 - pubblicata su questo numero Computo costo orario medio di un operaio del settore della meccanica generale | Tabella azzurra ultimo aggiornamento n. 26 - 31 gennaio 2020 - pubblicata su questo numero | Tabella bianca 1° gennaio 2020 “Settore industria meccanica varia ed affine” e “Settore impianti e componenti di grande dimensione per la produzione di energia” - pubblicata su questo numero
TABELLA GENNAIO 2020 | Rilevazioni statistiche delle quotazioni medie delle tariffe per prestazioni di personale
IN ITALIA
SETTORE INDUSTRIA MECCANICA VARIA ED AFFINE January 2020
Statistical survey on average tariff quotation for staff ’s services in Italy Sector mechanical and engineering industries
AREA RISERVATA alle aziende associate alla Federazione ANIMA e agli abbonati della rivista
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Edizioni: A.S.A. S.r.l. - Via A. Scarsellini 13 - 20161 Milano - tel. +39 0245418.200 - fax +39 0245418.240 | Direttore Responsabile: Alessandro Durante | Riproduzione vietata - Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 334.1981.
TABELLA GENNAIO 2020 | Rilevazioni statistiche delle quotazioni medie delle tariffe per prestazioni di personale in Italia
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TABELLA GENNAIO 2020 | Rilevazioni statistiche delle quotazioni medie delle tariffe per prestazioni di personale in Italia
TABELLA GENNAIO 2020 | Rilevazioni statistiche delle quotazioni medie delle tariffe per prestazioni di personale
ALL’ESTERO
SETTORE INDUSTRIA MECCANICA VARIA ED AFFINE January 2020
Statistical survey on average tariff quotation for staff ’s services abroad Sector mechanical and engineering industries
AREA RISERVATA alle aziende associate alla Federazione ANIMA e agli abbonati della rivista
Edizioni: A.S.A. S.r.l. Via A. Scarsellini 13 - 20161 Milano - tel. +39 0245418.200 - fax +39 0245418.240 Direttore Responsabile: Alessandro Durante Riproduzione vietata - Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 334.1981.
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TABELLA GENNAIO 2020 | Rilevazioni statistiche delle quotazioni medie delle tariffe per prestazioni di personale all’estero
TABELLA GENNAIO 2020 | Rilevazioni statistiche delle quotazioni medie delle tariffe per prestazioni di personale
nei Paesi europei ed extra europei
SETTORE IMPIANTI E COMPONENTI DI GRANDE DIMENSIONE PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA January 2020 Statistical survey on average tariff quotation for staff services in Europe and outside Europe Sector energy generation plants and large components
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TABELLA GENNAIO 2020 | Rilevazioni statistiche delle quotazioni medie delle tariffe per prestazioni personale nei Paesi europei ed extra europei
TABELLA GENNAIO 2020 | Rilevazioni statistiche delle quotazioni medie delle tariffe per prestazioni personale nei Paesi europei ed extra europei
Janvier 2020
Enero 2020
Relevés statistiques des cotations moyennes des tarifs pour les prestations du personnel en europe et en dehors de l’europe Secteur installations et composants de grandes dimensions pour la production d’energie Estudio estadìstico de las cotizaciones medias de las tarifas por prestaciones del personal en europa y fuera de europa Sector instalacionesy grandes componentes para la producción de energía
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TABELLA N. 26 - 31 GENNAIO Costo| orario di un operaio del settore della meccanica generale TABELLA N. 26 - 2020 GENNAIO| 2020 Costo medio orario medio di un operaio del settore della meccanica generale
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TABELLA N. 26 - GENNAIO 2020 | Costo orario medio di un operaio del settore della meccanica generale
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TABELLE 1^ QUINDICINA DI DIGIUGNO 2020| Listino | Listino Prezzi Materiali di Interesse Meccanica N. 750 (Piazza di Milano) TABELLE 1^ QUINDICINA GIUGNO 2020 Prezzi Materiali di Interesse delladella Meccanica VariaVaria N. 750 (Piazza di Milano)
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