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BOLLICINE COMMUNITY
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MOLTO RUMORE PER NULLA?
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IL DECRETO LEGISLATIVO SULLE PRATICHE COMMERCIALI SLEALI NEL SETTORE AGROALIMENTARE STA FACENDO PARLARE MOLTO DI SÉ, MA LA SUA APPLICAZIONE NEL CANALE DEL FUORI CASA PRESENTA MARGINI DI INCERTEZZA E, SE APPLICATO ALLA LETTERA, RISCHIA DI GENERARE SEVERE DIFFICOLTÀ AMMINISTRATIVE. PROVIAMO A FARE CHIAREZZA
DI GRAZIANO GUAZZI
GRAZIANO GUAZZI
AMMINISTRATORE DELEGATO DI DATA FLOW D a quando è entrato in vigore, nel dicembre del 2021, le prime esperienze applicative del D.Lgs. 198/2021 in materia di pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare (detto anche decreto Utp, cioè Unfair Trading Practices) dimostrano come il principale terreno di scontro interpretativo tra fornitori e acquirenti sia rappresentato dall’art. 4, comma 1, lett. a) e b). Il casus belli nasce dal combinato disposto di tre fattori: una normativa di non immediata intellegibilità; la definizione di “contratto di cessione con consegna pattuita su base periodica”, che si presta a qualche equivoco; l’interesse dei distributori di ripristinare
a tutti i costi qualcosa che nel decreto non c’è, ossia il pagamento “a fine mese”, presente invece nel suo progenitore, l’art. 62 del D.L.
1/2012.
UNA NORMA FOCALIZZATA SUL B2B
Cominciamo con il dire che ad essere soggette alle nuove regole sono solo le cessioni di prodotti
agricoli e alimentari in ambito
b2b (business to business) e non quindi le vendite ai consumatori. Parimenti esclusi sono i conferimenti da parte di imprenditori agricoli e ittici alle cooperative di
cui essi siano soci, ovvero alle organizzazioni di produttori, e le cessioni con contestuale consegna e pagamento del prezzo pattuito. La forma scritta dei contratti è obbligatoria. Qualora gli elementi essenziali del contratto siano già stati concordati tra acquirente e fornitore in un accordo quadro, l’obbligo di forma scritta può venire assolto con documenti di trasporto o di consegna, fatture, ordini di acquisto. Il contratto deve indicare: durata, quantità e caratteristiche del prodotto venduto, prezzo (fisso o determinabile sulla base di criteri stabiliti nel contratto stesso), modalità di consegna e pagamento, altri aspetti vincolanti per le parti.
La durata dei contratti di cessione non può essere infe-
riore a 12 mesi, con un’eccezione importante: le vendite ai pubblici esercizi, per le quali tale soglia minima di durata del contratto non si applica.
I TERMINI DI PAGAMENTO
I prodotti deperibili (per esempio la mozzarella fresca) devono essere pagati entro 30 giorni dalla consegna, gli altri prodotti agricoli e alimentari entro 60 giorni. Sui ritardi è obbligatorio applicare gli interessi. Oltre alle tradizionali forme di tutela (es. rimedi di cui al D.Lgs. n.231/2002), sono dovuti al creditore gli interessi legali di mora (da calcolare secondo specifiche disposizioni, assumendo come riferimento il tasso vigente al 1° gennaio per il primo semestre, al 1° luglio per il secondo semestre), maggiorati di ulteriori quattro punti percentuali e inderogabili, che decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine.
LE SPECIFICITÀ DELLA GDO
La differenza tra la grande distribuzione e il grossista è indiscutibile e sostanziale. La prima ingaggia e impegna i propri fornitori (e di conseguenza se stessa) con contratti che stabiliscono numerosi aspetti: la durata, le condizioni di pagamento, la gamma prodotti, i tempi di consegna (in particolare quelle programmate su base periodica), i prezzi e gli sconti in fattura, i premi di fine periodo, la gestione dell’invenduto, gli eventuali addebiti come condizione di immagazzinamento e/o di esposizione, l’inserimento dei prodotti a listino, ecc. Una situazione complessa per la quale ben venga un decreto Utp che cerchi di equilibrare i rapporti di forza.
Ma questo scenario è equiparabile al canale consumi fuori casa? Direi proprio di no, almeno nella stragrande
maggioranza dei casi. In effetti, a parte eventuali accordi sottoscritti per gli sconti anticipati, i premi di fine periodo e la consegna in comodato gratuito di attrezzature e impianti di spillatura, i clienti non contrattualizzati non hanno (e, credo, non vogliano sottoscrivere) alcun obbligo di acquisto. In altre parole, ogni ordine/consegna è di per sé un con-
tratto che vale solo per la transazione in corso, senza
creare impegni futuri. Peraltro, vale la pena ribadire quanto già evidenziato in precedenza e cioè che il decreto esclude espressamente obblighi di durata quando il cliente è un pubblico esercizio. Con queste premesse, che senso avrebbe un contratto base/ quadro firmato a monte delle forniture, con il quale di per sé non si compra e non si vende nulla? Alcuni nostri clienti,
in alternativa al contratto, hanno proposto di includere nei documenti di consegna un testo che li qualifichi come contratto previsto dal decreto Utp. Punto di attenzione: nell’eventuale accordo quadro o nell’eventuale testo riportato nei documenti di consegna, non dimenticatevi di richiamare le condizioni che regolano il vuoto a rendere e il cauzionamento.
L’IMPATTO SULLE PROCEDURE DI FATTURAZIONE
Come chiarito poco sopra, quando la fornitura riguarda prodotti deperibili, la condizione di pagamento non può superare i 30 giorni dalla data consegna o fatturazione. Con quali conseguenze? Innanzitutto, quando l’ordine è misto,
o tutta la fornitura viene assoggettata al pagamento a
30 giorni o si emettono due fatture. La seconda ipotesi, oltre ad essere una complicazione amministrativa, incide sui costi della fatturazione elettronica, perché aumenta il numero dei documenti da trasmettere e conservare. Inoltre,
se il pagamento è con ricevuta bancaria (Riba), ne do-
vrà essere emessa una per ogni consegna/fattura. La ragione è che il decreto esclude la possibilità di spostare le scadenze a fine mese e quindi raggrupparle in un’unica Riba. Per i prodotti con scadenza superiore a 30 giorni, il pagamento non può essere superiore ai 60 giorni dalla data di consegna. In questo caso è possibile evitare i problemi concordando un pagamento a 30 giorni fine mese (che di fatto diventa un 45 giorni).
Premesso che i prezzi sono determinati al momento dell’ordine, c’è da capire se i termini decorrono dalla
data di consegna o dalla data della fattura. Nel primo caso, le consegne fatte con documento di trasporto (Ddt) comporterebbero non poche complicazioni amministrative. A tale proposito, dovrebbe essere il Ministero delle Politiche agricole e forestali, titolare dei poteri di controllo sui ritardi nei pagamenti, a fornire delle delucidazioni. Ma più in generale, sarebbe utile una richiesta di chiarimenti specifici per l’inquadramento della norma nel canale consumi fuori casa. Bollicine già dall’entrata in vigore dell’art. 62 del D.L. 1/2012 (progenitore del decreto 198/2021) ha predisposto i meccanismi per l’emissione di fatture distinte in funzione della scadenza prodotti (minore/maggiore di 30 giorni) assoggettandole al pagamento (30/60 giorni). Ma come ben sappiamo, il vero problema sono i ritardi e la difficoltà/impossibilità di addebitare gli interessi. Parlando di rapporti di forza, la distribuzione è spesso l’anello debole della filiera: a monte ci sono fornitori ben attrezzati, a valle clienti che fanno fatica a rispettare i pagamenti.
“” OGNI ORDINE/CONSEGNA È DI PER SÉ UN CONTRATTO CHE VALE