EIKON PIETRO NEGRI EDITORE - Distribuzione nelle gallerie d’arte e nei Musei su abbonamento -
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Bimestrale di cultura dell’immagine e comunicazione
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Anno IV Settembre- Ottobre n.16/2011 e. 5,00
EIKON 16/2011
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VICENZA
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EDITORIALE a cura della Redazione
Sergio Rizzo- Gian Antonio Stella
Se l’Italia distrugge la bellezza (e il turismo)
UN PAESE DA SALVARE N. 16 Settembre - Ottobre 2011 Bimestrale di cultura dell’immagine e comunicazione Direttore responsabile Maria Elena Bonacini Redazione Maria Rita Montagnani Anna Maria Ronchin Mara Campaner Zanandrea Anna Laura Leone Lorena Zanusso Renato Freddolini Marina Zatta Barbara Vincenzi Trevisan Domenico Pietro Negri Editore Corso Palladio, 179 36100 Vicenza Stampa Grafiche Corrà Arcole (VR) Contatti e informazioni: info@federcritici.org 0444.327976 L’Editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali pendenze relative a illustrazioni e fotografie con gli aventi diritto che non sia stato possibile contattare. Eikon Magazine Prezzo di copertina 5 euro abbonamento 6 numeri artisti 20 euro gallerie, musei, librerie, associazioni 90 euro la quota comprende 15 copie in omaggio ogni numero (90 copie annue) e 1 redazionale omaggio Bonifico a Pietro Negri Editore IBAN IT67 F076 0111 8000 0007 0951959 Bollettino postale C/C n. 70951959 Supplemento della testata Museohermetico Reg. Trib. VI. 1115 del 12.09.2005 roc n. 13974 Eikon Magazine è un prodotto
Alla fine di gennaio del 2011 Giampaolo Visetti scriveva sulla «Repubblica» che «sarà il turista cinese ad alimentare la crescita dei viaggi a lungo raggio ed entro il 2015 diventerà il padrone assoluto dei pacchetti organizzati e dello shopping di lusso in Europa. Il rapporto annuale dell’ Accademia cinese del turismo prevede che nell’ anno in corso trascorreranno le ferie all’ estero 57 milioni di cinesi (...) e il Piano turistico nazionale calcola che entro il 2015 si recheranno all’ estero tra i 100 e i 130 milioni di persone, arrivando a spendere oltre 110 miliardi di euro» (...) Peccato che non ci capiscano. L’Italia, «agli occhi di Pechino, rappresenta un incomprensibile caso a sé. Dieci anni fa era la mèta preferita dei pionieri dei viaggi in Europa. I cinesi amano il mito dello «stile di vita», il clima mediterraneo, la passata potenza imperiale e culturale, la moda e il lusso, la natura, la varietà gastronomica che esalta la qualità dei vini. «Eravate il punto di partenza ideale» dice Zhu Shanzhong, vicecapo dell’ Ufficio nazionale del turismo cinese «per un tour europeo. Poi ci avete un pochino trascurati». Al punto che «la promozione turistica dell’ Italia in Cina è inferiore a quella dei Paesi Bassi». Una follia. Ma per capire la fondatezza dell’ accusa basta farsi un giro sul portale turistico aperto dal governo italiano in cinese, www.yidalinihao.com. Costato un occhio della testa e messo su con una sciatteria suicida che grida vendetta. Per cominciare, le quattro grandi foto di copertina che riassumono l’ Italia mostrano una Ferrari, una moto Ducati, un pezzo di parmigiano e un prosciutto di Parma. In mezzo: Bologna. Con tanto di freccette sulla mappa che ricordano la sua centralità rispetto a Roma, Milano, Venezia e Firenze. Oddio: hanno sbagliato capitale? No, come ha scoperto «il Fatto Quotidiano», è solo un copia-incolla dal sito cinese della Regione Emilia-Romagna aimiliyaluomaniehuanyingni.com. (...). Ma ancora più stupefacenti sono i video che illustrano le nostre venti regioni. Dove non solo non c’ è un testo in cinese (forse costava troppo: i milioni di euro erano finiti...) ma ogni filmato è accompagnato da un sottofondo musicale. Clicchiamo il Veneto? Ecco il ponte di Rialto, le gondole, il Canal Grande, le maschere, i vetrai di Burano... E la musica? Sarà di Antonio Vivaldi o Baldassarre Galuppi, Tomaso Albinoni o Benedetto Marcello, Pier Francesco Cavalli o Giuseppe Tartini? Sono talmente tanti i grandi compositori veneziani del passato... Macché: la Carmen del francese Georges Bizet rivista dal russo Alfred Schnittke! La musica dell’ Umbria? Del polacco Fryderyk Chopin. Quella della Campania? Del norvegese Edvard Grieg. Quella del Lazio? Dell’ austriaco Wolfgang Amadeus Mozart. Quella dell’ Abruzzo? Dell’ inglese Edward Elgar. E via così: tutti ma proprio tutti i video che dovrebbero far conoscere l’ Italia ai cinesi, fatta eccezione per quello della Basilicata dove la colonna sonora è del toscano Luigi Boccherini, sono accompagnati dalle note di musicisti stranieri. Amatissimi, ma stranieri. (...) Il guaio è che da molto tempo immaginiamo che tutto ci sia dovuto. Che gli stranieri, per mangiar bene, bere bene, dormire bene, fare dei bei bagni e vedere delle belle città, non abbiano altra scelta che venire qui, da noi. Che cortesemente acconsentiamo a intascare i loro soldi, quanti più è possibile, concedendo loro qualche spizzico del dolce vivere italiano. Peggio: siamo convinti che questi nostri tesori siano lì, in cassaforte. Destinati a risplendere per l’ eternità senza avere alcun bisogno di protezione. Di cura. Di amore. Non è così. (...)
EIKON
INTERVISTA
di Maria Rita Montagnani
“Nel fondo delle cose umane, tu vedi ciò che ne rimane, uno scheletro di memoria, con dentro la tua storia, poi c’è il fossile del cuore, buco nero di parole. Ma l’anima infine vola, dove si abbandonerà a restare sola”. Milo Rossi
INTERVISTA
A RAFFAELE FERRARO MRM - Raffaele la tua attività artistica è stata intimamente connessa con la tua professione di chirurgo, ma puoi riconoscere in entrambe una radice comune? RF -Non so se merito il nome di artista. Mi sento un uomo comune. Dall’eta’ di 13 anni ho vissuto 9 mesi all’anno, il tempo della scuola,e fino alla maturita’ classica, in casa di un mio zio,chirurgo. Operava anche in una Casa di Cura ove io riuscivo ad entrare, prima a sua insaputa, poi con il suo consenso; qui “spiavo” la condizione umana e le operazioni . E’ stata una epifania: il centro e’ l’uomo. Non ho avuto dubbi. Ho percorso il cammino fino in fondo, con passione e condivisione della poca gioia e del tanto dolore. Nelle situazioni piu’ drammatiche ho sentito la necessita’ interiore di eseguire gesti-schizzi veloci, su carta qualsiasi: volti dolenti, diari segreti. Compassione per l’altro, che e’ sentire insieme come sentire insieme rende la chirurgia un’arte.
in creazione? Può l’amore per l’essere umano trasformarsi in creazione? Può la rivolta urlante trasformarsi in creazione? Cambiare il mondo e la vita. Così com’è mi sento sempre meno a “casa mia”.
MRM - Cos’è che cerchi di scavare nei volti della tua sofferente umanità muta? RF -La polvere dalle ferite fisiche e spirituali di quella folla. La polvere dalle ossa della mia memoria , non tanto di quella presente, quanto di quella assente, inabissata, vera, presente nell’assenza.
MRM - Tre parole per definire la vita RF - Incomprensibile cuneo verticale. MRM - Tre parole per definire la morte RF - Luce senza tempo. MRM - Secondo te qual è la chiave del mondo? RF - Dio. Senza di Lui tutto e’ nulla. MRM - La tua arte è solitudine o moltitudine? RF - Il motivo che suono è un’opera intima. Ho dialogato in silenzio con queste opere per trent’anni. Poi hanno voluto parlare con altri, con tutti quelli che sono pronti all’incontro. E ho aperto la porta. Una moltitudine di soli che dialoga con una moltitudine che entra in contatto con se stesso, vede con l’occhio dello spririto e completa l’opera. Chi non ha occhio e orecchie non apre il varco e l’opera non si manifesta.
MRM - Si dice che nella pazienza stia la nostra anima,sei d’accordo? RF -Si, la pazienza e’ una condizione morale che ha a che fare con la coscienza e l’anima.E l’anima e’ soffio vitale, intelletto, luce, verita’, essenza dentro il cuore, piu’ piccola di un seme di sesamo, piu’ grande del mondo. E comprende anche l’universo. MRM - Pensando alla tua infanzia,c’è qualcosa di essa che è rimasto ancora vivo nelle tue opere? RF - Tutto il mio dire col segno e’ un viaggio all’indietro, un vissuto di cui ho sensazioni e percezioni dentro di me e che parla con linguaggio semplice, innocente, infantile, automatico e compulsivo. E’ il mio essere nel mondo. E’ l’infinito interrogarsi su ciò che io sono stato e sono. E’ il mio buio e la mia luce, il mio giorno e la mia notte. MRM - Quale spinta,quale molla ha fatto scattare dentro di te l’urgenza della pittura? RF -Può la sofferenza condivisa trasformarsi
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MRM- Certo l’arte ha la sua responsabilità morale. RF . Sì l’arte pittorica non può solo raccontare e documentare il bello estetico, ma deve prima di tutto partecipare. E lo fa con la sintesi di quello che sta oltre la pittura, oltre l’immagine. Se la figurazione riesce a traslare il dato pittorico sul piano dei valori universali. MRM - Il mondo è una corda sull’abisso,e l’artista un equilibrista...per te l’arte è la corda o l’abisso? RF - L’arte è un abisso di libertà che l’artista, come essere nel mondo e del mondo, dico come individuo, aggiunge alla terra.
MRM - Cosa rispondi a chi trova le tue opere inquietanti, angosciose, insostenibili? RF - E’ vero. Più di uno mi dice “sono belle, ma mi creano ansia, non me le metterei in casa”. Non importa. Io dico che questi non sono pronti all’incontro con l’altro. Si sono rifugiati in un luogo di quiete, intimo ma gracile, non veritiero che si infrange appena qualcosa /il dipinto svela loro che la vita no è così come loro pensano. E questo mozza loro il fiato; non resistono al vedere , non sentono il coro che muove il sentimento e
R. FERRARO
Per contattare l’artista scrivere a Maria Rita Montagnani mrmontagnani@gmail.com fanno tacere la voe della coscienza.Ma non sarà un vuoto? Non partecipano alla vita, a quella vera. E aggiungono rischio al rischio. Non è forse il cosiddetto uomo “normale”, l’uomo come noi che fa tutto il male che si può a uomini come noi? MRM - Quale strada pensi di aver percorso nell’arte contemporanea e a che punto del cammino ti trovi? RF - Mi sembra di avere appena attraversato la soglia. Voglio approfondire la riflessione sulla interiorità e sulla esteriorità; Sempre la stessa idea come una ruota che gira sul proprio asse e non mi voglio staccare. Mi fa sentire meglio. Ciò che faccio mi fa sentire più vivo. Arriverò “fin dove si potrà se oltre non mi sarà consentito di andare”. Così Orazio. Grazie Maria Rita MRM Grazie a te Raffaele. Hai una visione cristallina della vita e dell’uomo, è per questo che sei diventato un artista, da solo
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RECENSIONE
a cura di Maria Rita Montagnani
IL CARNAIO MISTICO DI RAFFAELE FERRARO
Nelle opere di Raffaele Ferraro pulsano volti e figure di una dilacerata umanità silenziosa,il cui grido si è ormai svincolato dalla sudditanza del clamore terreno,per rifugiarsi in una salvifica dimensione mistica. Essi formano la folta schiera dei perdenti, dei diseredati, dei vinti dalla vita, ma che prima di perire hanno lasciato sulle tele di questo artista, la traccia di un’indelebile evanescenza. E’ l’apparente immobilità del transeunte, dove in verità tutto passa e scorre così rapidamente da sembrare immoto, nella rappresentazione cristallizzata di un dolore che muta, pur rimanendo sempre uguale a se stesso. Affondate nel miasma dell’oblio, le figure di Ferraro sono icone del vuoto ripescate dai fondali melmosi della memoria dell’artista, dove immaginario e reale non sono più distinguibili se non in qualcosa che ci assomiglia e che ci turba singolarmente, e a cui noi cerchiamo di dare un’identità che sia lontana il più possibile dal nostro Ego più consueto e rassicurante. In questa ampia regione del nostro rimosso, ciascuno tenta di relegare ciò che vuole dimenticare o cancellare, non dover vedere più, in quel regno di ombre, le nostre paure e timori, le nostre
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orrende fragilità e debolezze e i nostri fantasmi, vivono una vita parallela che spesso però irrompe drammaticamente nelle nostre realtà e ancor più drammaticamente nei nostri sogni. In Ferraro le solitudini dell’essere, divengono le moltitudini dell’apparire, volti scavati nel dolore da una lacrima eterna, oppure pietre solitarie scolpite nello stupore, restano attonite ed allucinate nell’attesa di una risposta al loro tragico interrogativo: perché? Nel cronicario di quelle esistenze dimenticate ed anonime, quei volti e quelle figure fatti di sangue, lacrime e sudore rappresi in un umore acre di vita amara, si trasfigurano in un carnaio mistico,il cui anelito fervido alla suprema Verità, diviene un com-patire universale, il palpito cosmico di un unico cuore. Ferraro mirabilmente scava nella fallibile materia umana per cercare la sostanza spirituale del suo essere-nel-mondo, quella matrice ultra-terrena che, pur imprigionando l’uomo tra le radici della terra, lo spinge anche a rispecchiarsi nel creato, tentando di varcare i confini della propria esiguità e di risplendere come un astro attraverso l’innocenza della propria anima trasognata. Spesso le forme del vivere sono forgiate sulle forme del
R. FERRARO
“Ti ho scritto una lettera sul mio viso, leggi ogni ruga, leggi ogni piega amara, leggi i segni del tempo, leggi i disegni del destino, leggi, e poi cancellami. Così andrò per il mondo con la mia pagina bianca”. Neri Tancredi
morire, ma in Ferraro le forme del morire divengono memoria e testimonianza del vissuto, quel vissuto che ci appare ora fluido ora coagulato nel fondo cromatico in cui è immersa ogni sua figura: dai grigi ai gialli accesi, dalle ocre ai rossi spenti o ai bianchi calcinati, tutto è storia personale nella storia universale. “Amo coloro che cadono, perché sono quelli che attraversano” dice Nietzsche e sicuramente l’umanità di Ferraro è un’umanità che è caduta, ma da quella caduta ha saputo rialzarsi mille volte aggrappandosi al filo di una divina speranza, quel sentimento che ha portato ogni uomo a sentirsi “strumento” di una più potente e incomprensibile Volontà superiore, il compiersi ultimo di un ineluttabile e unico destino. Così in ogni personaggio di questo artista possiamo incontrare quel “male di vivere” che spesso anche Montale ha incontrato. Così incrociando lo sguardo stranito di ognuno di loro, possiamo immaginare quale “cuneo nelle carni” (Kierkegaard) abbia straziato le loro vite, tanto da poter sentire a tratti quello stesso cuneo penetrare anche nelle nostre carni. Maria Rita Montagnani.
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RECENSIONE
di Maria Rita Montagnani
LAURA BIANCHI Identità negate
“Verrà il tempo per tutto, quando il tempo sarà già passato, ma allora esso non troverà più lo spazio. Così accade sovente che tempo e spazio mancanti creino l’essere (presenti) nel mondo”. L.M..
Questa riflessione filosofica e poetica al contempo ci introduce in modo del tutto appropriato e adeguato nell’universo pittorico di Laura Bianchi, artista sensibile ed introversa che a partire da una matrice iperrealista, si presenta all’osservatore con una tecnica ed uno stile inconfondibili, dove nessun elemento narrativo è lasciato al caso e dove ogni immagine pare raccontarsi senza raccontare di sé niente più di ciò che ci è dato immaginare. Il mondo della Bianchi è stigmatizzato nel ritratto della figura umana, ma poiché nei suoi quadri la figura è quasi sempre di spalle, sarebbe forse più opportuno parlare di “contro-ritratti”, e comunque sia è attraverso questa peculiare forma espressiva che Laura rappresenta i disagi e i profondi malesseri dell’età adolescenziale e giovanile. Queste tematiche costituiscono per l’artista il nucleo centrale su cui essa focalizza la sua attenzione e intorno a cui ruota la sua concezione della vita, non a caso è proprio in questa fase della crescita individuale che si manifestano maggiormente il vuoto esistenziale e la mancanza di senso e di significato che stanno alla base dell’agire umano. Così attraverso la sua pittura sapiente e composita, la Bianchi avvolge i suoi personaggi ben definiti e particolareggiati, in un’atmosfera indefinita, dilavata, facendoli apparire quasi irreali ed estranei persino a se stessi. Il colore è volutamente monocromo e spento forse proprio per accentuare maggiormente la condizione indifferenziata dell’età adolescenziale, dove una personalità fragile e un vuoto di valori determina un’anodina individualità. Così questi personaggi solitari, questi attori incomunicabili tra loro e ancora ignari del copione della vita, cercano loro malgrado un senso al loro essere, un riscatto a queste loro identità negate che la Bianchi raccoglie immortalandole almeno nella memoria artistica, prima che ricadano nel nulla. L’essere si manifesta e si nasconde contemporaneamente, ma la pittura di questa artista ci mostra come nella sua visione esso si confonda con il mondo più che fondersi con esso e dunque tenti di mimetizzarsi piuttosto che di esistere. Tutti questi personaggi della Bianchi, giovani e giovanissimi, sempre girati di spalle, tra non molto magari si volteranno verso di noi, si muoveranno, attenderanno alle loro faccende, ai loro passatempi e se non lo fanno è solo perché hanno timore che chi li guarda colga nei loro occhi la paura di vivere che è dentro di essi. Maria Rita Montagnani
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L. BIANCHI
Per contattare l’artista scrivere a Maria Rita Montagnani mrmontagnani@gmail.com
Non ti volti e resti fermo Quando corri il rischio Dell’angoscia che ti assale. Davanti a uno splendore. Quel passare le ore A rinventarlo sarà il tarlo del tuo mondo. Tra il dire e il fare C’è di mezzo l’amare. Tutto il resto andrà a fondo. Nella vita di senti d’esistere Nel mondo ti senti desistere, eppure ancora non sai quanto sia lontano da entrambi il vivere e il suo insistere. Neri Tancredi
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MOSTRE
di Anna Maria Ronchin
DALLA PAROLA ALL’ARTE LIBERA SEI AUTORI PER SEI ESPRESSIONI
La galleria ART.U’ apre la nuova stagione artistica con una mostra d’eccezione “DALLA PAROLA ALL’ARTE LIBERA. Sei Autori con sei espressioni artistiche” di: Alfonsi Mario, Meneghini Antonietta, Riva Umberto, Tonello Franco, Trevisan Antonia e Franco Vian . L’esposizione nasce dal dialogo che i sei autori hanno intavolato, sin dallo scorso anno, sul tema caro a ciascuno di loro, dell’Arte contemporanea . La proposta estetica dei Sei Autori è coerente con l’attualità, non ha la pretesa di fondare un nuovo movimento, di convogliare le diverse modalità espressive in un unico principio metafisico o estetico, l’evento è immediato e ricco, non solo di stili ma anche di supporti dal vetro alla ceramica, dalle tele all’objet trouvé . Dalle riflessioni sulla nostra epoca postmoderna (F. Lyotard,1979) i Sei Artisti si propongono con assoluta libertà di stile e di ricerca estetica; consci della precarietà del senso, ma affrancati dai dettami delle Avanguardie e dall’attrazione del citazionismo si rivelano con la forza delle loro opere, decisi a consegnare allo spettatore il ruolo di utente attivo, investendolo del ruolo di protagonista, interpellato per dare significato all’apparente incoerenza della loro libera espressività artistica.
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Mario Alfonsi:-Trasferisco nei materiali il mio pensiero universalista, con l’obiettivo forte di comunicare. Sarà il visitatore che si farà autore dell’opera, che, per questo non ha titolo.Antonietta Meneghini:- Una tela bianca che mi chiama, mi intriga, mi sfida, una tela testimone di gioia, tristezza, serenità, disappunto, riflessione, di emozioni. L’importante per me è carpire il mio e l’altrui essere.Umberto Riva:- L’antica leggenda I Crimini di Lemno ritrova vita in una colonna in ceramica sulla quale ho graffiato l’ipotetica storia di quelle donne che divennero Amazzoni; sempre in ceramica, il vaso Svoboda è la ricerca della libertà.Franco Tonello:- Gli smalti, gli acrilici e gli olii sugli ossidi del tempo, trasformano le lamiere ritrovate sull’Ortigara e nelle passeggiate montane, racconto nel mio espressionismo astratto il vissuto del metallo trasformato dall’uomo e dalla natura.Antonia Trevisan:- I linguaggi pittorici eterogenei, nuovi, appassionati e appassionanti, attraverso una poetica coerente con l’uso di materiali e tecniche diversi, in un divenire continuo, senza pause o interruzioni, è il segno identificante dell’artista.
Lo spazio espositivo, curato dallo Studio d’Architettura Pitton, favorisce la lettura polisemica per la pluralità dei punti di vista, creati dagli spazi dilatati dei pannelli espositivi, che esaltano i coni di luce del percorso fluido e circolare.
Franco Vian : -Il mio medium è il vetro, i Cartigli 2000, in quarta dimensioni, sono pagine vitree, iridescenti, colorate, che navigano e si perdono nello spazio in forme casuali alla ricerca dei “segnali” fino a costituire il mondo della virtualità WEB.-
Ciascuno dei Sei Autori alla Galleria ART.U’ presenta se stesso:
Libertà è la parola che ricorre tra i Sei artisti ed è dell’Arte libera che oggi abbiamo bisogno.
ART.U’ GALLERY
Antonia Trevisan
Umberto Riva
Mario Alfonsi
Antonietta Meneghini
Franco Tonello
Franco Vian
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MAESTRI
A cura di Anna Maria Ronchin
Maestro d’Arte Ebanista e restauratore BONFERRARO di SORGA’ (VR) Tel. 045 7320079 Fax 045 6655156 Cell. 349 6135918
PIER GIORGIO BERSAN
EBANISTA E RESTAURATORE A Nord-Ovest dell’endolaguna veneta, nell’isola veronese di Bonferraro opera un esperto nell’arte dell’intaglio e del restauro ligneo, Pier Giorgio Bersan. L’intraprendenza e il coraggio contraddistinguono gli uomini di queste sconfinate praterie, che inseguono con temeraria determinazione la loro vocazione, come quel Mantovano volante , nato al di là del confine regionale, a Castel d’Ario. Il famoso pilota Tazio Nuvolari fu il protagonista indiscusso delle gare automobilistiche e motociclistiche dagli anni Venti fino alla Seconda Guerra mondiale; il campione stesso affidò il suo ingente patrimonio sportivo all’Automobile Club di Mantova, che a tutt’oggi cura il Museo a lui intitolato nella città lombarda. Classe 1938 Pier Giorgio Bersan ha dimostrato quella stessa audacia di chi confida nel proprio talento, rimasto orfano all’età di quattro anni, con i quattro fratelli e le due sorelle, sostenne con accorato affetto la madre che riuscì, nelle difficoltà , a dare sostegno e infondere valori a ciascuno dei suoi figli. Pier Giorgio, appena adolescente, all’età di 14 anni, dovette emigrare nella capitale lombarda per lavorare e lì seguì la sua vocazione artistica iscrivendosi alla Scuola serale d’Arte e Mestieri (1954/55). Trovò ospitalità in via Rimenbranze, 39, due isolati più in là, nella via Gluck, cresceva il clan di Adriano Celentano, oggi suo collezionista. Erano gli anni del boom economico e mentre la città cresceva -dove c’era l’erba- Bersan inseguiva il suo sogno d’artista, fino a conseguire il Diploma di Scuola d’Intaglio in via Pontini, Milano (15.VI.1960) e divenne Maestro d’Arte sotto la valente guida di Domenico De Pasquale di Catania e del brianzolo Ernesto Pacchetti. Le opere che escono dalla sua bottega di marangon a Bonferraro (Verona) , sono i restauri dei monumentali serramenti della seicentesca villa Romani Marogna di Nogara (Verona) oppure creazioni lignee, come la serie dei -Tavolini Gaudì- dall’elegante designer , elaborato secondo il metodo tradizionale empirico, che trova ispirazione e linfa dalla stessa professione. La sua esperienza in materia è riconosciuta dalla Dott.ssa Renata Casarin, Sovrintendente di Mantova, Brescia, Cremona e Pavia, che interpella l’esperto Pier Giorgio Bersan per significative consulenze. L’indagine estetica ha condotto il Maestro d’Arte a ideare progetti complessi, come il -Cristo e i quattro elementi- (2006). L’opera nasce come un ex voto offerto alla Madonna di Fatima e suggella le diverse tecniche della pittura, della scultura, dell’intarsio, della fusione e del vetro di noti artisti veneti congiunte dall’effige centrale del Cristo, scolpita da Bersan sul legno di un’antica palafitta del bacino benacense; sul retro il sole con 14 raggi della vetreria artistica di Verona -Arte Stella- illumina il disco innalzato dal tronco a forma di Albero sacro. L’installazione di ben 3,5 metri d’altezza è stata collocata nel 2006 nel chiostro del Duomo di Verona e, nei due anni successivi, alla Pieve dei Due Pozzi, dei SS. Damiano e Cosma di Barbassolo, frazione di Ronco Ferraro(Mantova), a cura di Don Ezio Foglia, infine a Rovigo con il presidente D. Valentino dell’ associazione Polesani e Veneti nel mondo. Numerose sono le mostre che il maestro d’Arte ha allestito in Italia, esse testimoniano la sua sensibilità e la suo impareggiabile amore per l’ebanisteria, i suoi recenti approdi sono “Antologica” alla Scuola Elementare di Bonferraro (VR) dal 27 al 30 agosto 2011 e “Pinocchi” il 4 settembre 2011 a Corte Vivaldi, Minerbe (VR).Il soggetto fiabesco è stato realizzato secondo i dettami di Collodi , da un unico tronco, sul modello del più antico della collezione, realizzato dal nonno del Maestro d’Arte Bersan, Angelo; riprendere l’arte antica dei maestri d’ascia, sapienti costruttori delle caratteristiche barche a fondo piatto che percorrevano le vie d’acqua dell’endolaguna veneta, significa solidità e coerenza e questi sono i luoghi della felicità.
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I CRISTO E I QUATTRO ELEMENTI
P.G. BERSAN
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MOSTRE
IL GIOVANE TIEPOLO
A cura di Laura Leone
LA SCOPERTA DELLA LUCE
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Musei civici di Udine, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, con il patrocinio della regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, con il sostegno della Fondazione CRUP e con il contributo della Banca Popolare Friul Adria e Credit Agricola, proseguono quest’anno gli appuntamenti culturali rivolti al maggiore artista italiano ed europeo del Settecento, Giovan Battista Tiepolo (Venezia 1696- Madrid 1770), al quale dedicano la 3° edizione delle “Giornate del Tiepolo”. L’Amministrazione sostiene questo evento perché è qualificante a livello artistico, culturale e sociale. Udine conserva la testimonianza della giovinezza artistica e del genio creativo dell’artista e vuole valorizzare la rassegna affiancando altri progetti culturali trasversali a carattere musicale e teatrale per condividere le forti emozioni con il pubblico locale e straniero. La mostra è esposta al Castello di Udine fino al 4 dicembre 2011 e prosegue nelle sale affrescate del Palazzo Patriarcale e nella cappella del Santissimo Sacramento del Duomo dove si possono contemplare ben undici opere del Tiepolo. L’evento vuole presentare al pubblico l’esordio giovanile del grande artista veneziano del Rococò e la sua tecnica evolutiva che punta sui temi della luce e delle prospettive, caratteristiche peculiari della sua spettacolare carriera artistica. L’evento espone al pubblico la raccolta di opere dell’artista comprese tra il 1715 e il 1726, realizzate con la tecnica pittorica veneziana e con la maestranza acquisita dal suo maestro Gregorio Lazzarini. Nel 1726 è chiamato a Udine dal patriarca Dionisio Dolfin per ornare il Duomo e per decorare il Palazzo Patriarcale, testimonianze pittoriche di meravigliosi cicli di affreschi della galleria raffiguranti le storie bibliche del ciclo di Abramo, Isacco e Giacobbe . Il suo talento, la genialità inventiva e il colorismo brillante lo porteranno a decorare palazzi e chiese non solo italiane (Milano, Bergamo,Verona, Vicenza, Udine e Padova) ma anche all’estero, in modo particolare la residenza reale di Würzburg in Baviera (1750- 1753) del principe vescovo di Franconia, Carlo Filippo von Greiffenklan, dove realizza mirabili scenografie pittoriche nello scalone d’onore, valorizzando l’architettura di Belthasar Neumann, esponente di spicco del Rococò tedesco. A Madrid si trasferisce lasciando definitivamente l’Italia e conclude il suo repertorio artistico alla corte reale di re Carlo III di Spagna (1762) in un clima di amarezza, perché la sua tecnica scenografica e i capricci pittorici, tanto ammirati e richiesti dalla sfera culturale aristocratica, entrano in conflitto con il nuovo evento artistico- culturale e ideologico, in opposizione agli eccessi del barocco che preferisce proporre il “bello ideale”e “l’ideale etico” ripreso dalla cultura classica e dalla civiltà antica: il Neoclassicismo. I contenuti della mostra sono divisi in tre sezioni: i disegni, gli affreschi e le tele, seguono altri schizzi e bozze di disegni relativi a studi corporei di nudo per poi arrivare a concretizzare composizioni più ampie.
Arte e tecniche pittoriche del giovane Tiepolo.
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Giovan Battista Tiepolo (Venezia 1696- Madrid 177) è il maggior esponente illuminista europeo. Le sue premesse artistiche si sviluppano dalle conoscenze pittoriche barocche e dalle maestranze di rinomati vedutisti locali tra cui Giovan Battista Piazzetta (Venezia 1683- 1754) e dal quadraturista Gerolamo Mengozzi Colonna (Ferrara 1688- Venezia 1774). Il settecento a Venezia rappresenta il periodo di decadenza politica della Repubblica e il segno di debolezza militare dei lontani confini di dominio minacciati da altre potenze. Cederà le armi nel 1797 a Napoleone Bonaparte. Il declino politico veneziano non impedisce la crescita delle mondanità culturali e la maturità artistica di cui la città difende il lustro e lo splendore. Tiepolo è l’esponente migliore di questo momento per la tecnica innovativa e antiaccademica del combinare i colori giustapposti per ottenere il grado di luminosità assoluta, capace di creare effetti alchemici dove i panneggi diventano luminosi, argentei e gli oggetti assumono una colorazione cromatica dorata. L’artista fin dal suo primo esordio nell’ambito veneziano si è distinto per la sua libertà creativa di combinare i colori vivaci e gioiosi grazie ad un sapiente accostamento di brillanti accordi cromatici iridescenti legati alla rappresentazione dei panneggi, mentre lo sfondo paesaggistico idilliaco gioca effetti di trasparenza e di disgregazione della materia per dare l’idea dello spazio infinito.
Museo Civico Castello di Udine
G.B. TIEPOLO
DAL 4 GIUGNO AL 4 DICEMBRE 2011 La luce diafana fa da padrona allo scenario fantastico. I protagonisti si muovono liberamente nello spazio con disinvoltura, posti in diverse profondità prospettiche scorciate, riprese dal basso verso l’alto, quasi prive di massa, leggere, dinamiche e abbigliati con drappeggi da far rivivere nell’immaginario collettivo il trionfo dell’antico, attraverso la lettura visiva dei contenuti etici, eroici e soprattutto morali. La caratteristica straordinaria è la narrazione mitologica e storica illustrata dall’artista che viene trasfigurata da bizzarrie compositive di realtà mescolate tra passato e presente dove figure con abiti antichi si accostano a quelli moderni, i personaggi di ceto umile si mescolano al lusso e allo sfarzo del mondo aristocratico veneziano, il tutto scenograficamente inserito dietro le “quinte teatrali”. L’esordio giovanile di Tiepolo è permeata da una continua ricerca della forma, della scenografia e di effetti cromatici, ma la sua tecnica volge all’immediatezza del segno, alla spontaneità compositiva che supera l’accademismo per mettere a segno una vera provocazione fatta di macchie chiaroscurali, di segni incisivi per delineare meglio i corpi, di ombreggiature profonde che esprimono la tridimensionalità corporea e di figure disinvolte dagli atteggiamenti provocatori. Il repertorio pittorico si arricchisce di molteplici studi di anatomie corporee, di espressioni di visi e di movimenti nello spazio indefinito. Le basi formative sono riconoscibili nel saper fare del suo maestro Gregorio Lazzarini, ma la tenacia, l’estro creativo e la bizzarria compositiva dell’artista hanno contribuito al successo immediato tanto da leggere nella “Fraglia” del 1717 la sua iscrizione a soli ventuno anni. Lo stile si caratterizza nel “virtuosismo luministico” dai forti contrasti di luce e ombre, dalla ricerca anatomica del corpo che sconvolge il canone proporzionale e lo modifica in base alla scelta scenografica mitologica, storica e religiosa da narrare. Le deformazioni corporee tiepolesche sono accentuate da un movimento asimmetrico, da volti e sguardi che esprimono la sensibilità, l’ansia interiore, il desiderio di comunicare, l’interiorità dell’anima e talvolta riferiscono la fermezza e lo stato sociale di personalità autorevoli, tra i quali i dogi. Gli affreschi udinesi descrivono la forza interiore del giovane artista che spazia all’interno della finzione pittorica con intrecci cromatici chiaroscurali che si ispirano al Veronese. La forza costruttiva di questa tecnica Tardo Barocca e Rococò è “la luce” che assorbe l’intensità dei colori e li riflette nel contesto scenografico generando contorni macchiati ed effetti di vapore. La tecnica è decisamente innovativa perchè avvolge i personaggi di secondo piano e li dissolve nello spazio indefinito, come nelle letture pittoriche rinascimentali di Tintoretto. I caratteri descrittivi di Tiepolo riassumono la cultura illuminista del Settecento: ricchezza dei dettagli, paesaggi idilliaci e ambienti sfarzosi, dove il “Capriccio” si estende dalle composizioni architettoniche antiche a quelle moderne, talvolta scaturite dalle fantasie dell’artista, ma sicuramente motivate ai fini di una progettazione scenografica strettamente legata al teatro. Tiepolo è il grande interprete delle “quinte teatrali” mitologiche, storiche e ambientali che hanno fatto sognare molte corti europee, ma nella seconda metà del Settecento la nuova stagione pittorica e architettonica riflette i nuovi cambiamenti politici e culturali che hanno rigettato gli eccessi del Rococò per dare spazio alla cultura classica e al suo recupero archeologico. E’ il nuovo movimento Neoclassico che chiude le porte alle armoniose rappresentazioni illusorie dei mondi enfatici, ricchi di sottili ironie e di raffinati cromatismi che hanno segnato il trionfo dell’arte, della pittura e della scenografia teatrale a livello internazionale.
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ARTWORK
di Antonio Pilato
ANTONIO PILATO
TRACCE DI COMPRENSIONE Antonio Pilato Laureato in lettere e filosofia, con la tesi su “Il problema dell’arte in Croce”, vive ed opera a Milano. Pubblicato da Armando Capri sul Catalogo Internazione Sistina,Torino. Valutazione: disegni e dipinti trovano prezzi da 1000 euro in su. Recapito: antonio-pilato@alice.it www.pilato.it paginapersonale pilato.exibart.com cell. 3481272903. Mostre recentissime: - 2010 Enna - Personale - Palazzo Chiaramonte - 2007 Norcia (Pg) 13a Mostra Nazionale di Maestri Contemporanei. 2008 Monreale (PA) - Personale - Complesso Monumentale Gugliemo II - Museo d’Arte Moderna e Contemporanea “Sciortino”.2008 Agrigento -Personale- Nuova Biblioteca Comunale “Franco La Rocca” .2008 Milano - Personale ARCI. 2009 Milano - Personale- Circolo della Stampa Palazzo Serbelloni Sala Lanfranchi.2009 Castellammare del Golfo (TP) – Personale- Sala Consiliare del Comune.2009 Erice (TP) - Personale Polo Umanistico.2009 Milano - Brera - Personale - Galleria ArteCultura 2010 Trasanni di Urbino - Personale - Fondazione Il Pellicano Museo Mariano. 2011 Firenze -Personale galleria civico 69.
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Antonio Pilato si avventura molto felicemente in una pittura che vuole essere una rappresentazione (vor-stollen, mettere davanti) di eventi del mondo secondo una vocazione narrativa che solo un percepire morale può instaurare nella sua energia espressiva. L’immagine si trasfigura nella comprensione emotiva, così che guardare questi lavori espone al giusto rischio che appaiano sentimenti e propositi tacitati spesso dallo scorrere dell’essere. Il tema di Pilato é l’insieme delle tracce, tracce devastanti del prendere un mare infido per una speranza, devota nel cuore, fragilissima nel mondo. A fonte di queste rappresentazioni del migrare torna alla memoria , in un contesto differente, il sintagma celebre di Primo Levi “se questo é un uomo”............ .Dovrei parlare del colore di Pilato: una tavolozza che ha preso una tale confidenza con le sue risorse da costruire scene che catturano lo sguardo: sfondi paralizzanti, cieli crudeli, mari senza luce, ricchezze senza amore……………. Fulvio Papi Artecultura (Milano) Nei dipinti di Antonio Pilato si avverte chiaramente anche la sensibilità nei confronti della materia pittorica che viene trattata con suggestiva raffinatezza, imprimendo nuovi stimoli ai piani di colore e alle sintesi grafiche. Il segno, del resto, rivela la sua importanza nel determina struttura della composizione. Le forme sono definite sul piano di una coinvolgente sintesi , con contorni rapidi e spezzati. Il segno di Pilato acquista allora un andamento impulsivo che non si lascia irretire in schemi manieristici o stilizzati. Pittura, la sua, come espressione di sentimenti, di emozioni che non possono essere astrattamente razionalizzati.
Vi ARTE www.viart.it
A rte. R icerca storica. T urismo. E nogastronomia
Anno I N.1/2011
VICENZA, CONTRA’ DEL MONTE, 13 - INGRESSO PALAZZO MONTE DI PIETA’ - SEDE ViArt -
GUSTUS ITINERIS 2011 VICENZA 29/30 OTTOBRE SEDE DI ViArt PALAZZO MONTE DI PIETA’ Contrà del Monte, 13 L’associazione Strada dei Vini dei Colli Berici organizza la VI^ rassegna enologica dei vini doc vicentini che si propone di far conoscere ai vicentini, e ai numerosi turisti che visitano le ville progettate da Palladio, Scamozzi e dagli architetti del seicento vicentino, una antica tradizione vinicola che conta ben 17 qualità D.O.C. Oltre a questa realtà in continua crescita, la zona conserva una secolare cultura della distillazione della grappa, di produzione dell’olio extravergine DOP, del rinomato tartufo nero dei Berici, di pregiati salumi quali la sopressa vicentina DOP e il prosciutto Berico-euganeo DOP, di formaggi, miele e di una serie di preziose e uniche produzioni ortofrutticole quali i piselli di Lumignano, il radicchio rosso di Asigliano, il broccolo fiolaro di Creazzo e la ciliegia di Castegnero. Per assaporare alcuni di questi prodotti, abbinati ai vini dei colli berici, siete invitati al workshop enogastronomico di fine Ottobre in cui potrete degustare i migliori prodotti provenienti dalle migliori aziende vinicole e agrituristiche che aderiscono all’Associazione. All’ingresso verrà consegnato un calice omaggio e una sacca portabicchiere personalizzata dal logo “Strada del vino dei colli Berici” per compiere l’itinerario sensoriale allestito dall’associazione nella bellissima “Sala del Capitolo”, situata al primo nobile del Palazzo del Monte di Pietà.
VIART , CENTRO ESPOSITIVO DELL’ARTIGIANATO ARTISTICO VICENTINO PALAZZO DEL MONTE DI PIETA’- Contrà del Monte,13 - VICENZA Martedì, giovedì, sabato e domenica: 10:00-12:30; 15:00-19:00 mercoledì, venerdì: 15:00-19:00 PREMIO SCAMOZZI Dall’8 al 30 Ottobre GUSTUS ITINERIS 2011 Dal 29 al 30 Ottobre GIOIELLI IN CERCA D’AUTORE fino al 30 Ottobre
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Sala del Capitolo e immagini dell’allestimento delle sale espositive.
IL RINASCIMENTO VENETO
LE CATEGORIE DELLA PERCEZIONE
nelle immagini dell’arte contemporanea
CONCORSO PREMIO SCAMOZZI
Concorso di arte contemporanea ispirato alle categorie estetiche del Rinascimento. Mostra a Palazzo Monte di Pietà sede di ViArt - Vicenza
Con il Patrocinio del Comune di Vicenza
Splendore e Decadenza
dall’8 al 30 Ottobre martedì - giovedì - sabato e domenica orario 10 - 12,30 - 15 - 19,00 mercoledì e venerdì 15,00 - 19,00 ViArt ospita la mostra delle opere dei 24 artisti che si confrontano con le categorie estetiche - cognitive codificate dall’arte rinascimentale.
8/30 ottobre 2011
premio
Scamozzi Le sette Vie di Tebe
Premio internazionale di arte ContemPoranea
Palazzo Monte di Pietà - Sede ViArt Contrà del Monte, 13 Vicenza Orari e giorni di apertura: Martedì, giovedì, sabato e domenica: 10:00-12:30; 15:00-19:00 mercoledì, venerdì: 15:00-19:00
24 ARTISTI BERTONCELLI - GRECO - KACZIBA - BAROZZI TEODOROVA - ADANI - LANA- TROJANOWSKI MIANI -FIGARA - PANARELLI - MENON PERSIA - MONEY - PACELLI - BORTOLANI TAMAGNONE - D’ABRAMO - DI BACCO - COSTA MANZINI - MAGNUS - GROTTO - LORENZO INAUGURAZIONE SABATO 8 OTTOBRE ORE 18.00
A ViART, nel luogo in cui gli artisti-artigiani vicentini mettono in mostra le loro bellissime opere, frutto di una tradizione profondamente radicata nella storia della bottega rinascimentale che vedeva il “maestro” insegnare l’arte della percezione al “praticante”, e istruire il “garzone” alla preparazione dei materiali e degli attrezzi di lavoro, vengono esposte opere di artisti contemporanei al fine di valutare l’ipotesi di un filo di continuità con i principi teorici della percezione formulati direttamente, o implicitamente, dai maestri rinascimentali. Il Rinascimento Veneto è stato un fenomeno artigianale, artistico, scientifico (architettonico) e intellettuale che ha lasciato in eredità un patrimonio culturale che non ha paragoni nel mondo. L’arte della percezione peculiare di questa terra riesce a coniugare perfezione esecutiva, funzionalità, originalità e valori estetici e sociali attraverso una sintesi creativa di elementi della tradizione e innovazione tecnica, stilistica e tecnologica Se Andrea Palladio incarna una genialità compositiva frutto di un durissimo lavoro di recupero filologico della memoria classica peculiare dell’approccio umanistico rinascimentale, Vincenzo Scamozzi rappresenta invece il punto di svolta da cui ha origine la figura moderna del “professionista della percezione”, sia esso artista, artigiano, architetto, designer, oppure giornalista, politico, consulente, o comune osservatore della realtà. Da Scamozzi discende una prassi creativa caratterizzata da continue soluzioni innovative, tipico di chi osserva, metabolizza le immagini, crea, inventa, elabora, “brevetta”, produce e infine esporta il suo prodotto, frutto non solo di talento individuale, ma di una cultura del “vedere” che non si può disperdere, o, peggio ancora, dimenticare di possedere, o cedere a terzi.
IL TEMA
SPLENDORE E DECADENZA LA CULTURA DELL’IMMAGINE
“Tutto ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di questo genere, le identificazioni. Su di esse riposa in buona parte l’assetto della società umana, il suo splendore e la sua decadenza” (Freud, “carteggio con Einstein”)
L ICONOCLASTIA E CULTURA Differenti forme di iconoclastia si sono avvicendate nella storia contribuendo a plasmare e definire il nostro modo di guardare il mondo e rappresentarlo; non occorre attendere l’attuale civiltà delle immagini per accorgersi del loro tremendo potere. Platonici e islamici, ebrei e cristiani hanno fomentato dall’interno un processo di “distruzione e rigenerazione” che giunge a perseguire lo stesso medesimo scopo: dimenticare la “scoperta di Dio” generata dai processi di trasformazione della percezione in intuizione, lo strumento cognitivo utilizzato dagli artisti, dai filosofi e dai mistici rinascimentali per scoprire il significato simbolico contenuto nelle trame della mitologia e dei testi religiosi. Con l’iconoclastia si vuole ritornare alla storia sacra, ma evitando le immagini che parlino da sole, di se stesse, al di fuori del contesto delle sacre scritture che invece designano, con assoluta determinazione di luogo, il nome di Dio di cui devono parlare. Oppure, abbiamo visto con la Riforma, si eliminano le immagini per vincere in partenza una battaglia che è propria di ogni religione monoteista, la lotta all’idolatria delle immagini partorite all’esterno dell’istituzione religiosa, e si censurano i simboli in cui sono racchiusi processi di autotrascendenza che sono propri della natura umana e della gnosi che accompagna da sempre, per ragioni squisitamente biologiche, l’esperienza percettiva dell’allievo dell’Arte.
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o “Splendore” o la “Decadenza” di una società o di un’epoca dipende principalmente dal sistema di autoregolazione dei costumi morali, dei comportamenti etici e delle aspettative di felicità che l’individuo, o la collettività nel suo insieme, attua tramite l’identificazione con modelli elevati di coscienza e lo sviluppo della percezione individuale e collettiva. La disinformazione, la censura della stampa, dei mezzi di comunicazione e di autoespressione, l’apatia nei confronti delle problematiche sociali e culturali e l’ignoranza, intesa come scarsa conoscenza di sè in quanto esseri umani dotati di diritti inalienabili (libertà, pace, giustizia), rappresentano i maggiori pericoli per la perdita di valori sanciti dalle costituzioni nei periodi post rivoluzionari e post bellici. Oggi più che mai siamo testimoni di un incessante processo di alterazione delle immagini e dei documenti su cui si basa, sempre più frequentemente, il fenomeno della suggestione e della manipolazione della percezione individuale e collettiva. Ciò avviene a ogni livello e investe il fenomeno “macroscopico” della percezione satellitare che “certifica” in Iraq l’esistenza di depositi di armi chimiche e nucleari inesistenti, sia a livello microscopico ogni volta che l’immagine penetra all’interno della coscienza dell’Io per trasmettere una informazione o uno specifico messaggio che altera, in forme spesso subliminali, le nostre decisioni di acquisto, le opinioni e il costume sociale. Quotidianamente assistiamo a una forma di iconoclastia alla rovescia, per cui nessuna immagine viene più censurata, ma di fatto possono vedere solo ciò che viene precedentemente filtrato dai responsabili di redazione dei giornali, delle televisioni e dei vari mezzi di informazione e comunicazione che le utilizzano in base alle istruzioni ricevute dallo schieramento politico o dall’editore. Al resto ci pensano le parole, i commenti e i sapienti montaggi a ridurre l’immagine a semplice veicolo di suggestione emotiva, oppure di istigazione allo sdegno o al consenso. Si può vedere tutto, ma ogni contenuto di riflessione trasmesso dall’immagine è accompagnato dall’opinione di un esperto che veicola la percezione collettiva ed enfatizza determinati aspetti rispetto ad altri. Si potrebbe pensare, nella migliore delle ipotesi, che viviamo all’interno di una gestione democratica dei “punti di vista”, ma non è mai stato così. L’Arte, in quanto libera e gratuita manifestazione della percezione creativa di un individuo, si colloca quindi al di fuori dei giochi con cui le immagini si sovrappongono e si dispiegano, una dopo l’altra, per essere interpretate in modo diametralmente opposto dai “due schieramenti” attraverso logiche razionali che avvallano il proprio pregiudizio di fondo o paradigma ideologico. Quando si verifica il fenomeno dell’assoluta inconciliabilità nella valutazione delle immagini provenienti dalla realtà, per cui uno stesso fenomeno di cronaca, sia esso sociale, economico o culturale, viene affrontato con criteri strumentali puramente demagogici, oppure finalizzati a mantenere ferme le proprie posizioni e prospettive, non si può non paragonare tale situazione a uno stato di bipolarismo cerebrale che rappresenta il segno inequivocabile della malattia mentale e della vera decadenza del pensiero morale e del sentimento etico di una società. Peter Brughel schematizza il concetto di “decadenza” nella “Grande Torre di Babele”, opera che traduce simbolicamente, in una unica immagine, i due opposti modi di interpretare la realtà: la parte sinistra della torre, metafora del paradigma razionale-scientifico, giunge ad elevarsi fino a un “settimo piano” di conoscenza, mentre la parte destra, esplicito riferimento dell’irrazionalità delle convinzioni fondata su sistemi di credenze e superstizioni prive di senso critico, deflagra e si sgretola sotto il suo stesso peso dogmatico. Solo dal centro della torre, metafora di un processo di integrazione della percezione psichica collettiva all’interno delle strutture mentali razionali e intuitive, diventa possibile andare oltre la “coltre di nubi” ed emergere a una visione omnicomprensiva, a significa il ruolo dell’Arte di congiungere gli opposti, di integrare le differenze, di stimolare la rifles-
LA GRANDE TORRE
PARADIGMA DELLA DECADENZA
Peter Brueghel, La Grande Torre, 1563.
sione morale, il sentimento etico e di risolvere i conflitti, le crisi, le paure le angosce e la paura della decadenza economica, politica, sociale. L’arte, così com’è intesa oggi, non ha certamente capacità di modificare la realtà, ma se ricollochiamo, come nel Rinascimento, la produzione artistica, letteraria, poetica e tutte le espressioni creative dell’essere umano, comprese quelle artigianali e industriali, all’interno di una unica visione che ha come principio ispiratore le “categorie della percezione”, potremmo imparare a collocare le immagini nella giusta prospettiva, chiamata dagli artisti rinascimentale: la “Nostra Arte”. L’identificazione dell’individuo con i modelli di coscienza generati dalla società ha il suo fondamento nella percezione. E’ la percezione che guida l’individuo a soddisfare i bisogni, i desideri, le aspirazioni nel mondo materiale, e a intuire, secondo modalità comuni a tutti gli essere umani, ciò che è utile, buono e giusto per la convivenza civile, il benessere individuale e collettivo e lo sviluppo delle sensazioni e delle opinioni che possono modificare, in un contesto politico democratico, le regole e le leggi. In questo ultimo decennio, grazie all’avvento delle nuove tecnologie informatiche e della rete internet abbiamo assistito a una espansione abnorme della percezione della realtà in tutti i i suoi aspetti che ha proiettato ancor di più l’attenzione sul fatto di condividere una globalizzazione mondiale delle immagini, al punto che gli esperti, i consulenti e i professionisti della politica, del marketing, dei mercati azionari, dell’economia e della produzione sono legati tra loro dalla necessità di prevedere le crisi e intuire le vie di sviluppo vagliando quotidianamente gli indici numerici della borsa, i diagrammi del mercato, e le immagini televisive che informano in tempo reale sugli effetti sociali ed economici delle crisi locali sulle opinioni dei consumatori o sugli umori degli investitori. La percezione è sempre stata un fattore determinante per ogni sviluppo della società che riesce ad integrare, come rappresentato simbolicamente da Brueghel nella Piccola Torre, le modalità razionali della scienza con le potenzialità emotive e creative che sono implicite in ogni atto di fede, affinchè l’analisi, il vaglio critico, l’elaborazione e la sintesi dei contenuti impliciti in ogni visione non rimanga un inutile esercizio di aggiustamento, o ristrutturazione, di ciò che prima o poi rischia di precipitare.
LA PERCEZIONE LA PICCOLA TORRE Paradigma dello Splendore La Piccola Torre dipinta da Brueghel si avvita elicoidalmente verso la sommità, attraverso una strutturazione armoniosa dei piani traforati da ampie aperture che alleggeriscono il peso e permettono alla luce di filtrare al suo interno. La metafora utilizzata dall’artista descrive in maniera eloquente un processo di evoluzione del sapere e del linguaggio specialistico che non può fare a meno di integrarsi con quello che gli è più simile, secondo una linea di continuità ascendente che non rifiuta di dialogare con la memoria storia e l’arte della tradizione, da cui si è sostenuti e “puntellati”. Allo stesso tempo le ipotesi di crescita e le spinte all’innovazione non possono non allacciarsi a quel filo di continuità “spiraliforme” che si proietta verso il futuro, verso la sommità della “torre”, metafora di una società che si radica sulle fondamenta della propria cultura, piano dopo piano, ma non ha paura di costruire nuovi livelli di organizzazione finalizzati alla crescita della qualità e dell’efficenza. Tradizione e innovazione devono dunque essere collocate all’interno di un medesimo modello di crescita dei saperi necessari al tempo futuro. Tale modello, formato da “due aperture inferiori e due finestre superiori”, si ripete all’infinito, perchè rappresenta un archetipo della comprensione che non si può negare, alterare, modificare, o peggio ancora copiare da altri. La struttura cognitiva e produttiva può crescere fino alla vetta, e rifulgere nel suo splendore, se la luce dell’intuizione continua a filtrare al suo interno attraverso uno schema compositivo razionale che delinea un preciso metodo: analisi, vaglio critico, elaborazione intuitiva e sintesi delle opinioni, degli umori e delle impressioni provenienti dalla realtà esterna.
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LA PREMESSA
IL COMPASSO DI VINCENZO PERCEZIONE ED ESPERIENZA
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incenzo Scamozzi nasce a Vicenza nel 1548 al culmine di un periodo di straordinario fermento intellettuale dovuto a una considerevole pubblicazione di libri stampati e alla loro rapidissima diffusione in tutta Europa. Già alla fine del XV secolo Venezia era diventata il centro tipografico più importante e almeno 150 stamperie avevano già pubblicato oltre quattromila titoli, mentre Parigi ne aveva prodotte appena la metà. Nel 1483 stampare la traduzione di Platone fatta da Ficino costava tre volte di più che farne una copia da un amanuense, ma se ne ottenevano più di mille copie. La crescente disponibilità di libri incrementò in maniera esponenziale la divulgazione del sapere e agì da stimolo per l’erudizione filosofica e religiosa, fino ad allora appannaggio degli studiosi che gravitano all’interno delle biblioteche allestite da confraternite monastiche, Accademie e Università. Secondo Frances Yates il Rinascimento italiano deve la propria affermazione all’affermazione della stampa tipografica che diffuse non solo i testi dei filosofi della classicità greca e latina, che ispirò in quegli anni l’idealismo neoplatonico di Giorgione e il naturalismo aristotelico di Tiziano, ma anche numerosi trattati alchimistici che divulgavano, in forme didascaliche ed esoteriche, la nascita di una forma di spiritualità individualizzata in grado di conciliare cristianesimo, filosofia neoplatonica e l’ermetismo allora fiorente nelle Accademie. La fortuna di Vincenzo Scamozzi fu di essere figlio di un impresario edile originario di Mantova che lo istruì, come dimostrano i documenti di una villa costruita su disegno del padre, alle tipologie edilizie codificate da Serlio, e di incontrare il già celebre Palladio in procinto di dare alle stampe i Quattro libri dell’Architettura con cui influenzerà l’architettura europea e del Nuovo Mondo (1570). Ma la sua vera fortuna fu quella di essere dotato di un talento percettivo che gli permise di trovare soluzioni originali anche in situazioni difficili, al punto di essere chiamato a ultimare lavori iniziati da altri, oppure a rimettere ordine con un rigore ed eleganza, a situazioni compromesse dal tempo o dall’imperizia. Non si può sapere quanto giovane Vincenzo, appena ventisettenne, abbia tratto ispirazione da Palladio per realizzare la Villa di Rocca Pisana, considerata la casa padronale più bella del mondo, sia dal punto stilistico che per il confort, l’illuminazione e l’amenità del luogo, La cosa certa è che da quel momento di straordinario estro creativo, ispirato alla più rigorosa geometria tridimensionale (il cubo, la semisfera e la semplicità del bugnato angolare), inizia per il giovane Scamozzi una carriera professionale che è frutto non solo dell’ingegno tecnico e scientifico, ma soprattutto da un continuo adattamento della percezione al genius loci, alle esigenze del committente, alla necessità di illuminare adeguatamente gli spazi e alla incessante ricerca di soluzioni che al quel tempo rappresentavano scelte innovative, originali, per non dire “impensate”, come quella di forare le cupole per far entrare la luce dall’alto, o di creare grandi aperture di luce sulle pareti per dare risalto agli spazi più rappresentativi, come per Villa Molin a Mandria. La novità del linguaggio scamozziano sta in volte ribassate, sistemi di illuminazione con lumi ad olio per caratterizzare le prospettive, scenografie di legno a fuoco unico perché lo sguardo di Vespasiano Gonzaga coincida col punto di fuga come nel teatro di Sabbioneta, lo studio quindi minuzioso delle fonti di luce (diretta, indiretta, “lume secondario o partecipato, o proveniente di “riflesso”) nella ricerca costante di un effetto di contrasto chiaroscurale che rappresentano, in sostanza, scelte determinate da chi “sa vedere”, e fa della percezione il suo strumento di indagine, di controllo, di misurazione e di calcolo, prima ancora di tradurre il tutto in disegno, utile solo per farsi capire in cantiere dalle maestranze, utilizzando così un metodo di lavoro che diventerà una costante stilistica dell’ingegno veneto e in particolare vicentino come quello di Carlo Scarpa e degli straordinari artigiani-artisti di questa terra. Non si tratta di “fare a ocio”, come dicono ancora ancora oggi i vicentini per rimarcare, senza saperlo una innata destrezza, ma di valutare in anticipo, sul posto e senza mediazioni intellettualistiche, ciò che si deve e si può fare per far funzionare le cose, come ad esempio progettare la soluzione per quella impareggiabile prospettiva ascendente delle “Sette Vie di Tebe”, pensata per fare da sfondo alla prima rappresentazione dell’Edipo Re al Teatro Olimpico di Vicenza. Un accenno infine ad altri due progetti originalissimi che danno la misura della versatilità dell’ingegno percettivo scamozziano: la sistemazione ed esposizione delle bellissime sculture antiche offerte alla Repubblica dal patriarca di Aquileia Giovanni Grimani in cui la luce, il posizionamento e la conservazione delle opere rappresentano forse il
L’ARTE DI VEDERE E CONOSCERE
IL MODELL0
ANALISI - VAGLIO -ELABORAZIONE - SINTESI primo allestimento di tipo museale, e la sofisticata ristrutturazione e ampliamento di una torre medievale a Monselice che diventa, grazie all’invenzione di tre profonde nicchie forate, una villa belvedere. Tutte le opere di Vincenzo Scamozzi testimoniano un percorso evolutivo della percezione che non è così scontato dal punto di vista della professione, poichè richiede non solo abilità tecnica, ma anche la disposizione di voler imparare dagli altri, e non solo da Palladio. A differenza di Palladio che si recava con Giangiorgio Trissino a “misurare” i siti archeologici, Scamozzi era più interessato a misurarsi con le opere dei contemporanei, al punto che, avendo viaggiato per tutta Europa, amava definirsi “cittadino del mondo” e non “padano”. Frequenti furono i suoi viaggi di studio in Francia, Germania, Svizzera, Austria, Ungheria durante i quali Vincenzo produsse un taccuino strepitoso nel formato lungo-stretto, nel percorso da Parigi a Venezia, “al fine di osservare le maniere e forme del fabricare di que’ Regni, comprenderne le strutture, le tipologie di pianta e composizione delle facciate”. Se pensiamo come fosse difficile viaggiare in Europa, dobbiamo ipotizzare che Vincenzo Scamozzi fosse animato da un desiderio di conoscenza degno di filosofi resi celebri per altri motivi, come Giordano Bruno, suo coetaneo, che girovagò per tutta Europa per diffondere la sua dottrina esoterica basata sull’insegnamento di non basarsi «esclusivamente sul giudizio dei sensi», come faceva, a suo dire, il grande Aristotele, imparando soprattutto che, aldilà di ogni apparente limite, vi è sempre qualche cosa di altro. Gli straordinari disegni a mano libera a penna e inchiostro documentano lo spirito scientifico scamozziano alla ricerca di una solida base teorica che farà del modulo l’elemento fondamentale della proporzione architettonica. Nei viaggi di lavoro sarà l’arcivescovo Federico Wolfango a commissionargli il nuovo duomo e il palazzo vescovile di Salisburgo, a dimostrazione di quanto Scamozzi fu davvero interprete della cultura rinascimentale e protagonista di un processo collettivo di sintesi delle conoscenze che investì tutta l’Europa. Alla crescente libertà di interpretazione delle sacre scritture resa possibile dall’influsso della Riforma protestante, affiorò a tutti i livelli una più feconda capacità di ragionare per immagini, schemi geometrici e simboli. Verso la fine del Secolo si va diffondendo lo studio dell’Alchimia, sintesi di filosofia neoplatonica, ermetismo e tecniche di trasformazione psicologiche dell’umore particolare in carattere individuale e temperamento spirituale. Per certo Scamozzi, cultore di libri antichi ed egli stesso collezionista di libri di Platone, Aristotele e Galeno, ebbe modo di confrontarsi con le tematiche umanistiche del suo tempo che vertevano sulla necessità di agire tramite delle “tre potenze” dell’anima: Volontà, Memoria e Intelletto. Per i filosofi la pratica delle virtù e delle potenze dell’anima razionale, considerata il fulcro di ogni trasformazione, conduceva il pensiero ad elaborare una sintesi di tutte le operazioni, i metodi, gli strumenti e le tecniche necessarie per portare a compimento qualsiasi opera, sia essa di natura materiale, intellettuale o spirituale. C’era la convinzione che esistesse un ordine divino a cui ispirarsi e prendere a modello; così come dal caos poteva emergere una unica e preordinata disposizione della materia, così l’intelletto procedeva seguendo un determinato “compasso” compositivo, unico e universale. Tale ordine non trascende la dimensione corporea dell’esperienza cognitiva, poichè è inscritto nella struttura mentale razionale dell’individuo che si colloca al centro della sua psiche, come l’uomo Vitruviano disegnato da Leonardo iscritto nel “rotondum”. Dalla filosofia atomistica scaturì la fase creativa dei Trattati che attraversò tutti campi del sapere di quel tempo, dalla musica alla medicina, dall’arte alla botanica. Anche Scamozzi, con intenti più professionali che filologici, si cimentò in una straordinaria sintesi dell’architettura costruita scrivendo “L’Idea della Architettura Universale”, composto da una decina di libri che affrontavano tutti i temi del progettare e, indirettamente, le tre fasi dell’esperienza corporea della verità: percezione, coscienza e conoscenza delle immagini. Il maggiore ostacolo alla conoscenza è infatti rappresentato dai processi di razionalizzazione delle informazioni sensoriali che tendono a rinnegare, escludere e depotenziare la capacità della percezione di elaborare l’immagine automaticamente, al di fuori dell’influsso della coscienza dell’Io. Il metodo scamozziano è lo stesso che Leonardo aveva codificato seguendo il percorso compiuto dalla percezione attraverso le strutture analitiche (annerimento), razionali (arrossamento), intuitive (ingiallimento) e cognitive (imbiancamento), per cui, ad ogni trasmutazione (il quadrato), la percezione “si colora” acquisendo la “tintura” cerebrale , divenendo così permeabile alle funzioni dell’intelletto aperto ai quattro atti della razionalità creativa: analisi, vaglio critico, elaborazione e sintesi, le quattro “arti” della conoscenza “vitruviana”,
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NIGREDO
Caravaggio: “Cesta di frutta”
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ARTE DELLA NIGREDO LA PERCEZIONE SENSORIALE
er gli artisti rinascimentali la percezione sensoriale della realtà richiede una operazione di “annerimento” delle funzioni mentali analitiche coinvolte nell’esperienza. Compiere l’Arte della Nigredo significa infatti impegnarsi nell’analisi della luce riflessa dalle cose al fine di scongiurare il rischio dell’illusione, dell’infatuazione e della suggestione provocata dalle immagini che hanno il potere di eccitare i sensi, di suscitare emozioni inconsce e di distogliere la ragione dai suoi compiti. I sensi fisici sono soggetti all’errore oggettivo e possono essere alterati dal desiderio, dal bisogno, dallo stato di salute e dalle convinzioni personali che modificando continuamente gli scenari, innescano giudizi affrettati e la ricerca di rassicuranti certezze proiettate allo scopo di contenere l’ansia di compiere scelte e prendere decisioni. La teoria dell’informazione aggiunge che in ogni trasmissione d’informazione, in ogni comunicazione di messaggi esiste il rischio di errore dovuto all’effetto di perturbazioni aleatorie o di rumori “di fondo” (noise), per cui anche le “ricezioni” considerati più attendibili sono possono subire delle variazioni ed essere suscettibili alla modificazione. La conoscenza sensoriale della realtà, per quanto raffinata ed educata alla visione distaccata delle immagini, non è mai specchio delle cose o del mondo esterno, poichè i sensi sono imperfetti, facilmente suggestionabili e soggetti al fenomeno della proiezione psichica e dell’eco emotivo riflesso dagli oggetti investiti dal desiderio (Narciso) e dal sentimento (la ninfa Eco) A questo proposito il mito di Narciso suggerisce che l’immagine percepita dai sensi deve subire una operazione di analisi delle sensazioni di riverbero per non correre il rischio che il contenuto emotivo possa essere elaborato e trasformata, come la ninfa Eco, in uno “scoglio” reso insensibile alle emozioni del cuore. L’arte della Nigredo si configura come una operazione di separazione dell’immagine dai contenuti erotici, emotivi, affettivi che possono alterare il giudizio, senza per questo rifiutarli o rimuoverli dalla coscienza razionale, atto di cui è colpevole Narciso che rigetta l’amore della Ninfa per il suo bellissimo volto. L’immagine estetica, anche quella perfetta e apparentemente neutra, non è mai priva di significati. Occorre introdurre il tempo dell’attesa, della “macerazione” della gratificazione sensoriale,
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prima che essere rivelati. L’artista della Nigredo può procedere per anni a dipingere la natura, il vaso di fiori, il cesto di frutta, il paesaggio o il corpo nudo delle modelle prima di giungere a separare l’oggetto dal suo “spirito”, la quintessenza che rivela il senso del percorso artistico. Quando ciò accade, quando l’artista percepisce la luce riflessa dalla superficie delle cose o proiettata dalle immagini, allora anche la coscienza razionale dell’Io inizia a svanire. Narciso, condannato a osservare la sua stessa immagine riflessa nell’acqua generata dalle emozioni, alla fine comprende che ciò che crea errore, illusione, mistificazione e quindi sofferenza è la presenza dell’ego che vorrebbe modellare la realtà a suo piacimento, fino a operare processi di razionalizzazione finalizzati a modificare il senso di ciò che si è percepito per trarne un vantaggio materiale, economico, sociale, utile nell’immediato, oppure proiettato nel tempo futuro. Altre volte invece, attraverso l’esperienza sensoriale concessa dall’arte, scopriamo la presenza di “zone d’ombra” che ci impediscono di vedere chiaramente e allora la percezione diventa terapia analitica (lo sfondo giallo), indispensabile per risolvere complessi personali, blocchi emotivi e inibizioni inconsce. A questo punto l’annerimento delle funzioni analitiche non coinvolge più solo l’analisi sensoriale, ma investe la coscienza dell’individuo. Caravaggio dipinge Bacco intento a centellinare il “vino”, metafora del pensiero che si astiene di emettere giudizi alterati dall’ebbrezza dei sensi fino a che non sia completata la “macerazione” della “frutta”, metafora della “putrefazione” dell’Io focalizzato nella ricerca dei piaceri. Se l’individuo innesca tale contemplazione, inizia un processo più ampio di in cui i sensi vengono gradualmente “purificati” dall’apatia, dall’inerzia e dalla pigrizia (nigredo sensoriale), dalla paura, dalla timidezza, dal senso di inferiorità (nigredo razionale), dall’ignoranza, dalle false certezze, dalle convinzioni erronee (nigredo intuitiva), dall’arroganza, dalle ideologie o dalla pretesa di possedere la giusta visione (nigredo cognitiva). Attraverso queste quattro fasi di trasmutazione, la percezione si arricchisce della conoscenza dei simboli indispensabile per evolvere in quell’intuizione simbolica che caratterizzò tutta l’Opera al Nero di Caravaggio, capace di distillare dai sensi (Il cesto di frutta), dal pensiero razionale (La conversione di Saulo), dall’intelletto intuitivo (Davide contro Golia) l’Elixir della conoscenza, simbolica e spirituale (Bacco e Bacchino malato)
N.1 Giuseppe Persia
N.2 Paolo Menon
ANALISI Rappresentazione analitica: - della relatività della percezione N.1 I. 378 La verità è negli occhi di chi guarda. L’immagine di un peperone attira lo sguardo su forme che associamo istintivamente, alla sfera erotica. Ma è solo una suggestione sensoriale che viene modificata ruotando il soggetto di qualche grado. - degli eccessi sensoriali N.2. Bacco Eccedere nei piaceri di Bacco significa amplificare la percezione sensoriale. Se si impara a centellinare il “vino”, la percezione trasmuta nel “sangue di Dionisio”, simbolo dell’ebbrezza di conoscere la verità tramite l’euforia, la follia dei sensi divinizzati..
N.3 Paolo Figara
N.5 Giovanni Bortolani
- della “macerazione” sensoriale N.3 Body After Revolution “Tramite l’immagine si aprono finestre sui flussi di sensazioni, ricordi e premonizioni che ci attraversano sotterraneamente. Sono i luoghi di memorie condivise, dove sembrano accavallarsi sogni e frammenti di vite passate e future.” - della ri-programmazione sensoriale N.4 Nuove Memorie Tutto ciò viene percepito dai sensi può essere modificato, rimodellato e riorganizzato attraverso “semplici schede di memoria. Siamo sempre più legati ad una materia che non ci appartiene del tutto”. La memoria sensoriale è soggetta a manipolazione e ri-programmazione.
N.4 Federica Miani N.6 Mirco Grotto
- della falsificazione del reale N. 5 Fake too Fake Le immagini possono essere ritoccate per eliminare difetti al fine di trasmettere il messaggio della perfezione che non può, e non deve, sollevare critiche, perchè irreale. Tra la realtà dei “tessuti” lacerati dall’inelluttabile decadenza e l’irrealtà a cui aspira l’estetica, si insinua il pensiero dell’autentica bellezza . - dell’identità umana e spirituale N. 6 Untitled Coll.1/12 La ricerca sensoriale della verità, sottolineata nelle pieghe espressive dei volti segnati dal tempo e dalle esperienze, rivela la condizione psicofisica, sociale, culturale e persino spirituale del soggetto, andando oltre ogni schema di giudizio e di pregiudizio, di inibizione e discriminazione. Tutto è rivelato e accettato senza censure, o
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RUBEDO
Peter Brueghel: “Quando un “cieco” guida altri ciechi, finiscono inevitabilmente nel fosso...”
L
ARTE DELLA RUBEDO
LA PERCEZIONE RAZIONALE
a percezione razionale della realtà in cui si vive, delle condizioni esistenziali e dei rapporti che legano gli individui all’interno della collettività, a partire dalle radici culturali, dalla memoria storica - sociale e dalla condivisione di culti, miti e tradizioni, formano il patrimonio epigenetico a cui tutti gli individui attingono quando devono formulare motivazioni plausibili del proprio comportamento. Si tratta di processo razionale istintivo, a dimostrazione che la cultura ha generato nel tempo una modificazione sostanziale degli istinti e delle pulsioni a favore di un atteggiamento che ha ispirato la suddivisione dei ruoli sessuali, la differenziazione delle caste, la nascita delle corporazioni e la contrapposizione tra ambiente urbano e naturale, tra corpo e anima, tra ragione e passione. Lo sviluppo della percezione razionale conduce generalmente a una concezione conservatrice della realtà e dello status quo, poichè tutto ciò che scalfisce l’ordine razionale delle cose, a cominciare dai bisogni di auto espressione creativa e di libertà, porta con sè uno stato di crisi e di cambiamento che non sempre sono propizi. Chi si assume il compito di guidare gli altri, come sottolinea Brueghel, può agire ciecamente quando non tiene conto delle matrici genetiche, storiche e culturali che hanno determinato i processi di trasformazione della percezione collettiva “modellata” nel tempo attraverso il controllo delle decisioni e il vaglio critico delle possibili alternative. La razionalità genera ordine, controllo, leggi civili, regole di comportamento e procedure di omogeneizzazione che escludono a priori l’individuo che non si integra, conforma e accetta le norme collettive. La percezione razionale è sostanzialmente una attività del cervello che fa appello al controllo dell’ambiente (rubedo sensoriale), al controllo dei metodi e dei tempi che formano qualsiasi pratica (rubedo razionale), al controllo della cultura in riferimento al sapere comune (rubedo intuitiva), al controllo della percezione altrui e delle operazioni logiche che portano la ragione collettiva a formulare certi propositi o politiche di sviluppo (rubedo cognitiva). Si sa che la razionalità è la migliore barriera contro l’errore e l’illusione. Da una parte vi è la razionalità costruttiva, che elabora teorie coerenti verificando il carattere logico dell’organizzazione teorica, la compatibilità di idee che compongono la teoria, l’accordo tra le sue asserzioni e i dati empirici a cui essa si applica. Una tale razionalità deve restare aperta a ciò che la contesta, altrimenti si rinchiude in dottrina e diviene razionalizzazione. D’altra parte vi è una razionalità critica che si esercita in
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particolar modo nel rivelare gli errori e denunciare gli orrori procedurali innescati dal sistema delle credenze, delle dottrine e delle teorie considerate infallibili, collaudate e affidabili per ogni tipo di situazione. I filosofi e gli artisti manifestano sempre una certa insofferenza per i sistemi “chiusi”, colpevoli di limitare la creatività la libertà individuale, di inibire le potenzialità critiche e spirituali dell’individuo e di discriminare invece di integrare. Infatti quando la razionalità si perverte in razionalizzazione finalizzata agli scopi e agli obblighi sociali, magari conseguita tramite l’indottrinamento, la demagogia e la falsificazione delle immagini, allora emerge l’Arte della Rubedo di confutare le proposizioni dogmatiche, ideologiche, politiche, filosofiche, culturali, sociali e sessuali che producono separazione, segregazione, differenziazione e ogni forma di discriminazione. La Rubedo è una operazione di “arrossamento” della parte del cervello deputata al vaglio critico e cognitivo delle immagini, affinchè possa emerge una visione realistica della condizione umana, così come descritto da Brueghel nel “Paese di Cuccagna” La razionalizzazione delle risorse umane, naturali e ambientali si crede razionale perchè costituisce un sistema logico perfetto, fondato sulla massima convenienza utilitaristica, e quindi sulla semplice deduzione, induzione e sintesi di ciò che è utile e proficuo per il singolo e la collettività. Questo modo di percepire la realtà si fonda su basi mutilate o false, e si chiude alla contestazione degli argomenti e alla verifica empirica. La razionalizzazione è chiusa, la razionalità è aperta. La razionalizzazione attinge alle stesse fonti della razionalità, ma costituisce una delle più potenti fonti di errore e illusione, di guerra e di distruzione, di decadenza e di costrizione. Il processo di “arrossamento” delle facoltà critiche fa aprire gli occhi sui pericoli connessi all’esercizio perverso della razionalizzazione di ispirazione meccanicista e determinista. La razionalità aperta all’integrazione dialoga con il reale che le resiste. Fa incessantemente la spola fra istanza logica e istanza empirica; fra possibilità reale e possibilità immaginata; è il frutto del dibattito argomentato delle idee, e non già la proprietà di un sistema di idee. Un razionalismo che ignora i contenuti dell’Arte ispirata dalla memoria storica e sociale, ignora anche gli esseri, la soggettività, l’affettività, la vita e produce i dogmi, i principi assoluti, le regole del mercato e del profitto che escludono il confronto con il pensiero critico “femminile” capace invece di osservare i suoi devastanti effetti.
R.1 Bob Money
R.2 Alfonso Di Bacco
1.
VAGLIO CRITICO Razionalità aperta: - alle civiltà del passato R.1 Egypthian Cosmogony La percezione razionale della realtà è fondata sulla memoria storica-sociale del passato. La consapevolezza dell’esistenza delle diverse cosmogonie, e punti di vista culturali e religiosi, riduce le certezze che filtrano dalla razionalizzazione. - alla saggezza della tradizione R.2. Dopo La Tempesta I processi di razionalizzazione estirpano il passato e con esso la tradizione religiosa, la saggezza popolare e la razionalità naturale ispirata dal flusso vitale e dalla differenziazione dei ruoli sessuali. Sullo scoglio si erge la razionalità femminile, biologicamente aperta al tempo ciclico ripetitivo e all’inconscio ereditario
EGIPTHIAN COSMOGONY 2009 basso rilievo su tela 100x70 cm
R.4 Antonio D’Abramo
R.3 Andy Kacziba
- alla coscienza femminile. R.3 Non Ti Muovere La razionalità femminile è soggetta a crisi che coinvolgono il valore personale e il significato degli affetti. “Le donne sono più vulnerabili perchè la loro autostima dipende dalle proprie relazioni”; ma da questa “debolezza” emerge una coscienza critica antagonista costretta all’immobilità e all’emarginazione culturale. - alla creatività corporea. R.4 La settima Dal lavoro manuale, artigianale, emerge una razionalità corporea comune a tutti gli individui (Adamo). La settima arte nasce dalla curiosità di andare oltre la percezione comune per “disobbedire” (Eva) e indagare gli aspetti archetipici della creazione (la mela)
R.5 Germana Lorenzo
R.6 Marilù Manzini
- alla saggezza intuitiva dell’oriente R.5 Esodo 6. Così come il pensiero forte “maschile” deve integrare quello “debole” femminile, il pensiero occidentale si rivolge a oriente per apprendere l’arte della sintesi simbolica, per cui anche l’immagine di un fiore riconduce a un percorso di conoscenza. - alla percezione estetica delle donne R6. Una famiglia per bene La famiglia è il nucleo in cui si formano i valori razionali dell’individuo. Dagli anni ‘50, il design, la moda, gli stili di vita e le “cucine” raccontano le fasi di splendore e decadenza della percezione collettiva infatuata dalla pubblicità mediatica.
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IOSIS
Giorgione: “I tre filosofi”
L
ARTE DELLO IOSIS
LA PERCEZIONE INTUITIVA
a percezione intuitiva della verità procede secondo modalità prevalentemente inconsce. Di solito si perviene a riconoscere gli elementi salienti di una esperienza, situazione o argomento, tramite un gioco combinatorio di parole e immagini, figure e proposizioni, assunti filosofici e sintesi simboliche, come se l’utilizzo di strumenti di rappresentazione e interpretazione tra loro contrapposti e antitetici, dischiudesse a nuove possibilità di comprensione. In questo gioco fatto di luci e di ombre, di apertura alla dialettica degli opposti e di elaborazione di alcuni parametri percettivi rispetto ad altri, come ad esempio quello della velocità nella semantica futurista, l’individuo deve tener conto dell’errore intellettuale generato dalla tentazione di interpretare la realtà secondo parametri già stabiliti, codificati e preformati dalla scienza, dall’arte e dalla cultura di riferimento, o dal pregiudizio. Il processo di “ingiallimento” dell’elaborazione intuitiva (Iosis) è di fatto una presa di coscienza dei limiti strutturali del linguaggio idoneo ad esprimere sentimenti non comuni. L’Arte delle Avanguardie può essere interpretata in questo senso come una “tragica” esperienza delle carenze del linguaggio razionale in rapporto a un processo intuitivo inflazionato dalla scoperta dell’inconscio e dalla scoperta di poter attingere alla memoria archetipale in grado di introdurre a forme arcaiche, pre-razionali e di forte suggestione emotiva. La conoscenza che si dispiega sotto forma di concetti, di idee, di teorie è il frutto di una traduzione/ricostruzione attraverso i mezzi del linguaggio e del pensiero, e perciò sperimenta il rischio dell’eccessiva costruzione formale, dell’abbaglio, della sovrapposizione di interpretazioni che conducono infine a una miriadi di rivoli, di correnti, di scuole che a volte straripano in fiumi di significato difficili da contenere, razionalizzare e interpretare. L’interpretazione intuitiva introduce il rischio dell’errore all’interno della soggettività di chi conosce, della sua visione del mondo, dei suoi principi di conoscenza. Da qui derivano gli innumerevoli errori concettuali e intellettuali, che sopravvengono malgrado i nostri controlli razionali. La proiezione dei nostri desideri o delle nostre paure, le perturbazioni mentali provocate dalle nostre emozioni inconsce moltiplicano a dismisura i rischi di rimanere intrappolati nella
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suggestione di linguaggi specialistici, poetici ed esoterici che ci offrono l’illusione della verità, ma ci mantengono distanti dalla ricerca e dalla scoperta personale. L’intuizione è un delicato meccanismo di conoscenza strettamente connesso alla coscienza dell’Io, alla storia personale, la qualità delle esperienze vissute, agli studi e alle specializzazioni conseguite che influenzano il linguaggio e le forme del pensiero. Anche lo status sociale, l’identità sessuale e l’influsso dell’inconscio ereditario (famigliare, sociale e religioso), contribuiscono a modificare la capacità di andare oltre gli schemi di comprensione razionale dei fenomeni e degli eventi in cui siamo coinvolti. Jung descrive l’intuizione come un fenomeno prevalentemente inconscio, un modo di guardare dentro le cose, in attesa che emerga una immagine, una parola significativa, un barlume di luce. Ma affinchè ciò avvenga occorre prendere distacco dalla propria storia personale e cultura di nascita, anche a costo di fare “tabula rasa” degli schemi interpretativi collaudati. Gli artisti rinascimentali concepivano la fase dello Iosis come una operazione di volontaria astensione a farsi influenzare dai libri, dal sapere egemone e dai processi di razionalizzazione dell’intuizione che conducono a moltiplicare i linguaggi della Babele che si erge come una “torre” alla fine di ogni percorso di elaborazione creativa del sapere corporeo. Esiste un sapere parziale che deve sempre fare i conti con l’ignoto, l’inconscio e il mistero della coscienza. La verità rimane un miraggio di ombre per chi permane nella caverna delle menzogne che ripetono all’infinito, pur con aggettivi diversi, una descrizione del mondo che sembra insensibile alle intuizioni dell’anima. Esiste in ogni uomo la tentazione di mentire a se stessi e al prossimo, al fine di fomentare sogni, illusioni o false speranze. L’egocentrismo, il bisogno di autogiustificazione, la tendenze a proiettare sugli altri le cause del male fanno sì che ognuno menta a se stesso senza individuare la menzogna della quale è autore. Lo Iosis delle strutture mentali intuitive individua invece un processo di distacco dell’analisi sensoriale (iosis sensoriale), dal vaglio critico (iosis razionale), dall’elaborazione intuitiva (iosis intuitivo) e dalle conoscenza di sintesi (iosis cognitivo) che procede secondo gli schemi predefiniti dalla contemporaneità che cavalca l‘emozione del momento, ma non l’onda del tempo ciclico che costellò di simboli l’immaginazione razionale di Giorgione e, nel novecento, quella di W. Benjamin.
I.1 Barbara Bertoncelli
I.2 Saul Costa
ELABORAZIONE
Presa di coscienza: - della realtà psichica I.1 Inconscio La percezione intuitiva della verità emerge dalla presa di coscienza della realtà psichica dominata dall’Ombra e celata dalla maschera della Persona.
I.4 Maria Cristina Pacelli
- del rapporto energia/intuizione I.3 Frammenti nello spazio La dilatazione dello spazio-tempo dipende dalla “massa” di energia psichica che accumuliamo in ogni singolo istante di tempo. L’intelletto intuitivo annoda frammenti dispersi, rimossi e dimenticati nello spazio mentale della memoria e li ricompone secondo schemi apparentemente casuali.
I.3 Remo Lana
I.5 Loreta Teodorova
- dei limiti del linguaggio I.2. Montagna sacra Ogni architettura teorica, per quanto sofisticata e suffragata da prove scientifiche, sperimenta nel tempo un processo di cedimento dei suoi fondamenti. La montagna di “detriti” intellettualistici è una esperienza tellurica provocato dall’irruzione del tempo ciclico, arcaico, sacro e mitologico nella coscienza razionale.
- della memoria biologica-culturale I.4 Memoria del corpo 2 Il memoria corporea si dibatte tra l’archetipo spirituale di costituire il sostrato dell’anima, e quello di divenire un “tronco portato dal mare, consumato, contorto e incrostato di sale”, soggetto alle intemperie del tempo e alla caducità delle facoltà psicofisiche.
I.6 Andrea Marco Panarelli
- della polverizzazione della verità I.5 Cacciatori di stelle cadenti La speranza di stabilire un legame di senso tra le vicende umane e i miti, i fenomeni evolutivi e i sogni, le vibrazioni di luce e l’intuizione dipende dall’intergrazione delle funzioni mentali maschili e femminili - della dicotomia cerebrale I.6 Senza titolo Ogni pensiero umano rimane avviluppato dentro schemi di autoespressione fortemente condizionati dall’umore (animus maschile) e dalle opinioni (anima femminile) . L’assenza di integrazione della polarità mentale controsessuale riduce l’elaborazione delle immagini e delle parole a un inutile sproloquio.
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ALBEDO
Tiziano: “Amor sacro e profano”
L
ARTE DELL’ALBEDO
LA PERCEZIONE COGNITIVA
a percezione cognitiva è una opera di “imbiancamento” della memoria in cui serbiamo il ricordo della esperienze e di tutto ciò che abbiano appreso durante la fase di formazione della coscienza razionale. La nostra memoria non è un deposito neutro, esente da manomissioni e o dall’errore. La memoria deve essere costantemente rigenerata dal richiamo altrimenti tende a degradarsi. Ma a ogni richiamo abbiamo la tendenza ad abbellirla o ad imbruttirla. la nostra mente tende inconsciamente a selezionare i ricordi vantaggiosi, utili, belli, proficui e a rimuovere, se non a cancellare, quelli sfavorevoli, penosi, difficili da accettare e metabolizzare. La mente tende a deformare i ricordi attraverso proiezioni, deformazioni, operazioni di “ripulitura” e durante stati confusionali causati dallo squilibrio psicosomatico. Ci sono talvolta falsi ricordi di eventi che siamo persuasi di aver vissuto, così come ricordi di eventi rimossi che siamo persuasi di non aver mai vissuto. In assenza di “manutenzione”, la memoria, considerata dai filosofi rinascimentali il “fondo dell’anima”, diventa una “vasca” di contenimento di ricordi, impressioni e ferite emotive che possono indurre all’errore pregiudizievole, oppure diventare il luogo dell’inconscio e del rimosso. Se durante il processo di trasmutazione della percezione nelle strutture sensoriali (nigredo), razionali (rubedo) e intuitive (iosis) si è appreso l’arte di avvertire le zone erronee, di riconoscere le passioni negative e discriminare l’influsso dei sentimenti conflittuali dagli schemi di reazione, comportamento e pensiero che inducono al diverbio, allo scontro e alla manipolazione, allora può emergere la percezione dell’inconscio cognitivo, al di là del bene e del male. “L’inconscio cognitivo - come scrive il prof. Gianfranco Ronconi nel suo libro “Il cervello e la mente” - è il pensiero prelogico e preverbale, l’infanzia del pensiero che si fa; una modalità di pensiero rilassato, di apprendimento implicito o per osmosi, di know-how, che agisce in sfere specifiche di competenza, che sfrutta la serendipità; è la sede in cui avviene un’incubazione, una ruminazione del materiale che diventerà poi pensiero cosciente razionale, e in cui sorgono l’illuminazione e la saggezza, in cui si pensa con il corpo, si sviluppa un senso dell’imminenza di un significato non ancora arrivato. Dall’inconscio cognitivo è possibile la nascita della sensibilità poetica, una conoscenza indiretta, trasversale, allusiva e simbolica.” Se si attua la “pulizia” periodica della memoria emotiva, tramite una continua operazione di sintesi analitica del vissuto emozionale, peculiare dei poeti, degli scrittori e degli artisti che attingono dall’Io autobiografico, allora la percezione coincide con
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l’albeggiare (albedo) di una sempre rinnovata consapevolezza di sè e del mondo. L’Arte dell’Albedo identifica un processo creativo inconscio in cui le immagini recepite non vengono, se non in piccola parte, alterate dai sensi, dal pensiero razionale o dall’intelletto intuitivo, per cui le strutture mentali cognitive si conformano unicamente con il “patrimonio” di conoscenze acquisite attraverso una quotidiana operazione di “setaccio” della memoria individuale e della memoria collettiva. Più ampia, profonda e ricca è la memoria visiva di ciò che oggi potremo definire “cultura dell’immagine”, più facile, rapida e feconda di idee sarà la traduzione della percezione di stimolazioni subliminali provenienti dal mondo esterno, o dall’inconscio psicodinamico legato ad eventi rimossi e “parcheggiati” nella memoria in attesa di essere compresi e assimilati. Questa duplice possibilità di trarre ispirazione dalla percezione “sacra” legata a fattori inconsci personali, spesso attivati da fenomeni di sincronicità di eventi tra loro simbolicamente affini, oppure dalla percezione “profana” di immagini recepite dall’ambiente in modalità subliminale, rappresenta l’essenza stessa dell’Albedo rinascimentale che culmina nell’opera di Tiziano “Amor sacro e profano”. Il dipinto sintetizza il significato stesso dell’Arte intesa come un processo di conoscenza automatica che non richiede, se non in minima parte, l’intervento della coscienza. Dal momento in cui il pensiero pre-logico, rappresentato dal putto, affonda le mani nella vasca dell’inconscio cognitivo, iniziano ad emergere “petali” di intuizione da cui deriva un apprendimento esplicito che, se ripetuto e controllato innumerevoli volte, dà luogo ad abilità motorie, progettuali, compositive ed estetiche che non richiedono uno studio prolungato, poichè le soluzioni, le invenzioni e la trasposizioni delle intuizioni in disegni, bozze, simboli e sintesi empiriche hanno un tempo di esecuzione rapidissimi, a volte automatici; di essi ci rendiamo conto solo analizzandoci introspettivamente. L’Arte dell’Albedo lascia libera l’immaginazione di “giocare” con le immagini e la miriadi di sensazioni, emozioni e sentimenti e ad esse associate. Da questo gioco ludico scaturisce il piacere di tradurre le intuizioni in simboli, i pensieri in metafore e i contenuti di conoscenza in opere che con il tempo faranno parte anch’esse di quell’inconscio cognitivo che rappresenta il patrimonio di valori intuitivi, creativi, cognitivi e spirituali su cui si fonda ancora oggi l’arte di vedere e conoscere.
A.1 Giovanni Tamagnone
A.2 Cristina Anna Adani
SINTESI Comprensione dell’esistenza: - di piani sovrapposti, indefiniti. A.1 B/N urban e rosa mediatico La comprensione dell’indefinita sovrapposizione delle immagini psichici sperimenta l’angoscia di un’interminabile ricerca di senso, in dimensioni che si chiudono e si aprono alla nostra percezione, lasciandoci i resti di relitti carichi di memorie evocative ma indecifrabili. - di fili invisibili che riconducano al Sè A.2 Penelope La vita è un processo cognitivo che impegna la mente creativa a tessere, come Penelepe, i fili della comprensione simbolica delle immagini in cui affiorano i temi dell’itinerario di trasformazione della coscienza razionale dell’Io (Ulisse) nella coscienza del Sè (Nessuno)
A.3 Michelangelo Magnus
A.5 Piotr Trojanowski
A.4 Giovanna Barozzi
A.6 Giovanni Greco
- di percorsi di conoscenza iniziatici A.3 La soglia L’intuizione che deriva dalla conoscenza dei simboli dischiude alla percezione cognitiva della verità. Il simbolo emerge dall’inconscio collettivo e illumina i “sette scalini” di iniziazione delle verità universali percepite “sulla soglia” dello spettro di luce invisibile. - della continuità di anima e natura A.4. Perla dei boschi La cultura mediterranea classica, che va dal mito greco ai recessi della antica religiosità propiziatoria, è fecondata dall’anima sensitiva, mediatrice con l’inconscio e del rapporto magico con la natura. La figura diventa primordiale, ancestrale, sintetizzata dalla meditazione filosofica in oggetto ritualistico. - dell’incarnazione della conoscenza A.5 Metamorphotos, Galata “Galata morente” è una icona antica della metamorfosi della percezione della realtà che procede attraverso prove, crisi, traumi, lotte, sconfitte. Ogni sofferenza lascia il segno di una conoscenza “incarnata” che lascia traccia, anche dopo la morte. - di significati ordinati e finiti A6. Catharsis oppierens La metafisica descrive l’anelito ad andare oltre l’apparenza fisica della realtà, al di là dell’esperienza dei sensi. Procede tramite la purificazione “vulcanica” da ogni contaminazione prodotta dall’ego sensoriale, razionale, intuitivo e cognitivo, disponendo gli elementi sulla scacchiera
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COSTITUZIONE PROLOCO
ASSOCIAZIONE VI.ARTE - Proloco cittadina CONVOCAZIONE ASSEMBLEA STRAORDINARIA PER APPROVAZIONE STATUTO VICENZA 28 OTTOBRE ORE 18,00 PRESSO VIART (INGRESSO) PALAZZO MONTE DI PIETA’, CONTRA’ DEL MONTE 13
ART.1. E’ costituita l’Associazione Pro Loco denominata ASSOCIAZIONE PROLOCO VI.ARTE acronimo di VICENZA Arte.Ricerca storica.Turismo.Enogastronomia Essa ha sede legale in Vicenza, Sede di Viart. L’associazione ha carattere volontario, non persegue fini di lucro e svolge compiti di utilità pubblica e sociale La Proloco VIARTE è una organizzazione apartitica. ART.2 Detta Associazione svolge la sua attività nel Comune di Vicenza FINALITA’ ART.3 a) Riunire in associazione tutti coloro che hanno interesse allo sviluppo culturale, artistico e turistico della località di giurisdizione; b) Svolgere fattiva opera per migliorare l’offerta turistica della località, proponendo alle Amministrazioni competenti l’organizzazione in rete dell’ informazione dei servizi offerti al visitatore e ai loro miglioramento, e promuovendo le iniziative atte a tutelare, valorizzare e far conoscere i valori storici, culturali, artistici e monumentali della città e della tradizione popolare. c) Promuovere e coordinare le iniziative (mostre, eventi, artistici, fiere, itinerari, ecc..) che servano a rendere più godibile, eterogenea e stimolante la vita sociale dei cittadini e il soggiorno dei turisti. d) Favorire e sostenere le iniziative delle istituzioni, o di altre associazioni, rivolte alla valorizzazione dei beni culturali, della cultura e dell’identità del territorio e i progetti di salvaguardia del patrimonio storico, delle tradizioni, dell’ambiente, dell’arredo e della sistemazione urbana e dei prodotti tipici del territorio. e) Favorire attraverso la partecipazione popolare il raggiungimento degli obiettivi sociali del turismo e della cultura vicentina. f) Sviluppare l’ospitalità e la propensione alla conoscenza della città attraverso l’offerta di un turismo consapevole, caratterizzato da qualità, cortesia e professionalità. g) Stimolare il miglioramento della infrastrutture e della ricettività alberghiera ed extra alberghiera attraverso un collegamento in rete finalizzato all’istituzione di un centro informazioni nel rispetto dell’art. 20, comma 3, lettera c) della L.R. 33/2002. PROGRAMMA 28 OTTOBRE ORE 18,00 - CONVOCAZIONE ASSEMBLEA STRAORDINARIA PER APPROVAZIONE STATUTO - ISCRIZIONE SOCI E PAGAMENTO QUOTA DI ISCRIZIONE E. 10,00 - CANDIDATURE PER LA NOMINA DI SETTE CONSIGLIERI - AGGIORNAMENTO PER ELEGGERE IL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE 29 - 30 OTTOBRE: DALLE 15,00 ALLE 19,00 ISCRIZIONE SOCI
“Vicenza e le Ville del Palladio nel Veneto” [definizione dell’Unesco) Rappresenta un capolavoro del genio creativo umano e mostra un importante scambio di valori, esprimendo eccezionalità negli sviluppi dell’architettura e delle tecnologie, dell’arte monumentale, urbanistica o paesaggistica. L’opera di Andrea Palladio, fondata su uno studio approfondito dell’architettura romana classica, ebbe un’influenza decisiva sull’evoluzione dell’architettura. Il suo lavoro ha ispirato uno stile architettonico caratteristico (lo stile palladiano) che si è successivamente diffuso in Europa e nell’America del Nord. Nel 1996 il riconoscimento dell’UNESCO è stato esteso fino a includere anche le Ville palladiane dell’intero territorio provinciale (altre sedici). Vicenza è quindi uno dei Siti con il maggior numero di monumenti protetti dall’Unesco (trentanove). La mission della proloco VI.ARTE è di far conoscere agli stessi cittadini e ai visitatori gli aspetti storici, sociali, politici, urbanistici e culturali che hanno contribuito a formare l’identità vicentina, promotrice del volontariato, dell’associazionismo, degli Alpini e delle associazioni proloco in tutta Italia.
MARA VALENTE INTERVISTA GLI ARTISTI DI A cura di Marina Zatta
Soqquadro
ANGELA SCAPPATICCI
Angela Scappaticci, Supernova
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a forza della materia che emerge prepotente dalle opere di Angela Scappaticci ci induce a scoprirla nella sua intimità. La Scappaticci, tedesca di nascita ma cresciuta ed attiva sul territorio romano, si forma studiando decorazione pittorica all’Istituto Statale d’Arte di Roma, ma come ogni artista che si rispetti è prendendo spunto dal mondo, ed in particolar modo dalla natura che fortifica la sua tecnica artistica che non è ben categorizzabile perché variabile ed in continua evoluzione.
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Il particolare utilizzo che fai dei materiali nelle tue opere mi riportano alla mente quelle di un grande protagonista del Novecento artistico italiano, Alberto Burri. Sbaglio o i suoi “Cretti” ti hanno in qualche modo ispirato? Sì e no. Diciamo che sin da bambina, prima ancora di avvicinarmi all’arte, ero affascinata dai “cretti” naturali della terra riarsa dal sole. Ricordo che cercavo di sollevare le piccole zolle senza romperle per vedere quanto erano profonde le crepe
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e, così facendo, il più delle volte trovavo dei piccoli germogli che mi davano l’idea della forza della natura, che nasce e si rigenera nonostante l’aridità della superficie. Tuttora, quando vedo dei cretti naturali, non posso fare a meno di fermarmi ad ammirarli. Vedere, successivamente, le opere di Alberto Burri è stato determinante per la mia ricerca espressiva, nella quale il cretto rappresenta materia viva e vitale dalla quale affiorano altre energie. Le tue opere sembrano essere a metà tra la pittura e la scultura; come le realizzi? In effetti, si tratta di “sculture da parete” collegate alla poetica dell’arte spaziale. Le realizzo in orizzontale impastando un composto di mia produzione a base di terre e ossidi che tende a screpolarsi con l’asciugatura. Il procedimento è complesso e delicato: per ottenere crepe più o meno larghe e di diverso spessore si deve avere una conoscenza profonda delle reazioni dell’impasto alle variabili atmosferiche e igronomiche. Si tratta di trovare il giusto equilibrio tra i quattro elementi: la terra deve essere sottoposta ad aria, acqua e calore in proporzioni variabili,che ottengo con l’utilizzo di ventilatori, umidificatori, deumidificatori, riscaldamenti, fiamme ossidriche. Ogni minima variazione produce effetti differenti; per questo motivo, il lavoro va controllato al massimo ogni 4-5 ore, anche di notte e per più giorni, fino all’ottenimento delle forme desiderate. Prima, durante o dopo la fase di asciugatura inserisco altri impasti o altri materiali, spesso particolarmente ricercati e costosi come gemme, minerali, frammenti d’oro o argento. Una serie dei tuoi lavori è dedicata all’Astrofisica, come mai questa scelta? E’ un’altra delle tue passioni? Indubbiamente l’universo mi affascina; a volte trascorro ore a guardare il cielo, perdendomi tanto nei tramonti quanto nelle nubi, tanto nelle fasi lunari quanto nelle costellazioni. Avendo un rapporto molto “fisico” con la materia, il non poter toccare gli astri così come posso toccare la terra, mi porta ad uno stato di assoluta contemplazione, così cerco di immaginarli e ricrearli. Dopo svariate ricerche, sono riuscita a venire in possesso di una particolare gemma di origine meteoritica, la moissanite, che si presenta di colore nero con infinite sfumature di altri colori, e possiede una brillantezza unica, addirittura superiore a quella del diamante; spesso ne utilizzo dei frammenti per rendere più luminose e realistiche le mie rappresentazioni degli astri. L’uso di materiali, a volte anche extra-pittorici e di colori particolari, spesso monocromi, costituiscono una simbologia molto particolare. Le loro combinazioni sembrano vogliano trasmettere delle emozioni ben definite. Che ruolo giocano le quotidiane sensazioni nella tua creazione artistica? Sono fondamentali. Le sensazioni e le emozioni, così come gli astri nel cielo, esistono ma non si possono toccare; la differenza consiste nel fatto che le sensazioni non si possono neanche
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vedere, ma solo vivere interiormente. Tutti noi proviamo continuamente delle sensazioni, qualsiasi cosa stiamo facendo, ma il più delle volte non ce ne accorgiamo, non le riconosciamo, non le classifichiamo, non le elaboriamo, per non restarne travolti e spossati. Le viviamo passivamente come dati di fatto che appartengono al nostro moderno vivere quotidiano, ma questo atteggiamento naturale di autodifesa può portarci a perdere anche la capacità di emozionarci davanti alla spettacolarità della natura. Per questo motivo cerco sempre di identificare ed interiorizzare le diverse emozioni che provo quotidianamente, rielaborandole nel tempo come immagini visive, per poi rilasciarle in una sorta di liberazione, trasferendole dal mio intimo alla tela. Sono venuta a conoscenza dell’arte di Angela Scappaticci, collaborando con l’Associazione Soqquadro e con la curatrice Marina Zatta. E’ proprio quest’ultima la fonte più vicina alla quale possiamo rivolgere qualche quesito sulle opere della Scappaticci, dato che loro si conoscono da anni. Nonostante l’informalità delle opere di Angela, i suoi lavori sono molto apprezzati nel contesto artistico romano e non solo. Quale valore ritieni che possa esser loro attribuito? Angela ha fatto un ottimo percorso sia come artista, perché il suo lavoro nel tempo ha raggiunto una qualità espressiva e tecnica altissima, che come promotrice di sé stessa avendo partecipato a moltissimi eventi di spessore culturale. Le ultime opere che ha esposto oscillavano tra i 1.500 e i 7.000 euro e va sottolineato che i suoi lavori hanno ormai estimatori e collezionisti e questi valori sono dati da vendite effettive. In che occasioni hai collaborato con Angela Scappaticci ed avete progetti futuri di collaborazione? Elencare tutti gli eventi di Soqquadro a cui Angela ha partecipato sarebbe lunghissimo, posso dire che con noi ha realizzato una personale alla galleria Vista nel 2009, ha esposto una grande installazione presso il Palazzo Orsini di Bomarzo la primavera scorsa e in passato è stata da me coinvolta in varie esperienze espositive pubbliche. In autunno, dal 23 settembre, sarà presente con una grande personale nei prestigiosi locali del Voy Reataurant di via Flaminia 496C a cura dell’associazione Inter Team Club che durerà fino a gennaio 2012 e quasi contemporaneamente i suoi lavori saranno presenti alla fiera d’arte di Scandiano dal 23 al 25 settembre nei quattro stand che allestiremo come Soqquadro. Ma le esperienze espositive di Angela Scappaticci della fine del 2011 e del 2012 non si fermeranno certamente qui visto che Angela è una delle artiste più vivaci del panorama romano.
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Soqquadro
INTERVISTA
di Mara Valente
RAMON TRINCA Ramon Trinca, Gli specchi sono abomimevoli, raddoppiano le assenze il soggetto del suo studio gli ha procurato. Ramon, è difficile trovare oggi un giovane artista che dedica tanta attenzione al ritratto, cos’è che ti induce a concentrarti su questa tecnica artistica e perchè? La mia attenzione per il ritratto nasce da una semplice sensazione: che dentro un volto c’è ”l’essere”, il contenuto, il significato. Al di fuori c’è tutto il resto, il contenente, il significante. Ho notato che tutte o quasi le tue opere hanno come titoli versi di tue poesie...come spiegheresti il rapporto arte/poesia? E’ l’arte che genera i tuoi pensieri poetici o viceversa? Il rapporto tra arte e poesia è indiscernibile e vi congiungerei anche la musica. Una sorta di trinità. Non ho mai la compiuta consapevolezza quale tra queste sia la genesi dell’altra. Interiorizzando la realtà divento sordo mentre ascolto, muto mentre scrivo, cieco mentre dipingo. Per questa ragione ritengo Omero il più grande pittore, Leopardi il più grande musicista, Chopin il più grande poeta. Un artista, per definirsi tale, non deve limitarsi al solo utilizzo, pur amplificato, del mezzo dei suoi sensi, occhio-mano-udito. L’artista deve diventare i suoi sensi, deve essere occhio, mano, udito. Presentare un opera con un titolo poetico e un appendice musicale è il mio tentativo onirico di ricomporre questa trinità. L’artista diventa santo e la realtà si desacralizza.
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itratto e/è poesia. Così mi piace definire l’arte di Ramon Trinca, “giovane pluri-quindicenne, artista per indefinizione”, come vuole suggerire lui, “nato pur non ricordando di essere nato”. La pittura e la poesia sono due costanti che viaggiano parallelamente nella sua formazione artistica. La sensazione che si ha nell’osservare i suoi lavori è di trovarsi di fronte ad un’opera di Francis Bacon. E’ solo una mia impressione, o davvero l’arte di Francis Bacon ti ispira in qualche modo? E’ verosimile. Bacon, come Modigliani, è da considerarsi tra i più grandi interpreti dell’essere nel volto. I risultati che ha ottenuto sono irripetibili. Tuttavia vorrei precisare, azzardando forse, che per tutti coloro che hanno rivolto la propria produzione artistica concentrandosi sul senso del volto in un ritratto, più che sul gusto di un volto in un ritratto, considererei Bacon un predecessore, un profeta illuminato dalla profonda oscurità che
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Se dovessi descrivere il tuo modo di fare arte con un verso poetico, quale sarebbe? “Disse: credo nella poesia, nell’amore, nella morte,/ perciò credo nell’immortalità. Scrivo un verso,/ scrivo il mondo; esisto; esiste il mondo.” di Ghiannis Ritsos. Perché, citandomi, l’arte è tutta un disagio che intercede il dolore attraverso un passaparola. Per approfondire l’arte di Ramon Trinca possiamo far riferimento alla Direttrice Artistica di Soqquadro che ha avuto modo di lavorare con il nostro artista. Avete collaborato molte volte? Che valore artistico pensi che abbiano i lavori di Ramon? La collaborazione con Ramon Trinca è iniziata due anni fa con una mostra dedicata alle problematiche legate al razzismo ed è proseguita con diverse incursioni in altri eventi espositivi di Soqquadro. Il valore delle opere di Ramon non è molto alto, ma dobbiamo tener presente che in genere i suoi lavori hanno misure piccole e medie e il costo è quindi proporzionato variando dai 700 ai 1.500 euro.
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INTERVISTA di Mara Valente
NORBERTO TEDESCO Norberto Tedesco, Senza Titolo davvero molta fede? Ho una forte fede, ma non quella delle “chiese” della confessione lava tutto con tre ave Maria, trovo molto ipocrita il poco impegno del cristiano “comune” che con due processioni estive all’anno e la messa di Natale crede di avere il posto in Paradiso. Il mio è un discorso aperto con Dio in modo diretto anche attraverso le letture dei libri “sacri” ed “apocrifi” dove si magnifica il messaggio di Dio, che poi evidentemente traspare nelle immagini che realizzo, a volte voluto altre no.
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rtista attivo sul territorio nazionale e internazionale, Norberto Tedesco si cimenta in tecniche diverse, dal cartone e gessetti, alla Computer Graphics alla scultura. Quale è quella che la rappresenta meglio al momento e perché? Oltre alle tecniche che lei cita, uso l’olio su tavola o meglio multistrato e la tempera, “olio” i suoi tempi lenti danno modo di essere più accurati nei dettagli, “tempere” danno la possibilità di usare tecniche miste e di essere rapidi nell’esecuzione, poi una sorta di evoluzione della Computer Graphics è il collage decollage che più che rappresentarmi meglio, mi permette ancor più di essere immediato nell’elaborazione dell’immagine e della storia che voglio rappresentare. Visionando le sue opere ho avuto il sentore di una forte religiosità. La mia è stata soltanto un’impressione o ha
Leggendo la sua biografia artistica mi ha interessato particolarmente il progetto “Manifesto di meditazione”. In poche righe mi spiegherebbe i contenuti e l’intento? Il “Manifesto di meditazione” è una sorta di riassunto in “immagine” di avvenimenti di cronaca e non dove in sintesi illustro un “argomento” a cui voglio dare risalto, nasce dalla brutta sensazione lasciatami da un’immagine sui giornali in cui un linciaggio veniva ripreso da tutti col telefonino da quest’immagine nasce il primo “manifesto” in cui c’è il testo; In assenza della luce prevalgono le tenebre. L’ intento è quello di portare la gente a “Meditare” su alcune assurdità che vestite di quotidianità hanno perso per cattiva abitudine la loro vera “immagine”. Se per tutti è normale vedere una dodicenne seminuda al concorso di bellezza con la madre che la incita, per me non lo è, e nelle 50 copie in cui li stampo voglio dare questo mio messaggio in immagini. Per approfondire le tematiche legate al lavoro di Norberto Tedesco chiediamo a Marina Zatta: “Cosa ti colpisce delle sue opere e quale valore artistico attribuiresti loro?” Ritengo che sul piano simbolico lo stile narrativo del lavoro di Norberto sia molto poetico; si avverte nelle sue opere il desiderio di stimolare nello spettatore una riflessione profonda del senso della Vita e dell’Uomo e della necessità di rapportarci tra noi e con ciò che ci circonda superando gli egoismi e le superficialità. Il valore economico dei suoi lavori non è facile da definire perché le tecniche utilizzate sono molte e estremamente diverse tra loro, dalla computer grafica all’olio. Semplificando possiamo dare un valore ai suoi lavori variabile tra gli 800 e i 2.000 euro.
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INTERVISTA
di Mara Valente
JESSICA SIEFF
Soqquadro
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ur se di giovane età, la carriera artistica di Jessica Sieff sembra quella di un’artista super affermata. Facente parte anche lei della Scuderia Soqquadro, è operante su tutto il territorio italiano ed ha in programma la partecipazione al Premio Internazionale Tokio e alla Fiera di Scandiano (Reggio Emilia). Le linee e le anatomie perfette lasciano intuire una solida formazione artistica. Da dove nasce la tua passione per l’arte? Sicuramente l’influenza di mio padre arredatore, appassionato di fotografia e pittore nel cuore ha inciso sulla mia formazione, ma non esiste un momento specifico dove ho scoperto la mia passione. Diciamo che nella mia vita ci sono stati una serie di eventi che amo definire “apparentemente casuali” che passo dopo passo hanno incrementato la mia voglia di fare arte. La tua è una pittura pulita, figurativa e nonostante la tua giovane età “matura”. Trai ispirazione da qualche grande maestro del passato? Michelangelo e Leonardo mi hanno affascinato durante i miei studi, ma altri in seguito hanno rapito la mia attenzione. Infatti ho “rubato” i forti contrasti di luci e ombre da Caravaggio, la composizione e la grazia dalle opere scultoree e architettoniche di Bernini e ammiro molto il cromatismo e la gestualità dell’italiano Boldini. In una frase che ho letto sul tuo sito hai dichiarato che <<le tue tele parlano di te>>. Ci chiariresti meglio questa affermazione?
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Jessica Sieff, Sguardo con occhiali blu È molto difficile spiegarlo per me perché non è una cosa voluta. Semplicemente scelgo istintivamente il soggetto da dipingere e solo quando l’opera è conclusa mi rendo conto che rappresenta una parte del mio percorso, un desiderio che nel momento della creazione mi ciondolava in testa, un sentimento racchiuso nel cuore. Le opere mi rubano una piccola parte di vita ed, essendo io in continua ricerca e maturazione, non possono seguire uno stile totalmente definito, ma rappresentano i miei continui cambiamenti. La perfezione dei lavori di Jessica Sieff fanno pensare ad un’artista che ha alle sue spalle una carriera lunghissima, e invece ha non appena 25 anni. Chiediamo a Marina Zatta: Come consideri il giovane talento della Sieff e quale valore artistico assegneresti alle sue opere? La gioventù nell’arte non è mai stata sinonimo di pressapochismo, basti pensare alla perfezione naturale di Giotto fin da giovanissimo. Jessica ha una grande capacità tecnica, ma i suoi lavori non possono essere definiti solo “talentuosi” perché con le sue capacità iperrealiste la Sieff sceglie con accuratezza i temi delle sue opere tratte sempre dal quotidiano che viene così messo in evidenza come sotto un’enorme lente d’ingrandimento. Per la quotazione bisogna tener presente che la tecnica utilizzata dall’artista è principalmente l’olio su tela e quindi, benché Jessica sia ancora giovane, i suoi lavori debbono essere valutati in cifre che variano dal 400 ai 2.000 euro a seconda delle dimensioni.
ARABA
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iplomatasi all’Accademia di Belle Arti di Venezia Araba è docente di discipline artistiche e storia dell’arte, si interessa all’arte in ogni sua forma, interpreta la pittura come momento di riflessione sulla vita, l’arte della danza come espressione di sé ed il viaggio come conoscenza del mondo.
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di Mara Valente
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Araba, uno pseudonimo che raccoglie in sé molti segreti. Perché questa scelta e cosa l’ha mossa a questa passione nei confronti del Medio Oriente? Ho scelto questo pseudonimo perché mi identifica, anche se le mie origini non sono arabe una parte di me si riconosce in una cultura così diversa dalla nostra. Il mondo arabo racchiude in sé un decorativismo che utilizza il colore e la forma al massimo delle loro possibilità, in un contesto che non trascura nulla: dalla musica alla scenografia dei paesaggi esotici, dai profumi speziati alle danze popolari che esprimono la sensualità dell’essere donna. Il mio percorso artistico però, spazia tra i 5 continenti in quanto è in continua evoluzione e non pone limiti, barriere o confini al diverso. Arte su vetro. Come mai la scelta ricorrente di questo materiale? E’ avvenuto in modo naturale, le scelte istintive non andrebbero mai discusse e neppure razionalizzate, posso dire che il vetro è un materiale fragile come l’anima; il mio percorso artistico è iniziato in un momento particolare della mia vita. L’arte mi ha offerto l’occasione di rinascere, per questo ancora oggi le mie opere sono pezzi di cuore dalle quali faccio molta fatica a separarmi. Nei suoi lavori compaiono spesso animali. Mi può spiegare questo collegamento uomo-animale? Credo che l’uomo si sia dimenticato del proprio istinto e vuole sforzarsi poco per raggiungere i propri obbiettivi. Gli animali invece puntano sulle proprie risorse e vivono secondo le leggi della natura. Non sono convinta che la nostra indipendenza intellettuale sia sempre proficua, credo che le potenzialità umane possano andare oltre la tecnologia se solo l’uomo ritornasse ad attingere dalle proprie risorse. L’atto sessuale è forse l’unico istinto rimasto, che ancora ci avvicina al mondo animale e proprio per questo, nella mia produzione di opere della serie: “Karma” richiamo l’attenzione verso il Kamasutra enfatizzandolo graficamente: la pelle diventa pelliccia ed i corpi
Araba, Karma 3 si fondono, escludendo ogni forma di ragione, nella più completa e contraddittoria pace dei sensi. La futura occasione per poter ammirare i lavori di Araba sarà ArtePadova 2011: la XXIIº edizione dell’ormai storica Mostra Mercato dedicata all’Arte Moderna e Contemporanea che si inaugurerà il 10 novembre. Marina, tu che hai avuto modo di approfondire la conoscenza dell’arte di Araba, che valore attribuiresti ai suoi lavori? I lavori di Araba sono molto particolari, l’utilizzo del vetro e di materiali atipici che l’artista usa per esprimersi danno alle sue opere una narrazione strettamente personale che affascina lo spettatore e sono opere complesse da realizzare: perciò hanno una quotazione che varia dai 1.000 ai 5.000 euro.
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SAFAC, GARANZIA DI QUALITA’. Inaugurato di recente uno splendido negozio di gelateria, pasticceria e cioccolateria a Lonigo, il DULCIS, in Via Garibaldi ,13 La Safac di Alte di Montecchio Maggiore, è un azienda che opera da anni nel settore delle attrezzature per gelateria, pasticceria e ristorazione, dimostrandosi particolarmente attiva in queste ultime stagioni caratterizzate da una forte congiuntura economica. Il segreto di questo successo, va cercato nel continuo approfondimento da parte di Safac della qualità del prodotto. E’ impossibile infatti, ottenere un gelato davvero buono partendo da un’unica base per tutti i gusti e cambiando il sapore, aggiungendo semplicemente una piccola quantità di frutta, di aromi o altro, alla Safac, sono convinti, che per realizzare un gelato artigianale di alta qualità, occorre lavorare ogni gusto in modo diverso. Per fare ciò, il gelatiere ha a disposizione una macchina adeguata che risponde al nome di Trittico Bravo Executive, in grado di pastorizzare e mantecare ricetta su ricetta e che, oltre a creare un gelato di alta qualità, permette di produrre anche monoporzioni, semifreddi, granita alla siciliana, creme, cioccolatini e altro ancora. Safac, progetta e realizza l’intero laboratorio, consigliando al gelatiere le attrezzature più idonee ad operare con velocità, precisione e qualità. L’ultimo esempio, è rappresentato dal Dulcis, una gelateria “fresca e giovane” nel vero senso della parola, da poco inaugurata a Lonigo, vivace cittadina del basso vicentino. Gestita da Costantin Andrea e dalle sorelle Cacciavillani Michela e Annachiara, il Dulcis, è un locale che si caratterizza soprattutto per i prodotti assolutamente e rigorosamente artigianali, fatti cioè con prodotti naturali al 100%, senza l’aggiunta di semilavorati. “La nostra è una gestione famigliare”, ci dice il giovane titolare Andrea Costantin, ma al cliente, vogliamo dare un gelato del tutto artigianale, fatto con il latte certificato che proviene sempre dalla solita stalla del sig. Giandomenico Cestonaro di Vancimuglio, proprietario di oltre 300 vacche capaci di dare latte di altissima qualità. “I nostri gusti (una ventina), sono un pò fuori dal comune, tipo gelato al “Prosecco”, “al mandorlato”, o alla “Ricotta Miele e noci”, oppure il “Gusto del Frate”, o “La crema dei golosi”, o ancora “Il Gusto Dulcis” (...un segreto...) e tanti altri, e tutti, bilanciati personalmente gusto per gusto.. Inoltre, proponiamo sorbetti di vera frutta e torte preparate alla casalinga da Michela e Annachiara.” Tutto questo è possibile anche grazie ai corsi della Safac e dal maestro Antonio Mezzalira che ci assiste nella nostra attività. Proprio su quest’ultimo aspetto vuole puntare la Safac: i corsi gratuiti di gelateria e pasticceria, ai quali, ogni anno, partecipano numerosi professionisti, anche per un utile aggiornamento. Il prossimo corso di gelateria, si terrà dal 10 al 12 ottobre compreso e verrà condotto dal maestro Pino Scaringella. Per informazione, chiamare lo 0444/696846.
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LETTERE POESIE RECENSIONI
A cura di Gian Maria Verità
VINCENZO PAOLO MARIA DE FALCO deistica, che muove l’attesa e tenta di destare il lettore con un soffio mistico e misterioso. Leggere De Falco è addentrarsi in una catarsi infinita, il suo effluvio lavico, è una critica religiosa continua, con richiami all’adolescenza, alla preghiera, alla fede, ai vespri, fino ai tabernacoli. L’imprinting segnato in gioventù dal Cristianesimo è sostituito dalla ricerca della liberazione nel Buddha oppure nello Zen. La poesia diventa mezzo e fine per acquietare l’anima risentita. Vincenzo Paolo Maria De Falco, veneziano di Cappella di Scorzè, vicino a Noale, pubblica la sua opera prima: “Non Solo Porno”, con sottotitolo “Poesie dal cielo alla terra” a cura della Editoria Universitaria Venezia. La presentazione della raccolta di 174 pagine è di Gregorio Sampieri ed il volume è stato celebrato al Festival dell’Erotismo di Venezia 2010. L’autore si discosta dal luogo comune che il titolo preannuncia e traccia il filo conduttore della sua poetica che è la travolgente passione amorosa, amalgama ricerca di perfezione interiore e amore per la scrittura, scandita nella tensione quotidiana. L’impasto risulta eterogeneo, filtrato, lo stesso sesso viene poetato attraverso esperienze erotiche, le più diverse. “La perversione non esiste”; infatti, queste liriche vogliono attestare che la felicità e il dolore del genere umano sono un tutt’uno. E’ così che si legge nel flusso verbale dell’autore, dove la rabbia si mescola al giudizio sulla politica, invece aggettivi ricorrenti riportano di continuo al sangue, al Verbo, a Dio.
Le liriche mettono a nudo l’autore, ma un filo lo cattura e fa tornare indietro dall’ultima pagina dove ricorda la “ricerca di nasse dimenticate dal tempo” ( da -Erano tempi- ), dove comincia il lavoro a ritroso. La rete della nassa, richiama “quest’isola / questo Lido d’oggi/lido d’allora/di cui sei diventato memoria/impressa nella gente/in fotografie ingiallite/ d’un passato che riproponevi /per non dimenticare/ .. IN MEMORIA DI GIORGIO PECORARAI. “Terra umida” , “ a cui m’aggrappo / per non sprofondare / nelle mobili sabbie ../ riponevo in scatole di argilla/. De Falco rievoca gli uomini e i giorni con ritmi antichissimi dimenticati, la penisola del Cavallino, l’isola del Lido ed il litorale di Pellestrina fino all’Isola Ciossa. (Chioggia), dove l’arte della pesca è tramandata da padre in figlio, così illumina il verso alla luce della luna, delle stelle. GMV
POESIA Questa vita è fatta di troppe parole è in uno sguardo la risposta a mille domande che restano appese alla nebbia di ricordi rimpianti che impediscono all’iride una visione interiore incatenata al giogo delle forme rendendosi essa stessa oggetto e non mezzo d’introspezione si riconosce dio in un legno intagliato divinità scolpita dall’uomo dimenticando tra levigate schegge quell’eterno profilo che fa di ogni uomo Dio. Nell’avversità quel senso di distacco quella quiete nell’occhio del ciclone milita in un animo che più non chiede d’affermare una volontà partorita da insoddisfatti sogni è una dicotomia tra un animo immoto e una mente ingannevole perduta nel bianco e nel nero dimentica di quell’unità che fa del grigio un’invenzione.
L’opera è bipartita in :”Poesie premiate in vari concorsi nazionali ed internazionali” e in : “Ricerca formale sperimentale linguistica”. Evocativa ed emozionante l’ intuizione
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