Fegato Magazine #2

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n questo numero Fegato ha deciso di mettere una foto che ritrae una donna palestinese con in braccio il figlio. Entrambi sfollati, forse il marito è morto o disperso, non si sa. La madre col bambino nella Terra Santa appare come un’iconografia religiosa dei nostri tempi. In realtà si tratta di due sfollati in fuga da missili forniti ad Israele da buona parte di quel mondo che si autodefinisce civilizzato e che in queste notti di mondiali sta attaccando Gaza. Questa copertina è stata scelta per marcare il fatto che la rivista non tratta solo di design e belle cose. E’ atroce quello che sta succedendo in Medio Oriente e lo è ancora di più l’indifferenza dei media e della Europa “buona” che, come niente fosse, continua ad alimentare in silenzio il conflitto. Noi della redazione ci siamo sempre sentiti vicini al popolo palestinese per quello che sta subendo da anni e più che mai in queste ultime ore. La gravità della situazione non è lontanamente comparabile con quella del nostro Paese, ma in piccola scala anche lo Stato Italiano sta compiendo un sabotaggio; quello all’istruzione italiana e la cosa va avanti da più di venti anni. Giusto per farvi un idea, invece di investire fondi nell’istruzione, nella ricerca, in sedi più consone ai bisogni degli studenti, l’Italia sta per consegnare i primi due caccia addestratori M-346 alle forze armate d’Israele. Gli aerei, realizzati da Alenia Aermacchi (in provincia di Varese), atterreranno sulla base di Hatzerim già questa settimana. Solo per farvi capire che risorse che potrebbero essere investite nella sanità, nell’istruzione e nello sviluppo sostenibile per noi cittadini vanno ad esplodere sui tetti di civili innocenti per una causa assolutamente discutibile. La scelta di questa copertina non ha dunque solo lo scopo di sensibilizzare sulla situazione di Gaza ma di renderla anche un simbolo. La terra palestinese violata diviene come l’istruzione italiana; entrambe sono trascurate dall’informazione, o meglio, in tutti e due i casi vengono omessi particolari con il risultato che i fatti appaiono distorti e la loro vera natura falsata.

soldi e missili


SOMMARIO ISOTOPIA

Francesco Benedetti

L’ex studente ISIA ci ricorda come la nostra facoltà, da sempre, si è sempre battuta per una sede propria e degna.

NOI SIAMO RISORSA

Daniele Dominici

L’uscente rappresentante d’istitutoracconta il metodo formativo dell’ ISIA.

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L’EX MECCANO TESSILE

Livia Ballan e Veronica Sonoro

Le due studenti di architettura di Firenze ci propongono la loro tesi come opportunità per... p.8

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BIKE KITCHEN

Daniel Angelo Nicola Pantaleo

Lo studente del terzo corso andato ad Augsburg (DE) in Erasmus parla di un iniziativa molto interessante... p.12 Diretto da: Federico Falaschi Art director: Lucrezia Cortopassi Sito web: Cosimo Bellocci A cura di: Zoe Cinel Redazione Fegato: Via Alfani, 58 50121 Firenze IT www.fegatomagazine.com www.isiadesign.fi.it info@fegatomagazine.com Hanno collaborato: Daniel Angelo Nicola Pantaleo Daniele Dominici Francesco Benedetti Livia Ballan Veronica Sonoro Carolina Caverni Foto copertina: “Reuters” di Mohammed Salem


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L’atteggiamento di rifiuto è intrinseco alle convinzioni più radicate di Israele. Qui risiede, a livello più profondo, il concetto che questa terra è destinata solo agli ebrei. Il dato di fatto più evidente è il progetto di colonizzazione. Fin dalle sue origini, non c’è mai stata una più attendibile o più evidente prova inconfutabile delle reali intenzioni di Israele. - Gydeon Levi -

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ochi gettoni, detersivo, aria di pioggia, aspetto distratto dalle capriole del mio piumino. Accanto alla lavanderia c’è un piccolo bar con forme e colori post-modern vagamente Memphis. Il tiglio maturo mi eccita molto: una reminiscenza regressiva dell’approssimarsi delle vacanze estive precedute da impegnative sessioni d’esami. Quando ero studente, spesso, l’ombra dei tigli di Campo di Marte ospitava la mia irrequietudine. Pensieri veloci scambiati con i compagni di corso seguivano le pause, talvolta fino alla mensa dei ferrovieri rendendoci partecipi delle vicende sportive della città. Per raggiungerla dovevamo attraversare la piana dello Stadio e al Bar Marisa, di fronte all’Artemio Franchi, i tifosi viola, diventavano facilmente tecnici sportivi, somministrando con molto entusiasmo sentenze e rimedi per rinnovare fiducia alla squadra del cuore. Nel buio di una Firenze soffocata da un passato troppo ingombrante, l’ISIA degli anni novanta, condivideva uno spazio marginale all’interno dell’Istituto Nazionale dei Ciechi, insieme al Teatro 13, alule dell’ISEF e una fornita biblioteca di quartiere specializzata per circostanze in volumi per non vedenti. L’accesso allo spazio, sul retro del grande complesso realizzato fra il 1928 e il 1931 dall’ingegner Mario Malavolti, era allineato perfettamente alla filosofia selettiva dell’Istituto. Ricordo soprattutto l’ingresso come un vero percorso ad ostacoli fra barriere architettoniche e cognitive. Dopo il viale in salita scendendo due rampe di scale con gradini grigliati si raggiungeva l’ingresso, un’entrata di servizio utilizzata per l’approvvigionamento del refettorio. All’interno un lungo corridoio attraversava il piano seminterrato, interrotto da porte anti-fiamma e impianti a vista. Lo stretto corridoio, per una qualche forma di pudore non era segnalato, e solo pochi intraprendenti visitatori riuscivano talvolta a raggiungere il vertiginoso vano scale per compiere l’ascesa. Utilizzato, solo in casi del tutto speciali, l’ascensore di servizio era rigorosamente munito di chiave. Ricordo gli sguardi interrogativi dei neofiti in cerca di conferme, increduli ad ogni passo sull’attendibilità del percorso, come se rappresentasse una metafora del viatico formativo radicalmente sperimentale. La didattica era orientata, sotto la guida del Prof. Furlanis, più allo sviluppo della capacità di formulare domande sensate “piuttosto che” confezionare risposte a senso compiuto. In questo l’ISIA, bisogna ammetterlo, è stata una vera avanguardia in grado d’interpretare con largo anticipo quello che sarebbe stato di lì a poco il futuro sviluppo della nostra professione. Siamo cresciuti in un ambiente stimolante, capace di ribaltare la percezione dei problemi e riportarli alla giusta dimensione. Le frequenti occasioni di confronto con i non vedenti, toccava le nostre coscienze, così come il clima politico europeo, tormentato da violenti scontri bellici che sentivamo particolarmente vicini per la presenza di studenti provenienti da diversi dei paesi coinvolti nel conflitto. In quel periodo sognavo una sede in centro per vivere esperienze e scambi allargati ad altre facoltà. Vivevo le intense e prolifiche

Francesco Benedetti, ex studente ISIA di Firenze racconta la sua travagliata esperienza universitaria Un bilancio pesante: tre cambi di sede in otto anni e un destino che colpisce ancora l ISIA di Firenze con amara isotopia." Le frequenti occasioni di confronto con i non vedenti toccavano le nostre coscienze come il clima politico europeo

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e relazioni nell’assidua e impegnativa frequenza, un po’ come un’imposizione, simile a quella che le circostanze geografiche mi avevano imposto a Marradi. Firenze non era proprio come me l’ero immaginata, i fasti che l’avevano vista testimone dei movimenti d’avanguardia radicale e post-moderna, sembravano solo un ricordo di cui erano rimaste tracce evidenti. I movimenti contro-culturali sfioravano solo marginalmente la città con sporadiche incursioni “virali” da Bologna e Milano. Ricordo gli incontri con Francesca Alfano Miglietti, direttrice della rivista “Virus” e Franco Berardi (Bifo), portavoce di nuove commistioni fra le istanze della body art anni settanta e una nuova estetica cyberpunk. L’Istituto era giustamente sensibile a queste tematiche per le inevitabili e paradigmatiche ricadute sui prodotti. Tolte queste esperienze tardive rispetto al panorama internazionale, l’attività contemporanea era quasi esclusivamente delocalizzata fuori porta. Frequentavamo con una certa regolarità la programmazione del Teatro Studio a Scandicci e del Centro Luigi Pecci di Prato. Il contenitore più contemporaneo, a Firenze, era il Museo Marino Marini, uno spazio degnamente attribuito all’opera del grande maestro, ma insufficiente a soddisfare le nostre esigenze culturali. L’alto livello dei nostri docenti e in qualche occasione i dibattiti organizzati dall’Ateneo, in particolare dal Dipartimento di Architettura, riuscivano a sopperire in parte a queste carenze. La notizia di un imminente trasferimento, da compiere secondo logiche di noncuranza indifferenti a realtà politicamente marginali, in fondo non mi dispiacque. Nonostante il forte legame affettivo, la speranza di ottenere una sede nel cuore della città mi affascinava: vivevo questa possibilità come un respiro. Il mistero e le incertezze che aleggiavano sulle attività di negoziazione con le autorità, come spesso accade in queste situazioni, presero una svolta repentina. Senza lasciare spazio alle proteste, l’ISIA fu trasferita in una modesta palazzina poco distante dal complesso. Non ricordo molto del trasloco, se non i preparativi che avevano reso inagibili i laboratori durante il periodo estivo e la riapertura, al numero quindici di via Cocchi poco prima degli esami. La delusione di non aver ottenuto una sede di prestigio, di fronte all’Istituto Agronomico per l’Oltremare fu in parte mitigata dai vantaggi evidenti per il confort, la conoscenza della zona e il verde. Il periodo nell’accogliente palazzina trascorse in tranquillità, anche se la percezione fu da subito quella di una sistemazione provvisoria, un’emergenza onerosa per l’inutile dispendio di risorse. Conclusa la mia frequentazione all’ISIA, lasciai Firenze per seguire da lontano gli sviluppi degli ultimi lavori. La sede in centro, che tanto sognavo arrivò alla fine del mio percorso, con la discussione della tesi nei locali dell’ex-clinica della Maternità in via degli Alfani 58, dove l’ISIA era stata trasferita. Così si chiudeva idealmente un cerchio a pochi passi da Piazza Brunelleschi, dove anni prima nell’incertezza sugli esiti della mia accettazione all’Istituto, avevo sostenuto l’esame d’ingresso alla Facoltà d’Architettura. Un bilancio pesante: tre cambi di sede in otto anni e un destino che colpisce ancora l’ISIA di Firenze con amara isotopia. 9


NOI SIAMO RISORSA 10


L’uscente rappresentante d’Istituto Daniele Dominici parla della formazione dell’ISIA di Firenze e del perché una realtà del genere deve continuare ad esistere in maniera dignitosa, possibilmente. Che l’ISIA sia selettiva fin dall’ingresso è un dato di fatto, e che la selezione riguardi criteri esclusivamente di merito e capacità è un altro dato di fatto. Purtroppo non sempre questo sistema è condiviso dalle altre realtà del mondo dell’educazione. I privati spesso selezionano a numero chiuso ma su base censitaria, dato che le rette di molte strutture private sono inarrivabili ai più, e che la preparazione offerta sia proporzionale è tutto da dimostrare. L’università pubblica invece spesso non seleziona affatto, in entrambi i casi il rischio è quello di penalizzare chi ha davvero voglia e capacità sfornando progettisti che non riescono a dire la loro nel mondo del lavoro. Chi non ha mai avuto a che fare con un committente pressante o con le urgenze dell’ultimo minuto? Chi non si è mai trovato davanti il giorno prima

di una consegna a errori della tipografia cui dover rimediare o a un cliente che cambia idea dopo un’illuminazione notturna? Chi non ha mai dovuto adeguare un preventivo di un lavoro semplice semplice che poi diventa qualcosa di un po’ meno semplice fra i dubbi del cliente che continua a vederlo come semplice semplice? Chiunque abbia fatto l’ISIA e uscendo abbia avuto la fortuna di trovare lavoro nel mondo del design sa quanto stressante sia questa professione, progettare è faticoso, farlo per qualcun altro lo è ancora di più, anche se poi ci facciamo pagare (a volte). Il discorso vale anche se a “cliente” sostituiamo “docente”, a “pagamento” il “voto” e a “preventivo” la più classica “revisione”. Per questo è normale (e umano) arrivare a odiare di cuore molti docenti che sembra facciano di tutto per annientare quel poco di 11

vita privata cui si cerca faticosamente di restare aggrappati. Ovvio che in realtà non fanno altro che prepararci al mondo che troveremo fuori, ma sono tuttora convinto che qualcuno ci provi/provasse gusto. In definitiva, credo che il grande merito della didattica ISIA sia di essere inflessibile, di costringerti a finire in tre anni, tempo record per l’istruzione universitaria, e a dedicare la tua vita a quell’obiettivo, in cambio si riceve una formazione e un’attenzione da parte del corpo docente con cui, sono sicuro, molti studenti dell’università pubblica farebbero volentieri a cambio. Per questo l’ISIA deve continuare a vivere, perché è una realtà sana, perché il suo metodo di insegnamento è unico, e unici sono i progettisti che ne escono. Siamo una risorsa, non dimentichiamolo.


EX meccano tessile Un’idea di studenti per studenti

Livia Ballan e Veronica Sonoro spiegano la loro tesi di laurea magistrale in Architettura, rivalorizzando l’immobile, ormai da molti anni in disuso, del Meccanotessile nella zona di Rifredi (Fi) non per farci delle villette a schiera...

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L’idea progettuale proposta nasce in risposta al concorso di idee bandite dall’associazione atelier paema. Il concorso sollecita l’emergere di idee progettuali architettoniche, creative ed artistiche che simultaneamente portino a sintesi i valori dell’Europa, interpretandoli per il loro passato, per il presente e per il futuro: cosa ha rappresentato il patrimonio culturale europeo? cosa è attualmente? cosa ci auguriamo che divenga? come tutto ciò può essere espresso in un simbolo, in una funzione, in un luogo?

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Il concorso prevede che i partecipanti esprimano una “idea simbolo” dell’europa e propongano il luogo nel quale localizzarla. l’idea progettuale può essere intesa come un’espressione architettonica, artistica, paesaggistica o una loro combinazione, avente rilevanza di luogo/bene di pubblico interesse.

concepire un luogo in cui sia possibile generare idee e sviluppo, diffondere conoscenza, stimolare la curiosità e l’apprendimento, promuovere la cultura. Se l’innovazione e la sostenibilità sono gli obiettivi a cui tendere, sia in ambito economico che sociale, pensare ad uno spazio che rappresenti l’Europa, vuol dire pensare ad uno spazio che si sviluppi attorno ad un unico grande tema: quello del lavoro. Allo stesso tempo esso funzionerà come polo diffusore di conoscenze, di assistenza e sostegno per l’avvio di attività, di valorizzazione degli antichi lavori artigiani ormai abbandonati ma ancora utili a livello sociale. Un confronto tra passato e presente, un punto di partenza per riflettere su come il lavoro sia repentinamente cambiato nell’ultimo secolo e su come questo rappresenti un patrimonio culturale inestimabile per comprendere le evoluzioni storiche degli ultimi secoli. Nascerà così un nuovo spazio destinato ad ospitare ambienti flessibili e capaci di adattarsi a molteplici opportunità funzionali: grandi convegni internazionali e piccoli seminari incentrati su tematiche minori, attività pratiche di laboratori e workshop, spazi per il co-working e aree destinate all’avvio di start-up. L’obiettivo è quello di proporre un edificio alternativo rispetto ai canoni funzionali convenzionali, restituendo uno spazio alla città che sia polivalente e che aiuti a superare le tante problematiche legate al tema del lavoro.

Il progetto si pone l’obbiettivo di riconvertire l’antico edificio industriale delle ex Officine Galileo in un nuovo spazio polivalente, mantenendo l’esistente e valorizzandone l’architettura, splendido esempio di archeologia industriale 900esca. La struttura sarà conservata nella sua forma complessiva e si interverrà eliminando le superfetazioni aggiunte negli ultimi decenni. essa dovrà quindi basarsi su una concezione multidisciplinare che porti a sintesi idee in grado di esprimere quella pluralità di culture e temi che connotano l’identità europea, avrà funzione intrinseca di essere un ‘attrattore-diffusore’ dell’identità europea e svolgerà una funzione generatrice di valori etico-culturali costituendo un polo di riferimento funzionale e altamente simbolico per dare vita alla prima vera “zolla franca” europea. Obiettivi del concorso: 1. valori europei contribuire a rilanciare i valori europei nei quali tutti i cittadini dell’UE possano identificarsi 2. idea simbolo esprimere attraverso la scelta di un luogo e di una funzione quella che è l’identità europea 3. pluralità culturale condensare la pluralità che caratterizza il territorio dell’europa e considerarla come risorsa collettiva 4. polo attrattore/diffusore funzionare da polo attrattore di idee e di persone, ma anche diffusore divalori e di conoscenza.

La classica suddivisione della produzione economica in tre settori (agricoltura, industria, servizi) viene superata per fare spazio ad un quarto settore, definito «terziario avanzato» e costituito da tutte quelle imprese che fanno ampio uso delle più moderne tecnologie informatiche e telematiche. Rientrano in questo settore le imprese della

Con questo progetto di tesi si è pensato a

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cosiddetta new economy. Ogni singola cella della nuova fabbrica (unità strutturale ottenuta all’interno del complesso) può essere adattata secondo usi diversi, in base alla organizzazione dell’arredo. La nuova frontiera della concezione dello spazio-lavoro è data dal coworking. Il coworking rappresenta uno dei più importanti progetti di networking, in cui il concetto di rete e di connessione assumono importanza fondamentale. L’idea del coworking è semplice: in uno spazio comune si allestisce un numero arbitrario di postazioni di lavoro, ogni postazione avrà il proprio tavolo, scrivania, attacco per il pc, connessione internet e in aggiunta a questo verrano forniti una serie di spazi di servizio collettivi da condividere con gli altri coworkers. Non vi sono separazioni murarie tra un ambiente e l’altro: allo sguardo degli addetti è consentito andare oltre ogni limite fisico e psicologico, avendo piena coscienza dello spazio in cui stanno lavorando.

“ L’obiettivo è quello di proporre un edificio alternativo rispetto ai canoni funzionali convenzionali, restituendo uno spazio alla città che sia polivalente e che aiuti a superare le tante problematiche legate al tema del lavoro. ”

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Bike kitc hen 16


Tre anni fa è nata l’Idea del BikeKitchen di Augsburg, in seguito a movimenti simili in altre città e stati Europei. Nello specifico l’idea di quello di Augsburg è nata da un ragazzo, Marcus, in seguito a una rassegna importante avvenuta a Vienna riguardo l’idea di condivisione del sapere nel riparare biciclette. Bikekitchen è un format di un gruppo impegnato nel sociale per divulgare la cultura della bici e non solo, come si presenta? un attivista nel ruolo della bicicletta nell’ambiente sociale cittadino. Quest’ultimo nel 2012 ha anche presentato il progetto già avviato durante un PechaKucha tenutosi ad Augsburg. Questo format permette di entrare in relazione con la comunità circostante in modo diretto e immediato, infatti chi non ha da riparare qualcosa della propria bici, oppure magari togliersi lo sfizio di applicare qualche modifica? Così gli interessati si sono riuniti da Monaco (München), per iniziare a tessere la rete di conoscenze necessaria per cominciare anche ad Augusta (Augsburg). Hanno contattato alcuni partecipanti del Critical Mass e Stefan Sohnle con cui ho parlato al Bikekitchen.

Gli inizi, per quanto strano, sono stati facili e veloci, per concretizzare il progetto oltre ad alcuni membri del movimento Critical Mass, sono entrati in contatto con un Club di Ciclismo, che ha dato l’okay per la messa a disposizione di un loro spazio, che usano solo per riunioni una sola volta al mese. Lo staff aperto del Bikekitchen quindi può usufruire gratuitamente dello spazio in cambio del pagamento delle spese di manutenzione. Non è poco, perchè questa felice situazione ha permesso effettivamente al progetto di partire. La sede si trova nel centro della città e comprende una sala per lavorare, una sala da pranzo, una cucina, bagno e una cantina ampia usata da magazzino per i pezzi di ricambio. Dopo un investimento iniziale di 300€ da parte degli ideatori usato per comprare i primi attrezzi e utensili base, finalmente il progetto apre le porte al pubblico cittadino. In poco tempo, tramite passaparola, il posto accoglie sempre più ospiti durante l‘orario di apertura che è ogni giovedì e ogni primo venerdì del mese dalle 18 alle 20 che si conclude con una cena

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sempre aperta a tutti. Lo staff mette a disposizione utensili e insegna a mettere le mani al posto giusto per poter essere così soddisfatti di aver riparato la bici “da soli”. In cambio vengono raccolte libere offerte che talvota purtroppo non tutti si possono permettere, infatti grande è l’affluenza dei meno agiati i quali ricambiano comunque aiutando a loro volta i nuovi ospiti. Le offerte hanno permesso al gruppo di crescere e di poter acquistare sempre più utensili e anche attrezzi più specifici, al momento infatti dopo solo due anni e mezzo di apertura si può dire che non manca quasi niente. Il Bikekitchen non è solo questo, infatti funziona anche da officna dove si sperimenta la costruzione di bici cargo, di tallbikes e così via. Al momento, il format funziona e l’apertura senza barriere ha favorito un arricchimento di

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tutta la comunità ciclista della città. Tuttavia si è arrivati a un punto critico proprio per la sua crescita e importanza che sta acquisendo nella vita sociale. Il format fin’ora aperto e senza indirizzo partitico, necessiterà di decisioni politiche relative al mantenimento e all’organizzazione della vita dello stesso. È sempre vero che quando si ha un ruolo sociale, diventa anche un ruolo politico? Che conseguenze può avere? Se vogliamo fare un parallelo il Bikekitchen è un esempio di CC (Creative Commons) ovvero di sapere messo a disposizione di tutti e a cui tutti possono accedere gratuitamente, e dal quale possono nascere progetti opensource ecc. Ovvero è l’esempio lampante che il sapere, così liberamente condiviso, muoverebbe la società non solo da un punto di vista economico, ma verso una nuova forma di relazioni di tipo partecipativo, anche se si rivelerebbe scomoda per gli attuali pensieri politici partitici, poichè non ci sono barriere allo scambio.

In ogni caso perchè non adottare anche nella nostra bella città un format di questo tipo? Daniel Angelo Nicola Pantaleo

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