Fegato Magazine - Anno 01 - Marzo 2015

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Marzo 2015 - N째 0.1 - ANNO 0.1

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Marzo 2015 - N° 0.1 - ANNO 0.1

Editors

Federico Falaschi Lucrezia Cortopassi Francesco Camporeale

Creative Consultant Mario Lovergine

Marketing Manager Massimo Bertani

Web developer Giuseppe Caleca

Stampa

MyCopy Firenze

Hanno contribuito a questo numero:

Gabriele Ciregia, Vanessa Farano, Girolamo Giannatempo, Lorenzo Farris, Irene Salvadeo, Francesca Balducci, Elena de Santi, Laura Mozzo, Luigi Coari, Claudia Ragusa, Stefano Marra, Franscesco Senarega, Caterina Lupi, Carolina Caverni, Massimo Bertani, Victor Musetti, Aurora Cortopassi, Anna Spina, Cosimo Bellocci, Irene Coletto, Oana Cilibiu, Daria Cimoroni, Tommaso Cappelletti, Luigi Coari, Michele Saint Michel M IU R AFAM I SI A

DESI G N

M in i stero del l ’I stru zi one, Uni versi tà e Ri cerca Alt a For m azi one Ar ti sti ca, Mu si cal e e Coreu ti c a F I R E N Z E Urbi no Rom a Faenza


#pervoiconvoi Per collaborare con noi scrivete a: info@fegatomagazine.com


E R E C S A RIN

i FalascohMarra ederico n Testo: Fazione: Stefa Illustr

i cciars a ff a i ed rmett l principio. e p rla dal e h c da ò r ricrea boloi a e l c p r è a o v e r ra di nuo i la sim lia pu ovo per ric la vita rso dei secol l significato l a i La fol s u r n a ento a nel co ssere affacci ta di ette di l matto che aceva riferim pettatori di e alla vi m r e p e s f d i s he

ciò c e Job ai suo zione ll’alpura è a è la conce o. Forse Stev i, predicava a i l l o a, e ne ili, f c t n t i s o a i e t La m i z s u a d o b io. Q a ere ue or cqua c oncilia princip tarocchi ci h uando, alle s o dell’a temente inc l o b i q m i e i gia d rte popolar iata, s oli apparen a. che ha i . b rovesc a delle c el progettare o una coppa i questi sim a dell’ energ unto iniziale i inevd s s pazzi n tiene in man all’incontro zione vortico ssione, è il p a riprogettar zine è d a a o Il matt oco creativo; , la manifesta re e della p suoi intenti e . Così il mag nere a o e a t o i u t r f m e v a a a l o re n ell’ nu ra n app tra i risce il è il frutto d a persevera lla con cui e maniera da u t a c s a si n ato i colda que energi cente i di Feg , a tutt ile. o t Questa a redazione tura diversa amica, avvin u n e t gib os a l n mpre s altà fosse tan si che spinto nte in una n orma più di e s o n n r e f esta re he l’ha gi dive itabilm otto un’altra ccezione. oloro c tto sì che qu ee e linguag lontane. Può s c e i o a t t t n a u u t n fa ri ss a id che la te sono nza ne bio di grazie hanno tutti se oggi rinasce orato e che one, di scam he fisicamen ividualismo d i c b Fegato hanno colla di collaboraz rlo perdono rriere dell’in hia a e f e b h l o c a ersi a c sa e t l n r o m o o i o s r or s p d p o n s n e p e en me batt rlo u ilità di una m Rende trano così co ’incontro ab ato. possib nche essere ’ipocrisia a l e d n r à c o o d c ve a luog sta l si in anno omio che PO! Vi erna h gato de c è bene are un divent società mod orta di mani deciso che Fe rrenza all’EX bo scadente lla di e s i a rete e l essere una lcosa, è stato ol fare conco le vuote e c sarebbe qu o a d a u r t a u v a e q ì, si di p pian Oltre oglia dire bocca mate. S v ’intero a mai. unque enti più affa si riempie la per nutrire l o non manc b i m per le nto, in cui c ra soluzione sto che lì il ci e e i dell’ev eare che la v ’occidente, v l n l i e l d o nti sott voi? e le me sfamar o è pronto, e z n Il pra



Parigi. Una sotria d’amore infinita 48

Discover Genoa 44

LUOGHI

ERASMUS

Tutto Subito 9

FEGATO CONSIGLIA: Osteria del sole.

LUOGHI

Volevo andarea vivere a Bruxelles ma... 46

FOCUS:

Intervista ad un illustratore: Stefano Marra Set-Up: la fiera indie d’arte contemporanea Blanca: il collettivo che unisce musica al fumetto Chi è Asaf Hanuka? 42

GNAM:

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Le ricette di LA SALSA AURORA: “Cartoccio di branzino all’uva fragola”

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SUCCEDE:

Scoprirsi: dramma generazionale The dark side of veganism Pil: prodotto interno lardo

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EVENTI:

Volti dall’ermetismo: Venturino Venturi La luce marina: Moses Levy Modigliani, Capa e Lynch Perché andare al Lucca Comics and Games

GRANDE MULTISALA: Birdman. Un film da vedere! 59

MODA:

Black Day

CINEGIORNALE:

Tra mani invisibili e coperte corte 8

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Cos’è OD MAGAZINE?

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La tipografia non è acqua 17

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Tra

rte o c e t r pe o c e i l i sib i v n i i n ma

sue ita. Le la v a i m e la tto sul zzante uo effe ante, ipnoti ro potere: s l i è io otente insinu è il ve rista. P un potere loro potere sultato del m te b i l o i o i r l a r n I a n l n . i n “ i a a e g h z o i t l l’imma coscien ie, cog , etafore ’attribu Ricco è ni, le sue m ia nella mia e o a blandiz iente citare l erista. Quello c l c i c b c e c i g l a e d ffi a r n o u i e b i r ’s imm di fare ricorrere a mi comandi. E ll’immagina a” dell’uomo itta a à t i c a e a p r r o d u ca sc tu nz vortice mai in rsi ai s lla “na che, se a quello le” conforma l centro di un spondenza a metafora or alla metafor i a d a a l r t r r i i , n s u o e r t e m ”c ar va gin im o “na er ritro ua “naturale stare l’imma io emancip al raggiung ciale? p ” e l a e sa so ur sso as io cont ella cor e utile me po a to, dell appun Come posso o di me? Co universale d lico interesse pagnato tutt r e . t b r m o n e n b o o d t e i d in pu acc uz mon i fuoco isibile”, assol redimersi in rta” che ha etuta in ogni zione d e r e t o co p ga let nv ente ri e del su a coperta mano i La spie della “ e individuale gine della “ e incessantem ogni libro? magine dell a l m i n n a i t ’i e m l d i e e o l dell’u ire dell’ im ora oggi v articolo rendere com circolo vizios r esi c n d n g e a o h un , in che Ec omp i. Pe azione vita e e uta a c uomin stituire la mia n ogni estern lica e non ai rodursi e co vera, degli sa in relazion a e i p e s c i r , e s r a vento man è dida ernamente la vita, nud ve essere m , risulti esse , t l e g o o e u s d u s s a r a a a ic va oss ert oc di K corta p ogico che gra i caso, la cop pre e in ogn ello specific atico, a t r e p l m m co gn e, n che, se l o mate ed in o di vista cile ch punto rta”, sempre qualche cosa lla di più fa profilo logic universo de o u o l l r n i c ’i e N o l “ t c n o. tto er sere inversa e in ogni cas ansigenti so elastici dell’i bbe infatti p ogni e a t t e d bis re dir intr zere eterei e nte di ”,semp i. atteriz ti più “lunga li economis i concetti più ltima si car imitate a fro mani bisogn l ’u g e u t r d s e i e rs gl ue ot e anche no ad uno ana. Q Quindi, riso se rispetto a orta il cui p nte m i u d a o r r c r ni. ta atu iso esce app le: la n propri bisog arsità delle r e della coper n numero cr ssibile i b a s n c o u pe in ei no la s mmag ta. Imp e e” che ezza d limitat i determina- innestata l’i sso “natural o della coper gioni. Inutil a è t i r ’e a c n o t h i o t fi e c ic ne on un an illim sto ass isce il fatto, odere del be meri e le bu all’affetto ne una e u q u u àe olo og Es anc con i n nsibilit possan corta. S ale”, s “natur i umani non ell’immagine ì come alla se ella coperta s r d d di esse re il potere o rigoroso co te gli effetti magine. a n r t e e m s i i e s m t a ltr pen con iana arsi al ire un’a quotid richiam i chi subisce gere o sostitu g fronti d ne può corre i g a imm

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po ni am ertaesco C B imo nc ass e: Fra M n : o i to Tesustraz Ill


O T T U T

omudella c egli e o t t o n d del pro bio formativo ogni n ig s e e d n. Com ee nel di scam e delle id te occasione Art and Desig e la passion o g o S lu n a f . a n il o à s a s , lt r e tere lleg a st enze e rea Isia Fir e offre un in inneapolis Co ra queste du invece ha un sa bene t n nicazio MCAD, il M o equilibrio ano, MCAD deguati l’ISIA acchina n n n a u o r c t m s . o o er la m cc spazi a U.S , c’è un reatività ci a nto privi di re, cosa che p la scuola itali io b m a a c e i c sc u e n q o d ia la c r p o e e an .P nde re e rte per l’a ne del tempo itmo tra dove renza più gra puntuali attiv ettaglio d r e e percezioeare il giusto lesso. La diff ana consegn na parte, un dove la u r p c im a t in m t t e o e n c s m m e iv co iù oo in di zione d tando imana to di z ana è p americ ritmo, di sett getto di atten perenne sta roblema, ten do ogni i p g ana è il mi in cui l’o . Una sorta d terno di un ge fino in fon reativo. is n ’i n le in a ll a p c r a s c e cesso c so ta en me getto g sta passo pas inno futuris sitivo nel pro o r p l e n o o d a si sp ssità. U o prop didattic rre la comple ndo un fluss a scompo progetto, cre lo o g sin

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O T I B U S i appellett maso oCFalaschi m o T : to Tes ca: Federic Grafi

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SCOP

Dramma generazionale Testo: Francesco Camporeale Grafica e illustrazione: Federico Falaschi

Mentre stai navigando su google, il motore di ricerca smette di rispondere e provi ad aggiornare ma non succede niente. Provi ad aprire un’altra pagina ma non succede niente. Solo dopo una lieve incredulità decidi di abbassare lo sguardo verso la barra delle applicazioni per scoprire una bella X rossa sopra l’icona di uno schermo. Vabè, abito in campagna, non è una cosa così fuori dal normale. Qualche minuto e riavrò la connessione. Fumo una sigaretta, torno in camera, riprovo a connettermi ma non succede niente. Partono le imprecazioni. Fumo un’altra sigaretta, accendo e spengo il modem, riavvio il computer, riprovo a connettermi. Niente. Altre imprecazioni. Solo in serata scopro grazie ai vicini di casa che stanno facendo dei lavori sulle linee nei dintorni. Dicono questione di ore. Sono al terzo giorno e ancora niente.

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PRIRSI La parte drammatica non è l’assenza di connessione, che per un ragazzo di ventitre anni è un po’ come essere lobotomizzati (o forse l’esatto opposto, ma a questo ci arriveremo); la parte drammatica è che senza internet mi sono ritrovato completamente spaesato, come se non sapessi dove andare o cosa fare. Quando lavoro sono abituato a tenere un sottofondo sonoro, quello di film e serie tv, tutti regolarmente visti in streaming. Senza quel sottofondo mi sono sentito stranito. Come si fa a lavorare in silenzio? Non è possibile, non ci riesco. Non ho nemmeno dei dvd o dei cd in camera, ormai faccio tutto online, film online, serie tv online, musica online, telefonate online, giochi online, collezioni di figurine online, lavoro online, sesso online. In più sono arrabbiato, divento smanioso e non ho voglia di aspettare. Qualche anno fa era plausibile arrabbiarsi; ero adolescente e giocavo a World of Warcraft: durante un raid se spariva internet iniziavo a prendere a calci tutto quello che vedevo. Ma ora sono “grande”, credo di aver raggiunto un livello di maturità tale per cui mi rendo conto di cosa sia una dipendenza e su cosa valga la pena incazzarsi oppure no e credo di essere perfettamente a mio agio anche solo con me stesso... e 20mbps, magari. Quando non sono online ho il cervello offuscato. Mi blocco e non so più che fare. Cosa rimane ? Bhe, rimane la connessione dati del cellulare, ma in campagna funziona a intermittenza. Quindi esco.

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Testo: Anna Spina Grafica: Irene Salvadeo

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Piacere, siamo i vegani cattivi, quelli che non lo fanno solo perché tutti i nostri amici hipster lo sono, oppure perché fa bene alla salute. Siamo il lato oscuro della luna veg: di giorno mimetizzati, al lavoro, sui banchi di scuola, per strada e la sera in un bar, bevendo Negroni, fumandosi un drummino, decidendo quale sia il modo migliore per comunicare agli scettici che non siamo alieni che vengono da Vega. L’abbigliamento non ci importa: abbiniamo pantaloni di finta pelle, magliette lise e, se ci gira bene, ci spiaccichiamo in faccia anche un poco di correttore cruelty free. Ci piace stare in mezzo alla gente, anche se, a volte, ci scappano commenti tipo: “lo sai che nel tuo latte c’è il pus?” oppure: “stai mangiando cacca di pollo, non carne”, pentendoci subito dopo: sappiamo che inseguire amici intorno alla tavola, brandendo volantini e ululando cupe giaculatorie sul dolore del pollo, non è il giusto modo di comunicare la forza di questa rivoluzione gentile. Siamo i vegani che se ne sbattono della propria salute, quelli che davanti a una ciotola di patatine arrivano al fondo senza rimpianti, perché, alla fine, non abbiamo ucciso nessuno. Quelli che hanno fatto la loro scelta grazie a qualcosa, un click, uno sparo, una voce nella notte che ha preso a tradimento la coscienza. Quelli che hanno visto gli occhi imploranti risposte di un maiale al macello, riconoscendovi i propri, il soffice sospiro giallo di un pulcino soffocato dal suo sangue vivo nel tritacarne, il pianto negli occhi acquosi di una vacca cui viene strappato il figlio. Confessiamo: guardiamo di sbieco quelli che lo fanno per stare meglio, ma, comunque, li rispettiamo, perché in qualche modo ci aiutano a perseguire i nostri scopi. Non siamo dei pazzi isterici, affiliati monomaniaci di una setta oscura! Certo, a volte, facciamo ironia su noi e tra noi facendo battute che solo noi possiamo capire. Capita, sicuro, che si sfiori il ridicolo, come quando cerchiamo di salvare una mosca infreddolita ubriacandola di acqua e zucchero! Il fatto è che vogliamo che le cose cambino e vorremmo un Mondo di esseri liberi tra i liberi, non importa quante zampe abbiano. È vero siamo, forse, gli unici in casa e fuori che incorniciano gli esami del sangue! Sì, a volte, telefoniamo al nostro amore, eccitati, per dirgli: “ho il ferro alle stelle!” e ci sentiamo soddisfatti quando, durante il pranzo domenicale con zia Rosina, riusciamo a mandarla quasi in coma glicemico con la torta alla crema chantilly vegan. Anche la nostra comunicazione è diversa, spesso ironica, perfino ruvidamente sincera e, per questo, non siamo visti di buon occhio, anche da certi bacchettoni lateral sinistri e pure ... destri, ma amiamo metterci in gioco, abolire i tabù e, senti … “lo sai che nel tuo latte c’è il pus?” …

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N

on fatevi infinocchiare dalle nuove terminologie di lavoro come start-up, co-working, job on call e chi più ne ha più ne metta. Sono tutte cazzate e terminologie studiate per farvi credere che il motivo per cui state lavorando valga le vostre venti ore lavorative giornaliere sottopagate, non facendovi vedere l’altra parte della medaglia ossia che siete schiavi di un lavoro che credete di gestire voi stessi perché vi hanno scritto sul contratto che siete freelance. E quando lo raccontate ai vostri amici, per le vie del centro, con un calice riempito in macchina di nascosto con un prosecco pessimo rubato al pakistano, tutti vi guardano sbalorditi e invidiosi, inconsapevoli che in realtà nemmeno chi parla sa che cosa sta dicendo e soprattutto che fa la fame. E allora qual è la soluzione? Beh, non crederete ai vostri occhi/orecchie ma il nuovo vero incubatore del lavoro, oggi, è qualcosa che risale a molti anni prima della nascita del mestiere più antico del mondo: ebbene sì, è il maiale! Col maiale finalmente la tua piccola impresa potrà decollare e avere un capo che non corrisponda anche all’impiegato. Stavolta potrete comandare e basta, a meno che non vogliate fare la vita del maiale (ndr vi assicuro che non è male): avrete un impiegato che è plus valore e prodotto finito. Che i vegani non svengano, nessuno si farà del male. Per ora, almeno. Badate bene, il vostro animale non è uno schiavo ma un comunissimo lavoratore: voi lo retribuite puntualmente, ogni giorno, con del cibo per mantenerlo in salute, parecchia salute. Adesso a molti di voi sorgerà il legittimo dubbio di come mangerete avendo investito tutto sull’assunzione del vostro stacanovista rosa, sulla costruzione del suo ufficio, fatto da una gettata di cemento e palizzate in legno d’acacia, nel suo sostentamento di pane, acqua e crusca per tutta la durata del contratto. La risposta è semplice: i primi mesi sarà il male di spartire col vostro sottoposto il pastone nella pilla. In compenso potete consolarvi perché il white-pink collar sarà sicuramente affettuoso, fedele e affezionato fino all’ultimo giorno di lavoro previsto dal contratto. Ricordatevi che i soldi sono tutto solo se abbinati al gran successo! Come si fa se si fa un mestiere del genere? Bene, sperperate ai quattro venti che allevate un maiale, oggi, nel XXI secolo, e vostre saranno le attenzioni di tutti e delle donne/uomini più raffinati che per una

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repressa perversione saranno stranamente attratti dal visitare l’essere setoloso e il suo ufficio… magari potreste cogliere l’occasione per mettere in mostra anche il vostro di ufficio. A sei mesi dall’assunzione dell’impiegato non avrete più le tasche vuote: il vicinato avrà sborsato fior di quattrini per pagare il biglietto per ammirare il vostro maiale all’opera tra fango, sterco e cibo non facendo alcuna distinzione; i vostri amici avranno fatto a gara a portarvi i doni più belli, somme ingenti di denaro per accaparrarsi la parte più buona della rendita della vostra florida impresa. A questo punto mettete da parte l’amicizia e reinvestite quello che avete ottenuto in un altro impiegato per la vostra azienda, stavolta femmina però. Meglio se con esperienza e in età fertile: sono molto più propense al lavoro in team. Lasciate dunque che l’ufficio si trasformi in un vero e proprio porcile e vedrete che in poco tempo il numero di aspiranti lavoratori per la vostra azienda si moltiplicherà. Accertatevi del più fedele indicatore di profitto della vostra attività ovvero le cosce del porco, fate brutalmente concludere la sua esperienza lavorativa con un incidente sul lavoro (se vi chiedono spiegazioni, rispondetegli che chi si fa i cazzi suoi campa cent’anni), conservatelo affinché s’ insaporisca e mentre voi riscuotete il successo guardate come cresce il vostro prodotto interno lardo!


PIL

Testo e illustrazione: Federico Falaschi

Economia, filosofia, antani.

PODOTTO INTERNO LARDO

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I

l linguaggio è tutto. La comunicazione è linguaggio e la tipografia è la sua forma visibile. Noise è semplicemente un font. Questo deriva da una voglia, da un obiettivo e da un voler creare un vestito nuovo per chiunque lo voglia indossare. Iniziai questo progetto un anno fa. Ricercavo una linea stilistica diversa da tutte le altre, volevo creare un font che non era mai stato disegnato prima, quindi un carattere che per proporzioni, linee e grazie fosse unico nel suo genere. Giunsi alla conclusione che nel campo tipografico era stato inventato, disegnato e progettato di tutto, sì tutto tranne la linea curva unita alla linea spezzata. La mia idea è stata quella di voler rappresentare il rumore tramite un font. Ma come poteva essere possibile parlare di rumore senza progettare un font figurativo? In generale si intendono per rumore quei suoni che si sovrappongono ad altri armonizzati tra loro. Un suono perfettamente armonico è la Campana Tibetana. In linea di massima ci sono due modi per fare suonare la campana. La si può colpire lateralmente come un gong, e la si può strofinare intorno al bordo con l’apposito legno, oppure quelle più piccole si possono anche strofinare intorno al bordo. Quindi in sostanza per suonare la Campana Tibetana bisogna eseguire un moto circolare. Moto circolare che descrive una linea curva. A questo punto la domanda è stata: ma se mentre produco il suono roteando intorno alla campana ci fosse una seconda persona che continua a battere, senza un apparente senso logico la stessa campana? In questo modo otterrei un suono perfettamente armonico interrotto da picchi decisamente rumorosi e fastidiosi. La loro resa tipografica sarà quindi una linea curva, dettata dal movimento rotatorio, interrotta da una spezzata, delineata invece dai battiti sulla campana stessa.

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ci Belloc osimo: Hands Up C : o t s e Te trazion Illus

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Testo: Federico Falaschi Illustrazione: Stefano Marra


Intervista ad un illu stratore

STEFAN O

MARRA

1. Di cosa ti occupi nella vita? Mi occupo di comunicazione visiva, graphic design ed illustrazione. 2. Come hai scoperto di essere o voler fare l’illustratore? Disegno praticamente da sempre, anche se all’inizio volevo diventare un fumettista. Durante il liceo però, c’è stato un momento in cui ho capito che c’era un’altra strada, sono cresciuto e ho studiato e Mario Cavallaro (amico e art director dello studio dove lavoro, nju:comunicazione) mi ha aiutato a capire in che direzione dovevo andare. 3. Quali sono i tuoi esempi che ti hanno ispirato nella tua formazione e quali lo fanno tuttora? Massimo Vignelli, Pierre Mendell, Otto Neurath, anche se ce ne sono altri. Esempi più attuali ce ne sono tanti, cerco sempre di mettermi in modalità ricettiva e vedo tante cose interessanti. Se devo farti qualche nome non posso non citare colleghi come Goran (lo conoscete bene, lo so), Olimpia Zagnoli, Jean Jullien, Shout, Yeteh, Malika Favre e tanto altro… 4. Pensi che i tuoi lavori possano cambiare in qualche modo la maniera di guardare alle immagini? Se sì, come? Non lo so, il fatto è che non riesco a giudicare il mio lavoro in maniera razionale, o almeno non al 100%. Sono consapevole che abbia un forza visiva ma per cambiare il modo di guardare le immagini vorrebbe dire che io abbia creato un linguaggio, una concezione nuova, e francamente è troppo presto per dirlo. 5. Qual è il tuo sogno da illustratore? Qualche anno fa era riuscire a illustrare per i magazine, e qualche soddisfazione l’ho avuta. Mi piacerebbe progettare qualcosa con un grande brand di abbigliamento sportivo, nono so bene cosa, una linea di t-shirt magari. 6. Credi che i tuoi lavori siano utili e abbiano una valenza che vada oltre il loro aspetto? Raccontaci un uo classico iter progettuale. Spero proprio di si, voglio dire, spero che i miei lavori raccontino una storia, trasmettano del contenuto. Non progetto solo per l’aspetto visivo fine a se stesso, altrimenti sarebbe pura decorazione. Il mio classico iter progettuale inizia con lo stress dopo aver letto i tempi di consegna mi do del tempo per pensare al contenuto dell’articolo. Quando ho avuto l’idea che mi sembra giusta cerco di schizzare qualcosa a mano. Fatto il bozzetto più o meno convincente, cerco di capire come realizzarlo al computer, il risultato finale dipende dai casi, a volte è molto simile al bozzetto, altre volte è totalmente diverso perché mentre lavoravo ho avuto altre mille idee. Consegna dell’illustrazione finale, eventuali modifiche e via, ce l’ho fatta anche ‘sta volta. Fegato Magazine | 21


La terza edizione di SetUp, la fiera ind pendente dedicata all’arte contemporanea che, sempre in fascia serale, dal 23 al 25 gennaio 2015 e in occasione dell’art week a Bologna, ha riacceso gli spazi dell’Austostazione, sede confermata fin dal debutto e ormai tra i simboli dell’avanguardia culturale bolognese. La fiera, organizzata dalle curatrici e critiche Simona Gavioli e Alice Zannoni, conserva anche per questa edizione il format che punta sugli artisti emergenti e sui giovani attori del mondo dell’arte, mantenendo il trittico formato da galleria, curatore e artista entrambi under 35. L’interesse dei collezionisti per i giovani artisti aveva già dimostrato quanto SetUp fosse diventata una vetrina di riferimento per le nuove tendenze del mercato dell’arte contemporanea. Già che c’eravamo abbiamo intervistato le organizzatrici del SetUp Festival.

Che necessità ha Bologna di un festival così laterale come SetUp? Cosa intendi per laterale? Forse collaterale? Ti rispondo con le parole di Fedro in merito alla necessità di cui mi chiedi, quindi riformulando – della necessità di un fiera collaterale: per “Descrivere una crescita del sapere che non procede in avanti come una freccia in volo, ma si espande lateralmente come una freccia che si allarga in volo. […] La conoscenza collaterale è di quelle che arrivano da una direzione del tutto inaspettata, da una direzione che non è neanche riconosciuta come tale finché non si impone a forza al ricercatore. Le verità collaterali mettono in luce la falsità di assiomi e postulati che soggiacciono al sistema di cui si vale per arrivare alla verità. (da “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, Robert Pirsing). Qual è stato il motivo per cui è nata questa iniziativa? Nel resto del mondo le fiere madri generano altre fiere con focus e target diversi, i grandi eventi generano la nascita di kermesse e manifestazioni concomitanti che affrontato l’oggetto con un punto di vista diverso. Bologna non offriva alternative, ci abbiamo pensato noi con SetUp. Perché SetUp? Cosa significa? Il nome “SetUp” indica le intenzioni del progetto: se il termine significa tecnicamente “pre22 | Fegato Magazine

disporre le operazioni per il successivo avviamento di un sistema”, l’impegno e la nostra scommessa è mettere in atto un nuovo processo per ripensare il sistema Arte. Parlate molto di “mercato culturale” nel vostro concept. E’ una realtà che credete plausibile in cui l’arte potrà essere oggetto di grande investimento (con tutte le conseguenze del caso), oppure è una realtà a cui vi siete piegati? Precisamente parliamo di “economia della cultura”...siamo una società sempre più esperienziale ma che difficilmente riesce ad abbandonare lo status materiale del possesso... bisogna tentare di coniugare in modo sano e senza speculazioni entrambe le macro aree, ecco forse allora potrebbero partire gli investimenti che non devono necessariamente essere grandi come dici. Ti rispondo quindi affermando come buone entrambe le declinazioni che hai individuato perché sebbene tu le pensi ossimoriche, in realtà non lo sono! Se non ci credessimo non saremmo riuscite a fare quello che abbiamo realizzato... non ci siamo mai piegate, abbiamo mediato – la capacità di mediare coordinando le necessità di tanti quanti sono i nostri interlocutori è una skill fondamentale – e ancora ci abbiamo creduto. Abbiamo creato una realtà alternativa! La domanda precedente è per capire appieno la vostra identità come festival, la presente invece per avere controconferma: Set Up è una fiera dell’arte o un festival artistico? Entrambe, come ti ho già spiegato. Secondo te uno esclude l’altro? E’ proprio questo uno dei punti che lo differenziano dalle fiere e dai festival. E, anzi devo dire che “l’ibrido ha acquisito una propria identità” per cui funziona. Descrivete il concept di quest’anno. Come mai avete scelto proprio questo? Il tema di indagine culturale della prossima edizione di SetUp Art Fair è LA TERRA, la terra come zolla, come nutrimento, come spazio da attraversare nell’esperienza del viaggio, la terra come piano di scambio, di origine, di differenze, di confini più o meno visibili nella geografia e nel sentire, la terra urbana del centro e della periferia. Abbiamo lavorato in questa direzione perchè abbiamo voluto essere coerenti e in linea con il tema dell’Expo “Nutrire il pianeta”.


p U t e ir

ANEAi R O P n M ONTE lice Zanno C E T A AR IE DI Gavioli e D N I ona ERA LA FI ista a Sim v Inter

S Art Fa

i alasch o erico Faura Mozz d e F : Testotrazione: L Illus


BLANCA Il collettivo che unisce musica a fumetti Testo: Irene Coletto Illustrazione: Federico Falaschi

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Balanca è un collettivo nato nel 2014 a Bologna. Eliana, Irene, Martina e Noemi si sono conosciute all’Accademia di Belle Arti al corso di fumetto, con la grande voglia di creare un’autoproduzione, di impegnarsi in qualcosa insieme. Soprattutto nell’ambiente bolognese. L’idea è nata durante qualche lezione di storia dell’illustrazione. Nelle riunioni decidevamo come porci in questo mondo di autoproduzione: cosa offrivamo noi rispetto a tutte le belle cose che ci sono già? In questo il Giornalino della Domenica ci ha molto segnate. Nonostante questo fosse pubblicato agli inizi del 1900, risulta ancora oggi molto attuale, dalla grafica ai racconti in rima di Rubino. Dopo aver visto il Giornalino e pensato a quello che viene offerto oggi ai bambini in edicola, abbiamo iniziato a concepire Blanca, cioè un prodotto fine ed elegante per i più piccoli; anche se questo non significa che vogliamo rivolgerci solo ai bambini. Ci piace adottare un linguaggio chiaro e (apparentemente) semplice per essere diretti e sinceri. Quello che Blanca mira a fare è parlare chiaro ma con raffinatezza e gusto, per poter essere apprezzata sia dal mondo dell’infanzia che dagli adulti. L’innovazione con cui abbiamo voluto partire è stata quella di unire la musica ai nostri fumetti, cioè di creare una colonna sonora che accompagnasse la lettura. Abbiamo contattato dei gruppi emergenti nazionali e internazionali che ci piacevano, raccontando del nostro progetto e mostrando i nostri elaborati, chiedendo loro se volevano collaborare con noi, donandoci una canzone. Siamo state davvero contente ed entusiaste di ricevere risposte positive e di avere, infine, cinque fantastiche canzoni che accompagnano ed amplificano le atmosfere delle nostre storie. Dunque Blanca inizialmente (ma ancora adesso) è stata distribuita tramite pdf in un cd, che conteneva anche le tracce delle canzoni, in seguito abbiamo fatto una tiratura limitata di copie cartacee. Il confezionamento finale, dopo aver realizzato i contenuti, è stato un processo naturale, traguardo prefissato nel momento in cui abbiamo pensato di realizzare qualcosa che doveva essere “bello”. Abbiamo eliminato il superfluo, per mantenere una grafica lineare e comunicativa, ma conservando il gusto un po’ retrò che ci stuzzicava fin dall’inizio. Estrema attenzione è rivolta anche all’artigianalità e alla scelta dei materiali usati, sia per quanto riguarda i cd (rivestiti in vinile con scritte e decorazioni fatte a mano, così com’è fatta anche la custodia) sia per quanto riguarda le copie cartacee (rilegate a mano, pungendoci un po’ con l’ago). Dopo aver fatto uscire un numero 1, stiamo già pensando al secondo, che sicuramente manterrà la stessa impostazione grafica.

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VOLTI DALL’ ERMETISMO

VENTURINO VENTURI a Villa Bardini e all’Archivio Bonsanti Testo: Carolina Caverni Illustrazione e grafica: Claudia Ragusa

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La mostra curata da Lucia Fiaschi e intende celebrare il Centenario della nascita dei più grandi protagonisti dell’Ermetismo attraverso l’opera di Venturino Venturi. L’artista è l’interprete dei sentimenti e delle inquietudini di quella stagione inaugurata all’inizio degli anni ‘30 da poeti come Mario Luzi, Pietro Bigongiari, Alessandro Parronchi. Venturino Venturi nasce a Loro Ciuffenna (Arezzo) nel 1918 si trasferisce a Firenze in giovane età ed è testimone di quel vivace clima intellettuale che caratterizza gli anni


prima della guerra che fa del Caffè Giubbe Rosse il punto di incontro di intellettuali e artisti. La mostra si svolge su due filoni quello dedicato ai dipinti e quello dedicato alle sculture dell’artista. Le opere selezionate tra i dipinti sono soprattutto quelle non figurative, ovvero trenta oli su carta appartenenti alla serie degli astratti degli anni Sessanta in cui l’iquietudine vissuta in quel periodo da Venturi, personalità complessa, affetto da depressione, si riversa sulla tela. Il risultato sono opere, quasi tutte senza titolo, in cui i colori sono ridotti al bianco, al nero, alla gamma dei grigi e dei rossi che esprimono lo sgomento dell’artista che quasi violenta lo spazio pittorico in cerca della propria interiorità.

Queste tele accompagnano le sculture legate soprattutto al genere della ritrattistica, è in queste opere che meglio si concretizza l’obiettivo della mostra. Sono esposti il primo ritratto eseguito dall’artista di Ottone Rosai, altro protagonista della cultura figurativa fiorentina di quegli anni, e i ritratti degli anni ‘50 di Mario Luzi, Vittoria Guerrini, Vito Taverna. I materiali utilizzati sono vari, i volti sono scolpiti nella pietra grezza, nel marmo ma anche nel cemento come per il ritratto di Giuseppe Ungaretti che si trova tra le sculture degli anni ‘60 esposte nell’ultima parte della mostra. Tra queste anche Vasco Pratolini e Sergio Scatizzi, la cui immagine è intagliata nel legno.

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La luce marina di Moses Levy

Spiagge e figure nella Viareggio di una volta Testo: Carolina Caverni Illustrazione e grafica: Claudia Ragusa

La mostra, ideata da Giuliano Matteucci e curata da Susanna Ragionieri, è stata inaugurata presso Villa Bardini il 30 ottobre ed è possibile visitarla fino al 1° febbraio 2015. L’ esposizione intende ripercorrere l’attività dell’artista Moses Levy, nato a Tunisi ma vissuto principalmente in Toscana, nel periodo che va dal 1915 fino alla metà degli anni 30 ed in particolare propone quelle opere, circa quaranta, che dipinse sulle spiagge viareggine. Formatosi insieme ad artisti come Lorenzo Viani, Enrico Pea e Giacomo Puccini, Moses Levy fu in contatto con i più importanti pittori toscani del secolo scorso come Plinio Nomellini o Felice Carena. Il tema delle spiagge viareggine, che accompagna tutta la mostra, restituisce un vivace sguardo su quella società vacanziera e spensierata che si si riversa sulle spiagge della Versilia, meta d’obbligo per la borghesia modaiola ma anche per molti intellettuali. Attraverso visioni distillate, in un tempo quasi sospeso, la luce marina e quella solare irrorano la tela e vengono puntualmente esaltate, o mitigate, dal bianco degli ombrelloni che fungendo da sorgenti di luce evidenziano i continui contrasti tra i colori di 28 | Fegato Magazine

cabine, barche, costumi e capelli dei bagnanti. Il primo nucleo di dipinti in mostra, realizzate tra il 1916 ed il 1918, evidenzia come in Moses ci sia una prima ispirazione che prende spunto dalla pittura macchiaiola in opere come “L’ombrellone a strisce”. Nella sala è anche esposta quella che è una delle rarissime prove del suo legame con la città natale; “La fidanzata araba” in cui emerge la seconda natura dell’artista, quella legata all’Oriente ed in particolare in questo acquarello cambiano le modalità rappresentative e attraverso la pastiglia dorata la donna diviene quasi un icona. Il secondo gruppo di dipinti mostra un cambiamento nel linguaggio di Moses il quale approda ad un maggior form-

alismo evidenziando i valori plastici delle sue visioni marine. La spiaggia ed i bagnanti sono descritti attraverso i contrasti di colori a loro volta esaltati dai bianche delle barche e delle vele come in Spiaggia e figure a Viareggio. Le scene affollate creano un contrappunto


con l’altro grande genere praticato dal pittore quello dei ritratti, soprattutto rappresentati nell’ultima sala della mostra, qui le opere raccolte sono quelle dal 1932 al 1935, nel frattempo l’artista è tornato a Tunisi mettendo fine alla prima “Stagione delle spiagge” ma tornando con un nuovo stile. Moses si esprime attraverso una ritrattistica caratterizzata da una pennellata più libera che indaga il protagonista della tela, ultima opera in mostra proprio l’autoritratto del pittore che con il consueto sfondo marino guarda ed interroga con sguardo fisso lo spettatore.

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Illustrazione: Girolamo Giannatempo



Taglia le linee piene e piega quelle tratteggiate

KIRIGAMI


Corso di Basic Design

MI UR AFAM ISIA

DE SIGN

M i ni stero del l ’I str u z i on e, Un i ver si tà e R i cer ca Al ta For m azi on e Ar ti sti ca, M u si cal e e Coreu ti c a F IRE N Z E Urbi n o R om a Faen z a


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Modigliani, Capa & Lynch Dalla pittura romantica di un dandy livornese, passando per le crude immagini di guerra del Novecento, alle litografie di un regista visionario.

Testo: Lucrezia Cortopassi Illustrazione: Elena de Santi

Le mostre a Palazzo Blu di Pisa non deludono mai, o quasi. Quella dedicata ad Amedeo Modigliani, l’artista dandy livornese dei primi ‘900, geniale e trasgressivo, incompreso e dalla storia drammatica non può certo non commuovere e avvicinare il cuore di ogni visitatore che varca la soglia. Fin dal primo schizzo paesaggistico delle campagne livornesi, Modì ci emoziona e ci affascina con il suo atteggiamento romantico e sognatore nel guardare il mondo circostante. La mostra si apre con le opere caratterizzanti il periodo nella città natale dell’artista per proseguire, attraverso una serie di fotografie e un’eccellente descrizione dei fatti, narrati nell’audio-guida in dotazione gratuitamente

all’ingresso (c’è anche la versione per i bambini), sul trasferimento a Parigi, nel 1906, con gli interventi di Jean Michel Bouhours, accreditato studioso di Modigliani e curatore del dipartimento delle collezioni moderne al Centre Pompidou di Parigi, da dove provengono la maggior parte delle opere esposte. Passeggiando fra le sale dai toni porpora e blu, ci sembrerà di immergersi, passo dopo passo, nella capitale francese dalla cultura avanguardista, nonchè centro del mondo artistico . E mentre si ammirano capolavori “più dei suoi amici” che del protagonista stesso ma del calibro di Chagall, Braque, Cézanne, Toulouse-Lautrec e Picasso, avremo la

La mostra si svolge esattamente 30 anni dopo dalla beffa di Livorno, che vedeva protagonisti tre studenti che realizzarono tre false teste raffiguranti volti di donna per poi gettarle nel Fosso Reale dove furono ritrovate e attribuite all’artista livornese. Le tre pietre che hanno scatenato polemiche e dibattiti sul senso dell’arte, sono state in mostra in Fortezza Vecchia a Livorno, e adesso sono visitabili in uno spazio all’interno del Museo Nazionale di San Matteo a Pisa.

sensazione di passeggiare tra Montmartre e Montparnasse e di respirare il clima di quegli anni. Ci sono comunque pezzi molto celebri come: le “Teste scolpite” a cui è dedicata un’intera sala che racconta l’interesse per l’arte primitiva e la scultura del giovane artista; “Il tempio del piacere” che esalta il potere ipnotico e il fascino delle donne, di cui si sa, nutriva una particolare passione e “Il nudo” sollecitato dal suo mercante, Leopold Zborowski e che ha scandalizzato il pubblico che lo riteneva immorale.


ROBERT CAPA RETROSPECTIVE

Il L.u.C.C.A., se pur una piccola realtà nata solo nel 2009 nel centro del piccolo borgo toscano, ha ospitato già diverse mostre sulla fotografia e tutte eccellenti, con protagonisti come LaChapelle e Bresson. Stavolta lasciamo da parte gli eccentrici contesti pop-coloratissimi e gli scenari di vita quotidiana per soffermarci su una realtà non poi così lontana e gioiosa: le guerre del Novecento. Robert

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Capa è un coraggioso fotoreporter che per raccontarci le crudeltà dei conflitti ha spesso rischiato la sua stessa vita. Ma tutto questo si fa se spinti da una vera passione e ogni suo scatto ce lo conferma. In ogni microscopico granulo che compone quelle stampe si sente l’esplosione di una bomba, il pianto di un bambino e i passi delle armate che si muovono al fronte. Si resta senza fiato camminando fra le sale e si cerca, scatto dopo scatto, la salvezza, proprio come le persone immortalate nei fotogrammi di fronte a noi. Dalla guerra civile in Spagna nel 1936 all’invasione giapponese nel 1938, lo sbarco in Normandia del 1944 fino al viaggio in Indocina nel 1954 dove la mina anti-uomo, che

sembrava essergli stata nemica fino a quel momento, gli toglie la vita. Il dolore ha caratterizzato la sua intera esistenza, in particolar modo dopo la morte prematura di Gerda, la sua compagna, di cui non supererà mai il trauma. Un respiro di sollievo si ha quando si arriva nell’ultima stanza consigliata dal percorso, al secondo piano, dedicata ai ritratti dei celebri amici di Capa come: Henri Matisse, Ernest Hemingway, Truman Capote e Picasso con cui aveva un forte legame affettivo.


DAVID LYNCH LOST VISIONS

Un’anteprima nazionale allestita in un meraviglioso stabile appena ristrutturato risalente al secolo scorso, appena fuori il centro storico ma facilmente raggiungibile anche a piedi. Questo è lo scenario della ricca raccolta di opere (fotografie, litografie e video) per l’ospite d’onore della decima edizione di “Lucca Film Festival”: David Lynch. Un percorso gratuito

che si apre con le serie fotografiche in bianco e nero di grande e medio formato, di immagini surreali e a bassa risoluzione (volutamente), immagini inquietanti, oniriche e sul filo del perturbante. Tutti temi rintracciabili nei suoi film più famosi: da Eraserhead a The Elephant Man. Se si salgono le scale di questo grande open space, allestito da pareti mobili rosso fuoco, si trovano, oltre alla seconda serie fotografica “Women and machine”, composta da sedici foto scattate nell’atelier parigino dove hanno lavorato anche Picasso, Braque, Matisse e Chagall, una raccolta di litografie quasi tutte esposte per la prima volta in Italia e che a

prima vista sembrano disegni di bambini affetti da gravi problemi psicologici. Se ci si avvicina si riesce a vedere i graffi forti e decisi con cui Lynch ha scritto alcune frasi. Il percorso continua all’ultimo piano con dei video diretti dal registra, quasi sconosciuti e un’ intervista dettagliata sul suo percorso cinematografico edita da Studio Universal.

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Testo: Francesco Camporeale Illustrazione: Federico Falaschi

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Ogni anno si svolge quella che a livello europeo è una delle fiere più importanti del gioco e il fumetto... Ormai è il sesto anno di fila che decido di andare a Lucca per uno degli eventi italiani più importanti riguardanti il fumetto, il gioco e il collezionismo. Parlo del Lucca Comics, che si terrà, come sempre, fra il 30 di Ottobre e il 2 Novembre all’interno delle mura Lucchesi. Ringrazio il mio amico Luca che mi ci ha portato la prima volta e mi ha fatto scoprire un mondo incredibile, fatto di appassionati, di persone che condividono un hobby o semplicemente di curiosi che vanno a scoprire le meraviglie del gioco di ruolo, dell’illustrazione, del fumetto, del fantasy. Ogni anno il numero di visitatori è sempre più ampio, così come gli ospiti che vengono invitati a tenere rassegne, workshop e eventi. Ci sono interi padiglioni dedicati all’editoria, e chi vuole può prenotarsi un posto per avere il proprio stand e pubblicizzarsi. La visibilità è altissima, così come il passaparola. C’è un viavai continuo di cosplayer, “quelli che si vestono come al

carnevale” direbbe un mio amico, ma che in realtà sono molto più di questo. Dietro ai travestimenti ci sono impegno, dedizione, acquisizione di tecniche di sartoria e conoscenza dei materiali plastici e dei tessuti. Non mi meraviglia che chi sia bravo nel produrre questi capolavori poi venga assunto come product designer. Se ti viene fame all’ora di pranzo, c’è il ramen (quello di Naruto) venduto in vari banchini, che costa poco e ti tappa lo stomaco, così puoi proseguire il giro senza distrazioni culinarie. Ci sono così tante cose da vedere che non puoi perdere tempo per mangiare, soprattutto se vai dalla mattina alla sera e se sei in treno. Migliaia di persone spendono i propri risparmi per i propri interessi, si vede gente carica di fumetti e stampe così come di giochi da tavolo e videogame. Gente che apprezza il lavoro degli autori e lo ripaga a pieno, questo è lo spirito di Lucca-Comics che preferisco: gente che apprezza il lavoro.

P E R C H É A N DA R E A L

LUCCA

COMICS

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ASAF

HANUKA Testo: Francesco Camporeale

Illustrazione: Asaf Hanuka

Nasce a Tel Aviv nel 1974. Nel suo lavoro la componente autobiografica è molto forte; non ancora trentenne ha pubblicato, insieme allo scrittore israeliano Etgar Keret, una raccolta di storie illustrate sotto il titolo di “Streets of Rage”. La loro successiva collaborazione “Pizzeria Kamikaze” è stata nominata per il premio Eisner nel 2007 e pubblicata in inglese, francese e spagnolo. Ha un fratello gemello, anche lui illustratore, con ha collaborato a diversi progetti. Nel suo lavoro Asaf Hanuka racconta se stesso, le sue idee; a volte rappresenta piccole intuizioni, altre volte tematiche più importanti. Alcuni elementi ricorrenti sono la casa e la vita in Israele. Passa facilmente dall’ironia nell’approccio con la famiglia alla paura durante i bombardamenti e le due cose molto spesso si uniscono e ti spiazzano, soprattutto se non sei abituato a infilarti in un rifugio anti-bombardamento più volte al giorno. Poi c’è anche l’approccio con il web, la critica, l’autocritica e ovviamente l’autoironia. Con le sue metafore visive riesce a trasmettere i messaggi con una semplicità incredibile, una semplicità che nasconde un personaggio complesso, che usa il fumetto per farsi decifrare. Quando non vedi più un fumettista e un illustratore, impari a vedere il padre, le sue paure e i suoi fardelli, nascosto tra vignette in cui spiega al figlio cos’è il “nulla” e altre in cui si rimpicciolisce fino a diventare un piccolo astronauta giocattolo che vorrebbe volare via su un’astronave.

“Quando non vedi più un fumettista e un illustratore, impari a vedere il padre, le sue paure e i suoi fardelli”

ILLUSTRATORE FUMETTISTA PADRE 40 | Fegato Magazine


LET’S MIX THE

MUSIC

Il progetto BOOBS nasce nel settembre del 2014 dall’idea di tre ragazze spinte dalla passione verso musica, arte, design e intrattenimento. È nell’unione di tre visioni creative diverse che questo staff, composto da sole donne, diviene realtà, trovando la propria rappresentazione nell’ immagine ironica e accattivante del seno femminile. BOOBS è un vero e proprio simbolo dello spirito con cui Caterina, Giulia e Zoe si sono lanciate nel mondo dell’organizzazione di eventi: osando, sperimentando, ma soprattutto non cessando mai di aprirsi a nuove forme di creazione e comunicazione. Tutto questo è andato ad intrecciarsi con la volontà di dare alle persone serate che abbiano come punto di partenza la musica, grande strumento di intrattenimento, e nello specifico, le infinite possibilità che la musica, nella sua sconfinata varietà di generi, offre. Quando poi i suoni si collocano all’interno di un ambiente performativo e interattivo, dove ciascuno contribuisce a costruire la serata, divenendone parte attiva, il gioco è fatto.

Testo: Caterina Lupi Illustrazione: Luigi Coari

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Testo: Oana Cilibiu

OD Magazine è la nuova avventura di Moda, Arte e Design che vede la collaborazione tra Daria Cimoroni & Oana Cilibiu. Da autentiche figlie dell’era digitale (si sono conosciute tramite Skype!), le ragazze hanno sfruttato al meglio le rispettive esperienze personali e professionali dando vita a OD Magazine all’inizio del 2014. Oana aveva una solida esperienza come blogger e cool-hunter grazie al suo blog avuto in precedenza, mentre Daria si era costruita una più che rispettabile e rispettata reputazione da Stylist operando continuamente tra Milano e Roma. Questa commistione di personalità e capacità complementari ha prodotto un progetto digitale unico nel suo genere. Infatti, OD non è un mero Fashion Magazine per IT girls e Fashion Victims. Piuttosto, è una culla che alleva e mette in mostra esperimenti di Design, Arte e Video realizzati non soltanto da talenti emergenti e da personalità già riconosciute ai massimi livelli, ma anche da Daria e Oana in persona. Lo spirito di OD è mixare moda, design e arte, gli streetstyle più cool raccolti durante le Fashion Weeks in giro per il mondo, il globe-trotting infaticabile

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Foto: Michele Saint Michel

di Oana e Daria e gli shootings realizzati da fotografi universalmente celebrati che operano in ogni campo dell’arte. In questi progetti, le ragazze collaborano personalmente con marchi di moda selezionati - utilizzando i loro capi per editoriali di moda invariabilmente per riviste emergenti e già rogate. Lo scopo di OD è promuovere l’idea della versatilità delle forme e dei concetti. A tal fine, OD si concentra a supportare i talenti emergenti che contribuiscono ad infrangere le rigide barriere del Fashion Business e che abbracciano visioni innovative sul futuro della moda - come è nel DNA di OD. Questo progetto crede fermamente che il Fashion System non fa affidamento (né può farlo) su di una singola, immutabile idea estetica. Piuttosto, si compone di tante definizioni e rappresentazioni di stile quante sono le idee a riguardo di ciascuno di noi. E’ nell’intersezione di questi diversi gusti, opinioni ed azioni quotidiane che si realizza la bellezza. Ed è esattamente questo che OD Magazine si sforza di raggiungere, con umiltà e passione ogni giorno.


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Testo: Federico Falaschi Illustrazione: Lorenzo Farris Grafiche: Vanessa Farano

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Il tempio del vino bolognese

OSTERIA SOLE

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elle arterie del centro di Bologna, vicino piazza Maggiore, tra le pellicce delle signore in Strada Maggiore e le scarpe in pelle lucida dei signorotti in via degli Orefici, pare strano ma in una di quelle viuzze pulsa un cuore che da ben cinquecento anni fornisce ai residenti di Bologna e forestieri buon vino ad un ottimo prezzo. Sì, avete capito bene, cinquecento anni, e non sto parlando di un’enoteca snob, dove quando si sceglie un vino ci si deve accertare dell’espressione del commesso che ci conferma sempre col suo ghigno la nostra in materia. No, sto parlando di un’uscita di emergenza dai pidocchi rivestiti di centro città dai pidocchi dei cani dei punkabbestia di via Zamboni. Qui si respira Bologna, quella vera. Ogni persona che ha il coraggio di togliersi la pro-


«VIETATO L’INGRESSO AI CANI CHE NON BEVONO VINO O BIRRA» pria maschera dopo una dura giornata di lavoro o di studio, davanti ad un bel gotto di vino a fianco a qualche buon amico, qui, è il benvenuto. All’Osteria del Sole non vi è una vera e propria insegna, se non una lanternina assai anonima poco illuminata la sera ma che coglie nel segno l’essenza del locale con su scritto “vino”. Venendo da piazza Maggiore, dirigendosi verso via delle Pescherie Vecchie, a un tratto, sulla sinistra c’è una ressa di persone (a tutte le ore ma soprattutto in orario aperitivo), quello è vicolo Ranocchi: lì c’è l’ultra centenaria Osteria del Sole. Precisamente questo santuario del vino, che pochissime città vantano di avere, affonda le proprie radici nel lontano 1465. Come scrive Alessandro Molinari nel libro “Bologna tra osterie e storia”: «Per l’antica Bologna ha significato espresso, indicato la necessità di fermare, anche per pochi attimi le sudate faccende; di riposare il corpo e la mente, d’ac-

compagnare i rapporti umani col dialogo, il silenzio, l’ascolto, la riflessione. Proprio lì, nel cuore del mercato, il portone aperto, la vetrata spalancata, tavoli lunghi paralleli alle pareti, panche e seggiole impagliate capaci di nascondere l’età, accoglievano disponibili chiunque entrasse. La scusa, si sa, avrebbe suggerito un bicchiere di vino…» Osti amichevolissimi, pronti a dare consigli, a patto che non li scambiate per emiliani…loro sono romagnoli! Non fatevi fregare dal nome “osteria”. Qui non si mangia, qui i beve, ci si siede, si parla e se si vuol mangiare ci si porta da casa o si prende da qualche bar limitrofo (ho visto entrare di tutto lì dentro). Per i lettori toscani, non andate lì a fare i saccenti e bere vino toscano. Il chianti che propongono è senza dubbio buonissimo ma il sangiovese romagnolo è filologicamente più corretto oltre che km 0.

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Il Matitone è un grattacielo da Skidrome, Owings & Merril, M. Lanata e A. Messina. Adibito a centro direzionale, situato nel quartiere di S.Teodoro, zona S.Benigno in prossimità del casello autostradale Genova-Ovest.

Il Bigo (tipica gru portuale genovese) è una struttura architettonica presente nel Porto Antico di Genova progettata da Renzo Piano. È un’attrazione turistica: possiede infatti un ascensore panoramico che ogni anno attrae molti turisti.

La cattedrale metropolitana di San Lorenzo è il più importante luogo di culto della città, situato nel centro storico genovese.

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LE TAPPE OBBLIGATORIE DEL CAPOLUOGO LIGURE


GENOA DISCOVER Testo: Federico Falaschi Illustrazione: Francesco Senarega

Il Mare è la solita brodaglia come nelle altre grandi città portuali, comunque rimane un elemento suggestivo per dare adito al proprio lato romantico.

La Lanterna Oltre che strumento indispensabile alla navigazione notturna delle navi in entrata ed uscita dal porto, è anche il monumento simbolo cittadino, quasi un totem alla genovesità, e come tale fa parte della storia della città. Il teatro Carlo Felice, posto a lato di piazza De’ Ferrari, è il principale teatro genovese e uno dei più noti in Italia. Vi si tengono la Stagione d’Opera Lirica e Balletto e la Stagione Sinfonica.

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E R A D N A O V E L VO S E L L E X U R B A VIVERE A BIATO IDEA MA HO CAM pire come per cercare di ca a lg Be le ta pi ca lla

Cinque giorni ne

rtopassi Testo: Lucrezia Conce sco Senarega Illustrazione: Fra

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si vive davvero.


Bruxelles. Capitale del belgio e dell’intera Europa. 166 497 abitanti di cui, almeno 166 492, provengono da altre nazioni. Un mix di culture, abitudini, lingue e usanze da cui se ne esce rimbambiti e senza avercI capito davvero qualcosa. Tante etnie. Tutto e niente. Troppo e troppo poco. Un pò come l’architettura che la caratterizza: dallo stile Art Noveau di Victor Horta al modernissimo e bizzarro Atomium. Ma aldilà che non esiste una lingua propria, un piatto tipico (se non coni di patatine firitte ben due volte) è una bella città. Piccola, così piccola che su 5 giorni ci siamo permessi di dedicarne 1 a Bruges, ad un’ora di treno dalla capitale. Ma torniamo a Bruxelles. Se hai meno di 26 anni e sei uno studente, tutta la città ti sorride. Hai diritto ad uno sconto del 10% in quasi tutti i punti ristoro e nei negozi di abbigliamento e puoi vederti l’intero Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique (più il museo del celebre artista autoctono, René Magritte): uno straordinario edificio che ospita 20.000 lavori d’arte tra dipinti, sculture e disegni, dislocati fra Museo d’Arte Antica,

Museo d’Arte Moderna, Museo Wiertz e il Museo Meunier. Tutto questo con soli 3euro e ne vale davvero la pena. Con gli stessi soldi si può decidere anche di mangiare un delizioso e calorico waffel, lo street food più gettonato, insieme al cono di patatine. E mentre si cammina per le strade, cercando di schivare bottiglie vuote di birra e sacchetti di plastica a terra, se si alza il naso può capitare di imbattersi nei caratteristici murales a fumetto. Se il vostro fumetto preferito è TinTin preparatevi a spese folli (perfino il sacchetto di alcuni supermercati è una deliziosa shopper raffigurante il giovane investigatore) oltre agli infiniti gadget che si possono trovare nello store ufficiale, appena dietro la Grand Place. Ma attenzione! Il celebre personaggio di Hergé, ha anche un museo tutto suo che però, si trova in un’altra città. Nel museo del fumetto,

atore non c’è quasi traccia ma si possono trovare altri celebri personaggi come i Puffi, Spirou e Lucky Luke. Anche se questi 8euro valgono di più per l’edificio stesso: un celebre esempio di Art Noveau, ovviamente firmato Victor Horta. Se vuoi calarti nella vera vita del pensionato Belga, fatti una bella passeggiata fino a “Place du Jeu de Balle”, dove, ogni week-end mattina, si sistemano gli “svuota-soffitte” con il loro bottino. Oggetti veramente di ogni genere (dalle ceramiche pregiate a taniche di detersivo per piatti) a prezzi bassissimi ( alcuni “banchi” vendono tutto a 1 euro ed è facile barattare per i prezzi più alti). Armatevi di tanta pazienza ed una mascherina, se siete allergici alla polvere, e non è da escludere il vero affare! Anche se più da turisti, e meno da cittadini originali (sempre che ce ne siano davvero), è d’obbligo una visita all’interno delle 9 palle di

acciaio, rappresentanti gli atomi di un cristallo di ferro. Una struttura a dir poco assurda che ci regala una splendida vista sulla città e, in alcuni periodi, delle interessanti mostre. Intorno all’Atomium si estendono parchi verdissimi e il celebre Palazzo dell’Esposizione, usato tutt’ora per le grandi fiere. Bruxelles ha tanto da offrire in realtà ma è poco valorizzata. Gli splendidi bistrot, i negozi di vintage e antiquariato, oltre a quelli dedicati agli oggetti dallo splendido design nordico, semplice e pulito. Le architetture Art Nouveau e gli edifici fiamminghi della Grand Place. Esattamente come chi la abita, un mix di stili, sensazioni, odori e lingue. O la si odia o la si ama. E anche se a prima vista, non rispetta le nostre aspettative, forse merita una seconda chance.

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PARIGI Una storia d’amore infinita

“Ci sono solo due posti al mondo dove possiamo vivere felicemente: a casa e a Parigi”. Questo lo diceva Ernest Hemingway. Non a caso Parigi è sul podio, al terzo posto come città più visitata al mondo. I suoi palazzi fin de siècle dalle grandi finestre luminose e dai tetti verde rame che si incastrano come pezzi di puzzle creando una texture fantastica da cui ogni tanto fa capolino un grande monumento; i bistrot, con i suoi piccoli tavoli affacciati su i marciapiedi; il profumo del pane fresco che esce dalle Boulangerie. E camminando per il centro, che sia notte o giorno, ci si sente subito catapultati in un’altra epoca, proprio come nel film diretto da Woody Allen, “Midnight in Paris”, quando allo scoccare della mezzanotte una Peugeot Type 176, trasporta il protagonista fra le epoche di Toulouse Lautrec e Picasso. Visitare questa città per la prima volta significa innamorarsi per la prima volta. La città è veramente molto

grande e le attrazioni sono ben disseminate fra loro. Parigi è un vero e proprio “melting pot” di cultura che non perde mai identità, che è la cosa più importante. La torre eiffel, tanto odiata dai cittadini ma divenuta simbolo della città, merita una visita sia di giorno che di notte. Se volete scattare una foto che contenga tutta la torre non vi resta che dirigervi verso il Trocadero dove potrete gustarvi anche una succulenta crepes. Se avete un intero pomeriggio a disposizione, amate l’arte moderna e contemporanea e fuori piove o tira vento, c’è solo l’imbarazzo della scelta! La prima domenica del mese i musei sono gratis ma se siete studenti avrete comunque libero accesso o delle sostanziose riduzioni. Potrete rifugiarvi alla vecchia stazione dei treni: il Museo d’Orsay o all Centre Pompidou., noto anche come Beauburg.A questo punto non vi resta che deliziarvi con un’ottima cucina francese in qualche bistro o passeggiare lungo la

La città eclettica che da secoli incanta e continua ad incantare chiunque vi capiti 50 | Fegato Magazine

Senna fino a raggiungere Notre Dame, senza dubbio la più bella cattedrale gotica al mondo nonché la più famosa, situata sulla Ile de la Cité, l’isola fluviale parigina. Per una vista mozzafiato invece vale una salita di 300 scalini ripidi e stretti (o se preferite la funicolare) per arrivare fino alla bianca basilica del Sacré Coeu. Da questa collina è possibile vedere gran parte della città. Se non siete ancora sazi di cultura e arte la tappa obbligatoria è chiaramente il Museo del Louvre. Merita una visita anche solo per l’esterno: il museo è ospitato nel Palais du Louvre, l’ex sede dei reali francesi, situato nella sponda destra della Senna tra i Giardini Tuileries e la chiesa di Saint-Germain l’Auxerrois. vo ingresso al museo. Il consiglio è quello di scegliere in partenza un percorso nei 70.000 metri quadrati di esposizione, per ottimizzare il tempo e non stancarvi troppo. Sarà un ulteriore pretesto per tornare e scoprire nuovi settori del museo. Dalla collina di Montmartre è possibile vedere gran parte della città. Se non siete ancora sazi di cultura e arte la tappa obbligatoria è chiaramente il Museo del Louvre. Merita una visita anche solo per l’esterno: il museo è ospitato nel Palais du Louvre, l’ex sede dei reali francesi. Forza, munitevi di maglia a righe, basco e baguette sotto braccio e si parte!


è la cosa più importante. La torre eiffel, tanto odiata dai cittadini ma divenuta simbolo della città, merita una visita sia di giorno che di notte.

Se volete scattare una foto che contenga tutta la torre non vi resta che dirigervi verso il Trocadero dove potrete gustarvi anche una succulenta crepes. Se avete un intero pomeriggio a disposizione, amate l’arte moderna e contemporanea e fuori piove o tira vento, c’è solo l’imbarazzo della scelta! La prima domenica del mese i musei sono gratis ma se siete studenti avrete comunque libero accesso o delle sostanziose riduzioni. Potrete rifugiarvi alla vecchia stazione dei treni: il Museo d’Orsay o all Centre Pompidou., noto anche come Beauburg.A questo punto non vi resta che deliziarvi con

un’ottima cucina francese in qualche bistro o passeggiare lungo la Senna fino a raggiungere Notre Dame, senza dubbio la più bella cattedrale gotica al mondo nonché la più famosa, situata sulla’ Ile de la Cité, l’isola fluviale parigina. Per una vista mozzafiato invece vale una salita di 300 scalini ripidi e stretti (o se preferite la funicolare) per arrivare fino alla bianca basilica del Sacré Coeu. Da questa collina è possibile vedere gran parte della città. Se non siete ancora sazi di cultura e arte la tappa obbligatoria è chiaramente il Museo del Louvre. Merita una visita anche solo per l’esterno: il museo è ospitato nel Palais du Louvre, l’ex sede dei reali francesi, situato nella sponda destra della Senna tra i Giardini Tuileries e la chiesa di Saint-Germain l’Auxerrois. vo ingresso al museo. Il consiglio è quello di scegliere in partenza un percorso nei 70.000 metri quadrati di esposizione, per ottimizzare il tempo e non stancarvi troppo. Sarà un ulteriore pretesto per tornare e scoprire nuovi settori del museo. Hands U p

“Ci sono solo due posti al mondo dove possiamo vivere felicemente: a casa e a Parigi”. Questo lo diceva Ernest Hemingway. Non a caso Parigi è sul podio, al terzo posto come città più visitata al mondo. I suoi palazzi fin de siècle dalle grandi finestre luminose e dai tetti verde rame che si incastrano come pezzi di puzzle creando una texture fantastica da cui ogni tanto fa capolino un grande monumento; i bistrot, con i suoi piccoli tavoli affacciati su i marciapiedi; il profumo del pane fresco che esce dalle Boulangerie. E camminando per il centro, che sia notte o giorno, ci si sente subito catapultati in un’altra epoca, proprio come nel film diretto da Woody Allen, “Midnight in Paris”, quando allo scoccare della mezzanotte una Peugeot Type 176, trasporta il protagonista fra le epoche di Toulouse Lautrec e Picasso. Visitare questa città per la prima volta significa innamorarsi per la prima volta. La città è veramente molto grande e le attrazioni sono ben disseminate fra loro. Parigi è un vero e proprio "melting pot" di cultura che non perde mai identità, che

Testo: Lucrezia Cortopassi Illustrazione: Hands Up


BLACK DAYS Foto di Gabriele Ciregia

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DA GUARDARE

«...un’enorme maratona, che nel mettere in campo i più grandi prodigi della tecnica tutti nello stesso istante...»


E’ facile trovarsi spiazzati di fronte ad un film come Birdman. Questo perché lo si vive tutto d’un fiato, senza interruzioni, quasi senza respirare. È un po’ come un’enorme maratona, che nel mettere in campo i più grandi prodigi della tecnica tutti nello stesso istante, per un po’ ti lascia lì, senza che ci sia veramente il tempo di capire cosa stia succedendo. Ma andiamo con ordine. Michael Keaton è Riggan Thomson, un attore di Hollywood divenuto celebre grazie ad un supereroe di nome Birdman (esattamente come Keaton con Batman), che decide di riscattarsi rilanciando la sua carriera con una pièce teatrale a Broadway adattata da Raymond Carver. Alejandro González Iñárritu, che i più ricorderanno per gli incredibili 21 Grammi e Babel, anche lui in cerca della ribalta dopo il poco apprezzato Biutiful, decide di raccontare i tre giorni che precedono la prima dello spettacolo di Riggan nel modo più folle e ambizioso che ci si possa immaginare. Il film è infatti un collage di lunghissimi e sbalorditivi piani sequenza messi insieme con alcuni trucchi di montaggio per farli sembrare parte di un’unica ininterrotta ripresa. Ben lontano dall’essere un virtuosismo fine a sé stesso, ciò che stupisce di questa scelta è proprio la sua funzionalità all’interno del racconto. Mai fino ad ora infatti si erano visti rappresentati in modo così realistico l’adrenalina, la tensione e la follia generati dall’attesa di un evento di questo tipo. Anche perché Riggan, nel portare a termine la sua corsa contro il tempo e imbattendosi di volta in volta nei vari personaggi, tra cui spiccano un incredibile Edward Norton e un ritrovato Zach Galifianakis, non ha mai un attimo di tregua, non si ferma praticamente mai. E sotto una colonna sonora caratterizzata (quasi) interamente da un lungo assolo di batteria al cui ritmo si scandiscono i movimenti di tutta la storia, Birdman più che un film diventa una gigantesca coreografia registica e attoriale senza precedenti nella storia. Non c’è il montaggio a mettere in salvo da possibili errori di fotografia o di recitazione, c’è soltanto la performance vera, diretta, nuda e cruda della realtà. Perché, come dice Iñárritu, a non avere alcun tipo di montaggio è la vita stessa. Birdman non è un film per chi è in cerca di grandi emozioni che non siano estasi o ammirazione profonda per ciò che si ha di fronte. È, nel peggiore dei casi, un divertimento di cui chiunque può godere senza limiti di sorta, un po’ come salire sulle montagne russe, basta lasciarsi andare.

Testo: Victor Musetti

Illustrazione: Luigi Coari

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CARTOCCIO DI BRANZINO ALL’UVA FRAGOLA Aromatico e fruttato, il cartoccio di branzino all’uva fragola è una preparazione semplicissima che garantisce una resa preziosa e scenografica. Le carni delicate e sode, rese più tenere dal burro, incontrano la nota dolce e asprigna dell’uva ricreando una suggestione gustativa leggermente muschiata, inebriante e persistente, da osare in abbinamento con un vino rosso fruttato.

Preparazione:

Preriscaldate il forno ventilato a 200°. Pulite i branzini, asciugateli e disponeteli su due rombi di carta da forno su una teglia. Farcite ciascuno con 3 rondelle di cipolla, 5-6 chicchi d’uva fragola e 2 o 3 fiocchetti di burro. Insaporite i branzini cospargendoli con il restante burro, sale, pepe macinato e erba cipollina, e disponetevi intorno un paio di manciate di chicchi d’uva. Chiudete accuratamente i 2 cartocci e cuocete in forno per 20 minuti. Aprite il vostro cartoccio di branzino all’uva fragola direttamente in tavola. Bon appétit!

Abbinamenti

Opera d'arte: Giovanni Boldini La signora in rosa, 1916 Libro: Sfumature di gusto in rosso di Cinzia Donadini e Fausta Labagna, Viaggio: San Sebastián 62 | Fegato Magazine

www.lasalsaaurora.com Illustrazioni: Francesco Camporeale

Ingredienti per 2: -2 branzini freschi puliti da 200/300 g l’uno -1 grappolo di uva fragola -mezza cipolla di tropea -2 noci di burro -20 fili di erba cipollina -sale, pepe verde e rosa


NOTE





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