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a radice più antica del sapere è il mito: un racconto allegorico in cui gli attributi inconciliabili della psiche umana si incontrano in una realtà che parla per simboli. L’ idea di chiamare “fegato” questa rivista sta nell’ importanza che questo ogano riveste per la sopravvivenza dell’ essere umano, non solo da un punto di vista medico, ma anche metaforico. Infatti il fegato gioca un ruolo di primo piano nel disintossicarci dalle scorie o dalle tossine introdotte nell’organismo tramite l’alimentazione, l’inquinamento o i farmaci. E’ quindi un filtro, un elemento di separazione e di comunicazione al tempo stesso fra i molteplici bisogni di un organismo. Non a caso Giove ordina che un’ aquila divori ogni giorno il fegato di Prometeo come punizione per aver donato agli uomini l’ illuminazione del fuoco della coscienza: lui è stato, del resto, il punto di contatto tra il divino e l’ umano, il filtro. Pronto a ricrescere ogni notte (come del resto fa realmente se pur con ritmi diversi) quest’ organo è la sede metaforica del coraggio, il luogo in cui l’ azione sublima la paura: ci vuole fegato, si dice. Eh sì, ci vuole fegato per fondersi nella reazione quotidiana che avviene tra il nostro cuore, sede delle passioni, e il nostro cervello, sede del pensiero raziocinante. Ci vuole fegato per intraprendere la strada del donarsi, del dedicare il proprio lavoro al miglioramento di una società, ma è proprio questo che fa un designer, un buon designer. Non progetta oggetti, immagina un presente possibile differente da quello in cui vive, per poter attuare sempre di più l’ immagine irraggiungibile del futuro. Un designer è egli stesso un progetto, un filtro che nei limiti del possibile gestisce le tensioni e le aspettative che gli uomini proiettano sul mondo per forgiare una società secondo il bisogno. Per questo motivo Fegato è il nome di questa rivista, perchè per rigenerarsi è necessario affrontare le domande più insidiose, quelle rivolte a se stessi: qual è l’ identità di un designer oggi? Esiste ancora in forma tangibile e circoscrivibile? Qual è l’ aquila che divora il nostro fegato? Siamo consapevoli che non esiste una risposta definitiva alla propria identità in un universo mutevole, ma è nel viaggio che si compie che sta il senso di quello che siamo. E’ nelle scelte compiute durante la progettazione che nasce il progetto ma soprattutto il progettista. E noi abbiamo abbastanza fegato per intraprende re il viaggio: prima che un’ opportunità fisiologica diventi una patologia sistemica.
UNA QUESTIONE DI FEGATO
SOMMARIO Pag. 6 TODAY
FUT DOCENTI URO STUDENTI e
Qual è la nosta forma?
EXTRA
FUORISIA
INFIAMMABILE Un confronto tra chi sa e chi fa
ART URBANO
Fatti di cronaca finlandese
Bianco e Patate
DESIGN
L’oggetto del mese
AW 2013 Collection
ISIOTI
RELAX
FE IR F Z EENRZIE N
RELAX FORCHETTE PARLANTI
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ipercorrere in maniera sintetica l’ evoluzione delle scuole di design dalla loro nascita non è lo scopo primario di questo articolo, eppure diventa necessario accennare alle tappe fondamentali di queste istituzioni per capire il senso della crisi di identità delle scuole di design di oggi, in particolare di quelle statali che ben difficilmente riescono a nascondere tale questione, cosa che invece può accadere per gli istituti privati che ristrutturano la propria “corporale image” dietro ai grandi finanziamenti, salvo poi scoprire che navigano nelle stesse acque: quelle che separano il mondo della pura didattica dal lavoro. Senso di identità, dunque! I primi tentativi di dare una formazione a chi intendesse affrontare il mondo (e il modo) della produzione di oggetti in senso lato risalgono a Morris che a seguito della prima grande esposizione del 1851 diede vita ad alcuni laboratori! L’ idea fondante era la riproposizione di un modello di produzione legato alla realtà medievale della bottega artigiana, unitamente alla visione che sosteneva un necessario ripensamento degli oggetti tipici della vita di metà ottocento. Recupero della tradizione e innovazione, la formula sembra sempre la stessa e le sue potenzialità sono praticamente inesauribili. Per loro la questione era ancora aperta ma tentarono di dare soluzioni in termini di progetto a tutte quelle realtà legate al mondo produttivo che stava subendo di lì a poco la seconda rivoluzione industriale. Già dai suoi esordi quindi il design non ha avuto vita facile: si è trovato a dover fare i conti sugli aspetti essenziali della didattica all’ interno di una scuola: perchè la creazione di un prodotto è legata allo sviluppo di un progetto, a sua volta vincolato in parte dai bisogni delle persone che vivono nella realtà. La prima dicotomia quindi nasce proprio dal distacco che esiste fra la teoria di cui vive un progetto e la dimensione pragmatica di un oggetto. Gli esperimenti successivi a quelli di Morris furono portati avanti da Muthesius e Behrens. Il loro contributo fondamentale riguarda la riforma delle accademie delle scuole tedesche sulla base di pochi e tutt’ ora validi principi: le scuole devono essere dotate di laboratori, la docenza non è un’ attività di pertinenza dei soli professori ma anche di quegli artisti ed esperti del settore che possono contribuire ad arricchire la formazione degli studenti, la produzione artigianale e quella industriale devono al tempo stesso coesistere oltre che dar vita un sodalizio efficace. Data di svolta della questione è il 1919: nasce il Bauhaus.
FUT URO INFIAMMABILE
...se la creatività e l’ intelligenza progettuale non sono in grado di ripensare da capo un’ università per creativi allora è inutile andare a proporre la creatività stessa come deus ex machina ai nostri futuri clienti. La creatività è una di quelle parole di cui tutti intuiscono il senso o può trasformarsi in una chimera per il nostro futuro?
All’ interno del Bauhaus vive la grande visione di Gropius: la multidisciplinarietà di una didattica orizzontale che parte dai fondamenti delle materie artistiche fino ai laboratori più specialistici. Ma anche lo stravolgimento del rapporto tra maestro e allievo e, infine, il contatto con la realtà produttiva al servizio del sistema dei bisogni di una società locale e anche nazionale. Per Gropius quindi era di importanza assoluta una piattaforma di formazione fortemente differenziata. Fanno seguito alla scuola del Bauhaus alcuni esperimenti importanti e ormai divenuti veri e propri Case history: la scuola di Ulm e la più vicina ISIA di Monza, fondata nel 1922. “L’ ISIA era stata costituita dal consorzio dei comuni di Monza e di Milano e dalla Società Umanitaria, basandosi sul principio che individuava nell’educazione e nell’apprendimento di un mestiere i principali strumenti per l’elevazione sociale dei meno abbienti; nei fatti quindi una sorta di università di arti decorative con lo scopo di formarvi, tramite l’artigianato, dei professionisti nell’arte. L’ISIA oggi è, o dovrebbe essere, un laboratorio di ricerca fondato su un modello didattico innovativo, il cui fine principale è quello di produrre un costante aggiornamento dei saperi e delle competenze c!he adegui la formazione del design ai mutevoli scenari della società contemporanea. Ma se da un lato abbiamo avuto più di un secolo e mezzo di evoluzione di scuole di design, dall’ altro abbiamo i prodotti più rappresentativo del design mondiale del secolo scorso: potremmo citarne molti ma il punto è che non tutti sono stati progettati da designer, ne da studenti di design: basta pensare alla 500 (Giacosa), alla macchinetta del caffè Bialetti, alla Vespa (D’ascanio) . Questo è per dire che parallelamente alla didattica e alla formazione esiste comunque l’ iniziativa del singolo che, dotato di mezzi e ingegno, si propone di realizzare un manufatto o un prodotto (reale o virtuale) che soddisfi un certo bisogno. Anche chi non ha frequentato una scuola vera e propria capisce l’ importanza di saper intercettare i bisogni, i comportamenti, e le dinamiche sociali. Ecco quindi che in una scuola contemporanea diventa vitale, come per lo sviluppo di una cellula, l’ ambiente da cui riceve una parte della sua identità. Perché l’ imprinting e l’ innatismo sono essenziali ma non è facile pensare ad una scuola avulsa dal tessuto sociale delle realtà contemporanee! Come tutte queste istituzioni, insieme all’ attività di singoli individui, hanno preso vita, da metà ottocento in poi, è materia di studio per noi studenti di design, soprattutto perchè da ciò si intuisce la necessità di adattarsi al contesto contemporaneo e l’ importanza di essere dotati di intrinseche qualità di immaginazione per un presente alternativo, ben piu vicino e faticoso di un futuro di fantasia! Non esistono ricette per un evoluzione continua del sistema di formazione di un designer, questo è palese. Ma proviamo un attimo ad essere conseguenti...
di F. Falaschi, F. Punzo, G.Ticci, V. Rugi
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DOCENTIe STUDENTI
Un confronto tra chi sa e chi fa
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Un’opinione chiesta direttamente a chi costituisce la nostra scuola, ossia docenti e studenti. Abbiamo fatto loro tre domande, a tutti le stesse: “Quali sono i punti fondamentali di una scuola di formazione nell’ ambito del design?”; “Come si puo coinvolgere il bacino artigianale e industriale di una regione in cui vi è una scuola di design, dando una formazione adeguata?”; “Elenca tre aspetti nuovi che vorresti per una didattica di design nella scuola del futuro e tre aspetti del passato da preservare ?” L’intento è quello di porre domande che forse l’Isia come istituzione non si è mai posta e valutare risposte che servirebbero per una scuola di progettazione al passo coi tempi.
fessore o r p , i l l e Fum Francesco 8
ssore e f o r p , i c s ini Angelo M
egnare ionali. Ins s s fe ro p ula cenze ersi curric n corpus di conos iv d e i v o nu e. Una re u Formare gettazion ca accetta ro ifi p n i ig d s o i ra s g ltu ucono og stes il design ervono cu a che si trad me processo s i l e a n n ti io a io z z g a a le n rm ti co di progett gie di buo e strumen mbiamenti e trasfo ra più importanti, ona scuola design, metodolo a o u c c b rami n g a d a n a ro li u a p m r Pe gam fession tico, la ore del a ro tt p e rm s ti l le fo n e b e n in m di un pro generale t, il design in orienta posizione ne e nagemen odesign. m io a o z c a m s tt e n e e g ig s n pro ca negare l’ec il de cazio ma signifi ssivi. La l design e triale di pianifi te e s is à d u it -s e d c o n a in tt p io e o a z C ale rod ma ucce ei o artigian gica del p risultato di passi s d lesso. in lo p o c i quali a a m rn v b o o te c il u n a n m La li all’i o è il attraverso n’ivolgere ia tt ti tr o in e u s d o b e u c ri d ro d r n tt p e in a p ie il u / i Il modo rtigianali e” all’interno di az ssumono l’idea che na serie d le realtà a fatta da u g tà stessa a tore. . è re ta ie le s c à ra “ o ta lt i s g n a d e te la i re n ll e a è sua ascim ode questione ciso per il consum etto di ttega” rin onoscenze e ressati; m re rodotto in sp p corsi inte modello della “bo p a c il to i, n a g u c g i d ifi ia sign quin ul ltà etto v s n a ta i p u s n n re e a e di proia i re iv tà ig lt m d ti a rt n a a de con iend inamiche futuro z to l d a n e l’ o le d a fr n e la o c n tr c o o a lu c u o ette in in ativ enti; Per la sc Il rapport er mettere a questi aspetti e m gida più frequ contaminazione cre p e ti n rt e fo m e a ri aggiorn interazion rmazione che colg mondo; sia meno alia e nel fo . rità credo atto. k a a c n n a li U b . ip il o c i s is s g simili in It di ordine diverso e ce rd azioni in che privil o. che la sua inte nto: non e trasform ce anche rs scuole an manere una scuola al freddo tecnicism e lu iv d con un pu e ll te a n e e ri o il o tt m e e ib m s p lc op ma p ris Dobbia e più fles ondo sem autocad e photosh culturale p / s o c ri i ri tt o e te p s i in ltura del ground Dei tre a rmi espert con una ottima cu fo ... e h c la strumenti una scuo he formi persone usare gli e re c e d la n o una scu di compre e capacità o tt e g ro p
ente. d u t s , i h c s Fala Federico
ntessa. e d u s , i s s ortopa Lucrezia C
ll’ azione ne rm fo i d la uo di una sc e si crea amentali titività ch e d p n ge a fo m o ti c n I pu che ti spin i e sono la e n à ig lt s a e d re a l / c e contentars e ola classe on deve s r ambito d i una picc re meglio senza ac e cellenza n d c p e o i, i g rn arsi all d g e te o n n all’i o aggiorn quanto , semp ettazio g u r iù e n ro p p l ti i p , a n i d a o o c d c ti re ic fis ramente La scuola icismo e nella pra fare semp delle prime idee; il pproccio rodotti ve a p n u re re a o e n i re v c m c a rs i te ei hia ve dere nel innamora logie per cercare d ”.La conoscenza d i, rivendic ero progettista de d n fo i d o te a ra v n n ve e il bie iò che mancanz ultime tec nvinto ch , perché la che un “salva am a del design e di c ha o le c e i ra o v u n ti lt o a S u v . c progetto o la stori enza. Si utili, inno anistica e tto. Credo hanno fatt ome punto di part asomai azione um sta nel metaproge e h c rm i fo d o a c ri n ...c u pe ati tto tto e di più ntrassegn un prodo lità i o tu a c d u ià o q tà g n li e n o a ir a u m h q li ! forn bia quello di , oggi. Ab uel che c’è! ssa bastare e di iale di a copiare punto po elle aziende non è o sulla formazion q d re e industr ra o le li a n o ig d d ia ic n m e n ig n te o u s ve iano e he l’ Il vero fi dobbiam olgere il bacino art tria, artig s n futuro in re profitto credo c he con u u i d s in ir v a u in fr tr anto ci c ene e di cos Si puo co con l’interazione riori in qu p nti pubbli solo di ott e a a io li e z m g ir a , e e n ti n d e is rm v to fo ee in cirprogett una regio ign dovrebbe av l’interven buone id tentare la ento. n o re o e n s c o r s c s e s a i e i ò C d d u i i. erc dim giuste pe finta modo p scuola d o appren te da perd con le tecnologie nti fanno n e , im ie s a m ro s n b a ia b tu a z e m h n fu d a e il del te e ” si dei fin nessuno uesta trarn ovità per la scuola pecializza piccolo progettista cino e s q e e n a o c i li rs d b e ne pub colo e p da parte a le tre n he ogni “ i di carton a o to riguard zione di workshop le; la seconda è e. Credo c mputer, i prototip rl a z otteg z li a Per quan a o re il co rta della b anizz re scu re o e lt rg p a d o a i c n l’ ll d è ta re a e is a p , re d la prim ttica e a scuola buttare a bussa . meno ase ella propri rza ed andare che della fabbrica la li schizzi studenti d gli stage in maniera cosa da fare”; la te ente un’ a g to s lm o a tt ri iu te p a a a la m tt re n o i e a u u e z g z “ c z li rr s a ro vo rea zati erl ip oragin di una del futuro osizione dei lavori venti i non rend azione pubblica d a d ic ro tt e a v id v cata, o la form Nella d e propri e ata all’esp soldi per cio dedic lavacreare veri sa avere uno ifi le r d i, te ’e d o ll p to e è stanziare s e d u v terrei le c cui si pos classi, do nicaacqua. alle varie rmazione zione. esterno in i in mostra, comu fa un po’ d fo o i c to e li n b rr ta b te i u n p chia un e metters ria che og Della vec aperti ad ioni, idee la segrete in e i p s o s i e d g i io o gne c scamb allery. re. Una g
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Qual è la nostra forma? Sembra difficile collocare la cultura del Progetto nel panorama educativo/formativo universitario italiano perché è un ambito disciplinare che opera, ricerca e sperimenta nella società e per la società con un approccio fortemente umanistico e una sensibilità artistica servendosi di conoscenze teoriche scientifico-tecniche. Ogni studente di progettazione definisce studiando e lavorando il proprio linguaggio e il proprio percorso. Ci sono strade affini, ma non ci sono strade canoniche. A differenza di quello che si crede, il nostro percorso di studi non è professionalizzante: è formativo e mostra quanto versatili siano le facce della Progettazione. Gli stessi fondamenti teorici ed esperienze progettuali portano gli studenti a realizzare prodotti concettuali e materiali totalmente differenti. La nostra condizione però è sempre la stessa: siamo in fase di modellazione e alla ricerca costante di una forma. Una forma per noi stessi come studenti, come persone, come cittadini, come progettisti. Una forma per le nostre idee, una forma per le idee che ci commissionano. Una forma per il nostro futuro. Ciò che continua a stupirmi e persuadermi della cultura del Progetto è che non cerchiamo quasi mai una forma statica, lavoriamo per raggiungere varie forme... ma siamo consapevoli che siamo alla ricerca di “forme elastiche”: prendiamo e diamo forma come fa una ballerina con il suo corpo in movimento, non cerchiamo la forma immobile di una statua. E questo non è forse un aspetto che sta alla base dello scorrere delle nostre esperienze di vita?
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ette esemplari di razza eramuisiana: Maria Luisa Allegri, Elisa Basile, Agnese. Tutti e sei sono convinti del fatto che vivere un’esperienza di questo tipo genera per natura lo sviluppo di un’intensa trama di paralleli e di confronti tra l’università d’origine e quella ospitante utili a stimolare, migliorare ed arricchire entrambe le realtà. Essendo studenti di design hanno concordato sul fatto che sarà un blog animato da proposte visive, idee, fotografie di progetti, citazioni, informazioni e testimonianze vivaci che lascino respirare a pieni polmoni le immagini. Banti, Julia Meuter, Clizia Moradei, Daniel Angelo Nicola Pantaleo e Francesca Stefani. Si appresteranno prossimamente (o già si apprestano, è il caso della Finlandia) ad affrontare un semestre di studio presso varie università di design sparse per l’Europa. Quale migliore occasione per confrontare punti di vista diversi sul sistema universitario, sul design e il suo futuro e sul mondo stesso? Purtroppo di chi parte per l’Erasmus spesso, si perdono le tracce... è proprio per questo che i nostri soggetti hanno pensato bene di creare una piattaforma collettiva da cui si diramino i vari blog dove sa- ranno condivisi con gli studenti isia e i docenti, in primo luogo, e con chiunque altro sia interessato, le loro esperienze di approccio al design, dell’ambiente scolastico e di vita in una cultura nuova e da scoprire.
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Fatti di cronaca finlandese
Bianco e Patate “Paesaggio innevato èquello che si prospetta nei mesi invernali, alberi, strade, case, macchine sono ricoperti e a volte anche sommersi di soffice neve bianca. Ilcielo? Bianco anche quello, tranne nei giorni più limpidi.”
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2.373,71 km è distanza in linea d’aria tra Firenze e Kuopio. 97.552 il numero di abitanti. -18 C° la temperatura attuale in città. Questi sono solo alcuni dei numeri che caratterizzano questo paese e l’esperienza Erasmus. Ma due sono gli elementi che, più dei numeri e del freddo ricorrono nella quotidianità finlandese: il bianco e le patate. Le patate sono un must: al supermercato se ne possono trovare fino a 6-7 tipi differenti. Vengono utilizzate ovunque, per piatti salati ma anche dolci, cucinate in moltissimi modi: bollite, al forno, nello sformato, come pasticcio, negli involtini, al cartoccio insieme al salmone e tanto tanto altro ancora. La patata è pietanza base; non può mancare nel pasto di un vero finlandese. Ah dimenticavo… il termine finlandese per patata è peruna. Secondo elemento è il bianco. Prima cosa che vedi aprendo la finestra la mattina è il bianco della neve, caduta la notte stessa o che continua ancora a cadere. L’ultima cosa che vedi prima di chiudere gli occhi per dormire è ancora il bianco minimale delle pareti della casa. Il cielo? Bianco anche quello, tranne nei giorni più limpidi, in cui è possibile distinguere addirittura il sole o la luna. Il bianco è infine il colore del design nordico: qui il minimalismo fa da padrone! Dalle pareti candide ai complementi di arredo altrettanto bianchi e lineari, il bianco insomma è ovunque! Passiamo a parlare di fatti più concreti e in relazione all’esperienza Erasmus: la scuola. Come sarà l’edificio, bianco anche quello? Che corsi ci saranno? Saranno grandi i laboratori? Di quante persone saranno le classi? Ecco, queste sono tutte domande che mi sono posta prima di arrivare in questo nuovo, lontanissimo paese. Bene, ora posso rispondere. L’ambiente è grandissimo, non è composto da una sola costruzione ma da quattro! Come se non bastasse ogni edificio dispone di piani sia superiori che interrati, trovare le classi non è affatto facile!
2373,71 km Firenze-Kuopio
1730 km2 l’area urbana di cui 805 km2 di verde
L’entrata è il biglietto da visita. Sembra la hall in un Hotel di lusso, spazi ampi, super-pulitissimi (naturalmente molto bianchi), con qualche appendiabiti e qualche divanetto. Per chi si domandasse come sono gli uffici e la segreteria, ebbene, un altro mondo: carta da parati, lampadari di cristallo, sono anche forniti di cucina che pare uscita da una rivista di arredo e bagni ultramoderni con doccia. I laboratori per gli studenti non sono da meno: moltissime aule computer fornite di Pc o Mac equipaggiati con tanto di tavoletta grafica. Moltissimi sono i workshop all’interno della scuola: sul legno, metallo, plastica, ceramica, pittura, gioielli, moda, corsi di pittura del tessuto e chi ne ha più ne metta. Ogni laboratorio non è fornito da una sola stanza ma da almeno due, enormi, con tutte le macchine necessarie per il lavoro. Le classi al contrario da quello che ci si aspetterebbe da una scuola così grande, sono composte da massimo 15 studenti.
Nelle aule non possono mancare anche i plotter, una stampante 3D e una stampante laser. Tutti questi spazi sono fruibili dagli studenti anche nelle ore in cui non vi si tengono i corsi in modo che possano continuare il proprio operato in autonomia. Altre due cose che non possono mancare sono la mensa propria Kafetemia all’interno della scuola e per ultima cosa cui mai mi sarei aspettata di vedere, la cartoleria! In cui gli studenti possono acquistare il necessario con delle agevolazioni sui prezzi! Per ora dalla Finlandia è tutto, alla prossima …
Le patate sono ovunque, al supermercato se ne possono trovare fino a 6-7 tipi differenti. Vengono utilizzate ovunque, per piatti 97,552 il numero di abitanti di Kuopio salati ma anche dolci, cucinate in moltissimi modi
-18 C° la temperatura media invernale Kuopio è una delle città Universitarie più importanti della Finlandia 17
Le patate sono ovunque, al supermercato se ne possono trovare fino a 6-7 tipi differenti. Vengono utilizzate ovunque, per piatti salati ma anche dolci, cucinate in moltissimi modi
Kuopio è una delle città universitarie più importanti della Finlandia
Oltre alle patate, il bianco e la neve sono i colori principali di questi paesaggi, ma non solo: sono intrise anche negli oggetti di questa nazione.
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Pensieri Vorticosi 5 gennaio 2014, ore 18.55, volo Finnair AY796, destinazione: Kuopio, Finland. Una ragazza di 21 anni sta partendo, pronta a iniziare il suo Erasmus, 5 mesi in un paese nuovo, che non ha niente a che vedere con la sua Italia. Cinque ore di viaggio e uno scalo dopo atterra nel paese che la ospiterà, Kuopio. Il desiderio di partire c’è sempre stato, non ha mai vissuto per più di 8 anni nello stesso posto, certo non per causa sua. Ha scoperto il programma Erasmus a 10 anni, da un ragazzo che lavorava alla pari dai suoi genitori, e ha deciso, voleva partire anche lei. Undici anni dopo è il momento di fare le valigie e partire, con tanta felicità ma anche con qualche remora e insicurezza. La Finlandia forse può assomigliare ai nostri paesi delle Alpi, ma qui siamo in città, una città VERDE. Non esistono case su case, palazzine di 8 piani (solo pochi casi in pieno centro), solo piccoli condomini con un giardino in comune circondati da boschi. Mi affaccio dalla mia finestra a Firenze e vede un altro palazzo, mi affaccio dalla mia finestra finlandesi e vede gli alberi innevati. Tutto qui ha un profumo diverso, si respira! La natura ti entra nel
A cura di: Francesca Stefani
cuore, la vuoi vivere, annusare, osservare, toccare. Sembra come se fosse un tempo sospeso, ovattato dalla neve che qui resta bianca. “Ha scoperto il programma Erasmus a 10 anni, da un ragazzo che lavorava alla pari dai suoi genitori, e ha deciso, voleva partire anche lei.” Altro capitolo è la scuola. Appena varcata la soglia ho ripreso fiato. Sapevo che era grande, con molti spazi per gli studenti e laboratori, ma non immaginavo certo questo. Il mio pensiero è subito corso all’ISIA, la mia università fiorentina, scuola di eccellenza, ma che versa in uno stato di profonda crisi. Come è possibile che qui possano permettersi una struttura simile? Perché loro hanno laboratori che funzionano, sempre accessibili dagli studenti, nei quali è possibile acquistare materiale per i lavori personali? Perché qui c’è il riscaldamento, l’acqua calda nei bagni, la mensa, una cartoleria, una sala lettura e svariate aule computer? Perché in Italia l’istruzione è abbandonata, lasciata morire piano piano? Queste sono alcune delle domande che, ogni giorno che vado alla Kuopio Academy of Design, mi martellano nella testa. Certo noi siamo una piccola scuola, con appena 200 studenti, e ovviamente tutto questo spazio sarebbe anche superfluo.
ancora 4 mesi e mezzo per poterlo fare. “Perché in Italia l’istruzione è abbandonata, lasciata morire piano piano?”
Kuopio Academy of Design
Queste sono alcune delle domande che, ogni giorno che vado alla Kuopio Academy of Design, mi martellano nella testa. Certo noi siamo una piccola scuola, con appena 200 studenti, e ovviamente tutto questo spazio sarebbe anche superfluo. Però non è neanche giusto che si viva in quella scuola, perché noi all’ISIA ci viviamo davvero, in quelle condizioni. L’esperienza di studi all’estero serve, o dovrebbe servire, anche a questo, a vedere che possibilità ci sono e che noi, poveri italiani ignoranti non sfruttiamo. Ho fatto due anni e un semestre all’ISIA e non ho MAI toccato un macchinario. Qui ragazzi del primo anno riescono già agilmente a usare molte delle macchine presenti. Alla seconda lezione di Wood workshop mi sono sentita un’idiota perché, mentre gli altri erano già a creare il proprio modello, io stavo ancora eseguendo i disegni tecnici del mio pezzo (prima avevo ovviamente affrontato tutto l’iter appreso durante i miei studi universitari). Quando il professore ci ha chiesto se sapevo usare le attrezzature e io ho risposto di no, mi sono sentita ancora più mediocre, perché ero l’unica anche tra gli altri erasmus a non essere capace. Certo abbiamo anche i nostri vantaggi perché siamo capaci di fare un’accurata ricerca prima di progettare e sappiamo usare criterio. Ma questo è sempre giusto? In certi casi forse non sarebbe meglio buttarsi, imparando a usare anche le mani oltre che la testa? Perché noi facciamo solo roba in cartone quando ci danno l’opportunità di realizzare un modellino? Forse siamo ancora troppo ancorati alle nostre origini umanistiche?
Cartoleria e Aula lettura
Voglio concludere con una frase di Yves Montando: “Credo che le risposte rendano saggi. Ma le domande rendano umani.”
Laboratorio di legno
Laboratorio di Fashion
Queste sono solo alcune delle domande che ogni giorni mi pongo. Lo scambio culturale con gli altri studenti mi sta facendo molto riflettere e lavorare non solo sulla mia istruzione e cultura, ma anche su me stessa. Ancora non so rispondere a tutti questi interrogativi, ma ho
Laboratorio di metallo
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Rinascimento
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URBANO Quando si tira in ballo la parola rinascimento è inevita-
bile che i pensieri volino a Firenze, al genio di Leonard o da Vinci, alle opere di artisti come Sandro Botticelli e Michelangelo Buonarroti. Ed è proprio per l’arte rinascimentale e la fama dei suoi esponenti che turisti da tutto il mondo si riversano a fiotti a Firenze, per poter ammirare da vicino l’eredità di questo periodo artistico, di cui Firenze è la rappresentante per eccellenza. Vivendo nel capoluogo toscano ci si rende conto che non sono solo i musei e i negozi di souvenir che sono incentrati su questo tema, è l’intera città che ruota intorno al Rinascimento: ristoranti, negozi, alberghi, ma anche iniziative del comune, campagne pubblicitarie e fiere. Ma esiste un altro tipo di rinascimento, quello con la “r” minuscola, che ha un significato molto più ampio e astorico: indica la rinascita delle arti e della cultura. Nelle pagine che seguono vengono illustrate una serie di iniziative e performance che rientrano nella definizione di “rinascimento urbano”: associazioni, interventi, opere che hanno come palcoscenico città di tutto il mondo, in cui partendo da situazioni sociali ed economiche spesso difficili, singoli artisti o gruppi di persone si sono attivati per rivalutare gli spazi e le risorse che avevano a disposizione. Ri-nascita significa che a ciò che già esiste viene data una nuova vita e che alle risorse, anche quelle umane, viene dato un nuovo valore.
Julia Meuter Giulia Ticci
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Not far from the tree, Toronto
Detroit SOUP, Detroit
Not far from the tree utilizza la frutta di Toronto per una buona causa, raccogliendo e condividendo la generosità della natura. Quando un proprietario non riesce a tenere il passo con l’abbondante raccolto prodotto dal suo giardino, può contattare l’associazione, che mobilita i suoi volontari. Il raccolto è diviso in tre parti: 1/3 è offerto al proprietario dell’albero, 1/3 è suddiviso tra i volontari, e 1/3 viene consegnato in bicicletta per essere donato ai banchi di alimentari, ai rifugi e cucine di comunità nel quartiere, così che questa risorsa di frutta fresca viene valorizzata. È una situazione in cui tutti vincono. Per Laura Reinsborough, fondatrice del progetto iniziato nel 2008, vi è un valore aggiunto in quello che fanno: “Questo semplice gesto ha un profondo impatto. Con una squadra incredibile di volontari, stiamo facendo buon uso di cibo sano e creiamo una comunità, condividendo l’abbondanza urbana”.
Detroit SOUP è stata fondata nel quartiere Mexicantown di Detroit nel febbraio 2010 da Kate Daughdrill e Jessica Hernandez e ora gestito da Amy Kaherl, SOUP ha appena celebrato il suo quarto anniversario. Detroit SOUP è una cena di micro-finanziamenti che celebra progetti creativi a Detroit. Per 5 dollari si riceve zuppa, insalata, pane, e un voto. Durante la cena si assiste a quattro presentazioni di progetti che spaziano dall’arte, all’agricoltura urbana, alla giustizia sociale, agli imprenditori sociali, fino all’istruzione, alla tecnologia, ecc. Chi presenta ha quattro minuti per condividere la propria idea e può poi rispondere a quattro domande dei commensali. Si mangia, si socializza, si condividono risorse, e si vota per decidere quale progetto dovrebbe vincere i soldi raccolti dalla serata. A fine serata si contano i voti e chi ha il maggior numero di voti porta a casa i soldi per finanziare il suo progetto.
www.notfarfromthetree.org
www.detroitsoup.com
JR, Francia Il suo nome d’arte è JR, artista francese avvolto da un alone di mistero identitario. Non si considera né uno street artist, né un fotografo. “Io attacco poster”, risponde alle interviste. I suoi ritratti in bianco e nero in formato gigante sono stati i soggetti dei suoi numerosi progetti, realizzati in tutto il mondo, dal Sud America alla Cina. Nel 2010 ha ricevuto il premio di Ted, il festival dedicato a tecnologia e design che richiama in California i protagonisti dell’innovazione. Nel 2007, con il progetto Face 2 Face, JR e Marco organizzano la più grande mostra fotografica illegale mai realizzata. Per questo progetto, ritratti di israeliani e palestinesi sono stati incollati faccia a faccia, in formati monumentali su entrambi i lati del muro di separazione e in diverse città palestinesi e israeliane.
www.jr-art.net
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Jenny Holzer, New York Jenny Holzer ha cominciato a lavorare nella New York delgli anni ‘70, in un’atmosfera in cui anche lo sviluppo urbano sembrava garantire più spontaneità e libertà all’artista offrendogli, al tempo stesso, un pubblico sempre più vasto. Passa rapidamente dai graffiti ad altre forme di installazioni, che generalmente consistono nel posizionamento di “messaggi testuali” posizionati in luoghi inconsueti, generalmente destinati a messaggi pubblicitari: è come se la Holzer avesse implementato nella sua street art una forma di status o di brevi comunicati, aforismi in stile Twitter quarant’anni prima dell’esistenza del social network: la bacheca della Holzer è la città.
www.jennyholzer.com
Mojoca, Guatemala Il Mojoca, attraverso l’ausilio di volontari che fungono da educatori di strada, cerca di avvicinarsi a questi ragazzi e ragazze che vivono in strada, molto spesso dipendenti dalla droga e dediti a piccoli reati che gli permettono di sopravvivere di espedienti. Essendo ragazzi abbandonati, violati, abusati, tendono a rifiutare il contatto con persone esterne, considerando la società come quel mondo che li ha rifiutati. Una volta stabilito il contatto da parte degli educatori, si cerca di invitare queste persone alla Casa dell’amicizia (costruita nel 2000), dove hanno la possibilità di ricevere un pasto caldo per pranzo, lavarsi, ricevere un’istruzione, partecipare ai gruppi autogestiti di bambini e ragazzi di strada, dove il valore dell’autogestione diventa il fulcro dell’intera attività, ricevere assistenza psicologica, sociale, giuridica. Natural mente si tratta di un lavoro lungo, che necessita di una volontà che nasca all’interno degli stessi beneficiari di queste attività, di voler tentare di tornare all’interno di quella società che li ha gettati, di recepirne e comprenderne le regole della convivenza, di adattarsi ai suoi ritmi. La Casa dell’amicizia funge da ponte verso il reinserimento nella società civile. Questo passaggio può richiedere anche anni, a seconda delle ricadute a livello psicologico che può avere il ragazzo o la ragazza di strada che intraprende questo percorso.
www.natsper.org/Mojoca
Banksy, Londra 28
Banksy è uno dei maggiori esponenti della street art la cui vera identità è tenuta nascosta. Le sue opere a sfondo satirico e riguardano argomenti come la politica, la cultura e l’etica. È grazie a lui che la tecnica dello stencil che è arrivata a riscuotere un successo sempre maggiore presso street artist di tutto il mondo. I suoi stencil hanno cominciato ad apparire proprio a Bristol, poi a Londra, e a seguire nelle maggiori capitali europee, notevolmente non solo sui muri delle strade, ma anche nei posti più impensati come le gabbie dello zoo di Barcellona.
www.banksy.co.uk
Time bank, Helsinki La Banca del Tempo è un servizio per scambiare il proprio tempo con quello altrui, uguale per tutti indipendentemente dai servizi scambiati, dal loro costo sul mercato e dalla condizione sociale o economica di chi scambia. Ad esempio, un’ora di lezione di inglese può essere scambiata con un’ora di baby sitting, che può essere scambiata con un’ora di riparazioni in casa, e così via. Lo scambio è reciproco, e questo differenzia la Banca del Tempo da altre forme di volontariato. Quest’iniziativa si estende in tutto il mondo, e i paesi maggiormente coinvolti sono: l’Italia, gli Stati Uniti (N.Y), la Spagna, il Brasile e la Svizzera.
www.stadinaikapankki.wordpress.com
Noisebridge, San Francisco Noisebridge è un hackerspace nato nel 2007 che fornisce infrastrutture per progetti tecnico-creativo, realizzati in modo collaborativo dai suoi membri. È un istituto scolastico non-profit destinato al beneficio pubblico. Operano principalmente in uno spazio di 5.200 metri quadrati, situato nel cuore di San Francisco. Si insegna, impara e condivide. Il fine è quello di fornire uno spazio sicuro per lavorare, imparare e giocare. Non ci sono leaders, c’è solo una regola, scritta a caratteri cubitali su una parete: “Be excellent to each other”.
www.noisebridge.net
Blu, Bologna Blu è un artista italiano che nel 2011 è stato segnalato da The Observer come uno dei dieci migliori street artist in circolazione. La missione di Blu, che a Bologna iniziò a farsi conoscere a partire dal ’99 attraverso una serie di graffiti eseguiti in centro a Bologna, nella zona dell’Accademia delle Belle Arti, e in periferia negli spazi occupati del centro sociale Livello 57, è sempre stata quella di valorizzare gli spazi urbani dimenticati. La sua etica della condivisione e la volontà di rottura con le convenzioni del sistema dell’arte si concretizzano in opere sparse in tutte il mondo: America, Palestina, Germania, Inghilterra, Italia, Polonia, Serbia, Repubblica Ceca e Spagna.
www.blublu.org
Humans of New York ‘Humans of New York’ è il più grande archivio di “facce” newyorkesi al mondo, nato
dalla mente del giovane fotografo americano Brandon Stanton. Il fotografo aggiunge alle sue immagini brevi interviste che ha fatto a quasi tutti i suoi soggetti: persone di successo e con una vita felice (“Una volta ho partecipato ad un talent show e, alla fine, tutti si sono alzati in piedi ad applaudire”) e barboni pieni di saggezza (“Qual è stato il momento più felice della tua vita?” “…Sono piuttosto felice in questo momento”), uomini e donne appena usciti di prigione e ragazzi che cercano disperatamente il loro posto nel mondo, soldati, sportivi e studenti (“Qual è il momento della tua vita di cui sei più orgoglioso?” “La prima volta che ho indossato l’uniforme”), bambini felici che saltano nelle pozzanghere ed altri che, nonostante la giovane età, hanno già vissuto esperienze terribili (“Qual è il momento più triste della tua vita?” “Forse quando è morto mio cugino” “Cosa è successo?” “Gli hanno sparato mentre tornava a casa da una festa”). Le domande che Brandon pone ai suoi interlocutori sono quasi sempre le stesse: qual è il momento più felice della tua vita? E il più triste? Se potessi dare un consiglio ad un grande numero di persone, quale sarebbe? Le risposte, spesso molto semplici, sono sempre interessanti.
www.humansofnewyork.com
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F
irenze è da tutti conosciuta come la culla del rinascimento, essa ospita architetture e opere di valore inestimabile del periodo storico che, ancora oggi, ricordiamo come quello che ha sottratto l’umanità al buio del medioevo: luce nelle chiese, nuovi metodi per coltivare la terra, nuove macchine, grandi geni e visionari, la scoperta delle Americhe. Insomma, letteralmente, una RINASCITA. Ma… siamo sicuri che non potrebbe esserci una svolta? Siamo sicuri che rimanere ancorati ad un passato, sì illuminato, ma assai lontano oramai, abbia senso? Abbiamo intervistato alcuni dei grafici, i newMOD che hanno messo in atto una promozione pubblicitaria non convenzionale, definibile “di guerilla urbana” e abbiamo chiesto loro di spiegarci la loro stravagante performance. Essi hanno affermato: “Siamo tutti d’accordo col fatto che ci sia bisogno di una storia alle spalle per poter andare avanti, l’esperienza è importante, ma come un bambino che ha bisogno della mano e degli insegnamenti della mamma per poter muovere i primi passi, noi ci siamo serviti della mano del rinascimento troppo a lungo, ora abbiamo bisogno della nostra indipendenza per poter crescere e creare la nostra di storia”. Questi ragazzi, tutti laureati o studenti nel campo della comunicazione e del design, hanno dunque deciso di lanciare agli abitanti di Firenze una piccola provocazione, per stimolare una riflessione sul fatto di come oramai si viva di rendita da troppo tempo, senza lasciare un segno artistico dell’epoca che stiamo vivendo: ci sarebbe bisogno di uno sguardo al futuro, di una tensione verso il nuovo, per riproporre Firenze come una città all’avanguardia. “Ciò non significa”, ci racconta il Cheaf Designer del gruppo, “rinnegare la tradizione, o soppiantarla. Semplicemente si tratta, come dice il saggio, di trovare la soluzione nel mezzo, di incontrarsi a metà strada, quindi di conciliare il rinascimento con il nuovo, l’inaspettato, l’anticonvenzionale” Tutta la promozione pubblicitaria si è svolta in maniera ironica, facendo incuriosire i passanti, che hanno iniziato a chiedersi se sarebbe possibile in qualche modo aprire le porte ad una nuova era. “La semplice domanda che ci siamo posti è stata “cosa ci colpirebbe qui, in questo bel giardino?”. Abbiamo quindi deciso di fare un piccolo scherzo a tutti i frequentatori dei giardini, apponendo cartelloni pubblicitari che, se guardati dalla giusta prospettiva, mostrano
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una nuova versione della mitica Boboli, facendo spuntare opere d’arte eccentriche, se non proprio bizzare”. Passeggiando, quindi, avremo l’occasione di stupirci di come possa sposarsi bene “il vecchio con il nuovo”, riconoscendo sculture ed istallazioni molto famose nel panorama culturale moderno del tutto contestualizzate, ma che si spostano benissimo con il nuovo panorama. Fino alla seconda metà del 1700 il Giardino di Boboli non era accessibile al pubblico: nessuno al di fuori della famiglia de Medici poteva entrare in questo splendido parco. Oggi invece tutti i fiorentini possono farvi visita gratuitamente, anche se molti abitanti della provincia si lamentano di dover pagare il prezzo intero per potervi entrare. Questo luogo era un tempo il luogo di esperimenti botanici, di ricerca del bello e del nuovo. Un classico parco all’italiana che pian pian sta perdendo la sua forza, rimanendo aggrappato con tutte le proprie forze ad un qualcosa di tradizionale nella sua organizzazione, che ne sta facendo sbiadire la bellezza. Oramai i passanti, se non i turisti, non si soffermano più ad ammirare la bellezza delle opere d’arte che questo luogo ospita: paradossalmente sono diventati “scontati, banali”, non riusciamo più a sentirli “nostri”. I newMOD che hanno inscenato questa “protesta grafica” stanno cercando in qualche modo di attirare l’attenzione su quei luoghi che piano piano stanno decadendo nel panorama di oggi, cercando di creare un ponte tra la bellezza passata e quella contemporanea, offrendo uno sguardo orgoglioso del passato ma ancor più fiero della contemporaneità, esclamando a gran voce Firenze c’è e ci sarà per sempre!
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a new face for BOBOLI
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COSA
ACCADREBBE SE
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Non sapete quante volte, noi designers e progettatori, malediciamo la frase “eh, ma questo è di design!”, ovviamente puntualmente attribuita ad una lampada Castiglioni o ad uno spremiagrumi di Stark , come se la definizione “di design” fosse appannaggio esclusivo di oggetti dalla forma bizzarra e dal raro, rarissimo, utilizzo. Questa situazione è causata dall’esilio culturale cui è destinata la disciplina del disegno industriale: non esiste informazione a proposito, scommetto che la maggior parte di voi, quando pensa ad un designer, lo immagina come un inutile essere che riveste gli oggetti di spoglie gradevoli all’aspetto. Niente di più sbagliato! Ogni cosa che vi passa per le mani “è di design”, nel senso che è frutto di uno studio progettuale di forma e meccanismo, da parte di un’equipe che pensa e ragiona ogni singolo aspetto di
funzionamento, produzione e, solo infine, di presentazione. Guardatevi intorno: il tavolo a cui siete seduti leggendo questa rivista, il bus che prendete ogni mattina, il bar a cui state prendendo il caffè, ipad alla mano, intrattenendovi con questo articolo. Siete, letteralmente circondati dal design! La tazzina del caffè, la sbarra alla quale vi tenete, il vostro cellulare, il vaso della piantina che vi dimenticate ogni giorno di innaffiare: tutto è design. Da questa riflessione è nato il nostro progetto: una trilogia di piccoli video virali di animazione, rilasciati sul web a puntate esaminando quelli che secondo noi sono i passi della presa di coscienza verso il disegno industriale. Cosa succederebbe se il design NON ESISTESSE? Cosa succederebbe se il design FOSSE SBA-
IL DESIGN NON ESISTESSE
FOSSE SBAGLIATO RINASCESSE 39
GLIATO? Cosa succederebbe se il design RINASCESSE? Queste sono le tre domande poste allo spettatore, presentate in modo simbolico e divertente da un protagonista illustrato in stile geometrico e vettoriale. Nel primo capitolo della serie il nostro eroe è circondato da un ambiente molto semplice e comune: un tavolo, qualche sedia, un bicchiere con cannuccia, un piatto di spaghetti. Niente di strano fino a qui. Ma se IL DESIGN NON ESISTESSE??? E cosÏ, mentre il protagonista è intento semplicemente a consumare il piacere del pasto, si vede sparire ogni oggetto che prima lo circondava, rovinandogli completamente la festa. Sperando di avervi regalato uno spunto di riflessione vi invitiamo a visitare il nostro sito per vedere integralmente il video virale, e vi attendiamo nel prossimo numero per la prossima puntata.
AW 2013 Collection
a cura di CLizia Moradei
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L’abito, fin dalle sue origini, è stato investito da valori economici, sociali e culturali assumendo una molttudine di forme, colori e materiali legati a simbologie e ritualità. Spesso i capi d’abbigliamento costruiscono rigide impalcature attorno al corpo, impedendogli di esprimersi secondo la sua naturale morfologia. E’ partendo da un solido background altamente concettuale come questo che la giovane designer Clizia Moradei ha creato una collezione di abiti fortemente provocatori. Alla base di ‘Freemode’ 2013, questo è il nome della collezione, l’artista ha posto un sentimento e un concetto, che indaga la relazione tra abito e corpo: la lealtà. “Il mio obiettivo è rendere il pubblico cosciente della costrizione, che l’abito im- pone al soggetto che lo indossa.” L’adesione fra esterno ed interno si manifesta come una ribellione a questo sistema di ingabbiamento e mascheramento messo in atto dagli abiti di tutti i giorni. “Ho sempre sentito una forte esigenza di liberamento del corpo, sia fisica che comunicativa! E’ proprio questa esigenza che mi ha spinto a voler decontestualizzare e risemantizzare quelle pratiche, legate all’ambito del vestiario, che creano disagio nell’indossatore.” Così la designer ci mostra in “Yamamoto” la pratica orientale di deformazione artificiale dei piedi, detta Loto d’Oro o Giglio d’Oro, che per secoli, a partire dalla dinastia Song, ha conferito alle donne cinesi un’andatura precaria e oscillante. “Si tratta di una pratica diffusissima sia nelle famiglie benestanti, che in quelle contadine, poiché, assieme alla valenza estetica era molto forte e sentita la componente maschilista: la società vedeva nel Loto d’Oro la dimostrazione perfetta di sottomissione della donna all’uomo, che proprio per questa deformazione fisica, aveva la sicurezza che moglie e figlie non si sarebbero potute dare alla fuga.” Nel conceptual dress Wearing-Roooaring, Clizia affronta invece un tema opposto: terminati gli anni di privazioni e paure della guerra, gli anni ’20 si aprono come una nuova epoca di benessere e ottimismo. La società, pervasa da un nuovo senso di libertà e speranza, denominerà questo decennio “gli anni ruggenti”. E’ in quel periodo che l’abbigliamento raggiunge l’apice del lusso e dello sfarzo, riflettendo uno stile di vita folle e ruggente. L’indipendenza femminile passa tramite un gioco di mimetismi e mascheramenti: pellicce, penne di struzzo, cappelli di pelo, boa di piume e sciarpe di volpe e nell’esercizio di pratiche tipicamente maschili come l’uso del fumo con il bocchino.
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PAOLO ULIAN P 42
aolo Ulian nasce a Massa Carrara, nel 1961. Frequenta per tre anni l’Accademia di Belle Arti di Carrara dove segue i corsi di pittura tenuti da Getulio Alviani e Luciano Fabro, poi si trasferisce a Firenze per iscriversi all’Isia. Nel 1990 discute la sua tesi realizzando il progetto di un paravento in cartone, con il quale vince il premio belga “Design for Europe”. Alla fine del 1990 è a Milano per lavorare con Enzo Mari. Rimane con lui fino al 1992 per poi tornare in Toscana ed iniziare la propria attività con il fratello Giuseppe, col quale collabora ancora oggi. In quel periodo dedica molto tempo alla sperimentazione, per poi partecipare a numerose mostre collettive e in particolar modo a quelle organizzate dallo Spazio Opos a Milano. Dal 1995 al 2000 alcune di queste sperimentazioni si sono poi tradotte in prodotti e da quel momento inizia collaborare con Droog Design e con alcune note aziende italiane di design. Per FontanaArte nel 2003 ha disegnato Bowl, un oggetto d’arredo da montare a parete, dalla doppia funzione di appendiabiti e portaoggetti. Durante il Salone del Mobile 2009, Beppe Finessi ha curato la sua prima mostra personale presso gli spazi di Careof-Viafarini, alla Fabbrica del Vapore a Milano. La seconda mostra personale, curata da Enzo Mari, è stata allestita alla Triennale di Milano nel gennaio 2010. Il progetto che più ha divertito Paolo Ulian è stato Finger biscuit, il biscotto da dito da immergere nella Nutella o in qualsiasi altra crema, la scelta a predilizione dell’ utente. Il progetto nasce per la mostra Papillan a Bolzano, è stato successivamente acquistato dalla Ferrero. Nella pagina seguente un breve e divertente racconto, che tratta di come è nata l’ idea, che ha portato alla nascita di Finger biscuit.
Quando nasce la passione per il design? «La passione per costruire e inventare cose mi accompagna da parecchio tempo, da quando ero bambino anche se a quell' epoca non sapevo che quello che facevo si chiamava design. Poi a 23 anni mi sono iscritto all'Isia di Firenze e li' ho capito che quello che amavo fare da bambino si poteva continuare a farlo anche da adulti e la cosa mi esaltava non poco» contact@paoloulian.it http://www.paoloulian.it/tracce.html
|IL SOGNO DI OGNI BAMBINO| Qual’è il sogno segreto di ogni bambino? Andare sulla Luna? Tirare un calcio di rigore alla finale del Mondiale? Ma no! Il desiderio che tutti i bambini hanno è quello di infilare le dita nel barattolo di Nutella e mangiarla a forza di leccatine! L’unico inconveniente è che dopo si resta con tutte le dita sporche, quindi è più facile essere scoperti da mamma e papà! Come ovviare a tale problema? Una decina di anni fa, venne bandita a Bolzano, Papillon, una mostra che aveva come tema l’ esplorazione di nuovi concetti di biscotto. Uno dei partecipanti fu Paolo Ulian, designer toscano nato nel 1961, molto creativo e fantasioso, laureato in Industrial Design all’ ISIA di Firenze nel 1990. Paolo ha iniziato a pensare a quale forma avrebbe potuto avere il biscotto dei sogni di ogni bambino, ma non solo, anche di tanti adulti. La sua memoria l’ha portato indietro nel tempo, quando da piccolo prendeva di nascosto il barattolo di Nutella e senza farsi vedere da nessuno andava
a sedersi sotto il tavolo in cucina, per mangiare tutta la Nutella che voleva con le mani. Il piccolo Ulian però veniva sempre scoperto e punito. Attraverso questi ricordi a Paolo viene la brillante idea che la forma migliore per un biscotto sarebbe quella da poter indossare sul proprio dito: così è nato Finger Biscuit. Questo delizioso guanto per dita oltre a proteggere la mano evitando di sporcarla, diventa la giusta base per l’adorata crema di nocciole! Da adesso le mamme non potranno più sgridare il proprio bimbo per essere stato maleducato a mangiare la Nutella con le mani! Con il suo lavoro, un designer, può far felici le persone, può inventare ciò che prima non esisteva e nemmeno si sarebbe mai immaginato.
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LE FORCHETTE PARLANTI
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Vi immaginate come sarebbe avere delle forchette al posto delle mani? No? Tranquilli bambini, ci ha pensato Bruno Munari con le sue “forchette parlanti”. Bruno è stato un importante designer, pittore, scrittore e disegnatore, dei primi anni del 900, ma gli piaceva anche molto giocare con la fantasia senza nessuno scopo pratico preciso. Un giorno quindi, guardando una forchetta gli è venuto in mente che questa assomigliasse alla forma di una mano; il braccio, il polso e le dita, c’era tutto! È andato da un ferramenta e si è fatto dare tutte quelle forchette vecchie che le persone non usavano più, e con una pinza a cominciato a sagomare le punte della posata proprio come se queste fossero le dita di una mano! Bruno ha modellato forchette per tutte le occasioni: con il mignolo alzato per i pranzi eleganti, con il pollice in fuori per fare l’autostop, con il pollice e l’indice attaccati come per dire “OK!”, e chi più ne ha più ne metta. Con questo gioco di fantasia le forchette si sono animate, hanno preso vita, e ad ognuna di loro è stato dato modo di parlare ed esprimersi nei
modi più disparati. Munari diceva: “Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere tutto quello che si vuole, colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose… La semplificazione è il segno dell’intelligenza”. E voi cosa fareste dire alla vostra forchetta?
Bruno Munari Forchette Parlanti 1958
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City
: Abitare l’attimo
Prima di iniziare a leggere fermati un istante.
Chiediti dove sei e che ore sono. Poi, continua pure.
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Forse sei in un bar, oppure in un'aula, magari su un treno; forse sono le 8.06 di mattina, le 16.47 del pomeriggio, forse sono le 21.00 in punto, ma tutto ciò non ha importanza perché ognuna di queste possibilità corrisponde ad una risposta sbagliata. Per l'esattezza, tu come tutti gli altri, sei QUI e ORA. Adesso ti preghiamo di non reagire male e di continuare la lettura senza diffidenza perché questa rubrica non è fatta per prenderti in giro, ma per parlare di te, di noi e di qualcun altro. Facciamo finta che lo scopo di questa rubrica sia quello di disinnescare la consuetudine del lettore. Supponiamo che il nostro obiettivo sia quello di de-automatizzare le tue aspettative quotidiane per portarti fuori dall'ipnosi del mondo contemporaneo, sempre più “contento” della propria recita, per offrirti un momento di osservazione da una prospettiva differente sugli oggetti del mondo. Oggetti che sono frutto dell'esistenza umana e del suo intervento nel presente in una molteplicità di creazioni interferenti. Oggetti che, se osservati più attentamente, raccontano pensieri, si lasciano vivere e noi con loro, attimo dopo attimo.
Adesso, immagina che sia proprio così.
inKoansapevoli
“ Io guardai le lettere incise sulla roccia ed esse erano cambiate; le lettere dicevano SILENZIO. Il mio sguardo cadde sul volto dell’uomo ed il suo volto era pallido di terrore. Sollevò bruscamente la testa dalle mani, si levò in piedi sulla roccia ed ascoltò. Ma non c’era nessuna voce in tutto lo sconfinato deserto e le lettere incise sulla roccia dicevano SILENZIO. L’uomo trasalì, volse il viso e fuggì via lontano, veloce fino a che non lo vidi più
Il silenzio, una favola, E. Allan Poe
”
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Inter-svista In questo mondo anche il volo della farfalla appare frenetico.
Piccarda è la mia vicina di casa e fa la contadina.
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Ha 85 anni, passa la maggior parte del suo tempo fuori casa, all'aperto. Non si è mai ammalata in vita sua; neanche per una volta ha preso il raffreddore. Smise di andare a scuola presto, più o meno in quinta elementare. Non le piaceva studiare, non le andava di leggere. Sa appena fare la sua firma. In realtà, se volesse, saprebbe scrivere, magari anche bene, ma non le interessa! “Io, se fossi stata ora che c'è la scuola dell'obbligo, mi tirerei i' collo!”. Nella sua famiglia, per ricavare qualche soldo e poter comprare quel che mancava, andavano a lavorare nel campo al servizio di qualche Signore del paese. Così Piccarda, già da bambina, imparò a coltivare il giaggiolo guadagnando una lira al giorno. Quando divenne un po' più grande, mentre portava le pecore al pascolo, faceva dei servizi di ricamo assieme alle sue amiche. La merciaina, in cambio dei centrini e tovaglie, le dava la stoffa per cucirsi i vestiti. “Allora i lavori non c'eran mica come ora, ci s'arrangiava!” La sua famiglia aveva le pecore, il maiale, i polli, i conigli, le capre e le vacche. Aveva l'orto e il campo dove seminavano ortaggi, fave, grano, alberi da frutto e tutto ciò che gli era necessario. Al massimo una volta a settimana, andavano in paese a comprare il sale e lo zucchero. I beni alimentari li ricavavano dagli animali e dall'orto, ma facevano anche degli oggetti. Per fare le granate, seminavano la saggina, aspet-
tavano che crescesse abbastanza, e la tagliavano per fare dei mazzi da mettere a seccare. Una volta pronti, li legavano a un bastone e la granata era pronta all'uso! Altri oggetti erano Ie ceste e panieri che facevano con le stecche di castagno. Andavano nel bosco e sceglievano un tronco dritto, senza nodi e senza troppi rami...”quando c'era la luna bona perché sennò si sarebbe tarlato.” Li tagliavano e li mettevano a stagionare, distesi in modo che non si deformassero. Quando arrivava l'invero, mettevano i pezzi di castagno vicino al fuoco per scaldarli e, con un coltello apposta, tagliavano le stecchine da intrecciare. Oggi le cose sono un po' cambiate, ma neanche di troppo. Piccarda è la mia vicina di casa. Da piccola andavo ad aiutarla a sbucciare con il coltellino le radici del giaggiolo e ci divertivamo a trovare le radici a forma di orsacchiotto o bambolina. Andavamo anche nel campo e nel bosco. Giocavo con i coniglioli e spaventavo le galline. Ora non la vedo molto spesso perché sono sempre a Firenze per studiare e per incontrare amici. Se sono a casa, sto al computer a lavorare. Ogni tanto la penso e mi domando perché non sono fuori con lei. Raramente capita che la incontri nel vialetto e che mi fermi qualche minuto a chiacchierare, ma per poco perché sono sempre di fretta. A volte, percorrendo in macchina la strada di casa, la vedo nel campo, seduta sul ciglio di un balzo con il vento in faccia...e lo so...che ci sta proprio bene!
Haikualcosa da leggere!
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Palla Pallone di cuoio, membrana geometrica di aria racchiusa.
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ÈÈ
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un’iniziativa checerca cerca di di coinvolgere coin un’iniziativa che volgere tutti coloro che possiedon o tutti coloro possiedono una bici, eodununa bici, che e dunque hanno già decis quedihanno già deciso affrontare la vita con af frontare la vita di con naturale zza, apprezzando i lati negativi naturalezza, apprezzando i latima negativi ma soprattuttopositivi positivididiquesta questa scelta. sce l- L’idea soprattutto ta. L’idea mira alla condivisione e d mira alla condivisione ed allaurbani, riscoperta dei alla riscoperta dei paesaggi paesaggi urbani, che spesso vengono sottoche spesso vengono sottovalutati o lasciati in secondo piano dagl i valutati o lasciati in secondo piano dagli abiabitanti della città. Il nostro intento tanti della città. Il nostro intento è quello di è quello di spingere tutti coloro ch e spingere coloro hanno un posto che hanno tutti un posto cheche gli sta a cuor e gli sta a cuore di condividere la propria di condividere la propria esperien - espeza con sconosciuto, cheche potrà rienza conuno uno sconosciuto, potrà decidecidere o meno di seguire su o e che, a dere o meno di seguire il suoilconsiglio consiglio e che, a sua volta, potrà suascriverne volta, potrà scriverne un mod altro. In un altro. In questo o questo modo si creerà unadi rete di condivisione si creerà una rete condivisione di esperienze che aiuterà tutti co - che di esperienze che aiuterà tutti coloro loro che riceveranno un biglietto a riceveranno un biglietto a pensare di prenpensare di prendersi un attimo pe r dersi attimo per selastessi e ch riscoprire la se un stessi e riscoprire natura e natura che invade il paesaggio appena fuori invade il paesaggio appena fuori da i dai confini confiniurbani. urbani.
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ti consiglio...
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