Magazine
inverno 2014-15
I have a dream
Aneddoti di guerra
Le droghe attraverso il tempo
Intervista esclusiva a Paolo Rumiz
Pinkstinks “Il rosa puzza�
inverno 2014/15
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Aneddoti di guerra / Cinque vicende realmente accadute per non dimenticare
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Anime verdi Le capacitĂ senasoriali
Dolomitenwacht Albert Reich
Sotto ai riflettori A breve le elezioni
L’intervista Paolo Rumiz
Rubriche
CURIOSITà RELAZIONI 40 / Colori proibiti 54 / Giulietta e Romeo 56 / Pinkstinks
6 / Il ritorno del lupo e dell’orso 8 / Storia dello sci 11 / Anteprima Dolomitenwacht 13 / Il drago dell’acqua 14 / Colbricon 11.000 anni fa 16 / Flash dal mondo
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interviste
66 / Uno squarcio nel cuore 70 / L’importanza del buon sesso 78 / L’orso delle caverne
28 / Lara Steffe 30 / Francesco Zorzi 32 / Loredana Reppucci 34 / Roberto Griot
RACCONTI / LIBRI CONCORSI
attualità
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104 / Il Carro delle Muse 110 / Lupo Show e Fiocco Freestyle 118 / Vento da Nord
36 / Le droghe attraverso il tempo 50 / Le tre Regole del gioco 72 / Con il naso all’insù 74 / Lana: da rifiuto a risorsa 82 / Religiosità fra le nuove generazioni 84 / Quid es veritas? Fiemme&Fassa Magazine inverno 2014-15 Iscr. Tribunale di Trento nr. 8/14 del 27/05/2014 fiemmefassamagazine@gmail.com www.fiemmefassamagazine.com Issuu: FiemmeFassa Magazine
110 speciali 94 / Speciale Musei e Mostre 120 / Speciale salute&bellezza 137 / Speciale sport&company
Direttore Editoriale: Sofia Brigadoi Redazione e Marketing: Sandra Paoli, Sofia Brigadoi, Mirco Rigoni, Luigi Casanova
Progetto e impaginazione: Rosanna Cori Area Grafica - Cavalese www.areagrafica.tn.it info@areagrafica.tn.it
Stampa: Cierre Grafica Sommacampagna (Vr)
In copertina: Scultura di Lara Steffe
rubrica
Il ritorno del lupo e dell’orso nelle valli di Fiemme e Fassa
S
ino a qualche anno fa sembrava solo un’ipotesi peregrina mentre ora è una realtà incontrovertibile: il lupo e l’orso bruno sono tornati, sia in Trentino che - in misura diversa - nelle Valli di Fiemme e Fassa. È un evento eccezionale, di grande importanza biologica ed ecologica ma anche culturale: un pezzettino degli ecosistemi in cui viviamo e che ci consentono di vivere è tornato, consentendo agli stessi di funzionare meglio. È anche una sfida perché in aree fortemente antropizzate, come la Alpi, la convivenza con questi animali non è automatica e passiva ma richiede conoscenza, cultura ed un’oculata gestione. Intendiamoci però: mentre in Trentino occidentale e nelle aree limitrofe l’orso è stabilmente presente con un piccolo nucleo di una cinquantina di esemplari e vi sono due lupi solitari, nelle Valli di Fiemme e Fassa questi carnivori sono presenti con pochissimi esemplari in transito o in dispersione, nulla a che vedere con un branco o una popolazione vitale. A oggi in Fiemme e Fassa si contano tre osservazioni, considerate possibili, di lupo: due nella zona del Passo di Lavazè nel 2006 e nel 2007 ed una nei pressi di Moena nel 2010, ma quello
che rende certa la presenza della specie è il rinvenimento nel 2008 - sempre nella zona di Lavazè - dei resti di un lupo europeo, probabilmente lo stesso osservato negli anni precedenti, giunto sin qui in dispersione da Est. Per quanto concerne l’orso le segnalazioni in Fiemme e Fassa negli ultimi anni si sono fatte via via più regolari, interessando soprattutto la destra orografica della Val di Fassa e la Catena del Lagorai. In questo caso si tratta sempre di giovani maschi in transito che nella bella stagione si spostano tra le zone natie - le Dolomiti di Brenta - ed aree più orientali, situate sopratutto nel bellunese, alla ricerca di femmine ed aree idonee. Difficile dire cosa accadrà in futuro in Fiemme e Fassa; è molto probabile che il lupo riuscirà a insediarsi stabilmente, seppur a densità bassissime come è tipico della specie. Meno certo il futuro dell’orso: l’arrivo di femmine appare del tutto improbabile nel breve e medio termine mentre il transito stagionale di maschi probabilmente andrà a regolarizzarsi ed intensificarsi ulteriormente. A noi ora il compito di conoscerli meglio, consapevoli che si teme ciò che non si conosce ma consci della loro importanza, fascino e bellezza!
Foto: Gilberto Volcan
Gilberto Volcan
rubrica
Storia dello sci Da antichissimo mezzo di locomozione a moderna disciplina sportiva Cristina Marchetti
luogo d’origine potrebbe essere stato tra la Scandinavia e il Nord Ovest della Russia oppure nella regione dei monti Altaj nella Siberia meridionale. Comunque sembra certo che dopo l’ultima glaciazione i cacciatori preistorici iniziarono a legarsi ai piedi lunghi pezzi di legno per muoversi più agevolmente sulla neve. Ci sono stati alcuni ritrovamenti fossili in Foto: National Geographic Italia
Gli abitanti dei monti Altaj ottengono un paio di sci da un tronco d’abete in un paio di settimane.
Ci sono diverse teorie sulla nascita di questo antico mezzo di locomozione prima, antico più della ruota, e di disciplina sportiva poi, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Di cosa stiamo parlando? Ma dello sci, naturalmente! Dove, e soprattutto quando, sono stati inventati gli strumenti per praticarlo, quelli che grazie alla loro forma così particolare hanno permesso agli uomini dell’antichità di affrontare con efficacia territori vastissimi coperti di neve e ghiaccio, dunque in condizioni davvero difficili? Non si sa esattamente dove e quando, le teorie degli studiosi vanno in direzioni diverse: il 10
Siberia, Scandinavia e Lapponia risalenti a circa 2500 anni fa; resti di oggetti identificati come sci, peraltro in buone condizioni, sono stati trovati nelle torbiere di Hoting in Svezia, sempre in quel periodo; nell’isola di Rodoy poi, in Norvegia, si trova un’incisione rupestre, collocabile attorno al 2000 a.C., raffigurante un essere umano con ai piedi degli oggetti che sembrano essere proprio degli sci. Erodoto (IV secolo a.C.) nelle sue “Storie” racconta di popoli dell’Asia minore dotati di calzature di legno atte a scivolare sulla neve e anche Virgilio (70 - 19 a.C.) nell’Eneide fa qualche riferimento analogo. Alcuni esploratori e storici, Luther e Nansen,
dopo essersi occupati dell’origine dello sci, hanno concluso che l’idea possa essere nata nelle zone di Siberia e Mongolia. Prima che finisse l’ultima era glaciale da qui erano partite due correnti migratorie, una verso la Manciuria, che attraverso lo stretto di Bering ghiacciato era arrivata in Alaska e poi in Canada, l’altra a ovest verso la Siberia,
uno più lungo atto a scivolare e uno più corto, dotato di pelle di foca, serviva a darsi la spinta. Questo mezzo di spostamento era ancora usato in Lapponia in tempi relativamente recenti. In Norvegia gli sci erano in uso durante tutto il Medioevo, dunque si può pensare che una qualche forma di gara fosse stata messa in essere, tuttavia la prima vera competizione
Un’incisione rupestre che mostra cacciatori con attrezzi ai piedi che ricordano degli sci.
che aveva raggiunto i paesi della Scandinavia sul mar Baltico. A sostegno di queste ipotesi bisogna tener presente che con degli sci ai piedi si possono percorrere centinaia di chilometri in un giorno, inoltre queste teorie sono rinforzate dal ritrovamento di attrezzi del genere di sci e racchette presso le tribù athabaska del Canada che presentano La tecnica dello una somiglianza sci fu utilizzata importante con largamente dai quelli utilizzati dalle cercatori d’oro popolazioni arcaiche in Islanda, Finlandia, nel Canada, Lapponia e rinvenute nel Nevada e ai confini della proprio in Manciuria e nella parte estrema California. della Siberia. Luther ha scoperto anche che nell’alfabeto arcaico cinese c’è un ideogramma che si riferisce precisamente a “una tavoletta per scivolare”. Comunque è chiaro che l’ambiente è determinante per ideare e sviluppare oggetti di utilità, per questo i Lapponi si possono considerare gli specialisti del settore: sembra che 2000 anni fa calzassero degli sci spaiati,
sportiva risale alla metà dell’Ottocento a Tromso e un paio di decenni dopo il re di Norvegia organizzò una gara ufficiale a Oslo con in palio la Coppa Holmenkollen, una manifestazione che si svolge ancora oggi. Una curiosità: a Christiania, vicino a Oslo, sembra ci fosse uno sci club già dal 1833. La tecnica dello sci fu utilizzata largamente dai cercatori d’oro nel Canada, nel Nevada e ai confini della California, sicuramente grazie al fatto che tra essi c’era qualcuno che veniva dai paesi del nord Europa. L’Italia ha conosciuto gli sci alla fine dell’Ottocento: l’ingegner Adolf Kind (Coira 1848 - Bernina 1907) giunse a Torino nel 1890 per aprire una fabbrica di lucignoli. Tornato da uno dei suoi viaggi dalla Svizzera portò un paio di sci che cominciò a utilizzare a Bardonecchia, insegnando agli amici come si usavano. La novità ebbe un gran successo e dopo pochi anni questi amici diedero vita a una specie di club. L’anno ufficiale di nascita dello sci in Italia sembra essere dunque il 1897 e nel dicembre del 1901venne fondato lo Ski Club Torino. 11
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Anteprima
Merita un’introduzione il libro illustrato di Albert Reich, pittore di guerra, che ha narrato con testi e disegni la comune difesa del Tirolo delle truppe austriache e tedesche. I kriegsmaler (pittori di guerra) erano assunti dall’Impero Austroungarico per rappresentare quello che accadeva sui campi di battaglia e durante i viaggi Un estratto del libro lo trovate a pagina 60 13
rubrica
Spinosaurus: il drago dell’acqua Si è da poco scoperto che un gigantesco predatore vissuto in Africa del Nord un centinaio di milioni d’anni fa, superi per imponenza il famigerato T.rex Tra il 1910 e il 1914 Ernst Freiherr Stromer von Reichenbach, paleontologo bavarese, portò alla luce nel Sahara egiziano oltre 45 diversi taxa di dinosauri, coccodrilli, pesci e tartarughe. Tra i rinvenimenti spiccavano due scheletri parziali di dinosauro fino ad allora mai classificato. Doveva trattarsi di un carnivoro mastodontico (ora possiamo affermare che misurasse oltre 15 metri per circa 20 tonnellate di peso), dalle mascelle lunghe un metro e denti conici particolarmente acuminati. La parte più straordinaria era costituita da una sorta di ventaglio osseo di circa due metri attaccato al dorso. Stromer gli assegnò il nome di Spinosaurus aegyptiacus. Le ossa furono esposte a Monaco, nelle sale della Collezione statale bavarese di paleontologia e geologia. Durante la Seconda guerra mondiale, nell’aprile del 1944, un raid aereo rase al suolo il Museo e gran parte dei reperti che conteneva. Fu così che di Spiranosaurus rimasero solo degli appunti, qualche disegno e null’altro. Senza reperti era impossibile testare che fosse realmente esistito. La risposta arrivò attraverso un lungo cammino intrapreso con tenacia da alcuni paleontologi. Il primo fu Nizar Ibrahim che nel 2008 a Erfoud acquistò da
visita al Museo di Storia naturale di Milano, i ricercatori Cristiano Dal Sasso e Simone Maganuco gli mostrarono lo scheletro parziale di un dinosauro acquistato da un mercante di fossili che a sua volta le aveva comprate da un beduino nella zona di Erfoud. E se fossero appartenute allo stesso esemplare? Bisognava scovare il beduino, impresa non semplice in Marocco. Nel 2013 Ibrahim tornò a Erfoud per cercare quell’uomo. Lo trovò dopo molte settimane di ricerca. Il beduino gli mostrò il sito dal quale aveva estratto le ossa. Ce n’erano altre e finalmente Spinosaurus si mostrò in tutta la sua magnificenza. Grazie agli studi effettuati su uno scheletro completo, oggi si può affermare che, a differenza degli altri predatori, Spiranosaurus è stato il più imponente carnivoro mai esistito, e che possedeva delle particolarità uniche tra i suoi simili. Le ossa dense e piene, come quelle delle balene e altri mammiferi acquatici, le zampe palmate, le cosce forti e muscolose e il bacino piccolo, gli permettevano di essere un nuotatore micidiale. Ma è la sua strada evolutiva che ha segnato una grande svolta nella ricerca e nella comprensione dei secoli a venire. Una mostra Speciale Spinosaurus sarà esposta in occasione di Expo 2015 a Milano. Un appuntamento da non perdere.
un beduino alcuni fossili barbaramente portati via dal loro contesto geologico, tra i quali una lama ossea piatta. Il paleontologo non si rese conto dell’importanza di quell’unico osso fino a quando, alcuni anni dopo, durante una Illustrazioni: Davide Bonadonna (per National Geographic)
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rubrica
L’uomo ai Laghetti del Colbricon: una storia lunga 11.000 anni Rossella Duches Ricercatrice presso la Sezione di Preistoria del Muse Museo delle Scienze di Trento
Fino agli anni ’70 si credeva che le alte quote montane fossero rimaste a lungo inaccessibili dopo l’ultima glaciazione. I ricercatori del Museo Tridentino di Scienze Naturali rimasero dunque eccezionalmente sorpresi quando nel giugno del 1971 vennero rinvenuti alcuni resti preistorici attorno ai laghetti del Colbricon, a circa 1900 m di quota. Si trattava di pochi manufatti in selce la cui peculiarità stava nelle chiare tracce di lavorazione antropica e nella certezza di una loro provenienza esterna all’area dolomitica. Vista la componente porfirica del substrato geologico locale, risultava infatti chiaro che la selce raccolta vi fosse stata trasportata Foto dell’articolo: Archivio Muse - Trento
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intenzionalmente dall’uomo, a partire da affioramenti distanti almeno 40 km dal sito. Questa scoperta ha rivoluzionato le conoscenze note fino allora, aprendo scenari inaspettati sul A 11.000 anni comportamento fa risalgono i dei cacciatori bivacchi di caccia mesolitici di area alpina. Le indagini situati in punti archeologiche, strategici per condotte dal l’avvistamento Museo Tridentino degli ungulati in transito lungo di Scienze Naturali tra il il passo del 1971 e il 1974, Colbricon evidenziarono la presenza di 9 concentrazioni di reperti, collocate attorno ai laghetti e sulle creste rocciose sovrastanti la vicina Val Bonetta. Il rinvenimento di alcuni antichi focolari
permise di interpretare tali concentrazioni come accampamenti di caccia stagionali e di datare con precisione i diversi momenti della presenza umana: a 11.000 anni fa risalgono i bivacchi di caccia situati in punti strategici per l’avvistamento degli ungulati in transito lungo il passo del Colbricon; di poco più recenti sono invece le tracce degli accampamenti in prossimità delle sponde lacustri, utilizzati per attività diversificate ed un periodo di tempo più prolungato. Nel 2014 il Museo Geologico delle Dolomiti di Predazzo in collaborazione con gli Accompagnatori di Territorio del Trentino, l’Associazione Sentieri in Compagnia di Predazzo e il Parco Naturale di Paneveggio - Pale di S. Martino, ha attivato un itinerario geoturistico volto proprio alla riscoperta di questo affascinante angolo dolomitico, alla ricerca del nostro più antico passato.
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rubrica / flash dal mondo
Advance booking per Marte
Chi fuma è obsoleto, outmoded
Mars One. Entro 2023 una prima colonia umana si installerà sul pianeta rosso
Le tendenze cambiano, e se ai tempi di Audery Hepburn, Humphrey Bogart, James Dean, Marlyn Monroe e altre icone del loro calibro la sigaretta tra le labbra risultava estremamente intrigante, oggigiorno non fa più lo stesso effetto. Anzi. Forse dipende dal fatto che ormai tutti sanno che il fumo può nuocere gravemente alla salute (polmoni, fegato, cuore, pancreas…), oltre che danneggiare irreparabilmente l’aspetto esteriore (la pelle diventa grigiastra e perde elasticità, il grado di rugosità del volto può aumentare notevolmente; i denti appaiono gialli a causa del tartaro, la cellulite aumenta, i capelli si diradano e possono diventare bianchi precocemente). Eppure ancora molti adolescenti iniziano a fumare, soprattutto le ragazze, (da una statistica risulta che molte di loro pensino che il fumo sia un’efficace alternativa al cibo, e che aiuti a perdere quei chili di troppo). Strano che molti accaniti fumatori siano anche ben in carne…! Puzzare di fumo poi non è proprio un gran biglietto da visita, soprattutto nel mondo del lavoro.
Porta una firma olandese l’ambizioso progetto di colonizzare Marte. Se qualcuno è interessato a cambiare vita ed è stufo dei soliti panorami terrestri deve farsi avanti. E in fretta. Le candidature per il viaggio con il biglietto di sola andata per Marte è già iniziato. Pare che a molti il nostro Pianeta non piaccia più, dal momento che le adesioni sono piovute a catinelle da tutto il mondo. Il viaggio per raggiungere la mèta durerà quasi sette mesi e ogni astronauta dovrà partecipare a otto anni di formazione. Per alcuni mesi, ogni due anni, saranno isolati dal mondo in gruppi di quattro, per imparare le competenze necessarie per vivere su Marte. Una volta raggiunto il pianeta, gli astronauti inizieranno a vivere nelle loro unità abitative; oltre 50mq a persona, per un totale di oltre 200mq di spazio. All’interno saranno predisposti le camere da letto, le aree di lavoro, un soggiorno e uno spazio speciale adibito alla produzione vegetale. Gli spazi abitativi saranno collegati tra loro da speciali passaggi, per facilitare lo spostamento degli astronauti da un’installazione all’altra. Un primo gruppo di quattro astronauti approderà su Marte nel 2023, a seguire gli altri. A detta di molti scienziati sul pianeta rosso sono presenti i principi necessari per poter vivere. Non ci resta che aspettare gli sviluppi del progetto. Forse si tratta anche di un’importante opportunità per il futuro del genere umano, soprattutto se sarà vero che nel 2050 nel mondo ci saranno due miliardi di persone in più che chiederanno del cibo.
Credit: Bryan Versteeg and Mars One
s.b.
Un astronauta e la futura colonia su Marte rappresentata da Mars One 18
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reportage dal passato
Aneddoti di guerra Mariarosa Delugan
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Quattro aneddoti per non dimenticare il passato della nostra gente, che ha vissuto in prima linea la Grande Guerra, e con grande dignità ha saputo reagire alla sofferenza e alla distruzione. Di fondamentale importanza in questo conflitto fu il ruolo delle donne, le quali pazienti e silenziose hanno atteso per tutto il tempo il ritorno dei figli o del marito, aggrappate alla loro forza interiore e all’amore per la vita
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L’ultimo saluto Giorgio Settili aveva quarantasei anni e viveva a Cavalese con la moglie Maria e i cinque figli. La sua vita trascorreva serenamente in una quotidianità fatta di lavoro e affetti familiari. Un giorno d’autunno fu costretto a partire per il fronte orientale a combattere una guerra crudele e devastante per tutte le popolazioni dell’Impero Austro-Ungarico. Con un piccolo bagaglio e un paniere contenente pane di segala, formaggio e qualche salame, si allontanò dalla sua abitazione accompagnato solamente da Giuseppina, la figlioletta di otto anni. Lentamente si avviò alla stazione situata davanti al Parco della Pieve, dove un piccolo treno a vapore lo attendeva per portarlo lontano. Giorgio salì e sistemò il bagaglio e il paniere accanto agli zaini degli altri soldati, destinati come lui a lasciare con dolore la propria terra. Il treno partì e Giuseppina, nell’intento di vedere ancora il padre, iniziò a correre, attraversando il paese fino alla “succursale”, 24
dove sapeva che il convoglio si sarebbe fermato nuovamente. Una sola speranza nel suo piccolo cuore: quella di dare un ultimo addio al padre. Con affanno raggiunse la “succursale”. Il treno era lì e sbuffava vapore a più non posso, poiché in procinto di ripartire e portare via il suo papà. Fortunatamente lui era ancora affacciato al finestrino, speranzoso di rivederla. La bimba comprese la delicatezza e la grande umanità del macchinista che aveva spinto il convoglio lentamente attraverso le vie del paese, dandole la possibilità di raggiungerlo e di vedere ancora una volta la persona che più amava. Lo salutò, mentre lui con impeto sventolava il berretto militare, senza mai staccare lo sguardo triste dalla sua bambina, ferma a lato delle rotaie con la manina alzata. Piano piano il treno ripartì, in lontananza rimase lo sventolio di un berretto verde e per la piccola Giuseppina questo fu l’ultimo ricordo del padre che dalla guerra non tornò mai più a casa.
Giovanna Vadagnini all’età di 13 anni (la seconda bambina partendo da sinistra). È andata in sposa a Giuseppe all’età di 20 anni.
La promessa Prima di partire per la guerra i futuri soldati si recavano nelle case del paese per chiedere ai compaesani un’offerta in denaro o del cibo da portare con sé. Giuseppe Stoffie bussò alla porta di una modesta casa di Sorte, frazione di Moena, dove abitava un’umile famiglia contadina. Maddalena, la madre, si trovava in cucina accanto alla stufa accesa intenta con le tre figlie a rammendare i grembiuli consumati dal lavoro nei campi e nella stalla. Con amarezza disse all’uomo che non poteva offrire nulla, era troppo povera ma gli promise una delle figlie in moglie se fosse ritornato sano e salvo dalla guerra. Dopo quattro anni di lontananza, sofferenze e tribolazioni Giuseppe tornò a casa e Maddalena mantenne la promessa fatta. Egli sposò Giovanna, la più giovane delle tre ragazze, che a quel tempo aveva 20 anni. Dalla loro unione nacquero tre figlie: Maddalena, Margherita e Antonietta. Il loro matrimonio fu sereno, una coppia affiatata che condivise anche nella vecchiaia momenti felici.
Giuseppe Stoffie di Moena 25
Una mamma devota Mamma Antonia Dezulian di Forno aveva sette figli maschi tutti in buona salute, lavoratori e legati affettuosamente fra loro da grande rispetto e solidarietà. A sei di essi giunse l’ordine di partire per il fronte della Galizia. Furono divisi e inviati in zone diverse, rari furono i contatti fra loro. La donna con immenso dispiacere accettò questa separazione e, nella speranza di un loro ritorno a casa, trovava consolazione nel recitare quotidianamente il rosario. Un giorno, estenuata dal fatto di non ricevere alcuna notizia dal fronte, staccò con cura i fiori colorati dal cappello da coscritto di ogni
figlio e coraggiosamente s’incamminò da sola verso Cavalese, per recarsi al santuario della Madonna Addolorata. Alle spalle una borsa di stoffa nella quale teneva ben custoditi i fiori. Giunta alla chiesa li tolse dalla sacca e li sistemò in modo ordinato ai piedi della statua raffigurante la Madre di Cristo, affidando a lei i suoi sei figli lontani. Verso sera fece ritorno a Moena, stanca, con le scarpe consumate e impolverate, ma nel cuore la certezza di essere stata ascoltata da Maria. I suoi figli tornarono tutti a casa dalla guerra e Antonia raccontò sempre come la devozione alla Madonna della Pieve abbia graziato la sua famiglia. 27
Il calore di un focolare straniero Valentino Defrancesco di Someda (Juselon) era partito volontario per arruolarsi nell’esercito asburgico e combattere una guerra in difesa dell’Austria, la sua patria. In Galizia fu fatto prigioniero da un gruppo di soldati russi. Per molto tempo trascorse le giornate in un campo di prigionia, dove divideva con altri compagni misere baracche di legno sommerse dalla neve, e altrettante misere porzioni di zuppa spesso insipida e fredda. Un vecchio militare, custode del campo, gli propose di lavorare presso una famiglia di contadini dai quali avrebbe avuto in cambio vitto e alloggio. Il prigioniero accettò senza indugiare l’offerta e fu accolto con grande cortesia in un’isba. La famiglia che vi abitava era gentile e ricca di calore umano. Grazie alla loro sensibilità nel capire il disagio che stava vivendo, fu in grado di sopportare la solitudine che gli colmava il cuore. Valentino si occupava del bestiame e trascorreva molto tempo con la famiglia ospitante, che passava le serate accanto al focolare acceso. Giorno dopo giorno divenne sempre di più parte di loro. Finalmente giunse la notizia della fine della guerra e Valentino decise di organizzare subito il ritorno a casa. La famiglia che lo aveva accolto desiderava che restasse con loro, e che sposasse una delle figlie, ma la nostalgia che provava per la sua gente, il paese e le montagne della valle era immensa. Il suo unico desiderio era di tornare a casa. Non accettò l’offerta del contadino galiziano e, con uno zaino colmo di uova sode preparate per lui dalle ragazze, s’incamminò verso casa. Dopo alcuni giorni lungo il cammino fece amicizia con un soldato di Ziano, con il quale decise di condividere il ritorno. Giunti a Kiev Valentino dovette fermarsi. Il tifo lo aveva colpito e aveva bisogno di cure ospedaliere per sopravvivere. Con mezzi di fortuna l’amico di Ziano raggiunse la Val di Fiemme e, qualche tempo dopo, curioso di sapere se Tino fosse guarito e riuscito a raggiungere la propria famiglia, decise di fargli visita. Purtroppo lui non c’era e nessuno del suo paese natale aveva più ricevuto notizie. Tutti lo credevano ormai morto. Alcuni mesi dopo, al tramonto, una donna affacciata alla finestra vide un uomo che con 28
Valentino Defrancesco “Juselon” di Someda
passo sicuro attraversava la piazzetta di Someda: era Valentino. Era sopravissuto a un contagio mortale. Era vivo. Fuori pericolo. Per festeggiare il ritorno a casa di un soldato buono e coraggioso, fu organizzato un banchetto che riempì di gioia Someda e tutti i suoi abitanti.
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io, in breve
Lara: “I have a dream” Sofia Brigadoi
A
bbandonarsi al sonno dell’ignoranza è un po’ come morire. Avere un sogno crea un inevitabile movimento verso la ricerca. Significa incamminarsi, simultaneamente, su più strade, ognuna delle quale è indelebilmente legata all’altra. Non c’è risposta se la mente e il corpo non sono in sintonia. La via più inspiegabile va verso l’interno. Lara ha scelto di intessere di elementi il suo sogno: perché niente può essere creato dal niente. Le sue opere prendono vita dal cuore e dal desiderio di trovare un punto di contatto tra lo spirito e la materia. Un percorso artistico destinato a stupire l’osservatore in virtù di opere lignee eleganti, eteree, protratte nell’universo, che spaziano dall’esistenzialismo al multiforme panorama del pensiero contemporaneo. Una scultrice completa, che ha scelto di essere libera e di dare vita alle sue opere con altrettanta libertà. Il suo percorso artistico inizia all’Istituto d’Arte di Pozza, dove oggi insegna. Nel 1992 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Brera, in seguito la sua ascesa è inarrestabile: ha vinto molti premi e ha avuto importanti segnalazioni di merito, ottenendo ampi 30
consensi anche da parte del pubblico. Tra i più significativi Simposi Internazionali di scultura su legno ai quali Lara ha partecipato troviamo “Montagn’ Art” in Svizzera, “Luci e ombre del legno” a Castel Tesino di Trento, Ex Tempore Internazionale Città di Belluno. Anche all’estero ha dimostrato le sue innate capacità artistiche, prendendo parte a rilevanti eventi artistici Internazionali (in Svizzera a Thyon Les Collons, alla Biennale di Montreux, in Ecuador a San Antonio de Ibarra, e in Egitto all’Ostraka Arts Festival di Sharm El Sheik e Il Cairo). Lara vive a Moena. Il tratto più espressivo del tuo carattere? Mi viene in mente ciò che mi ha sempre detto mia madre: “Forte, ma con le lacrime in tasca”. Penso che abbia ragione... Qualità… difetti. Le mie qualità sono anche i miei difetti. Sono cocciuta, determinata ma anche molto sensibile e sognatrice. Le tue opere hanno forme fluide e l’energia del contemporaneo. Espressione ed emozione. Il messaggio? Dobbiamo cercare di guardare di più dentro di noi, a prescindere dall’esteriorità, e recuperare quel senso di osservazione, di contemplazione degli eventi, delle cose, ma specialmente di noi stessi, che non possediamo più. Sono temi forse del tutto personali, talvolta anche intimi, che io “materializzo” a testimonianza di una ricerca che, legata a me stessa, ha come punto focale l’importanza dell’ “Essere”. Il contemporaneo è semplicemente il tempo che noi stiamo vivendo, e l’energia ci arriva dal mondo esterno e dalle persone che scegliamo di frequentare.
La scultrice che intaglia il legno. Le sensazioni. Quando scolpisco c’è un legame, un’intesa, un feeling con la materia e la sua forma. Provo una grandissima sensazione di libertà emotiva, mentale e fisica. E’ un’emozione che va oltre la realtà materiale che vivo tutti i giorni, oltre il tempo scandito dai minuti, oltre la fatica fisica che, non si può negare, a lavoro terminato si fa sentire. Le caratteristiche che preferisci in una persona e quelle che detesti. La buona educazione, la positività, l’onestà, e l’affidabilità. Detesto l’esatto contrario, e non sopporto l’arroganza. Il personaggio preferito. Non c’è un personaggio in particolare ma una persona, che è anche per me la più importante. Sarò nostalgica ma è mio padre. Un desiderio per il mondo… uno per te stessa. Pace e Amore per entrambi. Rimpianti? Non ho rimpianti, ho potuto fare tutto ciò che ho sempre desiderato nella mia vita, e per questo ringrazio la mia famiglia che mi ha sempre sostenuto. Ho vissuto pienamente tutto, sia situazioni positive, sia negative ed entrambe mi sono servite per “crescere”. Mi ritengo fortunata, grazie vita!! Obbiettivi? “Crescere” sempre di più, a 360°, assaporando e cogliendo appieno tutto ciò che il destino mi metterà di fronte, voglio troppo? 31
io, in breve
Francesco Zorzi: “Architetto, o quantomeno ci provo” Sofia Brigadoi
H
a vissuto a Moena fino a quando, a diciotto anni, si è trasferito a Venezia per studiare allo Iuav (ateneo statale di architettura, design, teatro, moda…). Quindi si è spostato a Milano per seguire un Master in Progettazione Architettonica e nel contempo lavorare presso lo studio Salottobuono. Numerosi i Concorsi hai quali ha partecipato sia in Italia che all’estero, collaborando con Studi e Architetti di fama internazionale. Tra i tanti menzioniamo il Concorso YAP MAXXI 2013 esposto al Moma PS1 di New York. Due disegni realizzati per la rivista San Rocco sono stati in mostra alla Biennale di Architettura di Venezia Common Ground 2012. Nel 2014 partecipa con lo studio Salottobuono alla Biennale di Architettura Elements, su invito del curatore Rem Koolhaas, nella sezione Monditalia con un progetto intitolato Ground Foor Crisis. Oltre all’ attività professionale di architetto, dal 2013 lavora in ambito accademico come cultore della materia (assistente accademico). Si definisce uno scettico, anarchico, e individualista. Molte delle sue abilità traggono consapevolezza nelle pieghe della storia, che presentano “casi studio” in grado di spingerlo verso una maggiore consapevolezza progettuale. Oltre all’architettura si interessa di arte visiva, performativa e grafica. Nel 2014 insieme con alcuni colleghi e amici fonda RAUMPLAN, spazio online per la pubblicazione di lavori inediti. Una vetrina ma, soprattutto, un “banco di prova” per idee 32
e produzioni: uno spazio pubblico in cui ogni lavoro può essere spunto per un dibattito. Il tratto più espressivo del tuo carattere? A dire il vero non ne ho idea, anni fa avrei giurato di essere ideologico e carico di fervore politico e spirito combattivo, ora sono semplicemente scettico. Ecco sì, scettico è il “tratto” (se così si può definire) fondamentale del mio carattere. Scettico e anarcoindividualista. Che cosa significa per te “Architettura”? Beh, in realtà non lo so proprio, ci sono progettisti e teorici che studiano e lavorano una vita intera e non ne hanno la minima idea, io semplicemente mi limito, come diceva Giorgio Grassi, a fare il mio facendo meno danni possibile, sia da un punto di vista accademico, che da un punto di vista progettuale. Creatività, rispetto per l’ambiente, ricerca, know-how: in che misura influiscono nel tuo lavoro? La ricerca, lo studio e la lettura di testi sono la sola parte fondamentale del mio lavoro. Per il resto, non sono creativo, sono un architetto non un artista. Credo che fare l’artista sia un compito estremamente più complesso di quanto sia fare l’architetto. Mi limito a guardare i casi studio che la storia ci fornisce, e a imparare studiandoli e ridisegnandoli. All’occorrenza anche copiandoli.
Le caratteristiche che preferisci in una persona e quelle che detesti. Adoro le persone da cui posso imparare qualcosa, seriamente qualsiasi cosa. Molto banalmente detesto la stupidità. Il personaggio preferito. Ettore Sottsass Jr, ha vissuto un’esistenza che vorrei vivere ancora, ancora ed ancora. La sua autobiografia intitolata “Scritto di Notte” è un libro molto importante per me. Inoltre il padre era di Canazei e lui è cresciuto tra la Val di Fassa e Predazzo. Mio padre è di Moena e mia madre è di Predazzo. Le origini infondo sono le stesse.
Un desiderio per il mondo… uno per te stesso. Che cosa difficile. Non credo di avere desideri per il mondo. I desideri per il mondo li hanno i premi Nobel e altre magnifiche e raffinate persone. Io sinceramente fatico a immaginare persino cosa mangerò questa sera. Per me stesso, desidero semplicemente di condurre un’esistenza dignitosa. Mi basta lavorare (sembra scontata come richiesta, ma ti assicuro che non lo è per nulla, soprattutto per chi si occupa di architettura) e fare essenzialmente ciò che mi va, quando mi va. Rimpianti? Rimpianti grossi e tormentanti non ne ho per fortuna. Obbiettivi? Gli obiettivi sono uguali ai desideri, e al momento sto lavorando come progettista e come cultore della materia (assistente accademico) proprio per fare in modo che alcune delle cose che vorrei fare nella vita vadano, come si suol dire, a buon fine.
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io, in breve
Loredana, la leonessa Sofia Brigadoi
L
oredana Reppucci è una donna coraggiosa, energica e determinata, ma nello stesso tempo dai suoi occhi traspare un’intensa dolcezza. Discorrere con lei arricchisce, perché di strada ne ha fatta tanta e molta in salita. Ma non si è mai arresa. Laureata in matematica e fisica, è stata una delle prime donne a intraprendere una carriera nel settore informatico, che l’ha vista ricoprire ruoli manageriali presso Aziende leader del mercato italiano. Il suo hobby è scrivere, molteplici le collaborazioni con riviste letterarie. Nel 2008 è stata premiata come migliore autore dell’anno precedente. Numerosi i romanzi nati dalle sue esperienze tra i quali citiamo Intrigo inquietante, Il segreto di Florian Kant, E se domani una farfalla…, che tratta delle micidiali onde elettromagnetiche con cui qualcuno potrebbe scatenare artificialmente terremoti, tsunami e cambiamenti climatici in qualsiasi punto della terra. L’ultima sua opera porta il titolo: I giustizieri, un thriller ad alto impatto che narra la vicenda di una delle famiglie più rilevanti della Terra. Un plauso per il suo ultimo impegno come ideatrice del Concorso 34
Loredana Reppucci durante la Premiazione del Concorso Letterario “Il Carro delle Muse”
letterario Il Carro delle Muse, che ha riscosso un rilevante successo di pubblico e critica. Vive con il marito a Cavalese. Il tratto più espressivo del tuo carattere? La pertinacia, accompagnata dalla massima trasparenza. Qualità… difetti. Sono leale, sincera e affidabile. Per quanto detto, finisco per essere molto intransigente. Da manager a scrittrice. In realtà la domanda potrebbe essere capovolta: ho sempre amato scrivere. Fin da bambina componevo poesie e favole. Che studi potevo fare per diventare “scrittrice”? A quei tempi non c’erano scuole di giornalismo e sarei finita a fare l’insegnante di lettere. Desideravo qualcosa di più eccitante, così mi sono laureata in matematica e fisica, curiosa com’ero della struttura della materia e dell’universo. Seguirono esperienze significative ma anche inquietanti che mi hanno resa consapevole della generale falsità dell’informazione, degli inutili equilibrismi di una morale ipocrita e interessata, del profondo sonno in cui molti
affogano la loro esistenza per non “sapere” scomode verità volutamente taciute dai “media”. Tutto questo mi ha portato a scrivere dei thriller, in cui il protagonista, più che un eroe, è forse un antieroe, destinato a cercare spesso senza successo - il ripristino di un’etica profonda ed ecologica in grado di guarire le piaghe dell’uomo e del pianeta in cui vive. Quale romanzo vorresti aver scritto? “Il Tao della fisica” di Fritjof Capra: non proprio un romanzo, bensì l’avventura dell’universo, dalla materia all’antimateria, dal macrocosmo al microcosmo, dal big bang alle galassie, dagli atomi ai quark. Tra i classici romanzi moderni “L’eleganza del riccio”. Le caratteristiche che preferisci in una persona e quelle che detesti. In primis, apprezzo l’intelligenza di cui mi fido quasi sempre, quindi lealtà e coerenza che in genere l’accompagnano. Per contro detesto la stupidità perché genera sempre una corte infinita di altri difetti. Personaggio preferito? Gandhi, perché non sopporto la violenza, amando profondamente la libertà e la giustizia.
I Redcliffe sono una delle famiglie più importanti della Terra, detengono cospicui pacchetti azionari che li pongono ai vertici di molte e potenti aziende del globo. Tale posizione nel mondo finanziario consente alla famiglia, rappresentata dal capostipite
Un desiderio per il mondo… uno per te stessa. Vorrei che tutti i popoli del pianeta avessero un sereno spazio vitale in cui vivere da uomini liberi, rispettosi delle reciproche diversità. Vorrei che questo spazio non fosse gestito da una politica vorace. Per me stessa… un tramonto senza nuvole. Rimpianti? Sì, qualcuno, per non aver assecondato le mie aspirazioni artistiche giovanili (mi sarebbe piaciuto vivere a Parigi come disegnatrice di moda o come scrittrice), ma per seguire il cliché imposto dalla società dei miei tempi (quella di mettere un “dottor” davanti al proprio nome e cognome), ho seguito un’altra strada. Ammetto però che gli studi scientifici, oltre a esser stati fonte di molti miei successi, mi consentono ancora di stupirmi viaggiando nel mondo segreto della scienza. Obiettivi? Scrivere finché mi sarà possibile, e, nelle pause, leggere tanto, soprattutto per tenermi aggiornata sul magico mondo della fisica subatomica e della metafisica, in cui la materia sfuma nella pura energia. E raggiungere uno stato di coscienza impermeabile alle risse e alle meschinità del mondo attuale, per vivere nella semplicità, in armonia con la natura e le sue leggi.
Gunther, di sedere nel consiglio supremo di Gold Planet, lobby di potere che raggruppa le élite economiche e decide le sorti del pianeta grazie a una costante pressione su governi e organizzazioni. Markus è il rampollo dei Redcliffe: un passato da playboy, sposato con Erika da cui ha avuto un figlio, Nathan. Erika è la segretaria di Gunther Redcliffe, ne segue ogni attività, lasciandosi assorbire da un eccessivo impegno che l’allontana dalla famiglia e logora ulteriormente il rapporto con un marito sempre più sospettoso. La gelosia di Markus pesa sul legame con il padre; fra i due Redcliffe vige un silenzio rotto, di tanto in tanto, da litigi e incomprensioni causati della divergenza dei due caratteri: tanto cinico e determinato Gunther, quanto fragile e idealista Markus. Tutto è destinato a cambiare quando entrano in gioco i Giustizieri, un
gruppo eversivo determinato a eliminare i componenti del Gold Planet e animato da sentimenti di vendetta nei confronti della lobby che ha fomentato conflitti e seminato lutti vendendo armi. Gunther viene eliminato insieme alla seconda moglie, matrigna e amante di Markus. A questo punto il giovane Redcliffe è obbligato a ricoprire un nuovo ruolo nella società di cui volente o nolente fa parte, sotto la minaccia dell’ennesimo attentato dei Giustizieri. Markus si avvia verso un percorso di formazione, guidato dal membro anziano dell’organizzazione e supportato dall’amico fraterno e analista William, che lo porta a guadagnare credibilità all’interno di Golden Planet e a rivedere il suo rapporto con Erika. Ma il mistero dei Giustizieri e un segreto inconfessabile incombono sul futuro del giovane Redcliffe spingendo le vicende verso scenari del tutto inaspettati. 35
io, in breve
Roberto Griot: atleta per passione Silvia Delli Zotti
O
cchi azzurri, sguardo gentile e positivo. Un uomo che ama darsi da fare in famiglia e nelle sue passioni: lo sci alpino e il ciclismo. Lavora alla Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo, ha 37 anni 36
e un figlio da poco diventato scolaretto. Nel tempo libero Roberto non riesce a stare fermo; sale sulla bici e macina chilometri su chilometri oppure, in inverno, prende gli sci e va a disegnare curve sulle piste. Quando lo incontri ti accoglie sempre con un
grande sorriso e con il suo modo di fare allegro e disponibile, ma basta fargli indossare un pettorale per vedere grinta e determinazione nei suoi occhi, pronto a sprigionare il talento in gara. Ha alle spalle una carriera da atleta di sci alpino, quel primo amore che non si scorda mai. Racconta che chi sceglie di praticare sport a certi livelli è come se vivesse in un mondo parallelo, dove ciò che avviene nel mondo ti tocca solo in parte. Perché un atleta vive per migliorarsi, è concentrato sulla prestazione e sui consigli dell’allenatore e dello staff tecnico. Quando la carriera finisce, si rende conto di aver vissuto una vita diversa dagli altri per molti anni. Oggi, chi frequenta la palestra a Predazzo conosce Roberto come istruttore di spinning, un modo per pedalare indoor molto allenante, a ritmo di musica. In quell’ora di lezione, Roberto esprime tutto il suo amore per lo sport e per la fatica, due suoi compagni di viaggio da sempre. Il tratto più espressivo del tuo carattere? Mi definisco un buono. Non perdo facilmente le staffe, incasso bene i colpi, ma se la corda si rompe, non riesco facilmente a tornare sui miei passi. Qualità… difetti. I difetti li lascio giudicare agli altri, anche se riconosco di essere istintivo e, a volte, sono troppo irruente in ciò che dico o faccio. L’istintività può essere una qualità se ti porta a prendere giuste decisioni, ma va controllata. Un papà atleta come te quali valori insegna a suo figlio? Lo sport è una scuola di vita. Come papà, sento il dovere di trasmettere la passione per l’attività sportiva e di non fargliela passare. Qualsiasi disciplina mio figlio sceglierà di praticare, imparerà due valori che, secondo me, lo sport sa insegnare molto bene:
il sacrificio e la rinuncia. Quando porto mio figlio al campo di calcio, gli ricordo quanto sia fortunato perché sta per vivere un momento della giornata solo per sé, da godere fino in fondo e condividere con i compagni di squadra. Proprio come un allenatore o un insegnante dovrebbe fare, un genitore deve riuscire a trasmettere passione e rispetto delle regole. La gara che vorresti ripetere e quella che sogni di fare? Vorrei ripetere la seconda manche dei Campionati Italiani di Slalom Gigante a Sestriere, quando gareggiavo ad alti livelli nelle Categorie giovanili . Dopo un’ottima prima manche, ho inforcato alla penultima porta e ho saltato l’ultima. Ho tagliato il traguardo rotolando, ma se non avessi saltato avrei vinto comunque il titolo di campione italiano. Mio padre e un responsabile del brand per il quale correvo erano presenti. Chissà come sarebbe stata la mia carriera se non avessi perso quell’occasione. È un ricordo che brucia ancora. La gara che farei è una qualsiasi di Slalom Gigante in Coppa del Mondo. Meglio se in Val d’Isère. Le caratteristiche che preferisci in una persona e quelle che detesti. Amo la sincerità e la lealtà. Sarebbe scontato dire che non sopporto la falsità. Personaggio preferito. L’ex campione svizzero di sci alpino Michael von Grünigen: la maggiore eleganza nelle espressioni dello Slalom Gigante. Un desiderio per il mondo... e uno per te stesso. Per me stesso, la salute dei miei famigliari. Sempre. Per il mondo, eliminerei l’ipocrisia. Ovunque. Rimpianti? Ho dei rimpianti per scelte fatte troppo in fretta, senza ragionare. Obiettivi? Il mio più grande obiettivo è sentirmi realizzato in famiglia. Nella vita in generale, mi piacerebbe riuscire a trasmettere di più quello che vorrei, le sensazioni che provo. 37
ATTUALITà
Le droghe attraverso il tempo Cristina Marchetti
La parola “droga” non identifica solo gli stupefacenti ma presenta altri due significati: si parla di droghe anche in riferimento a spezie e farmaci
S
embra che l’etimologia di questa parola discenda dall’olandese “droog” che vuol dire “secco”, proprio perché in cucina e in farmacia si utilizzava la pianta essiccata, ma deriva anche dal termine greco “pharmakon” che definisce una sostanza che modifica lo stato psicofisico. Nell’antichità la conoscenza delle proprietà psicoattive di alcune piante era piuttosto diffusa, come dimostrato dal ritrovamento di numerosi reperti, segno di un profondo legame tra l’uomo e la natura. Per lungo tempo l’uso di droghe non ha comportato giudizi morali, in molti casi addirittura il loro utilizzo era legato alla pratica religiosa. Nello sciamanismo per esempio dimensione religiosa e assunzione di droga divengono tutt’uno. Anche i Greci erano soliti avvalersi di stupefacenti durante le loro cerimonie: alcol, ma anche canapa e oppio. Sostanze psicoattive e inebrianti erano utilizzate anche dai filosofi per procurare pensieri elevati. Col Cristianesimo il binomio droga e religione comincia a vacillare perché si fa strada il pensiero che le droghe allontanino gli uomini dal vero Dio e nel Medioevo le sostanze stupefacenti vengono annoverate tra i peccati della religione cristiana, passibili addirittura di condanna al rogo. 38
Nel XVI secolo, con la scoperta dell’America, fanno la loro comparsa in Europa coca e tabacco e lo sviluppo di nuove conoscenze in campo scientifico fa sì che le droghe diventino componenti principali o secondarie di farmaci. Nell’Ottocento, in pochi decenni, dalla sintesi dell’oppio e i suoi derivati si ottengono la
Nel 1886 il farmacista statunitense John Stith Pemberton inventò la “Coca Cola” basandosi sulla miscela di vino e foglie di coca morfina, dal nome del dio greco del sonno Morfeo; la coca, oggetto di studio anche da parte di Sigmund Freud che scrisse un saggio sul suo utilizzo; l’eroina, commercializzata dalla Bayer come farmaco contro tosse e problemi respiratori. Con la seconda metà del XIX secolo in Europa le droghe sono utilizzate in modo sempre più diffuso, non solo per curare malattie e disturbi, ma anche per puro piacere. Non si può non ricordare che nel 1886 il farmacista statunitense John Stith Pemberton
Eroina: commercializzata dalla Bayer come rimedio contro tosse e problemi respiratori inventò la “Coca Cola” basandosi sulla miscela di vino e foglie di coca ideata dal farmacista Angelo Mariani. Inizialmente la bevanda serviva come rimedio contro il mal di testa e la stanchezza. Agli inizi del Novecento, sulla spinta del proibizionismo, nella bevanda la cocaina venne sostituita dalla caffeina. Intorno agli anni Trenta del Novecento sono state create in laboratorio e commercializzate le anfetamine, sostanze psicoattive stimolanti del sistema nervoso centrale, utilizzate per questo anche in ambito militare. Una decina d’anni dopo è sintetizzata l’LSD, un’altra sostanza nata come farmaco ma utilizzata poi dai giovani negli anni ‘Sessanta anche grazie al contributo fornito in questo senso dal mondo della musica, in particolare la musica rock. Si tratta di una sostanza molto pericolosa poiché il cervello subisce alterazioni tali da non poterne più fare a meno ed è subito allarme sociale ma le restrizioni portano inevitabilmente alla produzione e vendita clandestine. Agli inizi degli anni ‘Settanta inizia a essere prodotta la droga conosciuta come Ecstasy che tuttavia ha raggiunto la popolarità solo il decennio successivo e, nonostante sia poi stata messa al bando, il suo consumo è cresciuto sensibilmente, tanto nei rave party
che nelle discoteche. E arriviamo negli anni Novanta e la guerra alla droga continua ma ciò non ne ferma la produzione e il commercio: curioso è sapere che in Olanda, dove è possibile acquistare legalmente piccole quantità di cannabis, il consumo è pressoché uguale a quello registrato negli Usa, dove invece è proibita. Al giorno d’oggi da più parti si chiede che l’uso delle droghe venga legalizzato.
La droga cambia volto
Quando si parla di droghe, si pensa comunemente alle sostanze stupefacenti derivate dalle piante o create sinteticamente in laboratorio, ma droga può essere anche altro, l’alcol per esempio è considerato tale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in quanto il suo abuso può modificare il funzionamento del cervello, dunque è anch’esso una sostanza psicoattiva. Dal punto di vista giuridico é legale ma può creare danni molto seri a livello delle cellule epatiche e dare dipendenza più di molte altre sostanze illegali. Rappresenta il terzo fattore di rischio per decessi e invalidità in Europa e il fattore principale di rischio per la salute della 39
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In val di Fassa ci sono ben cinque club di alcolisti in trattamento popolazione giovane. Come si sa, le nostre zone di montagna presentano questa problematica in modo piuttosto corposo: in Trentino oltre 2000 famiglie si sono rivolte ai Servizi di alcoologia dell’Azienda sanitaria provinciale e in val di Fassa ci sono ben cinque club di alcolisti in trattamento. Ma la dipendenza e le alterazioni del comportamento sono causate anche da qualcos’altro che non è una droga strettamente intesa ma che sortisce lo stesso risultato. Parliamo per esempio del vizio del gioco, che sta prendendo sempre più piede anche nelle nostre piccole realtà e che si sta dimostrando davvero altrettanto dannoso
quanto le droghe propriamente dette. Così come si è fatto per il problema dell’abuso di alcol, nelle valli di Fiemme e Fassa è attiva da qualche tempo l’associazione “Occhio al gioco”, nata per interessamento di Marino Pederiva, vittima egli stesso in passato di questa brutta dipendenza e poi affrancatosene e divenutone presidente, con lo scopo di sensibilizzare le persone ma anche di fornire un sostegno valido a chi, afflitto da questo pesante problema, senta il bisogno di essere aiutato o anche solamente ascoltato, senza essere sottoposto a nessun tipo di giudizio. Un altro disturbo comportamentale che si è sviluppato in questi ultimi anni è la dipendenza da Internet da parte soprattutto dei più giovani ma non solo, anche moltissime persone adulte sono state letteralmente “prese nella rete”. Il web infatti, offre opportunità innumerevoli e davvero straordinarie, è una finestra spalancata affacciandosi alla quale chiunque può trovare qualcosa di proprio interesse, grandi, piccoli e anche nonni, ma il confine tra l’uso e l’abuso è estremamente sottile. Questo fenomeno desta non poca preoccupazione, tanto che l’argomento è stato affrontato in più occasioni nel corso di serate e incontri organizzati dalle istituzioni scolastiche e civili. 41
relazioni
Proteggiamo i bambini
Colori proibiti Sofia Brigadoi 42
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i dice che qui, una volta, c’era un villaggio, e che all’improvviso è stato sommerso dal fango. Tutto in una sola notte. Ma non è così. Io l’ho visto e non è sepolto in nessun posto. Ci vado quasi tutti i giorni. Ci sono tante casette colorate, basse, con l’erba intorno. Niente grattacieli. Nessuno sta sopra l’altro. Né sotto. Le persone che ci abitano sono prive di pensieri cattivi. Non devi camminare a testa bassa con il cuore che ti batte forte per la paura che qualcuno ti faccia del male. Ci sono anche i fiori, e tanti profumi che ti avvolgono e ti girano intorno. Alle volte mi pare di poterli toccare. Diventano densi e quasi li stringo tra le mani. Ora è buio e sono rannicchiata a letto. Ho paura, di notte vedo tutto nero. Tante sottili linee scure mi ruotano nella testa. Allora penso al mio villaggio e riesco a sopportare. I primi segni di chiaro. Scendo dal letto. A fatica. Ho perso una gamba. Ero con mia sorella, quella più piccola. Stavamo tornando da scuola. Un diavoletto
esplosivo (così lo ha chiamato il dottore) si è preso la mia destra, mia sorella ha perso la sinistra. “Una fortuna che portate lo stesso numero di scarpe” ha detto mio padre. Forse ha ragione. Con un solo paio, abbiamo di che metterci tutte e due. Esco. Non ci vuole molto per arrivare al mio villaggio. Vedo già la prima casetta. È gialla con le persiane azzurre. C’è un anziano signore in giardino che cura un’aiuola. Rallento e ci metto un’eternità a fare solo un metro di strada. Mi vede, chiede se lo aiuto. Ce l’ho fatta… era quello che volevo. Non mi accorgo del tempo che passa. Ho giocato con dei bambini e pranzato con un’allegra signora. Il buio è arrivato troppo presto. Rientro a casa. Sento: “Dammi i soldi.” Le tasche sono vuote. Ho una guancia rossa e un occhio blu quando mi stendo a letto. Mio padre è contento, dice che quando sono malconcia faccio più soldi. Che i bambini malconci fanno più soldi. Io dico che fa male. Penso a domani, ma non riesco a sorridere. Allora mi concentro sul mio villaggio e mi scappa un pensiero, felice. Lo smorza mio padre che urla a mia madre: “Sta sempre in discarica! È una buona a nulla… come te!” Con un dito traccio un’ultima parola, la scrivo nello spazio: Aiuto, Help, Ajutor, Jardim, , ajude-me, 救 命, Hjälp, Hilfe… Poi resta solo il buio.
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natura
Anime verdi Luigi Casanova
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(…) Nel creato tutto “fluttua” perché le forme vanno e vengono. Gli atomi si spostano nello spazio vuoto e si uniscono per formare le cose che vediamo attorno a noi. Gli “atomi dell’anima” sono rotondi e levigati (…) Concetto di Democrito
Il mondo vegetale è il sistema vivente dominante nel nostro pianeta, rappresenta il 99,5% degli organismi, mentre il regno animale non arriva allo 0,5%. Eppure siamo riluttanti nel riconoscere alle piante capacità sensoriali simili a quelle umane
Olio e collage su tela di Sofia Battisti artequadricolori@gmail.com www.sofiabattisti.com 45
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Diatriba: le piante hanno un’anima?
Democrito
Aristotele
Nonostante che nella loro lunga permanenza sulla terra (450 milioni di anni, l’uomo 200.000), abbiano dimostrato di essere adattabili, di occupare più spazio, siano organismi raffinati e intelligenti, più di quanto siamo stati indotti a pensare. Se l’intelligenza è l’abilità di risolvere problemi non vi è dubbio che qualcosa dobbiamo imparare dalle piante. Fino a pochi decenni fa il mondo vegetale era considerato un insieme di esseri inferiori. Una cultura che ci è stata imposta dai dogmi aristotelici che hanno messo all’angolo le riflessioni di Democrito. Questo filosofo greco assegnava alle piante percezioni umane. Per Aristotele invece il regno vegetale non poteva avere un’anima, non poteva muoversi e quindi era inanimato. Solo più tardi riconoscerà alle piante un’anima, comunque di basso livello, perché si riproducono. Anche la scienza a noi più vicina non ha avuto coraggio nel riconoscere intelligenza e sensibilità al mondo vegetale, per timore delle critiche. Timidi passaggi positivi li riscontriamo in Linneo (1707 - 1778), il padre della botanica sistematica, che aveva affermato che le piante “dormono” e le ha classificate sulla base del sistema sessuale venendo immediatamente condannato per immoralità. Non fece altri passi nonostante l’importante intuizione e a dispetto
della sua conoscenza di piante carnivore (Dionea muscipula). Charles Darwin un secolo dopo riconobbe che vi erano piante che si nutrivano di animali (il genere Nepenthes). Per far filtrare le notizie alla comunità scientifica, scelse una strada di basso profilo: le piante dovevano rimanere esseri passivi, insensibili. Lasciò però trapelare passaggi importanti. Come sono riuscite a sopravvivere per tempi tanto lunghi? Arrivando ad ammettere che nelle loro radici vi è un qualcosa di simile al cervello di un animale. Non possiamo meravigliarci di tanta timidezza del mondo scientifico. Le religioni monoteiste non sono mai state troppo sensibili verso chi non ha voce, e poi, le piante sono stanziali, gli animali mobili. Durante il diluvio universale Dio indica a Noè cosa portare sull’arca della salvezza: ogni creatura che si muovesse, solo animali (Genesi 6, 18-22). Ma Noè aveva intuito qualcosa di più ricco rimasto all’esterno. La colomba liberata per segnalare la ripresa della vita ritorna con un ramoscello d’ulivo nel becco. E come primo gesto verso il mondo Noè impianta una vite. Aveva raggiunto una consapevolezza: l’uomo e gli animali senza il mondo vegetale sono destinati a soccombere. 47
Un’alga verde unicellulare dispone di un occhio primordiale che ricerca la luce Le piante non hanno occhi, naso, orecchie e bocca. Come possono vedere, annusare, udire, sentire, gustare? Oggi la scienza aiuta nel trovare delle risposte. I vegetali non concentrano la percezione di un senso in un organo, ma nell’insieme dell’essere. La pianta attraverso l’euglena, un’alga verde unicellulare, che dispone di un occhio primordiale detto fotorecettore, percepisce la luce. Quest’alga
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nuota nei fluidi grazie a sottili flagelli alla ricerca della luce, è in grado di riprodursi e sa fare la fotosintesi, un’operazione difficile e delicata. Sembra proprio che non vegetino. Possiedono i cinque nostri classici sensi e probabilmente altri 15. A differenza degli animali sono autosufficienti, e usano metodi di sopravvivenza diversi dai nostri, più complessi e diffusi in tutto l’essere.
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Le percezioni delle piante La vista è un senso che permette la percezione degli stimoli visivi. Le piante percepiscono la luce, sia nella quantità, sia nella qualità, non concentrano il senso in un organo, ma lo diffondono in tutta la parte vivente. Riguardo all’olfatto non c’è più alcuna reticenza scientifica. Hanno nasi sopraffini: attraverso la sensibilità diffusa, ricevono informazioni e le diffondono, gli odori dei tanti vegetali sono “parole”, un linguaggio che ancora non abbiamo decifrato. Il gusto. Il palato della pianta è la radice. Questa assaggia, cerca i sali, si getta laddove ne percepisce la presenza. Mentre le piante carnivore utilizzano le foglie o i fiori che secernano liquidi, dolci per catturare, altri per assimilare. Il tatto. Le piante sono consapevoli di venire toccate. Percepiscono attraverso canali meccano-sensibili. Ci sono piante che appena toccate ritraggono le foglie (Mimosa pudica), altre carnivore si rinchiudono, fiori che reagiscono agli insetti impollinatori, radici che tastano gli ostacoli, li affrontano o li aggirano e piante rampicanti che scelgono dove andare, salire o scendere e su quali terreni. L’udito. Ci sentono: ormai è consuetudine dire che le piante crescono meglio quando si parla loro. Le orecchie non sempre servono. Pensiamo ai vermi o ai serpenti nel mondo animale. La percezione uditiva è complessa, arriva attraverso vibrazioni nel terreno. Oggi ci sono viticultori che coltivano le viti a suon di musica. E si è scoperto che le radici emettono suoni, sonorità che sono state definite clicking. 50
Curiosità sensoriali
Vi sono altri sensi, circa quindici, che noi non possediamo. Le piante cicatrizzano le loro ferite, comunicano al loro interno e con l’esterno, percepiscono la gravità, l’umidità del terreno arrivando ad attingere anche a fonti lontane e a campi magnetici, misurano i gradienti chimici, assumono prodotti inquinanti che poi vengono trasformati in elementi utili anche alla vita animale. Passaggi che ancora la nostra cultura rifiuta, o almeno stenta ad accogliere perché riteniamo il mondo vegetale fermo, insensibile e passivo. Ma vi sono altri spazi aperti da esplorare. Riconoscono i loro parenti? Come difendono o arricchiscono il loro patrimonio genetico? Sono aggressive? Territoriali? Cooperano? Come spieghiamo le simbiosi con i funghi o con i parassiti? E la loro sessualità così diversa da genere a genere? Ingannano? Chiedono aiuti? Hanno un carattere? Una loro vita sociale? Se pensiamo che ogni loro apice radicale è un centro di elaborazione dati e che su ogni essere se ne contano oltre 15 milioni, si rimane sbalorditi. In quei centri non solo si elabora, ma si utilizzano le informazioni, le si mettono in rete, si coopera. Come fa l’uomo, meglio dell’uomo. Non vi è dubbio alcuno. Le piante sono esseri sensibili, sofisticati. Altrimenti come avrebbero potuto sopravvivere, adattarsi, lungo percorsi duranti centinaia di milioni di anni? A breve la scienza, oggi meno timida e genuflessa del passato, ci offrirà altre incredibili scoperte, rispondendo anche alle nuove curiosità di cui abbiamo accennato.
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attualità
Sopravvivere professionalmente alla nuova Era
“Le tre Regole del gioco che non puoi ignorare” Mirco Rigoni
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he sia un momento di profondo cambiamento ormai ce ne siamo accorti tutti. Siamo quotidianamente bombardati da centinaia d’informazioni su come tutto va male, il mondo va a rotoli, non c’è lavoro, non ci sono soldi e via così. La parola che accomuna tutte queste informazioni è “disfattismo”. Allo stesso tempo si fatica a trovare informazioni accessibili che possano dare una chiave di lettura diversa e obiettiva sul particolare periodo che stiamo vivendo. Il titolo potrebbe suonare presuntuoso e semplicistico: “Se sai queste tre cose ti si apriranno le porte del successo”. Non è così, e la verità è che non esistono formule magiche o concetti risolutori. L’intento è di portare alla luce alcuni presupposti base da non ignorare se il desiderio è quello di trovare un sistema che funzioni per sopravvivere in questo mercato. Qualunque siano le aspirazioni professionali e personali, bisogna capire che vanno applicate in funzione all’attuale società. Per fare questo è fondamentale conoscere quali regole la governano. Per spiegarlo in modo semplice e diretto prendo spunto da un libro intitolato “Efficacia Personale” di P. De Maria. L’autore spiega chiaramente che la maggior parte delle persone segue dei principi sbagliati. Continuare ad applicarli non ha alcun senso. In particolare ci sono Tre Regole Fondamentali che non si dovrebbe più ignorare. Non devono
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per forza piacere. Sono metodi e basta, da applicare per fare fronte in modo positivo al cambiamento che stiamo attraversando. Una delle più grandi e dannose credenze della società moderna è che “quando finirà la crisi le cose torneranno come prima”. Non sarà così. Non è mai stato così, la storia ce lo insegna. Regola 1. Il mondo va sempre più veloce Viviamo in un mondo che va sempre più veloce. La quantità di nuove informazioni e conoscenze che abbiamo a disposizione sta cambiando l’ambiente in cui viviamo a una velocità sempre maggiore. Alcuni studi calcolano che mediamente, in ambito tecnologico e informatico, ciò che studiamo o utilizziamo oggi tra due anni sarà obsoleto. Basta pensare che gran parte della tecnologia che utilizziamo oggi, vent’anni fa non esisteva, e ciò che alcuni anni fa era un qualcosa di straordinario (pensa al videoregistratore VHS), oggi non è nemmeno conosciuto dalle nuove generazioni. Questa velocità di cambiamento porta con sé alcune inevitabili implicazioni. La più importante è che probabilmente sarai costretto a cambiare lavoro più di una volta. La generazione dei nostri genitori poteva aspirare a iniziare un lavoro da giovanissimi e arrivare alla pensione nella stessa azienda dove avevano iniziato, al massimo facendo qualche cambio di mansione dovuto a qualche promozione, quasi sempre ottenuta “per
anzianità”. Uno scenario così è impensabile oggi. Le tecnologie e la velocità evolutiva hanno cambiato e cambieranno le imprese per come le conosciamo oggi. È molto probabile che molte delle aziende leader in questo momento, tra dieci anni non ci saranno più. Provate a pensare alla Kodak. Un quarto di secolo fa contava più di 145mila dipendenti, oggi non arriva ad averne un decimo ed è in perdita da molto tempo.
Regola 2. Non ci sono più confini Con l’avvento d’internet e la continua innovazione tecnologia molti dei confini culturali, temporali e logistici presenti prima ora sono stati abbattuti. L’abbattimento dei confini logistici ha modificato profondamente la struttura dell’organizzazione aziendale. Se prima l’intero ciclo produttivo, dalla progettazione alla vendita, avveniva in spazzi molto ravvicinati, oggi non è così. In molti casi
progettazione, realizzazione e vendita dello stesso prodotto avvengono addirittura in continenti diversi. L’abbattimento di questi confini permette alle aziende di fare delle scelte imprenditoriali che prima non erano possibili. Basti pensare a quante volte la produzione è spostata in paesi dove il costo del lavoro è molto più basso. Oppure quanti dei lavori che solo dieci anni fa richiedevano lavoro manuale oggi sono completamente automatizzati. All’uscita delle autostrade i caselli automatici sono quasi la totalità. I grandi supermercati stanno gradualmente sostituendo le cassiere con casse automatiche. Le banche stanno licenziando sportellisti e istallando sportelli automatici…
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Alla luce di questo si deve pensare alla propria professione e a quello che si fa per vivere, e porsi due domande: può una persona che vive in un altro posto del mondo produrre lo stesso risultato o meno? è pensabile che ciò che faccio prima o poi possa essere eseguito da una macchina, un computer o da qualsiasi altro strumento automatizzato? Se la risposta a una delle due domande è affermativa, non è una questione di “se” accadrà, ma di “quando”. Non piacevole accettare questa regola, ma opporsi non servirà. Prendere decisioni considerando questa assenza di confini eviterà di venire travolti dagli eventi futuri. Regola 3. Responsabilità personale Per fare la differenza in uno scenario come quello descritto questa regola è la più importante. Bisogna decidere di essere completamente responsabili del proprio successo, senza che nessun altro si occupi di noi. Non ci saranno regolamenti, decreti legge, manovre finanziarie, che potranno cambiare la situazione. Ognuno deve assumersi la responsabilità di dare il meglio e di fare la differenza nella propria vita e in quella degli altri.
Bisogna accettare che ogni piega che prenderà la nostra vita dipenderà solo da noi e non dalla benevolenza di un’istituzione, di una raccomandazione, o dalla fortuna. Nel momento in cui s’inizia a pensare che niente è dovuto, ma che è nostra responsabilità agire e ottenere i risultati necessari per vivere la vita che si desidera, tutto diventa più semplice. In quest’ottica i “problemi” divengono “opportunità”, all’interno delle quali bisogna agire. Probabilmente molti dei concetti espressi non sono piacevoli da accettare. Ma muovendosi con un atteggiamento più consapevole al mercato, si inizierà a notare che le opportunità di crescita a disposizione oggigiorno sono infinite. Ogni momento storico è caratterizzato da tendenze. Se si capisce da che parte tira il vento, si può sfruttarlo a proprio favore. L’alternativa è andarci contro, sperando che giri. 54
Ognuno deve assumersi la responsabilità di dare il meglio e di fare la differenza nella propria vita e in quella degli altri
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curiositĂ
Romeo e Giulietta
Due lupi hanno messo su famiglia Luigi Casanova
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La storia del rapporto fra uomini e lupi è da sempre controversa. La mitologia eleva questo splendido animale quasi a divinità
I
greci e i romani lo rapportavano al dio Apollo (gli animali a lui sacri erano il lupo e il cigno). Gli agricoltori turchi e mongoli lasciano appositamente del cibo al lupo per tenerselo amico e perché combatta cervi e cinghiali. Tuttavia i tempi per quest’animale non sono sempre stati felici, soprattutto negli ultimi due millenni, tanto da averlo portato sull’orlo dell’estinzione. Gesù individuava nei lupi, falsi profeti, Dante leggeva nella lupa i vizi della cupidigia e dell’avarizia e, negli ultimi secoli, in tutta Europa, il lupo è stato oggetto di una caccia spietata. Oltre ciò nelle fiabe è l’animale più raffigurato per incutere paura. Oggi, nonostante un feroce bracconaggio, è ritornato a colonizzare tutta la nostra penisola e ormai vive alle porte del Trentino: in parte sui monti Lessini, nel Parco dello Stelvio, mentre troviamo alcune presenze, per ora solo di transito, anche nelle valli di Fiemme e Fassa. La storia più affascinante è quella della coppia Giulietta e Romeo. Giulietta viene dalle Alpi Occidentali e ha incontrato il nomade Romeo (M24) proprio sopra Verona, sui Monti Lessini. Romeo era stanco di attraversare vette e forcelle (Val Venegia), la solitudine non gli si addiceva proprio e si è accasato sui dolci pascoli dei monti Lessini. In soli due anni la coppia ha dato vita a sette cuccioli, che inevitabilmente avranno bisogno di cercare nuovi spazi per formare una loro famiglia. Anche oggi la presenza di questo stupendo
canide provoca scontri culturali privi di mediazione. Vi è chi difende in ogni modo la sua presenza e, nel fronte opposto, specialmente gli allevatori di bestiame, lo vorrebbero allontanare. Alcuni sindaci sono arrivati a chiederne l’abbattimento. A noi Giulietta e i suoi figli trasferiscono invece emozioni solo positive. Sono l’emblema della forza, del coraggio, della sfida rivolta a noi umani. La loro presenza dovrebbe porci alcuni interrogativi: ma è possibile che l’uomo sia capace di convivere solo con quanto lo accomoda? Che non riesca proprio più a esprimere un confronto con la diversità? Che non sia capace di accoglienza? Prendiamo ad esempio la vicina Slovenia, abitata da orsi, lupi e linci. Gli allevatori sanno difendere il loro bestiame dai predatori grazie a metodi di pascolo rispettosi dell’ambiente, a una migliore sorveglianza, all’uso della tecnologia (recinti elettrici), e all’impiego del cane pastore, capace di allontanare gli animali selvatici. I veri professionisti sanno come convivere con il lupo e vanno orgogliosi della presenza di quest’animale nei boschi e nei grandi spazi dell’Alpe. A ogni passo sperano di vederlo sbucare dietro una roccia o nel diradarsi di nebbie fitte. Ma il più delle volte devono accontentarsi di leggere nelle tracce la sua presenza: il lupo infatti è un animale timido, preferisce essere lui a osservarci mantenendo attorno a se un alone di leggenda e mistero. 57
curiosità
Il rosa?
Né di Eva né di Adamo Sofia Brigadoi
E
ffettivamente, se osserviamo un reparto di giocattoli riservato alle giovani, la prima cosa che risulta evidente sono le infinite gradazioni di rosa che tinteggiano di luminosa allegria peluche, trucchi, scarpette, bacchettine magiche, lecca lecca, ect. …
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Un’agguerrita associazione inglese, che ha preso il nome di Pinkstinks, testualmente il rosa puzza, grida basta al colore rosa, come target orientativo martellante di prodotti, mezzi di comunicazione e marketing che prescrivono ruoli fortemente stereotipati e limitati per giovani donne. Lo slogan? C’è più di un modo per essere ragazze Consolidatrice della femminilizzazione del colore rosa è certamente l’intramontabile BARBIE. Nel corso della sua “vita” ha avuto parecchie cadute di tono (l’ultima nel libro illustrato “I Can Be a Computer Engineer” (Posso diventare un ingegnere informatico), dove ne combina di tutti i colori e due
maschietti devono correre in suo aiuto per risolvere prontamente una situazione catastrofica). Messaggio allusivamente sessista che ha scatenato una polemica feroce, tanto che la Mattel ha dovuto scusarsi: “… crediamo che le bambine debbano crescere con la consapevolezza di poter fare tutto quello che desiderano, in un mondo senza limiti. Chiediamo scusa se questo libro non riflette quei principi. ” Scuse accettate purché non succeda mai più!
Interrogativo alle signore/ine
Però…
• È splendida di qualunque colore essa sia (anche ora che ha 55 anni. È nata il 19 marzo del 1959). • Ha una famiglia numerosa e che va d’accordo. Citiamo l’amata sorellina Skipper, i gemelli Tutti e Tod, Stacie, Shelly, Krissi… Per molto tempo il suo boyfriend è stato Ken (il loro amore è durato 43 anni), con il quale non si è mai sposata (furba eh?) Poi si sono lasciati e lei, ancora attraente, si è fidanzata con il surfista Blaine. • I buoni amici non le mancano e sono di varie etnie: da Midge, la sua migliore amica, all’ispano-americana Teresa, agli afro-americani Christie e Steven e alla giapponese Kaila. • È intelligente. Si dice che abbia frequentato la Willows High School e la Manhattan International High School di New York. • Ama gli animali. È stata anche veterinaria. • Guida decapottabili favolose, camper e altro (probabilmente ha la patente C). • Ha oltre 4.800 accessori: tra gioielli e abiti. • Ha subito un solo ritocco… (si è fatta aumentare i fianchi). Ma quando mai a una donna verrebbe in mente di farsi ingrossare i fianchi? Eppure lei l’ha fatto ed è rimasta molto carina. • Nel 2003 l’Arabia Saudita le ha dato il foglio di via perché la trovava poco consona con i principi dell’Islam (chiaro il messaggio no?) • Nel 2004 ha comunicato la sua campagna elettorale per diventare presidente degli Stati Uniti, rappresentando il Partito delle Ragazze (mica da tutte!).
A chi non è piaciuta nemmeno un po’ la Barbie e non ci ha giocato nemmeno una volta? Sappiamo che alle bimbe e alle mamme piace (altrimenti non ne avrebbero vendute oltre due miliardi in 150 Paesi). Detto ciò, vorrei che dedichiate la vostra attenzione alla bambolina più venduta sul nostro pianeta.
Ultimo pro a favore della Barbie: ma avete mai visto tra i suoi accessori un moccio, una scopa, una pezza, uno spazzolone con annesso straccio? Io no. Certo, la Barbie per alcuni aspetti può ancora apparire poco consona per le giovani donne, ma le cose stanno cambiando anche per questa bambolina.
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Bene, siamo seri e veniamo alla storia del colore rosa
rosa per il ragazzo, e il blu per la ragazza. Il motivo è che il rosa, più deciso e forte, è più adatto per il ragazzo, mentre il blu, che è più delicato ed elegante, è più bello per la ragazza”.
Per molti anni il rosa era il colore che distingueva il maschio dalla femmina. In molte culture il rosso rappresenta la forza e la carica vitale, il bianco purezza e spiritualità. Era un connubio vincente e di grande fascino (per chi non lo sapesse mischiando i due colori il rosa ne è il derivato).
The Masculine History of Soft Pink - The (style) guide (La storia mascolina del rosa chiaro) (…) The pink-is-for-men trend continued through 1925, when pink suits - like the one shown in The Great Gatsby - were worn by men as stylish symbols of wealth. Somewhere along the line, however, the postwar generation decided to switch things up. Evidence of that change first came in 1947 when Christian Dior introduced the ultra-feminine New Look and offered it in pink (…) (...) il rosa è per uomini trend, stile che è continuato fino al 1925, quando i completi rosa - come quello mostrato in The Great Gatsby - sono stati indossati da uomini come simboli di eleganza e ricchezza. Da qualche parte lungo la linea, però, la generazione del dopoguerra ha deciso di cambiare le cose. La
Pink for the Boys, Blue for the Girls (Rosa per i ragazzi, blu per le ragazze) Giugno 1918. La nota rivista nord-americana “The Ladies’ Home Journal” scrive: “The generally accepted rule is pink for the boys, and blue for the girls. The reason is that pink, being a more decided and stronger colour, is more suitable for the boy, while blue, which is more delicate and dainty, is prettier for the girl.” “La regola generalmente accettata è il colore 60
prova di questo cambiamento si vide per la prima volta nel 1947, quando Christian Dior introdusse l’ultra-femminile New Look e lo offrì in rosa (...) (…) alla fine del 1940, si suppone che le donne abbiano adottato questo colore per distinguere il loro ruolo attivo nella società (…) (…) prima della seconda Guerra Mondiale, il rosa era associato al sesso maschile e, viceversa, l’azzurro al sesso femminile. Molti pensano che il rosa fosse stato allontanato dagli uomini a causa dei nazisti che indicavano con un triangolo rosa i detenuti omosessuali o a quelli che ritenevano tali (…) Detto questo che facciamo? Aboliamo dalla tabella colori il rosa perché non gradito dagli uomini e detestato da molte donne che lo identificano come il colore anti progresso femminile? Forse non tutti sanno che il rosa rasserena,
allieva i sentimenti di rabbia, aggressione, risentimento, abbandono e rifiuto. (…) Nel 1978 il direttore dell’Istituto americano per la ricerca bio-sociale di Tacoma, scoprì che guardando questo colore, la frequenza cardiaca era in calo, con relativi effetti benefici sul sistema nervoso. In seguito a questa scoperta, il rosa è stato utilizzato con successo in alcuni penitenziari americani su detenuti molto aggressivi che, fatti entrare in stanze rosa, hanno attenuato i loro istinti bellicosi (…) Affermazione: perché prendersela con un colore, quando ovunque ci giriamo siamo bombardati da un’immissione di dati che non solo mettono a repentaglio l’incolumità dei nostri figli (maschi inclusi) ma anche quella di noi adulti? A questo punto possiamo affermare che il rosa non è né di Eva né di Adamo. Ma... non è che la mela offerta da Eva ad Adamo fosse rosa? 61
curiositĂ
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Libro scritto e illustrato da Albert Reich, pittore di guerra che, con le sue immagini e le sue impressioni, ha raccontato con efficacia e ricercatezza la comune difesa del Tirolo delle truppe austriache e tedesche.
Traduzione di Valeria Chiocchetti “Il pezzo letterario è di alto livello, scritto in maniera eccezionale. Quando si leggono le descrizioni sembra di essere lì e vivere di persona quello che scrive il narratore”. Un ringraziamento speciale a Floriano Pellegrin che ha messo a disposizione della rivista il volume originale, affinché potessimo estrarre testi e disegni.
Era una notte di primavera così chiara ed incantevole come solo il mese di Maggio può regalare, quando migliaia di alberi in fiore esalano le loro anime nel vento della notte e la vita che nasce aleggia cantando sul mondo. Il treno passava lentamente con la sua monotona melodia, proprio come se volesse farci godere serenamente tutto la pomposità e la dovessimo annidare interamente in noi. Lì, dalle alture nere come la notte affioravano incendi di colore giallo, due, tre sempre di più e mentre alcuni scompaiono, si celano vacillanti per un po’ tra gli alberi, altri incominciano ad ardere e si ravvivano alzandosi alti qua e là nelle valli laterali. Tremolanti, svolazzanti come disegni della felicità, ardono lontano inoltrandosi nella campagna... 63
Cavalese 64
Predazzo
Moena 65
Gries, Canazei
Pozza 66
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relazioni
Coppie sul piede di guerra
Uno squarcio nel cuore Maria Teresa Fossati Psicologa, psicoterapeuta e sessuologa 68
Si alzano le barriere, si imbracciano le armi, ognuno barricato dietro le proprie convinzioni. Nessun conflitto si somiglia, non esistono copioni da seguire e, come in ogni guerra, nessuno dei due è innocente
“Anche loro si separano! Chi l’avrebbe mai detto: per me erano una coppia modello!” Gli amici commentano con sgomento la notizia dell’ennesima coppia del loro gruppo, che non ha retto.
A
umentano le separazioni, sia tra i regolarmente sposati, sia fra quelli che hanno scelto la convivenza, magari sperando che un periodo di sperimentazione sia garanzia di solidità. Una separazione è sempre un momento doloroso, una lacerazione, anche per la persona che la vuole e la promuove. Non parliamo dei figli, se ci sono. Per loro, qualsiasi sia l’età, è un trauma terribile. Sono vittime innocenti
di uno sconvolgimento della loro vita. La famiglia, un ambiente che percepivano come caldo, affettuoso e protettivo, si sfascia. I più piccoli vivono la vicenda con più ansia. Si sentono responsabili, magari in parte, della rottura tra mamma e papà: un’aggiunta di sofferenza alla disperazione. Ma anche per i più grandi è fonte di angoscia. Il sogno, spesso inespresso, dei figli di separati, anche adulti, è che i genitori ritornino insieme, e che la famiglia si ricomponga nella serenità. Il rapporto fallisce quando le aspettative restano deluse. Ma cosa ci si aspetta dall’altro bisogna comunicarlo con chiarezza, e questo a volte non avviene perché succede che nessuno dei due si conosce veramente a fondo. Quando una coppia, sposata o no, si sfascia, la responsabilità (non mi piace parlare di colpa) è di entrambi. Magari non in uguale misura. Forse uno dei due ha mancato più dell’altro nel suo compito di costruttore del rapporto affettivo, ma non può ritenersi del tutto estraneo al fallimento dell’impegno d’amore. Forse sono state compiute azioni inopportune, o sono state dette parole sbagliate. Oppure al contrario si è taciuto quando sarebbe stato utile parlare e chiarire, o non si sono fatti i gesti che l’altro si aspettava. O anche si è sorvolato quando invece era consigliabile non chiudere gli occhi su tensioni e conflittualità. Non dobbiamo dimenticare che un tempo le donne, spesso solo casalinghe, dovevano sopportare di tutto dai mariti. Adesso lavorano e se il rapporto per loro è insoddisfacente non esitano a disfarlo. Le donne sono cambiate. Secondo tanti, in peggio. Può essere: non è il tema di questa riflessione. Ma fingere che non sia così, è rischioso. Altro punto a cui prestare attenzione è come si gestisce il legame che ognuno ha con i rispettivi genitori, e con quello che ne è il logico risvolto: i suoceri. Un rapporto di coppia è un “lavoro” quotidiano che coinvolge entrambi. Tutti e due vi si devono dedicare, anche se hanno fuori casa altre attività di lavoro o di svago. La coppia, magari nata in un momento di estasi, di entusiasmo e di illusione, si costruisce concretamente giorno dopo giorno, con l’impegno reciproco, costante e incessante. Se uno dei due si aspetta che sia l’altro a dare stabilità, solidità e felicità, si culla in infantili chimere. Per realizzare una relazione duratura ci si deve rimboccare le maniche da subito, appena la conoscenza è iniziata, quando si progetta un futuro insieme. E la promessa 69
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deve essere vicendevole: questo è importante. Tuttavia questo impegno non esclude crisi ricorrenti, più o meno serie. Difficoltà più frequenti nelle coppie formate da persone immature, poco consapevoli che un matrimonio, o una convivenza che può aver dato origine ad una famiglia con figli, è un impegno vero, una responsabilità, un dovere di individui equilibrati e consapevoli. Purtroppo il malcontento e lo squilibrio nei rapporti amorosi, sono in agguato. La crisi di coppia, però, non si manifesta all’improvviso. Esplode, ma c’è sempre un periodo di incubazione. Al primo contrasto un po’ troppo coinvolgente, quello che non passa dopo un tempo ragionevole, quello che lascia strascichi di rancori e silenzi, bisogna darsi da fare. Prima di andare dall’avvocato, è meglio chiarirsi fino in fondo, spazzare via malintesi, malesseri e ostilità. Litigare se necessario: il litigio è un aggiustamento del rapporto. Bisogna parlarsi, aprirsi, discutere senza paura. L’altro non è
un indovino: occorre informarlo su cosa ci aspettiamo da lui. Spesso uno dei due, o anche tutti e due, non hanno il coraggio di affrontare i problemi che li dividono e lasciano marcire le questioni. Se sono impantanati nei dissidi, oppure se uno dei due boicotta i tentativi dell’altro, non resta che ricorrere all’aiuto esterno. Solo una persona neutra, estranea alla coppia, ma che abbia la stima e la fiducia di entrambi, può sostenerli nel percorso di chiarimento e, si spera, di riconciliazione. Altro elemento importante è che entrambi vogliano per davvero migliorare il rapporto guastato. Guai se ci sono atteggiamenti fintamente collaborativi, o retro pensieri bugiardi. Tutti e due devono essere disponibili a valutare il comportamento discutibile dell’altro, ma anche il proprio, come persona, come partner. Questo perché, come detto sopra, quando la coppia scoppia nessuno dei due è innocente e la responsabilità se la devono prendere tutti e due. 71
relazioni
Vivere con gioia l’erotismo… e non nascondere le proprie necessità
L’importanza del Maria Teresa Fossati
Psicologa, psicoterapeuta e sessuologa
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Abbattere le inibizioni a letto può aiutare a raggiungere una maggiore complicità di coppia.
buon sesso
D
omanda: quanto è importante il sesso in una coppia? Risposta: quanto lo è per quella coppia. Per spiegare meglio: ci sono persone (uomini e donne) che ne sono molto attratte. Smaniose e passionali lo farebbero ogni giorno. E ci sono persone (uomini e donne) che sono tranquille, per niente calorose, e per loro dedicarvisi una volta il mese basta e avanza. Se in una coppia tutti e due sono del primo tipo (calienti), si trastulleranno piacevolmente ma soprattutto in quella coppia c’è armonia dal punto di vista sessuale. Se i due appartengono al secondo modello (distaccati) troveranno altri, per loro piacevoli, passatempi e anche in quella coppia ci sarà equilibrio sensuale. Intanto si osserva che non sempre è il maschio ad appartenere alla categoria degli arrapati-sempre-pronti: è uno dei vari miti che circolano sul tema. Seguendo il ragionamento fatto sopra, si conclude quindi che se in una coppia uno dei due appartiene al gruppo uno (sessualmente vivace) e l’altro a quello che fa della pacatezza la caratteristica personale, l’affiatamento e la stabilità sessuale non può sussistere. E soprattutto non può durare. Prima o poi in quella coppia, in un modo o nell’altro, la faccenda scoppierà. Magari non avrà affatto
una connotazione sessuale nel senso che uno, o anche tutti e due sposteranno la controversia su un altro argomento. Questo perché è frequente che nella coppia non si riesca a parlare della sessualità, di come la si vive, delle aspettative reciproche, di come si vorrebbe che si comportasse l’altro al riguardo. Per tanti l’argomento è tabù. Magari si fa, (male), ma non se ne parla. In una coppia disarmonica e taciturna però è certo che tutti e due sono scontenti, perché entrambi sono insoddisfatti di come vanno le cose a letto. A questo punto sorge logica e spontanea la domanda: le cose possono migliorare? Se sì, come? La strada è accennata appena sopra: parlarne. Se uno non sa cosa vuole l’altro, cosa gli piace, cosa lo eccita, come fa ad accontentarlo? Quindi i due dovrebbero affrontare i problemi parlandone apertamente. Ma attenzione: non a letto. Questo perché di sicuro, appena il discorso si fa calduccio, si passa alla pratica prima di aver digerito l’ammaestramento. Di sesso la coppia deve parlare in un ambiente neutro, dove non sia possibile l’immediata concretizzazione. Per esempio in pizzeria, seduti ad un tavolo appartato in modo che orecchie indiscrete non raccolgano discorsi che necessariamente devono essere aperti, sinceri e senza remore. 73
attualità
Previsioni meteo
Con il naso all’insù l.s.
Le previsioni meteorologiche e l’incapacità di adattamento possono rovinarci ferie e festività
U
fficio di un’Azienda di Promozione Turistica. Una signora domanda all’impiegata: “Oggi alle 10.30 pioverà?” Poco dopo: “Domani alle ore 12.00 sarò sulla ferrata del Colàc. Sarà sereno, vero? E alle 14.00?” Sul volto delle sportelliste rimane impresso il sorriso, non possono fare diversamente. L’inverno scorso a Predazzo si sono sentite chiedere: “Oggi nevica, ma domani dal giro del Sella riuscirò a scrutare il Sassolungo?” Le previsioni del tempo ormai sono diventate una fobia. Se non ci si rivolge a un’impiegata, si staziona per lunghi minuti sui siti internet alla ricerca di qualche certezza. Ovviamente 74
questa certezza deve corrispondere alle aspettative del soggetto: altrimenti è depressione. O maledizione, contro qualcuno. Abbiamo trascorso un inverno e un’estate che ci hanno offerto pochi giorni di sole. Eravamo convinti che i mutamenti climatici in corso ci avrebbero regalato inverni secchi ed estati sempre più torride, anche in montagna. Abbiamo vissuto un inverno carico di neve. E un’estate piovosa, umida, priva di calore. Tutti noi, come i turisti, abbiamo rinunciato a gite, perfino a periodi di ferie, preoccupati da previsioni del tempo che non offrivano certezze. Abbiamo espresso giudizi severi contro chi le previsioni le fa, siamo arrivati
è accentuata dal riverbero di luce che le montagne provocano. Gli scienziati hanno sempre parlato di temperatura media perché consapevoli che analisi locali erano e sono quasi improponibili. In alcune località pioverà sempre più spesso, in altre le aree di siccità si allargheranno. Da noi, come nel resto del mondo, gli eventi climatici sono sempre più intensi: piogge (o nevicate) forti, uragani diffusi, periodi siccitosi sconvolgenti. Tutti i detti che ci hanno tramandato i nostri nonni oggi non hanno più senso: il tempo non è più quello di una volta, si sente ripetere sempre più spesso. Sono scomparse primavere e autunni. Certo, l’essere umano non ama vivere nell’assenza di certezze. L’improvvisazione non è il suo forte, cerca sempre sicurezze. Ma non siamo in presenza di novità. Solo ripassando l’ultimo millennio si scopre che il medioevo è stato un periodo molto caldo. Dal 1300 al 1600 siamo entrati in una fase fredda con una repentina ripresa delle temperature nel 1700. Per poi ritrovarci a metà del diciottesimo secolo in una piccola glaciazione durata fino al 1950. I recenti cambiamenti climatici non sono mai stati così veloci come in questi ultimi decenni: la mano dell’uomo, quindi l’inquinamento, sono stati determinanti nell’accelerare il processo. Ma non si deve disperare. La natura, lo ha dimostrato, vive un equilibrio instabile, è in movimento, anche nel settore climatico. Certo, non possiamo continuare a violare le sue regole, perché la vendetta è spietata. Ma la natura ci è anche amica, ci ha permesso di vivere, offrendo respiro a tante forme di vita, e questo da milioni di anni. Continuerà a farlo. Come deciderà sia opportuno: sta a noi apprendere nuove forme di adattamento, e specialmente di rispetto. Dobbiamo osservare e imparare dall’ambiente e nel frattempo rimaniamo sereni. Meno apprensione nello scrutare fra le nuvole, minore ascolto verso le previsioni del tempo. E un po’ di coraggio. Perché non improvvisare? Perché non passeggiare durante una fitta nevicata? Perché non cogliere la soavità di una gita in bosco o in quota sotto una leggera pioggia, velati dalla nebbia e capaci di cogliere i rumori e le forme che solo questi momenti sono capaci di donarci? Momenti irripetibili. Vissuti dimenticando cellulari e internet.
Dove sono finiti la primavera e l’autunno?
a deridere gli ambientalisti e il mondo della scienza che ci avevano preannunciato importanti, irreversibili cambiamenti. Ma la stampa sintetizza e nei titoli e nelle analisi amplifica gli eccessi. Dalle ormai lontane previsioni del Club di Roma, 1968, molte cose sono cambiate. Augusto Peccei e i suoi amici ci avevano preavvertito: se l’umanità continua su questo trend di sviluppo, incurante del limite delle risorse e delle emissioni di gas serra, la temperatura media del pianeta è destinata a innalzarsi. E così è stato. Da allora la temperatura media ha sempre avuto un trend al rialzo, e nelle Alpi questa tendenza
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attualità
S
opprimere un’industria che può risultare vantaggiosa per il nostro territorio e il nostro sistema produttivo, ha dell’inammissibile. Nel nostro paese sono allevate quasi nove milioni di pecore che producono all’incirca novantamila mila quintali di ottima lana grezza che però non viene utilizzata. L’anello mancante e che potrebbe dare nuova vita a un processo di opportunità economiche non solo ai pastori, ma anche al mercato tessile, costretto ad acquistare lane filate provenienti da altri Paesi (Australia, Nuova Zelanda, Argentina e altre), è la filiera della lana che negli ultimi decenni è andata persa. Fanno rabbrividire i dati raccolti: il 95% della lana prodotta è buttata sotto la voce di rifiuto
speciale. Ma non è tutto. I costi di smaltimento sono sempre più gravosi, tanto da costringere gli allevatori ad abbandonarla lontano dagli abitati, interrarla o alla peggio bruciarla, con l’inevitabile conseguenza di inquinare in ogni caso l’ambiente. Il restante 5% è piazzato per pochi spiccioli (artigianato - edilizia). Fortunatamente ci sono imprenditori che non vogliono che questo accada e si battono per recuperare culture perdute e ottimizzare quanto, fino a ieri, sfamava molti di noi. La filiera della lana in Italia è quasi scomparsa e i favolosi tessuti che portavano la firma del 100% made in Italy ora sono di dominio altrui. Sull’esempio di quanto avviene ormai da anni in Svizzera, anche nel triveneto i pastori si stanno organizzando per rilanciare il prodotto
Lana: ricchezza da tosare e non gettare
Da rifiuto a risorsa Sofia Brigadoi
Le leggi italiane non aiutano chi lavora e in modo particolare quegli operatori, come i pastori, che pare non contribuiscano o addirittura danneggino l’economia italiana
della lana. Questi, distribuiti in sette provincie pascolate da oltre 100.000 ovini, stanno riproponendo una filiera di lavoro cancellata da decenni di industrializzazione. Non è troppo tardi per rendere ancora possibile la trasformazione di questa risorsa primaria dalle caratteristiche ineguagliabili e versatili, attivando un processo vantaggioso e decoroso. La filiera è l’anello mancante per rendere tutto ciò possibile. In Svizzera la filiera lavora 17.000 Kg al giorno di lana e occupa centinaia di persone creando specializzazioni che sembravano definitivamente perdute. Oltre ciò l’allevamento delle pecore è una ricchezza per il territorio: laddove passano le greggi si rende più difficile il distacco delle
valanghe, si concimano vasti appezzamenti senza creare disagi, si crea occupazione e la filiera, quando completata, abbatte l’inquinamento e offre ulteriore reddito ai pastori. Oggi con la lana non si fanno solo maglie e tessuti pregiati, ma si producono isolanti termici biologici ad alta efficacia isolante e termica. Se il mondo della politica ricominciasse a offrire attenzione verso questo importante settore, anche le valli di Fiemme e Fassa, accanto al Primiero e al Tesino, saranno coinvolte in questa azione di recupero, culturale, occupazionale e di investimento nella sostenibilità e nella difesa delle razze di ovini autoctone.
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uffici | deposito | showroom Via del Murazzo, 32 (Ex Lanificio) 38050 Scurelle (Tn) Tel. 0461 1903353 Fax 0461 1903354 Orari sala mostra: 9-12 | 16-20 su appuntamento dal lunedì al sabato mattina Mariano Trentin - 335 230879 info@bauman.tn.it
Segue la cardatura, la pettinatura e infine la filatura, la tintura e la tessitura. Trasformata in matasse, è consegnata alle case produttrici per la realizzazione di tessuti. La lana è viva, è isolante ed elastica.
Filato cardato e pettinato
La lana cardata ci dà un filato di aspetto sportivo essendo più soffice, gonfia e voluminosa, mentre la lana pettinata ci dà un filato sottile, liscio, uniforme ed elegante. Da un’attenta osservazione, durante la lavorazione della lana cardata, esempio LAMBSWOOL (lana di agnello) eseguita a mano, il risultato del prodotto finito (qualsiasi indumento o manufatto) subisce alterazioni dovute alle condizioni climatiche del momento. Differentemente la lana pettinata, sempre LAMBSWOOL, la quale è realizzata attraverso un processo più elaborato, durante e dopo la lavorazione non subisce alcuna alterazione.
La trasformazione del lavorato in lana cotta
Vita di un filo di lana Anna Maria Chiocchetti Il freddo è alle porte, si avvicina l’inverno, quindi è tempo di proteggerci e di sentirci caldi. Quale miglior conforto di un manufatto o indumento in lana? Un cappotto, un maglione, una sciarpa, un paio di guanti o una coperta… e altro ancora. Abbiamo bisogno della lana. Questa materia prima la fornisce il folto mantello della pecora, come dell’agnello, ma anche di alcune razze di capre, il cammello e la vigogna. Più comunemente, tuttavia, s’intende per lana il prodotto ricavato dalla pecora. Il primo processo è la tosatura. Il vello. Questo è impregnato di impurità, prodotti di secrezione delle ghiandole sebacee oltre che di fango, di polvere e detriti vegetali. I velli ottenuti dalla tosatura vengono avvolti su sé stessi e inviati agli stabilimenti lanieri. Qui ha inizio il processo di lavorazione con la battitura per espellere le impurità, la lavatura e l’asciugatura che si fa all’aria calda lontano da fonti di calore.
I panni sono cotti ad alte temperature in appositi pentoloni, in una soluzione d’acqua, sapone e argilla. Battendo continuamente il panno per molte ore se ne provoca l’infeltrimento, le fibre si ritirano serrandosi l’una all’altra, rendendo la stoffa più compatta, morbida, resistente e in parte anche impermeabile. Nell’antichità quest’ operazione era eseguita dagli schiavi costretti a battere i panni di lana con i piedi. Il lavaggio avviene preferibilmente a mano in recipiente d’acqua con detersivo delicato per lana o sapone di Marsiglia. Aggiungendo una goccia di ammoniaca, succo di limone o aceto bianco il capo non infeltrisce e aiuta a mantenere la fibra soffice e resistente, mentre i colori risultano più brillanti. Ora non resta che porlo in un asciugamano in spugna. Operiamo una sorta di schiacciamento, evitando così un’eventuale deformazione. Per farlo asciugare si stende su una superficie piana, in modo da ridare con le mani la forma originale. La stiratura deve essere fatta a vapore. Vaporizzato le fibre si sollevano e così il manufatto riacquista la sua voluminosità e morbidezza originale. Riponiamolo nell’armadio o nel cassetto, ma non dimentichiamo di proteggerlo dalle tarme. Bastano alcune foglie di alloro o fogli di giornale. Evitiamo l’uso di repellenti chimici antitarme quali la naftalina o la canfora che sono dannosi alla nostra salute.
curiosità
Il grasso, accumulato nella gobba, doveva servire per i periodi freddi.
L’orso delle caverne I fenomeni carsici del Monte Cornon. Le Buse di Bernardo e le caverne della Val di Stava Paolo Zambotto Museo delle Scienze, Trento
Nel periodo interglaciale queste montagne erano caratterizzate da un clima più mite di quello odierno, e rappresentavano un ambiente più consono per l’orso delle caverne
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a qualche anno i paleontologi che studiano la presenza dell’orso speleo a sud delle Alpi si stanno dedicando con attenzione all’esame dei reperti trovati alle Buse di Bernardo, uno dei siti più importanti della regione assieme alla Grotta dei Pipistrelli (Avio), al Covelo di Rio Malo (Lavarone) e alla Grotta delle Conturines in Val Badia. Le Buse di Bernardo sono due brevi caverne che si aprono a pochi metri l’una dall’altra alla base della parete sud-occidentale del Mandriccio, sopra l’abitato di Stava, a 1675 metri di quota. La più grande, da cui provengono i reperti dell’orso preistorico, ha una lunghezza complessiva di 85 metri ed è formata da tre piccole “sale” di circa 80-90 metri quadrati ciascuna, congiunte fra loro da alcuni brevi cunicoli, e da una galleria lunga 15 metri che termina in leggera discesa verso sud-ovest, a pochi passi
Le caverne erano un ottimo rifugio per l’orso speleo sia durante il letargo, sia per le femmine e i loro piccoli
dalla parete esterna. La cavità si sviluppa lungo un giunto di strato dei calcari ladinocarnici (Trias) con andamento praticamente pianeggiante e la sua apertura, larga 10 metri ed alta 3, è ben visibile anche da lontano. La presenza dell’Ursus spelaeus, assieme a quella di altri mammiferi (donnola, in particolare), era stata verificata negli anni ’70 in seguito a brevi scavi di recupero effettuati dai paleontologi dell’Università di Ferrara dopo che, verosimilmente, già da anni parecchio altro materiale era stato raccolto e asportato dalla caverna clandestinamente. Il sondaggio del 1997, infine, condotto dagli esperti del Museo geologico delle Dolomiti di Predazzo e del Museo delle scienze di Trento ha permesso di raccogliere centinaia di ossa e frammenti di scheletro (crani, mandibole, vertebre, denti, ossa degli arti, ecc.) a circa una
ventina di metri dall’ingresso nella parte nord della grotta, quasi al centro della cosiddetta “Sala nera” lunga 11 metri, larga 7 ed alta poco più di due. Una prima datazione dei reperti, conservati presso il Museo geologico di Predazzo, ha rivelato un’età degli esemplari compresa fra i 25.100 e i 25.800 anni riferibile dunque ad un periodo caldo e piovoso all’interno dell’ultima glaciazione (glaciazione Würmiana). Tutto il gruppo montuoso del Cornon è di natura calcarea (Calcari del Latemar e della Marmolada) ad eccezione della copertura di rocce vulcaniche del Monte Agnello, quindi particolarmente adatto all’instaurarsi del carsismo che si manifesta quasi ovunque sotto forma di grotte, caverne, covoli, fessure,
piccoli pozzi oltre alle tipiche morfologie da corrosione di superficie. Le cavità naturali conosciute e catalogate nel comune di Tesero sono circa una quarantina: qualche piccolo antro si trova già negli strati rocciosi più antichi del Permiano sotto la strada che da Tesero porta alla frazione Lago (Forni de Val) ma la maggior parte si apre sul versante sinistro dell’alta Val di Stava, lungo le pareti occidentali dei Censi e del Dos dei Branchi (To de le Loche, To de le Confin, ecc.) a quote comprese fra i 2000 e i 2225 metri. Si tratta in genere di piccole caverne che rivestono una certa importanza solo per il catasto speleologico provinciale e raramente superano i 20 metri di lunghezza con poche eccezioni come le già citate Buse di Bernardo, la Grotta della Bassa o la Caverna 1° del Dos dei Branchi che raggiunge uno sviluppo di 30 metri. Interessante, infine, il carsismo superficiale di cui possiamo osservarne le tipiche forme presso la baita della Bassa, poco a sud della cima dei Censi: solchi, fori, scannellature e perfino qualche bell’esempio di vaschetta carsica che testimoniano l’azione corrosiva dell’acqua sulla spianata calcarea messa a nudo dal ghiacciaio.
attualità
Religiosità fra le nuove generazioni Michele Malfer
Ho cercato di ricostruire i sentimenti spirituali e religiosi dei giovani che tutti i giorni ho la fortuna di incontrare in aula e ancor più nei corridoi della scuola. Mi sento un privilegiato nel poter trascorrere del tempo con loro e di poter condividere le loro paure, i loro sogni, i loro progetti. Ci s’interroga con preoccupazione crescente sul futuro dei giovani, che oggi appare incerto come non mai. Diversi fattori, presi in analisi, mi permettono di comprendere come quest’epoca ha assunto un significato enigmatico e che la religiosità alcune volte emerge e altre volte è nascosta, assopita. “Non sono i giovani a dover tornare nella Chiesa; è piuttosto questa che deve ritornare tra i giovani.” È l’affermazione di un noto autore che riflettendo su questi temi ha scritto una prima indagine sulla religiosità fra le nuove generazioni e l’ha intitolata “C’è campo ?” Chi mi prende?
Eravamo in tanti alla marcia per la pace Perugia-Assisi. Dicono che eravamo in centomila, ma stando nel mezzo di quel fiume di persone è difficile rendersene conto. Si stava dentro una festa lunga venticinque chilometri di bandiere, cartelli, folklore, tamburi e canzoni. Ognuno con il proprio passo e così capitava di avvicinarsi a tanti. Non era una gara,
ti passavano vicino, tanto da seguirne i discorsi. Facevi una battuta o un commento e subito capivi che eri ben accetto tra loro, un compagno di viaggio. Anche solo dando un titolo agli argomenti potevi capire cosa importa a questo popolo variopinto. Non ho sentito parlare di Dio. Non ho visto nessun uomo di Chiesa. Eppure si andava dalla Perugia di Capitini, un padre della non violenza, all’Assisi di S.
volontariato, d’impegno per i diritti dei deboli, di salvaguardia dell’ambiente, di lotta alla mafia, ma anche di persone scomparse, del sacrificio dei curdi, di OGM (Organismi Geneticamente Modificati), di spese militari, di esodati... e ho capito che il popolo dei giovani vive intensamente questo tempo. Ho visto tante classi accompagnate da insegnanti che nessuno paga, capaci di viaggiare due notti per far risparmiare soldi alle famiglie e far vivere ai ragazzi una esperienza travolgente. Ho visto i gonfaloni di tanti Comuni e Regioni partire in testa al corteo e, spenti i riflettori delle tv, riavvolgerli alla prima curva. Ma anche sindaci ragazzini, con la fascia tricolore sopra la t-shirt, che si lasciavano avvicinare da chi aveva voglia di parlare con loro. C’è tanta energia tra questi giovani, echeggia nell’aria come musica. C’è tanta voglia di darsi da fare, di avere un’istruzione più viva, e di una politica che faccia gli interessi della gente. Quando dai uno scopo a queste nuove generazioni, un’appartenenza, loro rispondono. Tanti valori e poca religione? Tanti valori e poche guide spirituali? Non è importante perché c’è un’anima che vibra tra loro. C’è un entusiasmo che chiede una direzione, uno scopo, una ragione di vita. È una generazione simile agli operai della parabola del vangelo: sono in attesa di qualcuno che li prenda a giornata.
Non ho sentito parlare di Dio. Non ho visto nessun uomo di Chiesa
Francesco, una fonte inesauribile e più che mai attuale di spiritualità. Eppure sono giorni nei quali ci stiamo domandando come mai un flusso di 15.000/20.000 giovani occidentali sono andati a ingrossare le fila dell’esercito del califfato islamico dei tagliatori di teste. Sono i giorni nei quali, dopo l’alluvione di Genova, tanti ragazzi si sono messi in contatto e, senza che nessuno li organizzasse, hanno spalato fango per aiutare chi più aveva bisogno di aiuto. Camminando ho sentito parlare di
attualità
QUID EST VERITAS? Che cos’è la verità? Loredana Reppucci
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C’era una volta… un mondo più corretto, in cui i politici si dedicavano al benessere dello Stato, tutti si rispettavano reciprocamente, i ladri erano puniti, le guerre erano lontane e le cose si “sapevano”. Era davvero così? Certo che no
C’
è poca informazione in merito alle modifiche temerarie al clima del pianeta, dello scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, dell’inquinamento, del cambio di percorso della corrente del Golfo che influirà sulle temperature della Terra! Danni derivanti dall’uso eccessivo di combustibili fossili - destinati peraltro a esaurirsi - che si potrebbero, in parte, sostituire con energie rinnovabili limitando la corsa sfrenata a una ricchezza predatoria che non tiene più conto della Vita sul nostro pianeta. L’essere umano sa essere il più feroce tra gli esseri viventi del nostro pianeta. Grazie a una mente più sviluppata degli altri animali, riesce a raffinare la sua durezza: la storia ci mostra infiniti esempi di raccapriccianti crudeltà. L’inganno ha da sempre dominato la vita degli esseri pensanti, fin dai tempi mitologici. Ricordate Ulisse? L’eroe ammirato per quel suo blasfemo cavallo votivo, che era in realtà un subdolo strumento per introdursi a bruciare la città di Troia? Niente è come appare, apprendiamo la “realtà” dai media e la consideriamo “vera”, ma la maggior parte degli eventi raccontati è frutto di verità negate e spiegazioni taciute. Quasi tutte le fonti di comunicazione concordano su ciò che si può dire e ciò che è meglio non si sappia. Viviamo un mondo virtuale, un miraggio disegnato dai grandi Poteri mediatici, economici, politici, sociali, senza sapere che cosa davvero accada nel mondo. “Scenari”
creati ad hoc per giustificare azioni talora deprecabili. Ci sono Paesi in rivolta! Sappiamo bene, però, che le fabbriche d’armi non vanno mai in rosso, è il commercio più florido del mondo e, persino l’Italia con i suoi eterni problemi di PIL, è tra i più alti nella classifica dei produttori di materiale bellico. Non si fanno armi perché c’è una guerra, al contrario, si provoca un conflitto perché le armi rendono tutte: chimiche, batteriologiche, climatiche, nucleari… Molti sono convinti che le atomiche sparate sulla Terra siano state due: Hiroshima e Nagasaki. Secondo la reporter Annie Jakobsen, solo in USA ne sono state fatte esplodere più di mille, duecento delle quali in un solo mese. E le scorie delle centrali nucleari? Servono per creare armi ancor più micidiali e, sennò, si seppelliscono negli oceani. Peccato che l’attività radioattiva duri ventimila anni e quindi che solo nel ventiduemila quattordici, riavremo il mare pulito! Se nel frattempo non vi avremo gettato altre camionate di scorie. Perché ci accaniamo a ferire il nostro habitat? Nessuna specie animale lo fa, solo l’Homo sapiens. Ai tempi dei c’era una volta, vigeva una strana abitudine: la guerra andava dichiarata prima delle offensive. Oggi non più. Tutto si fa rapido, subdolo e inquietante perché ci sono nuovi ordigni classificati innocui e camuffati da congegni umanitari, come le scie chimiche - micro particelle sciolte nel carburante degli aerei di linea - da spargere nei cieli per ovviare i danni del buco dell’ozono. In realtà alcune di esse possono rendere fertili o sterili vaste zone del pianeta mettendo in ginocchio interi popoli o ipernutrendone altri. Il progetto americano HAARP raccoglie onde elettromagnetiche invisibili e micidiali, da lanciare nello spazio per difenderci da eventuali meteoriti in viaggio verso la Terra o da un attacco di… alieni! In realtà, “potrebbero” scatenare terremoti e tsunami in qualsiasi parte del mondo mettendo in crisi interi popoli. Il generale Fabio Mini, ex Capo di Stato Maggiore della NATO Sud Europa, sostiene che le future guerre non utilizzeranno bombe, ma onde elettromagnetiche, scie chimiche e climatiche. La speranza e che forse un giorno l’uomo scoprirà il rispetto della vita, dell’habitat, del prossimo. Per il bene di tutta l’umanità. 87
gastronomia e benessere
Cucina di montagna e pesce Un connubio vincente Sandra Paoli
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al Nord al Sud della nostra penisola c’è un denominatore comune che ci accomuna: il piacere di sedere a tavola con un’allegra compagnia e tante cose buone da mangiare, magari annaffiate da buon vino, gustando e valorizzando tutto quello che di speciale offre il nostro territorio. Il Trentino è al 90% montuoso, la cucina è povera perché parte da ingredienti semplici e di recupero (erbe, farine, patate e pane raffermo), ma allo stesso tempo ricca perché molto calorica e sostanziosa, adatta per lo più al clima rigido invernale. Ogni angolo della nostra regione propone realtà ricettive e ristorative impegnate a recuperare le tradizioni enogastronomiche locali, riprendendo e innovando le antiche ricette, dal pane alla pasta, dalle torte al vino, proprio come una volta. Negli ultimi anni gli operatori hanno investito molto sui prodotti a km zero, un piacere per chi produce e per chi compra. In Trentino è ormai consuetudine trovare il coltivatore o il produttore che vende nelle vicinanze del luogo di produzione, nei locali dell’azienda, o al mercato contadino, realtà promosse e sostenute spesso da amministrazioni locali. La certezza della merce fresca, meno strada, minori consumi di carburanti ed emissioni di CO2 per raggiungere il consumatore e il risparmio, eliminando così tutti quei passaggi commerciali (produttore,
trasportatore, grossista, rivenditore), consente a chi coltiva di non svendere, ma ottenere dal cliente un prezzo equo, che riconosca il suo operato, l’amore per la terra, la qualità. Perché km zero, significa far incontrare produttori e consumatori consapevoli che investono in un futuro migliore, ma soprattutto un’opportunità per riacquistare i profumi e i sapori delle diverse stagioni , perché ogni stagione è diversa per il palato, la vista e l’olfatto. Ma nutrirsi con consapevolezza non significa rimanere immobilizzati a una cucina con solo prodotti del territorio, bensì aprirsi a nuove sfide, magari con prodotti storicamente assai diversi, come il pesce che spesso viene consumato solo in particolari periodi dell’anno legati a convenzioni o ricorrenze. La montagna e il pesce, sembrano apparentemente due mondi in contrapposizione per provenienza e cultura, ma stanno avendo un’evoluzione incredibile, ricette con prodotti della nostra terra rivisitate e accostate al pesce. Queste ricette innovative diventate in poco tempo fiori all’occhiello della ristorazione, sono ormai una sana abitudine nelle case dei trentini. Il pesce fresco può produrre benefici al nostro organismo sia nell’immediato, che nel futuro. La presenza dell’omega 3 è molto salutare per il nostro corpo in quanto pulisce le arterie dal colesterolo. Cucina di montagna e pesce, un matrimonio destinato a durare nel tempo… e un benessere garantito.
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attualità
Comun General de Fascia - Comunità di Fiemme
Sotto ai riflettori A pochi mesi le elezioni
Cristina Donei
G
li elettori di Fiemme e di Fassa saranno impegnati nel prossimo mese di maggio nelle consultazioni elettorali amministrative che vedranno rinnovati i consigli comunali dei vari paesi, il consiglio della Comunità di Fiemme e il consiglio del Comun General de Fascia. Un appuntamento molto importante per il futuro della nostra gente perché, soprattutto per quanto riguarda gli organi sovra comunali, sarà la prova del nove della loro efficacia
Raffaele Zancanella
amministrativa e della loro capacità di razionalizzare e ottimizzare i servizi erogati ai cittadini. Abbiamo dunque posto alcune domande ai due massimi rappresentanti degli enti di valle, Cristina Donei, e Raffaele Zancanella perché ci disegnino una cornice entro la quale definire i problemi passati, i problemi da affrontare e, in generale, le aspettative amministrative funzionali alle esigenze dei valligiani.
Siamo giunti alla fine della prima legislatura del Comùn General de Fascia e della Comunità di Fiemme. Nei commenti dei cittadini si colgono numerose perplessità. Che cosa ha funzionato, e cosa, invece, no. Donei. La riforma istituzionale entrata in vigore nel 2010 è rimasta per alcuni versi sospesa. Le Comunità per avviare un progetto decisamente ambizioso hanno avuto a disposizione poco tempo, è iniziata quasi subito una “caccia alle streghe” da parte dei media e di alcune forze politiche culminata nel 2012 con il Referendum per l’abrogazione delle comunità. Mi sono sempre chiesta perché i Comprensori, pur con meno competenze, sono sopravissuti trentacique anni mentre alle Comunità non è quasi stata data la possibilità neppure di avviarsi. Il modello originario era molto ambizioso perché finalizzato a creare un sistema di “autonomie nell’autonomia”. Per realizzarlo pianamente sarebbero state necessarie ulteriori competenze corredate da un rafforzamento di risorse umane molto specializzate. È pur vero che nel settore pubblico tutte le innovazioni hanno un iter
lungo e a volte di difficile digestione. Ciò che sicuramente ha funzionato della riforma istituzionale, così come abbiamo cercato di attuarla, è stata la volontà di promuovere un modello di governace improntato su criteri di autonomia e di salvaguardia dell’identità dei territori. Il Comun general de Fascia è il fulcro amministrativo della realtà identitaria e culturale fassana. Per questo in questi anni abbiamo cercato di dare delle risposte al nostro territorio anche modificando, con il progetto “Una valle in Rete”, la governace degli enti locali della valle. Non solo gestioni associate come quella del servizio entrate, la gestione della lingua e della cultura ladina e dell’informatica, ma anche innovazione attraverso l’acquisto di sistemi informatici avanzati che garantissero uniformità di trattamento e servizi alla comunità. Zancanella. La risposta a questa domanda vale anche per le successive perché è fondamentale capire che le Comunità sono nate per trasformazione dei Comprensori da cui hanno ereditato le funzioni e l’operatività. Con il cambiamento del nome, da Comprensorio a Comunità, non è di fatto,
cambiato nulla, a parte il nome, perché le competenze sono rimaste sostanzialmente le stesse e i finanziamenti, a parte le quote dei sovra cannoni idroelettrici, in alcuni casi, sono diminuiti. Come si può aspettarsi una diversa operatività se l’Istituzione rimane sostanzialmente la stessa? La risposta precisa è dunque la seguente: tutto ha funzionato benissimo secondo le possibilità della Comunità di operare in ottemperanza alle competenze e alle disponibilità finanziarie. È vero che la propaganda politica provinciale aveva venduto l’istituzione delle Comunità come una rivoluzione secondo la quale i territori diventavano autonomi, dotati di finanze proprie e, quindi, con possibilità di decidere su questioni importanti in modo autonomo, etc., etc., creando nelle popolazioni aspettative enormi poi disattese in quanto si tratta di promesse mai mantenute. Sarebbe da chiedere a chi ha istituito le Comunità perché le ha istituite se poi non ha dato loro gli strumenti per funzionare secondo i roboanti e magniloquenti proclami che tante aspettative hanno sollevato nelle popolazioni dei territori. Non è, quindi alle Comunità che si deve
chiedere cosa non ha funzionato, ma alla Provincia che le ha istituite. Seguendo la legge provinciale ci si aspettava di vedere le Comunità di valle protagoniste nella razionalizzazione di alcuni servizi comuni, dei piani urbanistici e, in generale, di un riassetto istituzionale virtuoso. Nel comune sentire la percezione dei risultati è debole. È forse mancata la comunicazione? Donei. Attualmente c’è una certa disaffezione dei cittadini alla politica e quindi anche la comunicazione è meno incisiva. Da parte mia però, vado orgogliosa, dell’importante lavoro fatto dal CgF per favorire in ogni modo un nuovo modo di collaborazione con i comuni e tra i comuni. L’esecutivo (Consei di Ombolc) del CGF, formato dai sette sindaci della valle, ha saputo confrontarsi creando sinergia e solidarietà. Non sono mancate delle divergenze di opinioni ma alla fine si è sempre trovato un accordo basato sulla collaborazione. Si è dato omogeneità ai servizi su tutta la valle cercando di seguire le 3 parole d’ordine:
efficienza, efficacia e risparmio. Zancanella. La risposta a questa domanda è già stata data sopra: come si può pensare che un’Istituzione faccia cose per le quali non ha le competenze ne le possibilità legali per farle? Affinché le possa fare, è necessario dare all’Istituzione gli strumenti per farlo, e le Comunità non hanno avuto alcun strumento in tal senso. Ci indica gli obiettivi più vicini che la Comunità intende perseguire? Donei. La fine del mandato amministrativo si sta avvicinando e intendiamo essere molto concreti concludendo i progetti previsti dall’accordo di programma firmato 2011. Concretamente: arrivare alla firma con la PAT del Piano Stralcio della viabilità e mobilità, completare i quattro progetti dedicati alla sostenibilità, avviare la costruzione della casa dedicata alla disabilità, iniziare una forte riflessione sulle scelte strategiche per il futuro della Valle attraverso il documento preliminare del Piano Territoriale di Comunità ed infine concludere quanto prima l’accordo per l’avvio del Corpo di Polizia Locale della valle di Fassa. Zancanella. In questo momento nulla si sa di quello che saranno le Comunità del futuro, essendo in atto una riforma dell’assetto istituzionale che dovrebbe modificarne la struttura, quindi, aspettiamo che la riforma diventi legge e, poi, si potrà capire la direzione da prendere. Resta comunque un punto fermo: qualunque riforma si faccia se non si daranno competenze vere, finanziamenti relativi e libertà di gestirli secondo i dettami dell’Europa, le Comunità continueranno a fare quello che hanno sempre fatto i Comprensori e la gente continuerà ad avere aspettative disattese.
Come si può, realisticamente, pensare di offrire un rilancio a queste istituzioni? Donei. Le CdV devono diventare punto d’incontro e di discussione con l’obiettivo di migliorare l’azione amministrativa e con il contributo di tutti riuscire a fare riflessioni al di sopra dei campanili e soprattutto “improntare” una visione di valle. Zancanella. La Provincia, con la potestà legislativa che le compete, se vuole può rilanciarle, e ciò dipende dalla capacità e la voglia di spogliarsi di un po’ di potere. È pensabile che la Provincia ceda potere? Un commento finale. Donei. La forma istituzionale è secondaria rispetto al valore della comunità, del lavorare insieme, del condividere idee, strategie, salvaguardare nonché valorizzare la nostra particolarità. Si deve in ogni caso tutelare l’autonomia del nostro territorio e proteggere la nostra identità. Il nostro è un tempo complesso, scandito dalla scadenza elettorale della prossima primavera, dal procedimento dinanzi la Corte Costituzionale in riferimento all’incostituzionalità delle CdV, serve quindi analisi ma soprattutto coesione per proporre soluzioni innovative e vicine ai cittadini. Zancanella. È doloroso costatare quante attese una politica di promesse di autonomia e autogoverno dei territori, abbia indotto i cittadini e rendersi poi conto che erano bugie. Si dovrebbe chiedere conto delle spese e del tempo perso. È esempio di buona politica spendere risorse di ogni tipo, sapendo che nulla di quanto promesso sarà mantenuto? Chiedo al lettore di leggere il mio articolo su Fiemme&Fassa del 2012, incentrato sul coraggio di avere fiducia perché è stato profetico, leggere e, alla luce dei risultati, rendersi conto di come ha agito una certa politica.
mostre e musei
I musei e le mostre rendono reali il fascino e l’incanto della scoperta
Muse 1914-1918 “La Gran Vera”
“Oltre il limite” Trento
La Grande Guerra: Galizia, Dolomiti Moena
Museo Geologico delle Dolomiti Centocinquanta Cantieri d’alta quota Predazzo
Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme Cavalese
Centro d’Arte
Sentieri dello Stile Cavalese
mostre e musei
1914-1918 “La Gran Vera� La Grande Guerra: Galizia, Dolomiti Moena - Teatro Navalge luglio 2014 - settembre 2015 Una mostra per ricordare uno scontro disumano, che ha segnato indelebilmente l’Europa. Dal fronte russo (GaliziaBucovina-Volina) alla guerra in alta montagna sulle Dolomiti di Fassa e Fiemme, per ricordare non solo gli avvenimenti bellici, ma soprattutto il loro impatto sulle popolazioni locali.
L
a mostra si articola in quattro sezioni, ospitate negli ampi spazi del Teatro Navalge in cui si alternano rispettivamente diorami altamente scenografici, vetrine tematiche, pannelli didascalici, foto d’epoca e gigantografie. Oggetto dell’esposizione è in primo luogo la
Galizia 1914 La Galizia rivissuta attraverso gli straordinari quadri dei pittori di guerra austriaci,
collezione “Simonetti-Caimi”, di proprietà dell’Istituto Culturale Ladino con oltre 20 uniformi d’epoca, cimeli, reperti, album fotografici ecc., per un totale di quasi mille pezzi, arricchita da ulteriori reperti appartenenti a collezioni private.
Kriegsmaler, ripresentati come nelle mostre di guerra. Max Ritter Von Hoen, comandante dell’Ufficio stampa del Comando Supremo austriaco, comprese che l’arte avrebbe avuto un ruolo importante nel conflitto. Le
condizioni di vita e l’esperienza in battaglia avevano assunto una dimensione nuova, completamente sconosciuta. Illustrarle avrebbe rafforzato lo spirito patriottico e di sacrificio della nazione. Fu così che venne istituito nel 1914, un “Kunstgruppe” (gruppo artistico) i cui membri ricevevano lo status ufficialmente riconosciuto di “pittori e scultori di guerra”. Muniti di speciali lasciapassare, che permettevano l’accesso a ogni punto del fronte, gli artisti in divisa e con il grado di ufficiali iniziarono a produrre una innumerevole quantità di opere, servendo la patria con le proprie qualità artistiche anziché con il fucile. La sezione presenta anche un grande escursus tematico sulla storia del campo di battaglia galiziano, corredato da cartine ed immagini d’epoca commentate.
attacco. Il punto focale della sezione è costituito dallo spettacolare diorama di un assalto in alta montagna, con una maxiproiezione di scene
di guerra sullo sfondo. L’esperienza di trincea, quindi, con le sue ricostruzioni realistiche, è sicuramente il momento più coinvolgente della visita.
La trincea Un interminabile budello di sofferenza nel quale ragazzi ladini, trentini e tedeschi di allora dovettero convivere, combattendo in Galizia contro i Russi e sulle Dolomiti contro gli Italiani. La mostra propone una tortuosa esperienza di trincea, con accurate ricostruzioni di camminamenti, postazioni, baracche e diorami che rappresentano la vita vera della prima linea e fanno rivivere l’atmosfera dell’epoca: bambini e adulti infatti, hanno la possibilità di toccare alcuni oggetti, indossare elmetti, ascoltare suoni e testimonianze, di vedere i reticolati cosparsi di oggetti di assalti precedenti e soldati italiani in posizione di
Dolomiti 1915 Le Dolomiti costituiscono ancora oggi un unico, incredibile campo di battaglia, in gran parte recuperato e visitabile: le Alte Vie Bepi Zac e Federspiel, Fango e Cima Bocche, il Lagorai, sono gioielli unici in Europa. Le uniformi e i cimeli della collezione Simonetti Federspiel-Caimi, costituiscono una straordinaria raccolta e una testimonianza unica. Nella sala dedicata al fronte dolomitico sono esposte 20 uniformi d’epoca, sia di parte austriaca, sia di parte italiana, affiancate da vetrine tematiche con reperti della guerra in montagna, pannelli illustrativi con le testimonianze dei combattenti, foto d’epoca e testi didascalici su eventi e situazioni del fronte
e delle retrovie. Nella stessa sala è allestita la exhibition shop, con varia oggettistica e un’ampia
esposizione di libri e pubblicazioni, utili per un approfondimento della tematica.
interpretazioni: vi è un’unica e sola verità sulla guerra. Vedendo questa raccolta d’immagini antiche, sbiadite e senza colore, non avrete alcun dubbio. Sono immagini che
di solito si tengono nascoste, che molti non vogliono vedere, che a molti fanno ribrezzo o paura. Queste immagini sono la realtà: la guerra è questo. Gli uomini del ‘14-’18 non ci sono più: restano le montagne esplose, bucate, scavate, combattute, odiate e amate. Questa guerra, madre di tutte le guerre moderne, deve restare impressa nella nostra memoria. Un mondo spaventoso, da cui apprendere il valore inestimabile della Pace.
Guerra alla Guerra La grande balconata sul foyer del Teatro ospita una sezione speciale sull’orrore della guerra così come appare dalle durissime immagini originali raccolte da Ernst Friedrich. Ernst Friedrich nel 1924 pubblica a Berlino il suo libro “Guerra alla Guerra!” aprendo in seguito un museo sugli orrori della Prima Guerra, Mondiale, chiuso poi dai Nazisti nel 1931. Le immagini parlano da sole e i suoi brevi commenti non lasciano spazio a
ORARI DI APERTURA AL PUBBLICO: > dal 22 dicembre all’11 gennaio 2015 tutti i giorni 10.00 / 12.30 e 15.00 / 19.00 > Dal 12 gennaio al 6 aprile 2015 da martedì a domenica 15.00 / 19.00. TARIFFE: INTERO € 5,00 - RIDOTTO € 3,00 GRUPPI € 3,00 (min.15 persone)
VISITE GUIDATE: prenotazione obbligatoria direttamente presso la biglietteria della Mostra, oppure: > Info Point “La Gran Vera” - tel. 331.8029886 > Ufficio “Perle Alpine” - tel. 0462.565038 - e-mail: perla@moena.it In aggiunta al biglietto d’ingresso, per le visite guidate saranno applicate le seguenti tariffe: > visita in lingua italiana o ladina € 30,00 (ogni 15 persone) > visita in lingua straniera (inglese, tedesco, russo) € 40,00 (ogni 15 persone) ATTIVITÀ DIDATTICA a cura dei Servizi Educativi del Museo Ladino di Fassa. Attività laboratoriali su temi specifici - percorsi in partenariato con i docenti - corsi di formazione. Informazioni e prenotazioni: 0462.760182 - e-mail: didattica@istladin.net
mostre e musei
Il muse ai confini della conoscenza: “Oltre il limite”
“Oltre il limite. Viaggio ai confini della conoscenza” è la prima grande mostra del MUSE inaugurata a Trento lo scorso novembre. Promossa dal Muse e dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, con la partecipazione dell’Agenzia Spaziale Italiana e con la collaborazione dell’Università di Trento e della Fondazione Bruno Kessler è dedicata al tema del limite. Grazie ad exhibit interattivi, allestimenti, video ed esperienze multimediali i visitatori potranno avventurarsi alla scoperta dell’universo e dei suoi misteri. Benvenuti alla più grande e complessa mostra mai allestita al museo
Entrare sarà come oltrepassare la soglia invisibile tra ciò che si sa, o si crede di sapere, e l’abisso ancora da scoprire: al di là ci attende un mondo affascinante, dove tutto è possibile, e nulla è come sembra. La mostra è suddivisa in varie aree tematiche, che riflettono l’approccio multidisciplinare che caratterizza il MUSE: è una finestra che si apre sul big bang e l’espansione dell’universo, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, le relazioni tra energia, materia e temperatura, l’antimateria, i limiti della mente e della tecnologia scientifica, la natura
del tempo e molto altro. La complessità dei contenuti è efficacemente tradotta in un’esperienza affascinante e al contempo comprensibile, attraverso l’utilizzo di video, exhibit interattivi, esperienze multimediali e installazioni, che coinvolgeranno ulteriormente i visitatori nell’esplorazione dei limiti della realtà percepita e immaginata, della tecnologia, della mente e dei sensi. Il “limite” è, chiaramente, il perno attorno a cui si struttura concettualmente tutta l’esperienza di visita: non è un muro invalicabile, ma uno sprone che ci invita irresistibilmente ad avanzare, come Ulisse, verso un orizzonte che a ogni passo si sposta un po’ più in là. L’unica costante è il desiderio profondamente umano
di sporgersi oltre, esplorare la frontiera con gli strumenti a disposizione, trovare nuove risposte, o più spesso, nuove domande. “Oltre il Limite” è viaggio multisensoriale che conduce per mano alla scoperta del noto e dell’ignoto, dove i confini tra scienza, filosofia e arte, tra fisica e metafisica si annullano. Nello stesso modo, quando si esplora l’infinitamente piccolo, crollano le barriere tra tempo, massa ed energia, tra il soggetto che osserva e l’oggetto osservato: sono gli affascinanti paradossi della meccanica quantistica, uno degli ambiti affrontati dalla mostra. La nostra conoscenza dell’universo è limitata, e ogni scoperta è un trampolino di lancio per nuove indagini dagli esiti imprevedibili. Ciò che non ha limiti è l’immaginazione. Ma non sarà tutto, l’andare oltre il limite richiamerà altre sfide, come quelle della tecnologia o dello sport, ma anche dell’arte o del pensiero filosofico e religioso. La mostra infatti sarà accompagnata da un programma di appuntamenti con scienziati italiani, ma anche con campioni sportivi, artisti, pensatori che ci racconteranno dal loro punto di vista cosa significa per l’uomo confrontarsi con un antico, ma sempre nuovo limite.
Mostre al Museo Geologico delle Dolomiti a Predazzo Centocinquanta, la nascita
dell’alpinismo in Trentino, una iniziativa di: Società degli Alpinisti Tridentini, Biblioteca della Montagna, Trento Film Festival, Fondazione Accademia della Montagna del Trentino. Inaugura martedì 16 dicembre e rimarrà fino ad aprile.
Cantieri d’alta quota, i rifugi alpini dalle origini a oggi. A cura dell’associazione Cantieri d’alta quota. Dai primi di gennaio - fino a fine febbraio.
Tutte le info, gli orari e il programma delle attività del MUSE e al Museo Geologico delle Dolomiti si possono trovare sul sito: www.muse.it
speciale musei e mostre
Il Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme
N
el centro storico di Cavalese si erge grandioso il Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme una delle opere più rappresentative dell’intero panorama artistico trentino, simbolo delle millenarie tradizioni di autogoverno e autonomia della popolazione locale. Sulle origini del maestoso edificio, non si hanno notizie certe anche se la sua costruzione è da mettere in relazione al controllo esercitato dal principe vescovo di Trento sulla Comunità. Questa ottenne il suo riconoscimento ufficiale, da parte dell’autorità vescovile, soltanto nel 1111 con la firma di alcuni accordi passati alla storia come Patti gebardini. Tali accordi, che stabilivano obblighi e privilegi per gli abitanti di Fiemme, prevedevano la presenza saltuaria di un vicario vescovile incaricato di riscuotere le tasse e amministrare la giustizia in rappresentanza del principe vescovo. Il Privilegio enriciano del 1314, oltre a riconfermare le disposizioni contenute nei Patti gebardini, stabilì la presenza continuativa del vicario che, da quel momento, s’insediò
stabilmente nel palazzo. L’edificio venne in seguito utilizzato come residenza estiva dagli stessi presuli trentini che s’impegnarono in importanti campagne di ampliamento ed abbellimento della struttura. Le più importanti furono quelle intraprese da Bernardo Clesio (1514 - 1539) e dal suo successore Cristoforo Madruzzo (1539 - 1567) che chiamarono a Cavalese artisti di altissimo livello provenienti, in gran parte, dalla bottega del Castello del Buonconsiglio. Tra questi, probabilmente, spicca il nome dell’artista vicentino Marcello Fogolino (1480 ca. - post 1548) impegnato, pochi anni dopo, presso il palazzo Assessorile di Cles. Dopo un lungo periodo di abbandono, a partire dalla fine del Cinquecento, e con la secolarizzazione del principato vescovile di Trento, il palazzo venne affidato al governo bavarese che dal 1808 lo trasformò in carcere giudiziario delle valli di Fiemme, Fassa e Primiero. Nel 1850 l’edificio, ormai fatiscente, venne acquistato dalla Comunità Generale di Fiemme con l’intento di farne la propria
sede istituzionale. Dopo cinque campagne di restauro, l’ultima delle quali condotta con il supporto tecnico e finanziario della Provincia Autonoma di Trento, il palazzo è ritornato al suo antico splendore. Oggi la nobile residenza rinascimentale, riaperta al pubblico il 05 luglio del 2012, ha attirato circa trentamila visitatori, e custodisce al suo interno una straordinaria collezione di opere d’arte. La parte più significativa di questa è costituita dai dipinti dei maggiori rappresentanti della Scuola pittorica di Fiemme, attivi tra la metà del XVII secolo e la fine del XIX secolo. I capolavori di questi artisti, ordinati cronologicamente, accompagnano il visitatore alla scoperta degli eleganti ambienti di questa straordinaria dimora. Gli ultimi restauri, inoltre, hanno reso accessibili le prigioni ottocentesche caratterizzate da innumerevoli incisioni che ci tramandano le vite, i ricordi e le condanne dei detenuti. Visitabili fino all’aprile del 2015 sono le due mostre temporanee che il palazzo ospita al suo interno. La prima, intitolata
“Pieve: il tesoro ritrovato” riguarda i restauri e le importanti scoperte artistiche avvenute all’interno della chiesa dopo il furioso incendio del 2003. La seconda mostra, inaugurata lo scorso gennaio, si intitola “Fiemme e la Grande Guerra. Una Comunità a sostegno dei deboli” e tratta le tristi vicende della Prima Guerra Mondiale e l’importante ruolo avuto dalla Comunità in favore della popolazione locale. Aperto stagionalmente al pubblico il palazzo, offre una serie di interessanti concerti, conferenze, visite tematiche e attività per le famiglie, ed è comunque visitabile, fuori stagione, per i gruppi organizzati e per le scuole di ogni ordine e grado. Inoltre, il pregevole Salone, può essere utilizzato, a richiesta, per meeting aziendali, conferenze e matrimoni civili. Contatti per informazioni e orari di apertura: palazzo@mcfiemme.eu Telefono: 0462.340812 www.palazzomagnifica.eu Facebook: Palazzo Magnifica Comunità
Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone [...], perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno na-
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sce dalla notte oscura. è nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza.
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[...]. Senza crisi non c’è merito. è nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. [...]. Invece, lavoriamo duro. [...]. A. Einstein
speciale musei e mostre
SENTIERI DELLO STILE
LIVIO CONTA / MARIANO VASSELAI a cura di Elio Vanzo
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a oltre dieci anni il Centro d’Arte Contemporanea di Cavalese indaga la percezione del territorio attraverso le forme e le espressioni dell’arte contemporanea. Un’esplorazione che ogni anno percorre una nuova tappa, approfondisce un nuovo tema. Il progetto espositivo 2014/15 ha imboccato I SENTIERI DELLO STILE. Il direttore del Centro e curatore delle mostre in corso, Elio Vanzo, ha selezionato quattro artisti trentini la cui opera è stata fortemente influenzata dal contatto con i grandi maestri dell’arte nel Novecento ed ha avuto l’essenziale ruolo d’importatrice delle idee e dei fermenti che animavano il panorama artistico europeo oltre i valichi alpini. La stagione estiva è stata dedica alla pittura rappresentata da due personalità creative agli antipodi: Carlo Belli (Rovereto, 1903 - Roma, 1991) e Riccardo Schweizer (Mezzano, 1925 - Casez, 2004). Attraverso le loro pennellate si sono fatti palpabili gli insegnamenti di Pablo Picasso, Chagall, De Chirico e Kandinskji. La stagione invernale sarà dedicata alla scultura del legno nata dagli scalpelli di Livio Conta (Monclassico, 1939) e Mariano Vasselai (Panchià, 1940). Il loro SENTIERO DELLO STILE segue, nei primi anni di formazione, la stessa direzione. Entrambi frequentano la scuola del Legno di Ortisei che inquadra i due protagonisti in una tradizione figurativa ben radicata nell’arte delle Dolomiti. In seguito
prenderanno strade diverse per raggiungere traguardi altrettanto divergenti. Mariano Vasselai durante i suoi studi milanesi assorbirà la lezione di Luciano Minguzzi. Livio Conta, dopo un’esperienza parigina, incontrerà a Carrara Marino Marini. Le figure lignee del primo esprimono il naturale legame tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda, la Montagna, senza inutili retoriche. Mentre il secondo scolpisce figure sacre che si collocano in alto, oltre le cime delle montagne. Due movimenti semantici perpendicolari, l’Orizzontale di Vasseali e il Verticale di Conta, che s’intersecheranno in dialogo nelle sale di Palazzo Firmian. Alice Bellante
CENTRO ARTE CONTEMPORANEA CAVALESE Inaugurazione venerdì 26 dicembre 2014 Periodo di apertura: dal 27 dicembre 2014 al 6 gennaio 2015 e dal 28 marzo al 5 aprile 2015 aperto tutti i giorni tranne il lunedì. Il restante periodo aperto il sabato e la domenica. Orario: dalle 15.30 alle 19.30 Ingresso: Euro 2,00. Visite guidate su prenotazione. Per informazioni: (+39) 0462 235416 Cavalese, Piazzetta Rizzoli, 1 info@artecavalese.it - www.artecavalese.it
LABORATORIO DIDATTICO USIAMO LE MANI... PER MODELLARE E PER INTAGLIARE Un laboratorio artistico che avvicina i bambini al linguaggio scultoreo e alle sue forme contemporanee. Durata: 3 ore Quando: il 4 gennaio alle ore 17.00 Prenotazioni: cell. 349 8470382, dal lunedì al venerdì. Informazioni: artecavalesedidattica@gmail.com Costo: 5 euro a bambino.
concorso letterario
Premio letterario internazionale
Il Carro delle Muse Seconda edizione
L’ambito Concorso letterario internazionale dedicato alla scrittura al femminile volge alla sua seconda edizione
D
opo il successo dell’edizione passata, conclusasi con la cerimonia di premiazione nel prestigioso palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme, l’ideatrice Loredana Reppucci è orgogliosa di aprire l’edizione 2015, augurando buona fortuna a tutte le concorrenti. Cinque le sezioni in gara: poesia, racconto, favola e disegno grafico orientato ad un testo o poesia a scelta dell’autrice. Per ognuno degli argomenti sono previsti un primo, un secondo e un terzo premio.
Novità: dalla prima si è riscontrato che ci sono anche delle autrici di fiabe illustrate che sono ancora bambine. E’ nata così l’idea di riservare uno spazio particolare di questo Premio alle più piccole, di età non superiore ai 13 anni. Saranno le nostre “Musette” che ci regaleranno l’incanto della nostra infanzia, della gioia pura dell’innocenza e dell’ingenua bellezza. Come per tutte le “Muse”, esse possono partecipare per uno dei quattro temi previsti (racconto, poesia, favola e grafica). La festa della premiazione dedicherà uno spazio individuale alle Concorrenti di questa sezione con quattro premi speciali (uno per ogni categoria). Per partecipare al Premio è necessario scaricare il modulo di partecipazione dal sito delle Muse e versare la quota d’iscrizione di 50 euro. Per la sezione “Musette” la quota è la stessa riservata alle minori di 18 anni (30 euro). La quota di partecipazione consente agli organizzatori e alla Giuria di valutazione – costituita da donne importanti nella vita artistica italiana – di poter agire con la massima trasparenza nelle scelte delle
vincitrici, essendo tale iniziativa libera da qualsiasi condizionamento politico, economico e sociale. Le iscrizioni all’edizione 2015 sono aperte e si chiuderanno il 31 maggio 2015! Location e data della Cerimonia finale saranno comunicate alle iscritte alla mailing list con una e-mail informativa. Per iscriversi è sufficiente scaricare il modulo di partecipazione che, comunque, non costituisce alcun impegno. Partnership: La voce delle donne di Fiemme e Fassa, guidata dall’assessore Elena Gianmoena, Soroptimist club di Bolzano, Fidapa sezione di Bolzano, Trentini nel mondo e altre ancora. La Società Dante Alighieri di Bolzano la promuove assumendone la gestione e mettendo a disposizione tutte le sue risorse logistiche e culturali. Bando e ulteriori notizie si possono trovare sul sito: www.ilcarrodellemuse.com
intervista
Paolo Rumiz Sofia Brigadoi
“Perché proprio qui e ora, in viaggio verso l’alba, inseguito dalla notte di novembre, alla vigilia dei giorni dei Morti, ritrovo la pienezza del mito dei Morti, ritrovo la pienezza del mito di Europa, la terra del tramonto dove i popoli si ammassano e non esiste alternativa tra il massacro e la coabitazione?” Foto di Alessandro Scillitani
I
suoi racconti ti entrano nella memoria e nel cuore. La finezza narrativa e le minuziose descrizioni di luoghi e personaggi assumono man mano che le parole scorrono, sembianze concrete, palpabili. Rumiz sa appassionare e portare alla luce con chiarezza e disincanto temi eterni quali l’amore, l’amicizia, il dolore, la gioia… la guerra. Lo abbiamo incontrato al Teatro Navalge di Moena, durante la serata culturale che chiudeva il calendario d’incontri estivi dedicati al Centenario della Grande Guerra. È stato un appuntamento speciale, nel quale abbiamo accolto dalla sua voce un disgiunto realistico di ciò che quell’immane conflitto lasciò nella generazione che lo subì e delle conseguenze che segnano, tuttora, la nostra vita. Paolo Rumiz è giornalista de “la Repubblica” e del “Piccolo di Trieste”. Con Feltrinelli ha pubblicato numerosi romanzi tra i quali Annibale, L’Italia in seconda classe, Trans Europa Express, Morimondo, Come cavalli che dormono in piedi. Vive a Trieste. Viaggiare per capire, che contrasta con l’attuale desiderio di molti turisti di viaggiare per arrivare. Una filosofia che
l’ha portata a scrivere numerosi romanzi e reportage giornalistici. Da cosa è scaturita questa sua iniziativa? La voglia di viaggiare e scoprire l’ho avuta sin da bambino e nasce dal nomade insito in me… ogni tanto vuole uscire e pretende degli spazi. Anche la volontà di scrivere fa parte della mia infanzia. Poi ho avuto la fortuna di fare il giornalista e di scrivere per professione. Il fatto di combinare il viaggio alla scrittura è nato per caso. Ogni tanto la vita ti offre delle occasioni per realizzare i tuoi sogni. L’ho colta al volo e sfruttata in pieno. È avvenuto circa quindici anni fa, in occasione del mio primo viaggio a Istanbul. Da quel momento la mia vita è cambiata. È stata un’esperienza talmente ben riuscita che da allora sono “condannato” a ripeterla. In un suo romanzo racconta il viaggio e l’avventura di Annibale alla conquista di Roma: dalle Alpi lungo la dorsale dell’Appennino. Cosa l’ha colpita dell’animo inquieto di un viaggiatorecondottiero vissuto oltre 1900 anni fa? Mi ha stimolato che fosse ricordato anche nei luoghi dove non era mai stato, e che fosse stato lui a cercare me. Spiego meglio: ovunque viaggiassi mi trovavo sempre di fronte la sua
Il Po, il fiume italiano che ha dato e tolto la vita a migliaia di persone. Nel suo libro l’ha definito abbandonato, sconfitto dall’incuria. Pensa che in Italia ci sia chi ha la volontà/ conoscenza per rivalutare questa grande risorsa? Il Po è circondato da persone che lo adorano, ma sono una massoneria, personaggi nascosti che spesso non sanno l’uno dell’altro. Quindi è complesso capire se c’è questa volontà. Mi rammarica dire che l’Italia ha una cultura idrofoba nei confronti dei fiumi. Li considera come un pericolo, non una risorsa. Una “scusa” che consente agli speculatori del cemento di imprigionarli sempre più, trasformandoli in killer. Forse non è chiaro che la salute dei nostri fiumi e inseparabilmente legata al nostro futuro.
ombra. Mi sentivo perseguitato dalla sua costante presenza. Quindi ho pensato che forse era un richiamo e l’ho seguito. È stato un viaggio che mi ha profondamente cambiato, perché era la prima volta che mi confrontavo con qualcosa d’invisibile e nel frattempo così potente. Annibale è un mito allo stato puro. Non è stato eretto alcun monumento in sua memoria, eppure è un personaggio che ha costruito intorno a sé una popolarità unica. Ne sono rimasto affascinato, quindi il mio desiderio è stato raccontare il mio viaggio alla sua ricerca.
Dalla tundra Russa fino quasi al Mar Nero. Ci può descrivere alcuni attimi particolarmente significativi di questo viaggio? Al di là della natura strepitosa, ciò che mi ha colpito di più è stata la capacità di accoglienza delle persone che vivono in questi luoghi. I russi, come gli ucraini e le altre minoranze etniche delle repubbliche baltiche, hanno un’estrema facilità nel condividere le loro gioie e i loro dolori. Questa gente non soffre mai da sola e al contrario non gioisce mai da sola. Cerca subito di rendere partecipi anche gli altri, e trovo questo loro modo di coinvolgerti altamente civile e altrettanto umano. Grande Guerra: lei ha un nonno che ha vestito la divisa dell’esercito austroungarico durante il conflitto. Quali emozioni ha vissuto nel percorrere il fronte a cent’anni di distanza? C’è una grande discrepanza di volontà nel di ricordare e rendere onore ai caduti tra i territori che facevano parte del fronte occidentale e quelli del fronte orientale.
Taste the emotion
La ditta Sottobosco Paoli fu fondata nel 1999, dopo una lunga esperienza del fondatore Ugo Paoli nel settore ortofrutticolo. La sede è a Civezzano, un piccolo paese vicino a Trento, immerso nelle splendide montagne del Trentino Alto Adige.
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In quello occidentale la guerra è molto riconosciuta, come lo è del resto per il fronte italiano (Piave, Carso...), e quasi totalmente assente per il fronte orientale, dove pare si sia preferito “dimenticare”. È stato un percorso impegnativo ma per molti aspetti appassionante. Riportare alla luce le vicende di soldati che nel solo primo mese di conflitto sono morti in oltre un milione, mi ha dato la carica necessaria. Poi c’è la questione personale. Mi sono sentito in dovere di ricostruire la figura del nonno, di cui non sapevo in pratica nulla (mia nonna ne parlava poco). Sono dovuto ricorrere a parenti e amici che lo avevano conosciuto, che ora sono ultraottantenni. Seguendo questa strada sono riuscito a ricostruire la sua immagine, anche in modo un po’ fantasioso, ma va bene così.
dell’Europa, affinché restino indelebili allo scorrere del tempo. Qual è il passaggio che l’ha più commossa? Tengo a precisare che il titolo nasce dal fatto che i caduti in realtà non sono morti, ma che dormicchino come fanno i cavalli quando riposano in piedi. Questa sensazione l’ho avuta in Polonia, in un magnifico ottobre dello scorso anno. Una terra di cavalli, che ho visto dormire con gli zoccoli affondati nelle brume. Mi sono parsi fortemente rappresentativi di questa metafora. Il passaggio che più mi ha commosso è stato quando ho trovato un piccolo cimitero nel mezzo dei Carpazi, i cui nomi sulle croci sembravano l’elenco telefonico di Trieste. Nel crepuscolo abbiamo acceso una cinquantina di lumini dei morti, che credo si saranno visti a chilometri di distanza.
“Come cavalli che dormono in piedi”. Una raccolta di voci e di testimonianze di una guerra che ha cambiato le sorti
Il 27 luglio, anniversario dell’ultimo giorno di pace in Europa prima dello scoppio della Grande Guerra, in tutto il mondo si sono propagate le note del Silenzio. Roma, Mosca, Washington…, hanno reso onore ai caduti e alle famiglie che hanno vissuto un conflitto straziante. L’idea è partita da lei. È partita da me perché ho sentito la presenza evocativa delle trombe del silenzio sul fronte occidentale. È stata un’emozione tale che ho pensato si potesse riprodurre a tutti i paesi europei coinvolti nel conflitto. Ho avuto un entusiastico appoggio dal Governo Italiano e anche da numerosi trombettisti a partire da Paolo Fresu. C’è chi, però, si è tirato indietro: gli austriaci e i tedeschi perché hanno perso la guerra, i francesi perché non si sentivano abbastanza al centro dell’attenzione. Però si sono aggiunte molte nazioni che non avrei mai immaginato: la Russia, l’America, l’Inghilterra, i Paesi Balcanici, ovviamente l’Italia, e Paesi belligeranti esterni come il Brasile per esempio, che hanno partecipato solo alla fine della guerra che però la considera come un evento centrale. Questa piccola polifonia, ha segnalato anche le differenze che ancora esistono soprattutto in Europa in merito a questa memoria. Rimane però l’amarezza che non sia stato un Concerto più vasto.
natale story
Lupo Show e Testo Sofia Brigadoi Illustrazioni Cristian Dumitrica
Fiocco Freestyle
L’
aria grigiastra minacciava ancora neve. Il lupo scosse il muso e pensò: “Speriamo che ‘sta neve non mi rovini lo spettacolo.” Era un po’ scocciato perché stava organizzando la Festa di Natale, ma era a corto di idee e poi se nevicava troppo il palco si sarebbe riempito di nuovo di neve e gli sarebbe toccato spalare un’altra volta. Lui era cantautore, musicista, attore e regista e di nome faceva Lupo Show. Mentre pensava, vide un gruppetto di lupacchiotti che faceva a palle di neve. Tra loro ce n’era anche uno che gli stava particolarmente antipatico, perché criticava sempre i suoi spettacoli. Mentre se ne stava per andare una palla di neve gli arrivò secca sul naso. “Ehi, grande attore cosa pensi di fare quest’anno per la Festa di Natale?” gli grido quest’ultimo. Poi gli fece la linguaccia e corse via.
“Se ti becco t’imbenzino e t’incendio!” gridò Lupo Show, che cercava di mettergli paura con delle frasi sempre più ricercate. Il che non funzionava mai. Scosse il muso e si risistemò un ciuffo di peli che si era scompigliato. Ci teneva a essere sempre in ordine e bello. Fu in quel momento che sentì un gridolino. Ma che roba è ‘sta qui? pensò guardando il suo nasone. Un altro grido e poi un Yheee! Guardò con più attenzione. Nel blocco di neve che era rimasto sul suo naso c’era un fiocco di neve con tanto di berrettino rosso, una roba lunga e colorata sotto un braccio e degli scarponcini più grandi di lui. “Ehi… ehi, ma da dove sbuchi?” domandò Lupo Show. Il fiocco rispose: “Dal cielo!” 113
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“Ma dai… ” applaudì ironico Lupo Show. “Questo lo avevo capito da solo”. “Ok, allora che vuoi?” “Ma da dove esattamente?” “Ok, ok, vengo da Neveurrà, per via della neve capisci?” “Mmmm… e urrà sta per?” “Perché siamo tutti felici… ok?” “Ah, buon per voi! E poi?” “Beh, non ho altro da dire.” “Non fare il prezioso.” “Ok… ok… lassù dove abito è tutto bianco. Al centro del regno c’è un grande Nevepark e io sono un freestyler, insomma sono un duro che fa le piroette!” “Che?” “Faccio i salti con una tavola di legno sotto i piedi. Scivolo sulla nave e faccio le capriole.” Lupo Show aveva sgranato gli occhi. “Non hai capito niente vero? Ok… ok, spiego meglio.” “Lo sai che ogni due parole dici ok?” Il fiocco fece una smorfia.
“Vai avanti va… ma dimmi prima come ti chiami” chiese a quel punto Lupo Show. “Fiocco Freestyle, ok?” “Mmmm”. Fiocco andò avanti. “Da noi c’è un grande parco e tante piste attrezzate con jump, rail, boarder e kicker dove puoi sbizzarrirti in salti ed evoluzioni acrobatiche. Bellissimo!” “Ahhh…” “Noi siamo tantissimi” riprese Fiocco “siamo tutti freestyler. Alle volte capita di fare i salti troppo lunghi e allora… insomma cadiamo. Ne cadono a milioni sulla terra di noi, e questa volta sono precipitato anch’io. Poi, sottoforma di vapore, torniamo a casa. Alcuni di noi tornano indietro subito, altri se ne stanno quaggiù per mesi. Dipende dal sole, dal calore della terra… ok?” “Ok… ok!” ribatté Lupo Show, “ma com’è che sei caduto dal momento che dici di essere così bravo?” “Non me ne parlare. Stavo provando un doppio salto mortale e in quel momento è
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passata Fiocco Rosabella, non so se mi spiego. è una tosta, insomma è tanto carina e mi sono distratto! Cavolo, non ci voleva… proprio adesso che stavamo facendo le prove per la Festa di Natale!” “Non mi parlare del Natale…” “Se vuoi è ok, ma perché? Non ti piace?” “Sì, ma sono io a organizzare la Festa e non so che fare… e poi voglio fare bella figura! Tutti si aspettano il massimo e quest’anno sono a corto di idee.” “Che ne dici se…” disse Fiocco con un sorriso da orecchio a orecchio. Il giorno di Natale nel bosco c’era un gran silenzio. Pareva che non fosse stato organizzato nulla, però le locandine affisse sugli alberi dicevano che lo spettacolo sarebbe iniziato alle ore 9, come sempre. Tutte le famiglie dei lupi erano in attesa del grande evento, soprattutto i lupacchiotti che non vedevano l’ora di assistere allo spettacolo. Alle otto e mezzo gli spettatori erano già arrivati e aspettavano intrepidi che il grande spettacolo avesse inizio. Di botto e il palco fu inondato di migliaia 116
di lucette di tutti i colori. Un grande albero pieno di bocce e dolcetti era stato messo al centro e tutt’intorno era stata creata un’acrobatica pista per il freestyle. Lupo Show annunciò a gran voce l’inizio dello spettacolo: “Buon Natale a tutti, amici miei! Questa sera assisterete a un evento straordinario, uno spettacolo unico, mai visto prima!” Rullo di tamburi . In quell’attimo le luci si spensero e centinaia di stelle filanti si accesero lungo la pista di freestyle. La canzone di Natale Jingle Bells Rock inondò la foresta di allegria, mentre un centinaio di fiocchi di neve iniziarono a compiere salti e piroette mirabolanti con i loro snowboard. Un boato di gioia salì dal pubblico e si mescolò alle grida dei Fiocchi di neve che a ogni evoluzione gridavano: “Yheee!” Fu una festa grandiosa, la più bella mai organizzata fino ad allora. Fiocco Freestyle e Lupo Show rimasero molto amici e a dicembre si incontrano sempre per organizzare un altro FANTASTICO NATALE.
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Giochimpara
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C’era una volta… … un mondo speciale in cui i giochi e tutti i loro amici peluche vivevano contenti, perché tanti bambini andavano a vederli e si divertivano con loro. I più fortunati trovavano un padroncino che li portasse a casa per diventare amici per sempre. Un giorno però un mostro malvagio, invidioso del loro successo, volle scacciarli tutti. I poveri giochi dovettero fuggire, ma non sapevano dove andare per nascondersi da quel brutto essere cattivo. I bambini erano tristi perché non trovavano più i loro cari amici con i quali giocare, e nemmeno più un peluche che li abbracciasse durante la notte. Era un mondo tanto infelice senza di loro. Ma proprio quanto ogni speranza sembrava perduta, una dolce creatura fatata scese dal cielo per fare una potente magia: con la sua bacchetta incantata creò uno spazio favoloso, dove tutti i giochi potessero vivere felici, e dove nessuno, mai più, li avrebbe cacciati. È un posto meraviglioso, un villaggio dove ogni giocattolo ha un angolino tutto suo. Tante casette abitate da migliaia di giochi, in attesa che un bambino li scelga e li porti a casa con sé. Questo luogo unico e straordinario si chiama Giochimpara, perché oltre a tanti, tantissimi giocattoli, c’è anche una grande scelta di oggetti per la scuola, per stuzzicare la mente, o per arredare uno spazio a misura di bambino.
Giochimpara è distribuito su uno spazio di oltre 700 metri quadrati in cui potrete trovare giocattoli, cartoleria scolastica, materiale per hobbystica, giochi di società e molto altro.
L’Arredo
Moltissimi i prodotti offerti, concepiti nel rispetto dell’ambiente e della salute di chi li utilizza. Sicurezza, qualità, comfort, ergonomia, flessibilità e design sono le parole chiave.
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libri
Vento da Nord Il libro-ricordo di Alfredo Paluselli che racconta la vita avventurosa di suo nonno, suo omonimo Silvia Delli Zotti
Passo Rolle. Il nonno Alfredo Paluselli ha trascorso gran parte della sua vita in uno dei posti più spettacolari del nostro pianeta: ai piedi delle Pale di S. Martino, riconosciute Patrimonio Naturale dell’Umanità dall’Unesco. Il nipote Alfredo, 38 anni di Predazzo, non ha conosciuto il nonno, ma ha deciso di raccontare la sua vita in un libro che, a detta dei lettori, riesce a far immaginare quanto dura doveva essere la sopravvivenza a 2.000 metri, vivendo tra le sue poesie, i suoi scritti, le sue opere d’arte e le sue selvagge camminate al Passo Aver avuto l’opportunità di raccontare questi fatti riempie d’orgoglio il nipote che, con coraggio, ha raccolto le testimonianze della gente e ha parlato di un grande personaggio che non ha nemmeno conosciuto di persona. L’inaspettato successo commerciale e i tanti pareri positivi lo spingono a sperare di esserci riuscito.
“L
a voglia di scrivere la storia di mio nonno Alfredo Paluselli, di cui sono omonimo, è cresciuta in me negli anni, incuriosito dagli incredibili aneddoti che mi venivano raccontati da chi aveva conosciuto quest’uomo di montagna, a metà tra l’artista, l’alpinista, il pioniere e l’imprenditore. Percepivo che quegli eventi erano importanti per le persone che li avevano vissuti e che potevano significare molto anche per altri. Durante la stesura del libro, durata circa due anni, ho lasciato che il coinvolgimento e il rispetto fossero gli stati d’animo prevalenti in me, tentando così di comporre una biografia avvincente, ma documentata”. Alfredo ha scelto come titolo “Vento da Nord” perché, nell’inverno 1950/51, c’erano state enormi precipitazioni nevose a Passo Rolle: caddero più di 27 metri di neve. In una situazione del genere, il nonno Paluselli, eremita a Baita Segantini a 2200 metri di quota, dovette affrontare difficoltà immense. Ma anche dopo quell’inverno apparentemente infinito arrivò la primavera e giunse annunciata dal ‘vento da nord’ che spazzò via finalmente ogni nube. In quest’ottica il titolo del libro vuole essere un messaggio positivo, ricco di speranza, come a dire che c’è sempre del buono che può arrivare, da una direzione o da un’altra. Nonno Alfredo è stato un personaggio unico, con una vita talmente fuori dagli schemi e dalle leggi comuni da sembrare inventata, ma è tutto vero.
Il futuro di “Vento da Nord” sarà il teatro. Nella stagione 2014/15, il regista Mario Vanzo porterà in scuole e teatri lo spettacolo “Vento da Nord”, interpretato dall’attore professionista Mario Zucca. Patrocinato da Fondazione Unesco, Apt Val di Fiemme , Apt Primiero, Cassa Rurale di Fiemme e vari Comuni di Fiemme e Primiero, lo show riproporrà le sensazioni espresse dalle parole e immagini del libro, nel ricordo e nel rispetto del custode del Cimon della Pala e dei pionieri delle nostre montagne.
salute&bellezza
Prendersi cura del proprio essere significa custodire al meglio quello che la natura ci ha donato
salute&bellezza
Centro termale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale per aerosolterapia, fangoterapia e cura idropinica. Accreditato per fisioterapia e riabilitazione motoria
Terme Dolomia
Salute e benessere a poca distanza da casa tua
È
l’acqua termale del “bagn da tof di Alloch” - unica sorgente solforosa del Trentino - a rendere esclusivo il Centro, che propone numerosi trattamenti naturali, esaudendo il desiderio sempre più diffuso di restare sani e in forma. Cure super-tecnologiche unite a un’assistenza di altissimo livello, e terapie antiche, potenziate dall’azione terapeutica dell’acqua termale, sono sapientemente abbinate per nutrire l’anima e ridare energia al corpo. Le terme sono convenzionate per la cura idropinica, l’aerosolterapia e la fangoterapia. Oltre alle terapie convenzionate, sono effettuati molteplici trattamenti tra i quali menzioniamo la balneoterapia, la mesoterapia, la fisioterapia. In aggiunta ai rimedi terapeutici, il Centro è specializzato in percorsi di bellezza è propone sedute anti-cellulite al caffè verde, impacchi Da ricordare: l’aqua termale è fonte di salute nelle fasi di prevenzione, per impedire o diminuire i sintomi e la frequenza di varie patologie - della terapia, sono infatti indicate in determinate patologie croniche per mitigare i sintomi di picco e migliorare le condizioni di salute del paziente - della riabilitazione, aiutando notevolmente il paziente a
disintossicanti alle erbe medicinali, impacchi idratanti al latte e oli essenziali. Manipolazioni fisioterapiche e anti-stress, massaggi curativi shiatsu e ayurvedici, peeling orientali con argille, e molto altro. Una linea di prodotti cosmetici d’avanguardia completa l’offerta.
riprendere una vita normale in seguito a interventi chirurgici (vascolari o ortopedici). Dona un reale beneficio alle seguenti patologie: Sindrome dell’intestino irritabile (stipsi, colite spastica…) - Otorinolaringoiatriche (gola,orecchio,naso) - Broncopneumologiche (bronchite, asma, broncopatie…) - Reumatiche (osteoartrosi, reumatismi extra
I benefici delle acque termali non hanno età. Tutti possono fruire di un ciclo di cure convenzionato all’anno se in possesso della ricetta medica.
articolari) - Dermatologiche (psoriasi, dermatiti…) Angiologiche (ulcere venose, postumi di flebopatie…) La tecnologia al servizio della salute: Tecarterapia - Raggi infrarossi - Lampada al quarzo - Magnetoterapia. Tutti i trattamenti proposti sono eseguiti da operatori qualificati.
Info: Terme Dolomia presso l’Hotel Terme Antico Bagno Strada di Bagnes, 25 - Pozza di Fassa Tel. 0462 762567 - 3298926298 www.termedolomia.it - info@termedolomia.it
salute&bellezza
Suture silhouette soft Il lifting senza bisturi Dr. Filippo Augusto Trinei Chirugia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica Specialista in Chirurgia Generale
I Fili Silhouette Soft sono un sistema innovativo utilizzato in medicina e chirurgia estetica per ottenere un effetto lifting e/o volumizzante senza ricorrere alla chirurgia . Le zone trattabili con questa tecnica sono: • La linea mandibolare • Le guance e la regione zigomatica • Il collo • Il sopracciglio I vantaggi sono: • Materiale completamente bioriassorbibile composto di acido polilattico, un materiale ampiamente testato ed utilizzato da anni in ambito medico. • Procedura effettuabile in ambulatorio in soli 30 minuti senza nessuna incisione né convalescenza con immediato ritorno alle attività quotidiane. • Risultati duraturi fino a 18 mesi. Con un solo trattamento si possono ottenere le seguenti azioni: • Azione di lifting dei tessuti con effetto naturale e immediato, con rimodellamento e sollevamento dell’area prescelta a seconda dei desideri del paziente. • Azione di rigenerazione per un 124
risultato graduale e duraturo. Durante il riassorbimento del materiale delle suture il collagene è ripristinato e rigenerato mantenendo l’effetto volume nel tempo. Il procedimento prevede l’inserimento delle suture nel sottocute grazie ai microaghi in dotazione. Il trattamento è personalizzato a seconda dei desideri del paziente e può essere utilizzato da solo o in combinazione con acido ialuronico o botulino. Il livello di trazione può essere modificato in tempo reale guardandosi allo specchio. I costo medio del trattamento secondo il tipo di sutura utilizzato è di circa 250 euro per sutura.
Info: Dr. Filippo Augusto Trinei, Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica, Specialista in Chirurgia Generale Tel. 392.0467366 info@filippotrinei.it
salute&bellezza
I trattamenti ideali per correggere le rughe Dott. Giuseppe Barbato Specialista in Chirurgia Generale
I
n questi ultimi anni molteplici sono stati i trattamenti messi in atto per combattere le rughe. La cura più idonea, in tutti i sensi, è ancora quella a base di acido ialuronico e botulino. L’acido ialuronico è il sistema migliore per correggere le rughe, sia grosse che piccole, per riempire le depressioni e donare volume. Da non sottovalutare poi il fatto che l’acido ialuronico è una sostanza naturalmente presente nella nostra pelle e in tutto il corpo. L’acido ialuronico naturale è responsabile dell’idratazione, della tonicità ed elasticità della nostra cute. Tutti noi, a un certo momento della nostra vita notiamo che sul viso iniziano ad apparire delle rughe. Sono sufficienti poche semplici iniezioni nello strato superficiale della pelle per riempire e distendere le rughe, i solchi, mimetizzare piccole cicatrici, modellare le labbra e riempire dei volumi. I risultati sono immediati. La frequenza con cui va ripetuto il trattamento varia da persona a persona, ma in genere una o due volte l’anno. È un trattamento ambulatoriale e permette di riprendere immediatamente la propria vita sociale. Mentre l’acido ialuronico è indicato per le rughe facciali dovute all’invecchiamento, le cosiddette “rughe dell’eta’”, altrettanto non si può dire per le rughe frontali e perioculari, classificate come “rughe d’espressione”, per le quali è invece indicato il botulino. La tossina botulinica rappresenta il miglior
trattamento delle rughe d’espressione, provocate e mantenute dalla mimica facciale. La tossina botulinica è un medicinale, utilizzato dal 1980 in neurologia, urologia, gastroenterologia, stomatologia. È un potente inibitore neuromuscolare ad azione locale, altamente specifico. Negli ultimi anni è usato per il trattamento delle rughe del viso, del collo e del decolté, nonché nella iperidrosi delle mani, dei piedi e delle ascelle. A seguito del trattamento i pazienti possono riprendere la loro attività normale seguendo però piccole accortezze: si consiglia di non coricarsi per le prime 6 ore e per 48 ore non assumere alcolici, non fare lampade abbronzanti, non prendere il sole, di evitare di massaggiare le zone trattate, e non assumere aspirina. Tutto ciò è indispensabile per ottimizzare il risultato e limitare l’insorgenza di effetti collaterali. L’effetto del trattamento è temporaneo (4-8 mesi). Concludendo, dobbiamo ritenere la tossina botulinica come la più adeguata delle opzioni per il trattamento delle rughe d’espressione. Il rilassamento e la distensione che si ottengono sono tali da considerarsi un sorprendente effetto “lifting non chirurgico”. Info: Dott. Giuseppe Barbato Via Dossi, 1 - 38033 Cavalese (Tn) Cell. 336.467168 www.dottorbarbato.it info@dottorbarbato.it
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salute&bellezza
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attraverso l’utilizzo di cosmetici derivati da sostanze rinnovabili e sostenibili. Saranno infatti le piante, i fiori e le vibrazioni degli oli essenziali che accompagneranno la vostra pelle nel percorso di profondo riequilibrio, fino a culminare nell’effetto cosmetico più performante. Il metodo, biologico e biodinamico, rispetta il più possibile l’ecosistema del pianeta terra... perché questo pianeta è l’unica casa che abbiamo Info: Estetica Bellessere, Via Nazionale, 96 Ziano di Fiemme - Tel. 0462.570003
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Torna il Tour de Ski con le degustazioni a bordo pista e l’appassionante “Rampa con i Campioni”
Il lieto fine… è in salita! Il 10 e l’11 gennaio gli anelli dello Stadio del Fondo a Lago di Tesero e le rampe del Cermis incoronano le nuove star dello sci di fondo
Tutti ad attendere il lieto fine, come alla prima cinematografica di un film d’azione. La prova finale del Tour de Ski è un’impresa sportiva senza eguali. Gli atleti Il top dello spettacolo in due giorni
Combinata Nordica: salti nel vuoto e sprint sugli sci Adrenalina purissima al trampolino HS 134 di Predazzo e nell’arena di Lago di Tesero
Non avete ancora visto uno sciatore volare? Non perdetevi i salti adrenalinici dei più grandi campioni di combinata nordica. Dopo due anni di
di sci di fondo affrontano in salita la pista da sci alpino Olimpia 3 dell’Alpe Cermis, con pendenze che toccano il 28% e un dislivello di 420 m.: in pratica, 3.5 km di autentica arrampicata. L’evento inizia sabato 10 gennaio, a Lago di Tesero, nello Stadio del Fondo che negli ultimi due inverni ha ospitato due Mondiali di Sci Nordico e le Universiade Invernali. Alle 11.00 scaldano l’atmosfera musica e intrattenimenti. Alle 12.00, pranzo tipico al Tendone. Alle 13.00 inizia la spettacolare Mass Start maschile in classico (15 km) e alle 15.45 la Mass Start
femminile (10 km). Alle 16.00 esplode la festa Apres Ski-Race, che dura fino a notte fonda, con i concerti dal vivo di Fiemme Rock e il Pasta Party. Domenica 11 gennaio, alle 10.00 parte la gara «Rampa con i Campioni» per gli amatori che vogliono emulare l’ebbrezza verticale della Final Climb. Alle 12.00, entrano in scena i campioni con la 9 km maschile e alle 13.30 parte la 9 km femminile. Durante le gare, gli spettatori degustano a bordo pista i piatti 100% Fiemmesi e 100% Trentini del «Tour del Gusto», fra le numerose «poste» che seguono il profilo dell’Olimpia 3.
eventi iridati, torna in Val di Fiemme la Coppa del Mondo di Combinata Nordica. La classifica viene stilata in base al sistema Gundersen che trasforma i metri di salto dal trampolino in secondi. Questi producono il distacco tra i concorrenti che si cimentano nella prova di fondo. Sabato 31 gennaio e domenica
1 febbraio, chi assiste ai fantastici salti dai trampolini di Predazzo, dalle 9 alle 11 può godersi il Jump in the Breakfast, una colazione offerta a tutti i presenti. Sabato 31 gennaio lo spettacolo decolla allo Stadio del Salto di Predazzo, con i voli di prova alle 9.00, e la Team Sprint HS 134, alle 10.00. Sabato alle 13.00, allo Stadio del Fondo di Lago di Tesero, è attesa la Team Sprint 2 x 7,5 km. Domenica 1 febbraio, allo Stadio di Predazzo, alle 10.00 entra in scena l’Individual HS 134. La gara si conclude con l’Individual Gundersen 10 km che parte alle 14.00 dallo Stadio del Fondo. L’evento è scandito da musica e divertimento grazie alla Winterfest, marcata Forst, e al gruppo musicale Dolomiten Bier Band. Info: www.fiemmeworldcup.com
sport&company
Sulle nevi della Val di Fassa un “Vulcano” di novità
Una nuova pista nera nella skiarea Buffaure e l’innovativo skipass “Fassa XL3+3” sono solo alcune delle sorprese che la valle ladina riserva per l’inverno.
È
davvero “esplosivo” l’inverno che la Val di Fassa mette in pista, a giudicare dalle novità. E sono i tracciati i protagonisti della stagione della neve, a partire da “Vulcano”, la nuova “nera” di 2 km, e 566 m di dislivello, della skiarea Buffaure di Pozza, seconda pista di rientro - si aggiunge alla “Panorama” (6 km) - che permette agli esperti di scendere in paese facendo il pieno di emozioni, passando magari prima tra le strutture dell’inedito snowpark “Buffaure” con jump, rail e fun box. Nella skiarea difronte, il Ciampedìe di Vigo, s’inaugura invece una variante “rossa” alla pista “Thöni” (ampliata un anno fa nella parte alta) che bypassa i tornanti de “Le Cater”. Nel vicino comprensorio Carezza al Passo di Costalunga, poi, entra in funzione la nuova seggiovia a 6 posti Tschein, che serve l’omonima pista appena allargata, apre sul tracciato Moseralm il primo Family Fun Park delle Dolomiti con area freestyle e la
rinnovata pista Laurin III (raggiungibile con cabinovia da Nova Levante) viene riservata a team agonistici. Se lo smantellamento del doppio skilift a fianco della seggiovia Costabella, determina il ripristino delle piste “Paradiso” e “Fuchiade” di Passo San Pellegrino, all’interno del comprensorio TreValli, è altrettanto interessante l’ampliamento della “CiampacAlba”, una delle “nere” più appaganti di Fassa che si trova nella skiarea Ciampac di Alba di Canazei. Il tracciato, panoramico pur se sviluppato quasi completamente nel bosco, mantiene la lunghezza di 3 km, ma in molti tratti è decisamente più ampio, diventando appetibile per un maggior numero di sciatori che vogliono mettere alla prova le loro capacità tecniche. La valle si presenta al popolo degli sciatori mentre si attende per la stagione 2014-2015 l’avveniristico impianto di collegamento da Alba al Col dei Rossi - non solo con
La Valle di Fassa è fino al 2016 centro federale di allenamento della Nazionale di Sci Alpino
nuovi tracciati ma pur con uno skipass che permette di sciare, in lungo e in largo, in tutte le stazioni sciistiche valligiane. Si chiama “Fassa XL 3+3” ed è nato grazie allo strategico accordo dei consorzi d’impianti di risalita Val di Fassa e Carezza, TreValli e Fiemme-Obereggen, in collaborazione con le Apt d’ambito. Questo skipass è valido 6 giorni ed è di facile utilizzo: lo si acquista in uno dei consorzi aderenti (sopra citati), si scia per tre giorni (anche non consecutivi) nel comprensorio che l’ha emesso e, nei restanti tre, invece sulle piste degli altri due. La nuova tessera si colloca, poi, per quanto riguarda il prezzo in posizione intermedia rispetto a quelle dei vari consorzi e del Dolomiti Superski (che permette di sciare lungo i 1200 km dei 12 comprensori che vi aderiscono). La Val di Fassa con quest’importante infilata di novità si distingue, ancora una volta, come polo attrattivo dello sci, non solo perché è
fino al 2016 centro federale di allenamento della Nazionale di Sci Alpino, ma anche per i grandi eventi sportivi in programma nel corso dell’inverno. Tra questi, da sottolineare il 19 dicembre allo Skistadium Aloch di Pozza lo slalom speciale maschile in notturna di Coppa Europa che, per la prima volta in Italia, si disputa con la formula delle 3 manche - riprese in diretta tv da Rai Sport Uno -preceduto il 18 dicembre da uno slalom gigante maschile. Sul fondovalle, invece, il 25 gennaio si tiene la mitica granfondo Marcialonga di Fiemme e Fassa, mentre il 20 marzo la Sellaronda Skimarathon, la più prestigiosa competizione di sci alpinismo, su pista, del mondo.
Info: Azienda per il Turismo della Val di Fassa Strèda Roma, 36 - 38032 Canazei (Tn) Tel +39 0462 609502 - www.fassa.com
sport&company
Una Tesi di Laurea mette in risalto l’importanza degli eventi sportivi quali richiamo per i turisti di tutto il mondo
Marcialonga
Un patrimonio per la comunitá “L’impatto degli eventi sportivi sul turismo: il caso Marcialonga, Val di Fiemme e Val di Fassa”
E
ra da qualche anno che il Comitato Organizzatore intendeva quantificare il valore economico della Marcialonga per il territorio e l’occasione si è presentata con la ricerca di Alice Varesco, di Masi di Cavalese, studentessa in Economia e Management alla Libera Università di Bolzano. Inserita nel mondo dello sport fin dai primi passi, Alice ha visto nella Marcialonga l’esempio perfetto per il suo progetto di studio sul turismo sportivo e su come può contribuire in maniera efficace allo sviluppo di una destinazione. Nella sua Tesi di Laurea dello scorso marzo, riportante il titolo “L’impatto degli eventi sportivi sul turismo: il caso Marcialonga, Val di Fiemme e Val di Fassa”, la oramai Dottoressa
Alice Varesco ha analizzato l’impatto diretto e indiretto di Marcialonga sul turismo delle due valli, sottoponendo un questionario ai partecipanti alle gare dal 2010 al 2013 residenti fuori regione. Dopo aver tracciato il profilo demografico dei Marcialonghisti, si è quantificato il numero complessivo di presenze che Marcialonga fa registrare durante la settimana dell’evento: 6500 partecipanti non residenti in Trentino Alto Adige cui vanno aggiunti 2080 “tifosi” al seguito degli iscritti per un totale di 8580 arrivi che, moltiplicati per il numero medio di notti di pernottamento, fanno 33805 presenze complessive: il 17,5% degli arrivi e l’11,3% delle presenze del mese di gennaio e l’8,8% e il 6% di arrivi e presenze dell’intera stagione invernale. Per quanto riguarda l’impatto indiretto, circa il 30% dei partecipanti, in maggioranza italiani ed europei, torna in vacanza nelle Valli di Fiemme e Fassa durante il resto dell’anno con il dato importante costituito dall’11% di ritorni in periodi di bassa stagione come autunno o primavera.
Alice Varesco
Nella sua Tesi di Laurea dello scorso marzo, Alice Varesco ha analizzato l’impatto diretto e indiretto di Marcialonga sul turismo delle due valli.
L’apporto di Marcialonga sul turismo nelle due vallate dunque si compone delle 33805 presenze della settimana di gara e dalle 10952 date dai “ritorni” nelle due vallate in periodi diversi, per un totale 44757 presenze medie annue ascrivibili a Marcialonga. I dati della tesi, scientifici e neutrali, sono stati utilizzati per calcolare l’indotto complessivo di Marcialonga per il territorio che si aggira sugli 8 milioni di Euro, una cifra molto alta e inclusiva anche della quota di IVA che poi rimane parzialmente nelle casse della Provincia in virtù dell’autonomia fiscale del Trentino. A questi bisogna affiancare quanto portato dalle due manifestazioni estive, la granfondo di bicicletta Cycling Craft e la Marcialonga Running, che fanno crescere l’importo di circa 1 milione di Euro. Questo grande indotto economico risulta peraltro “virtuale” per gli organizzatori, visto che per far quadrare i propri conti Marcialonga (associazione di puro volontariato) può fare affidamento sulle quote di iscrizione dei concorrenti, sulle
sponsorizzazioni e su un contributo diretto della Provincia Autonoma di Trento, oltre alla fondamentale collaborazione e contribuzione delle amministrazioni comunali per quel che riguarda l’allestimento della pista. Ai dati importanti che emergono dalla tesi di Alice Varesco, realizzata con rigore metodologico, bisogna aggiungere il valore promozionale che l’evento produce in Italia e all’estero per le Valli di Fiemme e Fassa. Basti pensare, ad esempio, all’impatto mediatico delle lunghe dirette televisive trasmesse da almeno dieci emittenti nazionali in Europa e in Russia, dal broadcaster internazionale Eurosport, oltre ovviamente all’impegno di RAI Sport che nel 2014 ha dedicato a Marcialonga oltre 7 ore di programmazione, agli highlights trasmessi dalle TV private italiane e straniere, e, last but not least, a tutti i giornali e le riviste per i quali sono stati calcolati circa 1.000 articoli pubblicati ogni anno. Insomma, non sono molte le gare amatoriali in Italia che possono vantare simili risultati.
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Quattro incomparabili Ski Aree concepite nel rispetto dell’ambiente, e servite da una rete d’impianti di risalita all’avanguardia, permettono anche a noi residenti di raggiungere scenari naturali di inestimabile bellezza. Sevizi fondamentali per l’economia di queste vallate, nonché un’opportunità di svago per gli sciatori, gli amanti delle passeggiate in montagna e per i bambini
LA SKIAREA IDEALE PER LE FAMIGLIE
• Comodo accesso alla funivia con scale mobili dal centro di Vigo di Fassa • Collegamento con Skitour Panorama • Rifugi in quota raggiungibili anche a piedi • Percorsi con ciaspole • Baby park con servizio custodia e animazione • Scuola sci direttamente sulle piste • Noleggio, deposito sci e ski service alla partenza degli impianti
THE IDEAL SKI RESORT FOR THE WHOLE FAMILY • Easy access to the cableway by escalator • Link to the Panorama Ski Tour • Refuges at altitude reachable on foot • Snowshoeing routes • Playground area and nursery for children • Ski school directly on the slopes • Ski hire, storage and ski service at the start of the lifts
Catinaccio impianti a fune S.p.A. 38039 Vigo di Fassa (TN) - Tel. +39 0462 763242 info@catinacciodolomiti.it - www.catinacciodolomiti.it
Passo San Pellegrino - Seggiovia Campigol www.passosanpellegrino.it
sanpe snowpark
Ski Area Catinaccio Rosengarten Nuove piste per nuove emozioni!
e un’organizzazione professionale messa a punto dalla Scuola di Sci di Vigo, con servizi di custodia e animazione per i bambini, che possono divertirsi in sicurezza, mentre mamma e papà si svagano in pista, o si rilassano sulla terrazza di uno dei sei rifugi a pochi metri dagli impianti. Ovviamente i bambini possono essere anche avviati allo sci: la skiarea offre tapis roulant e campo primi passi, campo scuola, e piste azzurre per imparare.
All’Alpe di Lusia
trovate tante proposte per gli sciatori, le famiglie e gli amanti della montagna! Non solo sci
Importanti novità per le piste della skiarea Catinaccio a Vigo e Pera di Fassa. La pista Thöni, la più lunga e divertente del Comprensorio è stata completamente rinnovata. Il restyling è iniziato già nel 2010 con il collegamento Pra Martin-Thoeni e si completa quest’anno con le modifiche della parte bassa del percorso. Al posto dei tortuosi curvoni conosciuti come “Le cater”è stato realizzato un nuovo ed entusiasmante tratto che si presenta con un pendio largo e omogeneo. Inoltre è stato ripristinato un “canalone” abbandonato da anni, che offre ALBA FATATA una variante aggiuntiva alla parte finale della 25 febbraio 2015 pista: un “muro” tutto da sciare e scavare Salire in montagna quando è ancora buio con le lamine! In tutto quasi 5 km di divertimento, e attendere le prime luci del giorno è dai 2200 m diunica Pra Martin, 1400 di Vigo. un’emozione nel suo ai genere. Mentre il fantastico scenario delle Dolomiti si svela con i primi raggi di sole, lasciatevi trasportare Un’area concepita dall’aria frizzante del mattino e assaporate i per le famiglie dolci suoni della natura. Immortalate questi
La skiarea dà il benvenuto alle attimi dicon magia prima parco di gustare una famiglie il grande giochi, ricca e sana colazione al bar Le Cune.
Se lo desiderate, vi aspetta un’elettrizzante adiscesa Vigo di pista Fassa! su una tutta per voi! Alzarsi Al Ciampedie si può vivere la la neve presto ne varrà sicuramente pena! anche senza sci! Sei rifugi, di cui cinque raggiungibili a piedi dall’arrivo della funivia, offrono un’ottima gastronomia e METTETEVI ALLA PROVA terrazze dai panorami PISTA indimenticabili. SULLA NUOVA GARE Per gli Area appassionati di passeggiate e La Ski Alpe Lusia presenta con trekkinglacon le ciaspole è possibile piacere nuova pista Alfa Fischer percorrere primo anello facile che offre laun possibilità agli Sci Club, attorno all’altopiano Ciampedie. alle Associazioni e ai del Gruppi Sportivi Un percorsolecon scorcigare panoramici di svolgere proprie e gli unici sulla Valsudiun Fassa e le sue allenamenti tracciato di circa Dolomiti (uscite sono 700 m, lungo unaaccompagnate pista adrenalinica organizzate dalla Scuola di Sci). Un di media difficoltà. A disposizione altro itinerario facile una sala riservata perraggiunge le la conca di Gardeccia, dove si premiazioni e un ufficio gare. trovano alcuni rifugi aperti Non esitate a contattarci peranche con possibilità di pernottamento! richiedere ulteriori informazioni.
IL
REGNO DEI BAMBINI
Info Skiarea: 0462.763242 tutti i giorni www.catinacciodolomiti.it
dalle 9.30 alle 16.00 Il parco giochi Lusialand, situato nei pressi dello Chalet
San Pellegrino
Tutta la magia di una vacanza sulla neve Il piacere dello sci
Novità in pista
L’energia del sole e le piste perfettamente innevate costituiscono un richiamo irresistibile nella ski area San Pellegrino, un vero paradiso sulla neve per grandi e piccoli nel cuore del Dolomiti Superski. Gli sciatori hanno a disposizione 60 km di tracciati percorribili sci ai piedi tra le località di Passo San Pellegrino e Falcade, adatti a qualsiasi livello di esperienza, dai meno esperti ai grandi campioni della Nazionale Italiana di Sci Alpino che qui si allenano abitualmente per preparare i loro impegni agonistici. Le famiglie, invece, trovano un’ampia scelta di hotel sulle piste e tante proposte divertenti per i più piccoli come i gommoni colorati dello snowtubing e il parco giochi Kid’s Paradise.
Il vecchio skilift Paradiso è stato smantellato consentendo l’ampliamento della pista Fuciade, l’alternativa più semplice tra le tre discese che partono dalla stazione a monte della seggiovia Costabella. Importanti lavori di perfezionamento e messa in sicurezza hanno poi interessato la pista Le Coste 2, spesso utilizzata per allenamenti e gare, e la pista Rossignol che dal Passo San Pellegrino porta a Falcade sci ai piedi. Nuovo look per la stazione a valle della funivia Col Margherita che è stata completamente ristrutturata e per la seggiovia Costabella adibita anche al trasporto dei pedoni.
Emozioni e Adrenalina
29 dicembre 2014 CIMA UOMO SPRINT RACE Gara di sci alpinismo ad alto tasso di adrenalina con vip e campioni dello sci.
Eventi da non perdere
31 dicembre 2014 FESTA DELL’ULTIMO DELL’ANNO Ore 17.30: fiaccolata a cura della Scuola Italiana Sci & Snowboard Moena Dolomiti Ore 24.00: fuochi d’artificio.
Spazio anche ai fan delle evoluzioni acrobatiche sulla tavola e dello sci fuori pista. Il San Pellegrino dispone infatti di due snowparks, il SanPe in località Costabella (Passo San Pellegrino) e il Falca Park in località Le Buse (Falcade), oltre ad un tracciato freeride sul versante nord del Col Margherita dotato di idonea segnaletica, cancello con prova ARTVA, personale qualificato in grado di segnalare la presenza di rischio valanghe, insufficiente innevamento o scarsa visibilità tali da precludere la discesa e un tempestivo servizio di soccorso gestito in collaborazione con la Polizia di Stato e il Soccorso Alpino.
3 febbraio 2015 SKI ALP LARESEI Gara sci alpinismo in notturna aperta a tutti. Dal 9 al 13 febbraio e dal 16 al 20 marzo 2015 - EQUIPE POWER RIDING Appuntamento dedicato agli appassionati di freestyle e freeride con lezioni, filmati e piccole escursioni. Dall’8 al 14 marzo 2015 WEEK FOR KIDS Una settimana sulla neve a misura di bambino tra lezioni di sci, giochi, spettacoli e numerose attività di intrattenimento. Organizza: Scuola Sci e Snowboard Equipe.
info: www.passosanpellegrino.it www.falcadedolomiti.it
Ski Center Latemar inverno 2015
Tra rocce dolomitiche, panorami spettacolari... sci ai piedi
A ogni curva una scoperta, al cospetto di panorami che il modo ci invidia. Scenari che si aprono a ventaglio ai piedi del massiccio dolomitico del Latemar, uno dei gruppi più controversi e affascinanti dell’arco alpino. Piste esclusive abbinate a un servizio impeccabile.
Lo sci in tre principi:
Servizi: salire in alto, comodamente
seduti su moderni impianti di risalita, per poi scendere su piste immacolate, curate dalla sapienza dei nostri pluripremiati mastri nevai e dalla precisione di chi passa notti intere per rendere le piste all’altezza della loro fama. 18 impianti e 46 chilometri di piste per una dimensione sciistica senza uguali.
Relax: cucina stellata per i numerosi rifugi del comprensorio che offrono anche l’opportunità di crogiolarsi al sole su ampie terrazze, oltre che dare sfogo ai bambini con zone appositamente studiate per loro. Da non perdere i capolavori di ReaspirArt - Pampeago Green&White Gallery. Per i non sciatori consigliamo una comoda escursione con ciaspole nei boschi fatati che circondano l’area sciistica.
Divertimento: una sfida tra amici? Si può
fare in uno dei nostri tracciati Self-Timer. Vuoi scoprire a che velocità stai sciando? Lo farà per te il rilevatore di velocità Speedway. Hai bambini e vorresti sciare ma nel frattempo sapere che si stanno divertendo anche loro? Portali nel Kindergarten BIP CLUB. Grazie a Simona e al suo staff, alle giostre e i gonfiabili, i tuoi piccoli troveranno il massimo della competenza e dello spasso.
Eventi da non perdere 29 novembre - Pampeago: brindisi d’inizio stagione, 10 - 13.
12 febbraio - Pampeago: slalom mascherato.
13/14/15 marzo - Pampeago Festa Nazionale Master, finali di Coppa Italia Master.
6/7 dicembre - Pampeago: Pool Sci Italia, ski test gratuiti con i fornitori della nazionale italiana di sci alpino.
7 marzo - Pampeago: “Emergen... sci” gara promozionale gruppo Emergency Fiemme.
12 aprile - Pampeago festa di fine stagione.
30 dicembre - Pampeago: fiaccolata di fine anno con i maestri della Scuola Sci Alpe Pampeago.
11 marzo - Rifugio Monte Agnello, Pampeago “Prima Shh...ia” colazione e sciata alle prime luci dell’alba.
Info: www.latemar.it “Ski Center Latemar - Official Group”