Stagione d'Autunno 4
ottobre - 29 novembre 2020
dal 4 ottobre al 29 novembre
Filarmonica della Scala Stagione d'Autunno edizione speciale 2020
Siamo lieti di offrire ai nostri abbonati e a tutti gli spettatori questo volume, disponibile anche in digitale su www.filarmonica.it
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Stagione d'Autunno 2020
Lungo il sentiero del Wanderer a cura di Marco Ferullo
In copertina: Egon Schiele Sole d'Autunno e alberi, 1912. Olio su tela.
Indice pag.
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Programmi dei Concerti Introduzione di Maurizio Giani
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Quasi un'emergenza cosmica di Quirino Principe
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Beethoven tra giovinezza e maturitĂ di Giangiorgio Satragni
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L'idillio minacciato di Fabrizio della Seta
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On revient toujours di Paolo Petazzi
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Vienna fin de siècle di Paolo Petazzi
88
Biografie compositori
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Biografie direttori e solisti
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Filarmonica della Scala
4 ottobre 2020 DOMENICA Turno A - ore 11.00 Turno B - ore 15.00
Riccardo Chailly direttore
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Antonín Dvořák [1841 - 1904] Serenata per fiati, violoncello e contrabbasso in re min. op. 44 Moderato quasi marcia Minuetto: Tempo di minuetto - Trio: Presto Andante con moto Finale. Allegro molto Composizione: Praga, 4 gennaio - 18 gennaio 1878 Prima esecuzione: Praga, Prozátimní Divadlo, 17 novembre 1878 Organico: due oboi, due clarinetti, due fagotti, controfagotto; tre corni; violoncello, contrabbasso Durata: 26 minuti circa
Igor Stravinskij [1882 - 1971] Apollon Musagète I quadro: Prologue, Naissance d'Apollon II quadro: Variation d'Apollon, Pas d'action, Variation de Calliope, Variation de Polymnie, Variation Terpsichore, Variation d'Apollon, Pas de deux, Coda, Apothéose Composizione: Nizza, luglio 1927 - gennaio 1928 (revisione 1947) Prima esecuzione: Washington, Library of Congress, 27 aprile 1928 Organico: orchestra d’archi Durata: 30 minuti circa
Ottorino Respighi [1879 - 1936] Aria, per orchestra d’archi Composizione: 1901 Prima esecuzione: Bologna, Società Palestra Musicale di Bologna, 23 gennaio 1902 Organico: orchestra d’archi Durata: 6 minuti circa
Approfondimento: Quasi un'emergenza cosmica
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11 ottobre 2020 DOMENICA Turno B - ore 11.00 Turno A - ore 20.00
Myung-Whun Chung direttore e pianoforte
Sergey Khachatryan violino
Enrico Dindo violoncello
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Ludwig van Beethoven [1770 - 1827] Concerto in do magg. op. 56 per pianoforte, violino, violoncello e orchestra Allegro ma non troppo Larghetto Rondò: Allegro Composizione: 1803 - 1804 Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 4 maggio 1808 Organico: flauto, due oboi, due clarinetti, due fagotti; due corni, due trombe; timpani; archi Durata: 33 minuti circa
Approfondimento: Nobili patroni e dediche strumentali
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Sinfonia n. 7 in la magg. op. 92 Poco sostenuto - Vivace Allegretto Presto Allegro con brio Composizione: Vienna, 13 Maggio 1812 Prima esecuzione: Vienna, Sala dell'Università, 8 dicembre 1813 Organico: due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti; due corni, due trombe; timpani; archi Durata: 36 minuti circa
Approfondimento: Ritmi e cannoni
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25 ottobre 2020 DOMENICA Turno A - ore 11.00 Turno B - ore 20.00
Pablo Heras-Casado direttore
Julian Rachlin violino
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Richard Wagner [1813 - 1883] Siegfried Idyll
Composizione: 1870 Prima esecuzione: 25 dicembre 1870, abitazione di Richard Wagner Organico: flauto, oboe, due clarinetti, fagotto; due corni, tromba; archi Durata: 18 minuti circa
Sergej Prokof ’ev [1891 - 1953]
Concerto n. 2 in sol min. op. 63 per violino e orchestra
Allegro moderato Andante assai Allegro ben marcato Composizione: 1935 Prima esecuzione: Madrid, Asociación de Cultura Musical, 1 dicembre 1935 Organico: due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti; due corni, due trombe; percussioni; archi Durata: 26 minuti circa
Arnold Schönberg [1874 - 1951]
Kammersymphonie n. 2 in mi bem. magg. op. 38 Adagio Con fuoco Composizione: agosto 1906 - dicembre 1916 (Revisione 1939) Prima esecuzione: New York, Carnegie Hall, 15 dicembre 1940 Organico: due flauti (secondo anche ottavino), due oboi (secondo anche corno inglese), due clarinetti, due fagotti; due corni, due trombe; archi Durata: 22 minuti circa
Approfondimento: On revient toujours
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8 novembre 2020 DOMENICA - Turno A - ore 20.00
9 novembre 2020 LUNEDĂŒ - Turno B - ore 20.00
Leonidas Kavakos violino e direttore
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Ludwig van Beethoven [1770 - 1827] Ottetto in mi bem. magg. op. 103 per fiati Allegro Andante Minuetto Finale: Presto Composizione: ottobre 1792 Organico: due oboi, due clarinetti. due fagotti, due corni Durata: 22 minuti circa
Approfondimento: Musiche per fiati e metamorfosi
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Concerto in re magg. op. 61 per violino e orchestra Allegro ma non troppo Larghetto Rondò: Allegro Composizione: 1806 Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 23 dicembre 1806 Organico: flauto, due oboi, due clarinetti, due fagotti; due corni, due trombe; timpani; archi Durata: 42 minuti circa
Approfondimento: L'idillio minacciato
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15 novembre 2020 DOMENICA Turno B - ore 11.00 Turno A - ore 15.00
Fabio Luisi direttore
Seong-Jin Cho pianoforte
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Ludwig van Beethoven [1770 - 1827] Concerto n. 2 in si bem. magg. op. 19 per pianoforte e orchestra Allegro con brio Adagio Rondò. Molto allegro Composizione: 1795 Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater 29 marzo 1795 Organico: flauto, due oboi, due fagotti; due corni; archi Durata: 28 minuti circa
Approfondimento: Musiche per tastiere e varianti
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Sinfonia n. 6 in fa magg. op. 68 Pastorale Piacevoli sentimenti che si destano nell'uomo all'arrivo in campagna: Allegro ma non troppo Scena al ruscello: Andante molto mosso Allegra riunione di campagnoli: Allegro Tuono e tempesta: Allegro Sentimenti di benevolenza e ringraziamento alla Divinità dopo la tempesta: Allegretto Composizione: 1808 Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 22 dicembre 1808 Organico: ottavino, due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti; due corni, due trombe, due tromboni; timpani; archi Durata: 39 minuti circa
Approfondimento: Ritmi e cannoni
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29 novembre 2020 DOMENICA Turno B - ore 15.00 Turno A - ore 20.00
Marc Albrecht direttore
Huw Montague Rendall baritono
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Arnold Schönberg [1874 - 1951]
Kammersymphonie n. 1 in mi magg. op. 9 Langsam (Lentamente); Sehr rasch (Molto velocemente) Viel langsamer, aber doch fliessend (Molto più lento, ma ancora scorrevole) Viel langsamer (Molto più lento); Etwas bewegter (Un po' più commovente) Composizione: 1800 - 1802 Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 5 aprile 1803 Organico: due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti; due corni, due trombe, timpani; archi Durata: 34 minuti circa
Gustav Mahler [1860 - 1911] Lieder eines fahrenden Gesellen (Canti di un giovane in viaggio) versione per voce e orchestra Wenn mein Schatz Hochzeit macht (Quando il mio tesoro va a nozze) Ging heut' morgen übers Feld (Andavo stamattina per la campagna) Ich hab' ein glühend Messer (Ho un coltello incandescente) Die zwei blauen Augen (Gli occhi azzurri del mio tesoro) Composizione: 1800 - 1802 Prima esecuzione: Berlino, Konzert der Berliner Philharmonie, 16 marzo 1896 Organico: tre flauti (terzo anche ottavino), due oboi (secondo anche corno inglese), tre clarinetti, due fagotti; quattro corni, due trombe, tre tromboni; timpani; percussioni; archi Durata: 16 minuti circa
Richard Strauss [1864 - 1949] Il borghese gentiluomo suite dalle musiche di scena, op. 60 Ouverture all’atto I; Jourdain; Minuetto; Il maestro di scherma; Entrata a danza dei sarti; Il minuetto di Lully; Courante - vivace assai; Entrata di Cleonte (da Lully); Preludio all'atto II; Intermezzo; Le dîner (Tafelmusik e danza dei garzoni di cucina) Composizione: 1800 - 1802 Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 5 aprile 1803 Organico: due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti; due corni, due trombe, timpani; archi Durata: 34 minuti circa
Approfondimento: Vienna fin de siècle
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Maurizio Giani Insegna Estetica musicale nell’Università di Bologna. Si occupa da anni dei rapporti tra letteratura, estetica e musica, con particolare riferimento alla cultura tedesca dell’Otto e Novecento. È autore di Un tessuto di motivi. Le origini del pensiero estetico di Richard Wagner (1999), Johannes Brahms (2011) e La sublime illusione. Sul teatro di Richard Wagner (2017).
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Introduzione di Maurizio Giani
Nell’Osservazione preliminare posta a preambolo dei suoi scritti sulla sociologia della religione, Max Weber, ormai vicino alla morte, sentì il bisogno di passare in rassegna ed esaltare le conquiste peculiari che distinguono la civiltà occidentale da quelle extraeuropee. Dopo aver toccato le scienze naturali, il diritto canonico e la rappresentanza parlamentare, si soffermava sul particolare sviluppo che la musica ha avuto nel Vecchio Continente: La musica armonica razionale, tanto contrappuntistica quanto armonica in senso stretto, la struttura del materiale sonoro […], la nostra orchestra col quartetto ad archi come nucleo centrale, e con la sua organizzazione dell’insieme degli strumenti a fiato; il basso continuo, la nostra notazione musicale (che sola rende possibile la composizione e l’esecuzione delle opere musicali moderne, cioè la loro durata nel tempo); le nostre sonate, sinfonie, opere, e come mezzi per eseguirle i nostri strumenti fondamentali, organo, tastiere, violino: tutto questo ci fu solo in Occidente.
Allorché Weber scriveva queste righe, poco dopo la fine della Prima guerra mondiale, la parabola del sinfonismo centroeuropeo aveva da tempo toccato lo zenit: nuovi paradigmi, nuove energie già dominavano la scena. Ma il grande sociologo aveva còlto lucidamente, nel suo sguardo retrospettivo, il processo di razionalizzazione della musica e il sempre più articolato configurarsi delle sue strutture formali. Processo, possiamo aggiungere, che dalla scuola di Mannheim, fiorita intorno alla metà del Settecento, attraverso la stagione irripetibile del Classicismo viennese e l’età romantica, sino ai poderosi monumenti orchestrali della fine secolo, si era esteso anche allo sviluppo e perfezionamento degli strumenti, nonché all’ampliamento delle compagini strumentali. La progenitrice delle orchestre moderne può essere considerata quella della corte 19
di Mannheim, che già negli anni Trenta del Settecento contava oltre cinquanta esecutori, e lasciò un’impronta indelebile sulla fantasia del giovanissimo Mozart. Ma si trattava di un unicum nel panorama strumentale europeo: lo sviluppo che portò alle dimensioni stabilizzatesi verso la fine del XIX secolo fu assai lento e irregolare. Ancora nel quarto decennio dell’Ottocento la celebre orchestra del Gewandhaus di Lipsia disponeva di non più di una trentina di membri; cinquant’anni dopo, la Hofkapelle di Meiningen, che sotto la direzione di Hans von Bülow era divenuta uno dei migliori e più ammirati complessi sinfonici europei, contava appena 49 esecutori, mentre l’orchestra dei Wiener Philharmoniker, fondata nel 1842 con 64 strumentisti, a quell’epoca ne contava ormai un centinaio (oggi sono 148). Al di là dei meri dati numerici, l’organico delle orchestre su cui poterono contare Haydn, Mozart e Beethoven, ancor oggi pilastri del repertorio sinfonico, era sostanzialmente quello delineato da Weber, con qualche precisazione: il quartetto ad archi (la locuzione indica qui le parti, non il numero effettivo di esecutori) era in realtà un quintetto, stando che a sostenere il registro grave dei tradizionali due gruppi di violini, delle viole e dei violoncelli vi erano anche i contrabbassi, a raddoppiare all’ottava inferiore i violoncelli. La compagine degli strumenti a fiato si era a poco a poco organizzata con il formarsi di un altro quartetto, quello dei cosiddetti legni (flauto – originariamente anch’esso di legno – oboe clarinetto e fagotto, solistici oppure raddoppiati), mentre gli ottoni erano limitati all’inizio a due corni e/o due trombe. Si osserva anche qui un interessante processo di razionalizzazione: la disposizione degli archi per registri, dall’acuto al grave, era divenuta un modello anche per i fiati, e con l’ingresso in orchestra del trio dei tromboni con alla fine la tuba, lo sarebbe stato anche per gli ottoni. Il principio organizzativo è in tutte le varie sezioni orchestrali il medesimo: un’estensione del quartetto vocale (soprano, contralto, tenore e basso) che aveva costituito la base della polifonia fiamminga quattro e cinquecentesca. Va detto che nelle sinfonie giovanili Haydn e Mozart usano i fiati con moderazione, spesso senza raddoppiarli o omettendone alcuni (ma nella mozartiana K. 183, in Sol minore, sono previsti ben 4 corni a fianco di due oboi e due fagotti). In queste composizioni nasce peraltro e si sviluppa un contrassegno essenziale dell’idea del sinfonico, cioè il frequente dialogare di archi e fiati e di questi ultimi tra di loro, come in una conversazione spesso vivacissima. Il terzo grande della Wiener
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Klassik, Beethoven, viennese di adozione sin dal 1792, allo scoccare del nuovo secolo iniziò la sua carriera di sinfonista impiegando subito l’orchestra canonizzata negli ultimi capolavori mozartiani e haydniani, con il quartetto stabile dei legni e degli ottoni e i timpani. Ma presto volle saggiare nuove possibilità, e sentì il bisogno di ampliare l’organico: già nell’Eroica i corni salgono a tre, e nella Nona a quattro. Nella Quinta Beethoven introduce per la prima volta nella storia della sinfonia i tromboni («l’ultimo tempo richiede 3 tromboni e un ottavino – e non 3 timpani, ma faranno più rumore di 6 timpani e un rumore più gradevole», scrisse nel marzo 1808 al conte Oppersdorff ), cui si aggiunge anche il controfagotto per l’inno trionfale che apre il finale. Inoltre, alla ricerca di sonorità inaudite (si pensi all’etereo pianissimo di archi e corni che apre la Nona), scrivendo per gli archi Beethoven inizia a praticare una tecnica che avrà fortuna nel corso del secolo: nel Fidelio, nella Nona e nella Missa solemnis vi sono infatti passaggi delicatissimi in cui i gruppi, abitualmente compatti, delle viole e dei violoncelli vengono divisi in più voci, creando dei veri e propri corali strumentali. E su un altro versante, nel quarto movimento della Nona Sinfonia, verrà mobilitata una percussione inconsueta, che ai timpani unisce triangolo, piatti e grancassa. Con le Sonate pianistiche, i Quartetti, e soprattutto con il suo formidabile polittico sinfonico Beethoven aveva aperto le porte di un mondo nuovo. Per tutti i suoi successori egli fu il «gigante alle spalle», giusta la celebre battuta di Johannes Brahms: il modello inarrivabile e insieme ineschivabile con cui confrontarsi, e da cui partire per esplorare nuovi territori. E appunto opera di «un Beethoven tutt’intero, ma pazzo da legare» apparve allo scrittore Ludwig Börne la Symphonie fantastique di Hector Berlioz, eseguita per la prima volta a Parigi nel dicembre 1830, appena tre anni dopo la morte del genio di Bonn: rivoluzionario manifesto di quella che in seguito verrà chiamata dal critico Franz Brendel “Scuola Neotedesca” (un triumvirato che comprendeva oltre a Berlioz anche Franz Liszt e Richard Wagner), animato da una radicale concezione programmatica – Episodi della vita di un artista recita il sottotitolo dell’opera, in cinque movimenti che Börne paragonò ai cinque atti di un dramma –, e insieme parata di sonorità senza precedenti. Per ottenere effetti timbrici innovativi, nella Fantastica Berlioz richiede un sostanzioso accrescimento del numero degli archi, introduce l’arpa, potenzia i fiati aggiungendo ottavino, corno inglese e altri due fagotti, mentre le trombe salgono a quattro e ai
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tromboni si uniscono due basso tuba; le percussioni prevedono quattro timpanisti (che nel finale del terzo movimento generano uno spettacolare effetto di tuoni in lontananza), tamburo, grancassa, piatti, persino campane per il Dies irae nel finale Sogno di una notte nel Sabba che chiude la sinfonia. Non è esagerato affermare che con questo eruttivo capolavoro nascono in pratica sia l’orchestra moderna sia i principi della strumentazione intesa come scienza separata della composizione, che Berlioz sistematizza in un lavoro teorico fondamentale, il Grand traité d'instrumentation et d'orchestration modernes (1843-4, ampliato nel 1855). Nel 1839 Richard Wagner, giovane e sconosciuto operista di provincia, si recò a Parigi in cerca di fortuna, ed ebbe la possibilità di ascoltare le grandi sinfonie a programma di Berlioz (oltre alla Fantastica, Aroldo in Italia e Romeo e Giulietta), rimanendone strabiliato. La magia dei contrasti e delle combinazioni timbriche dell’orchestra berlioziana fu per Wagner una rivelazione, e stimolò in modo decisivo la sua creatività, spingendolo ad approfondire la tecnica della strumentazione sino a superare il maestro sul suo stesso terreno. Già nel Preludio del Lohengrin (1848) la divisione dei violini in otto parti nel registro sovracuto crea una fascia armonica ancor oggi stupefacente; e quanto a spiegamento di mezzi, l’opus summum dell’intero secolo, la Tetralogia (completata nel 1874 dopo un venticinquennio di lavoro), prevede 66 esecutori nella sezione degli archi, quadrupli legni, quattro trombe (con tromba bassa), quattro tromboni, otto corni di cui quattro alternantisi con le cosiddette Wagnertuben (strumenti affini al corno ma dal timbro più grave, ideati dallo stesso Wagner e costruiti per lui da Adolphe Sax), e nel Rheingold persino 18 incudini e sei arpe nella terza e quarta scena. Ma nell’ultimo quarto dell’Ottocento, mentre l’entusiasmo per Wagner cresceva in misura esponenziale, lo spirito della Wiener Klassik continuò a sopravvivere nella tradizione della «musica assoluta», portata ad altezze degne dei padri dal suo ultimo campione, Johannes Brahms. Le cui quattro sinfonie, mentre si assestano con pochissimi ritocchi sull’organico standard canonizzato da Beethoven nella Nona (solo nel finale della Seconda Brahms aggiunge il bassotuba, nel terzo movimento della Quarta fa un sobrio uso del triangolo), sono per un altro verso, nonostante momenti di indubbia grandiosità, sottilmente improntate all’idea della musica da camera, nel proseguire la lezione beethoveniana del lavoro tematico, nell’impiego del contrappunto che si insinua anche nella costruzione dei temi, nelle
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stesse dimensioni complessive. Certo, lo Zeitgeist, lo «spirito del tempo», andava in un’altra direzione: e mentre i compositori dell’Est europeo, Smetana Dvořák Čajkovskij, rimangono sostanzialmente fedeli, con poche aggiunte, all’orchestra di tipo brahmsiano, le sinfonie di Anton Bruckner (che volle le Wagnertuben nelle ultime tre, e nell’Ottava anche tre arpe) e di Gustav Mahler, nonché i grandi poemi sinfonici di Richard Strauss, mostrano in modo eloquente quanto l’incomparabile caleidoscopio sonoro e l’armonia cromatica realizzati dall’autore di Tristano e Isotta influenzassero la tradizione sinfonica centroeuropea. Gli esiti differiscono però in modo sensibile: “wagneriano”, Bruckner lo è soprattutto nell’impiego degli ottoni, chiamati nelle sue sinfonie – lontane da ogni concezione programmatica e semmai orientate verso una amplificazione colossale della forma classica – a dar sostanza a sfolgoranti episodi corali, in cui vibra uno schietto afflato religioso; Strauss prosegue la linea “neotedesca” inaugurata dai poemi sinfonici di Liszt differenziando la tavolozza timbrica con un campionario di invenzioni spettacolari, e sembra godersela un mondo, da quel virtuoso dell’orchestra che era, all’idea di épater le bourgeois; per contro, le sinfonie di Mahler, pur ricchissime del pari di colori e impasti inconsueti, raramente ostentano il Tutti pieno e rotondo; spesso, anzi, il compositore assottiglia le sonorità dei suoi organici di straussiana monumentalità adottando una scrittura decisamente solistica (Theodor W. Adorno, nella sua celebre monografia del 1960, parlò acutamente di «musica da camera annidata a guisa di parassita» nell’orchestra mahleriana). Era forse inevitabile che all’alba del nuovo secolo la giovane generazione sentisse il bisogno di ribellarsi al gigantismo fonico imperante; e fu proprio Arnold Schönberg, che con i Gurrelieder (1901) aveva aggiunto un tassello essenziale al corteo delle opere ciclopiche fin de siècle culminato nella «Sinfonia dei mille» di Mahler, a dichiarare guerra, in una lettera del 1909 a Ferruccio Busoni, alle «eterne musiche che pesano quintali, alla costruzione di grandi torri, di blocchi massicci ed altre cose gigantesche. La mia musica deve essere breve». Di fatto, snella e breve (poco più di 20 minuti) era già la Kammersymphonie n. 1 schönberghiana per 17 strumenti solisti, scritta nel 1906, cui ne avrebbe fatto seguito una seconda, abbozzata quello stesso anno ma completata solo nel 1939. Ma il cambio di paradigma estetico era nell’aria: una evoluzione analoga caratterizza anche l’opera di Igor Stravinskij, che dopo lo “scandaloso” Sacre du Printemps (1913), rinuncerà, complici anche le
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difficoltà createsi durante la guerra, alle vaste compagini, e successivamente, con l’avvio della fase neoclassica, firmerà volentieri opere per organici ridotti come Pulcinella (1920), o esclusivamente per archi, come Apollon musagète (1928). Sembra opportuno concludere questo excursus di nuovo nel segno di Max Weber: cui la morte prematura avvenuta nel 1920 impedì, per una singolare ironia della storia, di conoscere e valutare nella prospettiva della sua profonda visione sociologica la forma estrema di razionalizzazione del materiale musicale messa a punto pochi anni dopo da Arnold Schönberg con la dodecafonia, ovvero il rivoluzionario «metodo per comporre con dodici suoni in rapporto solo con sé stessi». Profondamente legato ai valori della grande tradizione tedesca, dubbioso di fronte alla musica gemacht, ‘costruita’, Weber avrebbe probabilmente rifiutato la radicale abolizione dell’armonia tonale attuata da Schönberg; ma ci si può chiedere se l’amante di Wagner e dei lavori sinfonici di Strauss, Franck e Debussy non avrebbe apprezzato le sonorità sgargianti, sofisticate e raffinatissime della gigantesca orchestra “straussiana” prescritta dal compositore nell’opera più rappresentativa del nuovo metodo, le Variazioni op. 31, tenute a battesimo a Berlino nel dicembre 1928: una sorta di ritrattazione della critica alle «musiche che pesano quintali».
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Emilio Vedova Oltre 6 (Ciclo I), 1985. Olio su tela. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova
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Quirino Principe Musicologo e saggista ha insegnato musicologia, storia della musica e filosofia della musica, è autore di fondamentali saggi su Gustav Mahler e Richard Strauss e del volume L’opera tedesca 1830-1918. Germanista e traduttore si è interessato anche al teatro come drammaturgo e autore di testi per musica. Dal 2006 è Accademico di Santa Cecilia.
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Quasi un'emergenza cosmica di Quirino Principe
Le riflessioni classiche sul “système des arts”, da Lessing ad Alain, da Hegel a Croce, da Goethe all’ultimo Adorno, sono ineludibili per ogni intelletto occidentale degno di questo nome. Esse tuttavia soffrono di un errore di “montaggio” storico. Collocano le arti, considerate erroneamente come un insieme organico, lungo percorsi forzatamente sincronici, disciplinando gli specifici linguaggi artistici. Per evidenziare una presunta corrispondenza cronologica, coartano, dilatano e schiacciano le linee di sviluppo. Insegnanti bene intenzionati e sufficientemente informati (certo, oggi rarissimi) spiegano trionfalmente ai loro allievi come il canto e il recitativo nel teatro d’opera italiano del primo Ottocento sia in stretta reazione poetica e stilistica con le liriche di Giovanni Berchet e con i drammi e gli Inni sacri di Alessandro Manzoni, o come il fraseggio poetico di un madrigale di Torquato Tasso trovi sintonia nella sintassi armonica del corrispondente madrigale di Claudio Monteverdi. La realtà storica non si accorda con questa visione olistica. Lo sviluppo tecnico e professionale è stato graduale e solenne, per esempio, nella pittura, o nell’architettura, o nella poesia, e ha accompagnato le generazioni di artisti con un consequenziale lascito di eredità, anche se a volte il passar di mano è accelerato e agitato da fervore di scoperte e innovazioni. C’è la teorizzazione della prospettiva: Leon Battista Alberti nel 1436, attraverso Paolo Uccello, Brunelleschi, Piero della Francesca, Mantegna, fino al secentista Guidobaldo del Monte. Si può parlare di enfasi e di l’iperbole della verticalità, là dove il gotico si avvicenda al romanico. S’impone la metrica dei provenzali, culminante in complessità e artificio con Arnaut Daniel, e celebrata da Cavalcanti e da Dante. Nella musica occidentale, lo sviluppo tecnico e professionale è molto lento, e di colpo esplode. È forte la tentazione d’individuare l’esplosione nel “discanto di Milano”, leggibile nel trattato Ad organum faciendum (secolo XI), ma in realtà la “vox organalis” non cambia la fisionomia di ciò che
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l’orecchio percepisce. La discontinuità irrompe, come magica premonizione, un secolo dopo con Hildegard von Bingen, e si realizza “democraticamente”, come possibilità per ogni talento, con Léonin e con Pérotin (secolo XIII). Dopo questo “big bang”, la metamorfosi della musica occidentale è inarrestabile. Nel giro di due o tre secoli, avviene nella musica occidentale ciò che per millenni non era avvenuto. Possiamo ragionevolmente immaginare, anzi, esserne certi, che prima di Léonin e Pérotin la musica nata in occidente sia stata non molto diversa da quella egizia antica che ubbidiva alla chironomia, ossia alla notazione prescrittiva indicata con le dita di una mano: «Qui vai su di un grado…qui scendi di tre…», né dal canto paleo-ellenico, intonato dalla divina Saffo cui Plutarco, in Περὶ μουσικῆς, XVI, attribuisce l’invenzione della scala misolidia. Così la musica occidentale si è sviluppata con velocità imprevedibile, quasi un’emergenza cosmica, facendosi arte raffinatissima e labirinticamente complessa. Molte le trasformazioni storiche nella metamorfosi di sistema, e due sono fondamentali. La musica vocale, prevalente su quella strumentale fino al secolo XVI, pur senza abbandonare le stucchevoli lagne fideistiche e devote legate alla cosiddetta storia “sacra” e alla liturgia, le ridimensiona, e si volge a testi “profani” ossia laici, popolari spesso irriverenti e caricaturali: fra gli antesignani, i celebri, ultra-energici e potentissimi Carmina Burana. Il primato della vocalità, a partire dall’opera decisiva di Ludovico Grossi da Viadana (ca. 1560-1627), cede alla coesistenza con un crescente repertorio di musica strumentale. Molte le conseguenze, dall’efficacia inestimabile. Cresce, nell’uso, il numero degli strumenti musicali, e nasce l’idea del gruppo strumentale, dell’insieme destinato a svilupparsi con pochi elementi (la formazione cameristica) verso un’espressività aristocratica, elitaria ed intimistica, oppure sociale, celebrativa, solenne o festosa secondo la dicotomia CarnevaleQuaresima (l’orchestra, parola che nella sua origine indicava piuttosto la danza: un gruppo corale e danzante ad un tempo). La laicità, finalmente apparsa, si manifesta anche come irruzione delle danze fra le forme musicali predilette. Sovente, le orchestre hanno un nucleo di rilievo, talora “in eco”, secondo la dialogica tra concerto grosso e concertino. Nascono nuovi strumenti per esigenze tecniche (maggior facilità di riprodurre i suoni) ed espressive (arricchimento delle sfumature di pathos e di emozioni, di colori e di sensazioni evocate dalla musica). Non tutti si sono perpetuati: ne è esempio l’oficleide, che Verdi volle per la sua Messa di
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Requiem e che dopo il 1890 scomparve per dar luogo al bassotuba. Altri, pur usati con minima frequenza, devono rimanere poiché sono necessari all’esecuzione di determinate partiture, e perciò irrinunciabili. Nel 1904 i fratelli Wilhelm e August Heckel costruirono un oboe baritono chiamato “Heckelphon”, molto apprezzato perché evocativo di eros e di forti passioni e usato da Richard Strauss in Salome, in Elektra e nella Alpensinfonie. Le tube wagneriane furono fabbricate appositamente per il Ring wagneriano, e trombe speciali volle Verdi per Aida. Ancora Strauss volle la Glasharmonika per Die Frau ohne Schatten. Ma di altri strumenti “obbligati” o “prescritti” le orchestre fanno a meno volentieri: tale è il Clavecin à lumière, voluto da Skrjabin nel 1895 per la prima esecuzione del suo Prométhée e progettato dall’ingegnere americano Alexander Wallace Rimington. Un altro strumento a tastiera si è guadagnato invece il diritto alla cittadinanza stabile, ed è la celesta, un metallofono dal timbro povero di armonici, infantile, diafano, fiabesco, brevettato da Auguste e Alphonse Mustel a Parigi nel 1886: fu usato da Čajkovskij nel balletto Schiaccianoci (1892), ìn Petruška (1910-1911) da Stravinskij, e da Delibes, Charpentier, Puccini, Leoncavallo, Casella. In particolare, da Bartók, in Musica per archi, celesta e percussioni (1936). Un segno molto più decisivo, legato all’essenza del timbro strumentale e non a una sperimentazione o a una curiosità, l’hanno lasciato strumenti notissimi, di tradizione plurisecolare, sottoposti a modifiche le quali, senza mutare la loro fisionomia, li hanno resi più esatti nell’intonazione, più regolabili, più ricchi di armonici e perciò più “colorati”. Un dettaglio prezioso: la versione invecchiata di ciascuno strumento non è stata “abolita” né rottamata. Com’è giusto, essa è impiegata per le esecuzioni d’epoca e per onorare l’intento del compositore. Debussy si esegue con il flauto traverso, musiche dei tempi di Bach e di Telemann si onorano impiegando il flauto dritto. Lo stesso vale per il moderno corno a pistoni. Il vecchio corno naturale dà colore e sapore non soltanto a Dittersdorf, com’è giusto, ma anche all’introduzione e al congedo della Serenata op. 31 (1943) di Benjamin Britten, dove la sua intonazione un po’ incerta (povera di armonici) proprio per questo è affascinante ed evoca “altri tempi”. Oppure, semplicemente, la fiaba. E… attenzione ai “falsos amigos”. Il corno inglese non è un corno, bensì un oboe. Il corno di bassetto non è un corno, bensì un clarinetto. Il “big bang” avviato a Parigi nel secolo XIII e riesploso a Viadana nei secoli
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XVI-XVII è però anche un proliferare di generi musicali e di forme. Conosciamo quelli “regolari”, fioriti nella prassi esecutiva con disciplina matematica e fedeltà verso i Maestri: suite, sonata, concerto, sinfonia…. Parole quasi tutte di origine italiana, a testimonianza dell’immenso, prevalente, schiacciante contributo dato dall’Italia alla civiltà musicale del pianeta. En passant, e sottovoce: a testimonianza, ab absurdo, dell’infamia di coloro che, dal 1861 (ossia dalla condanna a morte inflitta alla musica da Francesco De Sanctis) fino ad oggi, hanno preteso di “governare” l’Italia e hanno fatto strame della nostra cultura distruggendo ogni legame tra la nostra patria e la civiltà occidentale. Ebbene: quasi tutte di origine italiana (o ellenico-latina) sono anche le parole che indicano, nella musica occidentale, le “non forme”, i generi “irregolari”, quelli che, nella dicotomia osservata da Matthew Arnold (1822-1888) in Culture and Anarchy (1869), sarebbero frutti di “età critica”, ostili alle “età organiche”. L’intermezzo è in origine, nel teatro musicale italiano del secolo XVIII, un pezzo comico da intercalare tra un atto e l’altro di un’opera seria. Come pagina esclusivamente strumentale, è un breve discorso musicale assolutamente libero nella sua forma: una meditazione al di sopra delle parti. La serenata (da “sera”? da “sereno”?) è una composizione anch’essa assolutamente libera nella forma, destinata a creare un clima amabile, affettuoso, confortevole. La rapsodia, parola greca antica che significa “il cucire bene i canti”, è una composizione che segue l’impulso della fantasia ed è sovente una parafrasi di motivi popolari, epici o nazionalistici. Dopo questa lunga premessa, voglio che l’ascoltatore non legga analisi o pseudo tali, e accolga questa serata di promesse e speranze per la musica forte senza passare attraverso filtri di mano altrui. Perciò, ricordo soltanto gli estremi biografici, e i dati sulla composizione che sarà eseguita. Di Ottorino Respighi (Bologna, lunedì 9 giugno 1879 – Roma, sabato 18 aprile 1936), Richard Strauss ammirò molto le composizioni strumentali: i poemi sinfonici, certo, ma anche le Antiche danze e arie (1937). Respighi fu uno dei rarissimi musicisti italiani che Strauss abbia apprezzato. Antonín Dvořák (Nelahozeves, Kralupy, mercoledì settembre 1841 - Praga, domenica 1° maggio 1904): Serenata in Re minore op. 44, per 10 strumenti a fiato, violoncello e contrabbasso. I 10 fiati: 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 1 controfagotto “ad libitum”, 3 corni. Prima esecuzione: Praga, domenica 17 novembre 1878.
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Igor’ Fëdorovič Stravinskij (Oranienbaum, poi Lomonosov, sabato 5 / 17 giugno 1882 – New York, martedì 6 aprile 1971). Apollon Musagète, balletto in 2 quadri (1927-1928). Prima esecuzione: Washington, Biblioteca del Congresso, venerdì 27 aprile 1928. Coreografia di Adolphe Bolm. Prima esecuzione a Parigi: Théâtre Sarah Bernhardt, martedì 12 giugno 1928, diretta dall’autore. I “Ballets Russes”, con coreografia di George Balanchine, e Serge Lifar nelruolodi Apollo. Fu un lavoro su commissione. La committente fu la mecenate americana Elisabeth Sprague Coolidge.
Emilio Vedova Ciclo '62 (B.3), 1962. Olio su tela. Fondazione Emilio e Annabianca Vedova
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3 Beethoven tra giovinezza e maturità di Giangiorgio Satragni
Musicologo e critico musicale, dedica le sue ricerche principalmente alla cultura musicale tedesca e austriaca dell'Ottocento e del Novecento. Tra le pubblicazioni figurano i volumi Il “Parsifal” di Wagner. Testo, musica, teologia (EDT 2017), Richard Strauss dietro la maschera. Gli ultimi anni (EDT 2015), La modernità in musica. Dodici variazioni sul tema (L'Epos 2014).
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Musica per fiati e metamorfosi Gli anni di formazione di Beethoven e le sue iniziali prove compositive restano uno degli aspetti meno noti del musicista tedesco. Non mancano certo specifici studi che hanno incrementato, di recente, le informazioni su quel periodo alla luce delle fonti; tuttavia proprio le fonti restano in parte lacunose: la conoscenza dei manoscritti, a volte perduti nelle loro stesure originali, è integrata da testimonianze biografiche scarse, specie se paragonate a quelle del Beethoven affermatosi a Vienna, dopo il 1792. In più di un caso l'aurorale produzione nata a Bonn fu rielaborata nella capitale asburgica e destinata ad altri fini, a volte cambiando organico e fisionomia: in questo giocò un ruolo il fatto che il giovane ventiduenne desiderasse presentarsi come un musicista nuovo, non soltanto adulto, ma stilisticamente diverso dal precedente, occultando alcune tracce risalenti alla fase d'esordio o trasformandole al fine di renderle meno riconoscibili. Per quanto scarsamente frequentato, l'Ottetto in mi bemolle maggiore per strumenti a fiato op. 103 rappresenta una sorta di case study in merito. Beethoven non lo pubblicò mai in vita, difatti uscì soltanto postumo nel 1830 per i tipi dell'editore Artaria, che vi appose un numero d'opus così alto, non corrispondente alla fase di composizione. Questa risale probabilmente al 1792 ma a mesi in cui Beethoven si trovava ancora a Bonn, prima di trasferirsi a Vienna al fine di ricevere lezioni da Haydn e dove rimarrà poi lungo tutta la sua vita. Egli portò con sé tutti i propri manoscritti, incluso l'Ottetto, che ebbe forse una revisione nel 1793 ma che non fu un lavoro nato sotto la guida del maestro, come pur questi ebbe a credere a livello privato. Nella sfera pubblica Beethoven contribuì ulteriormente a nascondere l'origine del lavoro: al più tardi nel 1795 trasformò l'Ottetto in un Quintetto per archi, che risultò non una semplice trascrizione, bensì una profonda rielaborazione con aggiunta di materiale nuovo. Forse per questo l'editore Artaria, dandolo alle stampe nel 1796 come op. 4, lo presentò quale «nuovissimo», ma forse anche perché nulla sapeva della fonte. Questa era determinata da consuetudini tipicamente settecentesche in voga presso la corte del principe elettore di Colonia residente a Bonn, al cui servizio il ragazzo era entrato ancora adolescente come organista e cembalista e nella cui orchestra aveva 33
ottenuto un posto di violista nel 1788, a diciotto anni. La pratica della musica per fiati era separata dall'attività orchestrale e corrispondeva al genere della serenata, di solito come musica d'intrattenimento o anche di accomagnamento ai pasti, la cosiddetta Tafelmusik, la musica da suonarsi per i commensali a tavola. È stato ipotizzato che l'Ottetto di Beethoven fosse concepito quale Tafelmusik, ma invero simili musiche avevano durata e numero di movimenti maggiore dei quattro in cui Beethoven articola la composizione. È pur vero che sull'autografo egli intitola il brano «Parthia», ovvero "partita", termine che indicava lavori inanellanti un numero superiore di movimenti; tuttavia la parola rimanda non alla musica per la mensa, bensì a raccolte per fiati di Haydn (o attribuite a lui) recanti un titolo simile, per la precisione le Feld-Parthien, ovvero partite da suonarsi all'aria aperta (letteralmente "sul campo", forse inteso anche in senso militare). Benché non si conosca l'occasione per la quale fu composto, l'Ottetto di Beethoven è però così ascrivibile al genere della serenata all'aperto. Dal punto di vista stilistico ha tuttavia pochi debiti nei confronti di Haydn e molti di più verso Mozart: da un lato la Serenata in si bemolle maggiore K. 361, la cosiddetta "Gran Partita" che il salisburghese trasformò poi in un quintetto per archi, dall'altro e ancor più la Serenata in do minore K. 388, il vero modello per Beethoven perché di fatto è un ottetto per i medesimi strumenti (due oboi, due clarinetti, due corni, due fagotti) e con la medesima suddivisione in quattro tempi. La struttura ricalca pertanto i canoni dello stile classico, ai quali il Beethoven maturo apporterà non poche varianti dall'interno, e l'impronta mozartiana emerge spesso nel profilo tornito delle frasi e nella cantabilità, specie in quella di matrice operistica dell'Andante. Nondimeno l'Ottetto contiene almeno tre anticipazioni del Beethoven che verrà, una di tono espressivo, due di carattere tematico. La prima è l'uso estensivo degli sforzandi in generale, ovvero accenti forti anche sui tempi deboli delle battute, requisito di cui il compositore farà ampio uso nelle sonate pianistiche, trasferendolo poi alla composizione sinfonica. Le altre sono contenute nel terzo movimento, che Beethoven intitola alla maniera classica « Minuetto »: di fatto, però, la scrittura a note staccate rende il tempo più veloce, trasformandolo in uno Scherzo il cui tema - che attacca con l'ottava discendente a note ribattute - anticipa lo Scherzo della Nona Sinfonia op. 125 (1824). Si è voluta ravvisare l'origine di questo tema in un quartetto per archi di Haydn, ma il paragone non regge: è, piuttosto, una di
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quelle idee tipicamente beethoveniane destinate a riemergere anni dopo. È il caso di quanto accade con un frammento nel Trio del Minuetto, quando la melodia in note staccate procede per accordi isolati, a volte perfino divisi tra strumenti diversi: è lo stesso criterio di scrittura che s'incontrerà nel tema del brano conclusivo nel balletto Le creature di Prometeo (1801), che diverrà il tema delle Variazioni per pianoforte op. 35 (1802) e infine la melodia del Finale nella Terza Sinfonia "Eroica" op. 55 (1802-1804). Il fatto non deve stupire più di tanto, se si considera che proprio per la Nona Sinfonia Beethoven ricorse a materiali annotati lungo il decennio precedente e che l'idea di mettere in musica l'ode Alla gioia di Schiller lo accompagnava fin dagli anni di Bonn.
Musiche per tastiere e varianti L'Ottetto del periodo bonnense fu quindi messo da parte a Vienna e trasformato nel Quintetto per archi, dove rimase l'anticipazione della Nona nel Minuetto, ma non quella dell'insieme Prometeo-Eroica nel Trio. Se Beethoven nascose il lavoro originario per fiati, non abbandonò tuttavia l'idea di comporre musica da camera per un organico simile: a cavaliere tra i due secoli, dal 1799 al 1800, scrisse difatti il Settimino op. 20 per archi e fiati, ugualmente in mi bemolle maggiore e questa volta in sei movimenti, nella miglior tradizione delle partite settecentesche. Vi recuperò il Minuetto che aveva collocato nella Sonata per pianoforte in sol maggiore op. 49 n. 2 (1798): costituisce un'ulteriore testimonianza del continuo ritornare di Beethoven su idee precedenti in un'epoca in cui Vienna aveva da poco conosciuto come secondo concerto per pianoforte e orchestra un lavoro in si bemolle maggiore che differiva dalla veste primigenia, nata anche in questo caso durante gli anni di Bonn in veste in parte diversa. Già il Beethoven quattordicenne si era avvicinato al genere del concerto per strumento a tastiera e orchestra. Al 1784 risale infatti una composizione in mi bemolle maggiore, di cui si è conservata unicamente una copia della parte del solista, su cui l'autore indicò di proprio pugno «per il clavicembalo o forte-piano» e si abbassò l'età di
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due anni: manteneva così la falsa indicazione anagrafica che era stata data dal padre in occasione del suo debutto concertistico nel 1778, un probabile frutto del mito di Mozart fanciullo prodigio applicato al giovanissimo Ludwig. In virtù del fatto che tale parte includeva anche la riduzione di passi concepiti per l'orchestra in alternanza con il solista - indicando gli strumenti via via coinvolti - l'intera scrittura per il complesso sinfonico è stata più volte oggetto di ricostruzione. Nel corso degli anni venne messa in dubbio la paternità di Beethoven riguardo all'opera, fatto invece oggi assodato. Benché non numerata, è questa la prima prova dell'autore in tale genere, mentre quella uscita come op. 15 - il Concerto in do maggiore - fu la prima ad essere pubblicata, nel 1801, ma neppure la seconda a venir composta. In mezzo stava il Concerto in si bemolle maggiore, edito nello stesso anno come op. 19, ma la cui prima stesura risaliva al 1790 e dunque al periodo di formazione renana. Giunto a Vienna nel novembre 1792 anche con questo manoscritto in valigia, Beethoven lo rielaborò più volte, una forse già nel 1793 e l'altra al più tardi nel 1795, probabilmente in concomitanza di esecuzioni private. Nel passaggio tra la seconda e la terza stesura, Beethoven sostituì il Rondò finale originario con una nuova pagina articolata nel medesimo schema. Neppure in questa veste, tuttavia, la composizione fu offerta pubblicamente, dacché Beethoven scelse di presentarsi all'uditorio viennese come autore ed esecutore nel genere concertante attraverso un lavoro completamente nuovo, appunto il Concerto in do maggiore op. 15, che venne dato in una prima stesura nel 1795 durante un'accademia (i concerti pubblici di allora). Soltanto tre anni dopo, nel 1798, Beethoven presentò invece il Concerto in si bemolle maggiore, il futuro opus 19 che ebbe allora la quarta e finale veste, ulteriormente ritoccata da Beethoven nella parte solistica prima di darla alle stampe. Se per il concerto adolescenziale, quello del 1784, Beethoven aveva scritto in francese sulla parte «per il clavicembalo o forte-piano», in cima alla partitura autografa del Concerto in si bemolle titola in italiano: «Concerto per il pianoforte». La dicitura era univoca, in quanto escludeva lo strumento a corde pizzicate, retaggio settecentesco, e sgombrava il campo dalle ambiguità (a volte si usava la vecchia dicitura 'cembalo' per indicare il fortepiano) prevedendo seccamente la destinazione per lo strumento a corde percosse, quello che aveva fatto la fortuna di Mozart e del genere concertante a Vienna. Se il Beethoven
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ragazzo godeva del paragone con il bambino prodigio Mozart, l'adulto che si affaccia alla ribalta viennese adotta esplicitamente il genere in cui il predecessore aveva dato esempi preclari, con la suddivisione in tre movimenti e la destinazione della parte solistica a se stesso come esecutore. Anche dal punto di vista dello stile Beethoven non poteva non tenere presenti gli esempi mozartiani; tuttavia la mano compositiva beethoveniana rivela già la sua impronta. Al di là degli sforzandi, tipici in Beethoven e meno frequenti in Mozart, il compositore tedesco fa più leva sulle differenze: ad esempio, l'esposizione del primo movimento è basata sul contrasto fra il tutti in forte dell'orchestra e la cantabilità in piano dei violini; il secondo tema ha un dato profilo quando viene esposto dall'orchestra - peraltro a sorpresa in re bemolle maggiore - mentre ne ha un altro quando tocca al solista presentarlo, ora alla dominante fa maggiore che ci attendiamo. Il rondò conclusivo, la pagina nuova che in corso d'opera Beethoven mise al posto di una analoga, è tutto basato sullo spostamento d'accento del tema alla mano destra, con effetto di frizione rispetto alla regolarità della mano sinistra e un esito bizzarro, diverso dalla pur rutilante inventiva mozartiana. Nonostante tutte le revisioni, Beethoven restò insoddisfatto del Concerto op. 19. Nell'offrirlo insieme ad altre composizioni all'editore Hoffmeister di Lipsia nel dicembre 1800, scrisse che non lo riteneva fra le sue migliori; un mese dopo, al momento di formulare le richieste economiche, chiese la metà del prezzo del Settimino e della Prima Sinfonia, 10 ducati invece che 20 ciascuna. Dei cinque lavori ufficiali in tale genere, l'op. 19 è di certo il meno frequentato, tuttavia non per l'insoddisfazione dell'autore, bensì per quella sottigliezza e forse anche ambiguità nello stare a cavallo tra due stili. Il compositore guardava avanti, a nuovi sviluppi, come testimonia il linguaggio delle cadenze originali scritte vari anni dopo per i primi quattro concerti, fra il 1808 e il 1809, quando l'incipiente sordità gli fece capire che non avrebbe potuto continuare per molto tempo ad apparire nel suo ruolo di esecutore in pubblico: di qui la necessità di mettere per scritto, ad uso di altri, ciò che l'autore-interprete era solito tenere per sé e improvvisare al momento. Nel nuovo secolo si stava evolvendo anche la condizione sociale di Beethoven a Vienna, il cui sostegno economico non proveniva unicamente dalla vendita delle composizioni agli editori, ma anche dagli aristocratici committenti che furono suoi mecenati.
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Nobili patroni e dediche strumentali Tra i sostenitori di Beethoven più attivi e collocati in alto nella scala sociale figura il principe Joseph Maximilian Lobkowitz, appartenente a un casato di origine boema. Nel suo palazzo a Vienna, poco distante dalla reggia imperiale, ebbero luogo nella tarda primavera del 1804 le prove e un'esecuzione preliminare nonché privata della Terza Sinfonia Eroica op. 55, il cui manoscritto fu vincolato con laute elargizioni dal principe, che risultò poi dedicatario della prima edizione a stampa. A Lobkowitz Beethoven dedicò anche una composizione nata a ridosso del completamento dell'Eroica: si tratta del cosiddetto Triplo concerto in do maggiore per pianoforte, violino, violoncello e orchestra, che uscì a stampa come opus 56 soltanto nel 1807 ma risulta finito appunto nel 1804. I due lavori, tuttavia, non hanno nulla a che fare reciprocamente: tanto è impegnata sul fronte etico e contenutistico l'Eroica, incluso il retroterra dell'intitolazione a Bonaparte poi rimossa, quanto è disimpegnato il Triplo, che obbedisce a un canone di piacevolezza del genere concertante inteso quale brillante intrattenimento. Nella scrittura certo non ardua della parte pianistica si cela, però, forse anche un altro dei mecenati di Beethoven, quello più in alto nella scala sociale. Si trattava dell'arciduca Rodolfo d'Asburgo-Lorena, dodicesimo figlio (cadetto) del granduca di Toscana e poi imperatore Leopoldo II morto nel 1792: Rodolfo era quindi fratello del sovrano regnante all'epoca di Beethoven, Francesco II (che dopo le guerre napoleoniche e la Restaurazione assunse il nome di Francesco I imperatore d'Austria, essendo stato abolito il Sacro Romano Impero Tedesco). In base alle informazioni del famulus di Beethoven, il non sempre attendibile Anton Schindler, il destinatario del Triplo sarebbe stato proprio l'arciduca, pianista e compositore dilettante che fu allievo dello stesso Beethoven. Tuttavia egli lo divenne soltanto nel 1808, che corrisponde non all'anno di composizione, bensì a quello di esecuzione del lavoro: un anno, ad ogni modo, significativo nel lungo rapporto tra i due. Beethoven ricevette infatti l'invito a ricoprire il posto di maestro di cappella presso il regno di Westfalia, sul cui trono Napoleone aveva collocato il fratello
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Gerolamo: era un incarico da ancien régime, quello che il libertario Beethoven aveva avversato, come aveva avversato Napoleone quando si proclamò imperatore, al punto da cambiare l'intitolazione della Terza Sinfonia in Eroica. Nondimeno, di fronte al rischio che il musicista lasciasse Vienna, nel 1809 l'arciduca Rodolfo, il principe Lobkowitz dedicatario sia dell'Eroica sia del Triplo Concerto e il principe Ferdinand Kinsky accordarono a Beethoven un appannaggio, affinché potesse rimanere a comporre nell'imperialregia capitale senza angustie di natura economica, almeno in un primo momento. L'arciduca fu poi dedicatario di molti lavori beethoveniani e committente della Missa solemnis quando fu nominato arcivescovo di Olmütz in Moravia; Kinsky ebbe la dedica della precedente Messa in do maggiore (l'opus 86), Lobkowitz anche quelle della Quinta e della Sesta Sinfonia, dopo aver ricevuto sui frontespizi delle edizioni a stampa dell'Eroica e del Triplo il consueto e altisonante omaggio, nel secondo caso in francese: «A Son Altesse Serenissime le Prince de Lobkowitz». Il medesimo frontespizio recò il titolo Grand Concerto Concertant : a prima vista può sembrare una tautologia, in realtà non lo è. Beethoven voleva indicare con il termine la fusione di due generi contigui ma non coincidenti, ossia il concerto per strumento solista e orchestra in cui vi è alternanza e contrapposizione fra il solo e il tutti, e la sinfonia concertante per più strumenti e orchestra, dove i solisti emergono in maniera più organica dal tessuto sinfonico al quale sono intrecciati. Non era tuttavia consueto porre in dialogo con l'orchestra un intero trio con pianoforte, organico che peraltro aveva segnato l'esordio editoriale del giovane Beethoven a Vienna con l'opus 1 nel 1795 e che venne riproposto fino al Trio in si bemolle maggiore op. 97 del 1811, dedicato all'arciduca Rodolfo tanto da includerne, per la recezione, il nome nel titolo ( Trio dell'Arciduca ). Ciò nonostante, è possibile ricostruire un filo storico che porta a simile scelta beethoveniana. Il genere del concerto per più strumenti e ensemble fu largamente praticato nell'età barocca: codificata nel concerto grosso, l'alternanza al tutti del concertino implicava l'utilizzo in funzione solistica di strumenti ad arco o, più di rado, a fiato. Di tale pratica è rimasta una traccia nell'età classica e nella sinfonia concertante di fine Settecento. Tuttavia né il concerto-sinfonia né il canonico concerto grosso prevedevano, fra gli altri, uno strumento a tastiera in funzione solistica, impiegato piuttosto come basso continuo a guisa di sostegno armonico. È grazie a Bach e
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alla sua concezione del genere che il cembalo assurge, da un lato, a voce unica nel concerto solistico e, dall'altro, figura tra i solisti del concerto a più strumenti. Caso emblemantico è il Quinto Concerto brandeburghese in re maggiore BWV 1050: presenta come solisti violino, flauto e cembalo, che assume qui un esteso ruolo di spicco. Due violini e cembalo oppure flauto, violino e cembalo erano in età barocca gli strumenti consueti della sonata a tre; se questa origina, in una direzione, il concerto attraverso l'aumento degli esecutori, nell'altra genera il trio da camera. Se Bach aveva inserito lo schema della sonata a tre nel concerto barocco, Beethoven innesta il trio con pianoforte sul concerto classico: in questa maniera l'autonomo complesso da camera poteva aprirsi al dialogo con l'orchestra, riallacciandosi nei tratti esteriori alla sinfonia concertante, ma non senza abili differenziazioni nel modo di trattare gli strumenti. Ad esempio, nell'Allegro di apertura del Triplo Concerto la ripetizione dell'esposizione rende ognuno a sé stante, disponendo in ordine gerarchico violoncello, violino e pianoforte; ma lo sviluppo del materiale tematico, dapprima affidato singolarmente a ognuno, fa dei tre un organismo solo, cosicché il discorso prosegue secondo il tipico stile della musica da camera, lasciando per un momento l'orchestra in secondo piano. In questa architettura, il movimento lento funge da cuscinetto verso il tono caratteristico del Rondò alla Polacca, figlio di tutta una serie di esotismi settecenteschi che individuavano nella rusticità delle danze popolari un tratto eccentrico interno alla cultura europea: basti pensare, quali antecedenti diretti per Beethoven, a Haydn e ai rondò "all'ungherese" che chiudono rispettivamente il Trio con pianoforte n. 25 (1795) e il Concerto n. 11 per lo strumento a tastiera con l'orchestra (1784).
Ritmi e cannoni Tra gli altri mecenati di Beethoven figura il conte Moritz von Fries, banchiere e collezionista d'arte, nel cui palazzo il compositore si esibì spesso al pianoforte nel primo decennio dell'Ottocento; come esito di questa benevolenza anche economica, Beethoven gli dedicò alcuni lavori, tra cui il più importante è la Settima Sinfonia in la maggiore op. 92, finita di comporre nella primavera del 1812 e pubblicata quattro
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anni dopo, con il riferimento a Fries quale «Camerlengo di Sua Maestà imperialregia e apostolica». Dall'autografo fu già ricavata una copia per l'arciduca Rodolfo, presso il cui palazzo risulta una prova di questa sinfonia e dell'Ottava (op. 93) nell'aprile 1813. Nella storia della recezione la Settima è però fortemente associata al giudizio di Richard Wagner, che nel suo trattato L'opera d'arte dell'avvenire (1849) la definì come «l'apoteosi della danza in se stessa: è la danza nella sua essenza superiore, l'azione felice dei movimenti del corpo incarnati nella musica». Egli intendeva danza quale movimento nato dal ritmo e continuava il suo pensiero con una visione artistica: «Melodia e armonia si mescolano nei passi nervosi del ritmo come veri esseri umani che, ora con membra erculee e flessibili, ora con dolce ed elastica docilità, ci danzano, quasi sotto gli occhi, una ridda svelta e voluttuosa [...]». Sebbene Wagner proiettasse la musica di Beethoven in una dimensione teatrale, il ragionamento partiva dall'individuare il ritmo come elemento generativo e cinetico; lo si evince da un passo che nel trattato precede le considerazioni riguardanti – prima ancora della Settima – la Quinta e la Sesta Sinfonia: «Con l'espressione determinata, modellata sulla melodia ritmica di danza, la musica strumentale può rappresentare e fissare uno stato d'animo tranquillo in sé, limitato con certezza, perché essa modella il suo metro su un oggetto a lei naturalmente esterno: il movimento del corpo». Dunque il corpo è unicamente una maniera sensibile per manifestare il ritmo, di qui l'equazione esplicativa wagneriana della Settima come apoteosi della danza, ovvero apoteosi del ritmo. Nondimeno quella visione rientra in parte in una forzatura di Beethoven operata da Wagner, che, ritenendo la musica assoluta ovvero solo strumentale insufficiente all'espressione dell'anima umana, puntava alla sfera rappresentativa incarnata dal futuro dramma musicale, ritenendo impropriamente Beethoven e specie la Nona Sinfonia un prodromo alla sua idea di teatro in musica. L'idea del movimento resta comunque innegabile per la Settima beethoveniana, l'unica che non rechi esplicitamente un tempo lento, bensì un Allegretto che dà il senso dell'incedere attraverso il ritmo dattilico, un tema che in un quaderno di schizzi sembra essere concepito in origine per il tempo lento del Quartetto op. 59 n. 3, salvo poi esser destinato alla sinfonia. Alla prima esecuzione pubblica e alla replica, entrambe a Vienna nel dicembre 1813, l'Allegretto incontrò un tale favore da venir bissato in entrambe le occasioni: dovette colpire anche il suo carattere di marcia militare e funebre in un periodo in cui l'Austria era affilitta da diverse
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guerre e si era liberata dall'occupazione francese. Il concerto, d'altra parte, recava come principale brano sinfonico d'effetto la celebrativa Vittoria di Wellington, che Beethoven aveva scritto a seguito della spagnola battaglia di Vitoria in cui il generale britannico aveva sconfitto l'armata francese: l'uditorio dovette rimanere colpito sia da tale pezzo sia dal ritmo di marcia dell'Allegretto, dato che il concerto era a favore degli invalidi austriaci e bavaresi della battaglia di Hanau, in cui però Napoleone aveva avuto la meglio. Il compositore non diede mai troppa importanza a quel brano d'occasione che imitava il combattimento, le cannonate e la vittoria: d'altronde proprio la Settima fungeva da studio puramente artistico sull'energia, ancor più accentuata nello Scherzo (un Presto che attacca in levare, dando una vera spinta in avanti alla ricaduta della melodia sul tempo forte della battuta) e culminante nel vortice del movimento conclusivo. Il suo carattere trionfale è stato sfruttato in tempi moderni anche a fini commerciali, per la pubblicità di una carta igienica: si tratta dell'evoluzione corrente, e corriva, della fortuna postuma di Beethoven attraverso le arti, non solo performative o figurative. Sotto quest'ultimo aspetto, la Settima è stata trasferita in immagine da più artisti in diverse epoche. In alcuni casi ne è stata messa in rilievo la forza, come in una litografia del 1900 di Fritz Erler che associa il tema dello Scherzo all'idea della giovinezza con la raffigurazione della danza dionisiaca di un muscoloso uomo e di un orso; in altri casi ha avuto rappresentazioni in parte statiche, come nelle quattro tele di Tommaso De Meo - una per ogni tempo della sinfonia - che tra il 1965 e il 1966 ha optato per paesaggi simbolici ed evocativi. Non tutti egli esegeti hanno dunque raccolto nei secoli successivi l'interpretazione wagneriana della Settima come apoteosi della danza; questa s'inserì, peraltro, in una messe d'interpretazioni divergenti fin dall'epoca di Beethoven: vi fu chi la intese come festa bacchica della vendemmia - com'è dopotutto l'esempio novecentesco di Erler - e chi quale nuova sinfonia Pastorale oppure nuova Eroica, ancora come battaglia di giganti o festa nuziale o festa popolare. Wagner non era pertanto isolato nella sua immaginazione, tuttavia Beethoven era a sua volta lontano da poter immaginare simili esegesi.
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Gustav Klimt Faggeto, 1902. Olio su tela.
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Fabrizio Della Seta Professore nel Dipartimento di Musicologia e Beni culturali dell’Università di Pavia, sede di Cremona, specialista dell’opera dell’Ottocento, ha pubblicato edizioni critiche di opere di Rossini, Bellini e Verdi. È autore di Beethoven: Sinfonia Eroica. Una guida, Carocci (2004).
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L'idillio minacciato di Fabrizio Della Seta
Due composizioni in programma in questo ciclo videro la luce, a due anni esatti l’una dall’altra, nello stesso luogo, il Theater an der Wien di Vienna: il Concerto per violino il 23 dicembre 1806, diretto e suonato dal primo violino del teatro, Franz Clement, insieme a musiche di vari autori contemporanei; la Pastorale il 22 dicembre 1808, in una celeberrima “accademia” in cui furono presentati in prima assoluta anche la Quinta Sinfonia op. 67, il Quarto Concerto per pianoforte op. 58, la Fantasia per coro, pianoforte e orchestra op. 80 e altre composizioni di Beethoven, che si esibì come direttore e solista. Quanto a concezione, i due brani si possono considerare coetanei. L’op. 61 fu composta nel corso del 1806, riveduta nel 1807 e pubblicata a Vienna all’inizio del 1809 con dedica a Stephan von Breuning, amico d’infanzia del compositore; a sua moglie Juliana (Julie) von Vering, pianista eccellente che morrà di lì a poco, fu dedicata una versione per pianoforte e orchestra ricavata da quella per violino. L’op. 68 fu composta nel 1807-8, ma alcuni appunti risalgono all’epoca dell’Eroica, 1803-4; fu pubblicata a Lipsia nel 1809, con dedica a due dei principali protettori di Beethoven, il principe Joseph Maximilian Lobkowitz e il conte Andreas von Rasumowsky. Il Concerto e la Sinfonia si collocano al cuore del periodo centrale della produzione di Beethoven (ca. 1802-1813), un periodo spesso definito “eroico”. Tale definizione − costruita a partire da composizioni quali le sinfonie Terza, Quinta e Settima, i concerti per pianoforte Terzo e Quinto e le più note tra le sonate − privilegia un’immagine unilaterale del musicista, tutto dolore e contrasti, in lotta col destino e col suo tempo sul piano personale (la sordità, gli amori infelici) e su quello artistico e sociale; insomma l’immagine corrucciata che ci è familiare grazie ai ritratti più diffusi. È però evidente che essa è difficilmente compatibile con altre composizioni che non si adattano al quadro, più distese, intime, a tratti gioiose o umoristiche, troppo importanti però per liquidarle come minori e tanto meno regressive; si sente 45
allora il bisogno di spiegarle con concetti quali “sguardo nostalgico al passato”, “momento di riposo del guerriero”. Come se saper dar voce con eguale profondità a mondi sentimentali tanto diversi non fosse un merito bensì un difetto da giustificare! Tra le composizioni di questo tipo le due occupano un posto eminente. A proposito del Concerto, aggettivi quali “lirico”, “cantabile”, “sereno” sono moneta corrente nella letteratura critica. Per quanto riguarda la Sinfonia Pastorale, l’assunto antieroico è dichiarato nel titolo, che a sua volta, dalla metà dell’Ottocento in poi, ha messo in non lieve imbarazzo molti commentatori: esso collegava la composizione al filone della “musica a programma” − rappresentato da Berlioz e da Liszt − e disturbava perciò i sostenitori della “musica assoluta”, autonoma da riferimenti extramusicali e fondata solo sulle sue leggi interne, di cui Beethoven era considerato il campione. Poiché questa problematica investe, come vedremo, sia la Sinfonia sia il Concerto, possiamo partire dalla prima per chiarire la questione nei termini che valevano per Beethoven e non alla luce di dibattiti posteriori. Negli appunti del compositore si trovano diversi tentativi di titolo per la Sesta Sinfonia, uno dei quali la definisce “sinfonia caracteristica”. All’epoca si chiamavano così brani strumentali basati su un programma descrittivo di eventi naturali o storici, come tempeste o battaglie, oppure su celebri opere letterarie − le Metamorfosi di Ovidio −; e sappiamo che Beethoven disapprovava questo tipo di composizioni. Il concetto estetico chiave è però “caratteristico”: per Beethoven ogni musica elevata deve avere un “carattere” espressivo determinato, esclusivo o prevalente: questo significano aggettivi come Patetica, Eroica, Pastorale applicati a sonate e sinfonie, definizioni etniche come “all’ungherese”, oppure titoli come La malinconia (ultimo movimento del Quartetto op. 18 n. 6). Titoli apocrifi quali “Appassionata” o “Concerto Imperatore” sono tentativi, arbitrari ma in linea di principio non illegittimi, di esplicitare ciò che Beethoven aveva lasciato implicito: anche le pagine che non recano alcun titolo e prive di riferimenti extramusicali hanno un carattere prevalente, riconoscibile dall’ascoltatore in grado di decifrare il codice dei segni musicali messi in opera (stilemi ritmici, melodici, armonici). Per esempio, la Sonata op. 28 è detta anch’essa “Pastorale”: il titolo non è di Beethoven ma interpreta correttamente caratteristiche stilistiche simili a quelle della Sinfonia. Il carattere pastorale, con quelli collegati di campestre, idillico, rustico, ha una storia che in letteratura e poi in pittura risale alla tradizione bucolica antica (Teocrito, Virgilio,
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Ovidio), contaminata in età moderna con significati cristiani (i pastori della Natività, l’Agnello divino). Più recente, ma nobilissima, è la tradizione pastorale in musica, che comprende i nomi, fra gli altri, di Frescobaldi, degli Scarlatti padre e figlio e di Corelli, di Couperin e Rameau, Bach e Händel, Haydn e Mozart. All’epoca di Beethoven era poi diffuso, in ambito austriaco, un genere di composizione sacra detto “pastorella”, e addirittura una “messa pastorella; “sinfonia pastorella” è un’altra delle definizioni da lui annotate per la Sesta. Nell’ascoltare il Concerto per violino occorre tener conto che Beethoven, pianista d’eccezione, possedeva la tecnica degli strumenti ad arco (da giovane aveva suonato la viola nell’orchestra di corte di Bonn) ma non ne era un virtuoso. Per di più, mentre per il concerto pianistico un riferimento ineludibile erano già allora i capolavori mozartiani, non c’era un vero corrispettivo violinistico di ambito austro-tedesco (i bellissimi esempi di Haydn e di Mozart non erano usciti da una cerchia ristretta). I modelli cui rifarsi appartenevano piuttosto alla scuola violinistica francese, di ascendenza italiana; i maggiori esponenti ne erano Giovanni Battista Viotti (1755-1824) e i suoi allievi Pierre Baillot (1771-1842), Pierre Rode (17741830) e Rodolphe Kreutzer (1776-1831, il dedicatario della Sonata op. 47). Nei numerosi concerti di questi compositori si trovano i modelli della maggior parte delle figurazioni violinistiche del concerto beethoveniano, meno personali di quelle pianistiche (ogni virtuoso ha infatti i propri “gesti” preferiti, che si trasformano in altrettante figure musicali). Per inciso, si deve a Baillot, alla fine degli anni Venti, la diffusione dell’op. 61, che in precedenza non aveva avuto grande fortuna; da allora divenne il modello ineludibile per i grandi concerti violinistici romantici: Mendelssohn, Brahms, Bruch, Čaikovski. Nella tradizione strumentale francese, ricorrono con continuità due caratteri: il pastorale, o campestre, e il militare; entrambi si trovano nell’op. 61, il primo assai più del secondo. Il primo movimento, impostato su un’usuale combinazione di forma sonata (esposizione-sviluppo-ricapitolazione) e forma ritornello (basata sull’alternanza di “tutti” e “solo”), prevede tre idee tematiche principali, presentate nel ritornello orchestrale d’apertura. Tutte e tre hanno un carattere cantabile basato sulla successione di note contigue (moto congiunto), su disegni ritmici tranquilli simili, i primi due anche sulle stesse sonorità di fiati (soprattutto oboi e clarinetti), il terzo, più espansivo, enunciato dall'orchestra completa. Sono questi connotati
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tipici del carattere pastorale, che per la maggior parte del movimento condizionano la condotta dello strumento solista. Chi ha in mente la definizione popolare dello stile beethoveniano come basato su forti contrasti tematici, del tipo energico/dolce, ritmico/melodico, non lo troverà certo qui. Tuttavia l’elemento di contrasto non è assente, anzi lo si ascolta in apertura nelle cinque note del timpano che introducono la prima idea melodica. Esse generano una figura ritmica ostinata (ta ta ta ta | tà, una versione dilatata e attenuata del celeberrimo attacco della Quinta) che durante tutto il movimento circola in orchestra formando un contrasto con le idee cantabili, spesso affidata, oltre che ai timpani, alle trombe, gli strumenti tipici del carattere militare onnipresente nei concerti per pianoforte; possiamo definire questa figura una marcia latente di cui non è difficile decifrare la simbologia: una minaccia che incombe sulla serenità del quadro. Affine a questa è un’altra breve idea essenzialmente ritmica (ta____ ta ta | tà) che, sempre in forte, rompe più di una volta la tranquillità prevalente. La minaccia si fa palese al momento della ripresa (inizio della ricapitolazione): la figura di marcia è presentata in fortissimo da tutta l’orchestra (in nessun altro punto del movimento questa dinamica è così prolungata) e assimila al carattere marziale anche il primo motivo cantabile. Dopo di che tutto si svolge più o meno come la prima volta, ma il senso d’inquietudine generato da questa esplosione getta la sua ombra su tutto. Il secondo movimento, Larghetto, è costituito da una serie di variazioni su una formula ricorrente nei bassi: è il principio della Ciaccona, usato di rado da Beethoven ma diffuso nel repertorio francese. Le fioriture del solista, ispirate alla tecnica vocale, hanno un carattere eminentemente lirico, così come la bellissima frase cantabile centrale. Si può avvertire un carattere agreste nei richiami dei corni che si sentono all’inizio, nonché nelle voci del clarinetto e del fagotto, ai quali è affidata perlopiù la continuità melodica. Ma il ritmo latente è ancora quello di una marcia, attenuata ma implacabile, che proprio nelle ultime battute, in fortissimo, rompe drammaticamente l’idillio. Invece il Rondò, che segue senza soluzione di continuità, è pervaso da un carattere di danza campestre assai simile a quello del finale della Sonata op. 28; solo la sezione centrale, in minore e in cui il violino dialoga ancora col fagotto, si vela di mestizia. La conclusione, poi, ha sorprendenti affinità con quella della Sesta Sinfonia: dopo un lungo giubilare di figure ascendenti
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e discendenti, il violino ripete ancora una volta in pianissimo il tema principale − nella sinfonia sarà il corno a ripeterlo −, improvvisamente interrotto da due accordi fortissimo dell’intera orchestra.
La Sinfonia Pastorale comparve con un sottotitolo famoso il cui intento era, come si è accennato sopra, quello di prendere le distanze dal genere della “sinfonia a programma”: Mehr Ausdruck der Empfindung als Malerei (Più espressione del sentire che pittura); si noti che la parola tedesca Empfindung viene di solito resa in italiano con “sentimento”, traduzione decisamente orientata a un’interpretazione romantica, mentre il suo significato primario è “sensazione” (qui reso con “sentire”): la risposta fisiopsicologica a stimoli esterni, mentre il sentimento (Gefühl) nasce dall’interiorità umana. Infatti il titolo del primo movimento recita: “Piacevoli e vivaci sensazioni (Empfindungen) che si risvegliano nell’uomo all’arrivo in campagna”, quello dell’ultimo: “Canto del pastore. Benefici sentimenti (Gefühle) di ringraziamento alla Divinità dopo la tempesta”. Nello stesso ordine di idee vanno interpretati i titoli, decisamente più descrittivi, dei movimenti intermedi: “Scena al ruscello”, “Allegra riunione di contadini”, “Tuono, tempesta”: il compositore non vuole “dipingere” questi eventi, bensì comunicare all’ascoltatore il loro riflesso nell’animo dell’uomo. D’altronde molti di essi sono di per sé fatti sonori, dal mormorio delle acque al vociare e alle danze dei contadini, dal canto degli uccelli a quello del pastore, per non parlare del tuono e del vento. Per tradurli in musica Beethoven adotta procedimenti inconsueti per lui (saranno invece tipici del linguaggio di Schubert): i motivi non sono sottoposti a elaborazione ma, una volta presentati, sono ripetuti più e più volte in forme appena modificate. La parte centrale del primo movimento, come al solito in forma sonata, è solo nominalmente uno “sviluppo”: una volta presentato un motivo, questo si ripete all’infinito su sfondi armonici statici che, apparentemente senza connessione, lasciano posto ad altri altrettanto prolungati. Sugli stessi principi è costruita la Scena al ruscello. Se nel Beethoven eroico il soggetto implicito è la Storia, il divenire umano che è essenzialmente conflitto, sforzo, qui il soggetto è la Natura, in eterno uguale a sé stessa, nel cui grembo anela a tornare l’uomo provato dagli affanni della civiltà; è, questo, un tema assai vivo nella cultura del tardo Settecento e del primo Ottocento: Le stagioni di Haydn, del 1801, ne è un’espressione tipica. La Pastorale si distingue dalle sue otto sorelle − e dai modelli haydniani e mozartiani − per essere divisa in cinque, anziché quattro, movimenti. Anomalia peraltro relativa,
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che si riduce all’aggiunta alla struttura usuale della rappresentazione della tempesta. Più importante è osservare che la sinfonia presenta una divisione di ordine superiore: i primi due movimenti sono “quadri” in sé compiuti e autonomi, rappresentano, non raccontano; gli ultimi tre, invece, costituiscono un trittico unitario di carattere quasi narrativo: ciò che si coglie dalla loro successione è il “racconto” di una situazione di armonia rotta da un evento terribile, a sua volta superato dall’instaurazione di un’armonia superiore. Quel pericolo indistinto che incombeva sulla serenità del Concerto si manifesta ora con una potenza incontrollabile: è ciò che Kant chiama il “sublime dinamico”, la rappresentazione di eventi naturali − “le nuvole di temporale che si ammassano in cielo tra lampi e tuoni [...] e gli uragani che si lasciano dietro la devastazione” − che suscitano timore ma, proprio perché rendono l’uomo consapevole della propria limitatezza, lo fanno sentire superiore alla natura inanimata in quanto essere razionale dotato di “principii supremi”: Solo quando è cosciente delle sue rette intenzioni, che sa grate a Dio, quegli effetti della potenza divina possono suscitare nell’uomo l’idea della sublimità di sentire conforme alla volontà di lui, e si eleva al disopra della paura davanti a questi avvenimenti naturali, che non considera più come sfoghi della sua collera (Critica del Giudizio, trad. A. Gargiulo, Bari, 1970, p. 115).
Il movimento finale ha toni manifestamente religiosi, esaltati dall’impiego di due tromboni, strumenti tipici della musica sacra. Si noti che, nello spirito del deismo illuministico, il Canto di ringraziamento non è rivolto al Dio della religione rivelata (Gott), bensì alla Divinità (Gottheit), al principio divino universale che governa il creato. Il riferimento religioso ci incoraggia a confrontare questo “racconto” con quello implicito in un momento assai più tardo della creatività beethoveniana: l’ultima sezione, “Dona nobis pacem”, dell’Agnus Dei che conclude la Missa solemnis (1823), a cui Beethoven appose la didascalia “Preghiera per la pace interiore ed esteriore”. Per due volte la serenità pastorale viene rotta da minacciosi suoni di guerra, cui le voci reagiscono tornando a implorare, “con paura”, “miserere nobis”; seguono la rappresentazione stilizzata di una battaglia e, con la ripresa della musica pastorale, il ritorno alla pace. Il riferimento alla contemporaneità è qui fin troppo esplicito: tutti sapevano quanto effimera fosse la pace della Restaurazione. Ma di quali eventi terribili
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ci parla la Pastorale? V’è stato chi ha voluto proporne una lettura “politica”, secondo cui la tempesta rappresenterebbe metaforicamente l’irrompere della Rivoluzione francese a sconvolgere l’ordinato mondo dell’antico regime (cfr. Roland Schmenner, Die Pastorale. Beethoven, das Gewitter und der Blitzableiter, Kassel 1997). Senza dover necessariamente accettare questa tesi, se si pensa agli anni in cui furono composti il Concerto per violino e la Pastorale (nel 1805, dopo Austerlitz, Vienna era stata occupata dall’armata francese, e lo sarà di nuovo nel 1809), si comprende quanto il contesto storico sia importante per dare un senso anche alle pagine musicali apparentemente più astratte. Ciò offre lo spunto per riflettere sull’eredità della Pastorale in età romantica. Facciamo riferimento a due composizioni tanto diverse quanto l’ouverture del Guillaume Tell di Rossini (1829, alla vigilia di una rivoluzione) e il poema sinfonico Les Préludes di Liszt (1849-55, all’indomani di un’altra). Entrambe raccontano di una situazione rispettivamente di inquietudine e di speranza lacerata dallo scatenarsi di una tempesta; l’uomo reagisce al trauma rifugiandosi nella pace della natura − in Rossini, come in Beethoven, un ranz des vaches, cioè un’autentica melodia alpestre; in Liszt un Allegretto pastorale −, dove trova le forze per il riscatto politico e personale. Per di più, nel Tell il ciclo si ripete nel finale dell’opera, dove la celebrazione della libertà conquistata assume toni decisamente religiosi. Ben diversa la storia narrata dalla Seconda Ballata op. 38 (1839) di Chopin. Il movimento base, Andantino, è ancora una volta, inequivocabilmente, una pastorale due volte interrotta da un evento tempestoso (Presto con fuoco). Tuttavia l’ultima ripresa dell’Andantino si ripiega su sé stessa, chiudendo la Ballata, con un gesto enigmatico, nel giro di poche battute. Il ritorno alla natura non basta a rimarginare il trauma: sta tutta qui la differenza tra l’ottimismo ancora illuministico di Beethoven, che si prolunga nel romanticismo umanitario di Rossini e di Liszt, e la disillusione di Chopin, che guarda già al pessimismo del tardo Ottocento.
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Gustav Klimt Fregio di Beethoven (muro a destra), 1902. Affresco. Belvedere, Vienna, Austria
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Paolo Petazzi Ha insegnato Storia della Musica al Conservatorio di Milano, svolgendo anche attivitĂ di critico musicale. Il suo campo di studi riguarda prevalentemente la musica dei secoli XIX e XX. Ăˆ autore, fra l’altro della prima monografia italiana su Berg (Milano 1977) e di un libro sulle sinfonie di Mahler.
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On revient toujours di Paolo Petazzi
Si intitola On revient toujours un breve testo di Schönberg da cui si può avviare qualche riflessione su un programma che accosta la sua seconda Sinfonia da camera op. 38 (un pezzo tonale scritto in buona parte nel 1906, su cui l’autore ritornò nel 1939), il Siegfried-Idyll (1870) di Wagner e il secondo Concerto per violino op. 63 (1935), composto da Prokofiev alle soglie del definitivo ritorno in patria. Nell’ultima parte di On revient toujours, testo che il “New York Times” pubblicò il 19 dicembre 1948, e che fu poi accolto nel volume Style and idea (1950), si legge: «Quando terminai la mia prima Kammersymphonie op. 9 dissi agli amici: “Ora ho stabilito il mio stile. Ora so come devo comporre”. Tuttavia nelle opere successive deviai notevolmente da quello stile e fu il primo passo verso il mio stile attuale. Il destino mi ha spinto in questa direzione: non ero destinato a continuare alla maniera di Notte trasfigurata o dei Gurrelieder o persino di Pelleas und Melisande. Il Comandante Supremo mi ha prescritto una strada più ardua. Tuttavia il desiderio di tornare al vecchio stile fu sempre forte in me, e di tanto in tanto ho dovuto cedere a questo impulso. Ecco come e perché scrivo talora musica tonale». Tonale è la Sinfonia da camera op. 38, portata a termine, come vedremo, dopo altri lavori del 1935-38, composti nei primi anni dell’esilio americano e in diverso modo segnati dal “desiderio di tornare al vecchio stile”. La presenza in questo ciclo di concerti della prima e della seconda Kammersymphonie (Sinfonia da camera) offre un esempio della complessità non lineare del percorso di ricerca di Schönberg, su cui ritorneremo a proposito del concerto del ?? La “strada più ardua” intrapresa dopo la prima Sinfonia da camera op. 9 comportava l’emancipazione della dissonanza e il superamento della tonalità, e riguardava anche molti altri aspetti del linguaggio musicale, sotto il segno di una tensione all’essenzialità e alla interiorizzazione. Schönberg rimise allora in discussione le strutture formali della tradizione e le recuperò poi, ovviamente su un altro piano, con l’adozione 55
della dodecafonia. Nel suo complesso percorso di ricerca sfidò sempre difficoltà e insuccessi con lo spirito di chi compie una missione. Non si contano le dichiarazioni (spesso di tono religioso, come l’allusione al Comandante Supremo nel testo sopra citato) sulla “necessità” di tale missione, in ogni fase di questo percorso. Costante, e sempre ribadita, è anche la consapevolezza di Schönberg del proprio rapporto con la storia e la tradizione. Egli riteneva che ogni novità avesse come presupposti esperienze del passato, riconosceva le proprie radici in Bach, Mozart, Beethoven, Wagner, Brahms, dei quali si sentiva il continuatore nell’ambito della tradizione tedesca, sulla cui storica superiorità non aveva dubbi. In un testo del 1931, Musica nazionale, riassume i propri “debiti” nei confronti di questi compositori e aggiunge: “Ho imparato molto anche da Schubert, e pure da Mahler, Strauss e Reger”. Wagner e Brahms sono citati insieme, anche se erano stati il punto di riferimento di fazioni aspramente contrapposte: proprio Schönberg con una conferenza del 1933 poi ampliata in un testo scritto, Brahms il progressivo, diede un contributo a cancellare l’immagine di un Brahms capofila dei conservatori che era stata un luogo comune negli ultimi decenni dell’Ottocento. Quanto a Wagner, è consuetudine citare Tristan und Isolde come momento importante nelle vicende che portarono all’allargamento e alla dissoluzione del linguaggio tonale. Si tratta di un luogo comune fondato, purché si tenga conto del fatto che quelle vicende furono complesse e ovviamente non riconducibili al solo Tristan, senza dimenticare che in questo capolavoro il cromatismo è inseparabile da un preciso disegno drammaturgico ed espressivo. Siegfried fu composto prima, durante e dopo la lunga parentesi dedicata a Tristan (1857-59) e ai Meistersinger (1861-63 e 1866/67): i primi due atti risalgono al 1856/57, ma furono ripresi, rielaborati e sistemati in partitura tra il dicembre 1864 e il dicembre 1865, infine dal febbraio 1869 al febbraio 1871 fu scritto il terzo atto.
Un dono di compleanno Finito entro il 4 dicembre 1870 e offerto a Cosima il 25 dicembre per festeggiarne il trentatreesimo compleanno, il Siegfried-Idyll aveva un titolo diverso molto più lungo e ricco di private allusioni personali, ed era stato eseguito da una quindicina
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di musicisti diretti da Wagner nella villa di Tribschen (presso Lucerna) dove egli e Cosima vivevano: un regalo di compleanno e una testimonianza della felice tranquillità che il compositore aveva trovato nel rapporto con la donna da cui aveva avuto anche il primo e unico figlio maschio, Siegfried (nato il 6 giugno 1869). Il titolo del privatissimo omaggio a Cosima era pieno di allusioni alla vita familiare: “Idillio di Tribschen con canto d’uccelli per Fidi [Siegfried] e aurora arancione [che figurava sulla carta da parete della stanza di Cosima] come saluto sinfonico per il compleanno”. Cosima e Wagner avrebbero voluto evitare che il symphonischer Geburtagsgruß uscisse dalla sfera privata: tuttavia, anche per necessità economiche, fu stampato nel 1878 con il titolo Siegfried-Idyll, riferibile sia al nome del figlio Siegfried, sia all’opera da cui provengono quasi tutti i temi. In una lettera al re di Baviera, Ludwig II, del 10 febbraio 1878, Wagner scrisse di aver consentito la pubblicazione perché di questo pezzo si sentiva “un poco vanitoso”, e lo diresse in diversi concerti. L’organico prevede solo un flauto, un oboe, due clarinetti, fagotto, due corni, tromba e gli archi, che nell’esecuzione domestica erano necessariamente limitati, ma che nei concerti erano quelli di una normale orchestra da camera. I temi principali appartengono alla parte conclusiva del terzo atto, al momento in cui Brünnhilde sta per superare l’angoscia e per abbandonarsi a Siegfried. Il primo si profila già nella breve introduzione, ed è quello che nel terzo atto appare per la prima volta sulle parole “Ewig war ich/ ewig bin ich” (Eterna ero, eterna sono vv. 2595-98 ), evocando la infinita dolcezza con cui Brünnhilde volge lo sguardo a Siegfried (subito dopo lo definisce “tesoro del mondo” con un’altra idea che, come vedremo, è di grande rilievo nel Siegfried-Idyll). Tutto il materiale tematico del Siegfried-Idyll, con la sola eccezione del secondo tema, proviene da musica preesistente e comporta anche segrete, private allusioni alla vita di Wagner e Cosima e al loro legame; ma questo poema sinfonico è forse la più affascinante pagina puramente strumentale di Wagner, indipendentemente dal suo programma segreto e anche dal rapporto con il terzo atto del Siegfried: riconoscendo tale rapporto possiamo cogliere la rara intensità poetica con cui quel materiale tematico rivive e liberamente si espande in un percorso formale non convenzionale. Peraltro proprio i due temi principali erano stati concepiti molto prima del terzo atto, fin dal 1864, come dimostrano alcuni schizzi di destinazione al momento indeterminata, forse per un lavoro strumentale cui Wagner pensava allora
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in modo vago. E del 31 dicembre 1868 è una ninna-nanna infantile scritta per la figlia Eva e ripresa come terzo tema nell’Idillio (pensando all’ultimo figlio). Il percorso formale sembra avviarsi come l’esposizione di un pezzo in forma sonata, con un primo tema (la dolcissima idea già citata), un secondo tema alla dominante (l’unico di cui non si conoscono fonti precedenti) e un tema conclusivo (la melodia della ninna-nanna citata, un poco modificata e affidata all’oboe). La sezione centrale, però, non è affatto uno sviluppo: l’avvenimento determinante è l’apparizione di un nuovo tema, quello di “Siegfried tesoro del mondo”, che assume il ruolo di secondo protagonista del pezzo, insieme con il tema iniziale con cui proseguendo si combina in un intenso intreccio contrappuntistico. La sezione centrale prosegue poi con un altro tema nuovo, quello che Wagner chiamava “Jubelthema”, il tema giubilante che appare quando Brünnhilde si abbandona e che nell’opera come nell’idillio è affidato ai corni. Nell’Idillio è accostato a canti di uccelli dal secondo atto. La sezione centrale culmina in una apoteosi, in cui si combinano ancora una volta insieme i due temi principali. Nella successiva transizione echeggiano di nuovo canti di uccelli. Si ha poi una ripresa, sensibilmente variata rispetto all’esposizione, e una breve coda in cui lentamente risuonano ancora i due temi principali, “Siegfried tesoro del mondo” e l’infinita dolcezza del primo tema, a suggello di un pezzo che sembra evocare una sospesa, trasognata felicità
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“… fui il primo ad eseguire opere di Schönberg in Russia”
Schönberg e Prokofiev non ebbero rapporti personali né occasioni significative di incontro, erano sostanzialmente estranei; ma ci fu un momento in cui il compositore russo appena ventenne si interessò del maestro austriaco. Lo ricorda nella versione breve della sua Autobiografia (scritta nel 1941), con riferimento agli anni 1910-12: già diplomato in composizione (nel 1909), frequentava ancora al Conservatorio di San Pietroburgo le lezioni di direzione d’orchestra di Nicolaj Čerepnin e di pianoforte di Anna Essipova; ma aveva già una attività concertistica: «Continuai a suonare alle “Serate di Musica Contemporanea” di San Pietroburgo. Oltre ai miei lavori suonavo nuova musica di compositori occidentali e fui il primo ad eseguire opere di Schönberg in Russia». La notizia trova conferma nei ricordi di Stravinskij, che conversando con Robert Craft cita il concerto pietroburghese del giovane Prokofiev (cui peraltro non poté assistere), indicando la data 1911 e precisando che aveva interpretato il primo e il secondo dei Tre Pezzi op. 11, uno dei capolavori composti da Schönberg nello straordinario slancio creativo del 1909. L’epoca del secondo Concerto per violino è tuttavia lontana dagli anni in cui con le proprie musiche e con quelle di altri autori il giovane Prokofiev aveva spesso diviso le opinioni del pubblico e destato accuse di eccesso di dissonanze, “barbarie” o “futurismo”. Nel corso degli anni ’30 egli aveva temperato gli aspetti più aspri e tesi del suo linguaggio giovanile, già tempo prima di decidere di tornare in patria. Il 1935 fu l’anno della decisione definitiva: la carriera in Occidente di Prokofiev come compositore e pianista non aveva avuto gli esiti sperati. Nell’estate 1935 trascorse le vacanze in Unione sovietica, preparando il ritorno che ebbe luogo nell’inverno successivo. In precedenza aveva accettato la commissione del violinista francese Robert Soetens per un nuovo lavoro su cui il committente aveva chiesto l’esclusiva per un anno. Il secondo Concerto op. 63 era finito in agosto. Prokofiev ne parla nella già citata Autobiografia, ricordando che intendeva scrivere un
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Concerto completamente diverso dal suo primo (op. 19, 1916-17), e racconta: «Lo scrissi in molti luoghi diversi, e la varietà dei luoghi riflette la mia vita di concertista nomade a quell’epoca: il tema principale del primo movimento fu scritto a Parigi, il primo tema del secondo movimento a Voronež, e finii l’orchestrazione a Baku, mentre la prima esecuzione ebbe luogo a Madrid nel dicembre 1935. Faceva parte di una tournée di concerti molto interessante che feci insieme a Soetens in Spagna, Portogallo, Marocco, Algeria e Tunisia. Oltre a lavori miei suonammo sonate per violino e pianoforte di Debussy e Beethoven”. La data della prima esecuzione fu 1 dicembre 1935. Il solista era ovviamente Soetens, dirigeva Enrique Fernandez Arbos. Nell’autunno 1935 Prokofiev aveva anche iniziato la musica per il balletto Romeo e Giulietta, finita nel 1936, in diversi aspetti vicina al Concerto non solo cronologicamente. Si è visto che con l’op. 63 intendeva scrivere un concerto per violino sensibilmente diverso dal primo op. 19, finito 18 anni prima. Già in questo avevano grande evidenza gli aspetti lirici della vena del compositore, che sono molto in rilievo anche nel secondo. Il solista ha in entrambi un ruolo predominante; ma nel secondo il virtuosismo è meno aggressivo, l’articolazione in tre tempi è più vicina alla forma tradizionale, sono assenti i caratteri ironici, demoniaci, grotteschi dello Scherzo dell’op. 19. Pur nella continuità della vena lirica, colori e linguaggio appaiono più distesi nell’op. 63. Il primo tempo è un “Allegro moderato” in forma sonata, dal carattere liricoriflessivo. Il protagonista assoluto, il violino, inizia da solo con una melodia in sol minore dal vago profumo russo, il secondo tema (separato dal precedente da una breve transizione più rapida) si mantiene nella sfera di un tranquillo lirismo con una fluente cantabilità che fa presagire il fascino di alcune idee del Romeo e Giuletta. Nello sviluppo, dal carattere tendenzialmente rapsodico, appare anche nuovo materiale tematico. La ripresa è variata: ad esempio il primo tema ritorna questa volta in orchestra. Una tranquilla felicità lirica permea il secondo tempo, “Andante assai” in 12/8, tripartito, con al centro un seducente “Allegretto” più mosso. A partire dalla felice melodia d’apertura tutto il brano è dominato dalla linea flessibile e fantasiosa del violino solista. Come in un concerto classico, il terzo tempo è in forma di rondò. Questo “Allegro ben marcato” si discosta dal tono lirico-contemplativo (talvolta di vaga, riflessiva
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malinconia) dei primi due tempi. Il tema principale ha un piglio di robusta danza contadina, dalla marcata energia ritmica. Si alterna a variegati episodi, fino alla rapida coda dalla conclusione “tumultuosa”.
Ventidue anni dopo: la Sinfonia da camera op. 38 In una breve introduzione all’ascolto della seconda Sinfonia da camera Adorno ricorda che Berg gli aveva raccontato meraviglie di un grande Adagio in mi bemolle minore, da lui considerato una delle cose più affascinanti di Schönberg, che evidentemente lo aveva mostrato all’allievo (Berg aveva studiato con lui dal 1904 al 1911) prima di aver portato a termine il pezzo. Eppure questa pagina, che era il primo tempo della Sinfonia da camera op. 38, e nel 1907 era quasi finita, trovò compimento solo nel 1939 e fu eseguita per la prima volta alla Carnegie Hall di New York il 15 dicembre 1940 dal complesso per cui era stata commissionata, la “Orchestra of the New Friends of Music” diretta da Fritz Stiedry. Ci sono nel catalogo di Schönberg lavori di grandissimo rilievo che rimasero incompiuti, come l’oratorio Die Jakobsleiter e i primi due atti del Moses und Aron. La seconda Sinfonia da camera ebbe un destino singolare e giunse a compimento in un contesto lontanissimo da quello in cui era stata in buona parte concepita, quando ormai il compositore si era stabilito negli Stati Uniti (era sbarcato a New York il 31 ottobre 1933), in California, e insegnava a Los Angeles, senza alcuna prospettiva di tornare in Europa. Fin dai primi abbozzi si era delineato per la seconda Sinfonia da camera un carattere molto diverso dalla prima op. 9, che, composta nel 1905-6, era parsa a Schönberg e agli allievi una tappa fondamentale, un punto d’arrivo. La aveva finita nell’agosto 1906, e un mese dopo iniziò la seconda, progettata in più tempi, invece che in un unico blocco, ma sempre con un organico veramente cameristico: la prima era per quindici strumenti soli, la seconda doveva essere per diciotto e alla fine invece fu destinata a una piccola orchestra da camera. Nel corso del 1907/8 la “necessità interiore” della ricerca di Schönberg lo condusse
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ad approfondire nuove direzioni di ricerca e a bruciare le tappe, mettendo in discussione la tonalità tradizionale nell’ultimo tempo del secondo Quartetto op. 10 (dove un soprano canta i versi di Entrückung di George “Sento l’aria di altre sfere”) e nei Lieder su testo di George. La vertiginosa rapidità con cui si succedettero i pezzi portati a termine nel 1908/9 in una vera e propria esplosione creativa portò Schönberg a mettere da parte la seconda Sinfonia da camera, che fu interrotta dopo che era stato sostanzialmente finito il primo movimento, e dopo 86 battute del secondo (corrispondenti alla esposizione). Negli schizzi di Schönberg si trovano tracce di tentativi di ritornare sul lavoro interrotto tra il 1911 e il 1916. Pensò anche a un terzo tempo e scrisse un testo da recitare, per farne un melologo. Il testo illustra il disegno espressivo dell’insieme della seconda Sinfonia da camera. La spinta a portarla a termine, rinunciando al terzo tempo, venne tuttavia nel 1939: un vecchio amico, anch’egli in esilio, Fritz Stiedry, gli chiese di scrivere un pezzo per l’orchestra di New York che dirigeva, quella dei “New Friends of Music”. Schönberg si attenne all’organico di una piccola orchestra tradizionale, rinunciando all’idea originaria degli strumenti soli; ma dal punto di vista compositivo riprese quasi alla lettera ciò che aveva scritto nel 1906, e portò a termine il pezzo in due movimenti. Ci fu una spinta occasionale; ma determinante è il fatto che il ritorno alla seconda Sinfonia da camera coincide con la fase della avanzata maturità in cui Schönberg appare incline a ripensamenti retrospettivi, quelli cui ebbe ad accennare egli stesso nel citato On revient toujours. Nel 1934 aveva scritto per un’orchestra studentesca la Suite in Olden Style for String Orchestra (tonale anche per facilitare il compito degli esecutori cui era destinata). Nel Concerto per violino op. 36 (1934-36) e nel Quartetto n. 4 op. 37 (1936) il maturo dominio della tecnica dodecafonica si incontra con una vocazione retrospettiva. Nel 1937 aveva orchestrato il Quartetto con pianoforte op. 25 di Brahms, nel 1938 aveva composto Kol Nidre op. 39. Seguirono nel 1941 le Variazioni sopra un recitativo per organo op. 40 e nel 1942 l’Ode to Napoleon op. 41 e il Concerto per pianoforte op. 42. In questo contesto la seconda Sinfonia da camera è un lavoro di particolare rilievo: osservando le altre opere di quel periodo si capisce come Schönberg potesse, senza compromessi, riprendere in mano nel 1939 un frammento del 1906. Già nel 1906 (come poi nel Quartetto op. 10 del 1907-8) aveva rinunciato alla concezione formale in un unico blocco che aveva sperimentato nel Quartetto op. 7 e nella prima
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Sinfonia da camera (e che era uno degli aspetti determinanti della incandescente densità e complessità di questo capolavoro). È tuttavia singolare la disposizione dei due tempi dai quali nella sua forma definitiva la seconda Sinfonia da camera è costituita. Il primo è un Adagio in forma tripartita e coda (ABA’-Coda), e il secondo, “Con fuoco”, ha il carattere di uno Scherzo, ma è costruito in forma sonata, con esposizione, sviluppo, ripresa e coda. In una sinfonia tradizionale questi pezzi potrebbero collocarsi al centro, come secondo e terzo tempo: formano in ogni caso un tutto compatto, cui conferisce unità la conclusione elaborata da Schönberg nel 1939. Nel primo tempo (databile quasi per intero 1906) il tono appassionato e i colori scuri si collegano idealmente ad altre grandi pagine del giovane Schönberg (soprattutto ad alcuni aspetti del vicino secondo Quartetto op. 10). Nel clima espressivo prevale nettamente una desolata cupezza, che sembra collocarsi all’estremo opposto dello slancio impetuoso della precedente Sinfonia da camera op. 9. I temi principali sono entrambi articolati in più sezioni e comprendono idee diverse, rivelando una costante, complessa elaborazione interna (un aspetto dell’eredità di Brahms). Non meno complesso, ma di carattere più mosso, inizialmente più lieve, e più ricco di tensioni e contrasti, è il rapido “Con fuoco”, che si svolge con sviluppi di rara sapienza contrappuntistica e che alla fine, nella Coda, rallenta fino a “Molto Adagio” e chiude in modo compatto la sinfonia rievocando materiali del primo tempo, in una conclusione poeticamente frammentata e intensa, che ci riporta inesorabilmente ad un clima di desolata cupezza. Qui sembra inverarsi compiutamente il clima tragico che era stato annunciato dal cupo lirismo dell’inizio.
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Gustav Klimt L'albero della vita, 1905 - 09. Fregio di Palazzo Stoclet, Vienna, Austria
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Paolo Petazzi Ha insegnato Storia della Musica al Conservatorio di Milano, svolgendo anche attivitĂ di critico musicale. Il suo campo di studi riguarda prevalentemente la musica dei secoli XIX e XX. Ăˆ autore, fra l’altro della prima monografia italiana su Berg (Milano 1977) e di un libro sulle sinfonie di Mahler.
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Vienna fin de siècle di Paolo Petazzi
La città che Karl Kraus definì “stazione metereologica della fine del mondo” fu tra gli ultimi decenni del secolo XIX e l’inizio del primo conflitto mondiale un osservatorio privilegiato dove il senso della fine imminente rendeva più acuto lo sguardo e più profonda la consapevolezza dell’angoscioso disgregarsi della realtà, fu il punto nevralgico della cultura europea tra i due secoli in ogni ambito. In quello musicale tornò per la prima volta a ospitare una straordinaria costellazione di compositori (Mahler, Schönberg, Webern, Berg, senza dimenticare Zemlinsky e Schreker) quale la capitale asburgica non aveva più visto dai tempi di Haydn, Mozart, Beethoven e Schubert. Dopo il 1828, l’anno della morte di Schubert, e prima che iniziasse, nel 1862, il rapporto di Brahms con Vienna, dove egli si stabilì nel 1871, nessuno dei protagonisti musicali dell’epoca studiò o visse nella capitale asburgica o vi ebbe incarichi stabili: Chopin, Liszt, lo stesso Schumann vi passarono soltanto. Brahms non aveva a Vienna un ruolo ufficiale, da quando, nel 1875, volle rinunciare alla direzione dei complessi e dei concerti della Gesellschaft der Musikfreunde (compito che aveva assunto nel 1872), e non ebbe incarichi di insegnamento; ma era una autorità e un punto di riferimento, e, pur essendo alieno da posizioni polemiche, si trovò suo malgrado ad apparire vessillifero della grande tradizione in antitesi a Wagner, alla scuola neotedesca e a Bruckner, che pure era un uomo schivo, isolato ed estraneo a dispute e conflitti, ma in Vienna l’unico che una minoranza di ammiratori poteva contrapporre a Brahms. Il più autorevole critico musicale e musicologo a Vienna, Eduard Hanslick, che aveva anche la cattedra di storia della musica all’Università, era risolutamente brahmsiano e antiwagneriano, e non si contavano i “brahmini” (così venivano scherzosamente chiamati gli ammiratori di Brahms) tra i professori del Conservatorio. Per chi si formava al Conservatorio di Vienna assimilare la lezione di Brahms poteva essere naturale: non lo fu per Wolf e Mahler, mentre fu così per Alexander Zemlinsky 67
(1871-1942), che Brahms, dopo averne conosciuto i primi lavori, volle incontrare e che aiutò a pubblicare il Trio op. 3 (1896) per clarinetto, pianoforte e violoncello. Ma Zemlinsky conosceva e ammirava anche Wagner, e la duplice influenza dei due grandi caratterizzò la sua formazione e anche quella del giovane autodidatta con cui aveva fatto amicizia dandogli molti consigli, Arnold Schönberg (1874-1951), e poi naturalmente la formazione degli allievi di Schönberg, a cominciare da Berg e Webern. Molti anni dopo, nel 1949, in un testo dal titolo My evolution, Schönberg ricorda: «Quando incontrai Zemlinsky, divenni “brahmsiano”. Il suo amore abbracciava sia Brahms che Wagner, e ben presto divenni anch’io un loro convinto seguace». E ad una conferenza del 1933 (nel centenario della nascita), poi ampliata e pubblicata, Schönberg diede il titolo Brahms il progressivo. Non si orientavano certo nella direzione del superamento (davvero viennese) dell’antitesi Wagner-Brahms due compositori nati undici anni prima di Zemlinsky che si iscrissero nel 1875 al Conservatorio di Vienna, due quindicenni che furono per qualche tempo amici e che provenivano entrambi dalla provincia, Hugo Wolf (1860-1903) dalla Slovenia e Gustav Mahler (1860-1911) dalla Boemia. Proprio nel 1875 Wagner fu a Vienna, in novembre e dicembre, per curare la regia di Tannhäuser e Lohengrin: per Wolf fu una folgorazione. All’amore per Wagner corrispose un odio viscerale per Brahms, costantemente oggetto di aggressive stroncature nel “Wiener Salonblatt”, cui Wolf collaborò dal 1881. Quella “economia di mezzi, e insieme ricchezza”, la cui essenzialità Schönberg ammirava nella originale “prosa musicale” di Brahms, per Wolf era solo accademica carenza di idee, mentre venerava Wagner e Bruckner. La mancanza di chiarezza che Hanslick rimproverava a Bruckner diveniva per Wolf un segno di originalità e grandezza (“lotta ancora con l’idea e così oscilla per metà in Beethoven e per metà nelle moderne prospettive”). Wolf si fece cacciare dal Conservatorio nel 1877 e non si integrò mai nell’ambiente viennese. La malattia che gli distrusse la mente e lo condusse a morte prematura gli concesse non più di un decennio di creatività (1888-1897), in cui si alternavano fasi felicemente intense e silenzi. Non poté affermarsi nel teatro musicale, come avrebbe voluto, nonostante l’alta qualità del suo Corregidor (il cui soggetto è tratto dalla stessa novella di Alarcón che servì a Falla per il Cappello a tre punte); ma i suoi Lieder sono il vertice conclusivo nella storia del Lied romantico. Problematico, ma molto più complesso e ricco di sfaccettature diverse fu il rapporto
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di Mahler con Vienna: portati a termine i suoi studi in Conservatorio tra il 1875 e il 1878, cominciò a lavorare a Das klagende Lied (che Quirino Principe traduce “Il canto del lamento e dell’accusa”, mettendo in luce il doppio significato del verbo klagen), di cui scrisse anche il testo. Nel 1881 presentò questa geniale cantata (finita entro fine ottobre 1880) al Premio Beethoven a Vienna, senza ottenere alcun riconoscimento. Tra i membri della giuria c'erano Brahms, Hans Richter, Karl Goldmark, Josef Hellmesberger: fu premiato Robert Fuchs (musicista che fu tra i più autorevoli insegnanti del Conservatorio e che, come il fratello Johann Nepomuk, ebbe tra gli allievi Zemlinsky e Schreker). Ignorando l’eccentrica originalità del Klagende Lied, si preferì un autore di solida ortodossia brahmsiana. Fu quella la prima occasione di rottura tra Mahler e Vienna. A Natalie Bauer-Lechner egli disse, una ventina d’anni dopo, che la sconfitta aveva determinato la sua carriera di direttore d’orchestra. Per Mahler divenne una consuetudine lamentarsi di essere stato distolto dalla composizione dall’attività direttoriale e da quella che egli considerava la schiavitù del teatro. Certamente gli costò un enorme dispendio di energie dividersi tra attività diverse, in alcuni anni anche di natura organizzativa. Difficile dire fino a che punto questa “schiavitù” sia stata anche una scelta: in ogni caso l’attività del compositore si nutrì in una certa misura di quella del direttore, che non interruppe mai. La prima fase della carriera tenne Mahler lontano da Vienna, lo portò a Lubiana, Olomouc, Kassel, Praga, Lipsia, Budapest e culminò nell’intenso impegno ad Amburgo dal 1891 al 1897. Dal 1896 si fecero sempre più gravi i conflitti con il direttore del teatro di Amburgo, Bernhard Pollini. Mahler, ormai affermatissimo come direttore, aveva chiara la meta cui tendere, e si intensificarono i contatti per preparare una chiamata a Vienna. Era destinata a facilitarla la conversione al cattolicesimo nel febbraio 1897, una scelta che non confliggeva con la sostanziale estraneità di Mahler ad ogni religione rivelata e che non lo protesse dal razzismo di chi non avrebbe mai voluto vedere un ebreo sul podio della Hofoper (Opera di corte) di Vienna, allora forse il teatro più importante nei paesi di lingua tedesca. Nell’aprile 1897 firmò un contratto per un anno e a Vienna come prima opera diresse il Lohengrin di Wagner l'11 maggio, con un successo trionfale. Il 1897 a Vienna è anche l’anno della morte di Brahms (3 aprile) e della fondazione della Wiener Secession ad opera di Gustav Klimt, Josef Hoffmann, Koloman Moser,
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Carl Moll, Alfred Roller e altri. Bruckner era morto nel 1896, Guido Adler (che fu amico di Mahler e Schönberg) prese il posto di Hanslick all’Università nel 1898 (e con lui si laureò Webern), nel 1899 Schönberg compose Verklärte Nacht (Notte trasfigurata). Basterebbero queste date a far riflettere sul parallelismo tra vita artistica e musicale nella Vienna della fine del secolo, e a spiegare perché si sia cominciato a parlare di una “musica della Secessione”, definizione ardua da precisare e forse discutibile, ma certo preferibile all’abuso del termine “tardoromantico” che un tempo si era soliti riferire a Mahler, Strauss e a molti altri postwagneriani. Nell’ottobre 1897 Mahler venne ufficialmente nominato direttore dell’Opera al posto di Wilhelm Jahn. Nel settembre 1898 assunse anche la direzione dei concerti dei Wiener Philharmoniker, succedendo a Hans Richter (ma la mantenne solo fino al 1901). Il 1901 fu un anno di svolta. Rischiò di morire per una grave emorragia, iniziò la Quinta Sinfonia, compose gli ultimi Lieder su versi tratti dalla raccolta di poesie popolari di Arnim e Brentano Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo), che era stata fino ad allora la fonte principale per i suoi testi, e scrisse i primi Lieder su versi di Rückert. Il 7 novembre 1901 conobbe Alma Schindler, che aveva quasi vent’anni meno di lui, era figlia del pittore di paesaggi Emil Jakob Schindler e dopo la morte del padre aveva avuto come patrigno Carl Moll. Ancora adolescente aveva attirato Klimt (il drastico intervento della madre impedì che ne nascesse qualcosa), studiava composizione con Zemlinsky, che si innamorò di lei e fu per qualche tempo corrisposto. Nei suoi diari Alma parla della nobiltà spirituale di Zemlinsky che l’aveva portata a superarne la scarsa avvenenza, e gli conservò affetto anche dopo aver fulmineamente scelto Mahler, che volle annunciare quasi subito il fidanzamento e la sposò il 9 marzo 1902. Attraverso il patrigno Moll ad Alma erano familiari i protagonisti della Secessione viennese: con loro entrò in rapporto anche Mahler, che fino ad allora si era scarsamente interessato di arti visive. Il 15 aprile 1902 partecipò all’inaugurazione della XIV mostra della Secessione, incentrata sulla statua di Beethoven di Max Klinger e sul celebre fregio di Klimt ispirato alla Nona, dirigendo una trascrizione per fiati di una parte del Finale della Nona di Beethoven. Tra i protagonisti della Secessione ottenne la collaborazione di Alfred Roller come scenografo alla Hofoper. Mahler perseguiva un rinnovamento delle scene e della regia, in una visione unitaria coerente con l’interpretazione musicale. Il primo frutto del loro lavoro fu un nuovo allestimento del Tristan, che andò in scena il 21 febbraio
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1903. Insieme con Roller furono allestiti negli anni seguenti altri capolavori di Wagner e le più note opere di Mozart. A Vienna Mahler presentò la propria Quarta Sinfonia il 18 gennaio 1902, poco dopo la prima esecuzione (Monaco 25 novembre 1901). In seguito, alla fine del 1904, diresse la Terza, nell’ambito della prima stagione della “Vereinigung der schaffenden Tonkünstler” (di cui si farà cenno tra poco) suscitando una profonda impressione in Zemlinsky, Schönberg e nella loro cerchia. Schönberg sentì per la prima volta il bisogno di esprimere a Mahler una ammirazione senza riserve. Mahler aveva stima di Zemlinsky e ne aveva diretto alla Hofoper la seconda opera, Es war einmal, il 22 gennaio 1900, commissionandogliene in seguito un’altra Der Traumgörge (potremmo tradurre “Giorgio il sognatore”) finita nel 1906 e sfortunatissima, perché la rottura di Mahler con la Hofoper e la sua partenza da Vienna ne fecero cancellare la rappresentazione, che ebbe luogo a Norimberga nel 1980, decenni dopo la morte dell’autore. Da anni ormai l’amicizia tra Zemlinsky e Schönberg era sempre più stretta. Erano divenuti anche cognati, quando, il 7 ottobre 1901, Schönberg aveva sposato la sorella di Zemlinsky, Mathilde (cui era già legato). Per due anni aveva insegnato a Berlino; ma era tornato a Vienna e aveva cominciato dall’autunno 1903 a tenere corsi di composizione presso una scuola privata dove ebbe tra gli allievi Webern e Berg. Nel 1904 Zemlinsky e Schönberg fondarono la “Vereinigung der schaffenden Tonkünstler in Wien”, una associazione di compositori per la diffusione della musica contemporanea a Vienna. Su consiglio di Guido Adler offrirono a Mahler la presidenza onoraria: nel contesto delle attività dell’associazione oltre alla Terza di Mahler furono presentati il 29 gennaio 1905 i suoi Lieder composti tra il 1901 e il 1905, gli ultimi da Des Knaben Wunderhorn, i Kindertotenlieder e altri quattro Lieder su testo di Rückert. Pochi giorni prima, il 25 gennaio 1905 Zemlinsky aveva diretto il suo poema sinfonico Die Seejungfrau (La sirenetta, del 1902-3, che traeva ispirazione dalla fiaba di Andersen) e Schönberg un altro poema sinfonico, Pelleas und Melisande, che aveva scritto tra il luglio 1902 e la fine del febbraio 1903 senza sapere nulla dell’opera basata sullo stesso testo di Maeterlinck, cui Debussy aveva cominciato a lavorare nel 1893 e che era andata in scena a Parigi all’Opéra-Comique il 30 aprile 1902. I due pezzi, entrambi in prima esecuzione, rivelarono nelle poetiche
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dei loro autori differenze che presto sarebbero state ancora più nette ed evidenti, e le accoglienze furono molto più favorevoli a Zemlinsky che a Schönberg. Nel corso dello stesso 1905 si constatò l’impossibilità di proseguire l’attività della associazione per mancanza di mezzi. Fino al 1907 comunque non vennero meno i rapporti che si erano stabiliti tra Mahler e la coppia di amici Schönberg Zemlinsky, con i quali secondo la testimonianza di Alma amava discutere. Non fece mai mancare, come vedremo, il suo sostegno (anche pubblicamente esibito) alla musica di Schönberg, nemmeno quando, dopo il Quartetto op. 7, si sentiva perplesso, come accadde con la Kammersymphonie op. 9. Nei primi Lieder che Schönberg ritenne degni di pubblicazione (op.1, 2, 3), come in alcuni Lieder di Zemlinsky si avverte la vicinanza dei due compositori, che si confrontavano con problemi comuni, ad esempio nelle scelte dei testi e nel dilatare con inquietudine gli orizzonti dell’armonia tonale. Nei due grandi lavori orchestrali del 1902-3 il peculiare calore espressivo del giovane Schönberg, la tendenza ad una grande densità, la crescente arditezza di alcune soluzioni fanno avvertire prospettive diverse, che avrebbero presto trovato evidente conferma. La posizione di Zemlinsky all’interno della scuola di Vienna rimase retrospettiva, aliena da scelte radicali, venata, si direbbe, dalla consapevolezza di appartenere a un mondo scomparso o destinato a perire. Le scelte poetiche di Zemlinsky, da Dehmel a Maeterlinck, da Tagore a Wilde, lo mostrano partecipe delle inquietudini e dell’insicurezza del clima di fine secolo: ricorrono, tra le sue scelte testuali, temi come quello degli incerti confini tra realtà e sogno, o del disagio nel rapporto tra arte e vita. E nei suoi legami con il gusto Jugendstil (o della Secessione), nel suo stesso tenersi lontano da soluzioni stilistiche radicali, peculiare di Zemlinsky appare un tono consapevolmente dimesso, spiritualmente ricollegabile alla dimessa desolazione di certo lirismo schubertiano, l’inclinazione a una raffinatezza antieffettistica, quasi a una sorta di understatement compositivo, quella assenza di violenza che è una delle ragioni che rendono forse difficile l’individuazione dei tratti specifici dello stile zemlinskyano (su questa difficoltà e sull’ “eclettismo” di Zemlinsky si sofferma il saggio di Adorno); ma che, nel calore lirico e nella smarrita, sospesa tenerezza, è anche uno dei motivi cui si lega il particolare fascino della voce di Zemlinsky accanto alle altre dell’apocalisse viennese. Del giovane Schönberg tra le opere anteriori alla Kammersymphonie op. 9 ci
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limitiamo a citare Verklärte Nacht op. 4 (Notte trasfigurata) del 1899, un sestetto per archi che fa esplicito riferimento ad una poesia di Richard Dehmel, traendone un programma (la musica da camera nella tradizione era musica “assoluta”),e che rivela, oltre agli influssi di Wagner, Strauss, e della tecnica brahmsiana della “variazione di sviluppo”, un accento personalissimo, un calore espressivo originale, e la vocazione a confrontarsi con la complessa forma di un pezzo di vasto respiro concepito come un unico blocco, senza interruzioni, ma articolato in sezioni diverse. Con lo stesso problema si confronta, con molto maggiore ampiezza, densità e complessità, Pelleas und Melisande op. 5. E il Quartetto op. 7, il primo che Schönberg ritenne degno di pubblicazione, è anch’esso senza interruzione, un pezzo di insolita ampiezza nella cui articolazione la forma sonata si intreccia con i tradizionali quattro tempi, come accade anche nella Sinfonia da camera op. 9, ma per una durata doppia. La prima esecuzione di Verklärte Nacht, composto nel 1899, ebbe luogo a Vienna il 18 marzo 1902. Non ebbe subito il successo che in seguito ne fece uno dei pezzi più noti di Schönberg. L’unico vero grande e incontrastato successo da lui ottenuto con il pubblico viennese fu il 23 febbraio 1913 quello dei Gurrelieder diretti da Franz Schreker, composti tra il 1900 e il 1903, lasciati incompiuti (per mancanza di prospettive di esecuzione) e completati tra il 1910 e il 7 novembre 1911. Schönberg si sentì offeso da quel successo clamoroso, tributato da un pubblico pronto ad applaudire un lavoro anteriore di alcuni anni a quelli che, come i Quartetti op. 7 e 10 e la Sinfonia da camera op. 9 erano stati furiosamente fischiati alla prima esecuzione. Nello stesso 1913 i viennesi accolsero poi nel peggiore dei modi un concerto con la Kammersymphonie di Schönberg e novità di Berg e Webern (fu impossibile portare a termine la serata, che doveva concludersi con i Kindertotenlieder di Mahler). Torniamo alla prima esecuzione di Verklärte Nacht per ricordare che fu interpretata dal Quartetto Rosé con due musicisti aggiunti. Questo quartetto prendeva nome dal primo violino, Arnold Rosè, che era anche l’apprezzatissimo primo violino dell’orchestra della Hofoper, divenne amico di Mahler (fu uno dei suoi testimoni alle nozze con Alma) e fu legato alla sua sorella prediletta, Justine, che sposò nel 1902. Il fratello maggiore di Arnold, Eduard, era violoncellista del quartetto e aveva sposato nel 1898 un’altra sorella di Mahler, Emma. Il Quartetto Rosè interpretò anche, come vedremo, le tempestose prime esecuzioni del Quartetto op. 7 e della Sinfonia da camera op. 9 in due serate vicine, il 5 e l’8 febbraio 1907.
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Una Sinfonia da camera per 15 strumenti soli Schönberg aveva lavorato alla sua prima Kammersymphonie op. 9 per quindici strumenti soli nel 1906 e la finì il 25 luglio durante le vacanze a Rottach-Egern sul Tegernsee (un piccolo lago delle Alpi bavaresi). A distanza di anni Anton Webern raccontò in una delle conferenze del 1932 (pubblicate postume con il titolo Il cammino verso la composizione dodecafonica) che nel 1906 il nuovo pezzo aveva provocato nella cerchia degli allievi una impressione sconvolgente. E Alban Berg, che considerava la Kammersymphonie una pietra miliare nella storia della musica, le dedicò una ampia e approfondita analisi tematica e ne accolse riconoscibili suggestioni nella Sonata op.1 (1907/8), che apre il suo catalogo. La prima esecuzione, come si è detto, ebbe luogo nella grande sala del Musikverein l’8 febbraio 1907, tre giorni dopo quella del Quartetto op. 7 (interpretato dal Quartetto Rosé nella sala piccola). Entrambe le serate ebbero accoglienze fortemente contrastate. Un gruppo di tenaci sostenitori si trovò in conflitto con una parte del pubblico che si scatenò rumorosamente (o uscì) anche durante l’esecuzione. Più violente furono le reazioni suscitate dalla Kammersymphonie, e ancora più gravi in seguito quelle che accolsero il 22 dicembre 1908 il secondo Quartetto op. 10, sempre interpretato dal Quartetto Rosé. Lo stesso complesso prese parte anche alla prima esecuzione della Kammesymphonie in un concerto di un gruppo di affermati strumentisti a fiato dell’orchestra dell’Opera di Corte: in programma c’erano anche la Sinfonia da camera op. 8 di Ermanno Wolf-Ferrari e il “divertissement” per fiati Chanson et Danses op. 50 di Vincent D’Indy. I musicisti suonarono senza direttore, cosa anche oggi assai rara nel caso di un lavoro “da camera” difficile e denso come l’op. 9 di Schönberg: coordinava l’esecuzione il primo violino, Arnold Rosé, con una intelligenza, sicurezza e convinzione che gli valsero una lettera di ringraziamento di Schönberg e che anche alcuni dei molti critici ostili sottolinearono. Nei concerti del 5 e 8 febbraio Mahler si era apertamente schierato dalla parte dei sostenitori: in un articolo di Hans Liebstöckl nell’Illustrirtes Wiener Extra-Blatt del 9 febbraio 1907 si legge: “In un palco stava pallido e con le labbra contratte il
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signor direttore dell’Opera di Corte Gustav Mahler, che già da tempo esercita l’alto protettorato sulla musica degenerata” (entartete Musik, gli stessi vocaboli che non molti anni dopo avrebbero usato i nazisti; ma sembrano da escludere in questo caso implicazioni di antisemitismo). Liebstöckl si indignava perché nella sede carica di illustri memorie storiche del Musikverein si erano ascoltate “orripilanti e insensate dissonanze”, e l’accusa più frequente nelle molte recensioni negative (oggi pubblicate in volume) riguarda proprio l’accumulo di dissonanze: sono tuttavia soprattutto la concentrazione e densità polifonica che rendono davvero impegnativo l’ascolto della Kammersymphonie. La aggrovigliata densità della scrittura polifonica è legata ad una concentrazione formale che comprime nell’arco di poco più di 20 minuti, in un unico blocco senza interruzioni, i quattro tempi della sinfonia. Aveva precedenti illustri (tra l’altro nella Sonata di Liszt e nella storia del poema sinfonico) l’idea di ricondurre ad un’unica struttura, articolata, ma ininterrotta, i quattro tempi di una sinfonia (o di una sonata, o di un quartetto). Lo stesso Schönberg aveva adottato questa soluzione nel Quartetto op. 7 del 1904-5, ma in modo diverso e con una durata più che doppia rispetto alla Kammersymphonie : essa si presenta come un tempo in forma sonata che ingloba tra le sue diverse sezioni (esposizione-sviluppo-ripresa) lo Scherzo e il tempo lento, secondo lo schema: 1 Esposizione: primo gruppo tematico- transizione- secondo gruppo tematico tema conclusivo -ritorno del primo tema e transizione 2) Scherzo 3) Sviluppo 4) Adagio 5) Ripresa che ha anche le funzioni del Finale e ripropone il materiale in quest’ordine: transizione- secondo tema-primo tema- tema conclusivo. Schönberg considerava la sua prima Kammersymphonie un punto d’arrivo, un esito fondamentale, anche se presto si sarebbe rivelata “l’ultimo lavoro del mio primo periodo”, collocandosi alle soglie di una rottura radicale (che si consumò entro il 1908). Nel materiale tematico non è difficile avvertire echi di Strauss, che all’epoca Schönberg ammirava (e che lo aiutò amichevolmente a Berlino nel 1901 e ne apprezzò i primi lavori, rifiutando poi con decisione i Cinque Pezzi per orchestra op. 16). E si possono riconoscere altre ascendenze, da Brahms a Wagner, a Mahler, Bruckner, Wolf, Reger; ma tutte sono per così dire assorbite e bruciate in questa pagina che segna in un certo senso la liquidazione dell’eredità del sinfonismo classico-romantico, mettendone in discussione non solo l’apparato strumentale
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tradizionale, ma insieme con esso la dilatazione delle dimensioni formali grazie ad una concentrazione di estremo rigore, che si volge ad una ricerca di verità interiore alle soglie delle allucinate introspezioni dell’Espressionismo. Sotto il segno dell’estrema concentrazione sono inseparabili la densissima complessità polifonica, la arditezza dell’armonia, la concisione del materiale tematico e della sua elaborazione, la scrittura veramente “da camera” con un ruolo importante per ognuno dei quindici strumenti soli, l’asprezza della concezione complessiva del suono, non separabile fra l’altro dalle tensioni che comporta il difficile, problematico equilibrio tra il peso sonoro dei 10 fiati e quello dei 5 archi (in funzione della chiarezza e della trasparenza l’autore rivide la partitura e fece anche una versione per orchestra da camera, che tuttavia non raggiunge l’arditezza dell’originale) . All’essenzialità della concezione timbrica, alla fitta densità polifonica, all’inquietudine dell’armonia si unisce in questo capolavoro una stupefacente violenza inventiva, che si manifesta nel carattere turbinoso, sussultante delle concise idee tematiche, nel febbrile frantumarsi e sovrapporsi della loro elaborazione in densissima concentrazione, con incandescente tensione. A proposito del tema che segue alle battute introduttive (una successione di quarte ascendenti: anche nella costruzione degli accordi l’intervallo di quarta ha notevole rilievo nel pezzo) Schönberg parlò di “giubilo tempestoso” e l’impeto, lo slancio, la forte concitazione sono caratteri prevalenti nel mutevole e agitato panorama espressivo della prima Kammersymphonie. Solo all’inizio dell’Adagio viene concesso a un tema di espandersi con una certa ampiezza di respiro. Il processo innovativo è condotto vicino al punto estremo consentito dalla conservazione di un legame con la tonalità: il compositore ebbe in diverse occasioni a sottolineare l’importanza della coerente concezione di verticale e orizzontale, di armonia e polifonia inseparabilmente, nelle vicende della “emancipazione della dissonanza” che lo portarono in breve tempo alla sospensione della tonalità. Abbiamo visto che ha caratteri totalmente diversi la seconda Sinfonia da camera, sebbene sia stata iniziata subito dopo la prima: è vero che fu lasciata incompiuta e portata a termine nel 1939, senza però alterare le linee essenziali della concezione iniziale.
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Il giovane Mahler come viandante Dopo Das klagende Lied nell’opera del giovane Mahler, ormai lontano da Vienna, hanno grande rilievo i Lieder per canto e pianoforte, che solo in parte vennero pubblicati, innanzi tutto i cinque che formano il primo quaderno dei Lieder und Gesänge aus der Jugendzeit (1880-83, altri 9 sarebbero seguiti tra il 1888 e il 1891). L’andamento di danza di uno di questi Lieder viene ripreso nel secondo tempo della Prima Sinfonia, dove subito si manifesta con grande rilievo il personalissimo intreccio mahleriano di Lied e sinfonia, innanzi tutto attraverso i rapporti che legano la Prima ai Lieder eines fahrenden Gesellen. Lo stesso Mahler in una lettera dell’1 gennaio 1885 all’amico Fritz Löhr ricollega questo ciclo alla dolorosa esperienza dell’amore per Johanna Richter, un soprano del teatro di Kassel (la prima città di una certa importanza nella fase iniziale della carriera), dove Mahler lavorò in una insoddisfacente posizione subordinata tra il 1883 e il 1885. Della vicenda sentimentale sappiamo assai poco. La datazione dei quattro Lieder, pubblicati nel 1897, presenta aspetti problematici: sono probabilmente del 1884-85, nella versione per canto e pianoforte; ma non possiamo dire con sicurezza se Mahler li aveva concepiti subito come ciclo per voce e orchestra, e l’orchestrazione (nella forma che conosciamo) potrebbe essere contemporanea o posteriore alla Prima Sinfonia (composta tra il 1885 e il 1888). Secondo i primi biografi di Mahler, Paul Stefan e Guido Adler, soltanto nel 1888 o nel 1887 egli avrebbe avuto conoscenza diretta della celebre raccolta di poesie popolari tedesche di Arnim e Brentano, Des Knaben Wunderhorn; ma forse egli ne lesse alcune in altre fonti, perché nel primo dei Lieder eines fahrenden Gesellen vi sono versi uguali a quelli di una poesia del Wunderhorn (a meno che non sia valida l'ipotesi di chi vorrebbe datare questo Lied dopo il 1888). L'appropriazione da parte di Mahler di alcuni versi popolari all’inizio del ciclo contribuisce a definirne la singolare e suggestiva collocazione tra la tradizione dei cicli schubertiani, Die schöne Müllerin e soprattutto Die Winterreise, e l’affermarsi di un personalissimo tono mahleriano, che si impone già nell’idea di un ciclo di Lieder per voce e orchestra, nella dimensione sinfonica dei Lieder eines fahrenden
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Gesellen (che Quirino Principe traduce felicemente "canti di uno in cammino"). Ne è protagonista un viandante spiritualmente affine a quelli che si incontrano nei Lieder di Schubert e anche qui si canta un amore infelice. La musica con i suoi accenti di malinconica bellezza sembra nutrirsi della semplicità e intensità espressiva di melodie popolari, evocate e filtrate però attraverso una sapienza di scrittura che approda a intuizioni originalissime, particolarmente evidenti nei contrasti del primo Lied. Della sorgiva freschezza melodica del secondo Lied si nutre il primo tempo della Sinfonia n. 1. Il terzo Lied, nella drammatica concitazione, ha una compattezza che segna forse il momento del ciclo più vicino alla tradizione liederistica. Infine nei mesti andamenti di marcia del quarto si rivela con particolare evidenza la decisiva importanza dell’eredità schubertiana in Mahler. Anche da questa pagina una sezione viene ripresa nella Sinfonia n. 1, nel terzo tempo (come momento di sognante contrasto, come visione incantata al centro della Marcia funebre): così appaiono inseparabili nei Lieder eines fahrenden Gesellen il personalissimo intreccio Lied-sinfonia, il rapporto con la tradizione e l’individuazione di alcuni dei caratteri originali del Lied sinfonico mahleriano.
Hofmannsthal, Molière, Lully e Strauss Le musiche di scena di Strauss per il Borghese gentiluomo di Molière nacquero da un audace e raffinatissimo progetto di Hugo von Hofmannsthal, il poeta viennese alla cui straordinaria collaborazione si deve la fase centrale del teatro di Strauss, a cominciare dalla svolta stilistica che sembra separare in modo netto Elektra (Dresda 1909) dal Rosenkavalier (Dresda 1911). La separazione non è così netta e non va vista in modo schematico; ma ad esempio contribuì ad allontanare definitivamente Schönberg da Strauss, in precedenza da lui molto ammirato. Il libretto di Elektra era tratto direttamente dalla tragedia pubblicata a Berlino nel 1903 (con data 1904), con i necessari tagli operati dal compositore (e con una piccola integrazione che Strauss chiese allo scrittore viennese): non fu dunque frutto di una vera collaborazione, che iniziò con il Rosenkavalier, con l’evocazione della Vienna di Maria Teresa dopo
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le laceranti tensioni preespressionistiche di Elektra. Il progetto da cui nacquero le musiche del Borghese gentiluomo e la mescolanza di situazioni tragiche e comiche della Ariadne auf Naxos prevedeva che la commedia di Molière ridotta e rielaborata da Hofmannsthal fosse la premessa per la rappresentazione dell’opera, in quanto spettacolo offerto da Monsieur Jourdain alla marchesa Dorimène, cui sta vanamente facendo la corte. Hofmannsthal aveva progettato il passaggio dalla semplice parola recitata alla recitazione con musica e con inserti danzati (il Bourgeois gentilhomme era stato concepito come comédie-ballet con musiche di Lully), al canto, allo spettacolo d’opera come sintesi delle arti rappresentative. L’opera era inserita nella commedia di Molière in sostituzione della turcheria finale con un gioco di teatro nel teatro e prevedeva qualche intervento parlato di Monsieur Jourdain o di altri spettatori, la presenza di scene di attori della commedia dell’arte inseriti per volontà del padrone di casa e una conclusione in cui egli constatava che i nobili ospiti cui teneva se ne erano andati via prima della fine. Superando non poche difficoltà si giunse alla prima rappresentazione a Stoccarda il 25 ottobre 1912, con la direzione di Strauss e la regia di Max Reinhardt, per il quale il progetto era stato concepito. L’esito fu deludente e la circolazione del lavoro insoddisfacente, perché la rendevano ardua le difficoltà determinate dalla compresenza di teatro di prosa e teatro musicale. Alla fine i due autori ritennero inevitabile la separazione. Ariadne auf Naxos ebbe un prologo ambientato nel palazzo di un ricco signore di Vienna: così rimasero il gioco del teatro nel teatro e l’ordine (diversamente motivato) del padrone di casa di mescolare la tragedia di Arianna e la commedia di Zerbinetta. Strauss rivide la partitura e nella nuova forma l’opera fu rappresentata a Vienna il 4 ottobre 1916 ed ebbe poi felice vita autonoma. Non fu altrettanto fortunata la nuova elaborazione di Hofmannsthal del testo di Molière con musiche di scena di Strauss che ai pezzi già composti ne aggiunse altri, tra i quali alcuni riprendono qualcosa dalle musiche di Lully per la comédie-ballet. Der Burger als Edelmann andò in scena a Berlino il 9 aprile 1918 al Deutsches Theater con la regia di Reinhardt, ma scomparve quasi del tutto. Dalle musiche di scena Strauss trasse una suite dei pezzi puramente strumentali, riunendone nove. La prima esecuzione della suite fu diretta dallo stesso Strauss a Salisburgo il 31 gennaio 1920. Dopo l’evocazione della Vienna settecentesca nel Rosenkavalier la sofisticata raffinatezza del progetto “Molière/ Arianna” prevedeva quella dell’età barocca, tra
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la Francia di Luigi XIV e le vicende dell’opera seria e dell’opera comica nell’Italia del Settecento. Secondo ciò che scrive Hofmannsthal a Strauss nella primissima fase del progetto, in una lettera del 20 marzo 1911, la Ariadne poteva divenire “una cosa assai graziosa, un genere nuovo che si riallaccia apparentemente a uno del passato, perché ogni sviluppo si svolge a spirale”. L’idea dello sviluppo a spirale poteva essere condivisa da un compositore come Strauss: essa consente di far convivere caratteri e materiali di epoche diverse rivisitate da una sensibilità moderna attraverso allusioni e rimandi. Nella visione di Strauss materiali di varie epoche potevano coesistere ed essere assimilati al suo stile. Non c’è da stupirsi, date queste premesse, se all’ascolto riesce difficile distinguere dagli altri i pezzi che fanno uso di materiali di Lully. Lully, naturalmente, non è l’unico punto di riferimento per queste universalmente ammirate musiche di scena che Strauss collocava tra le sue cose migliori e che Mario Bortolotto definisce “l’acme di Strauss neoclassico”. Nella pungente nitidezza dell’ouverture si inizia con il ritratto della boriosa goffaggine del protagonista, Monsieur Jourdain; ma la seconda parte del pezzo evoca un abbandono al canto: l’oboe riprende la melodia di una canzonetta che fa parte delle musiche di scena, ma non della suite (che esclude i pezzi vocali). La stessa melodia fu poi ripresa nel prologo della Ariadne auf Naxos separata da Molière: la canta il compositore come se fosse colto da una improvvisa ispirazione. Negli otto pezzi che seguono gioco ironico e teatralità si possono cogliere anche al semplice ascolto in concerto per la forza evocativa della musica, sebbene, ad esempio, l’impaccio di Monsieur Jourdain durante la lezione di danza (che corrisponde al n. 2, Menuett) sia suggerito fuori dalla scena solo da spostamenti d’accento (“sforzato” sul tempo debole) e da altre soluzioni che rompono genialmente la regola. Non si possono vedere gli affondi e altri gesti del maestro di scherma nel n. 3; ma si ascoltano gli scatti e gli estri virtuosistici del pianoforte. Impegno virtuosistico è richiesto al primo violino nel seguente n. 4, “Entrata e danza dei sarti”, «con un esaltante ritmo di polacca ove lo strumento s’abbandona alla voluttà delle doppie note, secondo un gesto che è anche ben vicino agli zingari dei caffè budapestini, e in pari tempo offre un modello a Ravel: la replica avvenendo solo nel ’24, con Tzigane» (Bortolotto). Idee di Lully sono assimilate e ripensate nel Minuetto n. 5, che cita il suo nome nel titolo, e nella “Entrata di Cleonte” (n. 7). A conclusione della suite il pezzo più
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lungo è dedicato alla cena offerta da Monsieur Jourdain ai suoi ospiti. A partire dalla pomposa parte iniziale è un gioiello, una scena ricca di finezze strumentali e trovate umoristiche, che si colgono al semplice ascolto. Ma quando si giunge alle portate, che in scena sono annunciate, l’assenza del contesto teatrale non consente di comprendere bene il gioco delle citazioni di Strauss. Per il “salmone del Reno” si cita un breve frammento dell’Oro del Reno; più avanti la “coscia di montone all’italiana” è associata ai belati di un frammento del Don Quixote, mentre per “un piccolo piatto di tordi e allodole” cinguettano gli uccelli del Rosenkavalier e a loro si aggiunge un breve, fuggevole accenno a “La donna è mobile” perché la marchesa Dorimène va civettando con Dorante. La cena finisce con una “omelette surprise”, un piatto gigantesco da cui balza fuori un garzone di cucina per danzare nella trascinante conclusione.
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Lieder eines fahrenden Gesellen Canti di un giovane in viaggio
Wenn mein Schatz Hochzeit macht Quando il mio tesoro va a nozze Wenn mein Schatz Hochzeit macht, fröhliche Hochzeit macht, hab' ich meinen traurigen Tag! Geh' ich in mein Kämmerlein, dunkles Kämmerlein, weine, wein' um meinen Schatz, um meinen lieben Schatz! Blümlein blau! Verdorre nicht! Vöglein süss! Du singst auf grüner Heide! Ach! Wie ist die Welt so schön! Ziküth! Singet nicht, blühet nicht! Lenz ist ja vorbei! Alles Singen ist nun aus! Des Abends, wenn ich schlafen geh', denk ich an mein Leide! An mein Leide!
Quando il mio amore andrà a nozze, a far festa, allora io vivrò il mio giorno amaro! Starò nella mia stanza, al buio pesto, piangendo lei, il mio tesoro caro! Non appassire, caro fiore azzurro! Dolce uccellino, che sui verdi prati Canti, cip, cip! Oh, com'è bello il mondo! Ma no! che canti e fiori! passata è primavera! La stagione dei canti è ormai finita! Quando vado a dormire, al cader della sera, penso e penso alla mia pena infinita! 82
Ich hab' ein glühend Messer Andavo stamattina per la campagna
Ging heut' morgen übers Feld, Tau noch auf den Gräsern hing, sprach zii mir der lust'ge Fink: «Ei, dn! Geit? Guten Morgen! Ei, gelt? Du! Wird's nicht eine schone Welt? schöne Welt? Zink! Zink! Schön und flink! Wie mir doch die Welt gefällt!». Auch die Gloekenbkim' ani Feld liat mir kistig, guter Ding, mit delìì Glöckchen klinge, kling, Ihren Morgengruss gesehellt: «Wird's nicht eine schöne Welt? schöne Welt? Kling! Kling! Schönes Ding! Wie mir doch die Welt gefällt! Heiah!». Und da fing im Sonnenschein gleich die Welt zu funkeln an: alles, alles, Ton und Farbe gewann im Sonnenschein! Blum und Vogel, gross und klein; «Guten Tag! Guten Tag! Ist's nicht eine schöne Welt? Ei, du! Gelt? Schöne Welt!», Nun fängt auch mein Glück wohl an? Nein! Nein! Das ich mein', mir nimmer blühen kann!
Questa mattina andavo per i prati; la rugiada imperlava ancora l'erba. Il fringuello mi disse, tutto allegro: «Ehi, tu! Buongiorno! Come te la passi? Non sarà forse bello questo mondo? Zink! zink! Bello e lieve! Come mi piace il mondo!». Anche la campanula nel prato lieta creatura, di buon carattere, din din, con la sua campanella mi ha squillato il saluto mattutino: «Non sarà forse bello questo mondo? Din, din, bello, bello! Come mi piace il mondo! Ah...! » E allor, sotto la gran luce del sole subito il mondo prese a scintillare; a tutto diede toni e tinte il sole! I grandi e i piccoli fiori e uccelli: «Buondì, buondì! e il mondo, non è bello? Ehi, tu! Come ti va? Non è un bei mondo?» Forse comincia qui la mia felicità? No! no! Quella che intendo mai più rifiorirà! 83
Blicke mir nicht in die Lieder Allontana il tuo sguardo dai miei canti Ich hab' ein glühend Messer, ein Messer in meiner Brust. O weh! O weh! Das schneid't so tief in jede Freud' und jede Lust, so tief! Ach, was ist das für ein böser Gastt! Nimmer hält er Ruh, nimmer hält er Rast, nicht bei Tag, nicht bei Nacht, wenn ich schlief! O weh! O weh! Wenn ich in den Himmel seh, seh ich zwei blaue Augen steh'n! O weh! O weh! Wenn ich im gelben Felde geh', seh' ich von Fern das blonde Haar im Winde weh'n! O weh! O weh! Wenn ich aus dem Traum auffahr' und höre klingen ihr silbern Lachen, O weh! O weh! Ich wollt', ich lag' auf der schwarzen Bahr', könnt' nimmer die Augen aufmachen! Ho un coltello rovente piantato nel mio petto. Oh, che strazio, che strazio! Affonda, e taglia via ogni gioia e diletto! Ah, che crudele intruso! Non mi dà pace, non mi dà riposo di giorno né di notte, né il sonno mi fa grazia! Oh, che strazio, che strazio! Se guardo verso il cielo, vedo due occhi azzurri che lampeggiano! Oh, che strazio, che strazio! Vado nei campi gialli, e di lontano vedo i capelli biondi che al vento ondeggiano. Oh, che strazio, che strazio! Quando mi desto dal sogno, e torno alla vita vera, e sento squillare il suo riso dal suono argentino, Oh, che strazio, che strazio! vorrei giacere sepolto, dentro una bara nera, e mai riaprire gli occhi, chiusi senza fine. 84
Die zwei blauen Augen Gli occhi azzurri del mio tesoro Die zwei blauen Augen von meinem Schatz, die haben mich in die weite Welt geschickt. Da musst' ich Abschied nehmen vom allerliebsten Platz! O Augen blau! Warum habt ihr mich angeblickt? Nun hab' ich ewig Leid und Grämen! Ich bin ausgegangen in stiller Nacht, in stiller Nacht wohl uber die dunkle Heide; hat mir niemand Ade gesagt. Ade! Mein Gesell war Lieb' und Leide! Auf der Strasse steht ein Lindenbaum, da hab' ich zum erstenmal im Schlaf geruht. Unter dem Lindenbaum, der hat seine Blüten über mich geschneit, da wusst' ich nicht wie das Leben tut, war alles, ach, alles wieder gut! Alles! Alles! Lieb' und Leid, und Welt, und Traum!
I due occhi azzurri del mio tesoro lontano lontano nel mondo mi hanno mandato. Ho detto addio al luogo che più adoro: occhi, occhi azzurri! perché mi avete guardato? Dolore e sofferenza avrò in eterno! Me ne uscii nel silenzio della notte, in quel silenzio, all'oscura campagna Nessuno disse: "Addio!". Nessun commiato. Amore e pena, soli miei compagni! Lungo la strada, un tiglio si leva: là, finalmente, in sonno riposai. Sotto il tiglio, che fiorì come neve su me versava, io dimenticai come la vita fa male, e tutto fu di nuovo bello! tutto! l'amore e la pena e il mondo e il sogno!
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Koloman Moser Fiori, 1904.
Biografie compositori
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Antonín Dvořák 1841
1857
1865
1873
1876
1884
Nasce a Nelahozeves, un villaggio céco, l’8 settembre. Il padre suona il violino e la cetra ed è membro dell’orchestra del villaggio. Da questa il piccolo Antonín riceve le prime impressioni musicali e dal maestro del villaggio J.Spitz i primi rudimenti di violino.Ha quindi l’occasione di ascoltare fin dall’infanzia quei canti popolari boemi e quei rustici cori ai quali si ricondurrà più tardi la sua arte matura di compositore. Frequenta, con l’aiuto economico dello zio, la scuola d’organo di Praga. In quel periodo si guadagna da vivere come membro dell’orchestra da ballo “Komzak”, per la quale compone anche numerose danze, e suonando l’organo nelle chiese. Compone la prima sinfonia, Le campane di Zlonice, ritrovata e pubblicata solo nel 1923. Diventa violinista di fila del nuovo teatro nazionale céco, fondato nel 1862 da Bedřich Smetana. Sposa Anna Čermáková. Il matrimonio coincide con una crisi creativa che lo porta a distruggere quasi tutte le opere composte fino ad allora perché non corrispondono più alle sue ambizioni tecniche ed artistiche. È in questo periodo che si evidenzia nella produzione di Dvořák una sempre maggiore attenzione alla musica popolare céca, che gli procurerà i maggiori riconoscimenti internazionali e una borsa di studio del governo austriaco, grazie all’intervento di Hanslick e Brahms. Inizia in questo periodo la profonda amicizia e venerazione di Dvořák per Brahms e la studiosa applicazione per avvicinarsi alla complessità del suo ideale sinfonico. Muore la figlia maggiore. Il lutto proietta la sua ombra sulle composizioni del periodo, in particolare sul commovente Stabat Mater. Primi trionfi personali, proprio con Stabat
Mater, in Inghilterra, dove Dvořák tornerà nove volte. 1892 Accetta, dopo molte insistenze, l’incarico di direttore artistico del Conservatorio nazionale di musica di New York, dove rimarrà fino al 1895. Risalgono a questo periodo le sue opere più celebri: la Sinfonia n.9 Dal nuovo mondo, il quartetto in fa maggiore Americano, la Sonatina in sol maggiore per violino e pianoforte, il Concerto in si minore per violoncello e orchestra. 1895 Ritorna in patria e si dedica alla composizione di poemi sinfonici di carattere prevalentemente romantico e nazionalistico. 1900 Termina la composizione della sua più importante opera lirica, Rusalka, tratta dalla leggenda di Undine. Riceve, tra i molti riconoscimenti del governo austriaco, la Medaglia d’oro per l’Arte e la Scienza, che prima di lui solo Brahms aveva ottenuto, ed è nominato senatore a vita, onore che prima di lui non era toccato a nessun musicista. 1901 Viene nominato direttore del Conservatorio di Praga. 1904 Muore il 5 maggio. Viene seppellito nel cimitero degli eroi del Vyserhad, alla presenza di un’immensa folla venuta da tutta la Boemia.
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Igor Stravinskij 1882
1908
1910
1911
1913
1914
1920
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Nasce il 17 giugno a Oranienbaum, presso Pietroburgo. Il padre, Fëdor Ignatevič, era primo basso al Teatro Marijnskij. Prende le prime lezioni di pianoforte a nove anni, ma i suoi veri studi musicali iniziano solo nel 1905, quando incontra Rimskij-Korsakov e ne diviene allievo. Muore Rimskij-Korsakov. Stravinskij compone i brani sinfonici Feux d'artifice e Scherzo fantastique, oltre all'abbozzo di un'opera, che diverrà poi Le rossignol. Viene presentato a Sergej Diaghilev, direttore dei Ballets russes di Parigi, che gli commissiona l'orchestrazione di due brani di Chopin per il balletto Les Sylphides. Diaghilev chiede a Stravinskij un nuovo balletto: L'oiseau de feu, che debutta a Parigi il 25 giugno con grande successo. Il secondo balletto scritto per i Ballets Russes, Petruška, trionfa allo Châtelet il 13 giugno. Stravinskij raggiunge la fama internazionale e inizia a lavorare ad un terzo balletto per Diaghilev. La prima rappresentazione del Sacre du Printemps al Théâtre des Champs-Elysées il 29 maggio è uno dei maggiori scandali della storia della musica. Stravinskij porta a termine l'opera in tre atti Le rossignol, dalla quale tre anni più tardi ricaverà il balletto Le chant du rossignol. Lascia Pietroburgo per stabilirsi a Morges, sulle rive del lago di Ginevra. Si dedica a composizioni per piccola orchestra come Renard (1916) e L'histoire du soldat (1918). Scrive la Sinfonia per strumenti a fiato in memoria di Debussy. Va in scena a Parigi Pulcinella, balletto costruito su melodie di Pergolesi e di altri autori italiani del Settecento. E' il primo frutto del neoclassicismo di Stravinskij, che abbandona il fauvisme dei primi balletti per intraprendere un’ampia ricognizione delle forme musicali del passato.
1922
1927
1930
1936 1939 1945
1951
1955
1960
1962
1971
Compone l'opera buffa Mavra e torna ai temi russi con Les Noces (1923), balletto per soli, quattro pianoforti e percussioni. Con l'oratorio in latino Oedipus Rex, su testo di Jean Cocteau, allo stesso periodo appartengono il balletto Apollon musagète e il Concerto per pianoforte. Symphony of Psalms è il primo brano sacro di Stravinskij. Dell'anno seguente è il Concerto per violino. Pubblica l'autobiografia Chroniques de ma vie. Si trasferisce negli Stati Uniti, dove risiederà per il resto della sua vita. Comincia a lavorare a The Rake's Progress, su libretto di W. H. Auden e Chester Kallman ispirato dalle incisioni di Hogarth. The Rake's Progress viene presentato a Venezia. Stravinskij si avvicina all'opera di Webern e alla dodecafonia. Il Canticum sacrum ad honorem Sancti Marci nominis per soli, coro ed orchestra segna la completa adesione di Stravinskij alla dodecafonia, ed anche la sua conversone al cattolicesimo. La sua opera dodecafonica più apprezzata ed eseguita resta però il balletto Agon (1957), cui seguirà ancora Threni per soli, coro e orchestra (1958). L'interesse per le forme della polifonia rinascimentale dà origine a Monumentum pro Gesualdo, costituito da tre madrigali per fiati e archi. Il governo sovietico lo invita in Russia per una serie di concerti che suscitano enorme entusiasmo. Negli ultimi anni Stravinskij dirada l'attiva compositiva, ma continua a dirigere la sua musica in concerto e a realizzare numerosissime incisioni. Pubblica inoltre diversi volumi di conversazioni sulla musica con Robert Craft. Muore il 6 aprile a New York. Viene sepolto a Venezia accanto alla tomba di Diaghilev.
Ottorino Respighi 1879
1900
1902
1913
1914
1916
1918
1919
Nasce a Bologna il 9 luglio. Il nonno Giuseppe gli impartisce le prime lezioni di pianoforte e violino. Il suo strumento tuttavia diviene ben presto la viola, che suonerà in orchestra e in formazioni da camera. Si trasferisce a San Pietroburgo con l’incarico di prima viola dell’orchestra del Teatro Imperiale. In Russia ha modo di incontrare Nikolaj Rimskij-Korsakov e riceverne alcune lezioni di composizione. Il soprano Etelka Gerster lo chiama a Berlino come accompagnatore per la sua scuola di canto. Nella capitale tedesca Respighi conosce Busoni e studia con Max Bruch. Si trasferisce a Roma, dove abiterà per il resto della sua vita. Il suo impegno nella costruzione di un’identità sinfonica nazionale si concretizza l’anno seguente nella Sinfonia drammatica. Compone l’opera Marie Victoire, ambientata nella Francia rivoluzionaria, ma l’inizio della guerra impone di riviarne la messa in scena. Compone il poema sinfonico Le fontane di Roma. La prima dovrebbe essere diretta da Toscanini, ma Respighi, acceso nazionalista, non accetta che il maestro diriga anche pagine di Wagner nello stesso concerto. Il battesimo giunge dunque l’anno seguente, sotto la bacchetta di Antonio Guarnieri. L’interesse per la tradizione italiana dà forma al progetto delle Antiche danze ed arie per liuto: tre suite per orchestra completate negli anni 1917, 1923 e 1931. Compone il rutilante balletto La boutique fantasque, su temi rossiniani, da cui sarà tratta una popolarissima suite orchestrale. Sposa Elsa Oliveri Sangiacomo, che è stata sua allieva al Conservatorio. Pianista e compositrice di straordinaria personalità, Elsa è all’origine dell’interesse di Respighi
per il canto gregoriano, che porterà a composizioni quali il Concerto gregoriano per violino (1921) e il Concerto in modo misolidio per pianoforte. 1923 È nominato direttore del Conservatorio di Santa Cecilia. I successi e una posizione pubblica di grande autorevolezza uniti agli espetti conservatori della sua estetica ed alla devozione per la tradizione musicale italiana (pur bilanciati da scelte d’orchestrazione tutt’altro che antiquate e da un’autentica dimensione internazionale) lo esporranno ad accuse di connivenza con il fascismo. Schiettamente conservatore, Respighi si manterrà però sempre estraneo al territorio della politica in senso stretto. 1924 Compone il poema sinfonico I pini di Roma. Agli anni successivi risalgono alcune delle pagine orchestrali più raffinate: Vetrate di chiesa e Trittico botticelliano. 1929 Toscanini dirige alla Carnegie Hall la prima del poema sinfonico Feste romane, terza anta di quella che oggi conosciamo come trilogia romana, benché non esista evidenza che Respighi avesse un progetto comune al momento della composizione. 1931 Il balletto Belkis, regina di Saba va in scena alla Scala. 1933 Con l’opera La fiamma, che va in scena al Teatro dell’Opera di Roma, Respighi prende nuovamente posizione a favore della tradizione del melodramma italiano contro il modernismo delle avanguardie. 1935 Si spegne nella sua villa “I Pini” a Roma lasciando incompiuta l’ultima opera, Lucrezia, che sarà completata dalla moglie Elsa.
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Ludwig van Beethoven 1770 Ludwig van Beethoven viene battezzato a Bonn il 17 dicembre. Le ristrettezze economiche e i disordini psicologici del padre Johann segnano la sua infanzia. 1778 Il padre tenta, senza successo, di lanciare Ludwig come bambino prodigio. 1782 Inizia la vera e propria educazione musicale sotto la guida di C. G. Neefe, organista di corte. 1784 L’arrivo a Bonn del giovane arcivescovo Maximilian Franz vivacizza la stagnante atmosfera della cittadina. Viene fondata, tra l’altro, una Università, che Beethoven stesso frequenterà per qualche tempo. 1787 Beethoven si reca per la prima volta a Vienna, dove forse incontra Mozart, ma la morte della madre lo obbliga a interrompere il viaggio. 1792 A Bonn Beethoven incontra Haydn e, sempre stipendiato dall’arcivescovo, decide di recarsi nuovamente a Vienna per prendere lezioni dal grande maestro. 1794 Oltre che con Haydn, Beethoven studia con Salieri e Albrechtsberger. 1795 Con i primi concerti pubblici al Burgtheater si apre il periodo di maggior fortuna mondana ed economica di Beethoven. La fama di abile pianista gli apre le porte della nobiltà viennese; come compositore, oltre ai consensi di pubblico e critica, ottiene lucrosi contratti dalle case editrici. Tra il 1795 ed il 1815 Beethoven crea la maggior parte delle sue opere più famose: 8 delle 9 Sinfonie, 27 delle 32 Sonate per pianoforte, 7 concerti per strumento solista e orchestra, le musiche di scena per Coriolano ed Egmont, l’opera Fidelio ed un’imponente quantità di brani da camera. 1798 Si manifestano i primi sintomi di sordità. 1800 Il 2 aprile viene eseguita la Sinfonia n.1. 1803 Prima esecuzione della Sinfonia n.2. In
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estate Beethoven risiede nel rustico sobborgo di Heiligenstadt, dove redige il famoso “Testamento”. 1805 Prima esecuzione pubblica, al Theater an der Wien, dell’Eroica. 1807 Sempre a Vienna viene eseguita la Sinfonia n.4. 1808 Il 22 dicembre, al Theater an der Wien, vengono presentate la Sinfonia n.5 e la n.6 Pastorale. 1809 L’Arciduca Rodolfo si impegna a versare uno stipendio annuale a Beethoven, a patto che egli rimanga a Vienna. Il 12 maggio la città, stretta d’assedio, si arrende alle truppe napoleoniche. 1812 Beethoven scrive a Teplitz, dove soggiorna nei mesi estivi, la lettera “all’immortale amata”. Viene eseguita la Sinfonia n.7. 1814 In febbraio prima esecuzione della Sinfonia n.8. In maggio, per i partecipanti al Congresso di Vienna, viene eseguito un concerto di musiche beethoveniane. 1815 Muore il fratello Kaspar Karl ed il nipote Karl viene affidato a Beethoven. Ne nasce una complessa controversia con la madre che il tribunale risolve, in favore del musicista, nel 1820. 1819 La sordità è totale. Il compositore può comunicare soltanto attraverso i cosiddetti “quaderni di conversazione”. 1824 Prima esecuzione, al Kärntnertortheater di Vienna, della Sinfonia n.9. 1825 Beethoven si stabilisce nella Schwarzenpanierhaus, ultima delle sue circa 30 residenze viennesi. 1827 Muore il 26 marzo, per un riacutizzarsi della cirrosi epatica di cui soffre da tempo. La sua scomparsa suscita a Vienna la più profonda emozione: circa 30.000 persone, tra cui le più eminenti figure della cultura, presenziano alle sue esequie.
Richard Wagner 1813 1828
1833
1836
1840
1842
1845 1848
1850
1853 1858
1862 1864
Nasce a Lipsia il 22 maggio. Alla morte del padre la famiglia si trasferisce a Dresda. Per completare gli studi, torna a Lipsia, dove s’iscrive ai corsi di Musica dell’Università e approfondisce la composizione con Christian Theodor Weinlig. Diviene Direttore del Coro del Teatro di Würzburg e intraprende la composizione della sua prima opera per il teatro: Die Feen. È direttore musicale del Teatro di Magdeburgo, dove conosce e sposa Minna Planer. Lavora poi al teatro di Riga e a Londra. Giunge a Parigi, dove conosce Meyerbeer e approfondisce l’opera di Feuerbach e di Proudhon. La prima di Rienzi a Dresda è un grande successo; Der fliegende Holländer, presentato l’anno successivo, non ottiene uguale favore, ma segna un primo tentativo di emanciparsi dalla struttura dell’opera tradizionale divisa in numeri chiusi. Wagner ottiene il posto di Kapellmeister alla corte di Dresda. Completa la partitura di Tannhäuser e inizia la composizione di Lohengrin. Partecipa ai moti rivoluzionari ed è costretto a riparare a Weimar e poi in Svizzera. Del 1849 è il saggio L’opera d’arte dell’avvenire. A Zurigo elabora Opera e dramma, forse il suo principale scritto teorico; scrive anche il violento pamphlet antisemita Il giudaismo nella musica. Viene dato alle stampe il testo del Ring des Nibelungen. Si trasferisce a Parigi, dove due anni più tardi ha luogo la celebre rappresentazione di Tannhäuser: Nonostante l’opera sia subissata di grida e fischi, Wagner diventa il simbolo della nuova musica. Gli viene concesso di tornare in Germania. Si impegna in una serie di tournée. Re Ludwig II di Baviera chiama Wagner
1865
1868
1870
1876
1882
1883
a Monaco e appiana i suoi debiti. Wagner intreccia una relazione con Cosima, figlia di Liszt e moglie del direttore d’orchestra Hans von Bülow. Il 10 giugno von Bülow dirige a Monaco la prima di Tristan und Isolde. L’anno successivo Wagner si trasferisce presso Lucerna, dove Cosima lo raggiunge. Conoscono Nietszche a Basilea. È ancora von Bülow il direttore della prima de Die Meistersinger von Nürnberg. L’anno successivo va in scena Das Rheingold, primo titolo della Tetralogia. Wagner sposa Cosima. Wagner chiede la costruzione di un teatro nuovo, pensato per realizzare il Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale. L’architetto Otto Brückenwald viene incaricato del progetto, concepito insieme al compositore e realizzato a Bayreuth tra il 1872 e il 1875. Negli stessi anni Wagner porta a termine i capitoli mancanti del Ring des Nibelungen. Il Festival di Bayreuth viene inaugurato dall’esecuzione completa del Ring. Wagner si dedica alla direzione d’orchestra e alla composizione di Parsifal. Parsifal va in scena a Bayreuth. I Wagner si trasferiscono a Venezia per trascorrervi l'inverno. Wagner si spegne il 13 febbraio a Palazzo Vendramin Calergi a Venezia.
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Sergej Prokof ’ev 1891
1906
1912
1913 1917
1918
1923
1933
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Nasce il 23 aprile nel villaggio rurale di Sontsovka da Sergej Alekseevič, ingegnere agrario, e Maria Grigorevna. 1896 Scrive la sua prima composizione, Indian galop. Trasferimento a San Pietroburgo dove frequenta il Conservatorio. Studia con Ljadov, Cerepnin e Rimskij-Korsakov. 1908 Primo concerto pubblico il 18 dicembre in una delle Serate di musica contemporanea organizzate da Sergej Djagilev. Le prime esecuzioni del Primo e del Secondo concerto per pianoforte vengono aspramente criticate dal pubblico, ma con il Primo vincerà l’ambito Concorso Rubinštejn. Si diploma al Conservatorio di San Pietroburgo. Viene formato un governo provvisorio guidato da Georgij L’vov che costringe lo zar Nicola II Romanov ad abdicare. In ottobre una rivoluzione bolscevica rovescia il governo provvisorio dando vita alla Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa. Prokof ’ev trascorre parte del periodo rivoluzionario a San Pietroburgo. Scrive la Sinfonia n. 1 Classica ed il primo Concerto per violino. In preda agli sconvolgimenti della guerra civile, lascia la Russia iniziando una peregrinazione che lo porterà in Giappone, alle Hawaii e negli Stati Uniti. Il 20 novembre arriva a New York. Nel dicembre 1921 riesce a far rappresentare una sua opera a Chicago, Ljubov k trëm apel’sinam (L’amore delle tre melarance). Sposa il soprano spagnolo Lina Ljubera – nome d’arte di Carolina Codina. Si trasferisce a Parigi. Mentre l’Europa sembra destinata a essere presto vittima del nazifascismo, Prokof ’ev torna nell’Unione Sovietica. Partecipa attivamente alla vita cultrale del Paese
1953
con musiche di scena, film music (celebre la collaborazione con Sergej Ėjzenštejn), componimenti patriottici e grandi capolavori come Romeo e Giulietta, la fiaba Pierino e il lupo, il Concerto per violino n. 2 e la Sinfonia n.5. Muore a Mosca il 5 marzo.
Arnold Schönberg 1874 Nasce il 13 settembre a Vienna. Studia contrappunto con il compositore Alexander von Zemlinsky. 1894 A vent’anni si guadagna da vivere dirigendo operette e dedicandosi a comporre di lavori propri. 1899 Compone il sestetto per archi Verklärte Nacht, la cui versione orchestrale diventerà uno dei suoi lavori più amati e apprezzati. 1900 Il talento del giovane Schönberg impressiona subito anche Richard Strauss e Gustav Mahler, che lo prenderà sotto la sua ala protettiva. 1901 Sposa Mathilde Zemlinsky, da cui avrà due figli. 1903 Termina la partitura del poema sinfonico Pelleas und Melisande op. 5. 1907 Prima esecuzione assoluta nella Großer Musikvereinsaal di Vienna del Quartetto per archi n.1 op. 7 in re minore. 1908 La moglie lo abbandona per il pittore Richard Gerstl. In questi anni completa il Quartetto per archi n. 2, uno dei suoi lavori più rivoluzionari. 1910 Compone Harmonielehre, che rimane uno dei libri di teoria musicale più influenti. Nello stesso anno conosce Edward Clark, un giornalista musicale inglese allora in Germania per lavoro. Sarà Clark a diffondere la musica di Schönberg in Inghilterra. 1912 È a Berlino, dove compone Pierrot Lunaire. 1916 Viene chiamato alle armi. 1924 Sposa Gertrud Kolisch, sorella del suo pupillo, il violinista Rudolf Kolisch. Lei scrive il libretto dell’opera in un atto Von heute auf morgen, sotto lo pseudonimo Max Blonda. In seguito alla morte di Ferruccio Busoni, Direttore della master class in composizione alla Accademia Prussiana di Arte di Berlino, il posto vacante viene offerto a Schönberg
1930
1933
1934
1935 1936 1940 1941 1942 1947 1951
che, per motivi di salute, è costretto a rimandare fino al 1926. Schönberg torna alla tonalità. Dà alla luce i pezzi n. 4 e n. 6 dell’opera Six Pieces for Male Chorus op.35. Durante un soggiorno in Francia sale al potere il regime Nazista. Dopo un vano tentativo di stabilirsi in Inghilterra, l’anno seguente si trasferisce con la sua famiglia in America, a Boston, dove insegna al conservatorio di Malkin. Si trasferisce a Los Angeles, dove insegna alla University of Southern California e alla University of California. Nell’arco di due anni Schönberg ottiene la nomina di visiting professor e una cattedra ordinaria alla UCLA, grazie alle referenze di Otto Kemplerer, allora Direttore Musicale della Los Angeles Philarmonic Orchestra. In queglianni stringe un profondo legame di amicizia con il collega George Gershwin. Prima esecuzione assoluta a Hollywood della Suite in sol maggiore per orchestra d’archi. Inizia la composizione del Concerto per Violino op. 36. Prima esecuzione assoluta a New York della “Kammersymphonie” n.2 op.38. Ottiene la cittadinanza americana. Inizia a Los Angeles la partitura di Ode to Napoleon Bonaparte op. 41. Termina Un sopravvissuto di Varsavia op. 46, in memoria delle vittime dell’olocausto. Affetto da triscaidecafobia, ossia da una paura irragionevole del numero tredici, muore il 13 luglio dopo una giornata di ansia e depressione.
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Gustav Mahler 1860 1865
1878
1883
1884 1885
1888 1891
1895
1897
1899 1901
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Nasce a Kalischt, in Boemia. In dicembre la famiglia si trasferisce in Moravia. Si reca a Vienna ed è ammesso al conservatorio, dove studia pianoforte e armonia. Si diploma con il massimo dei voti. Parallelamente segue i corsi di storia e filosofia all’università, dove conosce Anton Bruckner. Viene nominato direttore al Teatro di Corte di Kassel. Inizia la composizione dei Lieder eines fahrenden Gesellen e dei Lieder und Gesänge aus der Jugendzeit. Inizia la composizione della Prima Sinfonia. Diventa vicedirettore prima del Teatro Tedesco di Praga e in seguito a Lipsia, dove dirige una memorabile esecuzione del Ring des Nibelungen. Nello stesso anno pone mano alla Seconda Sinfonia. È chiamato a Budapest come Direttore del Teatro Reale dell’Opera. Si sposta ad Amburgo, dove diviene amico di Hans von Bülow e nomina un giovanissimo Bruno Walter direttore dei cori dello Stadttheater. Nel 1893 inizia la Terza Sinfonia. Morto Bülow, Mahler viene chiamato alla guida della Società dei Concerti di Amburgo. In dicembre dirige a Berlino la Seconda Sinfonia. Lascia Amburgo e compie un giro di concerti in Russia. Abbraccia la religione cattolica, decisione forse necessaria per essere nominato direttore d’orchestra all’Opera di Vienna. Compone la Quarta Sinfonia. Inizia a comporre la Quinta Sinfonia e dei Kindertotenlieder.
1902
1903
1904 1905 1906 1907 1910
1911
Il 9 marzo sposa Alma Schindler, la quale diviene il punto di riferimento di un Mahler dalla personalità sempre più inquieta e tormentata. Dal loro matrimonio nascono Maria Anna, morta all’età di 5 anni, e Anna Justine. Assume all’Opera, contro tutti i pareri, lo scenografo e regista Alfred Roller, con il quale prosegue l’opera di riforma in teatro. Nel frattempo si dedica alla Sesta Sinfonia. Compone la Settima Sinfonia. A Colonia ha luogo la prima esecuzione della Quinta. Vengono eseguiti a Vienna i Kindertotenlieder. Inizia la stesura dell’Ottava Sinfonia. Mahler lascia l’Opera e si reca negli Stati Uniti. Conosce Debussy e Sigmund Freud. Durante l’estate si dedica alla Decima Sinfonia, destinata a rimanere incompiuta. Al suo ritorno negli Stati Uniti le sue condizioni declinano rapidamente. In febbraio, alla Carnegie Hall, Mahler dirige l’ultimo concerto. Lo stato di salute lo induce a fare ritorno in Europa; in aprile giunge a Parigi e dopo un mese a Vienna. Si spegne l’8 maggio. Nel novembre successivo Bruno Walter dirige la prima esecuzione, a Monaco di Baviera, di Das Lied von der Erde.
Richard Strauss Richard Strauss nasce a Monaco di Baviera. È il primo figlio di Franz Joseph Strauss, primo corno all’Hofoper di Monaco. A quattro anni prende lezioni di pianoforte da August Tombo e a otto studia il violino con Benno Walter, direttore dell'Orchestra di Corte. 1880 Il suo Quartetto per archi in La è eseguito a Monaco di Baviera. 1881 Hermann Levi dirige la sua Sinfonia in Re minore. 1885 Incontra Hans von Bülow, direttore dell'Orchestra di Corte di Meiningeni: egli esegue a Berlino la Serenata per 13 strumenti a fiato e lo nomina suo assistente. 1886 Assume l’incarico di terzo direttore dell'Opera di Corte di Monaco. Compone il suo primo poema sinfonico, Aus Italien, ispirato al suo primo viaggio in Italia. 1888 Incontra, e se ne innamora, il soprano Pauline de Ahna. 1889 Viene nominato maestro di cappella presso il Teatro di Corte di Weimar, incarico che conserverà fino al 1894. Sono gli anni dei più celebri poemi sinfonici: Macbeth, Don Juan, Tod und Verklärung, Till Eulenspiegels lustige Streiche. 1892 Strauss si ammala e passa l'inverno al Cairo, dove completa la musica per l’opera Guntram. 1894 La prima dell'opera viene diretta a Weimar, con Pauline nel ruolo della protagonista Freihild. Richard e Pauline si sposano lo stesso anno e per le nozze Richard regala alla sposa i quattro bellissimi Lieder op.27: Morgen, Cäcilie, Ruhe, meine Seele e Heimliche Aufforderung. 1895 Strauss è richiamato a Monaco come primo direttore e intraprende varie tournée in Europa. A questo periodo risalgono Also 1864
sprach Zarathustra, Don Quixote e Ein Heldenleben. 1905 Salome, opera in un atto, è eseguita a Dresda. Seguono Elektra e Der Rosenkavalier. 1919 Strauss accetta l’incarico di direttore dello Staatsoper di Vienna, dove dirige la prima rappresentazione di Die Frau ohne Schatten. 1931 Dopo la morte di Hofmannsthal, Strauss inizia a collaborare con il romanziere e biografo Stefan Zweig, che gli presenta un adattamento da Epicene o La donna silenziosa di Ben Jonson (Die schweigsame Frau). 1933 Durante il periodo nazista, subisce molte accuse a causa della sua collaborazione con l’ebreo Zweig e decide comunque di rimanere in Germania. 1937 Ancora convalescente da una malattia, Strauss completa Daphne a Taormina. 1944 Si svolgono a Vienna le celebrazioni per l'ottantesimo compleanno del compositore. A Salisburgo, Die Liebe der Danae arriva solo alla prova generale, a causa della chiusura di tutti i teatri tedeschi dovuta alla precaria situazione bellica. 1945 Nell'ottobre, Strauss si trasferisce con Pauline in esilio volontario in Svizzera, dove rimane fino al maggio 1949, quando viene assolto dalle accuse di collaborazionismo con i nazisti. Metamorphosen, studio per 23 archi, intenso canto funebre alla Germania distrutta, il Concerto per oboe, e soprattutto i Vier letzte Lieder sono gli ultimi importanti lavori. 1949 Richard Strauss si spegne a Garmisch l'8 settembre.
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Biografie direttori e solisti
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Riccardo Chailly Direttore
Riccardo Chailly è Direttore Musicale del Teatro alla Scala e Direttore Principale della Filarmonica della Scala. Dal 2016 ha assunto la carica di Direttore Musicale dell’Orchestra del Festival di Lucerna, succedendo a Claudio Abbado. È stato Kapellmeister del Gewandhausorchester di Lipsia, la compagine sinfonica più antica d’Europa, e Direttore Principale dell’Orchestra del Royal Concertgebouw di Amsterdam, che ha guidato per sedici anni. Conduce le principali orchestre internazionali, tra queste Wiener Philharmoniker e Berliner Philharmoniker, New York Philharmonic, Cleveland Orchestra, Philadelphia Orchestra e Chicago Symphony Orchestra. È ospite regolare di festival quali Salisburgo e BBC Proms di Londra. La carriera di Riccardo Chailly in campo operistico registra numerose produzioni al Teatro alla Scala, alla Staatsoper di Vienna, al Metropolitan di New York, all’Opera di San Francisco, al Covent Garden di Londra, alla Bayerische Staatsoper di Monaco, all’Opera di Zurigo. Riccardo Chailly è da oltre trent’anni artista esclusivo Decca. Tra i riconoscimenti più recenti delle sue oltre 150 incisioni si segnalano il Gramophone Award come Disco dell’Anno per l’integrale delle Sinfonie di Brahms e due Echo Classic nel 2012 e nel 2015. L’attività discografica con la Filarmonica della Scala, dopo il disco Viva Verdi realizzato in occasione del bicentenario verdiano, è ripresa nel 2017 con Overtures, Preludi e Intermezzi di Opere che hanno avuto la prima rappresentazione alla Scala. Decca ha appena pubblicato un cofanetto contenente 55 CD di registrazioni con le principali orchestre internazionali per celebrare 40 anni di collaborazione.
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Myung-Whun Chung Direttore e pianoforte
Myung-Whun Chung, nato in Corea, debutta come pianista all’età di sette anni, a 21 anni vince il secondo premio al Concorso Pianistico Čajkovskij di Mosca. Nel 1979 diviene assistente di Carlo Maria Giulini alla Los Angeles Philharmonic, dove nel 1981 è nominato direttore associato. Dal 1984 al 1990 è Direttore musicale dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Saarbrüken, dal 1987 al 1992 Direttore Principale invitato del Teatro Comunale di Firenze, tra il 1989 e il 1994 Direttore Musicale dell’Orchestra dell’Opéra di Paris-Bastille e dal 1997 al 2005 Direttore Principale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma. Nel 1995 fonda la Asia Philharmonic, formata dai migliori musicisti di otto paesi asiatici. Nel 2005 è nominato Direttore Musicale della Seoul Philharmonic Orchestra e nel 2016 Direttore Musicale Onorario della Tokyo Philharmonic Orchestra. Dal 2011 è Direttore Ospite Principale della Dresden Staatskapelle. Dal 2000 al 2015 Myung-Whun Chung è Direttore Musicale dell’Orchestre Philharmonique de Radio France e dal 2016 è Direttore Onorario. Nel 2015 ha ricevuto il Premio Abbiati per l’opera Simon Boccanegra di Verdi, diretta al Teatro La Fenice, e per l’attività sinfonica con la Filarmonica della Scala. Nel 2017 il Presidente della Repubblica Italiana lo ha nominato “Commendatore Ordine della Stella d’Italia” per il suo contributo alla cultura italiana. Myung-whun Chung è impegnato in iniziative di carattere umanitario, di diffusione della musica classica tra le giovani generazioni e di salvaguardia dell’ambiente. Nel 1995 è stato nominato “Uomo dell’anno” dall’UNESCO e l’anno successivo il Governo della Corea gli ha conferito il “Kumkuan”, il più importante riconoscimento in campo culturale. Nel 2008 ha ricevuto l’incarico di “Goodwill Ambassador” dall’UNICEF come riconoscimento per il suo impegno a favore dell’infanzia. Nel 2011 gli è stato conferito il titolo di “Commandeur dans l’ordre des Arts et Lettres” dal Ministro della Cultura Francese. Nel 2017 il Presidente della Repubblica Italiana lo ha nominato “Commendatore Ordine della Stella d’Italia” per il suo contributo alla cultura italiana. Attualmente è Ambasciatore Onorario per la Cultura della Corea del Sud, il primo nella storia del Governo del suo Paese.
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Sergey Khachatryan Violino
Nato a Yerevan, in Armenia, Sergey Khachatryan ha vinto il Primo Premio all’VIII Concorso Internazionale Jean Sibelius di Helsinki nel 2000: il più giovane vincitore nella storia della competizione. Nel 2005 ha ottenuto il Primo Premio al Concorso Regina Elisabetta a Bruxelles. Nelle ultime stagioni si è esibito con le principali orchestre internazionali. Gli appuntamenti salienti di questa stagione includono la residenza al Bozar di Bruxelles con due recital e un concerto con l’Orchestre National de Belgique e Hugo Wolff. Si esibisce anche con: Netherlands Radio Philharmonic Orchestra con Stanislav Kochanovsky, Orchestra della Svizzera Italiana e Gulbenkian Orchestra con Lorenzo Viotti, Bamberger Symphoniker con Ludovic Morlot e Rotterdam Philharmonic con Valery Gergiev. Sergey intraprende anche un tour negli Stati Uniti e in Europa con Alisa Weilerstein e Inon Barnaton con un programma intitolato “Transfigured Nights” con musiche di Beethoven, Schönberg e Šostakovič. Sergey collabora regolarmente con sua sorella Lusine, pianista. Insieme hanno tenuto recital in sale quali Konzerthaus Dortmund, Wigmore Hall (Londra), Théâtre des Champs-Élysées e Cité de la Musique (Parigi), Amsterdam Concertgebouw, Palais des Beaux Arts (Bruxelles), Victoria Hall (Ginevra), Auditori Nacional ( Madrid) Philharmonie Luxembourg, Carnegie Hall e Alice Tully Hall (New York) e Herbst Theatre (San Francisco). La più recente registrazione di Sergey e Lusine My Armenia per Naïve Classique, dedicata alla commemorazione del genocidio armeno nel centesimo anniversario, è stata premiata con l'Echo Klassik per la registrazione di musica da camera (XX/XXI secolo)/Mixed Ensemble. Insieme hanno anche registrato le tre Sonate di Brahms. La discografia di Sergey include anche i Concerti di Sibelius e Khachaturian con Sinfonia Varsovia e Emmanuel Krivine, i due Concerti di Shostakovich con l'Orchestre National de France e Kurt Masur, una registrazione delle Sonate di Shostakovich e Franck per violino e pianoforte e le Sonate e partite per violino solo di J. S. Bach. Khachatryan suona un violino Guarneri “Ysaye” del 1740 messo a disposizione dalla Nippon Music Foundation.
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Enrico Dindo Violoncello
Figlio d’arte, inizia a sei anni lo studio del violoncello. Si perfeziona con Antonio Janigro e nel 1997 conquista il Primo Premio al Concorso “Rostropovich” di Parigi. Da quel momento inizia la carriera da solista che lo porta ad esibirsi con le più prestigiose orchestre del mondo. Mstislav Rostropovich scrisse di lui: “… è un violoncellista di straordinarie qualità, artista compiuto e musicista formato, possiede un suono eccezionale che fluisce come una splendida voce italiana”. Tra gli autori che hanno creato musiche a lui dedicate, Giulio Castagnoli (Concerto per violoncello e doppia orchestra), Carlo Boccadoro (L’Astrolabio del mare, per violoncello e pianoforte; Asa Nisi Masa per violoncello, corni e archi e il Concerto per violoncello e orchestra), Carlo Galante (Luna in Acquario, per violoncello e 10 strumenti), Roberto Molinelli (Twin Legends, per violoncello e archi; Crystalligence, per cello solo e Iconogramma, per cello e orchestra) e Jorge Bosso (Valentina, un violoncello a fumetti). Direttore stabile dell’Orchestra da camera “I Solisti di Pavia”, ensemble da lui creato nel 2001, Direttore musicale della HRT Symphony Orchestra di Zagabria, è docente della classe di violoncello presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano, presso la Pavia Cello Academy e ai corsi estivi dell’Accademia Tibor Varga di Sion. Incide per Chandos con cui, nel 2012, ha pubblicato i due concerti di Shostakovich con la Danish National Orchestra & Gianandrea Noseda, e per Decca con cui ha registrato l’integrale delle opere per violoncello e pianoforte di Beethoven, le sei Suites di J.S. Bach oltre che i tre concerti per violoncello e archi di C.P.E. Bach, insieme ai Solisti di Pavia, sei concerti di Vivaldi e Il Concerto per violoncello e archi di Kapustin insieme a musiche di Piazzolla. Enrico Dindo è Accademico di Santa Cecilia e suona un violoncello Pietro Giacomo Rogeri (ex Piatti) del 1717, affidatogli dalla Fondazione Pro Canale.
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Leonidas Kavakos Violino e direttore
All’età di ventuno anni Leonidas Kavakos aveva già vinto tre prestigiosi riconoscimenti: il Concorso Sibelius nel 1985, il Premio Paganini e il Concorso di Naumburg nel 1988. Nel 1991 ha ricevuto un Gramophone Award per la registrazione del Concerto per violino di Sibelius nella sua versione originale, la prima nella storia di quest’opera. Leonidas Kavakos registra in esclusiva per Sony Classical. La sua ultima incisione, per il duecentocinquantesimo anniversario della nascita di Beethoven del 2020, è il Concerto per violino che ha diretto e suonato con la Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks. Nel 2007, le Sonate per violino di Beethoven eseguite con Enrico Pace hanno ricevuto un ECHO Klassik ‘Instrumentalist of the Year’. Nel 2014, Leonidas Kavakos ha ricevuto il premio di ‘Artist of the Year’ dalla rivista Gramophone. Leonidas Kavakos si esibisce e dirige le principali orchestre internazionali. Nella recente stagione è apparso al Festival di Verbier con Evgeny Kissin e ha diretto l’Orchestra da Camera del Festival nella Sinfonia Concertante di Mozart con Antoine Tamestit, si è unito a YoYo Ma ed Emanuel Ax al Tanglewood Music Festival per un programma con i Trii per pianoforte di Beethoven, in duo in recital con Ax per le Sonate di Beethoven e in un concerto orchestrale con la Boston Symphony in cui ha suonato e diretto il Concerto per violino di Beethoven e la Settima Sinfonia di Dvořák. Leonidas Kavakos è anche stato invitato come “Artiste Etoile” al Festival di Lucerna, dove si è esibito con l’orchestra del Festival e Yannick Nézet-Séguin, l’Orchestra Mariinsky e Valery Gergiev, la Filarmonica di Vienna e Andres Orozco Estrada, e in recital con Yuja Wang. Leonidas Kavakos è stato insignito del Premio Musicale Léonie Sonning per il 2017, la prestigiosa onorificenza danese, il cui albo d’oro annovera Daniel Barenboim, Leonard Bernstein, Pierre Boulez, Alfred Brendel, Benjamin Britten, e molti altri. Nato e cresciuto ad Atene in una famiglia di musicisti, Leonidas Kavakos è impegnato nel tramandare la conoscenza con l’insegnamento e le tradizioni musicali. È appassionato della creazione degli archetti, che Leonidas Kavakos considera tutt’oggi un grande mistero e un ‘segreto non svelato’. Leonidas Kavakos suona sul violino Stradivari ‘Willemotte’ del 1734
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Pablo Heras-Casado Direttore
Pablo Heras-Casado è direttore principale ospite del Teatro Real di Madrid e si esibisce con tutte le orchestre internazionali. Collabora regolarmente con la Freiburger Barockorchester, che ha diretto al Mostly Mozart Festival, al Lincoln Center, al Festival d'Aix-en-Provence, ai BBC Proms e al Concertgebouw di Amsterdam, nell'ambito di una residenza come Spotlight Artist della serie NTR Matinee e in molte incisioni. È direttore del Festival di Granada dal 2017. Nella sua ampia discografia la serie Die Neue Romantik, realizzata per l’etichetta harmonia mundi con musiche di Mendelssohn, Schumann e Schubert, è stata premiata ai Gramophone Awards. Le ultime incisioni si concentrano su opere di Mendelssohn e sul Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven, con Kristian Bezuidenhout al fortepiano. Altri dischi dell'etichetta includono album dedicati a Manuel de Falla, con la Mahler Chamber Orchestra; Debussy, con la Philharmonia Orchestra; Bartók, con i Münchner Philharmoniker e Javier Perianes; Selva morale e spirituale di Monteverdi con BalthasarNeumann-Chor & Ensemble. Vincitore di numerosi premi, tra cui il Preis der Deutschen Schallplattenkritik, due Diapason d'Or e un Latin Grammy, ha anche registrato per Deutsche Grammophon, Decca e Sony Classical. Heras-Casado si dedica ai giovani musicisti di tutto il mondo, guidando ensemble e progetti quali Karajan Akademie der Berliner Philharmoniker, Juilliard School of Music Orchestra, ensemble Juilliard415, RCO Young, Escuela de Música Reina Sofia, Fundación BarenboimSaid, Orquesta Joven de Andalucía o la Pan-Caucasian Youth Orchestra a Tbilisi, Georgia. Nel 2018 gli è stato conferito il titolo di Chevalier de l'ordre des Arts et des Lettres della Repubblica Francese dall'ambasciatore di Francia in Spagna. Molto impegnato nell'opera di beneficenza spagnola Ayuda en Acción in qualità di Ambasciatore globale, Heras-Casado sostiene e promuove l'opera di beneficenza a livello internazionale.
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Julian Rachlin Violino
Violinista, violista e direttore d’orchestra, Julian Rachlin è all’apice di una carriera che lo ha visto solista con i migliori direttori e le orchestre più importanti al mondo. Rachlin è inoltre direttore ospite principale della Royal Northern Sinfonia, della Turku Philharmonic Orchestra e della Kristiansand Symphony Orchestra. Tra i recenti successi si annoverano le sue esibizioni con la St. Petersburg Philharmonic e Mariss Jansons, la Montreal Symphony Orchestra con Christoph Eschenbach, la Boston Symphony Orchestra con Juanjo Mena, la Pittsburgh Symphony Orchestra con Manfred Honeck, la Filarmonica della Scala con Riccardo Chailly, il Maggio Musicale con Vladimir Ashkenazy, la Philharmonia Orchestra con Jakub Hrůša e la Bavarian Radio Symphony Orchestra con Susanna Mälkki. Julian Rachlin ha inoltre diretto la Vienna Symphony Orchestra, la Berlin Konzerthaus Orchestra, la Moscow Philharmonic, la St.Petersburg Symphony, la Strasbourg Philharmonic e la Trondheim Symphony Orchestra, solo per citarne alcune. Nato in Lituania, Julian Rachlin si è trasferito a Vienna nel 1978. Ha studiato violino con Boris Kuschnir al Conservatorio di Vienna e con Pichas Zukerman. Dopo la vittoria del premio "Young Musician of the Year" all’Eurovision Competition nel 1988, è diventato il più giovane solista di tutti i tempi a suonare con la Vienna Philharmonic, debuttando sotto la direzione di Riccardo Muti. Su consiglio di Mariss Jansons, Julian Rachlin ha iniziato gli studi di direzione orchestrale con Sophie Rachlin. Dal settembre del 1999 insegna violino alla Music and Arts University della città di Vienna. Le sue registrazioni per Sony Classical, Warner Classics e Deutsche Grammophon hanno riscontrato un grande successo di pubblico e critica. Inoltre Julian Rachlin, ambasciatore UNICEF, investe molte energie nell’educazione e nella beneficienza. Suona uno Stradivari "ex Liebig" del 1704 e una viola Lorenzo Storioni del 1785, gentilmente concessi in prestito dalla Dkfm Angelika Prokopp Privatstiftung. Le sue corde sono sponsorizzate da Thomastik-Infeld.
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Fabio Luisi Direttore
Nato a Genova, attualmente è Direttore Stabile (General Music Director) al Teatro dell’Opera di Zurigo, Direttore Principale della Danish National Symphony Orchestra di Copenaghen e Direttore Musicale del Maggio Musicale Fiorentino. Dal 2011 al 2017 è stato Direttore Principale del Metropolitan Opera House di New York, nonché Direttore Principale dei Wiener Symphoniker (2005-2013), della Staatskapelle di Dresda (20072010), dell’Orchestre de la Suisse Romande a Ginevra (1997-2002), dell’Orchestra del Mitteldeutscher Rundfunk di Lipsia (1999-2007) e dei Tonkünstler di Vienna (19952000). Dal 2015 è Direttore Musicale del Festival della Valle d’Itria a Martina Franca, un Festival al quale è stato legato fin dagli inizi della sua carriera. Dirige stabilmente nei maggiori Teatri d’opera del mondo (Teatro alla Scala di Milano, Covent Garden di Londra, Opéra di Parigi, Liceu di Barcellona, Bayerische Staatsoper di Monaco, Lyric Opera di Chicago) ed è ospite delle migliori orchestre (Cleveland Orchestra, Philadelphia Orchestra, San Francisco Symphony, Concertgebouw Orkest, London Symphony Orchestra, Wiener Philharmoniker, Filarmonica della Scala, NHK Orchestra Tokyo). Ha al suo attivo numerose registrazioni, fra cui l’integrale delle Sinfonie di Robert Schumann, di Arthur Honegger e di Franz Schmidt, poemi sinfonici di Richard Strauss, opere di Verdi, Bellini, Donizetti, Rossini, Strauss, Wagner e Berg. Per il DVD di Siegfried e Götterdämmerung con i complessi del Metropolitan di New York ha vinto un Grammy Award; per la registrazione della Nona Sinfonia di Anton Bruckner con la Staatskapelle di Dresda ha vinto un Premio Echo-Klassik. Fra le onorificenze ricevute: il premio Abbiati, l’Anello d’oro dedicato ad Anton Bruckner dei Wiener Symphoniker, il Grifo d’Oro della città di Genova, la Laurea honoris causa della St. Bonaventure University (Allegany, NY), l’Ordine della Repubblica Austriaca per Scienze ed Arti. Inoltre è Cavaliere della Repubblica Italiana e Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia.
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Seong-Jin Cho Pianoforte
Seong-Jin Cho ha vinto nel 2015 il primo premio al Concorso Chopin di Varsavia. Quattro anni prima, a soli diciassette anni, si era classificato terzo al Čajkovskij di Mosca. Tra le collaborazioni in campo orchestrale si segnalano i concerti con Berliner Philharmoniker e Simon Rattle, Gewandhaus Orchester e Antonio Pappano, London Philharmonic Orchestra e Robin Ticciati, New York Philharmonic e Jaap van Zweden, Philadelphia Orchestra e Yannick-Nézet-Seguin in tournée, Los Angeles Philharmonic con Gustavo Dudamel, Bavarian Radio Symphony Orchestra e Mariss Jansons e molte altre. Seong-Jin Cho si è esibito nelle sale da concerto più prestigiose del mondo, tra queste la Carnegie Hall come parte della serie Keyboard Virtuoso, il Concertgebouw di Amsterdam nella serie Master Pianists, la Berlin Philharmonie Kammermusiksaal, la Konzerthaus di Vienna, la Suntory Hall di Tokyo, la Tonhalle di Zurigo, il Prinzregententheater di Monaco, il Festival de La Roque d'Anthéron, il Verbier Festival, il Gstaad Menuhin Festival, il Festival di Rheingau e molti altri. Nel gennaio 2016, Seong-Jin Cho ha firmato un contratto di esclusiva con l’etichetta discografica Deutsche Grammophon. L’ultimo CD, pubblicato nel maggio 2020, contiene musiche di Schubert, Berg e Liszt. Nato nel 1994 a Seoul, Seong-Jin Cho ha iniziato a studiare pianoforte all’età di sei anni e si è esibito in pubblico per la prima volta cinque anni dopo. Dal 2011 ha vissuto a Parigi, dove ha studiato Conservatoire National Supérieur de Musique diplomandosi nel 2015. Attualmente vive a Berlino.
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Marc Albrecht Direttore
Marc Albrecht è Direttore Principale della Nederlandse Opera oltre che della Philharmonisch Orkest e Kamerorkest; è ospite regolare delle principali orchestre e dei più importanti teatri d’opera europei. Agli esordi della carriera, Albrecht ha ricoperto il ruolo di direttore assistente di Claudio Abbado con la Gustav Mahler Jugendorchester di Vienna. Nel 1995 è stato nominato Direttore Musicale dello Staatstheater di Darmstadt, posizione che ha mantenuto per sei anni, e nel 2006 ha assunto la carica di Direttore Artistico e Direttore Principale dell’Orchestre Philharmonique de Strasbourg. Albrecht ha debuttato alla Royal Opera House di Londra con Der fliegende Hollaender di Wagner; ha inoltre diretto Der Prinz von Homburg di Henze al Theater an der Wien, Lulu di Alban Berg all’opera di Ginevra e al Festival di Salisburgo (con i Wiener Philhrmoniker), Tannhäuser e Die Soldaten a Zurigo, Elektra, Kotezh e la prima mondiale di Oreste di Manfred Trojahn ad Amsterdam. Al Teatro alla Scala ha debuttato nel 2012 con Die Frau ohne Schatten di Strauss. Alla Nederlandse Opera ha diretto le produzioni di Die Frau ohne Schatten, Fidelio e Carmen, e, a partire dalla sua nomina a Direttore Musicale, Elektra, La leggenda della città invisibile di Kitezh e la prima mondiale di Oreste di Manfred Trojahn, Der Schatzgräber di Schreker, Die Zauberflöte e de Die Meistersinger von Nürnberg, Tristano e Isotta, Tannhäuser, Die Walküre. Ha diretto Die Frau ohne Schatten alla Staatsoper di Berlino, i due titoli di Zemlinsky Eine Florentinische Tragödie e Der Zwerg al Teatro alla Scala, Tannhäuser e Die Soldaten all’opera di Zurigo. Marc Albrecht ha inciso numerosi dischi per l’etichetta discografica PentaTone con l’Orchestre Philharmonique de Strasbourg, tra i quali i Poemi sinfonici di Strauss, i concerti di Dvo{ák e Schumann con Martin Helmchen, la Sinfonia in fa diesis di Korngold e musica per orchestra di Berg, Dukas, Koechlin e Ravel. Con la Netherlands Philharmonic ha inciso Das Lied von der Erde di Mahler nel 2013. L’Opera di Amsterdam ha pubblicato le registrazioni live di Elektra e Schatgraeber per l’etichetta Challange Labe.
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Huw Montague Rendall Baritono
Diplomato nel 2018 all'International Opera Studio Zürich, il venticinquenne baritono britannico Huw Montague Rendall, ha iniziato la carriera una serie di debutti tra cui il Conte Almaviva nelle Nozze di Figaro all'Opéra National de Lorraine, Ned Keene in Peter Grimes all'Enescu Festival. Alla Komische Oper e al Festival d'Aix-en-Provence è Marcello nella Bohème. Al Festival di Salisburgo si esibisce nella serie "Mozart Matinee" con Raphaël Pichon e per alla Cadogan Hall con il Bournemouth Symphony Chorus & Orchestra e in recital con Hélio Vida a Nancy. Cardini della recente stagione sono stati Harlequin in Ariadne auf Naxos al Festival d'Aixen-Provence e al Théâtre des Champs-Élysées, Schaunard in Bohème all'Opernhaus di Zurigo. In ambito concertistico ha eseguito Die Erste Walpurgisnacht di Mendelssohn con la Scottish Chamber Orchestra e si è esibito in un concerto di beneficenza per l'International Opera Studio all'Opernhaus Zürich insieme a Cecilia Bartoli. Ha inoltre eseguito il Requiem del compositore francese Duruflé con la RTE National Symphony Orchestra e tenuto concerti in tutto il Regno Unito con opere sacre di Brahms, Handel, Stainer, Fauré, Finzi e Vaughan Williams. Tra le altre apparizioni figurano un recital all'Oxford Lieder Festival e concerti con la Missa in Angustiis e la Missa Sancti Nicolai di Haydn. Alunno del Royal College of Music, Montague Rendall si è formato sotto la guida di Russell Smythe, dopo aver studiato sotto la guida di David Rendall e Philip Doghan. Nell'estate del 2016 Montague Rendall è stato Jerwood Young Artist per il Glyndebourne Festival Opera, dove ha cantato il ruolo di Fiorello nel Barbiere di Siviglia ed è stato anche insignito del premio John Christie Award 2016. L'estate successiva è entrato a far parte del Young Artist Programme al Salzburg Festspiele dove ha debuttato nel ruolo del Secondo Apprendista in Wozzeck.
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Filarmonica della Scala
La Filarmonica della Scala viene fondata da Claudio Abbado e dai musicisti scaligeri nel 1982. Carlo Maria Giulini guida le prime tournée internazionali; Riccardo Muti, Direttore Principale dal 1987 al 2005, ne promuove la crescita artistica e ne fa un’ospite costante nelle più prestigiose sale da concerto internazionali. Da allora l’orchestra ha instaurato rapporti di collaborazione con i maggiori direttori tra i quali Leonard Bernstein, Giuseppe Sinopoli, Seiji Ozawa, Zubin Mehta, Esa-Pekka Salonen, Riccardo Chailly, Yuri Temirkanov, Daniele Gatti, Fabio Luisi, Gustavo Dudamel. Profonda è la collaborazione con Myung-Whun Chung e Daniel Harding. Daniel Barenboim, Direttore Musicale del Teatro dal 2006 al 2015, e Valery Gergiev, sono membri onorari, così come lo sono stati Georges Prêtre, Lorin Maazel, Wolfgang Sawallisch. Nel 2015 Riccardo Chailly ha assunto la carica di Direttore Principale. La Filarmonica realizza la propria stagione di concerti ed è impegnata nella stagione sinfonica del Teatro alla Scala. Sono oltre 800 i concerti all’estero tenuti durante le numerose tournée. Ha debuttato negli Stati Uniti con Riccardo Chailly nel 2007 e in Cina con Myung-Whun Chung nel 2008. È ospite regolare delle principali istituzioni concertistiche internazionali. Da cinque anni è protagonista del Concerto per Milano, il grande appuntamento sinfonico gratuito in Piazza Duomo, tra le iniziative Open Filarmonica nate per condividere la musica con un pubblico sempre più ampio, di cui fanno parte anche le Prove Aperte, il cui ricavato è devoluto in beneficenza ad associazioni non profit milanesi che operano nel sociale, e il progetto didattico Sound, Music! dedicato ai bambini delle scuole primarie milanesi. Particolare attenzione è rivolta al repertorio contemporaneo: la Filarmonica della Scala commissiona ogni anno un nuovo lavoro orchestrale ai compositori del nostro tempo. Consistente la produzione discografica per Decca, Sony ed Emi. Delle recenti incisioni con Riccardo Chailly per Decca si segnalano: il disco Ouvertures, Preludi e Intermezzi di Opere che hanno avuto la “prima” al Teatro alla Scala; The Fellini Album con le musiche da film di Nino Rota e Cherubini Discoveries. Di recente pubblicazione l’Album Respighi. L’attività della Filarmonica della Scala non attinge a fondi pubblici ed è sostenuta da UniCredit, Main Partner istituzionale dell’Orchestra, e dallo Sponsor Allianz.
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Professori d'Orchestra Violini Primi Francesco De Angelis (Spalla) Francesco Manara (Spalla) Laura Marzadori (Spalla) Daniele Pascoletti * Eriko Tsuchihashi* Duccio Beluffi Rodolfo Cibin Elena Faccani Alessandro Ferrari Agnese Ferraro Alois Hubner Fulvio Liviabella Kaori Ogasawara Andrea Pecolo Suela Piciri Gianluca Scandola Enkeleida Sheshaj Dino Sossai Gianluca Turconi Corinne Van Eikema Lucia Zanoni Violini Secondi Giorgio Di Crosta* Pierangelo Negri* Anna Longiave Anna Salvatori Emanuela Abriani Damiano Cottalasso Stefano Dallera Silvia Guarino Stefano Lo Re Paola Lutzemberger Antonio Mastalli Roberta Miseferi Leila Negro Roberto Nigro Gabriele Porfidio Estela Sheshi Evgenia Staneva Francesco Tagliavini Alexia Tiberghien Olga Zakharova
Viole Simonide Braconi* Danilo Rossi* Matteo Amadasi Giorgio Baiocco Carlo Barato Maddalena Calderoni Thomas Cavuoto Olga Gonzalez Cardaba Marco Giubileo Joel Imperial Francesco Lattuada Filippo Milani Emanuele Rossi Giuseppe Russo Rossi Luciano Sangalli Eugenio Silvestri Violoncelli Sandro Laffranchini* Alfredo Persichilli* Massimo Polidori* Martina Lopez Jakob Ludwig Gabriele Garofano Simone Groppo Gianluca Muzzolon Cosma Beatrice Pomarico Marcello Sirotti Massimiliano Tisserant Contrabbassi Giuseppe Ettorre* Francesco Siragusa* Attilio Corradini Omar Lonati Michelangelo Mercuri Claudio Nicotra Roberto Parretti Emanuele Pedrani Alessandro Serra Gaetano Siragusa
Flauti Andrea Manco* Marco Zoni* Massimiliano Crepaldi Francesco Guggiola Ottavino Giovanni Paciello Oboi Fabien Thouand* Armel Descotte* Augusto Mianiti Gianni Viero Corno Inglese Renato Duca Clarinetti Fabrizio Meloni* Christian Chiodi Latini Clarinetto Basso Stefano Cardo Fagotti Valentino Zucchiatti* Gabriele Screpis* Maurizio Orsini Nicola Meneghetti Controfagotto Marion Reinhard Corni Jorge Monte De Fez* Danilo Stagni* Roberto Miele Claudio Martini Stefano Curci Piero Mangano Giulia Montorsi
Trombe Francesco Tamiati* Marco Toro* Gianni Dallaturca Nicola Martelli Tromboni Torsten Edvar* Daniele Morandini* Riccardo Bernasconi Renato Filisetti Giuseppe Grandi Tuba Javier Castano Medina Brian Earl Timpani Andrea Bindi* Percussioni Gianni Arfacchia Giuseppe Cacciola Gerardo Capaldo Francesco Muraca Arpe Luisa Prandina* Olga Mazzia* Tastiere Lorenzo Bonoldi * prima parte
I contrabbassi della Filarmonica montano corde
Filarmonica della Scala Riccardo Chailly Ph. G.Hänninen
Associazione Filarmonica della Scala
Fondatore Claudio Abbado Presidente Maurizio Beretta Presidente onorario Dominique Meyer Sovrintendente del Teatro alla Scala Direttore principale Riccardo Chailly Soci onorari Daniel Barenboim Valery Gergiev Georges PrĂŞtre Lorin Maazel Wolfgang Sawallisch Coordinatore artistico organizzativo Damiano Cottalasso Comunicazione e edizioni Marco Ferullo Segreteria artistica Alessandra Radice Coordinamento generale Hetel Pigozzi
Organici e coordinamento della produzione Renato Duca Consiglio di Amministrazione Maurizio Beretta, Presidente Renato Duca, Vicepresidente Carlo Barato Damiano Cottalasso Maurizio Devescovi Carla Mainoldi Andrea Manco Piero Mangano Francesco Micheli Daniele Morandini Roberto Parretti Luisa Prandina Cesare Rimini Severino Salvemini Ernesto Schiavi Gabriele Screpis Francesco Tagliavini Collegio dei revisori dei conti Tullio Turri, Presidente Paolo Lazzati Loris Zannoni
Mecenati Esselunga S.p.A. Fondazione Bracco Fratelli Prada S.p.A. Marino e Paola Golinelli Rosetti Marino S.p.A.
Sostenitori Mario Joseph Abate Carlo Luigi Acabbi Camilla Achilli Emilia Acquadro Folci Noris Agosta Emilio Aguzzi de Villeneuve Giuliana Albera Caprotti Adalberto e Anna Alberici Simona Alberizzi Fossati Luigi e Juliana Albert Stefano Alberti de Mazzeri Alfredo Albertone e Annamaria Scevola Alberto Albinati Alberto Alemagna A Socio Unico Ali Group S.R.L Guido Carlo Alleva Alvise Alverà Silvia Amati Bassani Amici della Scala Ennio Amodio Emilia Amori Mosca Lamberto Andreotti Cristina Angé Festorazzi Annas Srl Elisabetta Arrigoni Erica Astesani Anna Maria Aureli Francesco Baggi Sisini Stefano Baia Curioni Giovanna Balestreri Carla Ballabio Paola Banducci Nice Barberis Gianni Barberis Canonico Antonella Barbier Randolfi
Giuseppina Barbier Meroni Jenny Barbieri Milena Barbieri Oppizzio Giuseppina Barboni Rocca Orsina Baroldi Sylvia Bartyan Ignazio Giorgio Basile Andreina Bassetti Rocca Nicolò e Maria Vittoria Bastianini Carnelutti Fabrizio Battanta Claudia Battinelli Matteo Bay Lucia Beato Borradori Rosa Bedoni Antonio Belloni Enrico Belloni Giancarlo Belloni Massimo Belloni Giorgio Giovanni Bellotti Carla Beltrami Zasso Jacob Benatoff Giuseppe Bencini Enrica Bencini Ascari Dina Berardi Terruzzi Paola Berardo Castelli Ernesto Beretta Roberto Beretta Lina Bruna Bernardini Fabio Bernasconi Mercedes Bernasconi Mirella Bernasconi Vivante Giuseppe Bernoni Maria Luisa Bertacco Umberto Bertelé Marina Bertoli Sirtori Milena Bertuzzi Rustioni Allegra e Dino Betti van der Noot Raffaella Bettinelli Curiel Gloria Biagi Francesca Bianchi Barbara Bianchini Anna Bianchini d’Alberigo Roberta Binda Nicole Blanga Fouques Daniele Blei Silvia Bohm Stefano Boeri Giovanna Bologna Marina Bonacina Sciake Bonadeo Cesare Bonadonna Lidia Bonatelli
Enrico Bonatti Kinina Bonatti Maria Enrica Bonatti Giuseppe Bonfardeci Giancarlo Bongioanni Maria Pia Bonomelli Ada Borella Federica Borella Emilio Borra Andrea Bosetti Luciana Bottoli Stefano Bottoli Amelia Boveri Puni Andrea Bracchetti Marco Bracchetti Roberto Bracchetti Alvise Braga Illa Gerardo Braggiotti Sebastiano e Bianca Maria Brenni Bianca Maria Brenni-Wicki Corinna Brenta del Bono Ennio Brion Francesco Roberto Riccardo Brioschi Roberta Brivio Sforza Christopher Broadbent Maria Grazia Brunelli Pizzorno Titta Bruttini Carlo Buora Claudio Emilio Buzzi Cesare Buzzi Ferraris Gregorio Luigi Maria Caccia - Dominioni Gabriella Calabrese Gabriella Calori Vincenzo Caltabiano Antonietta Calvasina Vittoria Calvi Laura Camagni Claudio Camilli Maria Teresa Camisasca Lucia Campisi Borra Silvana Cannavale Viola Gregorio Cappa Luisa Cappelli Emilia Capponi Francesco Arnaldo Caridei Antonella Carnelli de Micheli Camerana Dora Carpaneda Silvia Casalino Rivetti Lucia Cassani Arrigoni Cristina Cassinelli Guglielmo Castelbarco Albani Verri Laura Castelli Rebay
Gigliola Castellini Curiel Maria Pia Cattaneo Mario Cattaneo Enzo Sergio Antonio Cattaneo Lidia Cavaggioni Gisella Cavaggioni Introini Giovanni Cavalli Tommaso Cavallini Enrica Cebulli Achille Cecchi Adolfo Cefis Luigi Cella e Piera Ferraris Centro del Funerale di Gheri Merlonghi Srl Lionel Ceresi Francesca Cerri Elisabetta Ceschi Caprotti Matteo Francesco Enrico Chiapasco Elisabetta Chiesa Enrico e Alessandra Chiodi Daelli Simonetta Ciampi Gianfranco Ciboddo Anna Cima Cima 1915 Srl Marina Cimbali Giovanni Ciocca Letizia Cipolat Franca Cocchetto Emilio Cocchi Vittorio Codecasa Giulia Maria Teresa Cogoli Mario Colasurdo Liliana Collavo Valeria Collini Tiziana Collini Laura Franca Colombo Giulio Federico Colombo Renata Colorni Comitalia – Compagnia Fiduciaria Fedele Confalonieri Luigi Consiglio Monica Coretti Elisa Corsi Tettamanti Carlo e Angela Corsi Maura Cortese Pacchioni Maurizio Corvi Mora Maria Laura Cozzi Lazzati Bianca Maria Cozzi Luzzatto Adolfo Cremonini Giulia Crespi Mozzoni Alfredo e Marialuisa Cristanini Cristina Cristiani Gianfilippo Cuneo
Anna Cuppini Vittore Curti Antonella Dainotto Mimma Danielli Brambilla Andrea Daninos Elena Maria Giuseppina De Hierschel de Minerbi Vincenzo De Luca Giacomo De Marini Margot De Mazzeri Paola Tiziana De Sanna Anna De Simone Margherita Del Favero Gianni Dell’Orto e Rita Ostini Giampaolo Della Rosa Giovanni Desimoni Marco Di Guida Leda Di Malta Demuru Maria Carla Discalzi Rosanna Dompieri Donatella Donati Maria Grazia Donelli Elena Du Chêne de Vère Maria Caterina Du Chêne de Vère Anna Du Chêne de Vère Margherita Du Chêne de Vère Villa Lorenzo e Anna Enriques Adriana Ercole Bruno Ermolli Giuseppe Faina Anna Falchi Marco Fantini ed Ermella Zanieri Fantini Giorgio Fantoni Rita Farina Enrico Farsura Ariberto Fassati Luigi Rainero e Laura Fassati Gian Giacomo Faverio Grazia Fedi Gariboldi Anna Feltri Paolo Ferrario Giuliana Ferrofino Cesarina Ferruzzi Anna Maria Fiorelli Mariani Riccardo Fiorina Maria Cristina Fioruzzi Respublica Fondazione Fiera Internazionale Milano Fondazione E.A. Alberto Fontana Maria Luisa Fontana Paola Maria Formenti Mirella Formenti Pio
Paola Formenti Tavazzani Alberto Fossati Maurizio Foti Laura Frassani Catanese Fabrizio Fregni Letizia Frezzotti Maria Frosi Merati Giulia Frosi Venturini Simone Fubini Carla Melissa Gabardi Irene Gaetani d’Aragona Giorgio Gagliardini Fiorenzo Galli Antonio Gandolfi Carlo Garbagnati Gian Maria e Anna Garegnani Mario Garraffo Carla Gaslini Trotter Marina Gasparotto Curti B.B.R. Ass.Ni Srl Generali Italia Monza Romolo Genghini Francesco Gerla Elena e Angela Gerosa Gustavo Ghidini Ambretta Ghio Federico Ghizzoni Roberto Giacomelli Bianca Maria Giamboni Paolo Giannini Mochi Camilla Ginori Conti Alberto Giordanetti Antonio Eugenio Giuliani Fernanda Giulini Vittorio Giulini Marina Gnecchi Ruscone Agostini Paola Gnesutta Nicoletta Gola e Giulia Larrieu Gaetana Gola Jacono Micaela Goren Monti Tiziana Gosce Marva Griffin Wilshire Milvia Groff Stefania Grunzweig Patrizia Gualtieri Federico Guasti Giovanna Guicciardini Francesca Maria Guidobono Cavalchini Massimo Guzzoni Jacopo Guzzoni Enrique e Maria Luisa Hausermann Alessandra Maria Heukensfeldt Slaghek Fabbri Mania Hruska
Alberta Bianca Imperiali Investitori SGR Spa Giovanni Iudica e Maria Lorenza Sibilia Giustina Jaeger Victoria Josefowitz Giacomo Jucker Annalisa Kahlberg Zvi Katz Carla Klinghofer Enrico Lainati Giovanni Lalatta Paolo Alberto Lamberti Guido e Gabriella Landriani Pier Luigi Lanza Neda Lapertosa Antonia Lareno Faccini Mariateresa Lazzari Giorgetti Paolo Lazzati Elisabeth Le Van Kim Augusta Lebano Filippo Lebano e Maria Debellich Goldstein Pasquale Lebano e Bianca Maria Ranzi Viviana Lecchi Benjamin Lerner Elisabetta Levoni Graziella Levoni Libreria Antiquaria Mediolanum Bianca Lisi Lanzoni Cristina Litta Modigliani Franca Lo Bianco Claudio Locatelli Flavio Locatelli Pompeo Locatelli Maria Giovanna Lodigiani Giampaolo Longhin Marzio Longo Giampaolo Lottaroli Pietro Stefano Lucchini Ester Luciano Codagnoni Riccardo Luzzatto Elio Maestri Carla Magnoni Pessina Umberto Maiocchi Guglielmo Maisto Luigi Majnoni d’Intignano Maria Pia Malugani Giovanni Mameli Adriana Manara Guglielmo Manetti Rocco Mangia Silvana Mangiameli Beatrice Mangiameli Molinari
Michele Mantero Roberto Marchesi Josepha Marchetti Piergaetano Marchetti Angelo e Alessandra Marchiò Alessandra Marcora Daniela Mari Floriana Maris Fernanda Marzoli Guy Andrea Attilio Cesare Marzorati Paola Marzorati Polar Gianni e Marialuisa Massardo Antonella Massari Maria Consolata Massone Silvana Mattei Maria Pia Matteoni Donatella Maveri Corrado Franco Maveri Maria Gabriella Maveri Maura Maveri Rota Roberto Mazzotta Mediaset Spa Maria Pia Medolago Albani della Beffa Jacques Megevand Filippo Menichino e Orietta Tonini Brunella e Andrea Mennillo Massimo Menozzi Anna Rosa Meoni Merati Cartiera di Laveno S.p.a Hillary Mary Merkus Francesco Micheli Paolo Vittorio Michelozzi Mario e Lisetta Miglior Rosa Milesi Alberto Milla Carl Emil Minder Marco e Letizia Mirabella Roberti Rosita Missoni Jelmini Vittorio Moccagatta Ermete Molinari Alfredo e Isabella Molteni Corbellini Vincenzo Monaci Renata Monico Maddalena Montagnani Marina Montel Matilde Monti Michele Monti Fosca Montibelli Noris Morano Orsi Warly Moreira Tomei Valentina Ippolita Moretti Albino Moretti
Giovina Moretti Di Noia Tono Morganti Marzia Mori Ubaldini Alberto Moro Alberto Moro Visconti Franco Mosca Musical Viaggi Sas Massimo Napolitano Delly Napolitano Perenze Giulia Natoli Federico Nordio Mario Notari Nucci Notari Lanzi Pierluigi Novello Chicca Olivetti Marco Onado Gian Battista e Chiara Origoni della Croce Francesco Orombelli Roberto Orsi e Bianca Maria Giamboni Giovanni Ortolani Thierry Oungre Gasparino Padovan Adelmo Paganini Gabriella Pagliani Torrani Roberto Pancirolli e Simona Valsecchi Angela Panzeri Roberto Paoli Maria Luisa Paolucci Vittorelli Maria Luisa Pasti Michelangelo Pastore Giovanni Pavese Elena Pavesi Tegami Marco Pecori e Carla Comelli Pascale Pederzani Valeria Pella Elena Maria Anita Perego Linda Perini Silvia Peruzzotti Marino Piacitelli Emma Pidi Novello Maria Piera Pigorini Carlo Piona Orestina Piontelli Cecilia Pirelli Carla Pizzoccaro Ferruccia Plaj Caldana Roberto Poli Francesco Pomati Alessandro Pontiggia Janine Simone Potherat Stefano Preda e Elena Gambini Adalberto Predetti e Paola Caprotti
Emanuela Predetti Santina Prina Mariani Giorgio e Anita Quagliolo Riccardo Quarti Liliana Querci Innocenti Carla Ratti di Desio Pragliola Marco Rayneri Giovanni Rebay Antonio Recalcati Angelo Recalcati Beno Antonio Reverdini Emma Ricci Saraceni Cesare Rimini Luigi e Teresa Rinaldi Fabrizio Rindi Pia Ripamonti Gilda Ripamonti Giovanna Risso Bianchi Flavio Riva Emma Rivolta Sala Carla Bruna Rizzani Gianni Rizzoni e Carla Ghellini Sargenti Luisa Robba Maria Antonia Robbiani Giorgio Rocco Ghilla Roditi Paola Anita Rodolfi Roberta Rodolfi Gabaldo Silvia Maddalena Romagnoli Patrizia Romani Armando Romaniello Federico Ronzoni Carol e David Ross Maria Angela Rossi Boccalero Mercedes Rossi Sandron Maria Angela Rossini Morini Anna Rosso Annamaria Rota Maurella Rota Luigi Roth Lorenza Rotti Maria Cecilia Rovetta Roberto Ruozi Elisabetta Rusconi Clerici Bassetti Virginia Russo Juanita Sabbadini Giovanna Sacchetti Emilia Sacchi Spinelli Rossana Sacchi Zei Floreana Saldarini Elsa Saltamerenda Severino Salvemini
Stefano Salvetti Claudia Salvi Henry Marialuisa Sangalli Stefano Sangalli Alberto Santa Maria Studio Legale Associato Santa Maria Marco Santi Barbara Santoli Salvatore Sanzo Carlo Sarasso Silvia Sardi Sarge Srl Gabriella Sarogni Gianluca Sarto Laura Sartori di Borgoricco Giuseppe Sbisà e Valentina Favretto Sbisà Chiara Scaglioni Luciana Scaramella Guglielmo Scattaro Manuela Vicky Schapira Carlo Schiavoni Peter Antonio Schilling Giuseppe e Giovanna Scibetta, Lucia Pamara Carlo Luigi Scognamiglio Pasini Daniela Scolari Codecasa Giuliana Seccafieno Dall’Ora Liliana Servi Sandra Severi Sarfatti Anna Sikos Silvio Fossa Spa Paola Siniramed Antonio Somaini Francesca Somaini Massimo Sordi Luisa Sormani Cortesi Giuseppe e Giovanna Spadafora Mirella Sparaci e Lucia Formenti Decio e Cristina Spinelli Ressi Monica Cristiana Maria Staffico Stanza del Borgo Srl Vlasta Strassberger Blei Studio Giovanni Terruzzi Studio Associato Rovella Studio Legale Zambelli - Luzzati - Meregalli Studio Legale Discepolo Studio Legale Majorana - Fedi Federico Sutti Rosalba Tabanelli Mariani Boguslawa Targetti Kinda Giorgio Tarzia Tecnet Spa Anna Laura Tedeschi Somaini
Giuseppe Tedone Marco Francesco Testa Eugenio Tettamanti Daria Tinelli di Gorla Carlo Tivioli Francesca Torelli Emanuele Torrani Flavio Torrini Albert Totah Roberto Tramarin Giovanni Trocano Francesca Trucchi Annamaria Turri Alessandro Turri Tullio Turri Alberto Valentini Olivia Valli Collini Ombretta Valli Musiani Maria Luisa Vanin Tarantino Attilio Ventura Franco e Marialuisa Veroner Giovanni Viani Maria Savina Vigilante Roberto ed Elda Villani Luchino Visconti di Modrone Antonio Visentin Vitale&Co. Spa Franca Vitali Camillo Vitali Mazza Paolo Vitali Mazza Karin Wachtel Weber Shandwick Srl Laura Wildermuth Carlo Winchler Paolo M. Zambelli e Giulia Cocchetti Zambelli Chiara Zambon Margherita Elena Maria Zambon Marta Zambon Ghirardi Claudio Zampa Ermella Zanieri Fantini Annalisa Zanni Franco Zanoletti Alberto e Nadia Zanolla Annalisa Zanotti Umberto Zanuso Elisabetta Zevi Franco Zito Antonio Zoncada Cenzi Zorzoli Pigorini
Un ringraziamento speciale a Roberto Beretta Mirella Bernasconi Vivante Luciana Bottoli Stefano Bottoli Patrizia Gualtieri Marco Di Guida Anna Feltri Francesco Roberto Riccardo Brioschi Maurizio Corvi Mora Fondazione Bracco Fratelli Prada Spa
Fiorenzo Galli Roberto Giacomelli Alberta Bianca Imperiali Massimo Napolitano Delly Napolitano Perenze Franca Nolo Carla Ratti Di Desio Pragliola Pia Ripamonti Rossana Sacchi Zei Ermella Zanieri Fantini
© 2020 Filarmonica della Scala Piazza Armando Diaz, 6 20123 Milano Responsabile editoriale e ricerca iconografica Marco Ferullo Progetto grafico e impaginazione Alessandro Marchesi Stampa CopylandMilano
Il presente volume è offerto gratuitamente a tutti gli spettatori dei concerti. Le immagini d’arte sono utilizzate solo a scopo illustrativo e non per finalità commerciali. É vietata la copia e la riproduzione dei contenuti in qualsiasi forma. Finito di stampare nel mese di ottobre 2020.
ARMANDO TESTA
INSIEME ALLA FILARMONICA DELLA SCALA PER LA MUSICA.
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PHOTO: Silvia Lelli | ADV: www.filippovezzali.com
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R I C C A R D O F I L A R M O N I C A
C H A I L L Y
D E L L A
S C A L A
Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala proseguono le registrazioni dedicate ai grandi compositori italiani con Ottorino Respighi, un nuovo album che comprende celebri pagine e raritĂ .
Pini di Roma Fontane di Roma Aria per Archi Leggenda per violino e orchestra Di Sera (Adagio per piccola orchestra) Antiche Danze e Arie per Liuto (Suite III)
CD 4850415 / DIGITALE
ENERGY MEETS REALITY
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LA CULTURA DEI VALORI GIOVANI TALENTI Fondazione Bracco sostiene la formazione dei giovani meritevoli nelle arti e nelle scienze attraverso il progettoDiventerò. Balletto Cenerentola di Accademia Teatro alla Scala, di cui Fondazione Bracco è Socio Fondatore. © Francesca Salamone
SCIENZA E SOCIALE Fondazione Bracco interviene per promuovere cambiamenti duraturi nel contrasto a povertà e emarginazione partendo da salute e lavoro.
ARTE E SCIENZA Promuoviamo il patrimonio artistico sostenendo mostre con un focus su arte e scienza, privilegiando il campo della diagnostica applicata ai beni culturali.
Scatto della mostra fotografica “Tutte le ore del mondo” per raccontare relazione, cura e prevenzione della salute nella Baranzate multietnica. © Gerald Bruneau
Francesco Napoletano, “Madonna con il Bambino”, 1495, Pinacoteca di Brera – Durante la campagna scientifica non invasiva
Fondazione Bracco nel 2020 celebra un anniversario importante. Seguici per saperne di più.
#10anniFondazioneBracco
Fondazione Golinelli Arti e scienze, scuola e impresa, ricerca e innovazione tecnologica: uno spartito su cui da oltre 30 anni si intessono armoniosamente cultura e sviluppo per il nostro Paese.
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ALLIANZ
Per la cultura insieme alla Filarmonica della Scala.
Š Filarmonica della Scala | S. Lelli
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UniCredit & Filarmonica della Scala un comune impegno per la musica a shared commitment to music UniCredit sostiene la cultura, e la musica in particolare, perché crede nel loro valore e considera fondamentale il loro apporto per favorire il dialogo e lo sviluppo economico e sociale sostenibile delle comunità. Con questo spirito, UniCredit affianca come Main Partner la Filarmonica della Scala e l’accompagna in tutte le sue attività, dalla Stagione di concerti in Teatro, alle tournée in Italia e all’estero, ai progetti di Open Filarmonica, alla produzione discografica. Grazie alla condivisione di importanti obiettivi, la Banca e la Filarmonica hanno costruito nel tempo una solida partnership, che ha coinvolto un pubblico sempre più ampio e nuovo in esperienze musicali di grande impatto e in rilevanti progetti di solidarietà. Attraverso le attività della Filarmonica, Orchestra d’eccellenza, impegnata nel sociale e molto presente anche sulla scena internazionale, UniCredit esprime, in linea con la sua natura paneuropea, la vicinanza alle persone e promuove il benessere e la coesione delle comunità per cui opera. UniCredit supports culture – and music in particular – because it believes in their importance and feels that they make a significant contribution to community spirit and sustainable economic and social development. In keeping with this belief, UniCredit is proud to be the Main Partner of the Filarmonica della Scala and supports all its activities: from the concert season at La Scala, to tours in Italy and abroad, and from Open Filarmonica projects to record production. UniCredit and the Filarmonica have built a strong partnership over the years thanks to their shared objectives, working together to engage a new and broader audience in exciting musical experiences and major charity initiatives. The world-class Filarmonica orchestra is deeply committed to social issues and also has a significant profile on the world stage. Its activities embody UniCredit’s aim of building close bonds with the people it serves as a pan-European bank and help it to improve the quality of life and togetherness of the communities where it operates.
Le grandi emozioni meritano un grande palcoscenico.
UniCredit main partner della Filarmonica della Scala
Siamo main partner della Filarmonica della Scala dal 2003. PerchĂŠ crediamo nel valore della musica, nella sua capacitĂ di unire le persone e nella magia di avvicinare le nuove generazioni a un patrimonio culturale unico. PerchĂŠ la cultura conta.
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Associazione Orchestra Filarmonica della Scala Piazza Armando Diaz 6, 20123 Milano, Italia Tel. +39 02 7202 3671 www.filarmonica.it