Cinerama 1.2

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CINERAMA1.2

Pasolini secondo Dafoe DA ALTMAN ALLA ZUPPA DEL DEMONIO. PASSANDO PER PASOLINI. LE RECENSIONI PUBBLICATE SULLA RIVISTA FILMTV DI TUTTI I FILM USCITI A SETTEMBRE 2014.


Il Cinerama (dal greco κινεσις = movimento e οραω = vedere), è un sistema di ripresa e proiezione atto ad offrire un’immagine di grandi dimensioni (sino a 28 m x 10 m) su uno schermo curvo di 146 gradi di ampiezza e 55 gradi di altezza. Tale immagine è perciò molto simile alla percezione dell’occhio umano (visione periferica).

Cinerama è anche il raccoglitore digitale delle recensioni PUBBLICATE SUL SETTIMANALE FilmTv. BUONA LETTURA!


INDICE ALFABETICO DELLE RECENSIONI DEI FILM USCITI A SETTEMBRE 2014

CINERAMA1.2 CLICCA SUL TITOLO PER APRIRE LA RECENSIONE

Altman di Ron Mann Anime nere di Francesco Munzi L’Ape Maia di Alexs Stadermann Arance & Martello di Diego Bianchi Barbecue di Eric Lavaine Barbie e il regno segreto di Karen J. Lloyd Bastardi in divisa di Luke Greenfield Belluscone, una storia siciliana di Franco Maresco La Buca di Daniele Ciprì Colpa delle stelle di Josh Boone Comportamenti molto... cattivi di Tim Garrick The Director Inside the house of Gucci di Christina Voros Le due vie del destino di Jonathan Teplitzky Everyday rebellion di Arash T. Riahi, Arman T. Riahi Frances Ha di Noah Baumbach The Giver Il mondo di Jonas di Phillip Noyce Goltzius & the Pelican Company di Peter Greenaway L’ncredibile storia di Winter il delfino 2 di Charles Martin Smith Italy in a Day - Un giorno da italiani di Gabriele Salvatores Jimi: All Is by My Side di John Ridley Joe di David Gordon Green THE Look of Silence di Joshua Oppenheimer


CINERAMA1.2 3 CLICCA SUL TITOLO PER APRIRE LA RECENSIONE

INDICE ALFABETICO DELLE RECENSIONI DEI FILM USCITI A SETTEMBRE 2014

LUCY di Luc Besson I MerCenarI 3 The expendabLes di Patrick Hughes Necropolis - la città dei morti di John Erick Dowdle La nosTra Terra di Giulio Manfredonia I nosTrI ragazzI di Ivano De Matteo parTY gIrL di Marie Amachoukeli, Claire Burger, Samuel Theis pasoLInI di Abel Ferrara pongo IL Cane MILIonarIo di Tom Fernández posh di Lone Scherfig La preda perfeTTa di Scott Frank The proTeCTor 2 di Prachya Pinkaew Un ragazzo d’oro di Pupi Avati resTa anChe doManI di R.J. Cutler se ChIUdo gLI oCChI non sono pIù qUI di Vittorio Moroni seNza NessuNa pietà di Michele Alhaique sex Tape fInITI In reTe di Jake Kasdan sI aLza IL venTo di Hayao Miyazaki TarTarUghe nInja di Jonathan Liebesman Terra dI TransITo di Paolo Martino vInodenTro di Ferdinando Vicentini Orgnani WaLkIng on sUnshIne di Max Giwa, Dania Pasquini WInx CLUb IL MIsTero degLI abIssI di Iginio Straffi zanj revoLUTIon di Tariq Teguia La zUppa deL deMonIo di Davide Ferrario


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ALTMAN REGIA DI RON MANN

di Mauro Gervasini

«Come sono i suoi principi morali?», «Traballanti. E i suoi?». Sono le prime battute che si scambiano Robert Altman, allora giovane regista di telefilm a basso costo, e una attrice del cast, Kathryn Reed, da quel momento sua moglie. Nonché ispiratrice e produttrice di Altman, documentario di Ron Mann che ricostruisce linearmente, anche con materiali inediti, vita e carriera di uno dei più grandi cineasti americani. Tra le chicche i suoi cortometraggi, alcuni dei quali “domestici”, e soprattutto gli aneddoti su un percorso artistico clamoroso, fatto di alti irraggiungibili (M*A*S*H*, Nashville) e tonfi clamorosi (Quintet, Popeye - Braccio di ferro). Un regista che è anche un aggettivo, come Fellini. Celebrità di Hollywood (tra le quali Robin Williams) sfilano in mezzo ai materiali d’archivio per dare la loro personale interpretazione del termine “altmaniano” (“altmanesque” in originale). Bella idea drammaturgica. Ma la cosa migliore del film è lui, Robert Altman, quel che


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si scopre del suo privato. Che del cinema fosse un gigante si sapeva già (ma vale sempre la pena ribadirlo); che fosse una specie di Hemingway senza depressione, magari meno. Un bon vivant innamorato della vita e per questo attratto dai suoi lati oscuri. Di personaggi la sua opera corale ne ha raccontati moltissimi, ma forse quello che meglio lo rappresenta è il Tom Waits di America oggi, uno che alza il calice mentre un terremoto distrugge tutto.

ALTMAN

REGIA DI RON MANN CANADA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 95’ CON ROBERT ALTMAN, JULIANNE MOORE, BRUCE WILLIS, ROBIN WILLIAMS GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’11 settembre


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ANIME NERE REGIA DI FRANCESCO MUNZI

di Fabrizio Tassi

Fratelli. Il malavitoso “vecchia maniera” che gestisce il traffico di droga con l’Olanda; quello borghese che vive in una casa elegante con una moglie elegante (lei sa ma non vuole sapere); quello che preferisce stare con le capre e vorrebbe dimenticare la famiglia e i suoi affari sporchi. Ma c’è anche Leo, il figlio che rinnega il padre e aspira a diventare potente e rispettato come lo zio. Ci sono i patti e gli sgarbi, Milano e la Calabria (le due Calabrie, Africo di sopra e di sotto), l’arcaico e il moderno (ma senza stereotipi), il passato che incatena gli eredi a un destino ineluttabile. Anime nere è scritto in forma di tragedia, come il romanzo di Gioacchino Ciriaco da cui è tratto. Non è un film di denuncia, non intende documentare alcunché, non spiega e non vuole indignare. Semmai utilizza gli strumenti del film di genere (un noir con risvolti sociali, un ‘ndrangheta-gangster movie) per farci vedere meglio


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ciò che di solito guardiamo senza capire. E alla fine diventa anche “documento” (antropologico). È una questione di dettagli, ambienti, legami che imprigionano, radici che soffocano, dialoghi in italiano o in dialetto a seconda del messaggio e dell’interlocutore. Munzi fa un passo indietro e lascia che a parlare siano i luoghi, i personaggi (ottime interpretazioni), la storia che procede lucidamente e inesorabilmente verso la catastrofe finale. Al bando la mitologia del genere e l’iconografia malavitosa, rimangono il racconto e la realtà. Bastano e avanzano.

ANIME NERE

REGIA DI FRANCESCO MUNZI ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 103’ CON MARCO LEONARDI, PEPPINO MAZZOTTA, FABRIZIO FERRACANE, ANNA FERRUZZO GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 18 settembre


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L’APE MAIA - IL FILM REGIA DI ALEXS STADERMANN

di Chiara Bruno

Una celletta giallo caldo si schiude rivelando la piccola ape Maia, meno paciosamente rotonda di quella che ricordavamo dalla serie animata, altrettanto curiosa di vedere il mondo. L’alveare è un microcosmo istituzionalizzato, le regole della casa impongono un rigido allenamento prima di spiccare il volo. Se le “vicine di cella” sono operaie ubbidienti, la new entry non resiste alla vista del prato che si staglia morbido e libero davanti a una finestra al miele, esce dai ranghi e innesca una gioiosa avventura in compagnia di vario materiale insettoide: alla ricerca di un posto che possa accoglierla senza piegarla. Animazione semplice e tenera, colori pieni e cieli luminosi solcati da specie animali portatrici di discriminazioni didascaliche q.b., L’Ape Maia è un prodotto destinato in buona fede (e, forse, troppa speranza) alle anime candide, bambini che probabilmente si emozionano di più davanti alle rutilanti esplosioni del blockbu-


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ster che di fronte all’esplorazione naturale (e umana) per nulla scaltra o spettacolosa messa in atto da un manipolo di creaturine volanti. La protagonista porta bene i suoi anni (102, dall’uscita del primo libro dedicato): riccioli d’oro golosa di affetto più che di polline, riprende perfettamente il ruolo di guida entusiasta all’integrazione ricoperto sul piccolo schermo, e sui meno piccoli scatena un effetto nostalgia che coinvolge soprattutto la fine di un’era. Quella in cui stupirsi di sé e dell’altro era legittimo senza green screen, e tutto il verde era soffice.

L’APE MAIA - IL FILM

REGIA DI ALEXS STADERMANN AUSTRALIA · 2014 · ANIMAZIONE · DURATA: 79’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 18 settembre


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ARANCE & MARTELLO REGIA DI DIEGO BIANCHI

di Pedro Armocida

Nasce già vecchio Arance & martello, «un film in costume - recita il cartello iniziale - ambientato nella calda estate del 2011». Quando ancora c’erano al governo Berlusconi (qui un gruppo di militanti del PD raccoglie le firme per chiederne le dimissioni) e al comune di Roma Alemanno (Tirabassi interpreta il sindaco di destra), prima del ritorno della sinistra. Diego Bianchi, alias il televisivo Zoro, al suo esordio cinematografico sembra ingranare la marcia giusta quando, all’inizio, descrive con grande precisione alcuni caratteri molto romaneschi che si muovono attorno allo storico mercato del quartiere di San Giovanni a rischio chiusura. Subito dopo, però, la storia si avvita in un‘eterna caricatura di un’incredibile riunione di partito senza capo né coda, come l’opera stessa. Zoro vorrebbe essere - come gli capita in tv - intelligente, ironico, tagliente, sagace, grottesco, mentre, paradossalmente, le sequenze in cui


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lui è protagonista sono le più deboli del film. Perché la forma cinema ha bisogno di rispetto e non è uguale a un servizio in motorino con l’autore di Gazebo Andrea Salerno (qui in un cameo). E l’autoreferenzialità, l’autocompiacimento, le furbe formule (la captatio benevolentiae con la pseudo autocritica di Zoro personaggio) insieme a una povertà di creazione d’immaginario cinematografico a cui sopperire citando esplicitamente nientemeno che lo Spike Lee di Fa’ la cosa giusta, non fanno un film.

ARANCE & MARTELLO

REGIA DI DIEGO BIANCHI ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 105’ CON DIEGO BIANCHI, GIULIA MANCINI, LORENA CESARINI, FRANCESCA ACQUAROLI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 5 settembre


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BARBECUE REGIA DI ERIC LAVAINE

di Claudio Bartolini

Affetta dalla sindrome di Piccole bugie tra amici, la commedia sociocorale francesce regala un altro prodotto innocuo a base di coppie sinistrorse arricchite, con inserimento del proletario Jean-Michel - ovviamente single - a costituire l’inserto machiettistico da guardare dall’alto e deridere a denti stretti. Perennemente a tavola, tra bistecchine alla brace, verdure alla griglia e degustazione di buon vino, gli otto (più uno) protagonisti dissertano verbosamente di conflitto tra sessi, (in) fedeltà coniugale, salutismo e, prevedibilmente, cibo, parlandosi addosso e appiattendosi in uno spaccato monodimensionale della società benestante lionese. Non c’è conflitto, se non quando il rozzo Jean-Michel prepara una sangria usando il prezioso Château Pétrus di Yves: quale affronto, quale imperdonabile mancanza di rispetto! Lavaine - anche cosceneggiatore - si immerge in modo acritico nel deplorevole contesto umano che racconta, narrandolo senza istinto satirico né


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spirito demistificante. Alla sua macchina da presa le ville di campagna, le partitine a bocce per passare il tempo e i continui, estenuanti pranzi a base di parole e galletti piacciono parecchio, al punto da perdere di vista l’importanza della storia (inesistente) e dell’aggancio alla società reale, trasfigurata e deconstestualizzata come in un qualunque sottoprodotto cinenatalizio nostrano. «Un barbecue è come un balletto», ma in questo pretenzioso banchetto la musica è didascalica e non si danza davvero mai.

BARBECUE

REGIA DI ERIC LAVAINE FRANCIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 97’ CON LAMBERT WILSON, FRANCK DUBOSC, GUILLAUME DE TONQUEDEC, FLORENCE FORESTI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’11 settembre


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BARBIE E IL REGNO SEGRETO REGIA DI KAREN J. LLOYD

di Chiara Bruno

Nella sua ventottesima reincarnazione audiovisiva, la prima a passare sui nostri grandi schermi, Barbie sfoggia ancora la freschezza dei suoi 17 anni nonostante l’aria che respira sia filtrata da condotti evidentemente vetusti. Dietro gli occhioni blu della biondina dall’incarnato di luna si cela l’inadeguatezza della fanciulla renitente a sbocciare, sebbene vanti i consueti regali natali. Il pretendente di turno è parimenti biondo, pallido e incoronato, ma la ragazza lo osserva da una porta socchiusa, mentre quella del rituale ballo di palazzo sta per spalancarsi. Barbie preferisce leggere le storie delle principesse piuttosto che scrivere il proprio romanzo, e come ogni adolescente sarà “rapita” da un libro per fiorire giovane donna. Le intenzioni non sono molte né perniciose, e la “magia” sprigionata da un cambio d’abito è il prezzo da pagare alle competitor più trendy, ma il racconto mantie-


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ne l’appeal di un pallottoliere con tre palline. Il regno segreto è il giardino incantato, l’avamposto della formazione caratteriale che non poteva passare da ostacoli e flessioni - mai come in questi casi la protagonista è una bambola -, quindi offre il pacchetto “musicarello dimesso + creature di varia estrazione fantastica fatte con lo stampino espressivo del marchio”. Se i cattivi non sono cattivi davvero, i buoni sono ugualmente poveri di spirito, e non basta che Barbie balli da sola per redimerla dalla sua sostanziale inettitudine alla contemporaneità.

BARBIE E IL REGNO SEGRETO

REGIA DI KAREN J. LLOYD USA · 2014 · ANIMAZIONE · DURATA: 81’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 27 settembre


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BASTARDI IN DIVISA REGIA DI LUKE GREENFIELD

di Alice Cucchetti

«Nessuno vuole essere un poliziotto, la gente vuole sparare ai poliziotti!» è la sensata obiezione rivolta al protagonista di Bastardi in divisa, quando cerca di far approvare la produzione di un videogame su una coppia di agenti losangelini. Immediatamente contraddicendo questa stessa premessa, Justin e l’amico di sempre Ryan (trentenni falliti in procinto di abbandonare la città degli angeli e tornarsene tristemente in Ohio) scoprono che fingersi sbirri è una strada apparentemente efficace per (moderati) successi: le donne hanno un debole per l’uniforme, gli uomini obbediscono, loro malgrado, a qualsiasi ordine impartito con autorità, per quanto assurdo, se accompagnato da distintivo e pistola. L’esile premessa si srotola in gag mosci e ripetitivi, stiracchiati all’inverosimile da uno script troppo lungo, conditi, per sicurezza, con una punta di sessismo, un pizzico di omofobia e una palata di banalità, scaricati pesantemente sulle spalle


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della coppia Johnson/Wayans Jr., già vista (in condizioni nettamente migliori) nella sitcom New Girl. La commedia si vorrebbe demenziale, soprattutto nella prima parte, ma non è né abbastanza nonsense né lontanamente cattiva; la svolta “action” del secondo tempo si giova di un gigionissimo Andy Garcia, ma è telefonata fin dai minuti iniziali. La moraletta finale sul credere in se stessi è la ciliegina (marcia) sulla torta. «Tu guardi troppi film» dice, a un certo punto, un poliziotto vero. Di questo, noi, avremmo fatto a meno.

BASTARDI IN DIVISA

REGIA DI LUKE GREENFIELD USA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 104’ CON DAMON WAYANS JR., JAKE JOHNSON, NINA DOBREV, ANDY GARCIA GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 settembre


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BELLUSCONE, UNA STORIA SICILIANA REGIA DI FRANCO MARESCO

di Giona A. Nazzaro

A quattro anni di distanza da Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz e a dispetto di quanti spergiura(va)no che Franco Maresco non lo avrebbe mai portato a conclusione, giunge nei cinema italiani l’attesissimo Belluscone, una storia siciliana. Si badi bene: Belluscone, non Berlusconi. Cosa che fa tutta la differenza immaginabile. Tanto per intenderci e sgombrare il campo da eventuali equivoci: non un instant movie pseudo Cinico Tv in clamoroso ritardo quando ormai tutti son convinti d’aver voltato pagina. Piuttosto un’immersione profonda, dolente, nelle viscere di Palermo e della Sicilia (e, per estensione, del paese). Un noir in prima persona, come una specie di Due ore ancora (se ci è concessa la licenza cinefila), nel quale il regista, come un Virgilio della fine, ci guida fra le pieghe di una realtà multiforme, indecifrabile, intrecciata a risposte sibilline, sguardi obliqui e silenzi sgomenti.


C Maresco ci piomba nel buio della storia, proprio lì dove i cantori dell’esistente affermano che non esiste altro che il presente assoluto. E se in Tony Scott il musicista era l’ombra dietro la quale s’intuiva la presenza del regista, in Belluscone (causa assenza del corpo del reato, per così dire...), l’autore si mette in scena come corpo che ostinatamente continua a filmare, a interrogare la storia e il mondo e, per estensione, se stesso. Ed è in questa lotta impari che il gesto filmico di Maresco emerge preciso e potente. Il cineasta scomparso, braccato dall’amico Tatti Sanguineti, si offre come sonda e sguardo mettendo in scena la vulnerabilità del corpo che filma come segno del filmare stesso. Rinunciando ai tratti più riconoscibili del suo fare cinema, Maresco trova una dimensione para-rosselliniana, aperta, che si rivela tanto più interessante quanto più il confronto con i materiali d’archivio e i suoi protagonisti è serrato. Nell’incrinatura che da Berlusconi conduce a Belluscone affiora un altro mondo, di fantasmi e di morti, come una terra di mezzo ripiegata su stessa. Puntando il suo sguardo sui gangli di un racconto che si rivela attraverso interruzioni e discontinuità, Maresco mette in scena una mesta fantasmagoria della fine che in virtù di una fiducia matta e disperatissima nel cinema conferma il proprio diritto di cittadinanza nel mondo e nella storia.

BELLUSCONE, UNA STORIA SICILIANA

REGIA DI FRANCO MARESCO ITALIA · 2014 · GROTTESCO · DURATA: 95’ CON CICCIO MIRA, SALVATORE DE CASTRO, VITTORIO RICCIARDI, TATTI SANGUINETI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 4 settembre


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LA BUCA

REGIA DI DANIELE CIPR Ì

di Ilaria Feole

Anche questa volta (non) è stato il figlio: Armando, 27 anni di carcere scontati da innocente, non ha premuto il grilletto, ma ha pagato la pena che spettava a una persona cara. Uscito di prigione è solo con un cane, finché non suscita l’interesse di un avvocato misantropo e truffatore, per il quale riaprire il suo caso, e fargli avere il giusto risarcimento, diventa una sfida in cui cullare il proprio ego. Ciprì, al secondo lungometraggio in solitaria, riparte da un impasse giudiziario asciugando il grottesco dell’opera precedente in farsa comica: una metropoli senza nome né epoca, costumi vintage e ambientazione favoleggiante, corpi attoriali trattati da regia e montaggio sonoro come figurine cartoonesche. Una commedia all’italiana fuori dal tempo e dall’attualità, girata come se fossimo ancora negli anni 60, con un immaginario (abiti, automobili, telefoni) da quel decennio prelevato, un Castellitto mattatore e segmenti animati anch’essi di sapore


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sessantesco. L’italica arte di arrangiarsi e il gusto della truffa; gag triviali col finto invalido; un finale in apparenza lieto che in realtà esalta la mediocrità e, come già in È stato il figlio, non salva l’anima di nessuno. Ciprì pare dichiarare la resa di fronte all’Italia di oggi: non raccontabile, non rappresentabile. Il suo è un cinema che non tenta più di restituire il grottesco del reale, ma lo rifiuta in blocco, chiude gli occhi e guarda altrove (indietro?): una favola senza morale, una commedia senza risate, un intrattenimento consapevolmente fallito.

LA BUCA

REGIA DI DANIELE CIPRÌ ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 90’ CON SERGIO CASTELLITTO, ROCCO PAPALEO, VALERIA BRUNI TEDESCHI, JACOPO CULLIN GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 settembre


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COLPA DELLE STELLE REGIA DI JOSH BOONE

di Chiara Bruno

Piangere sulle cose che fanno piangere è un impulso mascherato da reazione allergica, soprattutto davanti a quella triplice intesa di potenziale ricattatorio altrimenti nota come teen cancer romance. Colpa delle stelle viene da un romanzo venduto come il pane pure a chi ha i denti, i lettori più “dritti” ammetteranno il piccolo miracolo di acume e tenerezza racchiuso nel personaggio di Hazel Grace. Diciassettenne reduce da tumore alla tiroide metastatico ai polmoni, porta un bagaglio a mano di ossigeno ma sceglie le scale per recarsi nella cantina adibita a centro di supporto. Qui incontra Augustus Waters, piacente diciottenne con una gamba meccanica e una disarmante agilità d’eloquio, la fragilità schermata di sfrontatezza. Un amore consapevole della sua finitudine nasce dalla complicità di dialoghi riportati dal libro parola per parola: per non tradire, per non rischiare, a scapito della natura-


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lezza che inevitabilmente s’inceppa nella ruota del mezzo. Shailene Woodley ha un talento prezioso nel modulare il giudizio e l’entusiasmo, inverte le parti comunemente assegnate trasformando la voce over nella didascalia dei suoi occhi. Carichi di disincanto eppure affamati di attimi, non bastano a staccare il film dalla matrice di cui è appendice artificiale. Confezionato per sigillare il patto coi fan, fa piangere anche gli altri portando in dote formato compilation la tenacia delle acerbe metafore su come disarmare il male che incombe, la meraviglia agrodolce delle prime e ultime volte.

COLPA DELLE STELLE

REGIA DI JOSH BOONE USA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 120’ CON SHAILENE WOODLEY, ANSEL ELGORT, WILLEM DAFOE, LAURA DERN GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 4 settembre


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COMPORTAMENTI MOLTO... CATTIVI REGIA DI TIM GARRICK

di Ilaria Feole

Deriva pigramente demenziale delle innumerevoli famiglie disfunzionali di cinema e tv statunitensi, gli Stevens sono iperbolicamente degeneri: la mamma alcolizzata ha appena ingurgitato pillole lasciando lettere di suicidio in molteplice copia, la figlia maggiore fa la spogliarellista, il padre non si presenta nemmeno più a casa e il figlio minore ha via libera per frequentare night club, comprare ecstasy e perdere la verginità con una disponibile milf. La trasposizione cinematografica del romanzo comico di Ric Browde While I’m Dead... Feed the Dog (che prevede, accompagnato dall’inevitabile e irritante voce fuori campo, anche il coinvolgimento della mafia lituana e un grottesco aggiornamento del classico Risky Business) ha lasciato interdetto anche l’autore della fonte di partenza, accreditato come produttore associato ma esplicitamente negativo nei confronti dell’esecrabile esordio nel lungometraggio di Tim Garrick.


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Che, nella sua sciatteria globale (sul piano estetico come nel riciclo di Selena Gomez nella versione parodica della sua autoparodia di Spring Breakers), vale almeno come amaro saggio sulle possibilità lavorative delle attrici di Hollywood allo scoccare dei fatidici 50: è doloroso constatare come Elisabeth Shue e MaryLouise Parker si impegnino nei panni, rispettivamente, della novella Mrs. Robinson che si masturba con utensili da cucina e della mammina incollata alla bottiglia di vodka. In patria dirottato sullo straight to video, da noi esce in sala, a inaugurare la stagione.

COMPORTAMENTI MOLTO... CATTIVI

REGIA DI TIM GARRICK USA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 93’ CON NAT WOLFF, SELENA GOMEZ, HEATHER GRAHAM, ELISABETH SHUE GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 4 settembre


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THE DIRECTOR REGIA DI CHRISTINA VOROS

di Ilaria Feole

Frida Giannini, romana, classe 1972, è la direttrice creativa della casa di moda Gucci. Christina Voros è la donna dietro la macchina da presa a inquadrare le sue gesta; è anche la direttrice della fotografia di gran parte dei lavori da regista di James Franco. Che qui compare in veste di produttore della sua protetta e in veste di se stesso, ossia la star che dal 2008 è testimonial delle campagne Gucci per fragranze e accessori for men. Il problema di The Director, documentario in tre pretestuosi atti (Passato, Presente e Futuro, ma i titoli non necessariamente rispecchiano i contenuti e non sembrano riferirsi né alla maison né a Frida), sta nel manico: finanziato dall’uomo che Gucci finanzia, spot girato dal protagonista degli spot, ha uno sguardo completamente e beatamente aproblematico sul mondo fashion che inquadra. Voros tenta la via dell’umanizzazione di un universo fatto di flash e manichini:


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dipinge Frida nella sua quotidianità anche goffa, nella minuzia delle scelte estenuanti di dettagli e colori dei modelli, nei rapporti umani che sono sbandieratamente più importanti del mero glamour. L’approccio da mosca sul muro, però, anziché produrre un effetto di spontaneità rubata, svela la sostanziale, grottesca distanza delle passerelle dalla realtà. E anziché aprire questioni o porre domande, restringe il campo al vissuto personale di Frida, diventando diario per interposta regista, ritratto di donna che, con la sua sfacciata normalità, trasforma lo scintillio dell’alta moda in noia.

THE DIRECTOR

REGIA DI CHRISTINA VOROS ITALIA · 2013 · DOCUMENTARIO · DURATA: 95’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’8 settembre


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LE DUE VIE DEL DESTINO REGIA DI JONATHAN TEPLITZKY

di Ilaria Feole

«Qui hanno girato Breve incontro, pare» dice il compassato Colin Firth alla sconosciuta Nicole Kidman, mentre il loro treno passa da una stazione del Lancashire. L’incontro, breve, è subito seguito da un altro, meno casuale, e presto convolano a nozze. L’idillio si squarcia con le urla di lui, un dolore fantasma che arriva dal passato, da quando era un giovane tenente dell’esercito britannico prigioniero dei giapponesi. La storia d’amore fra due solitari si apre come un sipario, restando poi solo ai margini, per dare spazio ai flashback: Eric Lomax (il film è tratto dal suo romanzo autobiografico), soldatino catturato dal nemico, nel 1943 è messo ai lavori forzati nella costruzione della Burma Railway, la ferrovia che l’impero nipponico edificò fra Thailandia e Birmania. Un tentativo di evasione sfocia in una sadica sessione di torture, i cui tormenti, 35 anni dopo, sente ancora: un ex commilitone lo informa che il suo carnefice è


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vivo, e gli suggerisce che, forse, la giustizia vorrebbe che a ucciderlo fosse lui, Lomax. Romanzata il giusto, la vicenda del soldato inglese si trasforma nelle mani dell’insipido Teplitzky in un laccato pamphlet sul valore del perdono, racconto anticlimatico che perfino nelle più dure sequenze di prigionia non rinuncia alla fotografia patinata da affresco storico per cineforum con dibattito. Messe agli atti la sofferta intensità di Firth, in sottrazione in un ruolo spigoloso, e l’inespressività (irreversibile?) di Nicole Kidman, il resto si dimentica lungo i titoli di coda.

LE DUE VIE DEL DESTINO

REGIA DI JONATHAN TEPLITZKY AUSTRALIA / GRAN BRETAGNA · 2013 · DRAMMATICO · DURATA: 116’ CON COLIN FIRTH, NICOLE KIDMAN, STELLAN SKARSGÅRD, JEREMY IRVINE GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’11 settembre


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EVERYDAY REBELLION REGIA DI ARASH E ARMAN T. TIAHI

di Alice Cucchetti

«Se dovessi batterti con Mike Tyson, non sceglieresti il ring: ti mangerebbe prima un orecchio, poi tutto il resto. Non proveresti piuttosto a giocarci a scacchi?». Srdja Popovic, leader del movimento studentesco serbo Otpor! che contribuì ad abbattere il regime di Slobodan Milosevic, sceglie questa metafora di lotta non violenta a dittature più o meno dichiarate; e svela così il pattern che lega tra loro rivolte lontanissime nello spazio e nei metodi ma unite dalla contemporaneità del globo post crisi. Occupy Wall Street a Zuccotti Park, le azioni del gruppo femminista ucraino Femen, gli indignados di Madrid, gli oppositori del regime siriano di Bashar al-Assad, tangenzialmente anche le proteste di piazza Tahrir e l’Onda verde iraniana di qualche anno fa. La pacatezza dei modi si sovrappone alla forma del documentario scelta dai fratelli Riahi, tramite il voice over sussurrato, l’osservazione rispettosa, l’ascolto at-


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tento di storie intrecciate (il sentimento anticapitalista si assomiglia a New York e a Madrid) e insieme distanti (le Primavere arabe stanno dentro un contesto che l’Occidente fatica a comprendere appieno). L’occhio cinico vi legge inevitabilmente un ottimismo fuori moda, superato dagli eventi, ma il pregio ultimo di Everyday Rebellion risiede nella sua mappatura, più che di battaglie e presunte rivoluzioni, di tecniche di combattimento insospettabilmente creative. Nella speranza che anche il sollevamento di un sopracciglio scettico possa contribuire al benefico e irrefrenabile effetto farfalla.

EVERYDAY REBELLION

REGIA DI ARASH E ARMAN T. RIAHI SVIZZERA / GERMANIA / AUSTRIA · 2013 · DOCUMENTARIO · DURATA: 118’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’11 settembre


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FRANCES HA REGIA DI NOAH BAUMBACH

di Ilaria Feole

«Scusa, non sono ancora una persona vera» si giustifica Frances/Greta Gerwig tentando di saldare un conto al ristorante con la carta prepagata. Non è una persona, ancora, Frances, e non soltanto perché a 27 anni non si è conquistata una fissa dimora, un lavoro stabile, un compagno di vita o una carta di credito. Ma anche perché Frances è un personaggio, creato a quattro mani da Baumbach e dalla compagna/musa Gerwig: non ancora una persona, più l’abbozzo di una sceneggiatura che un copione rifinito. Frances Ha è scandito in capitoli corrispondenti ai domicili della protagonista, che asseconda il fato e il languire delle finanze spostandosi di casa in casa nella Grande mela; ma è interamente ambientato nell’intercapedine, nel décalage incolmabile tra la vita come vorremmo che fosse e quella che realmente è. La goffaggine di Gerwig è stato esistenziale di inadeguatezza permanente, la prossemica di chi


C non ha alcun posto da occupare nel mondo. «Cosa fai nella vita?» «È difficile dirlo, perché... non lo faccio veramente»: la conversazione spicciola può solo far implodere il disagio di Frances, che non è malessere, ma semplice non-essere. E gli autori (difficile non attribuire all’interprete il 50% di un’opera che ha scritto, con la penna e col corpo, in ogni inquadratura) danno a quel disagio forme aggraziate e smaccatamente simboliche: il jet lag che risucchia un weekend parigino in un buco nero di noia; la sedia che straripa dal magazzino stipato; il cognome che non entra nell’etichetta del citofono. Di lei avanza sempre qualcosa, o manca un tassello: è a pezzi come l’Harry di Woody Allen, ma la New York del suo quotidiano, come la Parigi di una vacanza lampo, non si lascia realmente calpestare dai suoi piedi irrequieti. Il mondo le resta inconoscibile, inesperibile (e undateable è l’aggettivo, difficilmente traducibile, che gli amici affibbiano a Frances: “infrequentabile”), è solo un set posticcio in cui si muovono correnti cui lei non appartiene (il mondo viziato e hipster appena più anziano delle Girls di HBO, di cui non a caso compare qui l’ottimo Adam Driver). Contraltare meno agro del precedente Greenberg, Frances Ha scioglie, infine, la stasi della sua protagonista in un’ellissi che dai piedi immobili passa a una coreografia vincente: gli inciampi diventano passi di danza, perché a Frances piacciono «le cose che sembrano errori». E dall’adolescenza prolungata non è tassativo uscire grazie alla solidità confortante delle relazioni: Baumbach sceglie per Frances un’altra via, e confeziona, per interposta creatura, un inno in minore alla fatica gloriosa dell’atto creativo.

FRANCES HA

REGIA DI NOAH BAUMBACH USA · 2012 · COMMEDIA · DURATA: 86’ CON GRETA GERWIG, MICKEY SUMNER, ADAM DRIVER, MICHAEL ZEGEN GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 4 settembre


C

THE GIVER - IL MONDO DI JONAS REGIA DI PHILLIP NOYCE

di Alice Cucchetti

Dopo l’ennesimo rovinoso conflitto globale, nel futuro distopico di The Giver si è optato per l’eliminazione delle differenze: comunità incasellate in una rigida organizzazione funzionale, dove ognuno viene fornito di tre pasti al giorno, una bicicletta, un posto nel mondo. Il prezzo da pagare è la soppressione di emozioni e sentimenti, la rimozione della Storia e degli impulsi sessuali, finanche l’appiattimento dello spettro cromatico in una decina di sciape sfumature di grigio. Jonas, giovane protagonista del romanzo di Lois Lowry (in Usa un cult della letteratura per l’infanzia), guadagna nell’adattamento filmico gli anni necessari a sostenere l’inevitabile triangolo amoroso, mentre apprende da Jeff Bridges (che da tempo sognava di portare il libro su grande schermo) la verità sul passato e sul presente. La sfida di trasporre in immagini una presa di coscienza basata interamente sulle sensazioni viene risolta da Noyce nel peggiore dei modi possibili:


C

le memorie trasmesse dal Donatore sono un mix tra un filmino delle vacanze in Super 8 e un accelerato corso di storia televisivo. Così, un racconto sul devastante annientamento umano perpetuato da ogni totalitarismo e sulla banalità del male dei cittadini/sudditi è annacquato da personaggi sottili e da un cattivo (Meryl Streep in versione Jane Campion) dall’agenda imperscrutabile. E, mentre predica la necessità di ribellarsi al conformismo, The Giver si rivela la fotocopia svogliata di ogni contemporanea saga young adult.

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’11 settembre


C

GOLTZIUS & THE PELICAN COMPANY REGIA DI PETER GREENAWAY

di Giulio Sangiorgio

«Incisore. Tipografo. Pornografo?». Tardo Cinquecento. Goltzius - incisore tra i maggiori del primo barocco e poi pittore manierista di minor successo, artista influenzato da Dürer, Spranger e Parmigianino - si rivolge al margravio d’Alsazia. Vuole pubblicare un volume in cui racchiudere le illustrazioni di storie ambigue del Vecchio testamento. Le sue versioni, le sue visioni. Il potente, per concedere la cifra richiesta, propone un contratto: che Goltzius e la Compagnia del pellicano recitino quegli episodi biblici, che lo convincano con il loro spettacolo. In scena dunque si muovono le storie di Adamo e Eva, di Lot e le sue figlie, di David e Betsabea, di Sansone e Dalila, di Giuseppe e della moglie di Putifarre, di Giovanni Battista e Salomè. Parabole su voyeurismo, incesto, adulterio, pedofilia, prostituzione e necrofilia. Storie che Goltzius e il suo drammaturgo Boethius incarnano in recite discinte, in letture laiche e ironiche, problematiche e paradossali. Il pubblico


C - la corte: i religiosi, i burocrati, le puttane - critica le opere. Per eresia o iconolatria, per impudicizia o assenza di realismo. E per pornografia, ovviamente. Nel frattempo, di fronte alla nuda rappresentazione del peccato, la pubblica morale e gli sdegnati spettatori - margravio compreso - titillano il desiderio di superare i confini tra scena e platea. E così il retroscena della Compagnia, di riflesso, si sgretola. Girato nel misero paesaggio inscheletrito di una stazione croata abbandonata, Goltzius & the Pelican Company - altra autobiografia in abisso, storia di contratti, di artisti e committenti, di discussioni sui confini e i fini dell’arte, di paradossi tra etica e sguardo, come da I misteri del giardino di Compton House in poi - segue la via di un neobarocco digitale, costruendo un ambiente artificiosamente teatrale, che è gioia dell’architettura spoglia e del rigoglioso eccesso grafico. È un decamerotico brechtiano, un biopic eccentrico, una funebre farsa pronunciata con britannico acume. Greenaway frantuma il quadro in un sarcastico cinema cubista in cerca di diverse prospettive, sfrutta la linea di fuga narrativa per aprire collegamenti ad altri cinemi possibili (come in un documentario didattico, Goltzius s’improvvisa sociologo e critico, raccontando di come l’arte nel corso del tempo s’è confrontata con quei controversi episodi), accumula storie e si perde nell’eccesso dei dati. Perché, abbigliato da film storico, da scatologica e marcescente ronde in costume, Goltzius affronta e accoglie il linguaggio dei nuovi media e sa fare di stento economico virtù: 2 milioni di budget, che sono un elogio al digitale come espressione d’arte povera e insieme visionaria.

GOLTZIUS & THE PELICAN COMPANY

REGIA DI PETER GREENAWAY GRAN BRETAGNA / OLANDA / FRANCIA / CROAZIA · 2012 · DRAMMATICO · DURATA: 120’ CON RAMSEY NASR, F. MURRAY ABRAHAM, HALINA REIJN, VINCENT RIOTTA GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 30 settembre


C

L’INCREDIBILE STORIA DI WINTER IL DELFINO 2 REGIA DI CHARLES MARTIN SMITH

di Andrea Fornasiero

Torna, tre anni dopo il primo capitolo, il delfino femmina Winter, che perse la coda in una trappola per granchi diventando simbolo dei disabili. Ormai a proprio agio con la sua protesi nelle vasche del Clearwater Marine Aquarium, ospedale per la riabilitazione della fauna ittica, Winter è una vera star e ha moltiplicato i visitatori del centro no-profit da 78 mila a 750 mila l’anno. Questo ha permesso alla struttura di ampliarsi significativamente, ma ora tutto viene messo a rischio dalla morte di Panama, la compagna e mentore di Winter. Siccome per la legge americana i delfini sono animali sociali e non possono stare in cattività da soli, si rende necessario trovare una nuova compagna per Winter, un delfino speciale che sappia accettare la sua diversità. Nel film ritorna anche il pappagallo Rufus e c’è la new entry di una tartaruga marina, Mavis, inoltre ritroviamo tutto il cast del primo episodio, con piccoli ruoli per Ashley Judd, Morgan Freeman e Kris Kristofferson.


C

Il cuore umano della vicenda è però nel giovane Sawyer, che è cresciuto insieme a Winter e ora affronta come lei una fase di cambiamento. Girato questa volta in 2D per permettere riprese più mobili, il film è visivamente meno impressionante di tanti documentari ormai anche televisivi e punta tutto su una storia commovente, di indubbia quanto facile efficacia, ma decisamente poco cinematografica nonostante le lussuose guest star.

L’INCREDIBILE STORIA DI WINTER IL DELFINO 2

REGIA DI CHARLES MARTIN SMITH USA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 107’ CON MORGAN FREEMAN, ASHLEY JUDD, NATHAN GAMBLE, COZI ZUEHLSDORFF GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 25 settembre


C

ITALY IN A DAY REGIA DI GABRIELE SALVATORES

di Pedro Armocida

Un pezzo di storia contemporanea fissata sullo schermo attraverso i video, realizzati durante le 24 ore di sabato 26 ottobre 2013, che gli italiani hanno inviato per l’epocale progetto partecipativo che prende spunto da quello realizzato da Ridley Scott con A Life in a Day nel 2010. 75 minuti di montaggio, accompagnati dalla strepitosa musica dei Deproducers, che sono in tutto e per tutto un film, forse il migliore, di Gabriele Salvatores. Con la sua positiva visione di vita, che i detrattori chiameranno “buonista”, e con la sua idea di cinema che lo vede programmaticamente sempre alle prese con un film completamente diverso dal precedente. Finendo stavolta per sorprendere perché, anche se tutto qui è “documento”, il regista non realizza un documentario. Il suo sguardo perfettamente accordato al progetto gli consente di fare scelte narrative molto inventive con la messa in scena di una giornata che inizia con una bellissima carrellata di lavori notturni - la


C

panificazione, la stampa dei quotidiani, la mungitura, le preghiere - per poi proseguire con la semplicità della vita e la profondità delle nostre ore più banali. Si ride, si piange, si pensa. Le cose più belle sono quelle meno calcolate, pensate, preparate. Non perché ci illudiamo che ciò che vediamo sia la realtà ma proprio perché è lo specchio di noi e del Paese, migliore, che vorremmo essere. Senza una sola immagine tv. Pura fiction.

ITALY IN A DAY - UN GIORNO DA ITALIANI

REGIA DI GABRIELE SALVATORES ITALIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 75’

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al cinema dal 27 settembre


C

JIMI: ALL IS BY MY SIDE REGIA DI JOHN RIDLEY

di Alice Cucchetti

Experience: il nome della prima formazione costruita tutta attorno a Jimi Hendrix è l’unico appellativo possibile per qualcosa di tanto sfuggente, indefinibile. L’anima dolente del blues mischiata al fermento del rock’n’roll mentre qualcuno stiracchia l’etichetta dell’r’n’b per tirarci dentro questo ragazzo alto, dinoccolato e ramingo, la sua chioma ingombrante e maestosa, l’incendio (pure letterale, vedi Festival di Monterey 1967) che si propaga dalle corde della sua chitarra, mentre scala note e vette inesplorate. L’esperienza di Jimi Hendrix che suona, quella di chi lo guarda, quella di chi lo ascolta. Così John Ridley, fresco premio Oscar per la sceneggiatura di 12 anni schiavo, per raccontare Hendrix punta tutto sull’experience, prima di tutto d’ambiente e d’atmosfera, tentando di riversare su pellicola la carica elettrica che precede la tempesta. L’anno a cavallo tra il 1966 e 1967 è cruciale nella vita di James Marshall Hendrix (e non solo): gli occhi giganteschi


C di Linda Keith, modella in cerca di un’identità che oltrepassi la “fidanzata di Keith Richards”, lo avvistano al Cheetah Club di New York. Lei gli presenta Chas Chandler degli Animals, che diverrà il suo manager, seguirà viaggio a Londra, fondazione degli Experience (metodo: lancio della monetina) e principio del Mito. L’indagine di Ridley è per forza di cose circoscritta: la famiglia non ha concesso i diritti neanche per uno dei brani originali del chitarrista, disconoscendo il film, e così ha fatto pure l’ex fidanzata Kathy Etchingham, soprattutto a causa di una scena di violenza nei suoi riguardi inconciliabile con l’animo gentile di Jimi. Non ha Hey Joe, Purple Haze e The Wind Cries Mary, John Ridley, ma può ripiegare sulle cover (The House of the Rising Sun, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band) per suggerire la distanza incolmabile tra gli altri (pur grandissimi) e Hendrix, la stessa che un esterrefatto Eric Clapton mette tra se stesso e il palco mentre là sopra Jimi improvvisa con i Cream. E Ridley può contare anche su André Benjamin (o André 3000, metà del duo hip hop Outkast), che scompare sotto la pelle, i riccioli, gli abiti, le movenze e la parlata dell’icona, scansando costantemente la caricatura. Il risultato è sì impalpabile e Jimi appare spesso un’inconsapevole scintilla in balia degli eventi. Ma una leggenda tanto grande si può approcciare, in fondo, solo per frammenti.

JIMI: ALL IS BY MY SIDE

REGIA DI JOHN RIDLEY GRAN BRETAGNA / IRLANDA / USA · 2013 · BIOGRAFICO · DURATA: 116’ CON ANDRE BENJAMIN, HAYLEY ATWELL, IMOGEN POOTS, ASHLEY CHARLES GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 18 settembre


C

JOE

REGIA DI DAVID GORDON GREEN

di Ilaria Feole

Il sud degli Stati Uniti è un mondo a parte, un universo dove l’irruenza della natura è pari solo a quella degli uomini e la legge del taglione è più efficace degli sceriffi locali. Gary ha 15 anni e si è appena trasferito in una cittadina southern soggiogata da polvere e rancori, dove un ex galeotto molto male in arnese gli offre un lavoro e, dal primo istante, una figura paterna di riferimento che eclissa quella del padre ubriacone e bastardo. L’eroe eponimo, voce roca, tatuaggi ingombranti, solitudine esiziale, ha il volto di un Nicolas Cage nella sua poco frequentata ma ottima versione di interprete in sottrazione: gli occhi stanchi di chi ha già visto troppo schifo, e preferirebbe non alzarsi la mattina per vederne altro. Eroe controvoglia, padre per vocazione, è un personaggio dal nitore morale roccioso, sbucato da un tempo arcaico di cowboy col cuore d’oro, che anziché a cavallo si sposta sul pick-up più sgangherato di tutto il Texas. Joe, per Gary, diventa un amico e un


C modello, l’unico che abbia mai avuto nella sua breve ma già miserevole esistenza; il tipo di mentore che non può dirti granché su come stare fuori dai guai, ma sa insegnarti a sopportare il lavoro duro e a mettere su la “faccia addolorata” per le femmine. Il loro legame è antico come il mondo, viscerale come l’assenza dei padri che informa tanto cinema americano: sul volto del giovane e bravissimo Tye Sheridan (in sala in questi giorni anche con Mud, per Joe insignito a Venezia del Premio Mastroianni) passano i lividi e i sorrisi di una spietata iniziazione alla vita. Dalle botte del padre, dalle faide letali in cui Joe è impantanato, imparerà sulla sua pelle, letteralmente. David Gordon Green, ragazzone dell’Arkansas capace di passare dalla lirica malickiana (George Washington) alla commedia demenziale (Lo spaventapassere) e ritorno, orchestra una ballata virile e autunnale, segnata dalla morte (di mestiere Joe avvelena gli alberi deboli, per ucciderli e piantare virgulti più robusti) e dall’avidità, dalla grettezza umana e dall’istinto di sopravvivenza. Tornando alle atmosfere dei suoi primi lavori, ammanta la miseria delle sue anime perse di una malinconia quasi elegiaca, trasforma l’incontro brutale con una prostituta in ballo tribale di forze primigenie. Mette davanti all’obiettivo facce prese dalla strada (l’attore non professionista che interpreta il padre degenere di Gary era un homeless, morto a Austin poco dopo le riprese) sporcando di umanità un racconto dal respiro classico, che adatta il grezzo sud di Larry Brown, autore del romanzo omonimo, con un occhio all’epica di Eastwood: in fondo, è un Gran Torino in salsa southern.

JOE

REGIA DI DAVID GORDON GREEN USA · 2013 · DRAMMATICO · DURATA: 117’ CON NICOLAS CAGE, TYE SHERIDAN, GARY POULTER, SUE ROCK GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 settembre


C

THE LOOK OF SILENCE REGIA DI JOSHUA OPPENHEIMER

di Giulio Sangiorgio

Sotto l’egida etica ed economica di Werner Herzog ed Errol Morris, e con S21 - La macchina di morte dei Khmer rossi di Rithy Panh negli occhi, The Act of Killing era un dispositivo documentaristico rivelatorio, scardinante: i paramilitari indonesiani che tra il 1965/1966 torturarono a morte un milione di presunti comunisti in nome di Suharto, degli interessi dell’occidente e di uno strumentale radicalismo religioso, erano chiamati da Joshua Oppenheimer, in quel film, a raccontare le proprie terribili gesta, a rimetterle in scena. E loro le narravano come drammi gangsterici, storie di piccoli Cesare, trionfanti musical bollywoodiani. Tangibili, nelle loro parole, nelle immagini, erano le tracce dell’immaginario deforme di una nazione, in cui sadici perpetratori di morte sono chiamati eroi, cantati dal popolo e dalla televisione, e la vergogna, e la colpa, sono soppresse nel nome di un’assurda retorica condivisa, annientate nella torbida sagra di una bugia calcificata dalla


C Storia, cancellate dalle lenti accecanti dell’ideologia. Qui, in The Look of Silence, Gran premio della giuria a Venezia 71, un aguzzino canta «perché dovrei tessere il filo se alla fine verrà tagliato?», altri due, con l’illogica allegria di cinici comici, ripercorrono le vie delle loro torture, mentre a scuola si insegna ai bimbi quanto crudeli fossero, quei rossi miscredenti (tra cui democratici scettici circa il sacco occidentale delle materie prime, intellettuali critici, sindacalisti, componenti della minoranza cinese), e quanto fossero giuste, ed eroiche, le loro uccisioni. Oppenheimer, in questa prassi marcia dell’ipocrisia, in questo controcanto di The Act of Killing, segue Adi, fratello di un uomo ferito da quelle purghe anticomuniste, sopravvissuto a stento e poi biecamente trucidato, e lo accompagna in visita agli antichi assassini e alle loro famiglie. Adi è un optometrista, un ottico che misura la capacità di vedere dei suoi interlocutori. Ma (e la metafora è nuda, e bruciante) il loro sguardo sul passato resta lo stesso: i torturatori esaltano il proprio mito, ma quando posti di fronte al dolore dell’altro delegano la responsabilità dei loro atti a un ordine superiore, a un dettato della Storia («l’America ci ha insegnato a odiare i comunisti», «era la lotta del popolo»), si sdegnano perché il punto di vista della vittima è una questione d’osceno, che offende la scena sociale consolidata dagli anni. Adi è attonito. Oppenheimer registra. E in questo confronto, meglio che in mille parole, si legge sui corpi, nei gesti, limpidamente, come la Storia agisce, spergiura e mistifica.

THE LOOK OF SILENCE

REGIA DI JOSHUA OPPENHEIMER DANIMARCA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA:98’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’11 settembre


C

LUCY

REGIA DI LUC BESSON

di Giulio Sangiorgio

Se il cinema continua a riflettere sul rapporto tra corpo concreto ed esperienza digitale, tra il bisogno fisico di sentire le cose e l’atarassia di un mondo che s’è dimenticato la materia, gli ultimi tre ruoli sci-fi di Scarlett Johansson discutono esemplarmente questa tensione: con Lei racconta del deragliamento sentimentale di un uomo che è social prima che sociale, con Under the Skin s’inventa una parabola in cui si scontrano il vitreo sguardo registrante di un occhio alieno, il degrado della morale e i desideri bassi dell’uomo. Con Lucy, che sente tutto, inverte quell’intorpidimento dei sensi, quella tragica insoddisfazione che ossessiona i corpi di oggi, da Shame a Nymph()maniac. La mafia cinese le taglia lo stomaco, lo riempie di una nuova droga sintetica che in lei si scioglie ed esplode. Così comincia a gestire ben oltre che il 10% del cervello, come il protagonista di Limitless. E a conoscere lo scibile possibile, come quello


C

di Un’altra giovinezza. Esasperazione della martire bessoniana, Lucy incarna, e poi umilia, il sapere e il potere della tecnologia contemporanea. Finendo per ricordare all’uomo 2.0 quello che conta, come fosse un racconto morale. Prendere o lasciare: autorialismo volgare, a suo modo teorico, sul filo di un’onestissima parodia, è un fumettone sublime, intrattenimento sfacciato, bignami for dummies di filosofia zen a rotta di collo. Era da Crank che non ci si divertiva così.

LUCY

REGIA DI LUC BESSON USA / FRANCIA · 2014 · AZIONE · DURATA:89’ CON SCARLETT JOHANSSON, MORGAN FREEMAN, MIN-SIK CHOI, AMR WAKED GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 settembre


C

I MERCENARI 3 - THE EXPENDABLES REGIA DI PATRICK HUGHES

di Claudio Bartolini

Alla consueta rimpatriata dinamitarda della Stallone Band c’è sempre da divertirsi. All’appello mancano Jean-Claude Van Damme, Chuck Norris e Bruce Willis, ma Wesley Snipes, Antonio Banderas, Harrison Ford e Mel Gibson - nei soliti panni (vedi Machete Kills) del big boss schizoide - gigioneggiano a sufficienza per non farceli rimpiangere. Assieme a loro un drappello di giovani leve, chiamate a prendere il posto della vecchia squadra a seguito di una missione fallita. Ma fallisce anche il secondo tentativo, e Stallone deve unire i reparti ricorrendo al solito discorsetto sul “fare gruppo per vincere”, incentivo motivazionale per prepararsi a un epilogo guerrigliero di quasi quaranta minuti interamente al piombo. Cotto, stracotto e più volte mangiato, il prodotto Mercenari è sempre più elefantiaco e ripetitivo, tanto nella definizione dei personaggi, quanto nelle meccaniche action. L’incontro tra navigati e imberbi guerrieri è un gioco di specchi, nel quale la


C

generazione stalloniana («Non siamo più il futuro, siamo il passato») si rimette in gioco non per affermare la propria immortalità, quanto per ribadire la persistenza del mito al cospetto della caducità dei corpi: pura sospensione dell’incredulità, durante la quale riaffiorano i sigari di Predator tra le labbra di Schwarzy, i lampi di follia di Interceptor negli occhi di Gibson e i coltelli di Blade tra le mani di Snipes. Il giochino, elementare ma ben ritmato, funziona sempre, anche se meno di una volta.

I MERCENARI 3 - THE EXPENDABLES

REGIA DI PATRICK HUGHES USA · 2014 · AZIONE · DURATA: 103’ CON SYLVESTER STALLONE, ARNOLD SCHWARZENEGGER, JASON STATHAM, JET LI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 4 settembre


C

NECROPOLIS - LA CITTĂ€ DEI MORTI REGIA DI JOHN ERICK DOWDLE

di Claudio Bartolini

Perseguitata dalle visioni del padre, archeologo folle e suicida, Scarlett ne ripercorre le orme alla ricerca di una redenzione vicaria e, soprattutto, di quella pietra filosofale al quale il genitore ha dedicato l’intera carriera. Utilizzando le grammatiche realiste del finto found footage a lui congeniali, Dowdle (Quarantena, Devil) la sprofonda assieme a cinque giovani esploratori nelle catacombe sottostanti Parigi, in un percorso verticale di discesa agli inferi pregno di alchimia e religione egizia arcaica, letteratura dantesca e riferimenti biblici in egual misura, alla ricerca di un melting pot esoterico che lo avvicina pericolosamente alla narrativa di Dan Brown. Tra rebus cultural-archeologici e labirinti, porte segrete e tesori nascosti, questo gioco di ruolo filmato delude in sceneggiatura, salvo riscattarsi grazie a un’estetica minimalista che elegge il buio a elemento primario e adotta il documentario


C

come unico referente linguistico. Punteggiato da riprese in GoPro per le sequenze più claustrofobiche (discese lungo tunnel angusti, percorsi in dedali ansiogeni), il finto reportage in camera a mano relega l’horror ai margini di una trattazione iconografica minimalista. Necropolis scarnifica l’azione e la messa in scena per trovare la paura, nuda e purissima, in inquadrature simboliche di elementare potenza. Scarnifica anche i personaggi, intrappolati al cospetto di demoni interiori che progressivamente affiorano in cunicoli che, famelici, spalancano le porte dell’inferno.

NECROPOLIS - LA CITTÀ DEI MORTI

REGIA DI JOHN ERICK DOWDLE USA · 2014 · THRILLER · DURATA: 93’ CON PERDITA WEEKS, BEN FELDMAN, EDWIN HODGE, MARION LAMBERT GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dall’11 settembre


C

LA NOSTRA TERRA REGIA DI GIULIO MANFREDONIA

di Ilaria Feole

Accompagnato da didascalie in sovrimpressione e dalla funzione di didascalia vivente di Stefano Accorsi, il film di Manfredonia esegue con la legge 109 un’operazione molto simile a quella fatta dal precedente Si può fare (qui esplicitamente citato) con la legge Basaglia. Seguendo il protagonista, impiegato del nord dipendente da ansiolitici, nell’avventura di una cooperativa “sgarrupata” sul terreno sottratto, per legge, a un boss incarcerato, declina inizialmente in commedia corale il tema dei beni confiscati alle mafie. Programmaticamente variopinti (per non escludere alcuna diversità, ci sono un immigrato africano, una coppia omosessuale e un paraplegico), i componenti della sgangherata associazione antimafia trasformano la terra incolta in prolifica cornucopia di prodotti biologici, con l’aiuto dell’ex fattore del boss (un Sergio Rubini dialettale e gigione, due spanne sopra il resto del cast), ma affermare la


C

legalità sull’abitudine all’omertà e al dolo si rivela impresa drammatica e (quasi) impossibile. Prodotto didattico dall’intento nobile, La nostra terra si crogiola in una comicità folkloristica spesso ammuffita, mette in bocca al personaggio di Accorsi lunghe parentesi esplicative e imbastisce una sottotrama romantica di scarsissima utilità. Ma ha il pregio di far passare, soprattutto per un pubblico più giovane, concetti non banali sulla radicata ottusità della connivenza, sul modo in cui ragionare “come la mafia” sia tanto deleterio quanto facile, sulle ragioni di un male nazionale.

LA NOSTRA TERRA

REGIA DI GIULIO MANFREDONIA ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 100’ CON STEFANO ACCORSI, SERGIO RUBINI, IAIA FORTE, TOMMASO RAGNO GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 18 settembre


C

I NOSTRI RAGAZZI REGIA DI IVANO DE MATTEO

di Giulio Sangiorgio

Due fratelli. Uno avvocato con miseri scrupoli. L’altro pediatra progressista. Sposati. Entrambi padri di un figlio adolescente. Una sera Chi l’ha visto? manda in onda il filmato dell’aggressione di una clochard da parte di due giovani. Che siano i due cugini? Il problema principale di I nostri ragazzi è nella scrittura. Perché con i suoi dialoghi didascalici, colmi di coatti caratteri informativi sui personaggi (gli sceneggiatori italiani dovrebbero leggere I tre usi del coltello di David Mamet), dispiega un aberrante senso del realismo che è un realismo mediato, annebbiato dal filtro della realtà televisiva semplificata. Come sa fare solo il peggior cinema italiano, De Matteo scalpella i suoi personaggi con gli occhi al bignami del sociologismo caricaturale: non sono uomini, quelli che racconta. Sono tipi, con una manciata di caratteristiche a testa. I ragazzi sono immorali perché anestetizzati dagli smartphone, eccitati dall’esposizione


C

alla violenza, viziati dal benessere. Punto. I genitori cambiano, ma per De Matteo non è importante descrivere l’iter del cambiamento, quel che conta è che questo sia utile al recapito del Messaggio di sdegno sull’Italia e all’Effetto sorpresa sul pubblico. Il realismo non regge. Così il film sembra ridurre la storia al viaggio della trama verso la sua morale, e il discorso sul reale allo svolgimento elementare di un Tema sui mali del contemporaneo. Bisogna ricominciare a raccontare storie, prima che la Società.

I NOSTRI RAGAZZI

REGIA DI IVANO DE MATTEO ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 92’ CON ALESSANDRO GASSMAN, GIOVANNA MEZZOGIORNO, LUIGI LO CASCIO, BARBORA BOBULOVA GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 5 settembre


C

PARTY GIRL

REGIA DI MARIE AMACHOUKELI, CLAIRE BURGER, SAMUEL THEIS

di Roberto Manassero

Party Girl è la storia di una sopravvissuta, di una signora non più giovane che si ostina a vivere come una creatura della notte, al limite tra la luce al neon dei locali e la luce naturale del giorno che nasce. Si chiama Angélique, per anni ha ballato nei night club e una volta invecchiata non ha saputo rifarsi una vita. Come la terra in cui vive, la Lorena, regione francese per decenni contesa con la Germania, è sradicata, incerta, ma orgogliosa della propria identità. L’opportunità per cambiare le si presenta grazie all’incontro con un uomo gentile e innamorato, ma lei, Angélique, la party girl madre di quattro figli, la reduce del passato agghindata di lustrini, non sa cosa farsene dell’affetto e della normalità. Gli esordienti Amachoukeli, Burger e Theis, chiamati addirittura a inaugurare il Certain regard di Cannes 2014, raccontano la loro eroina impavida insistendo sui primi piani del suo volto segnato e sui particolari di un corpo indomito. Ma gli


C

accenti migliori del loro film minimalista e monocorde, tutto sommato modesto, li trovano nella descrizione delle figure di contorno, nei figli di Angélique, nel fidanzato camionista, nelle amiche ballerine: tutti protagonisti autentici, interpretati da amici e familiari dei registi e da non protagonisti, del ritratto di una provincia cronica eppure dignitosa, zavorrata da sogni di vitalità e sicura del proprio piccolo benessere.

PARTY GIRL

REGIA DI MARIE AMACHOUKELI, CLAIRE BURGER, SAMUEL THEIS FRANCIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 95’ CON ANGÉLIQUE LITZENBURGER, JOSEPH BOUR, MARIO THEIS, SAMUEL THEIS GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 settembre


C

PASOLINI REGIA DI ABEL FERRARA

di Claudio Bartolini

Restano due immagini, due fotogrammi di un prologo enunciazione. Il primo, metafilmico, viene da Salò, l’opera più estrema che Pasolini potesse concepire. Il secondo, filmico, è un primo piano sul Pasolini finzionale, la cui mano si stringe attorno alle tempie, alla fronte. Alla mente. «Io scendo all’inferno, e so cose che non disturbano la pace degli altri». Chi sta parlando? Pasolini, intervistato da Furio Colombo a proposito del suo pensiero-mondo, oppure Ferrara, a proposito del proprio mondo-cinema? Da quella mente in primo piano nasce il Pasolini secondo Ferrara, crasi bizzarra, eccentrica e terminale dove va in scena l’ultimo brandello di un’esistenza cui viene sottratto il realismo del biopic. «Tutto ciò che io vi dirò si è svolto non nel teatro della realtà, ma nel teatro della mia mente». Frammenti visivi immaginati a partire dalle pagine di Petrolio. Visualizzazioni della farsa evangelico-pornografica Porno Teo Kolossal, benedette


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da un Davoli che diventa Eduardo abdicando la propria identità reale a beneficio di Scamarcio. Coiti sudati e scenografie imperiali. Squallide fellatio e Maria Callas a benedirle. Escursioni astrali e penetrazioni anali. Sguardi languidi indirizzati a ragazzini e architetture senza tempo che schiacciano il punto di vista e che quegli sguardi non ricambiano, immobili nel loro paradigmatico, sociale ludibrio. Ferrara e (il suo) Pasolini, dove la morale sospende il giudizio e lascia campo all’arte pura. Sporca. Sublime. Come quel cadavere sulla spiaggia.

PASOLINI

REGIA DI ABEL FERRARA BELGIO / FRANCIA / ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 86’ CON WILLEM DAFOE, VALERIO MASTANDREA, ADRIANA ASTI, MARIA DE MEDEIROS GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 settembre


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PONGO IL CANE MILIONARIO REGIA DI TOM FERNÀNDEZ

di Ilaria Feole

Pongo in realtà si chiama Pancho ed è il cane più famoso di Spagna: protagonista di una serie di spot televisivi per la lotteria iberica La Primitiva, in cui immancabilmente sbanca il jackpot e naviga nell’oro, il Jack Russell Terrier è diventato testimonial popolare al punto da meritarsi un film tutto suo. Il retroscena, ignoto al pubblico fuori dai confini spagnoli, sarebbe utile per gli spettatori sopra i 5 anni che si chiedessero il motivo dello sfrontato benessere economico del cagnolino, qui assunto di base del plot. Che prende le mosse dall’avidità di un perfido businessman intenzionato a sfruttare l’immagine di Pongo per un soffice merchandising cucito a mano da bimbi thailandesi; il viziato ma nobile quadrupede non firma il contratto, e iniziano i guai. Costretto a fuggire e subito accalappiato, il quattrozampe sperimenta, in incognito, diverse famiglie adottive, ma la sua tendenza alla vita da nababbo fa sì che venga sempre restituito al canile. Nel frattempo, sulle sue


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tracce è sguinzagliato il prode assistente/maggiordomo umano, inseguito da un’accoppiata di scagnozzi di rara idiozia. Integrato da una rudimentale computer graphic che permette a Pongo di svolgere le più disparate mansioni casalinghe, il film di Fernández non brilla per originalità, ma ha il grande pregio di non indulgere in buoni sentimenti, spingendo il pedale su un umorismo cartoonesco e surreale che non offende l’intelligenza degli spettatori non più in età prescolare. E, una volta tanto, gli animali non parlano.

PONGO IL CANE MILIONARIO

REGIA DI TOM FERNÀNDEZ SPAGNA · 2014 · AVVENTURA · DURATA: 97’ CON IVÀN MASSAGUÉ, PATRICIA CONDE, ARMANDO DEL RÍO, ALEX O’DOGHERTY GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 settembre


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POSH

REGIA DI LONE SCHERFIG

di Alice Cucchetti

“Ragazzi ricchi che compiono azioni riprovevoli” è un tema noto, ma Posh ha ambizioni ben più elevate di una qualsiasi puntata di Gossip Girl: è tratto da un’omonima pièce che fece scalpore oltremanica (adattata per lo schermo dall’autrice, Laura Wade), soprattutto perché si riferiva, neanche troppo velatamente, al vero Bullington Club, gruppo “segreto” oxfordiano che ha annoverato tra i suoi potenti membri anche il premier David Cameron. Dell’origine drammaturgica, Posh soffre soprattutto la spaccatura netta in due parti: la prima, quasi tutta creata ex novo per l’adattamento cinematografico, ricorda troppo da vicino i teen drama di cui sopra, gioca con il pubblico e le sue aspettative, flirtando con l’insopprimibile simpatia per belle e simpatiche canaglie, sfrontatamente immerse nei loro privilegi. Il cambiamento di tono è brusco e repentino, il film si serra all’improvviso nella location fintamente rassicurante di un pub di campagna dove il circolo chiuso di


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giovinastri celebra una cena rituale a base di eccessi e umiliazioni, e nella claustrofobica unità di tempo e luogo raggiunge a tratti il senso di disagio e di disgusto che si prefissa. Peccato che, a questo punto, gli manchino il respiro e l’atmosfera, ma soprattutto che, nel tentativo di conquistare un appeal internazionale, perda la carica polemica e stemperi in sfumature scandalistiche la critica al classismo insitamente britannico. E che ci lasci con una strizzata d’occhio cinica, una lezione morale più ovvia che amara.

POSH

REGIA DI LONE SCHERFIG GRAN BRETAGNA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 106’ CON MAX IRONS, SAM CLAFLIN, DOUGLAS BOOTH, HOLLIDAY GRAINGER GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 settembre


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LA PREDA PERFETTA REGIA DI SCOTT FRANK

di Alice Cucchetti

Passeggia tra le tombe (come da titolo originale), Matt Scudder: il passo stanco dell’antieroe sconfitto, con tanto di cappottone, pioggia battente, cielo plumbeo, il peso dei rimorsi di un passato da alcolista e di un omicidio involontario, la disillusione per un mondo definitivamente spezzato e mai ricomponibile. Con la faccia e il fisico del “nuovo” Liam Neeson (inaspettata icona da thriller adrenalinico), quando Scudder agguanta il telefono e minaccia i malvagi con voce piana (oppure mentre disarma il nemico con la sola forza della persuasione), sul muro si accendono i fantasmi non troppo beneauguranti di Io vi troverò. Ma il regista e sceneggiatore Scott Frank (che adatta allo schermo il personaggio quarantennale cresciuto nei bestseller di Lawrence Block) guarda più al noir che all’action, citando letteralmente, nelle parole ammirate di un ragazzino sgamato, Sam Spade e Philip Marlowe. In questa Brooklyn invernale e anni 90, cromati-


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camente schiacciata su toni bruni e in trepidante attesa del Millennium Bug («la gente ha sempre paura della cosa sbagliata»), i “buoni” sono comunque pessimi & patetici soggetti e i “cattivi” sono serial killer finalmente terrificanti nella loro inaffrontabile psicopatia: l’unica differenza è il senso di colpa. Il problema di La preda perfetta è che accumula troppo e quasi tutto è già visto; ma, intanto, scorre solido dentro i binari del proprio genere, senza mai perdere il filo della tensione. Mica poco.

LA PREDA PERFETTA

REGIA DI SCOTT FRANK USA · 2014 · THRILLER · DURATA: 114’ CON LIAM NEESON, DAN STEVENS, BOYD HOLBROOK, DAVID HARBOUR GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 18 settembre


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THE PROTECTOR 2 REGIA DI PRACHYA PINKAEW

di Mauro Gervasini

27 milioni di dollari. Tale fu l’incasso del primo The Protector (2005), distribuito da Weinstein con la benedizione di Quentin Tarantino. Difficile non attendersi un seguito. Al centro sempre Tony Jaa, l’Apichatpong Weerasethakul delle arti marziali thailandesi, campione di muay thay che per l’occasione si è inventato una variante tutta sua, la muay kodchasaan, letteralmente “boxe dell’elefante”. E infatti, come nel primo film, il Nostro difende i pachidermi dalle mire assassine dei bracconieri. Ma questa volta c’è di più: dietro le macchinazioni dei cacciatori di elefanti, un gruppo di terroristi decisi a mandare all’aria il processo di pace nello stato di Katana (!). A dieci anni esatti da Ong Bak – Nato per combattere, il film che rivelò il talento marziale di Jaa, la forza oscura che corrompe il cinema d’azione ha ormai trionfato. Si chiama CGI, ovvero grafica computerizzata, gli effetti speciali portati alle estreme conseguenze. Se in Ong Bak tutto era intenzione e dinamica, in The


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Protector 2 la lotta sembra un’innocua ginnastica, l’aerobica della pausa pranzo: colpi che non arrivano, inutili svolazzi, assurdi ralenti e, appunto, effetti speciali. Ciliegina sulla torta (si fa per dire) il dimenticabile cattivo interpretato da RZA. Cast e confezione erano forse il prezzo da pagare alla distribuzione internazionale e all’interesse degli americani, ma per chi ama le discipline marziali al cinema l’interesse è zero.

THE PROTECTOR 2

REGIA DI PRACHYA PINKAEW THAILANDIA · 2013 · AZIONE · DURATA: 104’ CON TONY JAA, RZA, PETCHTAI WONGKAMLAO, JEEJA YANIN GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 25 settembre


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UN RAGAZZO D’ORO REGIA DI PUPI AVATI

di Claudio Bartolini

All’ostinato inseguimento dell’incantato realismo poetico che fu suo negli anni 80 di Una gita scolastica, Avati torna sempre sul suo personalissimo viale dei ricordi. Dopo essersi occupato della figura materna in Il cuore grande delle ragazze e dell’albero genealogico intero nella fiction Un matrimonio, punta l’occhio di bue sul padre, stipando suggestioni autobiografiche e prelievi filmografici dal suo cinema anni Duemila in un prodotto più adatto al piccolo schermo. Un genitore fallimentare, con alle spalle una carriera da sceneggiatore di B movie che lo avvicina al protagonista di La cena per farli conoscere. Un giovane problematico, incrocio tra patologie (Il papà di Giovanna) e freudiani dissidi interiori (Il figlio più piccolo). Una donna matura, che irrompe in scena alla morte del padre e stimola il figlio a riabilitare la memoria del defunto ritrovando (riscrivendo) il suo capolavoro perduto. Il resto sono cadute a ripetizione, tra bigini


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psicoanalitici, personaggi tagliati con l’accetta (incomprensibile il percorso della Silvia di Cristiana Capotondi), sguardi spocchiosi verso il nostrano cinema bis (inguardabile il regista, di lenziana memoria, che cita Tarantino per legittimare un’intera carriera), compiacenti strizzate d’occhio al premio Strega e un erotismo sempre inibito a tavolino. Avati ritrova l’ispirazione in sequenze di morte, di mancanza, di vuoto. Ma sono attimi che si frantumano quando in scena irrompe una fossilizzata Stone, che rende vano ogni apprezzabile sforzo di Scamarcio.

UN RAGAZZO D’ORO

REGIA DI PUPI AVATI ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 95’ CON RICCARDO SCAMARCIO, SHARON STONE, CRISTIANA CAPOTONDI, GIOVANNA RALLI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 18 settembre


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RESTA ANCHE DOMANI REGIA DI R. J. CUTLER

di Chiara Bruno

Si è fatto inverno, nella stagione inesauribile del film d’ispirazione letteraria per giovani adulti. Mia, figlia inconcepibile di permissiva & amichevole coppia di ex punk-rocker, suona il violoncello come non ci fosse un domani, mentre progetta con rigore architettonico il suo luminoso avvenire da concertista. La neve sull’asfalto di un giorno festivo la strappa a ogni previsione: un incidente coinvolge tutta la famiglia e lo spirito della ragazza, incastrato in un limbo ospedaliero di perseguita stucchevolezza, lotta contro impulsi contrastanti. Lasciarsi andare alla fine o affrontare un domani illividito dall’assenza dei propri cari, increspato da un primo amore totalizzante e instabile, ricattato dall’affetto per quelli che restano, accanto al suo letto, aspettando un risveglio. Il titolo nostrano taglia la testa al dubbio, If I Stay si gioca la possibilità di lasciarci clamorosamente sospesi in un’inquadratura bianca, nel purgatorio asettico attraversato


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senza scarpe dalla protagonista ogni ricciolo emotivo è stirato dalla voce over. Spiegazioni propagate a uso del target (per cui le cose diventano vere solo se raccontate a voce alta), verità ripescate a sorpresa dal barattolo dei flashback: caldi interni di famiglia accarezzati dalla memoria, notturni provinciali che rimettono in circolo la sincerità delle intenzioni. Perché discorrere col proprio ragazzo di musica che sgorga dal corpo può sembrare pretenzioso, ma protagonisti e destinatari di questo, questi film sono essere umani onestamente definitivi.

RESTA ANCHE DOMANI

REGIA DI R. J. CUTLER USA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 103’ CON CHLOË GRACE MORETZ, JAMIE BLACKLEY, MIREILLE ENOS, JOSHUA LEONARD GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 18 settembre


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SE CHIUDO GLI OCCHI NON SONO PIÙ QUI REGIA DI VITTORIO MORONI

di Ilaria Feole

In una provincia anestetizzata e disumana, livida e inerte come pietra, Kiko si fa male da solo per attutire un dolore più profondo, quello della morte accidentale del padre. Ogni adolescenza coincide con la guerra, ma nel nordest desolante dove vive la sua esistenza da liceale emarginato, quella di Kiko è una battaglia persa su tutti i fronti. Figlio di madre filippina sottomessa a un nuovo compagno abusivo, ama la scuola ma vede inabissarsi i suoi voti perché costretto dal patrigno, che sfrutta anche un variegato gruppo di immigrati clandestini, a lavorare in cantiere. Una via di fuga gli si presenta con le sembianze di Ettore, sedicente amico del defunto padre e mentore autoproclamato: scrivendo domande e risposte sui sassi, lo guida attraverso la filosofia dei greci e quella quotidiana, fino alla tragica rivelazione sul reale motivo del suo interessamento. Moroni fa tesoro della sua esperienza nel documentario incollando la macchina a mano al suo


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giovane interprete, per restituirne la verità. Quando però l’inquadratura si allarga al contesto sociale, lo script pecca di eccessiva buona volontà nel tentativo di raccontare, senza uscire dal suo minimalismo, il dramma degli immigrati e quello del lavoro sommerso, l’elaborazione del lutto e quella della malattia, l’amicizia e il risvolto melodrammatico più eclatante. Le spalle del film, come quelle di Kiko, sono troppo fragili per reggere tutto il peso di troppi temi.

SE CHIUDO GLI OCCHI NON SONO PIÙ QUI

REGIA DI VITTORIO MORONI ITALIA · 2013 · DRAMMATICO · DURATA: 110’ CON MARK MANALOTO, BEPPE FIORELLO, GIORGIO COLANGELI, IVAN FRANEK GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 18 settembre


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SENZA NESSUNA PIETÀ REGIA DI MICHELE ALHAIQUE

di Chiara Bruno

Sono i corpi disintegrati di un piccolo mondo criminale che costeggia la capitale come la vediamo al cinema. Mimmo, corpo contundente della malavita, gli occhi impregnati di dolore di un Favino appesantito dai chili e dalla coscienza. Tanya, corpo disarmante di giovane donna, scoperto su internet e nelle case di chi può permettersela. Lui deve raccoglierla e consegnarla, come un bagaglio che perderà ogni valore al ritorno. Sceglie di difenderla, è l’impeto pietoso di un attimo che diventa atto di violenza cieca e sensata. L’equilibrio sporco e silente si rompe, i corpi sono braccati e liberi, possono tuffarsi in una speranza di vita che li tradirà. Alhaique all’opera prima sceglie il filtro del genere per mettere in scena l’archetipo, personaggi di una semplicità e di un impatto che ce li rendono veri nel tempo di uno sguardo, paesaggi che raccolgono l’eredità dei maestri (Audiard, su tutti, una sequenza immersiva al sapore di rug-


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gine e ossa), attori capaci di portare il fardello dell’esistenza nello spazio tra capo e collo (Favino, fermo e grave, echeggia il Locke di Steven Knight) e di accantonarlo nell’interstizio di uno specchio (Greta Scarano, meravigliosa creatura affacciata verso la bellezza ancora possibile). Un esordio sentito e cercato, coraggioso e talora onestamente naïf: cattura per l’urgenza di raccontare quello che resta, alla periferia di una città traslabile ovunque, all’umanità che rivendica con i mezzi del Caso un destino segnato.

SENZA NESSUNA PIETÀ

REGIA DI MICHELE ALHAIQUE ITALIA / FRANCIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 98’ CON PIEFRANCESCO FAVINO, GRETA SCARANO, NINETTO DAVOLI, ADRIANO GIANNINI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’11 settembre


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SEX TAPE - FINITI IN RETE REGIA DI JAKE KASDAN

di Chiara Bruno

Jay e Annie fanno un porno, niente di alimentare girato in un caffè (cfr. Zack & Miri, protagonisti due squattrinati inconsciamente innamorati). Piuttosto un prodotto concepito per uso strettamente personale: per rinfocolare un matrimonio-decennale-con-prole la coppia accende l’iPad e si risveglia dal torpore in un filmato lungo quanto Lincoln e, pare, più vario. Salvo scoprire che il blockbuster terapeutico è stato accidentalmente inviato ai dispositivi Apple di parenti & conoscenti, e intraprendere un’azione di recupero tutta-in-una-notte per non dover ficcare la testa sotto la sabbia. Che si trattasse più di struzzi che di leoni era chiaro fin dai titoli di testa, con quel Jason Segel che ha regalato alla rom com la scrittura del maschio emotivamente svigorito, fisicamente scoperto, goffo, fragile e tragicomico. Purtroppo qui non è l’equivalente bipede e immedesimabile di un minipony catapultato nella giungla,


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più un orso indolente costretto al gioco di ruolo dalla consueta famelica Cameron Diaz, che si mangia i pochi momenti clou col minimo sindacale dello zelo. Le promesse di scorrettezza implicitamente elargite da cast & regista dello scoppiettante Bad Teacher affogano in una commedia al cardiopalma soggettivo che sfianca la buona volontà spettatoriale con l’accumulo di situazioni ingestibili e non fa ridere se epurata della facile eppur ficcante satira sull’ineffabilità della socialità (il Cloud, questo sconosciuto...). L’unica nuvola impazzita è Rob Lowe, che di sex tape aveva già sentito parlare...

SEX TAPE - FINITI IN RETE

REGIA DI JAKE KASDAN USA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 97’ CON CAMERON DIAZ, JASON SEGEL, ELLIE KEMPER, ROB LOWE GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dall’11 settembre


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SI ALZA IL VENTO REGIA DI Hayao Miyazaki

di Nicola Cupperi

Una notte di nebbia, un volo liberatorio che squarcia le nuvole scure, un sogno presto infranto da uno sguardo fuori fuoco. Bastano quattro minuti di incipit per capire quanto è grande Si alza il vento. Una micro lezione di cinema in cui Miyazaki, con il solo ausilio della partitura di Joe Hisaishi, introduce suggestivamente Jiro Horikoshi: un bambino che vuole a tutti i costi volare, ma che è trattenuto a terra dalla miopia e da un paio di ingombranti occhiali. A venirgli in soccorso è il suo eroe, il celeberrimo progettista aeronautico italiano Giovanni Battista Caproni, che in sogno lo sprona a intraprendere quello che in pochi sono riusciti a fare, a essere creatore e non strumento: costruire una bellissima macchina per volare. Jiro attraversa da protagonista 20 anni di storia giapponese. È l’armoniosa ed esatta pace di un uomo di talento che si dedica anima e corpo a quello che è nato per fare; ed è, al contempo, la cacofonia stridente e contraddittoria di un genio alle prese


C con la realtà. Che Jiro tratta come una succursale del suo mondo onirico, come un luogo in cui dare vita materiale ai sogni che lo accompagnano sin da bambino. Ma nel mondo vero c’è il terremoto del 1923 che stermina più di 100 mila persone e brucia una Tokyo di legno, uscita troppo recentemente da un’epoca antica; c’è la tubercolosi che affligge l’unico amore della sua vita; ci sono la fame e la miseria, la caccia ai dissidenti dell’impero e dell’alleato nazista. E soprattutto c’è la guerra, che con crudele ironia tutta umana trasforma il lavoro di una vita di Jiro, votato unicamente alla bellezza e all’armonia, in una macchina di morte e distruzione, il famigerato cacciabombardiere Zero. Il testamento artistico di Miyazaki, che per la sesta e (pare) ultima volta ha annunciato il suo ritiro, è la catarsi irrisolta, autobiografica e trasudante umanità di un pacifista che ammira la bellezza degli aerei da guerra, di un privilegiato che, al contrario di quasi tutti i suoi concittadini, non ha vissuto gli stenti della guerra. Ed è il culmine di una riflessione cinematografica che per la prima volta si apre alla Storia e accoglie la lezione di altri maestri, da Ozu a Kurosawa, da Mikio Naruse a Isao Takahata. Si alza il vento è il modo più doloroso per dire addio a un genio che sceglie la pensione; ma, come insegna il film, «dobbiamo provare a vivere».

SI ALZA IL VENTO

REGIA DI Hayao Miyazaki GIAPPONE · 2013 · Animazione · DURATA:126’ GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 settembre


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TARTARUGHE NINJA REGIA DI Jonathan Liebesman

di Pedro Armocida

Forse ha vinto lui. Forse ha pure ragione lui. Forse Michael Bay è un genio. Sicuramente è l’esempio d’intelligenza cinematografica contemporanea maggiormente accordata con la cultura di massa dentro e, soprattutto, fuori i confini statunitensi (Transformers 4 - L’era dell’estinzione ha incassato più in Cina che in patria). Così ecco che il Re Mida di Hollywood tocca la saga delle Tartarughe Ninja, producendo 30 anni dopo la prima apparizione del fumetto il reboot diretto da Jonathan Liebesman, e la trasforma in oro al botteghino con il sequel già in produzione. Scegliendo naturalmente, tra combattimenti, inseguimenti, esplosioni continue con effetti digitali di alto livello, la via più semplice ma anche liberatoria. Perché se il tuo soggetto si basa su quattro tartarugoni guerrieri, brandizzati amanti di Pizza Hut ma dagli altisonanti nomi rinascimentali, magari non puoi pensare di fare il Batman di Il cavaliere oscuro (che, a proposito, viene preso in giro quando Michelangelo ne


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imita la voce profonda). Meglio quindi assecondare i gusti degli spettatori più giovani - ecco il 3D - e costruire una storia che sa di déjà-vu lontano un miglio ma che ha ancora la capacità di divertire quando si lascia andare a derive demenziali. In linea con l’ironia della serie animata tv del 1987, ecco che Tartarughe Ninja compie il miracolo di essere esattamente ciò che il suo pubblico si aspetta. Che non è mai un’operazione così semplice e banale. Ma questo Michael Bay lo sa.

TARTARUGHE NINJA

REGIA DI Jonathan Liebesman CON Megan Fox, William Fichtner, Alan Ritchson, Will Arnett, Whoopi Goldberg USA · 2014 · AZIONE · DURATA:104’ GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 18 settembre


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TERRA DI TRANSITO REGIA DI PAOLO MARTINO

di Giulio Sangiorgio

Il regolamento di Dublino, un regolamento del 2003, determina qual è lo Stato membro dell’Unione Europea a dover considerare una domanda d’asilo politico o il riconoscimento come rifugiato secondo la Convenzione di Ginevra. Di solito è il primo Stato membro incontrato sul cammino del richiedente asilo, quello in cui sono state registrate le sue impronte digitali. Uno Stato in cui si è obbligati a tornare. Uno Stato di confine che - non sempre, raramente, mai - è in grado di assistere questo individuo. Uno Stato come l’Italia, per esempio. Terra di transito racconta la storia di Rahell, uno che bimbo, nel 1988, lasciò l’Iraq bombardato per rifugiarsi a Damasco, e che oggi dalla Siria, come allora, è stato costretto a fuggire. Non può raggiungere coloro che della sua famiglia sono in Europa, in Svezia, se non per una visita fugace: perché è prigioniero di questa terra di transito, del regolamento di Dublino e dell’Italia. Martino, mentre segue Rahell, raccoglie le voci dei rifugiati,


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migranti per sopravvivenza, costretti in uno Stato che non sa assisterli e li riduce al vagabondaggio, alla miseria, al nulla (nessuna possibilità d’integrazione, ma 2 euro e 50 al giorno) e confronta il loro stato con quello dei pari in Svezia (dove seguono corsi di formazione e percepiscono 800 euro mensili). I meriti del film sono informativi. I demeriti sono quelli di tutto il documentario sociale italiano: lo scavo superficiale nei contenuti, il lirismo posticcio per produrre sdegno immediato.

TERRA DI TRANSITO

REGIA DI Paolo Martino ITALIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA:54’ GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’11 settembre


C

VINODENTRO

REGIA DI Ferdinando Vicentini Orgnani

di Claudio Bartolini

L’ex moglie di Giovanni Cuttin viene trovata morta. Giovanni è il principale sospettato ed è interrogato dal commissario Sanfelice, burbero e poco intuitivo. Procedendo in flashback nell’adattare il romanzo Vinodentro di Fabio Marcotto, Vicentini Orgnani svela la personalità ambivalente del protagonista, dapprima marito devoto e impiegato bancario, quindi enologo e mozartiano Don Giovanni (i riferimenti diretti alla celebre opera sono abbondanti e stratificati) in seguito alla conoscenza col misterioso Professore, figura ambigua e chiave di accesso a un registro metafisico basato su simbologie cristologiche (gli assistenti Marco, Matteo e Luca; l’incontro con il cardinale) insistite e pretestuose. Tra una genuina predisposizione al grottesco, dialoghi sospesi sul ciglio del nonsense e diffuse surrealtà crepuscolari incorniciate dalla fotografia di Dante Spinotti, va in scena la catastrofe dell’essere umano al cospetto dell’ossessione per il feticcio, sia esso un prezioso Marzemino


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del 1949 o una donna sfuggente da sedurre in chiaroscuro. I punti macchina ad altezza pavimento, soltanto apparentemente pretenziosi (a differenza di qualche pianosequenza di troppo), ben riflettono il ruolo delle architetture, sovrastrutture che imprigionano e schiacciano il protagonista, mentre quelli tra gli oggetti esplicitano con efficacia il filtro ossessivo che questi (im)pongono tra l’uomo e il suo interlocutore. Vinodentro è un film spontaneo, imperfetto, ricercato, con tanto di regalino da scartare dopo i titoli di coda.

VINODENTRO

REGIA DI Ferdinando Vicentini Orgnani CON Vincenzo Amato, Giovanna Mezzogiorno, Pietro Sermonti, Lambert Wilson ITALIA · 2013 · COMMEDIA · DURATA:106’ GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dall’11 settembre


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WALKING ON SUNSHINE REGIA DI Max Giwa, Dania Pasquini

di Chiara Bruno

Trama memore di Mamma Mia! con prologo à la Grease, due giovani amanti in marittima cornice vacanziera, l’estate sta finendo e la biondina non autoctona sceglie l’inizio dell’anno accademico al prosieguo dell’idillio. Tre anni dopo la ritroviamo all’aeroporto della medesima località pugliese, quando l’impiegato della sicurezza le chiede il motivo del soggiorno risponde con una squillante Holiday di Madonna ed è subito musical, di quelli che pescano da un repertorio eccessivo intramontabile (gli Eighties) ma non s’arrischiano nella variazione sul tema “sole cuore amore e commoventi fotografie analogiche”. L’oggetto del desiderio abbandonato allora sulla riva è ora il promesso sposo di sua sorella, le carte in tavola sono quelle quattro da scambiarsi per innescar gli equivoci, la luce incantevole delle location fa dimenticare la flaccidità di qualche numero musicale. Eppure Walking on Sunshine, ambientato nella mite estate offerta da Apulia Film Commission e puntellato


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di spudorato lirismo vintage più azzeccato delle derive slapstick, ha quella “levità commerciale” che pare un obbrobrio ossimorico ma grazia una commedia non tra le più inventive. Dove quasi tutte le macchiette si stingono in caratteri incolori, ma una sagra paesana diventa un sorprendente carnevale di pomodori spiaccicati culminante in un grandioso fiume rosso. Per citare la protagonista, «amo i pomodori, però un intero festival mi sembra noioso», e un po’ d’audacia nella varietà degli ingredienti avrebbe giovato.

WALKING ON SUNSHINE

REGIA DI Max Giwa, Dania Pasquini CON Annabel Scholey, Hannah Arterton, Giulio Berruti, Greg Wise, Leona Lewis REGNO UNITO · 2014 · MUSICALE · DURATA:97’ GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 4 settembre


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WINX CLUB - IL MISTERO DEGLI ABISSI REGIA DI Iginio Straffi

di Alice Cucchetti

Le Winx sono diventate grandi (lo si evince dai nuovi outfit), ora sono pronte a istruire una giovane generazione di maghe ultraslim dotandole di discutibili occhiali rosa a forma di farfalla. Prima, però, devono salvare gli oceani di svariati universi dai piani di conquista delle arcinemiche Trix, che per l’occasione si sono alleate con la strega marina Politea e con il resuscitato Tritannus. Le fatine dalla fisionomia impossibile compiono (eh già!) dieci anni e festeggiano con un capitolo cinematografico d’ambientazione acquatica che segna anche la nascita della sezione CGI della Rainbow Production. Nonostante lo sforzo, però, i fondali restano quelli di un videogame al risparmio, l’animazione dei personaggi è maledettamente statica (fatte salve le trasformazioni delle ragazze), l’espressività dei volti risulta non pervenuta. La spettacolarità è affidata interamente all’abbondanza di colori fluo, accostati arbitrariamente in sfumature psichedeliche, rimpolpata dall’abuso di glitter


C

e luminosità cangianti. Sullo sfondo di una trama che riesce a essere, al contempo, esile, prevedibile e macchinosa, le sei protagoniste squittiscono in toni acuti le consuete banalità sul potere dell’amicizia (bonus: qualche accenno di superficiale ecologismo) e ribadiscono la fondamentale importanza di combattere il male indossando capi alla moda, mentre faticano dannatamente ad arrivare alla canonica ora e mezza di cartoon. Certo, il target di riferimento potrebbe anche apprezzare, ma noi speriamo di no.

WINX CLUB - IL MISTERO DEGLI ABISSI REGIA DI IGINIO STRAFFI ITA · 2014 · ANIMAZIONE · DURATA:98’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 4 settembre


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ZANJ REVOLUTION REGIA DI Tariq Teguia

di Giulio Sangiorgio

Dopo Roma piuttosto che voi e Retroterra, Tariq Teguia ritorna con Zanj Revolution, presentato al fu CinemaXXI durante il Festival di Roma 2013, premiato al Mille Occhi di Trieste con l’Anno uno ai cineasti del presente e ora in tour in Italia. Scritto prima del fiorire delle primavere arabe, racconta di tensioni sociali che insorgono, e di un giornalista algerino folgorato dalla leggenda degli zanj (servi neri che s’opposero strenuamente all’oppressione del califfato degli abbasidi, tra l’VIII e il IX secolo): convinto del persistere della Storia, di un possibile dialogo tra presente e passato, l’uomo si reca a Beirut, centro di quella rivoluzione pan-araba. La ricerca è transnazionale, lo scenario geopolitico è global, Palestina, Grecia, Libano e Stati Uniti s’intrecciano, così come le inquietudini dei giovani del Mediterraneo, le trame del capitalismo americano, forme di eterno colonialismo e spettri che s’aggirano per l’Europa. Teguia cerca il sentimento di una rivoluzione, interrogando il micro


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e il macro, il reale e la sua coreografia, il paesaggio e le sue estetizzazioni (le immagini piatte e ammalianti del digitale, i cartelloni pubblicitari, gli slogan, la grafica), la teoria e la prassi della rivolta. E sono questo movimento, questa continua domanda, questa ricerca incessante (un occhio a Rossellini e l’altro a Godard, non solo quello del citato Ici et ailleurs) a renderlo un film militante, intimamente, violentemente politico.

ZANJ REVOLUTION

REGIA DI Tariq Teguia CON Fethi Ghares, Diana Sabri, Ahmed Hafez, Wassim Mohamed Ajawi ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 116’ GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 settembre


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LA ZUPPA DEL DEMONIO REGIA DI DAVIDE FERRARIO

di Roberto Manassero

Un film sull’idea del progresso nel Novecento, come dice il sottotitolo. E più nello specifico, un film sull’acciaio, «la zuppa del demonio» secondo Dino Buzzati, il materiale che per un secolo ha rappresentato l’utopia italiana di un avvenire di benessere nel segno della grande impresa e della tecnica. Davide Ferrario salda il destino dell’industria pesante nel XX secolo, dall’ascesa incontrastata per decenni al declino cominciato con la crisi petrolifera del ’73, a quello del cinema, il cui primo film in assoluto, L’uscita dalle fabbriche Lumière, altro non sarebbe che un film industriale. E a partire da questo imprinting, traccia l’evoluzione dei settori siderurgico e ingegneristico passando dal 1900 al fascismo, dal dopoguerra al Boom, dalla Fiat all’Olivetti all’Ilva, dalle dighe del nord ai giacimenti di petrolio in Sicilia. E lo fa montando decine di filmati dell’Archivio nazionale del cinema d’impresa (con firme come Olmi, Risi, Blasetti, Camerini), accompagnandoli a testi di Marinetti, Gadda,


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Sciascia, Volponi, Pasolini, Rea... Ne nasce così un viaggio amaro e malinconico nei sogni di un paese e dei suoi intellettuali, spesso scettici di fronte alla tecnica, ma pure loro, come diceva Bocca, convinti che proprio dalle grande industria, e più in generale dal progresso – «che ha sempre ragione, anche quando ha torto» (Marinetti) – sarebbe nato il futuro. Si sbagliavano. Ma nel frattempo hanno fatto l’Italia.

LA ZUPPA DEL DEMONIO

REGIA DI DAVIDE FERRARIO ITA · 2013 · DOCUMENTARIO · DURATA:75’ GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dall’11 settembre


CINERAMA RITORNA DA VOI Il 7 NOVEMBRE CON LE RECENSIONI DI TUTTI I FILM USCITI IN SALA NEL MESE DI OTTOBRE. CINERAMA È UNA PUBBLICAZIONE TICHE ITALIA SRL. IMPAGINAZIONE A CURA DI GIULIA CIAPPA E LUCA GRIFFINI PER COMMENTI, APPREZZAMENTI E CRITICHE SCRIVETE A CHANNEL@film.tv.it PER INFORMAZIONI CONTATTATE LA REDAZIONE A SEGRETERIA@film.tv.it


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