Cinerama 1.4

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CINERAMA1.4

Un Natale molto italiano DA ADIEU AU LANGAGE A WORDS AND PICTURES. PASSANDO PER OGNI MALEDETTO NATALE. LE RECENSIONI PUBBLICATE SULLA RIVISTA FILMTV DI TUTTI I FILM USCITI A NOVEMBRE 2014.


Il Cinerama (dal greco κινεσις = movimento e οραω = vedere), è un sistema di ripresa e proiezione atto ad offrire un’immagine di grandi dimensioni (sino a 28 m x 10 m) su uno schermo curvo di 146 gradi di ampiezza e 55 gradi di altezza. Tale immagine è perciò molto simile alla percezione dell’occhio umano (visione periferica).

Cinerama è anche il raccoglitore digitale delle recensioni PUBBLICATE SUL SETTIMANALE FilmTv. BUONA LETTURA!


INDICE ALFABETICO DELLE RECENSIONI DEI FILM USCITI A NOVEMBRE 2014

CINERAMA1.4 CLICCA SUL TITOLO PER APRIRE LA RECENSIONE

Adieu au langage di Jean-Luc Godard L’Amministratore di Vincenzo Marra Andiamo a quel paese di Salvo Ficarra, Valentino Picone I Cavalieri della laguna di Walter Bencini Chi è Dayani Cristal? di Marc Silver Clown di Jon Watts David Bowie is di Hamish Hamilton Diplomacy - Una notte per salvare Parigi di Volker Schlöndorff Doraemon il film di Takashi Yamazaki, Ryuchi Yagi Due giorni, una notte di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne Finding happiness - Vivere la felicità di Ted Nicolaou LA foresta di ghiaccio di Claudio Noce Get on up la storia di James Brown di Tate Taylor Hunger Games - Il canto della rivolta parte 1 di Francis Lawrence Interstellar di Christopher Nolan IL Leone di vetro di Salvatore Chiosi Mancanza - Inferno di Stefano Odoardi Master of the universe di Marc Bauder Melbourne di Nima Javidi Michael Jackson: Life, Death and Legacy di Maureen Goldthorpe IL Mio amico Nanuk di Roger Spottiswoode, Brando Quilici Mio papà di Giulio Base


INDICE ALFABETICO DELLE RECENSIONI DEI FILM USCITI A NOVEMBRE 2014

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Modà - Come in un film di Gaetano Morbioli Musei Vaticani di Marco Pianigiani My old lady di Israel Horovitz Non escludo il ritorno di Stefano Calvagna Ogni maledetto Natale di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo On any sunday: La storia continua di Dana Brown Ottopunti di Danilo Monte LA PAzza della porta accanto di Antonietta De Lillo I Pinguini di Madagascar di Eric Darnell, Simon J. Smith Qui di Daniele Gaglianone LA Sapienza di Eugène Green Sarà un paese di Nicola Campiotti LO Sciacallo di Dan Gilroy LA Scuola più bella del mondo di Luca Miniero Scusate se esisto! di Riccardo Milani Sils Maria di Olivier Assayas LA Storia della principessa splendente di Isao Takahata Sul vulcano di Gianfranco Pannone These final hours di Zak Hilditch I Toni dell’amore - Love is strange di Ira Sachs Tony Cairoli the movie di Jean-Paul Maas Torneranno i prati di Ermanno Olmi


INDICE ALFABETICO DELLE RECENSIONI DEI FILM USCITI A NOVEMBRE 2014

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Trash di Stephen Daldry Tre cuori di Benoit Jacquot Tre tocchi di Marco Risi I Vichinghi di Claudio F채h Vicky il vichingo di Michael Herbig Viviane di Shlomi Elkabetz, Ronit Elkabetz Words and pictures di Fred Schepisi


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ADIEU AU LANGAGE REGIA DI JEAN-LUC GODARD

di Giulio Sangiorgio

«Una donna sposata e un uomo libero si incontrano. Si amano, litigano; piovono i colpi. Un cane vaga tra città e campagna. Le stagioni passano. L’uomo e la donna si ritrovano. Il cane si ritrova tra loro. L’altro è nell’uno. L’uno è nell’altro. E sono tre persone. L’ex marito fa esplodere tutto. Un secondo film comincia. Uguale al primo. Eppure diverso. Dalla specie umana si passa alla metafora. Finirà con l’abbaiare di un cane. E con le urla di un neonato». Questa è la sinossi di Adieu au langage secondo Jean-Luc Godard. Uno che da sempre cerca l’aporia e il paradosso nello sguardo, per produrre un senso fuor di pregiudizio. Un cinema «non di quel che si vede, né di quel che non si vede. Ma del fatto che non si vede», citando le impressioni di Claude Monet. E allora Adieu au langage è composto da due capitoli, che si presentano due volte, un film sul numéro deux, ma per andare oltre alla dittatura della dialettica. Oltre la dicotomia tra «vivere e raccontare», tra natura e metafora, oltre il film sulla coppia, su un uomo e una donna, perché al cinema è sempre bastato un boy meets girl per esistere come racconto. Così in questo film che s’apre su pollici che esplorano gli smartphone, sul tatto usato per guardare in un mondo ridotto a immagine, in questo


C home movie in 3D, in questo ennesimo atto di guerrilla per e contro l’audiovisione, c’è un uomo che muore, lentamente, per tutta la durata del film, e c’è una donna che è lì, continua a ribadire, per dirgli no. «Una donna non può fare del male. Può ferirti, può ucciderti, ed è tutto», perché tra gli sfregi al linguaggio c’è anche la parodia, il simbolismo fossile e risibile di un linguaggio patriarcale, maschile, che s’appropria della natura, che è donna, irrazionale femminino. Un uomo e una donna, un Kammerspiel ridicolo tra linguaggio (che in Godard, da sempre, è in agonia) e natura. L’addio al linguaggio è così il dramma da camera di un incontro che si nega e si deride, la cronaca di uno scollamento, l’elegia della divisione. Due immagini, una sopra l’altra, perché è così che funziona la stereoscopia. Due immagini che si separano, che sono una contro l’altra, in un 3D che non le fonde in una sola, immergendo lo spettatore in un sogno, in un sonno ideologico, ma sceglie al contrario il risveglio irritando lo sguardo, cercando esasperatamente la separazione, il sovrapporsi strabico degli occhi, preferendo la confusione alla fusione, come SSHTOORRTY di Michael Snow o i lavori di sghemba stereoscopia di Ken Jacobs. E così, scratchando citazioni letterarie come un colto dj cialtrone, sbalzando lo spazio sonoro come un terrorista, con aggressioni uditive costantemente controsenso, ricorrendo a un digitale che sa essere deforme e pittorico, con immagini monche e irrelate, attenta sistematicamente alla nostra audiovisione, cerca i buchi neri, facendoci esperire, con tutti questi frammenti che si negano e rincorrono, la fallace logica della separazione con cui governiamo, percepiamo ed esistiamo nel mondo, un codice binario, una dicotomia, un’immagine, una copia, una riflessione dopo l’altra. Non dimentichiamolo: Adieu au langage è l’inno allo sguardo di un cane, privo di pretese. Un esercizio per l’occhio, e per il pensiero, contro quel che separa ciò che è continuo. Un film contro il numero due.

ADIEU AU LANGAGE - ADDIO AL LANGUAGGIO

REGIA DI JEAN-LUC GODARD SVIZZERA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 70’ CON HÉLOISE GODET, ZOÉ BRUNEAU, KAMEL ABDELI, RICHARD CHEVALLIER GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 20 novembre


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L’AMMINISTRATORE REGIA DI VINCENZO MARRA

di Giulio Sangiorgio

Il grande progetto documentaristico di Vincenzo Marra, costantemente supportato dal produttore Gianluca Arcopinto, è quello di raccontare una Napoli capace di essere un luogo d’osservazione sul Paese, di dire di sé e, soprattutto, di una nazione. Così, dopo Estranei alla massa, L’udienza è aperta, Il grande progetto e Il gemello, dopo gli stadi e i tribunali, dopo gli uffici comunali e le carceri, dopo questi luoghi d’incontro e scontro tra il privato e il pubblico, con L’amministratore racconta le case al tempo delle tasse che pesano sugli immobili, registra i conflitti tra l’ambiente domestico sfiancato e l’intorno, pedinando in un paesaggio di crisi cocente il suo protagonista. Un avvocato che amministra case e che si muove tra il vampiro e il Don Abbondio, tra le ville di Posillipo e gli appartamenti di San Giovanni a Teduccio, calmo e stremato, subdolo e gentile, fermo e generoso. L’amministratore segue il suo cammino: tra quotidiane miserie, aristocratici in agonia,


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sentimenti degradati e rari squarci d’amore resistente. Montella gestisce guappi e favori, sciocchi litigi e un’epidemia di camorra, affronta il ciarlare inesausto, la retorica vacua e i drammi taciuti, e finisce per accompagnare Marra nell’inferno del rapporto tra individuo e cosa pubblica, al tempo mesto della crisi. Così L’amministratore, doc umanista, corpo a corpo con l’uomo, ritratto in movimento, teatro d’attore dal vero, risulta essere anche un grottesco squarcio alla Petri, una veduta eduardiana sulle maschere del Condominio Italiano.

L’AMMINISTRATORE

REGIA DI VINCENZO MARRA ITALIA · 2013 · DOCUMENTARIO · DURATA: 80’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


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ANDIAMO A QUEL PAESE REGIA DI SALVO FICARRA, VALENTINO PICONE

di Mauro Gervasini

Salvo (Ficarra), con moglie e figlia, e Valentino (Picone) lasciano Palermo per raggiungere la suocera del primo nel paese cha ha dato i natali anche al secondo, in una remota zona della provincia di Siracusa («Ma che, ancora Sicilia è?» chiede il traslocatore). Il marpione della coppia vuole vampirizzare la pensione della donna, mentre la tenera “spalla” rimpiange la fidanzata abbandonata, figlia del brigadiere napoletano Paolantoni. Prima mezz’ora veramente faticosa, con Ficarra & Picone che non trovano la giusta dinamica di gag e battute, prigionieri di ritmi televisivi, definizioni macchiettistiche e di una colonna sonora ingombrante e un po’ molesta. Poi qualcosa cambia, un vero e proprio detour. Da quando parte la macchinazione per far sposare zia Lucia (Lily Tirinnanzi) con Valentino, il racconto tocca momenti di surrealtà totale, con la metamorfosi del duo (sempre più Franco - anche nel gesticolare di Salvo - e Ciccio - nel muoversi allampanato


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di Valentino) e momenti inattesi di scrittura sul “comune senso del pudore”. Va però rimarcato che se la seconda parte di Andiamo a quel paese decolla è anche perché il film è meno incentrato sulle scaramucce della coppia comica, a volte prevedibili, e lascia spazio a caratteristi d’alto livello. Paolantoni che vendica la canzone napoletana storpiata dal siciliano Picone è memorabile. Una commedia italiana finalmente decente e divertente, peccato davvero fatichi a ingranare.

ANDIAMO A QUEL PAESE

REGIA DI SALVO FICARRA, VALENTINO PICONE ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 90’ CON SALVO FICARRA, VALENTINO PICONE, TIZIANA LODATO, LILY TIRINNANZI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 6 novembre


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I CAVALIERI DELLA LAGUNA REGIA DI WALTER BENCINI

di Ilaria Feole

Sfilano sul pelo dell’acqua, i grembiali impermeabili pesanti e fluorescenti contro la superficie immota della laguna di Orbetello: sembrano visitatori alieni, guerrieri futuristici, invece fanno uno dei lavori più antichi della civiltà umana, i pescatori. A smorzare il lirismo innato e quasi ridondante di un mestiere a contatto con la bellezza lampante della riserva naturale in provincia di Grosseto, con le albe e i tramonti che affogano nello specchio lagunare, ci pensano loro, i “cavalieri” avvolti nell’incerata che ogni mattina si scambiano insulti amichevoli e cameratesche pacche sulle spalle: «Siamo nati pe’ soffri’». Riuniti in una cooperativa, legati da un sentimento fra solidarietà e spirito da caserma, sono una sessantina («gli ultimi dei mohicani»), pervasi da una rivalità sana e da un rapporto a volte ambivalente con un lavoro faticoso e nobile, che hanno ereditato dai padri e dai nonni, una tradizione tenace che affrontano con fierezza non sempre inscalfibile. Omoni coriacei


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dall’umorismo malizioso, si raccontano senza peli sulla lingua, in un diario fra poesia e trivialità che segue il pescato dalle reti al piatto (la cooperativa gestisce anche uno spaccio con i prodotti tipici, dalla bottarga all’anguilla affumicata, presidi Slow Food al cui manifesto il regista aderisce). Il doc di Bencini li segue con sguardo divertito e parziale, interessato all’umanità più che all’ecosostenibilità, trasformando “il Topo”, “Gesù” e “il Lupo buono” in personaggi sopra le righe, eroi quotidiani di un mondo a parte.

I CAVALIERI DELLA LAGUNA

REGIA DI WALTER BENCINI ITALIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 100’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 12 novembre


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CHI È DAYANI CRISTAL? REGIA DI MARC SILVER

di Ilaria Feole

Dayani Cristal è il nome tatuato sul petto di un corpo senza vita, ritrovato in avanzato stato di decomposizione nel brandello di deserto dell’Arizona che confina col Messico, il “corridoio della morte”. Il corpo di un uomo senza nome, partito dall’Honduras e sottoposto alle prove estenuanti di un viaggio della speranza che lo dovrebbe portare agli Usa, a un lavoro, ai soldi per pagare le cure al figlio affetto da leucemia. Sul confine tra Messico e States opera una squadra di guardie di frontiera incaricate di reperire, archiviare e analizzare meticolosamente i resti degli uomini che nel deserto hanno trovato la morte: un lavoro certosino e sconfortante, che tenta di restituire i defunti alla propria famiglia e a una degna sepoltura. Marc Silver ne racconta il lavoro di quotidiano e sedentario eroismo, mentre in parallelo Gael García Bernal (coproduttore e coautore a tutti gli effetti, seppure non accreditato) ricostruisce il viaggio del titolare del tatuaggio, ripercorrendone i


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passi e attraversando Guatemala e Messico a piedi o aggrappato a treni merci. Dietro l’operazione, che affronta con giusta urgenza il dramma delle migliaia di immigrati clandestini ed è legata a un progetto di solidarietà (sul sito www.whoisdayanicristal.com), c’è il nome di Mark Monroe, penna di parecchi doc blasonati (The Cove, Sound City) e abile costruttore di prodotti fra informazione e intrattenimento: l’intento è nobile, il risultato talvolta cerca la lacrima facile.

CHI È DAYANI CRISTAL?

REGIA DI MARC SILVER GRAN BRETAGNA · 2013 · DOCUMENTARIO · DURATA: 80’ CON GAEL GARCÌA BERNAL GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 20 novembre


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Clown

REGIA DI Jon Watts

di Claudio Bartolini

Una festa per bambini. Il clown non può venire. Papà Kent trova gli indumenti giusti in uno scatolone e si presenta vestito da pagliaccio. Tutti felici e contenti. Ma l’abito si incolla alla pelle. I capelli mettono radici. Il naso rosso non è più finto. Kent è posseduto, la mutazione ha inizio. Clown entra in medias res, non si perde in fronzoli e punta dritto al cuore del (suo) discorso: il Cloyne - demone dei ghiacciai che, durante, l’inverno, divorava cinque bambini, uno al mese - si rimpossessa del proscenio, colonizzando quei territori simbolici (il folklore, l’immaginario letterario, infine il cinema) stravolti dalla reinterpretazione moderna del pagliaccio, inquietante finché si vuole ma quasi mai (più) demoniaco. Operazione dai presupposti curiosi, questa produzione sponsorizzata da Eli Roth, nella quale si riconvocano gli archetipi dell’horror per poi demistificarli e prenderli a calci sui denti a ogni inquadratura. Confezionando l’opera come un B movie anni 80 dal notevole make up artigianale,


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Watts (leggetelo pure Roth) incrocia infatti la seriosità degli assunti col saggio utilizzo di registri demenziali, grotteschi e (finto) melodrammatici con cui attivare il livello teorico inconscio dell’horror. Peccato che, da un punto di vista meramente grammaticale, il B movie sia poco B in termini di violenza (tutto lo splatter è già nel trailer, peraltro ben più spaventoso del film) e voglia a tutti i costi privilegiare le soluzioni esangui imposte da un insopprimibile istinto blockbuster.

CLOWN

REGIA DI Jon WAtts usA · 2014 · hoRRoR · DuRAtA: 99’ CON PETER STORMARE, LAURA ALLEN, ELIZABETH WHITMERE, ANDY POWERS, ALLEN ALTMAN GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


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DAVID BOWIE IS REGIA DI HAMISH HAMILTON

di Adriano Aiello

Diciamolo in punta di retorica pubblicitaria: David Bowie è uno, tutti e nessuno. Un volto, una voce e un’icona culturale capace di muoversi agevolmente tra i decenni e le mode. Ed è anche il soggetto dell’acclamata mostra che ha spopolato al Victoria and Albert Museum di Londra nel 2013. Testimonanianza imponente, ricca di particolari, opinioni e performance per raccontare chi è e chi è stato Bowie. Diventata un film, David Bowie Is si presenta come una celebrazione priva di spigoli, il cinema come surrogato di una passeggiata all’Albert Museum, una guida visiva o la versione raffinata della pagina di Wikipedia, con le splendide hit del Duca che non concedono distrazione. Niente di diverso dall’obiettivo: produrre un documentario dove vengono narrati la vita, il pensiero, le influenze, le opere di Bowie, dalla primordiale influenza di Little Richard alla progettazione di Space Oddity, dalla rivoluzione pop televisiva di Starman (con il dito puntato in camera)


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alla creazione di Ziggy Stardust, fino ai nostri giorni. Un prodotto divulgativo dove si finisce per illustrare la mostra più che dare forma al film, che avrebbe potuto osare soluzioni visive più coraggiose, o magari uscire dall’esplorazione dei fatti per provare ad azzardare le ragioni del continuo mutamento di una personalità così compessa. D’altronde la trasformazione è l’unica strategia per l’immortalità, insieme alla sincera immutabilità. Come dire, o si è David Bowie o si è gli AC/DC. O forse no.

DAVID BOWIE IS

REGIA DI HAMISH HAMILTON REGNO UNITO · 2013 · DOCUMENTARIO · DURATA: 100’ CON VICKY BROACKES, GEOFFREY MARSH GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 novembre


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DIPLOMACY - UNA NOTTE PER SALVARE PARIGI REGIA DI VOLKER SCHLÖNDORFF

di Mauro Gervasini

25 agosto 1944: ogni resistenza tedesca sul fronte francese è vana, gli alleati stanno per irrompere a Parigi. Il generale Dietrich von Choltitz (Niels Arestrup) riceve un perentorio ordine dal Führer: far saltare tutti i ponti della città provocando una spaventosa esondazione della Senna. Un diplomatico svedese, Raoul Nordling (André Dussollier), ha poche ore per convincerlo a non mettere in atto il proposito tremendo. Storia in parte vera, riletta con una buona dose di pathos romanzesco dalla sceneggiatura dello stesso Schlöndorff tratta da una pièce di Cyril Gély (interpretata nel 2011 dai medesimi due attori). La matrice teatrale è evidente, e può anche essere il limite del film. Poi ci si abbandona alla sapienza del testo, alla ricostruzione scenica di un ambiente dominante (la stanza di Von Choltitz) che cela in verità più di un segreto (il console svedese spia il tedesco sfruttando un falso specchio fatto installare da Napoleone III per scrutare di nascosto amanti e


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ospiti). Soprattutto, si osserva ammirati la performance dei due protagonisti, che scelgono il francese come lingua franca (Arestrup parla un ottimo tedesco) per duellare in dialettica, senza peraltro evitare un minimo di mistificazione. Una corsa contro il tempo e contro la morte (Von Choltitz teme lo Sippenhaft, il contrappasso germanico sulle famiglie dei traditori), mentre Parigi e i suoi “maquisards” non stanno a guardare.

DIPLOMACY - UNA NOTTE PER SALVARE PARIGI

REGIA DI VOLKER SCHLÖNDORFF FRANCIA / GERMANIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 85’ CON NIELS ARESTRUP, ANDRÉ DUSSOLLIER, ROBERT STADLOBER, LUCAS PRISOR GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 20 novembre


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DORAEMON IL FILM REGIA DI TAKASHI YAMAZAKI, RYUCHI YAGI

di Ilaria Feole

Nella società nipponica iperefficiente e votata alla produttività, Nobita è una pecora nera senza scampo e senza giustificazione: pigro, ritardatario, goffo, i suoi voti sono i più bassi della classe. In suo aiuto, dal XXII secolo, giunge Doraemon, gatto-robot iperaccessoriato che dalla sua tasca, come Eta Beta, estrae i chiusky, aggeggi in grado di rimediare a (quasi) ogni disastro. Il suo obiettivo è rendere Nobita un bambino felice, dando forma al futuro che sogna; le cose si complicano, però, quando bimbo e gatto decidono di fare una capatina proprio nel futuro, per dare una spinta al destino. Primo lungometraggio realizzato in stereoscopia nella lunghissima saga del tenero micio robotico creato da Fujiko F. Fujio (protagonista di un manga e di un anime popolare anche in Italia dagli anni 80), Doraemon - Il film riparte dall’origine, dall’arrivo dirompente del gattone, e ripropone in computer grafica (ma con l’ausilio di sfondi ripresi dal vivo e integrati con i


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personaggi animati) i tratti tondeggianti dei protagonisti della serie. Se Doraemon, morbido e metallico insieme, ne guadagna, i movimenti non eccellono in fluidità e le sequenze di volo e corsa realizzate appositamente per il 3D sono posticce e al sapore di giostra da luna park. Resta invariato il legame struggente fra il piccolo Nobita e il suo amico-aiutante magico, che nel finale sancisce con toni melodrammatici, tra fiumi di lacrime, il crepuscolo dell’infanzia e del tempo dell’innocenza.

DORAEMON IL FILM

REGIA DI TAKASHI YAMAZAKI, RYUCHI YAGI GIAPPONE · 2014 · ANIMAZIONE · DURATA: 95’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 6 novembre


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Due giorni, una notte REGIA DI Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne

di Mario Sesti

Più che la cospirazione sono la paura e l’eccesso di prossimità, forse, che possono spiegare per quale motivo Marion Cotillard non ha vinto la palma al Festival di Cannes 2014 con questa interpretazione. Gambe magrissime, seno lieve, ansia a tavoletta, nell’ultimo film dei fratelli Dardenne è una sorta di icona europea del dramma del lavoro (ma anche la rappresentazione di una potente fobia). È nei panni di un’operaia che è stata assente un anno, per depressione, e ora la fabbrica in cui lavora, che ha scoperto, a causa della sua assenza, di poterne fare a meno, propone agli altri operai un referendum: volete un premio di produzione (mille euro) o siete disposti a rinunciarvi per permettere a lei di continuare a tenere il salario? O l’uno o l’altro. La sottile crudeltà del capitale, traveste un atto di sadismo con una votazione democratica. La Cotillard, assistita da un marito che non molla neanche quando lei lo maltratta ingiustamente, ha poco meno di un weekend per


C convincere, porta a porta, la metà più uno dei suoi compagni di fabbrica. Ce la farà? Il lavoro dei fratelli Dardenne, che nel cinema non hanno meno tenacia di lei, mostra innanzitutto quanto sia difficile parlare agli altri e tentare di convincerli di qualcosa di giusto quando nessuno sembra poter rinunciare all’equivalente di un anno di acqua ed elettricità. Unici alleati della protagonista: lo Xanax, bottigliette di acqua naturale e un’amica del cuore. Dire come va a finire sarebbe offensivo. Il film, girato in tempo reale e camera a spalla (come tutti i titoli dei registi belgi di La promessa e Rosetta) ha una tensione inarrestabile frantumata da una scena in macchina in cui tutti cantano insieme (perché al cinema si canta così spesso in macchina e nella realtà è molto più raro?) e da piccole esplosioni di humour che a Cannes hanno suscitato risate liberatorie. In ogni caso, non ha un finale prevedibile. Due giorni, una notte è soprattutto una sonda un po’ scioccante in un occidente ridotto a livelli di solidarietà ed empatia dello stesso livello di un villaggio del neolitico, ma è Marion Cotillard il vero effetto speciale: tra rassegnazione e combattività, dignità e rabbia, resa e riscatto, somiglia troppo alla vita come è fuori dai film per non continuare a pensare a lei anche dopo un po’ che è finito.

Due giorni, una notte

REGIA DI JEAn-PIERRE DARDEnnE, Luc DARDEnnE FRAncIA / bELGIo · 2014 · DRAMMAtIco · DuRAtA: 95’ MARION COTILLARD, FABRIZIO RONGIONE, PILI GROYNE, SIMON CAUDRY, OLIVIER GOURMET GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


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FINDING HAPPINESS - VIVERE LA FELICITÀ REGIA DI TED NICOLAOU

di Ilaria Feole

Nel 1968, nella California dove si indossano fiori nei capelli, il giovane Donald Walters conosce Paramahansa Yogananda e resta folgorato dalla possibilità di una vita in totale sintonia con l’armonia della natura e con i propri simili. Prende il nome di Swami Kriyananda e fonda la prima comunità Ananda, nei pressi di Sacramento: all’inizio un accampamento di tende, destinato a diventare una vera e propria oasi dove i residenti praticano meditazione e yoga, coltivano il cibo che mangiano e vivono secondo le linee guida di una fede che fonde principi del cristianesimo con quelli dell’induismo. Tutto questo scopre la giornalista (fittizia) Juliet, inviata dal (finto) magazine “Profiles” a vivere per una settimana ad Ananda, dove intervista il (vero) guru Swami e tutta una serie di (altrettanto veri) abitanti della comunità. La struttura che propone un’attrice (Elisabeth Röhm, volto seriale di Law & Order, Heroes etc.) come interlocutore di personaggi reali ha uno stam-


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po smaccatamente televisivo (a tratti straniante: Swami Kriyananda è l’unico protagonista non doppiato) funzionale a costruire un percorso di avvicinamento alla filosofia Ananda che un documentario tout court non avrebbe consentito. Juliet è ovviamente conquistata dallo stile di vita e dalla pace interiore che ha conosciuto, e il film assume da subito i contorni di un depliant illustrato dai colori sgargianti, con tanto di panoramica sulle “succursali” (le comunità Ananda in India e in Italia): un lungo pamphlet dal sorriso smagliante.

FINDING HAPPINESS - VIVERE LA FELICITÀ

REGIA DI TED NICOLAOU USA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 90’ CON ELISABETH RÖHM, JYOTISH NOVAK, ROMINA CARUANA, ANANDI CORNELL GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 20 novembre


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LA FORESTA DI GHIACCIO REGIA DI CLAUDIO NOCE

di Adriano Aiello

Qualcosa si muove nel cinema di genere italiano. È vero, lo blateriamo a vanvera da un paio di decenni, ma è indubbio che ultimamente almeno i noir che arrivano in sala si sono moltiplicati. Dopo Perez., Anime nere e Senza nessuna pietà è la volta di Claudio Noce, che con La foresta di ghiaccio si installa al confine italo-sloveno per raccontare una storia di malavita, mal di vivere, immigrazione, orsi pericolosi e rese dei conti, regalandosi Emir Kusturica nel ruolo di un truce villain zingaro che «preferisce gli animali agli uomini». Due le figure principali a contrapporsi: un giovane tecnico specializzato (inizialmente soffocato dall’esuberanza del suo mentore per un giorno Adriano Giannini), che arriva nella valle per riparare un guasto alla centrale elettrica in alta quota, ma ha propositi di vendetta, e una poliziotta che indaga sulla sparizione di una bambina, spacciandosi per zoologa. Mette i piedi in più scarpe, Noce, e non sempre con la


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giusta frequenza: l’intreccio, tipicamente thriller, è contorto il giusto, mentre la messa in scena strizza l’occhio all’horror, con una regia nervosa nelle sequenze di azione, gli scenari innevati minacciosi, i personaggi disturbanti, gli interni plumbei e una colonna sonora fin troppo esplicita. La storia comunque sta decorosamente in piedi, per quanto ci metta troppo a tirare le fila del discorso, le facce funzionano, ma alcune sottolineature sono piuttosto grevi. Perché tutti quei ralenti, per esempio? E quei flashback insistiti e didascalici conclusivi?

LA FORESTA DI GHIACCIO

REGIA DI CLAUDIO NOCE ITALIA · 2014 · THRILLER · DURATA: 100’ CON EMIR KUSTURICA, KSENIA RAPPOPORT, DOMENICO DIELE, ADRIANO GIANNINI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


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Get on Up REGIA DI Tate Taylor

di Alice Cucchetti

Il biopic musicale è un genere insidioso: da un lato il racconto di un successo è il paradigma di ogni storia americana, dall’altro le sue tappe sono talmente frequentate da rischiare il già visto dietro ogni angolo. Tate Taylor tenta con James Brown, un’icona la cui molteplicità di soprannomi (da “Mr. Dynamite” a “The Hardest Working Man in Show Business”) rende efficacamente la poliedricità del personaggio. Ne esce un’opera volutamente frammentata, che vaga freneticamente nel tempo e nello spazio di una vita densissima, affastellando aneddoti, epifanie, esibizioni, accostando sequenze oniriche e monologhi oltre la quarta parete a uno svolgimento narrativo convenzionale; ma che, nonostante ci provi con tutte le proprie forze, non riesce a evitare di somigliare a una discreta quantità di biografie del rock. Forse perché, edulcorata di molte ombre, la pellicola non sembra interessarsi a un’indagine della musica di Brown, dell’impatto irresistibile delle sue canzoni


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sulla gente, delle influenze tentacolari sul pop del futuro. La ricostruzione storica, in compenso, è profusa in minimi e precisi dettagli, così come l’interpretazione di Chadwick Boseman, che non si risparmia neanche una goccia di sudore e, in originale, agguanta perfettamente l’inconfondibile parlata dell’artista. I momenti migliori, però, sono senza dubbio le performance: forse perché gli unici in cui risuona davvero la voce del Padrino del soul.

Get on Up

REGIA DI TATE TAyloR UsA · 2014 · BIoGRAfICo · DURATA: 138’ CON CHADWICK BOSEMAN, VIOLA DAVIS, OCTAVIA SPENCER, NELSAN ELLIS, LENNIE JAMES GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 6 novembre


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Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 1 REGIA DI Francis Lawrence

di Alice Cucchetti

Ci sono lampi in cui la saga di Hunger Games sembra sul punto di fare il salto, sfuggendo al recinto di “adattamento cinematografico di trilogia letteraria per teenager”. In Il canto della rivolta - Parte 1 succede, per esempio, quando il video promozionale realizzato per incitare alla rivoluzione, tramite Katniss-ragazza immagine, ricalca consapevolmente il martellante trailer del film medesimo. L’intuizione, come tutte le altre di Suzanne Collins, non ha nulla di originale, ma punge e - per chi è ignaro dei libri - stupisce: epurata di ogni afflato idealista, Katniss è (ancora) l’eroina spaventata e impulsiva gettata nella lotta suo malgrado, il suo corpo e il suo volto sono ostaggio incessante di manipolazioni altrui, al servizio di scopi differenti ma sempre a favor di telecamera. Jennifer Lawrence regge il ruolo ambivalente di un’adolescente credibilmente in costante shock post traumatico, ma la patinata confezione blockbuster con target predefinito e immutabile soffoca ogni


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scintilla di (vera) ribellione. La pellicola soffre più di altre omologhe la sua indefinita natura di prologo, e non bastano il ritmo sostenuto, un’ambientazione coraggiosamente cupa e disperata, gli accenni alle inevitabili derive populiste congenite in ogni regime militare a evitare la ripetitività di schemi e strutture consumate. Resta uno dei migliori risultati all’interno del proprio genere, ma di nuovo lascia il retrogusto amarognolo di un’opportunità perduta.

Hunger games: Il canto della rIvolta - Parte 1

REGIA DI FRAncIs LAwREncE usA · 2014 · AzIOnE · DuRAtA: 125’ CON JENNIFER LAWRENCE, JOSH HUTCHERSON, LIAM HEMSWORTH, JULIANNE MOORE GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 20 novembre


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INTERSTELLAR REGIA DI CHRISTOPHER NOLAN

di Giulio Sangiorgio

L’apocalisse si manifesta con una piaga. Perché la Terra produce solo mais: l’uomo deve abbandonare il bisogno del pioniere, il sogno di nuove frontiere da oltrepassare, ed è costretto a retrocedere. A farsi guardiano, a curare quel che c’è già. Il granoturco. Gli ingegneri sono, nell’oggi di Interstellar, agricoltori. Come Cooper, che era anche, e soprattutto, un westerner dello Spazio. E padre di due figli, che accudisce da solo, dopo la morte della moglie, crescendoli tra i campi e le pagine di libri che, in un subdolo Fahrenheit 451, ora sono stati sostituiti. Libri in cui si legge dell’uomo sulla Luna, per esempio. Perché l’allunaggio era una bugia, oppio per i popoli, spettacolo puro. La politica è cambiata: non esistono altri mondi possibili. La Terra non ha orizzonte, è chiamata a essere mesta e responsabile. Poi Cooper scopre, per volere di un destino non casuale, che la NASA non è pagina chiusa e c’è ancora chi cerca un Nuovomondo. Scelto per guidare una missione in cerca


C del pianeta su cui rifare la Terra, lascia la prole, la figlia piangente, le voci che gli suggeriscono «resta». E comincia la sua nuova odissea nello spazio, in un’opera sci-fi che è un racconto di pionieri, un redivivo mito di frontiera, un altro Uomini veri. Ma soprattutto, una parabola umana, un mélo padre-figlia, un Piccolo principe adulto, che sa di pop corn e filosofia per le masse. Un film forum, confezionato con grandeur ma rivolto all’interiore, in cui si dibattono sentimenti personali, dilemmi etici, caricature politiche, dubbi esistenziali: un racconto che è un costante banco di prova, scena per scena, pianeta per pianeta, e in cui la questione fondamentale è il tentennamento, sono i se e i ma, l’incerto, l’errore e il suo insegnamento. La questione sono le scelte, le domande che si tendono tra l’individualismo e il progresso, tra l’andare e il restare, tra le finzioni del potere e singoli che non perdono la fede, tra la retorica del mito, i vacui tecnicismi, e il vero sentimento, tra il bene pubblico e privato, tra l’amore qui e ora e quello per un futuro che è solo eventuale. Solo che quel che manca, in Interstellar, è proprio il cinema. Perché quando Nolan non invita lo spettatore al rompicapo come in Memento e in Inception, quando non lo tramortisce con la furia di narrazioni seriali assurdamente compresse come nei suoi Batman, quando sceglie il classicismo, si scopre solo mediocre, sciatto produttore di senso: non c’è un’immagine, qui, che abbia un senso ulteriore, che metta in crisi i sensi, che sia problematica, fertile. Non bastano l’IMAX, i 70mm, la grana della pellicola, se il cinema è solo un’esangue illustrazione.

INTERSTELLAR

REGIA DI CHRISTOPHER NOLAN USA / REGNO UNITO · 2014 · FANTASCIENZA · DURATA: 169’ CON MATTHEW MCCONAUGHEY, ANNE HATHAWAY, JESSICA CHASTAIN, DAVID GYASI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 6 novembre


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Il Leone di Vetro REGIA DI Salvatore Chiosi

di Claudio Bartolini

1866. A Venezia un plebiscito mette il popolo di fronte a un bivio: unirsi al Regno d’Italia o restare indipendente? Attraverso il racconto della scissione interna alla famiglia Biasin - con padre e secondogenito favorevoli all’annessione, nonno e primogenito contrari - si vorrebbe ricostruire una pagina controversa della storia del Veneto, che si schierò compatto (99,9%) in favore del Regno d’Italia solo in seguito a intimidazioni compiute dalle istituzioni che avrebbero dovuto garantire libertà di voto. Ma nel film di Chiosi fischia il vento dell’ultimo Martinelli, tra interpretazioni improbabili, voragini di sceneggiatura e inserti del periodo di dominazione napoleonica (?) di rara approssimazione storico-ideologica, con le truppe francesi che si presentano saccheggiando una chiesa, calpestando le ostie e molestando le credenti. Tra nazionalismi bacchettoni («questi sono i colori della speranza, della fratellanza. Sono i colori dell’Italia») e federalismi elementari («noi vogliamo un


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Veneto che sia dei veneti»), il cinema si adagia sulle sicurezze della cattiva televisione, meno costosa in termini di fatica e ingegno. L’unica cosa che non manca è il vino rosso Raboso, grazie al sostegno del Consorzio Vini Venezia che impone un titolo spudoratamente promozionale (vetro=bottiglia) e incessanti spot sulla bontà, il successo e l’etichetta dei suoi prodotti. «Come sempre, unica certezza rimasta, torna il tempo della vendemmia». Beviamoci sopra.

Il leone dI Vetro

REGIA DI SAlvAtoRE ChIoSI ItAlIA · 2014 · DRAMMAtICo · DuRAtA:108’ CON CLAUDIO DE DAVIDE, CHRISTIAN IANSANTE, SARA RICCI, MAXIMILIANO HERNANDO BRUNO GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal13 Novembre


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Mancanza - Inferno REGIA DI Stefano Odoardi

di Claudio Bartolini

L’Aquila, 2014: l’Inferno. Venti abitanti della città intrappolati, costretti a una convivenza immobile nella prigione dell’atrofia esistenziale. Tra le macerie, le stesse del 2009, si muovono inermi, incapaci di comprendere ciò che ormai da tempo è accaduto, dunque impossibilitati ad agire. «Mi sento innocente. Mi sento nell’Inferno. E mi sento anche incapace di esserci. Che posso fare?»: la mancanza di razionalizzazione impedisce loro l’azione, e Odoardi filma la loro stasi tumultuosa con sguardo partecipe. Ma nell’Inferno c’è un Angelo, portatore di quella consapevolezza negata agli aquilani e veicolata tramite monologhi tratti dalle Elegie duinesi di Rainer Maria Rilke. «Gli assassini sono facili a capirsi. Ma questo: la morte, la piena morte, prima della vita contenerla così soavemente senza fare i cattivi, è indescrivibile». Talvolta brutale, molto più spesso consolatorio, l’Angelo nichilista interpretato da Angelique Cavallari è l’espediente finzionale inoculato nel documentario, la varia-


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bile che fonde le ispirazioni contemplative della rappresentazione della città vuota con attitudini sperimentali di brocaniana ispirazione. Letterario, lirico e teatrale, a tratti forzatamente didascalico (la letterarietà contagia anche gli abitanti, privandoli di ogni spontaneità), questo primo capitolo di una trilogia destinata a Purgatorio e Paradiso impatta la realtà aquilana di oggi nell’unico modo possibile, ben lontano da guzzantiani massimalismi benpensanti, buoni solo a raggranellare facili consensi.

Mancanza - Inferno

REGIA DI StEfAno oDoARDI ItAlIA / olAnDA · 2014 · DRAmmAtICo · DuRAtA:71’ CON ANGÉLIQUE CAVALLARI, PIERCESARE STAGNI, GIAMPIERO DE SANTIS, LUIGI FIAMMATA GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

Non più in programmazione


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MASTER OF THE UNIVERSE REGIA DI MARC BAUDER

di Ilaria Feole

«Quando guadagni 100 mila dollari al mese, non hai più interessi in comune con gli amici. Non hai più nemmeno bisogno del mondo reale». Rainer Voss, ex operatore finanziario dalla carriera fulminante, poi fulminata dalla crisi bancaria del 2008, sintetizza così l’estraneità totale del mondo degli investitori di borsa rispetto alla vita vera. In un palazzo di vetro e acciaio a Francoforte, un tempo sede del suo ufficio, emette sentenze glaciali verso la macchina da presa di Bauder, in una lunga intervista che, concentrando lo sguardo su un solo individuo, riesce a spalancare l’orizzonte sul macroorganismo del Mercato. Un animale incapace di apprendere dai suoi errori: «Solo i sempliciotti possono pensare che le banche sappiano imparare», chiosa gelidamente Voss. Ingabbiato nelle architetture asettiche dell’edificio, chiuso da pareti paradossalmente trasparenti, Voss più di una volta richiama alla mente (con le ovvie e doverose differenze etiche) il processo


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Eichmann: nella sua descrizione impassibile dei danni provocati da un lavoro che non contempla responsabilità individuale, la vita del trader diviene qualcosa tra il monastero («non pensi di cercare un lavoro che si adatti alla tua famiglia, piuttosto cerchi una relazione che si adatti al lavoro») e l’esercito. Un sistema le cui logiche nulla hanno a che vedere con l’uomo, con i suoi bisogni e volontà, ma solo con quelli del capitale: il film di Bauder è il complemento ideale di The Wolf of Wall Street.

MASTER OF THE UNIVERSE

REGIA DI MARC BAUDER AUSTRIA / GERMANIA · 2013 · DOCUMENTARIO · DURATA: 90’ CON RAINER VOSS GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 27 novembre


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MELBOURNE REGIA DI NIMA JAVIDI

di Giulio Sangiorgio

Melbourne è la meta di Amir e Sara, sposi iraniani pronti a emigrare causa studio. Il loro appartamento, tra le valigie che stanno per chiudere e i mobili che stanno per abbandonare, è un palcoscenico che si priva di orpelli, un laboratorio entomologico spoglio, in cui non rimangono che le traiettorie psicologiche tracciate dai comportamenti. E mentre una ronde di persone entra ed esce dalle quinte di questo teatro, con la convinzione di incontrare la gioia di un nuovo entusiastico inizio, i due sono costretti ad affrontare un dramma improvviso, un colpo di scena che ribalta le premesse da commedia. Un trauma che non riveliamo, ma che mette radicalmente alla prova i due personaggi, un peso che li àncora a quei luoghi, una pratica etica impossibile da archiviare: e allora Melbourne finisce per mettere in scena il dibattersi della morale, in un processo che misura i concetti di colpa e responsabilità intorno a un lutto che sa di simbolico, di macchia che insi-


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ste su una generazione, di marchio indelebile di un paese sul futuro. Un dramma da camera, un giallo d’indagine morale, un racconto kafkiano in odor di Polanski, abitato da personaggi che sono i sentimenti di un paese. Film d’attori e di scrittura: Javidi guarda soprattutto ad Asghar Farhadi (Una separazione), a quel meccanismo geometrico e (qui eccessivamente, marcatamente) autocosciente, da sadico demiurgo che mette alla prova (politica ed esistenziale) l’umano.

MELBOURNE

REGIA DI NIMA JAVIDI IRAN · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 93’ CON ROSHANAK GERAMI, MANI HAGHIGHI, NEGAR JAVAHERIAN, VIDA JAVAN GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 27 novembre


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Michael Jackson: Life, Death and Legacy REGIA DI Maureen Goldthorpe

di Giona A. Nazzaro

Al banchetto dei resti mortali di Michael Jackson s’accalcano tutti. Ultimo in ordine di tempo, questo pessimo sedicente documentario che rievoca in maniera pedante e senza aggiungere niente di nuovo la parabola del musicista. Come in un qualsiasi true crime, si parte dalla fine, con le lacrime della figlia Paris e la condanna del suo medico curante Conrad Murray, reo di avergli somministrato una dose letale di Propofol. Osservando l’inerte struttura da reportage televisivo, con teste parlanti che rivelano i loro trascorsi con Jackson e relative opinioni sulla sua vicenda alternati da materiali d’archivio scelti evidentemente senza averci pensato troppo, il film (?) finisce per assomigliare all’ennesima operazione di sciacallaggio mediatico. Dopo avere munto anche l’ultima goccia del genio del musicista con il pessimo Xscape, si continua senza remora a saccheggiarne la memoria a scopo di lucro. Se il film in questione avesse rivelato nuovi dettagli (fondati) o fatto luce


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in forme inedite sul processo creativo di Jackson, nulla da eccepire. Così com’è, l’operazione assomiglia a un pessimo bootleg piratato alla peggio, sperando di rapinare gli ultimi spicci dalle tasche dei fan più sprovveduti. Per dire l’ultima parola basta e avanza This Is It, autentico testamento artistico di un vero e proprio genio del ventesimo secolo. Nessuno ha bisogno di questo Michael Jackson Life, Death and Legacy.

Michael Jackson: life, Death anD legacy

REGIA DI MAuREEn GolDthoRpE uSA · 2012 · DoCuMEntARIo · DuRAtA: 75’ CON RONIT ELKABETZ, SIMON ABKARIAN, MENASHE NOY, SASSON GABAI, ELI GORNSTEIN GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 25 Novembre


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Il mio amico Nanuk

REGIA DI Roger Spottiswoode, Brando Quilici

di Alice Cucchetti

Compresso tra una sterminata produzione per bimbi e le saghe fanta-soprannaturali per giovani adulti, il cinema per ragazzi oscilla tra il sottovalutato, l’inesistente e il pomeriggio estivo di Italia 1. Il mio amico Nanuk, sulla carta (del romanzo di Brando Quilici, che contribuisce anche con le riprese della natura polare), ha le potenzialità per intrattenere felicemente ragazzini troppo cresciuti per certi cartoon ma non ancora interessati a distopie & vampiri: è la storia di un dodicenne che vive ai margini del circolo polare artico, che un giorno trova un cucciolo d’orso bianco in garage e che decide, da solo, di portarlo a nord per farlo ricongiungere alla madre, traslocata a mezzo elicottero dalle autorità preoccupate di allontanarla dai centri abitati. Lungo la strada, tempeste, il pericolo in agguato del congelamento, i ghiacci che si sfaldano, ma anche gli incontri con una comunità eschimese e con i lavoratori di una petroliera, oltre a un rapporto tenerissimo che si costruisce


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con il piccolo animale. Il plot procede spedito, e giustamente innaffiato di buoni sentimenti e di parentesi pedagogiche, senza risparmiare lampi di tensione prima dell’inevitabile happy ending. Spiace, dunque, che la confezione abbia un gusto un po’ raffazzonato: tagli d’inquadratura non sempre efficaci, qualche ripresa confusa, la difformità tra sequenze finzionali e immagini documentaristiche e un cast non particolarmente convincente (a esclusione dell’irresistibile orsacchiotto) spezzano l’immersione totale nell’avventura.

Il mIo amIco NaNuk

REGIA DI RoGER SpottISwooDE, BRAnDo QuIlIcI uSA · 2014 · AVVEntuRA · DuRAtA: 96’ CON DAKOTA GOYO, GORAN VISNJIC, BRIDGET MOYNAHAN, KENDRA TIMMINS, DUANE MURRAY GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


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Mio papà

REGIA DI Giulio Base

di Pedro Armocida

Tutto nasce da un’urgenza di raccontare qualcosa che si è vissuto e provato sulla propria pelle. Così Giorgio Pasotti pensa a una storia, che condivide con Giulio Base e insieme scrivono Mio papà. Due uomini al comando in un film molto maschile e un po’ a tesi, che affronta di petto un argomento di cui in effetti si parla poco. Una riflessione sui diritti legali, oltre che sentimentali, nelle famiglie allargate in cui si vive l’esperienza di amare figli non propri. Come capita a Lorenzo (Giorgio Pasotti), che s’innamora di Claudia (Donatella Finocchiaro), che però ha un figlio, Matteo (Niccolò Calvagna). All’inizio il protagonista ne è infastidito, perché minaccia la sua libertà, più avanti però nascerà una bellissima intesa, fino a un colpo di scena un po’ sopra le righe. Mio papà è il classico esempio di film in cui è il tema, da sviluppare, a prendere il sopravvento sulla narrazione che, racchiusa nel tempo limitato di un’ora e mezza, si muove scomposta tra accelerazioni forzate abbastanza inve-


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rosimili e momenti estatici a favore di film commission (l’opera è stata girata nelle Marche, in gran parte a San Benedetto del Tronto). Giulio Base, per fortuna, non cerca nemmeno di scrollarsi di dosso il bollino di regista di fiction e questa coerenza gli fa onore. Perché, in fin dei conti, il cosa e il come voleva raccontare è chiaro e cristallino. Quanto tutto il suo cinema.

Mio papà

REGIA DI Giulio Base Italia · 2014 · Drammatico · DURATA 92’ CON Giorgio Pasotti, Donatella Finocchiaro, Niccolò Calvagna, Fabio Troiano GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 27 novembre


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Modà: Come in un film REGIA DI GAETANO MORBIOLI

di Alice Cucchetti

«Come in un film» recita il sottotitolo, esplicitando l’equivalenza tra la parabola di Kekko Silvestre e tante pellicole costruite sull’accidentato percorso che precede il successo. Forse ai Modà sfugge che il cinema è cosa diversa da questo sfiancante spot pubblicitario, infiocchettato con brevissime scene di backstage e spedito in sala, sottoforma di “evento imperdibile”, per promuovere l’uscita del nuovo disco, puntualmente ricordata da un cartello a fine proiezione. Dopo un prologo smarmellatissimo in cui Kekko incontra una bionda visione in un casolare di campagna, le esibizioni prelevate dal concerto di San Siro che ha concluso il tour 2014 sono tenute insieme da riprese notturne dei Modà che camminano in silenzio per strade di periferia, con la voce off del cantante a raccontare l’avventura della band dispensando discutibili metafore («non sempre la strada più corta è anche la più veloce»), slogan motivazionali («”crederci” è la parola fondamentale nel vocabolario di un


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guerriero») e ingenue banalità sulla vita (a «la cosa più importante è la salute» ci accertiamo di essere ancora in un multiplex e non a pranzo dalla nonna). Certo, i fan che affollano la sala sono estasiati ed è solo a loro che si rivolge un prodotto come questo. E il nostro interesse critico per la mutazione in corso dell’esperienza spettatoriale cinematografica si spegne davanti alla constatazione che Modà – Come in un film è solo un tassello (neanche troppo curato) di una campagna commerciale multicanale.

Modà: CoMe in un filM

REGIA DI GAETANO MORBIOLI ITALIA · 2014 · MUsICALE · DURATA:100’ CON FRANCESCO SILVESTRE, MODÀ GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 11 novembre


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MUSEI VATICANI REGIA DI MARCO PIANIGIANI

di Elisa Bonazza

È con il ritrovamento del gruppo scultoreo del Laocoonte nel 1506 che si dà ufficialmente inizio alla raccolta di opere d’arte dei Musei Vaticani. Sky 3D e Sky Arte HD (con la collaborazione della direzione del complesso museale) ci portano in un viaggio nel cuore delle raccolte e della Cappella Sistina, alla scoperta delle opere che compongono un percorso che va dalla statuaria antica (presente per la convinzione dei papi di considerarsi eredi dell’impero romano) fino alle opere moderne che coniugano arte e fede. Ciò che rende il film diverso da altri già realizzati è l’utilizzo di telecamere Ultra HD 4K/3D e delle più recenti tecniche di dimensionalizzazione, che catapultano lo spettatore direttamente nei quadri, dove la sensazione di essere circondati dai personaggi delle tele e degli affreschi, come con La scuola di Atene di Raffaello, è strabiliante. Narra la leggenda che Michelangelo esclamò davanti al suo Mosè «Perché mi guardi e non favelli?»: con


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le abili riprese in 3D e il sapiente uso di luci e ombre pare che le sculture abbiano acquisito la capacità di parlare. In una continua sindrome di Stendhal che lascia a bocca aperta, il doc offre una maniera inedita per avvicinare il pubblico all’arte, avvolgendolo in un abbraccio fatto di bellezza e perfezione. Una delizia per gli occhi, quasi commovente, che instilla nello spettatore la voglia di uscire dal cinema e andare a percorrere quei sette km di itinerario espositivo che compongono il sesto museo più visitato al mondo.

MUSEI VATICANI

REGIA DI MARCO PIANIGIANI ITALIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 66’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 4 novembre


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MY OLD LADY REGIA DI Israel Horovitz

di Pedro Armocida

Le colpe dei padri ricadono sui figli. Anche per questo i figli vogliono uccidere i padri. My Old Lady, opera prima tratta dall’omonima pièce teatrale del vulcanico e prolifico drammaturgo statunitense settantacinquenne Israel Horovitz (anche sceneggiatore di Fragole e sangue e padre di Ad-Rock dei Beastie Boys), ruota tutto attorno a questi concetti. In fondo, coloro che in Francia nel settore immobiliare sottoscrivono il “viager”, una forma di vitalizio ipotecario, scommettono sulla morte degli anziani proprietari di appartamenti (da noi c’è la “nuda proprietà”). Proprio come accade al personaggio interpretato da Kevin Kline che, per di più, quando sbarca a Parigi dalla sua New York per vendere l’immensa casa ereditata dal padre, trova nell’immobile una vecchia signora inglese (Maggie Smith) che è stata molto, ma molto, amica del papà e che ora vive con la figlia Chloé (Kristin Scott Thomas). Il passato dei tre personaggi ritorna prepotente a scombinare un


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presente incerto e un futuro tutto da costruire. Il regista però non si sofferma più di tanto sul Kammerspiel e sceglie spesso di far prendere aria al film, uscendo dalle stanze teatrali per andare in giro per Parigi. Una soluzione che finisce per indebolire un dramma che se fosse stato più chiuso, concentrato e serrato avrebbe dato, paradossalmente, più profondità alla storia.

My Old Lady

REGIA DI Israel Horovitz USA, Francia · 2014 · Commedia · DURATA: 104’ CON Kevin Kline, Maggie Smith, Kristin Scott Thomas, Dominique Pinon, Noémie Lvovsky GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 20 novembre


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NON ESCLUDO IL RITORNO REGIA DI STEFANO CALVAGNA

di Simone Emiliani

Si vede nel film il dvd di un concerto registrato in occasione del 70° compleanno di Franco Califano. La regia era proprio di Calvagna, tra gli amici del cantautore insieme al protagonista Gianfranco Butinar, noto per le imitazioni, oltre che del Califfo, anche di Francesco Totti, Luciano Moggi e Renato Zero. E per dare un maggiore realismo, sono stati utilizzati i vestiti e gli oggetti personali del cantautore. In Non escludo il ritorno viene portata sullo schermo la “terza vita” di Califano. Non il suo successo, non i suoi problemi giudiziari e quelli con la droga, ma gli anni in cui ha cercato di tornare alla ribalta. Quasi una ricerca del tempo perduto, in cui una vicenda reale (come già era accaduto con quelle ispirate a Luciano Liboni in Il lupo e al professore di Camerino accusato di molestie da un’allieva in L’uomo spezzato) è per Calvagna il pretesto per raccontare un altro viaggio nell’inferno interiore. Il film è sicuramente un sentito omaggio a Califano da parte di chi gli è


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stato vicino. Ma il cinema non rende giustizia alle intenzioni. Qui il Califfo non buca lo schermo. Si sentono troppo i segni dell’imitazione oltre all’interpretazione, si avverte una ripetitività nel modo in cui sono inquadrati i concerti (con il reiterato dettaglio della nuca ripresa da dietro) e spesso non sono tagliati pezzi di dialoghi, fatto evidente anche nell’apparizione di Michael Madsen, che rendono verboso e lungo anche un film di solo 90 minuti. Non era forse meglio un documentario?

NON ESCLUDO IL RITORNO

REGIA DI STEFANO CALVAGNA ITALIA · 2014 · BIOGRAFICO · DURATA: 90’ CON GIANFRANCO BUTINAR, ENZO SALVI, MICHAEL MADSEN, NADIA RINALDI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 6 novembre


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OGNI MALEDETTO NATALE

REGIA DI GIACOMO CIARRAPICO, MATTIA TORRE, LUCA VENDRUSCOLO

di Mauro Gervasini

Colpo di fulmine alla vigilia di Natale («la festa delle tenebre») tra un giovane ricco che si occupa di microcredito e una giovane architetto originaria della Tuscia. Cenone a casa di lei, pranzo il giorno dopo da lui. Ma non è facile come dirlo. L’idea che “fa” il film è quella del doppio ruolo speculare del cast. Pannofino, Mastandrea, Morante, Guzzanti & co. sono sia la famiglia trucida e burina della ragazza (Mastronardi) che quella cinica e straricca del ragazzo (Cattelan). A funzionare è però soprattutto la prima parte, dove la ricorrenza si trasforma in una specie di grottesco sabba popolano che va dalla riffa nel bar del paese alla caccia notturna al cinghiale. La seconda è invece meno fluida, si incarta sul pretesto (il suicidio del filippino con conseguente arrivo della polizia) e non valorizza le maschere perfino mostruose dei vari personaggi. Il trio di autori di Boris Ciarrapico, Torre e Vendruscolo pensa al comico puro, territorio diverso dalla commedia, con


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un prologo all’età della pietra che da Fantozzi a Boldi ha una lunga tradizione. Gli attori evidentemente si divertono, ma non tutti evitano il rischio macchietta (Guzzanti-filippino sembra Marco Marzocca); solo Giallini, in entrambe le parti, è sempre cento metri avanti. Nonostante quindi qualche fragilità di struttura e caratterizzazione, in più momenti Ogni maledetto Natale è divertente e coraggioso nel tentare una via diversa, più pensata, al cinepanettone.

OGNI MALEDETTO NATALE

REGIA DI GIACOMO CIARRAPICO, MATTIA TORRE, LUCA VENDRUSCOLO ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 95’ CON ALESSANDRO CATTELAN, ALESSANDRA MASTRONARDI, VALERIO MASTANDREA, FRANCESCO PANNOFINO GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 27 novembre


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ON ANY SUNDAY: LA STORIA CONTINUA REGIA DI DANA BROWN

di Elisa Bonazza

Nel 1971 On Any Sunday di Bruce Brown (candidato agli Oscar come migliore documentario) si domandava (e rispondeva chiaramente) perché quella passione folle chiamata motociclismo avesse contagiato milioni di persone. Oggi, a 43 anni di distanza, il figlio Dana si pone la stessa domanda nella pellicola On Any Sunday - La storia continua, che narra un mondo che ha fatto passi da gigante per certi aspetti, ma che è rimasto uguale per il fuoco che accende i suoi adepti. Cantava un Jovanotti imberbe «La puzza di benzina mi fa girar la testa, quando sto su di lei è proprio la mia festa» e questo documentario spiega nitidamente il perché, come lui, molte persone sono mosse a percorrere lunghi viaggi, a sopportare fatiche e ferite, grazie alle testimonianze dei protagonisti (professionisti o meno) delle diverse discipline. La necessità di provare il brivido di schiacciare l’acceleratore e di mettere alla prova i propri limiti sono solo alcuni degli elementi


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di un universo composto da divertimento, cameratismo e convivialità, ma anche da cadute e gravi conseguenze fisiche. On Any Sunday - La storia continua è un viaggio a diverse latitudini, dove cambiano le temperature, ma non la passione, dove lo spettatore viene catapultato in prima persona su una moto grazie a piccole telecamere poste su di essa o a vivere un senso di vertigine grazie a riprese a volo di uccello su paesaggi mozzafiato, attivando (parte) di quell’adrenalina che lo stesso sportivo prova.

ON ANY SUNDAY: LA STORIA CONTINUA

REGIA DI DANA BROWN USA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 90’ CON TRAVIS PASTRANA, ASHLEY FIOLEK, ROLAND SANDS, KENNY ROBERTS GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 5 novembre


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Ottopunti

REGIA DI Danilo Monte

di Alice Cucchetti

C’è una trama che si ripete con variazioni minime nei racconti di chi è stato a Genova, durante il G8 del 2001: la festa, i canti, le mani bianche al cielo, poi le cariche, i manganelli, le botte, per qualcuno il carcere, per qualcuno la Diaz, per la maggioranza un ritorno a casa con il morale e l’anima in frantumi. Danilo Monte e Timothy Ormezzano non fanno eccezione: al primo è andata bene (neanche un livido, almeno esteriore), il secondo ha passato quattro giorni in carcere con il corpo coperto di contusioni e ferite. Dal 22 luglio 2001 il materiale audiovisivo raccolto e prodotto su Genova si è sommato in una mole considerevole, ma Monte e Ormezzano non scelgono la strada documentale della ricostruzione impersonale, piuttosto utilizzano il mezzo cinematografico come strumento per circoscrivere, indagare e forse superare il trauma. In Ottopunti si vede solo la Genova di oggi: strade tranquille in un’estate qualunque, vicoli affollati di turisti chiassosi, il porto,


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la Lanterna, le colline. La Genova del summit e del social forum è affidata alle voci, a frammenti di cronache radio, alle testimonianze di Timothy e di suo padre. Per loro e per molti è la toponomastica stessa del capoluogo ligure a infliggere, ogni volta, ferite, e Genova non tornerà mai a essere altro che una Babele capovolta di speranze e diritti calpestati. Perché la cicatrice non si sana? Non è chiaro se esista una risposta, ma continuare a cercarla è, per loro e per molti, l’unica possibilità che resta.

Ottopunti

REGIA DI Danilo Monte ITALIA · 2013 · Documentario · DURATA: 55’ GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 15 novembre


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LA PAZZA DELLA PORTA ACCANTO REGIA DI ANTONIETTA DE LILLO

di Ilaria Feole

Nel 1995 Antonietta De Lillo visita Alda Merini, le mette una macchina da presa di fronte e crea un ritratto filmato, Ogni sedia ha il suo rumore, in complicità con Licia Maglietta che dà voce al suo Delirio amoroso. Quasi due decenni dopo, e a distanza di quattro anni dalla morte della poetessa, la regista “riscopre” il suo film, i materiali scartati da una conversazione che ha ancora molto da dire, li sottrae al tempo e li ricuce per dare vita a un nuovo documentario. Presentato al Torino Film Festival 2013, La pazza della porta accanto arriva in sala per omaggiare l’artista milanese a un lustro dalla sua scomparsa, e lo fa lasciando spazio esclusivamente alle sue parole, alla sua personale verità, prima ancora che alla sua poesia. Una donna e le sue tante vite, gli amori e i peccati (che sono sempre nuovi, mentre «il vizio è sempre uguale»), le violenze e la ricercata vicinanza con la morte («se non avessi scritto, sarei stata psicanalista o forse imbalsamatore»).


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Con la calma e il carisma di chi conosce il peso specifico delle parole, Alda Merini racconta con fare ordinario un’anima straordinaria, la sua, e le angolazioni bizzarre e crudeli con cui il mondo l’ha toccata, ammaccata, illuminata. L’omaggio alla voce a alla vita di un’artista è sentito, il paradosso è nella mancanza del controcampo (pochi, fugaci paesaggi meneghini) e del controcanto di una regista che lascia allo spettatore il dovere e il piacere di avvicinare, e masticare, le parole della poetessa.

LA PAZZA DELLA PORTA ACCANTO

REGIA DI ANTONIETTA DE LILLO ITALIA · 2013 · DOCUMENTARIO · DURATA: 50’ CON ALDA MERINI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 17 novembre


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I PINGUINI DI MADAGASCAR REGIA DI ERIC DARNELL, SIMON J. SMITH

di Adriano Aiello

Dopo essere stati il fulcro comico dei primi tre Madagascar ed essere entrati nei palinsesti con una serie tv, i pinguini prendono la strada solitaria per uno spinoff doveroso e inevitabile, in linea con i film che li ospitavano sotto il profilo tematico, estetico e produttivo. Frettoloso ma riuscito l’intro che, in barba al conformismo, contestualizza la nascita dell’orgoglio pinguino e la formazione della “squadra”, con Skipper, Rico, Kowalski e Soldato che sembrano la versione sotto acido dei quattro di Big Bang Theory (in ordine sparso, lo svitato, il secchione, l’eccentrico e il coccolone). Poi è tempo di azione: il polpo mutaforma Dave li odia per avergli sottratto popolarità e progetta vendette violente e tecnologiche, vagamente simili ai piani anti Minion di Cattivissimo me 2. Insomma, al rogo l’avvenenza piaciona dei pinguini e lunga vita all’istrionismo dei polpi, costretti a vedersela anche con l’ipertecnologica task force Vento del Nord. Il film fila liscio, funziona più o meno


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tutto, anche se progressivamente si viene fagocitati dal marchio della saga: un eccesso di vorticoso dinamismo ipercinetico finisce per anestetizzare e far sembrare riempitivi i temi morali del film (quelli di qualsiasi action hollywoodiano, adattati ai più piccoli, quindi il coraggio, l’altruismo, la rivalsa). Di converso le trovate visive sono ottime e la qualità e la quantità delle gag è ragguardevole, con almeno un paio di sequenze molto riuscite.

I PINGUINI DI MADAGASCAR

REGIA DI ERIC DARNELL, SIMON J. SMITH USA · 2014 · ANIMAZIONE · DURATA: 92’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 27 novembre


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Qui

REGIA DI Daniele Gaglianone

di Alice Cucchetti

“Qui” è la Val di Susa: angolo di mondo sprofondato tra le montagne, il punto più occidentale d’Italia è nelle voci delle cronache da anni, per l’opposizione generalizzata dei suoi abitanti alla costruzione del TAV, il treno ad alta velocità che colleghi Torino a Lione. “Qui” è vocabolo che marca un territorio, rivendicando il diritto alla difesa e, conseguentemente, alla lotta; ma è anche un termine elastico, che può allargarsi nello spazio e nel tempo, e includere. Il documentario di Gaglianone si aggancia con forza alle parole, rispettosamente le insegue, pedinando dieci figure semplici e diversissime, che mai avremmo immaginato dalla stessa parte della barricata, tra lacrimogeni, pestaggi e azioni dimostrative: una fervente cattolica, un attivista anarchico, un carabiniere in congedo, un sindaco, un’infermiera, un pensionato, una famiglia borghese, un’anziana proprietaria di un agriturismo. L’obiettivo principale è restituire dignità all’ascolto dell’altro, nell’esplorazione di un conflitto che


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ha smarrito da tempo - per lo meno nell’opinione pubblica e nei media ufficiali - i torti e le ragioni. Quello che trova, Gaglianone, è un “qui” molto più ampio della Val di Susa: una crisi, una frattura - forse drammaticamente insanabile - fra cittadini e istituzioni, una fiducia spezzata, qualcosa che non torna e che non quadra in un sistema che rimuove e reprime chi non si adegua agli ordini incomprensibili di una lontana (e presunta) maggioranza.

Qui

REGIA DI Daniele Gaglianone Italia · 2014 · Documentario · DURATA: 120’ COMMENTA su FilmTv.it

PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 27 novembre


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LA SAPIENZA REGIA DI EUGÈNE GREEN

di Mauro Gervasini

L’architetto francese Alexandre, dopo una delusione professionale, intraprende un “viaggio in Italia” con la moglie Aliénor. Facendo tappa a Stresa conoscono per caso due fratelli, Goffredo e Lavinia, lui aspirante architetto, lei affetta da una misteriosa narcolessia. La coppia si divide: Alexandre prosegue il viaggio con Goffredo alla scoperta delle opere del Borromini a Torino e Roma, Aliénor resta sul Lago Maggiore. Ma non si può raccontare La Sapienza di Eugène Green, esempio limpido del miglior cinema sperimentale. Non spaventi questo termine: siamo di fronte a un modo originale di affrontare visione e narrazione. Gli attori sono chiamati a una recitazione antinaturalistica, guardano in macchina, rimandano a uno sguardo che coglie il farsi e disfarsi delle loro relazioni in funzione dell’ambiente. Borromini è un riferimento non casuale: si cerca un punto di contatto (anche ardimentoso, se volete) tra cinema e architettura, accomunati dalla luce, ma è al


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barocco che pensa Green, il momento della storia dell’arte nel quale più indissolubile è risultato il legame tra ragione e fede, spirito e scienza. La Sapienza (il titolo è anche un richiamo alla chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza di Roma, disegnata da Borromini) è il tipico film al quale “non siamo abituati”, perché tenta strade sue, non comparabili con altro, e forse soprattutto per questo risulta estremamente affascinante.

LA SAPIENZA

REGIA DI EUGÈNE GREEN ITALIA / FRANCIA · 2014 · SPERIMENTALE · DURATA: 87’ CON FABRIZIO RONGIONE, CHRISTELLE PROT, ARIANNA NASTRO, LUDOVICO SUCCIO GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 24 novembre


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Sarà un Paese REGIA DI Nicola Campiotti

di Claudio Bartolini

In un paese sempre più (socialmente) analfabetizzato, il trentenne spiantato Nicola - che sogna di fare il babysitter a vita - e il piccolo, sgrammaticato Elia («Non sarebbe bello se tutto il fumo sarebbe solo in questa bottiglia?») si mettono sulle tracce di Cadmo, il fenicio che fondò Tebe e, secondo il mito, importò in Grecia l’alfabeto. Ma Cadmo è solo il pretesto per un tour dell’approssimazione ideologica, condotto lungo tutto lo Stivale elencando le piaghe che albergano sulla superficie del Belpaese, senza mai scendere in profondità né motivare gli assunti dei vari capitoli. Tenendo il piede in due generi - documentario e commedia sociale - Campiotti spazia dalle morti bianche nelle fabbriche all’integrazione, dalla disoccupazione all’ecologismo e alla camorra affastellando luoghi comuni da bigino socioculturale e nascondendosi dietro lo sguardo (fintamente) ingenuo di un bimbo, che in quanto tale può permettersi di osservare il reale senza porsi domande. Se


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nell’uso della mdp il giovane regista dimostra notevole talento, in ogni altra scelta di registro cade nella retorica studiata a tavolino, tra pedanti voci narranti, inserti teatrali e una colonna sonora sbarazzina che vorrebbe ulteriormente facilitare l’occultamento della mano che ha lanciato il sasso. Ambizioso e meno innocuo di quanto voglia a tutti i costi sembrare, Sarà un paese è un comizio politico un tanto al chilo, sebbene mascherato alternativamente da spot della Mulino Bianco e da pubblicità progresso.

Sarà un PaeSe

REGIA DI NIcolA cAmpIottI ItAlIA · 2014 · DocumENtARIo · DuRAtA: 72’ CON NICOLA CAMPIOTTI, ELIA SAMAN, RAFFAELE GUARNA ASSANTI, MATILDE GARDINI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 20 novembre


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LO Sciacallo REGIA DI Dan Gilroy

di Claudio Bartolini

A bordo della sua auto, Lou Bloom vaga per le strade deserte di una Los Angeles in cui non è mai giorno. Le sue interazioni verbali non superano i 140 caratteri di un tweet e hanno la consistenza di uno status di facebook («il motivo per cui persegui un obiettivo è importante quanto l’obiettivo», «un amico è un dono che fai a te stesso»). Il suo impianto emotivo è isolato e spento, incapace di autoalimentarsi e bisognoso di tecnologie vicarie in grado di catturare corpi senza vita. Con in mano una videocamera e uno scanner radio, l’automa Lou Bloom sviluppa una morbosa, malata, primigenia eppur modernissima attrazione per incidenti d’auto, omicidi e scene del crimine da vendere a network televisivi interessati a materiale buono per aprire le edizioni mattutine dei tg. Gelido hacker di vite e tragedie, ma anche vampiro di realtà i cui denti aguzzi sporgono da una macchina da presa, è inerte come i cadaveri che filma, come le arterie delle spoglie scenografie urbane in cui


C si muove, come le lamiere devastate dagli incidenti. Gilroy, attraverso l’assenza di materia viva, mette in scena un trionfo della contemporaneità mediale che nemmeno McLuhan avrebbe potuto immaginare: il medium non è più soltanto il messaggio, ma anche messaggero, destinatario e contenuto. Dialogando con estetica e contenuti debitori di Michael Mann (le luci della “notte fatta di notti” di Collateral) e David Cronenberg (l’eredità di Crash è autoevidente), impagina un’opera che sa quando accelerare e quando riflettere sul dispositivo, con (mega)schermi (di studi) televisivi, videocamere, navigatori satellitari, computer e scanner radio che, inquadrati in primo piano, indicano al protagonista le sue prossime mosse, per poi raccoglierne i risultati e rimetterli a disposizione. Bloom è mero strumento per assecondare le richieste del medium e del network che ne paga i servizi, piegando il reale alle esigenze estetico/economiche di un universo non più separabile dalle immagini che produce e consuma voracemente. Bloom modifica le scene del crimine creando nuovi set e trasformandole nelle sue scene: diventa regista su commissione e poi produttore, grazie a un gusto per la negoziazione perfettamente in linea con questo neocapitalismo mediale. «Pensa al nostro tg come a una donna che urla per strada con la gola squarciata»: un altro “pensiero-tweet”, pronunciato dalla direttrice del tg Nina, palesa la filosofia dell’emittente, sovrapponendo definitivamente il pixel al sangue, l’erezione all’accensione di uno schermo, la teoria dell’agenda setting a quella delle interazioni con soggetti attivi altri da sé. Sotto il derma di una storia individuale problematica e di un noir al tempo dei videoclip, Lo sciacallo è un trattato vastissimo e abissale su un mondo che ha ormai smarrito l’essere umano.

Lo sciacaLLo

REGIA DI DAn GIlRoy usA · 2014 · thRIllER · DuRAtA:117’ CON JAKE GYLLENHAAL, RENE RUSSO, BILL PAXTON, RIZ AHMED, ANNE MCDANIELS GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


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LA SCUOLA PIÙ BELLA DEL MONDO REGIA DI LUCA MINIERO

di Adriano Aiello

Pronti via ed è subito sgomento. E corto circuito: si inizia con un’animazione (che ogni tanto rifarà capolinea maldestramente) e la musica dei 99 Posse. Anche quella rifarà capolinea, perché i napoletani, anzi «gli africani hanno il ritmo nel sangue». Trattasi di Curre curre guaglió, una volta pezzo eversivo (?) usato in Sud di Salvatores per sottolineare i momenti della protesta più crudi. In La scuola più bella del mondo, invece, imperversa, più invasiva del product placement alcolico e apre le danze a un campionario di scrittura da sociologia della fila alla posta. Un po’ di cinismo dei tempi, piccole dosi di scherno alle incurie istituzionali - la scuola con gli uffici docenti nei cessi - la crisi della sinistra, con l’assessore dedito ai selfie che non conosce Che Guevara, il poliziotto buono e tontolone, De Sica, l’indolenza meridionale, il caffè, gli ziti alla genovese e la pastiera. Poi arrivano i sentimenti e si finisce per pensare che era perfino meglio prima. I modelli a confronto sono la


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diligente scuola toscana e quella senza speranza di Acerra, gli studenti assennati e quelli che rubano e non sanno i congiuntivi. Due realtà legate da un equivoco che dovrebbe alimentare il verbo comico (ma l’unico momento divertente è Papaleo che dorme con De Sica che russa forte, allora dorme con il suo cane, Attila, che respira forte). Si procede stancamente fino al conclusivo mortale dolly della speranza. Perché alla fine siamo brava gente. No, non lo siamo, ma un cinema così non ce lo meritiamo lo stesso.

LA SCUOLA PIÙ BELLA DEL MONDO

REGIA DI LUCA MINIERO ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 98’ CON CHRISTIAN DE SICA, ROCCO PAPALEO, ANGELA FINOCCHIARO, MIRIAM LEONE GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


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SCUSATE SE ESISTO! REGIA DI RICCARDO MILANI

di Simone Emiliani

Tante schegge di luoghi. Tra Roma, Anversa (non quella in Belgio, ma in Abruzzo) e Londra. E una voce fuoricampo che racconta una storia personale come se ci si trovasse in una fiaba. Serena è un architetto di talento, va a lavorare con successo all’estero, ma poi decide di ritornare in Italia perché ama il suo paese. Per ottenere un prestigioso incarico, si spaccia per l’assistente del suo capo. Inoltre incontra Francesco, affascinante titolare di un ristorante. Ma lui è gay. Tante schegge per varcare le frontiere del cinema nazionale. Con un po’ di “commedia british”, con la goffaggine di Serena che richiama quella di Bridget Jones, la scena del balletto con lo spogliarello sulle tracce di Full Monty. Milani, ispirandosi alla vicenda dell’architetto Guendalina Salimei e al suo progetto su Corviale, sembra mettere tutti gli ingredienti al posto giusto, con l’attenta caratterizzazione dei personaggi secondari (soprattutto l’esuberante zia di Serena), l’analisi della condizione del la-


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voro come in Il posto dell’anima (della donna, di chi decide di andare all’estero), la struttura da commedia degli equivoci nel rapporto tra i due protagonisti. Un cinema così pulito, così studiato, che si vuol far piacere. Dove però non si sente l’anima e la fisicità dei personaggi, ai quali si finisce per non credere. E la chimica tra Paola Cortellesi (anche cosceneggiatrice) e Raoul Bova funziona meno rispetto a Nessuno mi può giudicare.

SCUSATE SE ESISTO!

REGIA DI RICCARDO MILANI ITALIA · 2014 · COMMEDIA · DURATA: 106’ CON PAOLA CORTELLESI, RAOUL BOCA, CORRADO FORTUNA, LUNETTA SAVINO GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 20 novembre


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SILS MARIA

REGIA DI Olivier Assayas

di Giona A. Nazzaro

Un film complesso e traslucido. Sils Maria s’inoltra nel mistero della presenza dell’attore innervando un discorso sulla creazione del cinema nel mito del film di montagna di Arnold Fanck. Nel corpo di Juliette Binoche, Assayas osserva come in un specchio l’epifania di una mutazione; si pensa ovviamente a Sans titre (Man Yuk: A Portrait of Maggie Cheung). Nell’opporre due corpi femminili (il regista avrebbe voluto Mia Wasikowska al posto di Kristen Stewart) Assayas, pur omaggiando il maestro Bergman, sembra addirittura attingere al magistero di Mankiewicz. La riflessione sulla fragilità dell’immagine si fonda sull’evidenza dell’impossibilità del corpo di restare fedele alla sua riproduzione. Ed è in questo lutto, che fonda il piacere stesso del cinema, la nostalgia del corpo per la sua immagine fissata per sempre nel tempo, che Assayas giunge a lambire Nietzsche e l’eterno ritorno. Le nubi che formano il serpente di Maloggia (immortalate da Fanck nel 1924 e che


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la seconda unità di Assayas ha ricreato con precisione calligrafica) sono il segno di una presenza concreta che si situa alle soglie dell’invisibile. Proprio come le proiezioni del corpo dell’attore di cui scriveva Nietzsche in La nascita della tragedia. Film di segni impalpabili, Sils Maria è il cinema condensato come in un cristallo dalle molteplici facce. A osservarlo, sembra di vedere tutto. Ma è solo un inganno. Il più necessario.

SilS Maria

REGIA DI OlIvIER AssAyAs FRANCIA / GERMANIA / SVIZZERA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA:124’ CON JulIEttE BINOChE, KRIstEN stEwARt, ChlOë GRACE MOREtz, lARs EIDINGER GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 6 Novembre


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LA STORIA DELLA PRINCIPESSA SPLENDENTE REGIA DI ISAO TAKAHATA

di Andrea Fornasiero

Penultimo film dello Studio Ghibli prima dell’annunciata pausa di riflessione e ultimo del cofondatore Isao Takahata, La storia della principessa splendente ha radici antiche, sia perché porta sullo schermo una favola giapponese del X secolo, sia perché Takahata pensa a questo progetto da quando, 55 anni fa, se ne parlava presso gli studi Toei. Attivamente ci ha lavorato “solo” gli ultimi otto anni, causando lunghi ritardi, facendo lievitare i costi. Ne è valsa la pena? Economicamente parlando no, perché il film ha incassato in Giappone circa la metà di quanto è costato ed è per lo meno concausa dello stop produttivo dello Studio Ghibli. Artisticamente, però, La storia della principessa splendente è il vertice di un’elaborazione stilistica maturata in una carriera eccellente, capace di fondere l’animazione dai larghi spazi bianchi già del precedente My Neighbors the Yamadas del 1999 con un disegno riconoscibilmente “Ghibli”. Il film soddisfa inoltre l’antico desiderio


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del regista di realizzare una “Heidi giapponese”: come la bambina elvetica di cui Takahata diresse la celebre serie televisiva, la Principessa Splendente vive sulle montagne e deve superare il rigore dell’educazione per l’ingresso nella buona società. Creatura magica dalla crescita prodigiosa, la Principessa è stregata da una canzone che parla del ciclo della vita e della struggente promessa di un ritorno, di cui la sua voce tradisce l’impossibilità.

LA STORIA DELLA PRINCIPESSA SPLENDENTE REGIA DI ISAO TAKAHATA GIAPPONE · 2014 · ANIMAZIONE · DURATA: 137’

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 3 novembre


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Sul Vulcano

REGIA DI Gianfranco Pannone

di Alice Cucchetti

Il vulcano è una contraddizione. La sua sublime bellezza è inscindibile dal pericolo che ribolle costante, dalla potenza ingovernabile della natura, dall’ineludibile presenza della morte. Pannone, napoletano di nascita, trova nel Vesuvio un’adesione perfetta con l’umanità che brulica ai suoi piedi e su questa corrispondenza costruisce Sul vulcano, scovando storie di chi vive ostinatamente in prossimità dell’eruzione. Yole, una cantante neomelodica determinata a distanziarsi dal contesto criminale in cui è cresciuta; Maria, una donna che insieme al marito conduce un’azienda agricola in una villa pompeiana diroccata; Matteo, un artista che crea quadri con la lava polverizzata che sommerge le spiagge. Raccontano - con le testimonianze più brevi di altri personaggi - un’esistenza precaria e schizofrenica, esattamente come, suggerisce Pannone, lo spirito di Napoli, affrancato dalla cronaca e dallo stereotipo. Una metropoli di abbacinante splendore e incontestabile ricchezza cul-


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turale e storica che convive con la sensazione di catastrofe incombente esacerbata da esplosioni ripetute: la camorra, l’immondizia, il cemento, la disoccupazione, la povertà. E resiste, con il lavorìo congiunto di modernità e folklore, di cocciutaggine e fatalismo. Una lotta poetica, sottolineata dal materiale d’archivio e dalle letture di brani celebri (dall’inevitabile Leopardi a Kant, passando per Plinio il giovane e Giordano Bruno) affidate alle voci di grandi attori (non solo) partenopei.

SUL VULCANO

REGIA DI GIAnfRAnco PAnnonE ITALIA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 100’ CON Maria PerfettO, MatteO fraterNO (ii), YOle lOquerCiO GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


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THESE FINAL HOURS REGIA DI ZAK HILDITCH

di Ilaria Feole

Agli antipodi la Fine (sin da L’ultima spiaggia di Stanley Kramer) arriva dopo, è una questione di fuso orario: così nei dintorni di Perth, Australia, la radio trasmette bollettini sulla sparizione progressiva del resto del mondo, intervallati dalle migliori canzoni della storia di un’umanità al crepuscolo. Le ultime 12 ore prima dell’apocalisse, come nel canadese Last Night, come nell’armageddon formato camera da letto di Ferrara, 4:44 Last Day on Earth. Come impiegarle? James dovrebbe passarle in un party orgiastico e chimicamente alterato dove la sua ragazza lo attende, ma sulla strada, fra depravazione e autodistruzione di ogni tipo, incontra una bambina da salvare e il flebile richiamo di una specie di coscienza. Così, mentre la Fine incombe e il party aspetta, forse per la prima volta nella vita e con scarso tempismo, il giovane scopre il significato di parole come responsabilità, coraggio e amore. Romanzo di formazione compresso e muscolare, solido B


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movie di ispirazione auspocalypse (il filone apocalittico proveniente dall’Oceania, che fa capo alla saga di Mad Max), la prima incursione nel genere di Zak Hilditch non indulge in trappole sentimentali e non pone troppe questioni morali. Sotto il calore ribollente dell’ultimo sole del mondo, scaraventa i corpi (tutti troppo belli e patinati, fotografati nei lucenti toni dell’ocra) in una corsa contro il tempo già vista mille volte, che morde l’asfalto e lo schermo, dosa bene la tensione e abbraccia la sua fine risaputa.

THESE FINAL HOURS

REGIA DI ZAK HILDITCH AUSTRALIA · 2013 · DRAMMATICO · DURATA: 86’ CON NATHAN PHILLIPS, ANGOURIE RICE, SARAH SNOOK, JESSICA DE GOUW GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 20 novembre


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I TONI DELL’AMORE - LOVE IS STRANGE REGIA DI IRA SACHS

di Giulio Sangiorgio

I toni dell’amore di Ira Sachs, regista dell’acclamato Keep the Lights on (che abbiamo recensito negli Scanners di Film Tv n. 5/2014), non è «un film sui matrimoni omosessuali» come una comunicazione concentrata sulla logica del tema vorrebbe far credere. Certo: il settantenne pensionato e wannabe artista Ben (John Lithgow) e il suo compagno George (Alfred Molina) si sposano, nelle prime scene. E certamente George, credente, viene allontanato dalla scuola cristiana in cui insegna proprio perché discriminato per questo motivo, costringendo i due ad abbandonare l’appartamento di Manhattan in cui abitano. Ma è solo l’evento dinamico del film, che - mentre segue i due rifugiarsi sotto tetti differenti, in attesa di un nuovo covo d’amore - cerca di cogliere con calma, con uno sguardo discreto e placidissimo, lontano dall’umore opprimente e apocalittico di tanto cinema d’oggi, lo scorrere degli affetti, il movimento dei sentimenti, l’affiorare di emozioni


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indicibili. La presenza dei due - separati: uno in casa di amici, l’altro di parenti - è l’interruttore che non solo mette alla prova un amore, ma accende la luce su una commedia umana (tipicamente newyorkese, borghese e velleitaria) fatta di scontri ordinari, di conflitti familiari, di incomprensioni non dette. E, sul finale, di fronte a un quadro, con uno sguardo retroattivo che misura l’economia di ogni atto passato, è capace di mostrare con disarmante candore il peso vitale di ogni piccolissimo gesto.

I TONI DELL’AMORE - LOVE IS STRANGE

REGIA DI IRA SACHS USA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 98’ CON JOHN LITHGOW, ALFRED MOLINA, MARISA TOMEI, CHEYENNE JACKSON GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 20 novembre


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TONY CAIROLI THE MOVIE REGIA DI JEAN-PAUL MAAS

di Ilaria Feole

Antonio Cairoli detto Tony è nato a Patti, in provincia di Messina, nel 1985: quattro anni dopo cavalcava la sua prima moto da minicross, a vent’anni vinceva il primo titolo mondiale, classe MX2, al GP d’Olanda (ne seguiranno altri sette, con la Yamaha prima, poi con KTM). Talento naturale e puro, capace di risultati eccellenti perfino su piste tradizionalmente poco favorevoli ai piloti italiani, come quelle sabbiose, è anche incarnazione dello stereotipo sportivo del giovane rimasto coi piedi per terra, che non dimentica le umili origini e firma dozzine di autografi. La parabola del ragazzetto esile che dal profondo sud ha conquistato il pianeta è narrata in prima persona dal campione, dalla sua fidanzata Jill Cox (olandese, come la bandiera di questo documentario: Tony parla inglese con sottotitoli italiani) e da una serie di immagini di repertorio che raccontano la favola con qualche ralenti gratuito e tutta la retorica del caso. Oggetto (auto)celebrativo, confezionato


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a uso e consumo dei fan di Tony e del motocross, il doc assume i poco felici connotati dello spot quando l’idolo delle due ruote snocciola le marche dei suoi accessori favoriti (in sala, d’altronde, il film giunge accompagnato da un pacchetto pubblicitario che comprende più di un prodotto specializzato per gli amanti del motociclismo). Il cinema risulta non pervenuto, mentre i seguaci affollano le sale a prescindere, trovando conferma alla propria devozione in una meccanica ricostruzione cronologica delle gesta dell’eroe.

TONY CAIROLI THE MOVIE

REGIA DI JEAN-PAUL HAAS OLANDA · 2014 · DOCUMENTARIO · DURATA: 70’ CON ANTONIO CAIROLI GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dall’8 novembre


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TORNERANNO I PRATI REGIA DI ERMANNO OLMI

di Giulio Sangiorgio

1917, Altopiano d’Asiago, confine italo-austriaco, fronte nord est della Prima guerra mondiale. Solo una notte in trincea, a 1.100 km sul livello del mare, tra il gelo di una bianchissima neve in cui sprofondano uomini finiti per essere numeri. Militi ignoti. Dimenticati. Ermanno Olmi dedica il film girato per il centenario del conflitto al padre che, quand’era bambino, gli «raccontava della guerra dov’era stato soldato». Ed è nella dimensione del racconto, del ricordo, della memoria, della fiction al lavoro che torneranno i prati s’ambienta, nonostante i luoghi siano quelli del conflitto, nonostante in quei prati sia stata ricostruita perfettamente la trincea. Perché nella fotografia desaturata di un 35mm portato in digitale, nei colori grigi di un tempo che sta per cedere all’oblio, Olmi mette in scena un realistico dramma di spettri. E, in un cinema che è sempre più prossimo a quello di Manoel de Oliveira, nelle forme di un realismo astratto e sospeso, fa della trincea il set di un teatro,


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in cui gli uomini sbiaditi con le fotografie, i soldati che han perduto il loro nome sono chiamati a rinascere, a celebrare una messa che evoca l’assurdo conflitto, riassumendone i caratteri in una recita alienata. Così, in un Kammerspiel funebre e antibellico, i morti ricordano il logoramento e lo spaesamento, il sacrificio a cui sono stati chiamati, soli di fronte a se stessi e incapaci di vedere il nemico, prima di crepare inutilmente, prima che la neve si sciogliesse e tornasse, ineluttabile, il verdeggiare dei prati.

TORNERANNO I PRATI

REGIA DI ERMANNO OLMI ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 80’ CON CLAUDIO SANTAMARIA, ALESSANDRO SPERDUTI, FRANCESCO FORMICHETTI, ANDREA DI MARIA GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 6 novembre


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TRASH

REGIA DI STEPHEN DALDRY

di Mauro Gervasini

Raphael, con gli amici Gardo e Gabriel (detto Rato), trova un portafoglio nella discarica dove i tre raccolgono avanzi e oggetti dismessi da rivendere, a Rio de Janeiro. Sono bambini di strada, seguiti dal prete americano Martin Sheen e dalla volontaria Rooney Mara. Solo che il portafoglio scotta, ci sono dentro cose che un poliziotto corrotto (l’ottimo Selton Mello) vuole a tutti i costi, così come il suo “padrino” politico. Trash, produzione britannica diretta da Stephen Daldry, premio del pubblico al Festival di Roma 2014, è uno di quei film da maneggiare con cura. Confezione accattivante, narrazione coinvolgente (con un montaggio che crea suspense passando dal “prima” al “dopo” così che lo spettatore si costruisca il suo percorso emotivo), attori incisivi (bravi i bambini) e contesto esotico. Esotico per chi? Per noi, of course: noi occidentali. Da qui il dubbio morale: possono le favelas così trattate - scenograficamente brutte, esteticamente “belle” - diventare spetta-


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colo, set? Trash piacerà a chi risponde sì e farà orrore a chi pensa di no. L’operazione ha comunque un che di cinico, perché se si trattasse di pura exploitation (vale a dire trucidume di genere dichiarato fin da subito) avrebbe un senso, ma un film come questo non rinuncia alla sua patina autoriale, alla sua patente “alta”, e allora guai a non rimarcarne lo sguardo neocolonialista e l’ipocrisia di fondo.

TRASH

REGIA DI STEPHEN DALDRY REGNO UNITO · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 113’ CON RICKSON TEVEZ, EDUARDO LUIS, GABRIEL WEINSTEIN, ROONEY MARA GUARDA IL TRAILER su YouTube

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al cinema dal 27 novembre


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TRE CUORI REGIA DI BENOÎT JACQUOT

di Ilaria Feole

Da Parigi alla provincia, le trasferte dell’ispettore fiscale Marc hanno poco di eccitante, eppure il suo cuore è esposto alla bufera quando nel mortorio della notte si imbatte in Sylvie. Non si scambiano nomi né numeri, passeggiano in una comunione di sentimenti sconcertante e si danno appuntamento, come in un film, alle 6 di un pomeriggio al Giardino delle Tuileries. Il fato dà una zampata, l’incontro fallisce, Sylvie si mette il cuore in pace. Marc conosce un’altra donna, Sophie, meno burrascosa e più dolce, se ne innamora, la sposa, costruisce con lei la serenità. Finché non scopre che Sylvie e Sophie sono sorelle. Costruito come un vertiginoso thriller hitchcockiano, dove il cuore provato di Marc è vittima di un amore che visse due volte, il film di Jacquot scoperchia il mélo per distillare lo humour crudele che permea la tragedia sentimentale. Al ritmo tachicardico del segreto che batte nel petto di Marc, si consuma l’ipocrisia che abita ogni legame amoroso, il


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compromesso che regola il desiderio, come in Two Lovers di James Gray. Esploratore dell’anima femminile, Jacquot si cala qui nei panni del vertice maschile, smascherando la passività del suo ruolo, ma anche la precarietà emotiva delle sue controparti. Tutti e tre sono convinti di vivere il proprio ineffabile, struggente dramma: ma visti da fuori, in questa ironica e chirurgica dissezione di un triangolo amoroso, sono gli agenti immaturi di un ridicolo balletto di bugie autoinflitte.

TRE CUORI

REGIA DI BENOÎT JACQUOT FRANCIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 106’ CON BENOÎT POELVOORDE, CHARLOTTE GAINSBOURG, CHIARA MASTROIANNI, CATHERINE DENEUVE GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 6 novembre


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TRE TOCCHI REGIA DI MARCO RISI

di Mauro Gervasini

Gruppo di attorgiovani (o quasi) in un interno: lo spogliatoio, il luogo di chiacchiere più intimo al quale gli uomini possano aspirare. Dopo la proiezione al Festival di Roma 2014 qualche spettatrice s’è un po’ risentita, per via della misoginia di fondo tra le righe del loro cicaleccio. Ci sta, non frequentando gli spogliatoi maschili dove la grevità fa parte del gioco. Casomai il problema del film è di non riuscire a restituire altrettanta autenticità nel descrivere il “fuori”. Fuori dal campo da calcio, fuori dai box doccia... dove incandescente si fa la lotta per avere una parte, tra audizioni, imprecazioni, adesioni maniacali ai personaggi. Marco Risi pedina sei personaggi in cerca d’autore con notevole senso della narrazione cinematografica, quasi a volere scongiurare il rischio teatralità o qualsivoglia tentazione “fotoromanzesca” (il riferimento è a uno degli attori che crede di essere costantemente sprofondato in un fotoromanzo, anche fuori dal set). Non sempre però i ritratti risultano az-


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zeccati. Anzi, spiace l’indulgenza con la quale si maneggiano i cliché dell’”attore sfigato” o di quello che a quarant’anni ancora aspetta di svoltare. Né sono del tutto incisivi i volti freschi dei protagonisti, che lasciano ai margini le “celebrità” (Giallini, Inaudi, Ludovini...). Nonostante una certa irresolutezza, l’operazione di Risi è comunque interessante. Consigliato a un pubblico maschile, però...

TRE TOCCHI

REGIA DI MARCO RISI ITALIA · 2014 · DRAMMATICO · DURATA: 100’ CON MASSIMILIANO BENVENUTO, LEANDRO AMATO, EMILIANO RAGNO, VINCENZO DE MICHELE GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


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I Vichinghi REGIA DI Claudio Fäh

di Claudio Bartolini

Buoni e cattivi. Nient’altro. Da una parte un manipolo di vichinghi dissidenti, ribellatisi alla crudeltà del nuovo sovrano e ritrovatisi nel Regno di Scozia in seguito a un naufragio. Dall’altra gli scozzesi, uomini senza scrupoli il cui obiettivo è sterminare i vichinghi prima che questi raggiungano l’accampamento di Danelaw. Eroi e crudeli avversari, con al centro della contesa la (nemmeno troppo) bella figlia del re di Scozia - consueto personaggio dalla tanto ambita quanto goffa mascolinità - che i vichinghi tengono in ostaggio, ma che il padre vorrebbe vedere morta per scoraggiare altri ricatti. Senza dimenticare un monaco guerriero, inserito nell’intreccio per accontentare proprio tutti. Detto dell’innegabile fascino delle ambientazioni scozzesi e di un incedere visivo che - nonostante la pochezza del reparto effettistica - intrattiene piacevolmente, I vichinghi è appesantito da una stucchevole retorica mitologico-religiosa consumata nei dialoghi tra il monaco cristiano e il principe


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scandinavo Asbjörn, personaggi patinati in cerca di una terza dimensione drammaturgica alla quale si preferirebbe una bidimensionalità più consona al genere. E a un prodotto nel quale i nemici si moltiplicano inspiegabilmente da una scena all’altra, sono guidati da una sorta di falco-GPS e annunciati dalle visioni di un’evitabile principessa indovina che pare Wanna Marchi («io vedo quello che la terra mi rivela»). Finale scult, per non farci mancare nulla.

I VIchInghI

REGIA DI ClAuDIo Fäh SVIZZERA / GERMANIA / SUDAFRICA · 2014 · AZIONE · DURATA: 97’ CoN Tom hoppER, RyAN KwANTEN, ChARlIE muRphy, ED SKREIN, KEN DuKEN, lEo GREGoRy GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 27 Novembre


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VICKY IL VICHINGO REGIA DI MICHAEL HERBIG

di Mauro Gervasini

Le stelline sono tante, milioni di milioni, e si sprigionano quando Vicky il vichingo si strofina il naso. Il suo modo per dire «Eureka!». Come non ricordarlo? È in giro a piede libero un’intera generazione di bambini ormai più che quarantenni che con il cartone animato del piccolo vichingo sono cresciuti. Oggi è un po’ dimenticato, non in Germania però, da dove arriva questa bislacca versione live, più commovente (appunto per «chi c’era») che veramente divertente. Vicky è il figlio di un capotribù un po’ spaccone (la cosa migliore del film sono tra l’altro i flashback dell’infanzia del papà girati in pseudo Super8). È simpatico, coraggioso (nei limiti dell’età: dei lupi ha paura pure lui) ma timido, cosa che non va benissimo per il primogenito maschio del capo. Soprattutto, è molto intelligente, e a ogni trovata si strofina il naso scatenando le stelline. Più che combinare guai, li risolve. In questa occasione deve poi aiutare il barbaro babbo a ritrovare gli altri bambini del villag-


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gio rapiti dall’acerrimo nemico Sven («il terribile»). Creato dallo svedese Runer Jonsson, animato negli anni 70 dalla giapponese Zuiyo Eizo (dove lavorò anche Miyazaki) ma da sempre prodotto dai tedeschi, Vicky è un personaggio fiabesco e mitico, e resta tale anche in carne e ossa. Ci si chiede solo se dopo Dragon Trainer (che però, nello spunto, ha un po’ “scopiazzato”) possa ancora trovare un suo pubblico.

VICKY IL VICHINGO

REGIA DI MICHAEL HERBIG GERMANIA · 2009 · AZIONE · DURATA: 85’ CON JONAS HÄMMERLE, WALDEMAR KOBUS, NIC ROMM, CHRISTIAN KOCH GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 22 novembre


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VIVIANE

REGIA DI Shlomi Elkabetz, Ronit Elkabetz

di Roberto Manassero

La parola gett, titolo originale di Viviane, indica un diritto di cui ogni donna israeliana viene privata al momento di unirsi in matrimonio: il diritto al divorzio. In un sistema che prevede unicamente l’unione religiosa, la donna può infatti ottenere solo dal marito, e di fronte a un tribunale di rabbini, la possibilità di abbandonare il domicilio coniugale. Viviane sta racchiuso in questa cornice legale e culturale: prende una stanza di tribunale, un gruppo di personaggi - una donna, Viviane, decisa a divorziare, un marito che non ne vuole sapere, tre giudici religiosi, due avvocati e una serie di testimoni - e costruisce un dramma tragico e insieme comico. Shlomi e Ronit Elkabetz, quest’ultima anche attrice nei panni della protagonista, giocano con l’assurdità della situazione, tra il diritto alla felicità della donna e l’ottusità del marito che nega il divorzio. Insistono quindi sull’esasperazione dei personaggi, sulla rigidità dell’ortodossia, sulla ripetizione delle sedute, ed elaborano uno stile


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che trasmette l’idea di trappola e di immobilità, tra il Kammerspiel e il cinema muto, Brecht e Dreyer, primi piani, totali e particolari su mani e piedi. La rabbia e l’ingiustizia sono tutte nelle parole e negli sguardi dei personaggi, mentre il cinema non può far altro che guardare impotente - e pure un po’ divertito - lo spettacolo senza tempo dello scontro fra legge e individuo, fede e società civile, regole e buon senso.

VIVIANE

REGIA DI ShlomI ElkAbEtz, RonIt ElkAbEtz FRANCIA / GERMANIA / ISRAELE · 2014 · DRAMMATICO · DURATA:115’ Con RonIt ElkAbEtz, SImon AbkARIAn, mEnAShE noy, SASSon GAbAI, ElI GoRnStEIn GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 27 Novembre


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Words and Pictures REGIA DI Fred Schepisi

di Alice Cucchetti

Sono più efficaci, rilevanti e rivoluzionarie le parole oppure le immagini? L’appassionante (?) match si svolge in una prep school del New England, portato avanti da due professori: Jack Marcus (un Clive Owen gigionissimo) è uno scrittore quasi fallito, esuberante e alcolizzato, Dina Delsanto (una Juliette Binoche burbera e impeccabile) è una pittrice affermata che soffre di un’artrite reumatoide degenerativa e fatica a trovare un modo per continuare il proprio percorso artistico. Il fatto è che nessuno sembra seriamente coinvolto nel dibattito, compreso il regista Fred Schepisi, che dirige senza inventiva e senza verve uno script indeciso sulla strada da imboccare. Un impianto iniziale da screwball con canonica guerra tra i sessi, un contesto in stile L’attimo fuggente (ma gli studenti sono il sogno di ogni insegnante frustrato, talmente pacati e giudiziosi da scansare qualsiasi scintilla di conflitto), inaspettati squarci drammatici nell’approfondimento della sofferenza interiore ed


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esteriore dei due docenti. Il risultato è un piccolo pasticcio, tenuto in piedi soprattutto dalla testardaggine con cui Owen e Binoche vivificano i propri (macchiettistici) personaggi: il confronto tra Marcus e il figlio è un’intensa e perfino commovente prova d’attore, così come gli sforzi di Dina davanti e attorno alla tela. Tutto affoga infine, come da copione, nel più zuccheroso buonismo. Tra immagini spente e fiumi di parole, l’unica sorpresa sono i bei quadri di Dina, realizzati da Binoche stessa.

Words and Pictures

REGIA DI FRED SchEpISI uSA · 2013 · cOmmEDIA · DuRAtA: 111’ CON JULIETTE BINOCHE, CLIVE OWEN, VALERIE TIAN, BRUCE DAVISON, NAVID NEGAHBAN GUARDA IL TRAILER su YouTube

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PROGRAMMAZIONE

al cinema dal 13 novembre


CINERAMA RITORNA DA VOI Il 9 GENNAIO CON LE RECENSIONI DI TUTTI I FILM USCITI IN SALA NEL MESE DI novembre. CINERAMA È UNA PUBBLICAZIONE TICHE ITALIA SRL. IMPAGINAZIONE A CURA DI GIULIA CIAPPA E LUCA GRIFFINI PER COMMENTI, APPREZZAMENTI E CRITICHE SCRIVETE A CHANNEL@film.tv.it PER INFORMAZIONI CONTATTATE LA REDAZIONE A SEGRETERIA@film.tv.it


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