Wilhelm Dilthey (Α: 19.11.1833, Wiesbaden/ Biebrich –– Ω: 01.10.1911 Siusi allo Sciliar)
Il sogno∗ della Scuola d’Atene <220> A quella cerchia di frequentatori, amici, studenti che mi hanno onorato con la loro dedica, mi hanno rallegrato col dono del mio ritratto (e di che mano!) e poi con questa bella festa, io rivolgo il mio più caldo ringraziamento. Per questa giornata, mi ero vietato ogni festeggiamento ufficiale: di un libero dono personale e spontaneo eccomi ora profondamente grato! E così, se mi volgo indietro alla mia vita passata, devo riconoscere di essere stato molto fortunato. In primo luogo, ho nostalgia anche della mia giovinezza: perché ho avuto il privilegio di assistere all’unificazione della nostra cara nazione tedesca e alla libera configurazione dei suoi ordinamenti pubblici. E poi, in secondo luogo, perché ho potuto seguire gli eventi in me, comportandomi di fronte alla vita mondana 1 come chi vede e ragiona. Una libera possibilità di azione in una cerchia illimitata di espansione. Certo che, noi professori, nelle Università abbiamo una splendida professione! Se poi vi si aggiunge una vita famigliare benedetta… In me, l’insaziabile bisogno di amicizia, è diventato corresponsione. Ripenso con malinconia a quelli che se ne sono andati prima di me: il mio maestro Trendelenburg, poi Bernhard Erdsmannsdörffer e il conte Yorck. Il ricordo di costoro, in questi giorni, mi è sempre presente. Con cuore grato, vedo intorno a me amici fedeli d’antica data e recenti, e i miei pensieri vanno a Eduard Zeller, nella sua muta cella. Tra i miei amici devo però oggi un grazie speciale anche all’amico professor Goldscheider che finora, con le sue ingegnose invenzioni, ha portato in salvo attraverso ogni sorta di pericoli il mio provato organismo. Ho sempre considerato i miei studenti come i miei amici. Sento oggi lo speciale bisogno di ringraziarli per ciò che sono stati per me, per l’amore e la fedeltà che mi parla attraverso innumerevoli lettere alle quali io cordialmente rispondo. Ho cercato di comunicare loro dei metodi di ricerca – quell’arte di analizzare la realtà effettuale, che costituisce il filosofo: il pensiero istorico (historisch). Non ho alcuna soluzione all’enigma della vita, ma è la t o n a l i t à d e l l a v i t a quale mi è cresciuta dentro, nel c o n c e n t r a r m i s u l l e l i n e e d ’ i m p l i c a z i o n e <221> della coscienza istorica, ciò che ho voluto comunicare loro. Posso parlarvi di questo, oggi? In effetti, ciò che oggi ci unisce è proprio un simposio filosofico. Nel campo della conoscenza, la forma sistematica è certo indispensabile. Essa è, insieme, un limite. – Questo sentimento della vita, che scaturisce dalla coscienza storica (geschichtlich) allorché questa viene elevata nel pensiero alla conoscenza della propria portata: ecco appunto ciò che voglio comunicarvi. Ecco quello che oggi avrei anche desiderato esprimere in una forma adeguata. Purtroppo l’espressione adeguata di una dottrina risulta sempre troppo difficile e troppo fredda. Ma ecco che l’amico Wildenbruch mi ha indicato una strada. Lo ringrazio per le sue parole. Ricevere l’elogio del poeta è sempre stata per uomini e donne la più grande gioia. Ma dopo che lui stesso ha evocato il poeta che è in
Traum. È il titolo del discorso tenuto da Dilthey agli amici il giorno del suo 70° compleanno (1903). Wilhelm Dilthey, Gesammelte Schriften, Bd. VIII, Weltanschauungslehre. Abhandlungen zur Philosophie der Philosophie, B.G.Tebner Verlagsgesellschaft, Stuttgart, – Vandenhoeck & Ruprecht in Göttingen, c/ di B. Goethuysen, 1962, p. 220-26 <note: p. 272-73>. 1 <Nella prima versione>: alle cose umane.
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me, si sentirà responsabile se da sotto la cenere torna viva la fiammella e io tento di esprimere – non in versi, non temete – ma un po’ poeticamente, quel sentimento della vita che è scaturito dal lavoro filosofico di tanti anni. È passato più che un decennio. In una chiara sera d’estate ero giunto al castello del mio amicoa a Klein-Oels e come sempre accadeva tra lui e me, la nostra conversazione filosofica si protrasse fino a notte fonda. E ancora risuonava dentro di me mentre mi spogliavo per riposare nella camera da letto a me destinata. Rimasi ancora a lungo in piedi, come altra volta mi era capitato, ad ammirare la bella stampa della Scuola d’Atene di Volpato, sopra il mio letto. Quella sera, apprezzai particolarmente come lo spirito armonico del divino Raffaello avesse addolcito la lotta per la vita e per la morte tra i sistemi avversi, trasformandola in una pacifica conversazione. Su queste figure delicatamente rivolte le une alle altre è sparsa quella tonalità pacifica, che solo verso il tramonto della civiltà antica aveva cercato di smorzare le forti opposizioni tra i sistemi, e che poi fu assai viva anche negli spiriti più nobili del Rinascimento. Stanco com’ero, mi distesi. E subito mi addormentai. E ben presto un sogno agitato si impadronì del dipinto di Raffaello e delle conversazioni da noi condotte. In quella onirica vitalità le figure dei filosofi divennero realtà effettuali. E da una grande, grandissima lontananza, sulla sinistra del tempio dei filosofi, io vidi una lunga schiera di uomini, nei variopinti costumi dei secoli successivi, avvicinarsi. Man mano che qualcuno mi passava accanto e volgeva lo sguardo verso di me, cercavo <222> di identificarlo. Quello era Bruno, l’altro Cartesio, questi era Leibniz, e così molti altri secondo che me li ero rappresentati in base ai loro ritratti. Tutti salivano le scale. Come essi si affollavano per passare, cadevano le fiancate del Tempio. Finirono col mischiarsi, in un’ampia spianata, con le figure dei filosofi greci. Ma allora accadde qualcosa che, perfino nel mio sogno, mi meravigliò. Come sospinti in avanti da un’interna coazione, essi si spingevano gli uni contro gli altri per unificarsi in un gruppo. Dapprima il moto si addensò sul lato destro, dove il matematico Archimede traccia i suoi cerchi e l’astronomo Tolomeo è riconoscibile dal mappamondo che sostiene. Qui si raccolgono quei pensatori che fondano la loro spiegazione del mondo sulla solida, onnicomprensiva natura fisica, che quindi procedono dal basso verso l’alto e vogliono trovare una spiegazione causale unitaria dell’universo in base alla connessione di leggi naturali tra loro interdipendenti e quindi fanno dipendere lo spirito dalla natura, o anche si rassegnano a limitare il nostro sapere a quanto sia conoscibile col metodo scientifico-naturale. Nella schiera di questi materialisti e positivisti, io riconobbi anche d’Alembert, per i suoi tratti fini e la sua bocca dal sorriso ironico che, ai sogni dei metafisici, sembrava irridere. E lì vidi pure Comte, il sistematico di questa filosofia positiva, rispettosamente ascoltato da una cerchia di pensatori di tutte le nazioni. Ed ecco un nuovo flusso farsi largo verso il centro, dove si trovava Socrate e spiccava un vegliardo dall’alta figura: il divino Platone. I due che hanno tentato di fondare sulla coscienza di dio nell’uomo il sapere di un ordine sovrasensibile del mondo. Lì vidi anche Agostino, col cuore appassionatamente in cerca di Dio, intorno al quale molti teologi filosofanti si erano raccolti. E percepivo la loro conversazione, nella quale si sforzavano di collegare il loro “idealismo della personalità”, che è l’anima stessa del Cristianesimo, con le dottrine di quei venerabili vecchi. Ed ecco, dal gruppo dei naturalisti matematizzanti, staccarsi Cartesio, una figura dolce e gracile quasi consumata dalla potenza del pensiero, che veniva attratto, come da una forza interna, verso questi idealisti della libertà e della personalità. Ma poi tutta questa cerchia si aprì, e venne avanti la figura delicata e un po’ curva di Kant, col suo tricorno e il bastone a gruccia, i tratti del volto irrigiditi come nello sforzo del pensare, – questo Grande, che ha innalzato l’idealismo della libertà a coscienza a
<Il conte Paul Yorck von Wartenburg>
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critica, con ciò conciliandolo con le scienze d’esperienza. E incontro al maestro Kant ecco salire con piglio ancora giovanile una figura di straordinario splendore col capo meditativamente inclinato: sul suo volto malinconico <223> un pensiero profondo e una visione poeticamente idealizzante si mescolano al presagio di un destino personale incombente, – è il poeta dell’idealismo della libertà, il nostro Schiller. Già si avvicinano Fichte e Carlyle. Ranke, Guizot e altri grandi storiografi sembrano intenti ad ascoltare questi due. Ma mi assale uno strano brivido quando scorgo accanto ad essi un amico dei miei anni giovanili: Heinrich von Treitschke. Si erano questi appena riuniti, quando anche a destra, intorno a Pitagora e ad Eraclito, che per primi hanno osservato la divina armonia dell’universo, pensatori di ogni nazione si radunano. Giordano Bruno, Spinoza, Leibniz. Strano a vedersi – mano nella mano come nel vigore della loro giovane età – i due grandi pensatori svevi della nazione tedesca – Schelling e Hegel. Erano tutti annunciatori di una forza spirituale divina diffusa in tutto l’universo che, ìnsita in ogni cosa e in ogni persona, agisce dovunque secondo leggi di natura, sicché fuori di essa non c’è alcun ordine trascendente e nessuna sfera di libera scelta. Tutti questi pensatori mi parevano celare, sotto i loro volti segnati dal duro lavoro, anime di poeti. Anche tra di loro nacque un impetuoso movimento in avanti finché da ultimo, con passo misurato si delineò una figura maestosa, in atteggiamento severo, quasi rigido: fui atterrito per la venerazione quando scorsi i grandi occhi, luminosi come soli, e il capo apollineo di Goethe: era nella sua età matura e tutti i suoi personaggi, Faust e Wilhelm Meister, Ifigenia e Tasso, sembravano avvolgerlo, con tutti i suoi grandi pensieri sulle leggi della formazione, che dalla natura salgono fino all’operare dell’uomo. E tra queste massime figure, stavano in varie posizioni e si muovevano inquieti singoli personaggi. Essi sembravano invano voler mediare tra la dura condanna positivistica di ogni enigma della vita e la metafisica, tra una connessione onninecessitante e la libertà della persona. 2
Ma invano correvano indaffarati i mediatori su e giù tra questi gruppi – la distanza che li divideva cresceva a ogni secondo – e a un certo punto il terreno stesso tra loro scomparve – una terribile ostilità ed estraeità sembrava dividerli – mi prese un’angoscia straordinaria che la filosofia si facesse in tre o forse molte più parti ancora – l’unità del mio proprio essere sembrava spezzarsi mentre io, sforzandomi di salvaguardarla, tendevo appassionatamente ora verso l’uno, ora verso l’altro gruppo. E sotto questa tensione dei miei pensieri la <224> coltre del sonno si assottigliava e alleggeriva, le figure del sogno impallidivano e io mi svegliavo. Le stelle luccicavano dalle grandi finestre della camera. L’incommensurabilità e l’insondabilità dell’universo mi avvolse. Come liberato, mi ricordai dei consolanti pensieri che avevo esposto all’amico nel nostro colloquio di quella notte. Questo3 incommensurabile, inconcepibile, insondabile universo si rispecchia variamente in religiosi e veggenti, in poeti e filosofi. Essi stanno tutti sotto la potestà del luogo e dell’ora. Ogni visione del mondo è condizionata istoricamente (historisch), e quindi limitata, relativa. Sembra derivare da ciò una terribile anarchia del pensiero. Ma proprio la coscienza storica (geschichtlich), che ha fatto emergere questo assoluto dubbio, è in grado di assegnare anche ad esso il suo limite. Innanzittutto, è secondo una legge interna che le visioni del mondo si sono selezionate. Qui i miei pensieri sono andati alle grandi forme originarie delle diverse Weltanschauungen, quali mi si erano appunto presentate in sogno nel quadro dei tre gruppi di filosofi. Questi tre tipi di visione del mondo si affermano l’una accanto all’altra nel corso dei 2
Nell’originale, tra parentesi. Da qui in avanti, due versioni. La prima, più completa, 91:76,77, 106-109, 80a, 80b è nel testo. La seconda (91:106, 113, 114, 115) segue in una nota, che tralasciamo. 3
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secoli. Ma ecco il pensiero liberatore! Esse sono fondate nella natura stessa dell’universo e nel rapporto ad esse dello spirito finito che le apprende (endlicher auffassender Geist). Così, ciascuna di esse esprime nei limiti del nostro pensiero un lato dell’universo. In quel limite, ciascuna è vera. Ma ciascuna è unilaterale. Guardare questi lati insieme, ci è vietato. La pura luce della verità è visibile per noi solo in un raggio variamente rifratto. È questo un antico, funesto legame. Il filosofo insegue un sapere universalmente valido e, grazie ad esso, una decisione circa gli enigmi della vita. Ecco il nodo da sciogliere. La filosofia mostra un duplice volto. L’incancellabile impulso metafisico punta alla soluzione dell’enigma del mondo e della vita; in ciò i filosofi sono affini ai religiosi e ai poeti. Ma il filosofo si distingue da questi perché vuole risolvere l’enigma tramite un sapere universalmente valido. Questo è l’antico legame che noi oggi vogliamo sciogliere. Inizio e compito supremo della filosofia è: che essa eleva il pensiero oggettuale (gegenständliches Denken) delle scienze d’esperienza – il quale ricava dalle apparizioni un ordine secondo leggi –, alla coscienza di sé. Cioè lo giustifica di fronte a se stesso. Vi è nelle apparizioni un accesso alla realità: l’ordine secondo leggi; questa è l’unica verità che ci è data in modo universalmente valido, ed essa pure nel linguaggio dei nostri sensi e della nostra capacità d’apprensione. Questo è l’oggetto della scienza filosofica fondamentale. <225> Questa fondazione del nostro sapere è la grande funzione della scienza filosofica fondamentale, alla cui edificazione lavorano tutti i veri filosofi, da Socrate in poi. Un altro compito della filosofia è l’organizzazione delle scienze d’esperienza. Lo spirito filosofico è presente dovunque, là dove i fondamenti di una scienza vengono individuati o dove delle scienze vengono collegate tra loro, o ancora, là dove viene fissato il loro rapporto all’idea del sapere o viene testato il valore conoscitivo dei loro metodi. Ma l’epoca in cui vi era ancora una filosofia specifica della religione, del diritto o dello stato, mi sembra che stia per finire. La suprema funzione della filosofia resta dunque: fondazione, giustificazione, coscienza critica, forza organizzativa che abbracciano ogni pensiero oggettuale, ogni determinazione di valore e ogni posizione di scopo. La grandiosa connessione che in tal modo ne nasce è in grado di governare il genere umano. Le scienze d’esperienza della natura hanno trasformato il mondo esterno e ora si apre l'epoca universale in cui le scienze della società esercitano su quest’ultima il loro crescente influsso. Al di là di questo sapere universalmente valido si pongono le domande circa la persona, che alla fin fine, di fronte alla vita e alla morte è sola con se stessa. La risposta a queste domande sussiste solo nell’ordine delle visioni del mondo che esprimono la multilateralità della realità per il nostro intelletto, in diverse forme, che si riferiscono a una verità una. Quest’ultima è inconoscibile, ogni sistema si involge in antinomie. La coscienza istorica spezza le ultime catene che filosofia e scienza naturale non hanno potuto lacerare. L’uomo è ormai del tutto libero. Ma, insieme, essa salva all’uomo l’unità dell’anima, lo sguardo in una connessione della cose, ancorché imperscrutabile, tuttavia evidente alla vitalità del nostro essere. Possiamo consolarci onorando in ciascuna di queste visioni del mondo una parte della verità. E, se il corso della nostra vita ci offre solo singoli lati dell’imperscrutabile connessione, – se la verità della Weltanschauung che tale lato esprime ci colpisce vivamente, possiamo tranquillamente affidarci ad essa: in tutte è presente la verità. Questi all’incirca i pensieri, come può capitare che si incrocino a chi giace, svegliandosi tra un sogno e l’altro – queste le idee, in cui indugiai a lungo, lo sguardo allo splendore estivo delle costellazioni. Alla fine mi colse un leggero assopimento mattutino coi sogni che di solito lo accompagnano. La volta stellata mi apparve in un bagliore crescente col <226> filtrare della luce mattutina. Figure leggere e beate scorrevano in cielo. Inutilmente mi sforzai, svegliandomi, di trattenere il ricordo di quelle felici visioni di sogno. Sentivo soltanto che in esse si esprimeva la beatitudine di una suprema libertà e mobilità dell’anima. Allora mi sono annotato questo sogno per i miei amici: chissà se qualcosa del sentimento vitale in
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cui esso ancora risuona, avrebbe potuto trasmettersi ad essi. Più affaticata che mai, la stirpe degli uomini cerca di leggere nell’enigmatico e imperscrutabile volto della vita, con la bocca ridente e l’occhio malinconico. Ebbene sì, amici miei, andiamo verso la luce, la libertà e la bellezza dell’esistenza. Ma non in un nuovo inizio, scuotendo via il passato! I vecchi dei, dobbiamo portarceli appresso in ogni nuova patria. Vive pienamente solo chi si dona… Invano Nietzsche ha cercato, in solitaria autoconsiderazione, la natura originaria, il suo astorico essenziare. Egli si è strappato una pelle dopo l’altra. E cosa è rimasto alla fine? Qualcosa di storicamente condizionato: coi tratti dell’uomo di potere rinascimentale. Cosa sia l’uomo, glie lo dice solo la sua storia. Inutilmente taluni si gettano alle spalle tutto il passato, quasi per ricominciare, senza pregiudizi, a vivere la vita. Non solo non riescono, essi, a scuoter via ciò che è stato, ma gli stessi dei del passato gli si ripresentano sotto forma di fantasmi. La melodia della nostra vita è condizionata dalle voci del passato che l’accompagnano. Dal tormento dell’attimo e dalla fuggevolezza di ogni gioia l’uomo si libera solo dedicandosi alle grandi potenze objettive che la storia ha prodotto. Dedizione a queste potenze, non soggettività dell’arbitrio e del godimento: qui è la riconciliazione della personalità sovrana col corso del mondo [die Versöhnung der souveränen Persöhnlichkeit mit dem Weltlauf]. (traduzione di Alfredo Marini, Pavia, marzo 2012)
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